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La borsa e la vita Dall'usuraio al banchiere

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<strong>la</strong> “mano di giustizia” in luogo del<strong>la</strong> “verga”, nuova insegna del potere re<strong>al</strong>e.<br />

Joinville affida <strong>al</strong><strong>la</strong> posterità l’immagine del re santo che amministra person<strong>al</strong>mente<br />

<strong>la</strong> giustizia sotto <strong>la</strong> quercia di Vincennes.<br />

Questa preoccupazione per <strong>la</strong> giustizia diviene, <strong>al</strong>lo stesso tempo, un’idea-forza<br />

nell’ambito dell’economia, così imbevuto dell’ideologia religiosa e dell’etica. I dati<br />

fondament<strong>al</strong>i dell’attività economica, del mercato che comincia ad organizzarsi sono<br />

il “giusto prezzo” e il “giusto sa<strong>la</strong>rio”. Anche se di fatto il “giusto” prezzo non è che<br />

quello di mercato, l’esigenza di giustizia è presente. L’usura è un peccato contro il<br />

giusto prezzo, un peccato “contro natura”. T<strong>al</strong>e affermazione può sorprendere.<br />

Eppure, questa è stata <strong>la</strong> concezione dei chierici del tredicesimo secolo e dei <strong>la</strong>ici da<br />

essi influenzati. L’usura si applica solo <strong>al</strong><strong>la</strong> riscossione di un interesse “in denaro sul<br />

denaro”.<br />

Un testo singo<strong>la</strong>re f<strong>al</strong>samente attribuito a san Giovanni Crisostomo, che data<br />

probabilmente <strong>al</strong> quinto secolo, fu inserito nel<strong>la</strong> seconda metà del dodicesimo secolo<br />

nel Codice di diritto canonico. In esso è scritto: «Tra tutti i mercanti il più m<strong>al</strong>edetto<br />

è l’usuraio, poiché vende una cosa donata da Dio e non guadagnata dagli uomini<br />

[contrariamente <strong>al</strong> mercante], e dopo l’usura si riprende <strong>la</strong> cosa con i beni <strong>al</strong>trui, ciò<br />

che il mercante non fa assolutamente. Si obietterà: chi dà in affitto un campo per<br />

ricevere un affitto, o una casa per riscuotere un canone di locazione, non è forse<br />

paragonabile a chi presta il suo denaro a interesse? Certo che no; innanzitutto perché<br />

l’unica funzione del denaro è quel<strong>la</strong> di pagare un prezzo d’acquisto; inoltre, il colono<br />

fa fruttificare <strong>la</strong> terra, il locatario utilizza <strong>la</strong> casa. In questi due casi, il proprietario<br />

sembra concedere l’uso del suo possesso per ricevere del denaro, e, in certo modo,<br />

scambiare guadagno con guadagno, mentre il denaro prestato non può essere<br />

utilizzato in <strong>al</strong>cun modo; infine, l’uso isterilisce a poco a poco il campo, deteriora <strong>la</strong><br />

casa, mentre il denaro prestato non subisce né diminuzione né invecchiamento».<br />

Il denaro è sterile; l’usura vorrebbe invece fargli generare dei piccoli. Tommaso<br />

d’Aquino afferma, dopo aver letto Aristotele: Nummus non parit nummos («il denaro<br />

non si riproduce»). Non che i teologi e i canonisti del Medioevo – come ha ben<br />

spiegato Jean Ibanès 22 – abbiano negato ogni produttività <strong>al</strong> denaro e <strong>al</strong> capit<strong>al</strong>e; ma<br />

nel caso del prestito a interesse, del mutuum, far generare denaro <strong>al</strong> denaro prestato è<br />

contro natura. Tommaso d’Aquino afferma: «<strong>La</strong> moneta [...] è stata in primo luogo<br />

inventata per gli scambi; il suo uso natur<strong>al</strong>e e primo è dunque di essere utilizzata e<br />

spesa negli scambi. Pertanto è in sé ingiusto ricevere un prezzo per l’uso del denaro<br />

prestato; è in ciò che consiste l’usura» 23 . Anche per san Bonaventura, il denaro è “di<br />

per sé” improduttivo: «Il denaro, di per sé, non dà frutto, ma il frutto proviene da<br />

<strong>al</strong>trove» 24 .<br />

22 J. Ibanès, <strong>La</strong> doctrine de l’Eglise et les ré<strong>al</strong>ités economiques au XIIIe siècle: l’intérêt, le prix et <strong>la</strong><br />

monnaie, Paris 1967, pagine 20-2. (N.d.A.)<br />

23 Somma teologica, IIa IIae, q. 78, in J. Ibanès, op. cit., pagina 19. (N.d.A.)<br />

24 Tertium sententiarum, dist. XXXVII, dub. VII, in J. Ibanès, op. cit., pagina 19. (N.d.A.)<br />

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