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Scarica il quaderno - Vicenza Jazz

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From St. Louis to Sun Ra:voYaGe au bout du bluesnew conversations 200313/24 MAGGIO


2Leonard Bernstein (ph. Eugene Cook)


La bellezzadellamusicaLa bellezza della musica è un fattosostanzialmente indicib<strong>il</strong>e.Sulla musica si sono riempiti vagonidi libri e si allungheranno ch<strong>il</strong>ometri dif<strong>il</strong>es. Eppure – lo sosteneva anche <strong>il</strong>grande Leonard Bernstein – chi mairiuscirà a spiegare compiutamente ed esaurientemente <strong>il</strong> singolarissimofenomeno della reazione dell’uomo al linguaggio dei suoni?Ci possiamo provare (ed è legittimo farlo), ma <strong>il</strong> mistero che cipervade ogni volta, all’ascolto di Cavaradossi che canta “E lucevanle stelle”, resta impenetrab<strong>il</strong>e.Come tutti i linguaggi dell’arte, la musica ha vissuto momentiincomparab<strong>il</strong>i, in cui le vette più alte della creatività umana eranointravedib<strong>il</strong>i da tutti: i corali di Bach, le sinfonie di Mozart, lesonate di Beethoven, le arie di Verdi e Puccini. Chiunque potevatoccare <strong>il</strong> cielo con un dito.Poi, soprattutto nel secolo appena conclusosi, gli artisti, i poeti, imusicisti hanno ritenuto giusto incamminarsi su strade semprepiù ardue e innalzare torri più alte: penso a personaggi pur genialicome Picasso, Joyce, Stravinskj e penso al jazz, una musica natain America da una costola della nostra cultura europea ma permolti versi rimastaci spesso estranea.Tuttavia, ciò che del jazz ha senza dubbio e da sempre attirato l’attenzionepersino dei più scettici è l’esser una musica capace dipossedere sia le caratteristiche del linguaggio diffic<strong>il</strong>e e impegnativosia la comunicatività diretta delle espressioni popolari.Anche questo è un segreto diffic<strong>il</strong>e da raccontare, che gli appassionatiamano piuttosto vivere, lasciandosi andare alla bellezzadella musica.3Enrico Hüllweck


4Un festoso“workin progress”Il festival jazz di <strong>Vicenza</strong> è datempo un appuntamento quasifam<strong>il</strong>iare: si ha infatti la sensazioneche ad attenderlo siano, a <strong>Vicenza</strong>,persino le persone che normalmentenon si occupano di questamusica, quasi a dar per scontato che a maggio debba arrivare unospite, magari da lontano, che parli sì un’altra lingua, ma che sappiacomunque farsi capire e apprezzare.Questa sensazione è di anno in anno avvalorata non tanto dainumeri e in tutti i casi dalla positività dei commenti a consuntivo(ciò che oramai si dà pressoché per scontato), ma dall’aumentodelle collaborazioni, sempre più qualificate.Quest’anno, dopo i prologhi al Panic <strong>Jazz</strong> Club di Marostica e <strong>il</strong>Grand Gala al Jolly Hotel Tiepolo, apriremo con l’evento Haden-Metheny nato dal rapporto con la Blue Point di Carlo Celadon, maavremo anche concerti con la Società del Quartetto & Amici dellaMusica e poi con l’Associazione Spazio & Musica e laConfcommercio, e pure ci saranno collegamenti con le manifestazionidi “<strong>Vicenza</strong> Serenissima” e con <strong>il</strong> progetto regionale “IlVeneto e <strong>il</strong> ‘900”; infine, organizzeremo seminari e incontri di studionon solo con <strong>il</strong> Conservatorio Pedrollo, ma pure conl’Associazione Interart, <strong>il</strong> tutto in un clima di festa che coinvolgerà,ancor più che lo scorso anno, tanti locali della città.Insomma, queste “New Conversations” hanno sempre più <strong>il</strong>sapore di un work in progress, un quid che si va costruendoinsieme con tutta una città, tutta una regione, tutto un mondomusicale che vive <strong>il</strong> piacere di ritrovarsi a <strong>Vicenza</strong> in questi festosigiorni di maggio.Mario Bagnara


Esserecon <strong>il</strong> jazzin tempi diffic<strong>il</strong>iViviamo da tempo in quella che ègeneralmente definita una congiunturaeconomica diffic<strong>il</strong>e. Se neè dato la colpa alle Torri Gemelle,poi a Kabul o a Bagdad, ma la veritàè molto più complessa, le causenon così fac<strong>il</strong>mente identificab<strong>il</strong>i e le vie d’uscita non proprio dietrol’angolo.Così, ciò che resta è, senza dubbio, quell’impalpab<strong>il</strong>e senso diinsicurezza che, sovente in questi casi, si tramuta in una certa,non dico diffidenza, ma almeno distanza dalle cose belle, capacedi lasciarsi convincere solo dal pragmatismo delle cose ut<strong>il</strong>i.Come dire: perché dovremmo usare <strong>il</strong> nostro tempo e i nostridenari per essere lì accanto al pianoforte di Randy Weston, o diPaul Bley o di Andràs Schiff, quando già è problematico seguiregli sbalzi delle Rc-auto o addirittura far la spesa?Ecco, in questo io credo che non si debbano avere dei dubbi:una civ<strong>il</strong>tà come la nostra, con una storia colma di arte, di musicae di cultura, non può e non dovrà mai abdicare di fronte allabellezza e alla poesia, nemmeno nei suoi giorni meno limpidi.Io sono davvero felice che, in periodi di “tagli” e di “patti”, laTrivellato Mercedes Benz abbia potuto non solo rinnovare <strong>il</strong>proprio impegno con <strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong> e in genere con tutta lamusica, ma anche ritrovare degli alleati immutati fra le istituzionivicentine e venete, e così pure conoscere nuovi amicicome Carlo Celadon, capaci come noi di credere nel jazz comein una musica a suo modo unica, che ci fa pensare ma, delpari, ci fa star bene, con noi stessi e con gli altri, in modoincommensurab<strong>il</strong>e.5Luca Trivellato


PROGRAMMAPatricia Barber 4 tetPatricia Barber, piano e voce; Neal Alger, chitarra;Michael Arnopol, contrabbasso; Erik Montzka, batteriaGiovedì 1 MAGGIOPanic <strong>Jazz</strong> Club Marostica - ore 22John Abercrombie TrioJohn Abercrombie, chitarra;Dan Wall, organo hammond; Adam Nussbaum, batteriaMercoledì 7 MAGGIOPanic <strong>Jazz</strong> Club Marostica - ore 22Luciano Federighi & Alberto Marsico 4 tetLuciano Federighi, voce; Ettore Martin, sax;Alberto Marsico, organo hammond; Enzo Carpentieri, batteriaVenerdì 9 MAGGIOJolly Hotel Tiepolo - ore 21. 30Poesia in festival: readings & musiccon la partecipazione di Robert Bonisolo, saxSabato 10 MAGGIOTeatro Olimpico - ore 216<strong>Jazz</strong> on House Dax DjCHARLIE HADEN & PAT METHENYFat Max Dj SetMartedì 13 MAGGIOGrottino - ore 20Sala Palladio - Fiera - ore 21Crazy Bull - ore 21. 30Lydian WorkshopKyle Gregory, tromba; Robert Bonisolo, sax;Beppe Calamosca, trombone; Michele Calgaro, chitarra;Riccardo Brazzale, piano conduttore;Marc Abrams, contrabbasso; Mauro Beggio, batteriaPiergiorgio Piccoli, voce recitanteSuper LornaMercoledì 14 MAGGIOPanic <strong>Jazz</strong> Club Marostica - ore 22Crazy Bull - ore 21. 45The StompersEttore Martin & S<strong>il</strong>ver FriendsEttore Martin, sax tenore; Francesca Bertazzo Hart, voce; AlbertoMarsico, organo Hammond B3; Enzo Carpentieri, batteriaGiovedì 15 MAGGIOSamarcanda - ore 22<strong>Jazz</strong> Café Trivellato/La Cantinota - ore 22. 30


Venerdì 16 MAGGIOOsteria della Piazzetta - ore 21Samarcanda - ore 22<strong>Jazz</strong> Café Trivellato/La Cantinota - ore 22. 30PROGRAMMATrio Sandro GibelliniRoberta Rigotto 4 tetGiovanni Mazzarino 5tetGiovanni Mazzarino, pianoforte; Francesco Bearzatti, sax;Fabrizio Bosso, tromba; Stefano Senni, contrabbasso;Lorenzo Tucci, batteriaSabato 17 MAGGIOore 18. 30 - Nuovo Bar Astraore 21 - Tempio di S. Coronaore 22 - Shantyore 22. 30 - <strong>Jazz</strong> Café Trivellato/La CantinotaTuzza & His GangCHERYL PORTER SPIRITUALSCheryl Porter, voce; Ashley Keith Davis, piano e organoRANDY WESTON “Music For Peace”in collaborazione con “Società del Quartetto e Amici della Musica”<strong>Jazz</strong> on House Dax DjDaniela Morena Fantoni & Carlo Atti 5 tetDaniela Morena Fantoni, voce; Carlo Atti, sax tenore e flauto;Andrea Pozza, pianoforte; Lorenzo Conte, contrabbasso;Valerio Abeni, batteria7Domenica 18 MAGGIOdalle ore 15. 30 - Campo Marzoore 20 - Grottinoore 21 - Palazzo Chiericatiore 21. 30 - Osteria della Piazzettaore 22. 30 - <strong>Jazz</strong> Café Trivellato/La CantinotaBanda Musicale "Città di <strong>Vicenza</strong>"S<strong>il</strong>vio Brothers concerto del ventennaleChicago Columbia College <strong>Jazz</strong> EnsembleScott Hall, direttore<strong>Jazz</strong> on House Dax DjSTEFANO BATTAGLIA & “I MUSICALI AFFETTI”Stefano Battaglia, pianoforte;Fabio Missaggia, direttorein collaborazione con Associazione “Spazio & Musica”Ensemble TheloniousDoctor 3Dan<strong>il</strong>o Rea, pianoforte;Enzo Pietropaoli, contrabbasso;Fabrizio Sferra, batteria


