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sentenza della Corte d'Appello di Milano - Lider-Lab

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contrad<strong>di</strong>ttoria o carente da non lasciare intendere la “ratio deciden<strong>di</strong>” (Cass. SezioniUnite n. 2815 del 21.03.1987).Detto in altri termini, l'obbligo, anche per un lodo <strong>di</strong> equità concernente questioni <strong>di</strong>violazione <strong>di</strong> norme fondamentali, <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>care secondo <strong>di</strong>ritto poteva riferirsi solo allevalutazioni attinenti l'interpretazione e l'applicazione <strong>di</strong> dette norme, non a tutte le (altre)valutazioni eventualmente sottoposte al giu<strong>di</strong>zio degli arbitri.Ne conseguiva che il convincimento <strong>della</strong> scin<strong>di</strong>bilità delle clausole <strong>della</strong> convenzione CIR-Formenton motivatamente raggiunto dagli arbitri, ed avente ad oggetto la ricostruzione <strong>della</strong>volontà dei contraenti, non era suscettibile <strong>di</strong> rivalutazione in sede d'impugnazione.Per mera completezza, la <strong>Corte</strong> avrebbe peraltro anche osservato che nel giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong>scin<strong>di</strong>bilità gli arbitri non avevano commesso neppure errori <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto sostanziale: l'art. 1419CC non vietava affatto il tipo <strong>di</strong> esame fatto dagli arbitri (basti evocare l’art. 1362 CC, cheimpone <strong>di</strong> non limitarsi al senso letterale delle parole).La ricostruzione <strong>della</strong> volontà dei contraenti (compiuta nel rispetto <strong>della</strong> logica e delleregole giuri<strong>di</strong>che ermeneutiche) apparteneva, insomma, al merito insindacabile delleopinioni degli arbitri <strong>di</strong> equità, trattandosi, come ha osservato il primo Giu<strong>di</strong>ce senzaricevere specifica censura sul punto, <strong>di</strong> una “quaestio facti”.Può aggiungersi infine – non tanto per completare la già compiuta motivazione <strong>della</strong><strong>sentenza</strong> “giusta” circa il rigetto del secondo motivo <strong>di</strong> nullità, quanto per segnalareun’ulteriore forzatura <strong>della</strong> <strong>sentenza</strong> corrotta – che la <strong>sentenza</strong> Cass. 19-5-89, n. 2406, nondepone certo in senso contrario alla fin qui esposta definizione dei confini del giu<strong>di</strong>ziod’impugnazione nel nostro caso. Si tratta del precedente citato nella <strong>sentenza</strong> Metta (pagg.77 ss.) a proposito del primo motivo <strong>di</strong> nullità – pregiu<strong>di</strong>ziale <strong>di</strong> incompetenza – con qualchepercepibile residuo <strong>di</strong> ambiguità, quasi a significare che quella questione <strong>di</strong> incompetenzaera infondata, ma il suo sottostante argomento poteva e doveva essere “recuperato” dalla<strong>Corte</strong> nel suo “libero” esame del secondo motivo, avendo il giu<strong>di</strong>zio d’impugnazione,quando si faccia questione <strong>di</strong> illiceità del contratto, “analoga struttura logica” del giu<strong>di</strong>zioarbitrale. Ora, quella <strong>sentenza</strong> n. 2406/89 era stata citata dalla stessa CIR fin dalla suacomparsa <strong>di</strong> costituzione in <strong>Corte</strong> (e poi prodotta), per sostenere, contro i Formenton, che gli180

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