PROGRAMMAMessa GospelMARCO FUMO “PIANORAG”RIVERS, MORAN, WORKMAN TRIOMARIA PIA DE VITO, JOHN TAYLOR,RALPH TOWNER + PAOLO FRESUChicago Columbia College <strong>Jazz</strong> Combodirettore Scott HallLunedì 19 MAGGIOChiesa dei F<strong>il</strong>ippini - ore 18Teatro Olimpico - ore 21<strong>Jazz</strong> Café Trivellato/La Cantinota - ore 23. 308Diego Ross 4 tetPedrollo Winds Orchestradirettore Pierluigi DestroANTONELLO SALISPAUL BLEY & ENRICO RAVAInterart Band + Maynard Ferguson special guestGianluca Carollo, Andrea Tofanelli (tp);Giovanni Bigarella, Roberto Manzin, Moreno Castagna (sax);Gianmatteo Carollo, Mauro Ottolini (tb); Michele Calgaro,Francesco Signorini, Federico Malaman, Marco Carlesso, Valerio GallaFat Max & The GambleFat Max Ferrauto (v); Cristina Mazza (as);Bruno Marini (k); Frank Moreno (d)Martedì 20 MAGGIONuovo Bar Astra - ore 18. 30Teatro Olimpico - ore 21Auditorium Canneti - ore 23<strong>Jazz</strong> Café Trivellato/La Cantinota - ore 23. 30Git Box 4tetTHE EDGE “Tribute to Horace S<strong>il</strong>ver”Robert Bonisolo (ts); Paolo Birro (p); Michele Calgaro (g);Lorenzo Calgaro (b); Gianni Bertoncini (d)MAYNARD FERGUSON BIG BOP NOUVEAUMaynard Ferguson, Patrick Hession, Ernie Hammes (tp);Reggie Watkins (tb); Charles McNe<strong>il</strong>l, Michael Dubaniewicz (sax);Harry M<strong>il</strong>ler(p); Joseph Porter(b); Joel Fountain (d)Paolo Ganz Blues BandAlt TrioRita Marcotulli & Javier GirottoMercoledì 21 MAGGIONuovo Bar Astra - ore 18. 30Auditorium Canneti - ore 21Crazy Bull - ore 21. 30Bar Pegasus - ore 21. 30<strong>Jazz</strong> Café Trivellato/La Cantinota - ore 23. 30


Giovedì 22 MAGGIOore 18. 30 - Nuovo Bar Astraore 21 - Auditorium CannetiPROGRAMMASgrenaisadeMARKUS STOCKHAUSEN & ENRICO INTRASUN RA ARKESTRA diretta da Marshall AllenMarshall Allen, direzione, sax contralto, flauto; Art Jenkins, voce;Elson Nascimento, percussioni; Charles Davis, sax tenore;B<strong>il</strong>l Davis, contrabbasso; Clifford Barbaro, batteria;Tyrone H<strong>il</strong>l, trombone; Fred Adams, tromba;Noel Scott, sax contralto; Reynold Scott, sax baritono, flauto;Dave Davis, trombone; Dave Hotep, chitarraore 21. 30 - Ristorante Al Giardinettoore 21. 30 - Crazy Bullore 21. 30 - Nirvana Caffè degli Artistiore 23. 30 - <strong>Jazz</strong> Café Trivellato/La CantinotaDan<strong>il</strong>o Memoli 4 tetFat Max Dj SetLicaonesMauro Baldassarre Charlie Chan 4 tetMauro Baldassarre (as); Michele Calgaro (g);Lorenzo Calgaro (b); Enzo Carpentieri (d)Venerdì 23 MAGGIOore 17. 30 - Salone degli Zavatteriore 18. 30 - Nuovo Bar Astraore 21 - Teatro Olimpicoore 21. 15 - Osteria alla Querciaore 21. 30 - Nirvanaore 21. 45 - Samarcandaore 23. 30 - <strong>Jazz</strong> Café Trivellato/La CantinotaRoberto Dani "Instants"presentazione del nuovo cd (Velut Luna)coproduzione <strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong> 2002Bracco & His Jaguars“Moving Sound Duo”MARKUS STOCKHAUSEN & TARA BOUMANMULGREW MILLER & BARRY HARRISJOE LOVANO & KENNY WERNERImpossib<strong>il</strong>e Banda di Ottoni.Duo Sella & PonchiroliGit Box 4 tetHigh FiveFabrizio Bosso, tromba e flicorno;Daniele Scannapieco, sax tenore;Lucia Mannutza, pianoforte;Piero Cancaglini, contrabbasso;Lorenzo Tucci, batteria9


PROGRAMMA10Sauro's BandGRAMELOT ENSEMBLESimone Guiducci, chitarra; Ach<strong>il</strong>le Succi, clarinetti;Luciano Biondini, fisarmonica; Salvatore Maiore, contrabbasso;Roberto Dani, batteria“Moving Sound Duo”MARCUS STOCKHAUSEN & TARA BOUMANMorris & The Magicals“A Night with Dizzy"COLUMBIA COLLEGE JAZZ ENSEMBLEScott A. Hall, direzione; Michael Oberling, Jeffrey Schweitzer, BrandonRizzo, Michael Matrasko, trombe; Christopher Devine, Mark Thomson,Christopher Roudabush, tromboni; Marcus Ranucci, James Mueller,Daniel Saura, Angelo Garcia, Garrick Smith, sassofoni; Alexander Burke,pianoforte; Aaron Krueger, chitarra; Kevin Martinez, contrabbasso;Brandon Dickert, Justn Boyd, batteria e percussioniTHE REAL TRUMPET SUMMIT“A night with Dizzy”Randy Brecker, Jon Faddis, Claudio Roditi,Terrell Stafford + Mulgrew M<strong>il</strong>ler TrioRandy Brecker, Jon Faddis, Claudio Roditi,Terrell Stafford, trombe; Mulgrew M<strong>il</strong>ler, pianoforte;Derek Hodge, contrabbasso; Rodney Green, batteria<strong>Jazz</strong> on House Dax DjTrapezomant<strong>il</strong>oMauro Negri, clarinetto; Bebo Ferra, chitarra;Marco Remondini, violoncello; Stefano Bagnoli, batteriaSabato 24 MAGGIOCentro Storico - dalle ore 15. 30Centro Storico - ore 17Palazzo Barbaran da Porto - ore 18Nuovo Bar Astra - ore 18. 30Sala Palladio - Fiera - ore 21Shanty - ore 22<strong>Jazz</strong> Café Trivellato/La Cantinota - ore 23. 30Young Swing BandCheryl Porter “for Duke”Terrell Stafford & Lydian Sound Orchestrain collaborazione con la “Primavera Musicale Thienese”Comune di Thiene - Asolo MusicaDomenica 25 MAGGIOAuditorium Città di Thiene - ore 21Randy Brecker 5 tetRandy Brecker, tromba; George Whitty, tastiere; Adam Rogers, chitarra;Chris Minh Doky, basso; Clarence Penn, batteriaLunedì 26 MAGGIOPanic <strong>Jazz</strong> Club Marostica - ore 22


PROGRAMMAINCONTRI APERTI AL CONSERVATORIO “PEDROLLO”Lunedì 19 MAGGIO[ore 10. 30 -12. 30 ] Aula 47Giovedì 22 MAGGIO[ore 10. 30 -12. 30 ] Sala ConcertiMarco Fumo e Maurizio Franco“Il pianoforte afroamericano”Ira Gitler e Michele Mannucci“Dizzy G<strong>il</strong>lespie: una tromba rivoluzionaria”[ore 16-18] Sala ConcertiFrancesco Martinelli“Sun Ra: <strong>il</strong> jazz eliocentrico”I SEMINARI DI INTERARTSabato 17 MAGGIO[ore 15-19] Scuola di Musica TheloniouseDomenica 18 MAGGIOScuola di Musica Thelonious[ore 11-13 e 14-17]Martedì 20 MAGGIO[ore 15-18] Auditorium CannetiScott Hall«Le dinamiche della musica d’insieme»Maynard Ferguson11Venerdì 23 MAGGIO[ore 15-17. 30 ] Scuola di Musica TheloniousJoe LovanoTgaclx_ /2+00 k_eegm 0..2NEW CONVERSATIONS - VICENZA JAZZ 2004á Upgrgle Ksqga dmp Gknpmtgqgleï


Martedì 13 MAGGIOSala Palladio - Fiera - ore 21Charlie Haden & Pat MethenyUn duo raffinato, elegante,attento ad o- Pat Metheny, chitarreCharlie Haden, contrabbassogni minima sfumaturaespressiva: Charlie Haden e Pat Metheny costituisconouna coppia musicale fra le più preziose che si possa immaginare.Insieme, i due <strong>il</strong>lustri musicisti statunitensi hanno registrato nel1996 l’album Beyond The Missouri Sky, pregevole raccolta di branioriginali e di temi di musiche da f<strong>il</strong>m, fra cui <strong>il</strong> toccante main themescritto da Ennio Morricone per <strong>il</strong> premio Oscar Cinema Paradiso diGiuseppe Tornatore, ma soprattutto un appassionante viaggionella memoria e sentimentale, alla ricerca di emozioni perdute.Successivamente sono seguite rare apparizioni concertistiche(anche insieme alla nota danzatrice e coreografa Carolyn Carlson),alle quali si ascrive <strong>il</strong> concerto vicentino, un vero e proprio eventoche apre l’ottava edizione di “New Conversations – <strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>”.Ma la proficua collaborazione fra Charlie Haden e Pat Metheny èstata scandita negli anni da altri momenti altamente significativie da documenti discografici di grande r<strong>il</strong>ievo, soprattutto i dueECM 80/81 del 1980 (nel quale figurano anche i sassofonisti DeweyRedman e Michael Brecker e<strong>il</strong> batterista Jack DeJohnette) eRejoicing del 1983 (in trio con <strong>il</strong>compianto batterista B<strong>il</strong>ly Higgins),nonché Song X del 1985, anome dello stesso chitarrista e diOrnette Coleman, uno dei padridel free jazz con <strong>il</strong> quale <strong>il</strong> contrabbassistaha lungamente collaboratosin dalla fine degli anni Cinquantae del quale Metheny è dasempre sincero e profondo estimatore.13


Giovedì 15 MAGGIO14Ettore Martin Quartet“S<strong>il</strong>ver Friends”Ettore Martin, sax tenoreFrancesca Bertazzo Hart, voceAlberto Marsico, organo hammond B3Enzo Carpentieri, batteriaore 22 .30 -<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoLa CantinotaIn occasione della pubblicazionedel suonuovo CD, Ettore Martinpresenta un progettointeramente imperniatosulla sua personale rivisitazionedell’opera di HoraceS<strong>il</strong>ver. “Un sentito omaggioad uno dei più grandi architetti musicali della storia del jazz”,come dichiara lo stesso sassofonista vicentino. Un viaggio fra <strong>il</strong>blues, <strong>il</strong> gospel, i ritmi latini, <strong>il</strong> bebop, <strong>il</strong> funk, ingredienti che hannoreso unica e inconfondib<strong>il</strong>e la musica di S<strong>il</strong>ver.Ettore Martin


Venerdì 16 MAGGIO<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoLa Cantinota- ore 22 .30Giovanni Mazzarino QuintetGiovanni Mazzarino, pianoforteFrancesco Bearzatti, saxFabrizio Bosso, trombaStefano Senni, contrabbassoLorenzo Tucci, batteriaVincitore del referendum“Top <strong>Jazz</strong>2002” del mens<strong>il</strong>eMusica <strong>Jazz</strong> come“miglior nuovo talento italiano”dell’anno, <strong>il</strong> pianistasic<strong>il</strong>iano Giovanni Mazzarino ha alle spalle significative collaborazioniinternazionali con Tom Harrell, Randy Brecker, SteveSwallow, Lester Bowie e altri ancora. Alla guida del suo quintettopresenta nell’occasione <strong>il</strong> nuovo CD “The Cyclone”, pubblicatodalla Splasc(h).15Giovanni Mazzarino


Sabato 17 MAGGIOCheryl Porter Spiritualsore 21 - Tempio di S. Corona16Cheryl Porter, voceAshley Keith Davis, piano e organoiù volte applaudita incontesti internazionali,Chery Porter hasv<strong>il</strong>uppato un personalest<strong>il</strong>e vocale descritto come “una sapiente miscela di elementitratti da Sarah Vaughan, Dinah Washington e MahaliaJackson”. Grazie alla sua voce potente e nel contempo ricca disfumature, una voce sinceramente legata alla più autentica tradizionedel blues e del gospel, Cheryl Porter canta come sestesse raccontando delle storie: “ti prende con sé per un viaggiofatto di emozioni…ti rivela l’essenza della sua anima…ti raccontai suoi segreti”, è stato scritto di lei. Tra le sue numerosecollaborazioni, si ricordano quellecon Tito Puente, Dave Brubeck,Paolo Conte, Katia Ricciarelli, iBrecker Brothers, David Crosby e lapop star Mariah Carey.Originario di Memphis, Tennessee,Ashley Keith Davis è apprezzatocome pianista e organista, maanche come conferenziere, compositoreed insegnante. È Preside dellafacoltà di studi musicali presso <strong>il</strong>Christian Ministry Institute di Londraed ha fondato l’etichetta discograficaKerygma Music Initiative, deditaesclusivamente alla diffusione e allavalorizzazione della Gospel Music.PCheryl PorterIn collaborazione con “Società delQuartetto e Amici della Musica” di <strong>Vicenza</strong>


Sabato 17 MAGGIOTempio di S. Corona - ore 21Nato a Brooklyn, <strong>il</strong> 6apr<strong>il</strong>e del 1926,Randy Weston haesordito alla fine degliRandy Weston“Music for Peace”Randy Weston, pianoforteanni Quaranta suonando con gruppi di rhythm’n’blues. Comeinfluenze formative cita Count Basie, Nat King Cole, Art Tatum,Duke Ellington, ma soprattutto Thelonious Monk. Weston è infattifra i pochi pianisti ad aver assim<strong>il</strong>ato e personalizzato l’originalissimost<strong>il</strong>e monkiano. Negli anni Sessanta, anche in coincidenzacon i suoi primi viaggi in Africa, Weston inizierà quindi quell’esplorazioneritmica e sonora che col tempo lo porterà a realizzare opereimportanti come Uhuru Africa (1960), Highlife (1963), Blues ToAfrica (1974) e i più recenti The Spirit Of Our Ancestors (1991) eKhepera (1998). Significativo sarà pure l’incontro con i MasterGnawa Musicians, depositari di una delle più antiche, affascinantie misteriose tradizioni musicali del Marocco e con i quali <strong>il</strong> pianistaha inciso due album. Nell’arco della lunga carriera di Weston èstata pure r<strong>il</strong>evante la collaborazione con l’arrangiatrice e trombonistaMelba Liston, responsab<strong>il</strong>e delle magnifiche orchestrazionidegli stessi Uhuru Africa eHighlife. Del Weston compositoresi rammentanosoprattutto “Little N<strong>il</strong>es”e “Hi-Fly”, ma <strong>il</strong> suo songbookè disseminato diinnumerevoli altri gioielli.Il blues, Monk, l’Africa:tutto ciò concorre a fare diRandy Weston uno deipianisti più profondamenteradicati nella culturaafro-americana.Randy Weston17


Sabato 17 MAGGIO18Daniela Morena Fantoni& Carlo Atti 5 tetDaniela Morena Fantoni, voceCarlo Atti, sax tenore e flautoAndrea Pozza, pianoforteLorenzo Conte, contrabbassoValerio Abeni, batteriaDaniela Morena Fantoniore 22 .30 -<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoLa CantinotaFormatasi artisticamentefrequentandotra l’altro corsi conGiorgio Gaslini, MalWaldron e CliffordJordan, la cantante brescianaDaniele MorenaFantoni nutre una grandissimaammirazione per l’indimenticab<strong>il</strong>eB<strong>il</strong>lie Holiday, allaquale ha dedicato un intero programmaconcertistico. Il suo quintetto,di schietto stampo hard bop,allinea solisti di vaglia, fra i qualispicca <strong>il</strong> sassofonista Carlo Atti.Carlo Atti


Domenica 18 MAGGIOCampo Marzo - dalle ore 15 .30Columbia College <strong>Jazz</strong> EnsembleS<strong>il</strong>vio Brothers concerto del ventennaleBanda Musicale di <strong>Vicenza</strong>Palazzo Chiericati - ore 21Stefano Battaglia &“I Musicali Affetti”Stefano Battaglia, pianoforteFabio Missaggia, direttoreL’integrazione fra l’improvvisazionee notepagine di musica settecentescaè alla basedell’incontro fra <strong>il</strong> pianofortedi Stefano Battagliae l’ensemble “I Musicali Affetti” diretto da Fabio Missaggia.Musicista animato da un grande rigore espressivo, Battaglia è attivosulle scene del jazz dalla fine degli anni Ottanta, producendosi inmolteplici contesti, dal piano solo al trio, ad organici orchestrali,intessendo fecondi sodalizi con artisti stranieri quali i batteristi TonyOxley e Pierre Favre e <strong>il</strong> violinista Dominique Pifarely. Il gruppo IMusicali Affetti è nato dall'idea di Fabio Missaggia di riunire musicistiitaliani e stranieri dediti allo studio e all'esecuzione di musica anticacon strumenti originali, al fine di realizzare progetti diversi con unocchio di riguardo alla riscoperta e rivalutazione della musica italiana,e veneta in particolare, del Seicento e Settecento. La dutt<strong>il</strong>ità diorganico permette al gruppo di spaziare da Gabrieli a Mozart: la sceltadegli strumenti originali, lo studio delle fonti antiche e la ricercacostante della qualità del suono sono le basi per affrontare la musicaantica con la più grande libertà di espressione. Grazie a tutto ciò,insieme al valore dei singoli elementi della formazione, I MusicaliAffetti sono considerati uno degli ensemble barocchi italiani più interessantie sono stati invitati in importanti rassegne concertistiche.in collaborazione con Associazione “Spazio & Musica”19


Domenica 18 MAGGIODoctor 3ore 22 .30 -<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoLa CantinotaDan<strong>il</strong>o Rea, pianoforteEnzo Pietropaoli, contrabbassoFabrizio Sferra, batteriaostituito nel 1997,Doctor 3 si è subitoimposto come unadelle migliori formazioniitaliane, forte di tre solisti di grande esperienza quali sonoi suoi componenti. Il segreto del successo del trio sta nel mirab<strong>il</strong>eequ<strong>il</strong>ibrio delle forze in campo, in un magistrale senso dell’interplaye in un ampio repertorio che include anche brani provenientidal bacino del pop, r<strong>il</strong>etti ovviamente in una squisita,sempre sorprendente e avvincente, chiave jazzistica.C20Doctor 3


Lunedì 19 MAGGIOTeatro Olimpico - ore 21Marco Fumo: “Pianorag”Marco Fumo è consideratouno deiMarco Fumo, pianofortemigliori interpreti europei del ragtime e più in generale delrepertorio pianistico afro-americano colto del primoNovecento. Nei primi anni Ottanta si è imposto nel panoramaconcertistico nazionale favorendo la diffusione di pagine ancorapoco note presso <strong>il</strong> pubblico italiano e guadagnandosi anche <strong>il</strong>plauso di compositori quali Ennio Morricone e Armando Gent<strong>il</strong>ucci,che hanno scritto ragtime appositamente per lui. Fra le dita diMarco Fumo scorrono quindiautori quali Scott Joplin,Gottschalk, Jelly RollMorton, James P. Johnson,Bix Beiderbecke, Gershwin,Fats Waller. Tutte le esecuzionisono contrassegnatedal rispetto f<strong>il</strong>ologico deimateriali originari, anchegrazie ad attenti studi compiutiaccanto a musicologicome Marcello Piras eRiccardo Scivales. MarcoFumo ha tenuto concertinelle più importanti rassegneitaliane, spingendosisovente oltre confine, producendosianche sotto ladirezione di Nino Rota,Donato Renzetti, GiorgioGaslini, Enrico Intra, BrunoTommaso, Ennio Morriconee Gunther Schuller.Marco Fumo (ph. Mauro Bassi)21


Lunedì 19 MAGGIO22Sam Rivers, Jason Moran& Reggie WorkmanSam Rivers, sax tenore e soprano, flautoJason Moran, pianoforteReggie Workman, contrabbassoore 21 - Teatro OlimpicoInedito trio che riunisceuna delle icone dellejazz degli anni Settanta,uno dei più talentuosipianisti delle ultime generazionie uno dei contrabbassistipiù solidi e creativi dell’intero ciclo storico del jazz.Ottant’anni <strong>il</strong> prossimo 25 settembre, Sam Rivers è uno di queimusicisti che ha traghettato <strong>il</strong> free jazz verso una dimensioneespressiva segnata dalla sintesi fra umori diversi. E in questa suaricerca, che ha conosciuto l’apice creativo con l’ormai storico triocon Dave Holland e Barry Altschul, Rivers è stato avvantaggiatodalla sua naturale propensione al polistrumentismo,della cui pratica va consideratouno dei massimi interpreti.Nato a F<strong>il</strong>adelfia nel 1937, Reggie Workmanvanta un curriculum davvero invidiab<strong>il</strong>e: RoyHaynes, Art Blakey, Archie Shepp, John Coltrane,Wayne Shorter, Cec<strong>il</strong> Taylor, David Murraysono solo alcuni dei grandi solisti presso iquali ha prestato servizio in tanti anni di onoratacarriera. Senza contare i gruppi diretti in primapersona, fra cui un quintetto comprendente,fra gli altri, la vocalist Jeanne Lee e <strong>il</strong> clarinettista Don Byron.Nato a Houston <strong>il</strong> 21 gennaio 1975, Jason Moran possiede un’ampiaconoscenza della tradizione del piano jazz e dei suoi sv<strong>il</strong>uppi piùavanzati, avendo studiato anche con Jaki Byard, Muhal RichardAbrams e Andrew H<strong>il</strong>l. La sua entrata dalla porta principale nel panoramajazzistico internazionale si deve al sassofonista Greg Osby,che nel 1997 ha coinvolto Moran nella realizzazione dell’album FurtherAdo. Fra le sue incisioni nelle vesti di leader spicca inveceBlack Stars, nella quale figura lo stesso Sam Rivers.Sam Rivers (ph. S<strong>il</strong>vio Di Fazio)


Lunedì 19 MAGGIOTeatro Olimpico - ore 21“Una voce dutt<strong>il</strong>e,luminosa, ricca ditemperamento e disfumature espressive,a proprio agio sia nell’interpretazionedei testiche nelle improvvisazioniMaria Pia De Vito, John TaylorRalph Towner + Paolo FresuMaria Pia De Vito, voceJohn Taylor, pianoforteRalph Towner, chitarra classica e a 12 cordePaolo Fresu, trombalibere da parole, dove dimostra fantasia e spericolata ag<strong>il</strong>ità”.Questa descrizione fornita da Giuseppe Segala sulle pagine diMusica <strong>Jazz</strong> è un ritratto tanto sintetico quanto preciso di MariaPia De Vito, vocalist ormai apprezzata a livello internazionale, alpunto che <strong>il</strong> suo nome figurava nella categoria “Beyond Artist”dell’edizione 2001 del prestigioso Critics Pool della rivista americanaDown Beat, accanto a quelli di Caetano Veloso, JoniMitchell, Cesaria Evora e Carlos Santana.A ciò la cantante napoletanaè giunta anche graziea importanti collaborazionicon artisti stranieri,fra cui <strong>il</strong> pianista ingleseJohn Taylor e <strong>il</strong> chitarristaamericano RalphTowner, insieme ai qualiMaria Pia De Vito ha incisogli album Verso e NelRespiro (quest’ultimorealizzato anche con l’apportodel bassista SteveSwallow e del batteristafrancese Patrice Heral),editi entrambi dalla britannicaProvocateur.Maria Pia De Vito (ph.Raffaella Cavalieri)23


Lunedì 19 MAGGIO24Paolo Fresu (ph. Nina Contini Melis)Al collaudato trio si aggiunge ora, quale ospitespeciale, <strong>il</strong> trombettista Paolo Fresu, altrojazzista di casa nostra rinomato all'estero. Datempo <strong>il</strong> musicista sardo risiede tra l'altro aParigi, una delle capitali del jazz nel VecchioContinente e di conseguenza luogo idealeper tessere nuovi, stimolanti sodalizi artistici.E la disponib<strong>il</strong>ità verso esperienze semprediverse ha permesso a Fresu di stab<strong>il</strong>irefeconde relazioni anche con <strong>il</strong> mondo delcinema (sua è la colonna del recente f<strong>il</strong>m Ilpiù crudele dei giorni, dedicato alla giornalistaIlaria Alpi), della danza, della poesia, dellapittura. Ma al centro della sua versat<strong>il</strong>e personalitàrimane tuttavia <strong>il</strong> jazz, una musicadalle m<strong>il</strong>le sfumature che Fresu è riuscito afar propria con la sensib<strong>il</strong>ità che lo distingue.Scott HallColumbia College <strong>Jazz</strong> Comboore 22 .30 -<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoLa CantinotaDall’orchestra del ColumbiaCollege di Chicago,vengono ad esibirsialla Cantinota alcunielementi sempre sotto la guidadel trombettista Scott Hall. È un modoper confrontarsi con la riconosciutaprofessionalità della scuola americanache, a conclusione del festival,darà la possib<strong>il</strong>ità ad un giovane studenteitaliano, particolarmente meritevole,di frequentare i prestigiosicorsi del College di Chicago.


Martedì 20 MAGGIOTeatro Olimpico - ore 21Antonello SalisMusicista dalla creativitàcontagiosa, unaAntonello Salis, pianoforte, fisarmonicavera forza della naturama anche un autentico poeta, Antonello Salis è attivosulle scene del jazz sin dai primissimi anni Settanta, cioè daquando esordì nelle vesti di pianista del trio Cadmo, formazionecompletata da Riccardo Lai al contrabbasso e Mario Paliano allabatteria e poi allargata a quintetto con l’innesto del sax alto diSandro Satta e del trombone di Dan<strong>il</strong>o Terenzi. Alla fine dellostesso decennio iniziò a praticare la solo performance, riscoprendoparallelamente <strong>il</strong> suo primo strumento, la fisarmonica.Da allora, proprio per la sua travolgente fantasia, Antonello Salisè stato coinvolto nei contesti più disparati. Al suo attivo ha infatticollaborazioni con Pat Metheny, Lester Bowie e l’ArtEnsemble of Chicago al completo, Don Cherry, B<strong>il</strong>ly Cobham,Han Bennink, Nana Vasconcelos, nonché con i connazionaliPaolo Fresu, Enrico Rava, Stefano Bollani. Di r<strong>il</strong>ievo un quartettodi fisarmoniche costituito insieme a Gianni Coscia e ai francesiRichard Galliano e Marcel Azzola. Fuori dall’ambito jazzistico<strong>il</strong> musicista di V<strong>il</strong>lamar (Cagliari)ha collaborato con Pino Daniele,Ornella Vanoni, Vinicio Capossela,Teresa De Sio e altri. Frequentisono stati anche gli incontri con <strong>il</strong>mondo del cinema (la colonnasonora del f<strong>il</strong>m Racconto d’autunnodi Eric Romher, firmata insiemeal chitarrista transalpino GerardPansanel) e con la danza, lavorandosoprattutto con le danzatrici ecoreografe Roberta Escam<strong>il</strong>laGarrison e Teri J. Weikel.Antonello Salis (ph. Mauro Sabbatani)25


Martedì 20 MAGGIO26Paul Bley & Enrico Rava:“Remembering Chet”Enrico Rava, tromba, flicornoPaul Bley, pianoforteore 21 - Teatro OlimpicoIl più internazionale deijazzisti di casa nostra euno dei pianisti piùsensib<strong>il</strong>i che <strong>il</strong> jazz abbiamai prodotto: un incontronel segno del ricordo diuno dei più grandi poeti del jazz, l’indimenticato Chet Baker.Vincitore nel 2002 del danese <strong>Jazz</strong>par e nominato nello stessoanno Cavaliere delle Arti e delle Lettere dal Ministro dellaCultura francese, Enrico Rava è musicista dal copiosissimobagaglio di esperienze. Alla fine degli anni Sessanta ha soggiornatonegli Stati Uniti, mettendosi in luce nella vivace scenamusicale del periodo, e ricordare tutte le collaborazioni collezionatein tanti anni è impresa davvero ardua: bastino per tutti inomi di Carla Bley, John Abercrombie, Cec<strong>il</strong> Taylor, RoswellEnrico Rava


Martedì 20 MAGGIOPaul Bley e Chet Baker27Rudd, Dollar Brand/Abdullah Ibrahim, Joe Lovano, Steve Lacy.Invitato nei più prestigiosi festival di tutto <strong>il</strong> mondo, Rava hatenuto nel 2001 una serie di concerti a Montreal, due dei quali(<strong>il</strong> primo con un quintetto diretto insieme a Paolo Fresu e <strong>il</strong>secondo in duo con Stefano Bollani) sono stati documentati sualtrettanti CD dalla francese Label Bleu (un terzo, in quartettocon Ray Anderson, Mark Helias e Pheeroan AkLaff è di prossimapubblicazione).Anch’egli già gradito ospite del palcoscenico del Teatro Olimpico,Paul Bley ha suonato con Charlie Parker, Charles Mingus,Ornette Coleman, Jimmy Giuffre, Don Ellis, Sonny Rollins,George Russell. Il pianista canadese è quindi a tutti gli effettiparte attiva dell’aristocrazia del jazz sin dagli anni Cinquanta. Enell’arco della sua br<strong>il</strong>lante carriera ha praticato ambiti st<strong>il</strong>isticidiversi, inclusi <strong>il</strong> free jazz e la sperimentazione elettronica, imponendosisempre e ovunque per la purezza del suo tocco. Tra isuoi numerosissimi dischi va ricordato Diane, delizioso duettoinciso nel 1985 a Copenaghen proprio con Chet Baker.


Martedì 20 MAGGIO28Interart Band+ Maynard Fergusonspecial guestGianluca Carollo, trombaAndrea Tofanelli, trombaGiovanni Bigarella, saxRoberto Manzin, saxMoreno Castagna, saxGianmatteo Carollo, tromboneMauro Ottolini, tromboneMichele Calgaro, chitarraFrancesco Signorini, pianoforte e tastiereFederico Malaman, contrabbassoe basso elettricoMarco Carlesso, batteriaValerio Galla, percussioniore 23 - Auditorium CannetiLa Interart Band è natanel 1999 dall’esigenzadi alcuni musicisti vicentinidi ritrovarsi permettere a confronto le proprieesperienze personali.Il sound che ne è derivato,una fresca miscela di jazz,latin e funk, è <strong>il</strong> punto diincontro fra diversi backgroundaccumulati dai singolicomponenti in Italia edall'estero. Maynard Ferguson,ospite d’eccezione,potrà rendere ancor piùfrizzante la performancedell’orchestra veneta.Fat Max & The GambleFat Max Ferrauto, voceCristina Mazza, sax contraltoBruno Marini, organo HammondFrank Moreno, batteriaore 23 .30 -<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoLa CantinotaFormazione che combina<strong>il</strong> blues con l’energiadel funk e la libertà delfree jazz. Dice in proposito<strong>il</strong> suo leader: “Mipiace pensare al gruppo come ad un grande lago alimentato da duegrandi fiumi provenienti da terre molto diverse tra loro. Fiumi chelungo <strong>il</strong> loro percorso, prima di gettarsi nel lago, raccolgono l’acquadi altri piccoli corsi d’acqua”. Musica di contaminazione, quindi, masempre nel segno di una travolgente negritudine.


Mercoledì 21 MAGGIO30The Edge“Tribute to Horace S<strong>il</strong>ver”Robert Bonisolo, sax tenorePaolo Birro, pianoforteMichele Calgaro, chitarraLorenzo Calgaro, contrabbassoGianni Bertoncini, batteriaore 21 - Auditorium CannetiIl sassofonista RobertBonisolo, canadese dinascita ma da tempoitaliano d’adozione, <strong>il</strong>pianista Paolo Birro, già vincitoredi una delle edizionidel “Top <strong>Jazz</strong>” di Musica<strong>Jazz</strong> come “miglior nuovotalento italiano”, <strong>il</strong> batterista Gianni Bertoncini e i fratelli Michele eLorenzo Calgaro, rispettivamente chitarrista e contrabbassista,quasi una all stars del jazz vicentino, rendono omaggio ad HoraceS<strong>il</strong>ver, uno dei padri dell’hard bop e del soul jazz, grande compositore(bastino per tutti brani come“Senor Blues”, “Opus The Funk” e“The Preacher”, considerati deiclassici del jazz di tutti i tempi) ealtrettanto quotato band leader.Attivamente coinvolti nella importanteesperienza della Scuola diMusica Thelonious, realtà didatticafra le più rinomate a livello nazionale,e tutti con alle spalle significativecollaborazioni, anche di respiro internazionale,i cinque musicisti sonolegati dalla medesima visione deljazz, con le radici ben piantate nellamoderna tradizione afro-americana,e da un’assidua frequentazione artisticatestimoniata dalla m<strong>il</strong>itanza insvariati organici, fra cui la LydianSound Orchestra di RiccardoBrazzale.Paolo Birro


Mercoledì 21 MAGGIOAuditorium Canneti - ore 21Beniamino dei seguacidi un certo tipo di jazzche coniuga l’eleganzadelle forme con unaprorompente energia,Maynard Ferguson vienesolitamente ricordato soprattuttocome storicocomponente della celebreorchestra di Stan Kenton,nelle cui f<strong>il</strong>e m<strong>il</strong>itò fra <strong>il</strong>Maynard FergusonBig Bop Nouveau BandMaynard Ferguson, direzione, trombaPatrick Hession, trombaErnie Hammes, trombaReggie Watkins, tromboneCharles McNe<strong>il</strong>l, sax tenoreMichael Dubaniewicz, sassofoniHarry M<strong>il</strong>ler, pianoforteJoseph Porter, bassoJoel Fountain, batteria1950 e <strong>il</strong> 1953, e come esponente di spicco del West Coast <strong>Jazz</strong>.Trombettista ferratissimo, incline ai sovracuti (un aspetto, questo,del suo st<strong>il</strong>e che non gli ha risparmiato critiche), Ferguson è nato aVerdun, in Canada, <strong>il</strong> 4 maggio del 1928: la musica la scopre adappena quattro anni, suonando inizialmente <strong>il</strong> pianoforte e <strong>il</strong> violino,e a quindici dirige già un proprio gruppo. Nel 1949 suona dapprimacon Jimmy Dorsey e poi con Charlie Barnet. L’incontro con Kentongli spalancherà quindi le porte della celebrità. Nei suoi gruppi costituitisuccessivamente, sia di piccole dimensioni che ampi organici,si alterneranno nel corso del tempo forti personalità come Al Cohn,Clark Terry, Clifford Brown, Ray Brown (tutti coinvolti nella BirdlandDream Band), Don Ellis, Joe Zawinul, Chuck Mangione, EddieGomez, Peter Erskine. Da anni Fergusonha trovato nella Big Bop NouveauBand <strong>il</strong> veicolo ideale per esprimereappieno <strong>il</strong> proprio vivace senso musicale:al suo fianco non ci sono più igrandi nomi di un tempo, ma giovanimusicisti capaci comunque di assecondare<strong>il</strong> leader nelle sue spericolateevoluzioni solistiche.Maynard Ferguson31


Mercoledì 21 MAGGIORita Marcotulli & Javier Girottoore 23 .30 <strong>Jazz</strong> Café Trivellato- La Cantinota32Rita Marcotulli, pianoforteJavier Girotto, sax soprano e baritonoAncora vivissimo l’ecodel successo delsuo ultimo albumKoinè, creativa fusionefra jazz, world music, canzone d’autore e sperimentazioneelettronica, Rita Marcotulli, non da oggi musicista di riconosciutovalore internazionale (da anni collabora stab<strong>il</strong>mente, tra l’altro,con <strong>il</strong> sassofonista americano Dewey Redman), si esibisce incoppia con <strong>il</strong> sassofonista di origine argentina Javier Girotto, leaderdegli eccellenti Aires Tango. Un sodalizio collaudato, <strong>il</strong> loro,ma sempre foriero di continue sorprese, sotteso da un dialogoassolutamente paritario.Rita Marcotulli (ph. Roberto Masotti - archivio <strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>)


Giovedì 22 MAGGIOAuditorium Canneti - ore 21Markus Stockhausen & Enrico IntraUno dei decani del Markus Stockhausen, tromba, flicornojazz italiano incontra Enrico Intra, pianoforte e tastierauno dei più interessantitrombettisti europei. Ad accomunarli è la medesimainclinazione alla sintesi fra l’improvvisazione di natura jazzisticae la cultura musicale del Vecchio Continente.Classe 1935, <strong>il</strong> pianista m<strong>il</strong>anese ha iniziato a prodursi in ambitojazzistico nei primi anni Cinquanta, esordendo ufficialmente nelfebbraio del 1955 con l’X Quintet. In seguito ha suonato conGerry Mulligan, Cher Baker, M<strong>il</strong>t Jackson, Oscar Valdambrini, G<strong>il</strong>Cuppini e Bruno De F<strong>il</strong>ippi, ma soprattutto con <strong>il</strong> chitarristaFranco Cerri, insieme al quale ha dato vita ad un felice sodalizio,tuttora in corso, manifestatosi anche sul versante della didattica.Compositore rigoroso, incline a vere e proprie sfide controgli schemi formali consolidati, Intra mantiene sempre nelle sueopere (fra le quali si rammentano “La Messa d’oggi”,“Archetipo” e “Nuova civ<strong>il</strong>tà”) stretti legami con l’humus jazzistico,specialmente con <strong>il</strong> blues.Figlio del famoso compositore Karlheinz Stockhausen, MarkusStockhausen è cresciuto musicalmente sotto l’influenza delpadre, con <strong>il</strong> quale ha lungamente collaborato. L’interesse per leforme aperte, per l’improvvisazione, lo ha quindi spinto ad avvicinarsial mondo del jazz. In questo campo si è prodotto in contestidiversi, dal duo alla big band, lasciando sempre <strong>il</strong> segnograzie ad uno spiccato senso lirico. Co-leader di svariate formazioni(fra cui <strong>il</strong> trio Aparis e <strong>il</strong> quartetto Karta), ha anche intessutoproficue collaborazioni con <strong>il</strong> suonatore di oud DhaferYoussef, <strong>il</strong> chitarrista ungherese Ferenc Snétberger e la clarinettistaTara Bouman.In questa edizione di New Conversations, Markus Stockhausenè in cartellone come artist in residence, protagonista anche alTeatro Olimpico e a Palazzo Barbaran da Porto.33


Giovedì 22 MAGGIOSun Ra Arkestraore 21 - Auditorium Canneti34Marshall Allen, direzione, sax contralto, flautoArt Jenkins, voceElson Nascimento, percussioniCharles Davis, sax tenoreB<strong>il</strong>l Davis, contrabbassoClifford Barbaro, batteriaTyrone H<strong>il</strong>l, tromboneFred Adams, trombaNoel Scott, sax contraltoReynold Scott, sax baritono, flautoDave Davis, tromboneDave Hotep, chitarraSono trascorsi diecianni esatti dalla scomparsadi Sun Ra eforse mai come ora lasua influenza musicale èpalpab<strong>il</strong>e nel mondo deljazz, ma anche ben oltre.A questa grande, singolarefigura di tastierista,compositore e band leaderstanno infatti guardandoda tempo e consempre maggiore attenzionele ultime generazioni di musicisti, di deejay e di alchimistielettronici. Per tutti loro Sun Ra è stato uno sperimentatore, unpoeta visionario, un architetto sonoro, un innovatore. Ed in effetticosì è: alla guida delle numerose incarnazioni della suaPaul Motian (ph. Pino Ninfa)Sun Ra Arkestra


Giovedì 24 MAGGIOArkestra, non solo una formazione musicale ma una vera e propriacomunità di artisti, Herman Blount (con questo nome nacquea Birmingham, Alabama, <strong>il</strong> 22 maggio del 1914), meglionoto come Sun Ra, in omaggio al “dio sole” della mitologiaegiziana, ha lasciato dietro di sé una tale messe di opere discografichee di felici intuizioni musicali da farlo assurgere alrango di autentica leggenda. Da seguace delle concezioniorchestrali di Fletcher Henderson, con <strong>il</strong> quale pure occasionalmentecollaborò, all’adesione al più forsennato free jazz, dicui fu peraltro uno dei precursori, fino alla riscoperta di unacerta tradizione classica del jazz, Sun Ra è stato protagonistadi un percorso artistico unico nel suo genere, dallo sv<strong>il</strong>upposempre sorprendente e imprevedib<strong>il</strong>e. In questo appassionanteviaggio musicale, accompagnato da una personale visionedella vita, ha avuto al fianco solisti di indiscutib<strong>il</strong>e valore, fedelial suo credo. Fra questi, <strong>il</strong> sassofonista Marshall Allen(Louisv<strong>il</strong>le, 25 maggio 1924), nelle cui mani sicure è ogg<strong>il</strong>’Arkestra, una macchina musicale sempre efficace, scoppiettante,travolgente. L’eredità di Sun Ra è dunque lungi dall’andareperduta.35<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoLa Cantinota- ore 23 .30Omaggio ad uno deigeni del jazz, CharlieParker. Ad offrirlo è <strong>il</strong>sassofonista vicentinoMauro Baldassarre,che con la musica di“Bird” è praticamenteMauro Baldassarre Quartet“Charlie Chan Project”Mauro Baldassarre, saxMichele Calgaro, chitarraLorenzo Calgaro, contrabbassoEnzo Carpentieri, batteriacresciuto. Il suo quartetto, che include altri validi musicisti dell’areaveneta, propone ovviamente famose composizioni parkeriane,alternate da brani originali di naturale ispirazione boppistica.


Venerdì 23 MAGGIOJoe Lovano & Kenny Wernerore 21 - Teatro Olimpico36Joe Lovano, sax tenoreKenny Werner, pianoforteDa almeno un paio didecenni Joe Lovano èuno dei p<strong>il</strong>astri delsassofonismo contemporaneo.Specialista del sax tenore (ma <strong>il</strong> suo strumentariosubisce sovente un significativo ampliamento ad altri tipi di sax),Lovano si è fatto le ossa negli anni Settanta m<strong>il</strong>itando a fianco deltastierista Lonnie Liston Smith e nell’orchestra di Woody Herman(altra significativa esperienza orchestrale sarà quella di poco successivacon <strong>il</strong> batterista Mel Lewis). Il suo nome è iniziato a circolarecon sempre maggiore insistenza dal momento in cui PaulMotian lo ha coinvolto nei propri gruppi, fra cui un trio completatodal chitarrista B<strong>il</strong>l Frisell e divenuto inbreve una delle formazioni simbolo del jazzdegli anni Ottanta e Novanta. Attento anchealla progettualità (numerosi sono i suoi dischia tema, con omaggi anche a Sinatra eCaruso), Lovano, nel cui st<strong>il</strong>e maturo si colgonoechi di Coltrane, Rollins ma anche diOrnette Coleman, si avvale da sempre dieccellenti collaboratori. Tra i suoi partner piùcongeniali e di lunga data c’è <strong>il</strong> pianistaKenny Werner, accompagnatore sensib<strong>il</strong>e edelegante, nonché solista di gran classe.Werner ha suonato anche con la Mel LewisOrchestra, Archie Shepp, John Abercrombie,Joe Henderson, Tom Harrell, ChicoFreeman e con <strong>il</strong> collega di strumento JakiByard. Ma è proprio accanto a Lovano chetutte le sue qualità vengono messe in pienorisalto, grazie ad un’intesa che col tempo siè fatta empatica.Joe Lovano (ph. Jimmy Katz)


Venerdì 23 MAGGIOTeatro Olimpico - ore 21Barry Harris & Mulgrew M<strong>il</strong>lerDopo quello della scorsaedizione con Mal Mulgrew M<strong>il</strong>ler, pianoforteBarry Harris, pianoforteWaldron e Geri Allen,anche quest’anno “<strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>” propone un inedito meetingpianistico. E anche questa volta sono uno di fronte all’altromusicisti di generazione diversa: <strong>il</strong> veterano di tante battagliemusicali Barry Harris e <strong>il</strong> più giovane collega Mulgrew M<strong>il</strong>ler.Nato a Detroit <strong>il</strong> 15 dicembre del 1929, Barry Harris è uno deimigliori pianisti della sua generazione: st<strong>il</strong>isticamente figlio diThelonious Monk e Bud Powell - ma anche Charlie Parker esercitòsu di lui una grande influenza -, Harris si è distinto inizialmente suonandoal fianco di Max Roach e Cannonball Adderley. Successivamentesi è prodotto accanto a DexterGordon, Illinois Jacquet, Yusef Lateef, HankMobley e Coleman Hawkins. Harris incarnaoggi un modo di concepire <strong>il</strong> piano jazz nelsegno di una intramontab<strong>il</strong>e classicità.Non immune dall’influenza dello stessoHarris, Mulgrew M<strong>il</strong>ler (Greenwood, Mississippi,13 agosto 1955) riassume nel suoapproccio strumentale un po’ tutta la storiadel pianismo jazz classico e moderno. Giàmembro dell’orchestra di Mercer Ellington,poi sideman della cantante Betty Carter equindi aff<strong>il</strong>iato ai leggendari <strong>Jazz</strong> Messengersdi Art Blakey e al gruppo di un altrogigante della batteria, Tony W<strong>il</strong>liams, MulgrewM<strong>il</strong>ler è dotato di una tecnica smaglianteche gli permette appunto di confrontarsicon ambiti e st<strong>il</strong>i diversi. E in questosenso Barry Harris non potrebbe trovarepartner pianistico migliore di lui.Barry Harris (ph. Frans Elsen)37


Venerdì 23 MAGGIOHigh Five Quintetore 23 .30 <strong>Jazz</strong> Café Trivellato- La Cantinota38Fabrizio Bosso, tromba e flicornoDaniele Scannapieco, sax tenoreLucia Mannutza, pianofortePiero Cancaglini, contrabbassoLorenzo Tucci, batteriaGli High Five sono unadelle formazioni italianeattualmente più inauge. Il quintetto èuna sorta di all stars delleultime generazioni di jazzistidi casa nostra, con in prima linea <strong>il</strong> trombettista Fabrizio Bossoe <strong>il</strong> sassofonista Daniele Scannapieco. Traendo ispirazione dalsound Blue Note degli anni Sessanta, gli High Five producono unamusica muscolare, di chiara discendenza hard bop, ma altresì permeatada un marcato senso lirico. Come attesta <strong>il</strong> fortunato albumdi debutto <strong>Jazz</strong> For More..., uscito per la Via Veneto.High Five Quintet (ph. Soriani)


Sabato 24 MAGGIOGramelot Ensembleore 17 - Piazzetta Garibaldi40Simone Guiducci, chitarraAch<strong>il</strong>le Succi, clarinettiLuciano Biondini, fisarmonicaSalvatore Maiore, contrabbassoRoberto Dani, batteriaGramelot Ensemble è <strong>il</strong> quintettocon cui negli ultimi anni <strong>il</strong>chitarrista lombardo SimoneGuiducci si è posto all’attenzionegenerale, spesso grazie allaproduzione di CD ai quali sono statichiamati a partecipare musicisti di grande levatura come Maria Pia DeVito, <strong>il</strong> trombettista Ralph Alessi e <strong>il</strong> sassofonista Chriss Speed.Columbia College <strong>Jazz</strong> Ensembleore 21 - Sala Palladio - FieraScott A. Hall, direzioneOrchestra costituita daiMichael Oberling, Jeffrey Schweitzer, migliori allievi del prestigiosoColumbiaBrandon Rizzo, Michael Matrasko, trombeChristopher Devine, Mark Thomson,Christopher Roudabush, tromboniMarcus Ranucci, James Mueller, Daniel Saura,Angelo Garcia, Garrick Smith, sassofoniAlexander Burke, pianoforteAaron Krueger, chitarraKevin Martinez, contrabbassoBrandon Dickert, Justn Boyd, batteria e percussioniCollege di Chicago.Da quando è in attività,l’orchestra ha collaboratocon solisti del calibro diJon Faddis, Marcus Belgrave,Vincent Gardner,Scott Robinson e JohnnyFrigo, includendo nel propriorepertorio anchepagine impegnative comela celebre suite “Black, Brown and Beige” di Duke Ellington.A dirigerla è Scott A. Hall, apprezzato anche come trombettistae già assistente, nella direzione del Chicago <strong>Jazz</strong> Ensemble, delgrande arrangiatore e compositore B<strong>il</strong>l Russo, recentementescomparso. A <strong>Vicenza</strong> Hall dirigerà la band chicagoana in alcunitributi a Dizzy G<strong>il</strong>lespie e a Horace S<strong>il</strong>ver.


Sabato 24 MAGGIOSala Palladio - Fiera - ore 21Un omaggio al DizzyG<strong>il</strong>lespie solista maanche al G<strong>il</strong>lespiecompositore e all’arteficedella rivoluzione delbebop, non poteva chevedere in campo alcunidei più esperti e quotatitrombettisti attualmentein circolazione.The Real Trumpet Summit“A Night with Dizzy”Randy Brecker, trombaJon Faddis, trombaClaudio Roditi, trombaTerrell Stafford, trombaMulgrew M<strong>il</strong>ler, pianoforteDerek Hodge, contrabbassoRodney Green, batteriaCon alle spalle esperienze con Lionel Hampton, G<strong>il</strong> Evans,Charles Mingus, nella big band di Thad Jones eMel Lewis, con Oscar Peterson e più di recentecome leader della Carnegie Hall <strong>Jazz</strong>Orchestra, Jon Faddis è colui che fra i quattrotrombettisti eccezionalmente riuniti a <strong>Vicenza</strong> siavvicina st<strong>il</strong>isticamente di più a G<strong>il</strong>lespie, ancheper via del frequente impiego dei sovracuti,uno dei suoi marchi di fabbrica.41


Sabato 24 MAGGIO42Noto soprattutto per <strong>il</strong> sodalizio con <strong>il</strong> fratello Michael, che haportato alla costituzione di uno dei gruppi fusion più popolari inassoluto, Randy Brecker dispone anch’egli di un vasto bagagliotecnico, grazie al quale si è messo in luce anche in contesti nonspecificatamente jazzistici.Originario di Rio De Janeiro, Claudio Roditi deve la sua notorietàproprio all’appartenenza alle più recenti edizioni dell’orchestra diG<strong>il</strong>lespie. Inconfondib<strong>il</strong>i sono quelle inflessioni latine che innervano<strong>il</strong> suo st<strong>il</strong>e.Terrell Stafford è <strong>il</strong> più giovane dei quattro, ma si tratta ovviamentedi un musicista tutt’altro che inesperto: fattosi notare inparticolare negli Horizon del sassofonista Bobby Watson,Stafford ha lavorato anche con Herbie Mann, Shirley Scott eKenny Barron.A garantire adeguato e impeccab<strong>il</strong>e supporto alle spericolate eescursioni solistiche di Faddis, Brecker, Roditi e Stafford cipensa <strong>il</strong> rodato trio di Mulgrew M<strong>il</strong>ler.Trapezomant<strong>il</strong>oore 23 .30 <strong>Jazz</strong> Café Trivellato- La CantinotaMauro Negri, clarinettoBebo Ferra, chitarraMarco Remondini, violoncelloStefano Bagnoli, batteriaDopo alcuni anni diinattività, i Trapezomant<strong>il</strong>osono tornatidi recente a farsiascoltare con l’albumAusti(k)anto (Via Veneto).Accanto a due dei fondatori del quartetto, <strong>il</strong> clarinettista MauroNegri e <strong>il</strong> violoncellista Marco Remondini, ci sono ora altri due versat<strong>il</strong>imusicisti quali <strong>il</strong> chitarrista Bebo Ferra e <strong>il</strong> batterista StefanoBagnoli. Fra atmosfere cameristiche ed altre ritmicamente più corpose,Trapezomant<strong>il</strong>o crea una musica che mescola ab<strong>il</strong>mente st<strong>il</strong>i,suoni, colori, grazie all’originalità della propria configurazione strumentale.


Domenica 25 MAGGIOin collaborazione con la “Primavera Musicale Thienese”Comune di Thiene - Asolo MusicaAudit. Città di Thiene - ore 21Èuna serata dedicataal genio di DukeEllington, <strong>il</strong> più grandecompositore dell’interastoria del jazz.Dopo l’apertura lasciata aiCheryl Porter for DukeTerrel Stafford meetsLydian Sound OrchestraOpening act: Young Swing Bandgiovani della Young Swing Band, formatisi alla scuola di SantinoCrivelletto, sarà la voce della chicagoana Cheryl Porter a cimentarsicon alcuni dei gioielli del Duca, assieme alla chitarra diMichele Calgaro.Ma, lungo la serata, <strong>il</strong> più compiuto omaggio al Duca sarà datodalla Lydian Sound Orchestra diretta da Riccardo Brazzale che,dopo un lungo anno passato in compagnia di Monk (culminatonella collaborazione con la EBBB di Paul Motian e documentatodall’ultimo cd “Monk at Town Hall & More”), torna al primoamore. Al Duca, Brazzale e la Lydian hanno già dedicato un cdqualche anno fa, “Timon of Athens Suite”, ma anche vari progetti,come la r<strong>il</strong>ettura del Secodo Concerto Sacro e, in varie versioni,la celebre suite “Such Sweet Thunder” che viene quiriproposta nelle sue pagine migliori con un ospite speciale.Si tratta del giovane, talentuoso americano Terrell Stafford, giàpresente alle New Conversations nella notte infuocata in omaggioa Dizzy G<strong>il</strong>lespie, e ora pronto a far sentire tutta la sua maestrianell’uso della sordina wah-wah, tipica dello st<strong>il</strong>e “jungle”,comunque peculiare del migliore sound di Ellington.La Lydian Sound Orchestra si presenta nella sua formazione stab<strong>il</strong>e,con Pietro Tonolo, Robert Bonisolo e Rossano Em<strong>il</strong>i ai sax(fra soprano, contralto, tenore e baritono, oltre che clarinetti),Kyle Gregory (tromba, flicorno e trombino), Roberto Rossi (trombone),Dario Duso (tuba), Michele Calgaro (chitarra), Paolo Birro(pianoforte), Marc Abrams (contrabbasso) e Mauro Beggio (batteria);Riccardo Brazzale ne è <strong>il</strong> conduttore-arrangiatore.43


44(Dizzy G<strong>il</strong>lespie nella cinquantaduesima strada - arch. Joachim E. Berendt)


Viaggioal terminedel blues?di Riccardo BrazzaleA chi chiedesse cos’è <strong>il</strong> blues, <strong>il</strong>musicista di jazz risponderebbeabbastanza tranqu<strong>il</strong>lamente che sitratta di una piccola forma musicale di dodici battute, divisib<strong>il</strong>e in trearchi di quattro misure ciascuno, a loro volta riconducib<strong>il</strong>i tonalmentealla regione della tonica (<strong>il</strong> primo), della sottodominante (<strong>il</strong>secondo) e della dominante (<strong>il</strong> terzo). Salvo, poi, aggiungere che leplurime varianti, talvolta anche complesse (non solo sotto <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>oarmonico - e talvolta formale - ma anche ritmico-melodico nell’attodello sv<strong>il</strong>uppo improvvisato), ne hanno fatto spesso una gabbia soloapparentemente angusta e, piuttosto, capace di liberare forze creativesulla carta impensab<strong>il</strong>i.In realtà, quasi tutti sanno che <strong>il</strong> blues è qualcosa di più che unamera questione formale, tanto che a chiunque verrebbe da direche <strong>il</strong> blues è primariamente una sensazione, un sentimentointimo, un particolare stato d’animo, come fu per quella ragazzanera che nel suo diario del 1862 scriveva «I came home with theblues», giusto per raccogliere in una parola tutta la sua malinconiae la sua tristezza.Non erano passati molti anni da quando Baudelaire aveva aperto lapoesia alla modernità dando la parola allo spleen e intanto dall’altraparte del mondo una ragazzetta, parimenti (se pur per diversissimimotivi) disgustata dalla vita, manifestava <strong>il</strong> suo blues.Il blues diventava così la finestra di un piccolo mondo (personale maanche collettivo: quello del’universo afroamericano) che si affacciavaall’esterno per tirar fuori ogni propria remora, ogni tedio e ognidisgusto, ogni disprezzo ma anche ogni speranza.Come faceva tutto questo a tramutarsi in musica? Intanto - prima45


Riccardo Brazzale46che con la forma delle dodici battute - con una strana inflessione(vocale e, quasi una conseguenza, nella pronuncia strumentale),dovuta alla cromosomica ancestralià africana (e dunque anomalaper le teorie del temperamento equab<strong>il</strong>e euro-colto occidentale),tanto da far sì che le note s’incuneassero fra la serenità del modomaggiore e la tristezza del minore, per dar vita a un inedito sapored’agrodolce. Questo sentore ambivalente si sarebbe accresciutosulla sponda di uno spleen sempre più multiforme specie nei riferimentidel testo (dalle leggende popolari alla quotidianità personale,dalla sfera spirituale a quella sessuale e persino triviale, dalla pensositàf<strong>il</strong>osofica allo humour molto ruspante) grazie anche a unascala musicale ancora una volta resa inimitab<strong>il</strong>e da una piccola notache univa le ataviche pentatoniche al moderno cromatismo: la scalablues e la sua quinta diminuita.A traghettare <strong>il</strong> blues di là del Mississippi, sulla sponda del v<strong>il</strong>laggioglobale, ci pensarono le conquiste del mondo moderno: <strong>il</strong> mercatodel disco e delle edizioni a stampa. Quando nel 1917 uscì <strong>il</strong> primodisco della storia (non solo del jazz, ma in assoluto), l’OriginalDixieland Jass Band suonava <strong>il</strong> suo “Livery Stable Blues”, ma giàda qualche anno erano apparsi gli spartiti dei primi blues di un compositore-editore,W<strong>il</strong>liam Christopher Handy; si chiamavano“Memphis blues” (1912) e “St. Louis Blues” (1914).Da allora, lungo l’accidentata via del jazz che da Bessie Smith portaa Ornette Coleman, passando per “West End Blues” di Armstrong,“Black & Tan Fantasy” di Duke Ellington, “In the Mood” secondoGlenn M<strong>il</strong>ler, “Misterioso” di Monk, “Blues for Alice” di Parker,“Requiem” di Lennie Tristano, “All Blues” di M<strong>il</strong>es, “Blues March”di Golson, “Blue Seven” di Rollins, “Goodbye Pork Pie Hat” di Mingus,“Israel” di John Carisi, “Mister P.C.” di Coltrane, “Blues Ra”dell’ineffab<strong>il</strong>e Sun o “Footprints” di Shorter, da allora, appunto,cosa e quanto è cambiato del blues?Molto, per certi versi, ma anche pochissimo, se si vuole.È cambiato molto sotto l’aspetto armonico e, in vari casi, anchesotto l’aspetto formale.La prima e più lampante caratteristica armonica del blues è <strong>il</strong> cicli-


Viaggio al termine del blues?co ed esclusivo ricorso ad accordi che l’armonia classica europeadefinirebbe “di movimento”: i cosiddetti accordi di settima di dominante,costruiti su una scala che in sé rimanderebbe ad altro accordo;non ospitando i classici accordi “di stasi”, <strong>il</strong> blues non può trovarpace, se non - come dire - per convenzione, quasi nell’attesa diun altro blues.Quando in “Blues for Alice” Charlie Parker rinuncia sin dalla primabattuta all’uso dell’accordo di settima di dominante, <strong>il</strong> grande Birdtratta <strong>il</strong> blues come una forma-canzone e non, appunto, come unaforma-blues, rinunciando di fatto anche a servirsi della scala blues,quella strana serie di sei note formata dai cinque suoni della pentatonicaminore (la, do, re, mi, sol) con l’aggiunta intermedia del mibemolle. Parker è stato uno degli artisti più bluesy della storia deljazz e non aveva bisogno della forma-blues per dirlo al mondo: conlui si avverte <strong>il</strong> blues anche nella forma non-blues ma, quasi paradossalmente,si rischia di sentirlo di meno proprio dove <strong>il</strong> nostroorecchio vorrebbe appoggiarvisi ad occhi chiusi. Con Parker apprendiamoche tutto <strong>il</strong> mondo (musicale) può essere blues ma che puòanche non esserlo se esso rimanda troppo esplicitamente allaragazza che, nel 1862, tornava a casa immalinconita a morte.È per questo distacco tutto musicale tout-court di Parker e dei primiboppers, che i nuovi (hard) boppers tornano alle origini: “Blues andRoots” predica Charles Mingus, blues e radici.Ma <strong>il</strong> jazz (per sua fortuna, altrimenti sarebbe morto sul nascere)aveva perso da tempo la patente di musica folclorica per tentare losposalizio con l’arte e, per quanto volesse tornare alle radici, <strong>il</strong> jazzbluesnon si è mai inaridito, perché continuamente spinto a rinnovarsi,cercando appigli nel fuori da sé. Lo aveva capito Bessie Smithquando nel ’25 incontra Armstrong in studio di registrazione ma certamentelo ha ben chiaro Mingus quando, nel suo “Goodbye” alcappellaccio di Lester Young, dà un esempio inarrivab<strong>il</strong>e della possib<strong>il</strong>efusione tra <strong>il</strong> pathos della vecchia scala blues e l’elaborazionerazionale dell’armonia eurocolta: ci avevano provato ancheGershwin ne “L’americano a Parigi” o Darius M<strong>il</strong>haud nella “Créationdu monde”, ma in questi casi era diffic<strong>il</strong>e che <strong>il</strong> pathos doves-47


Riccardo Brazzale48se prevalere sullo stupore perché <strong>il</strong> linguaggio complessivo non eraquello autoctono dei madrelingua.Invece, Thelonious Monk (che in materia era ben ferrato: bastano eavanzano “Blue Monk” e “Straight, No Chaser”) col suo “Misterioso”si avvicina alla materia come se si trattasse di uno studio perl’infanzia di Schumann: eppure la malinconia tracima da ogni lato,tanto che neppure l’autore stesso voleva – dopo l’enunciazionetematica – incamminarsi sullo sv<strong>il</strong>uppo improvvisato, preferendoriproporre all’infinito la linea delle prime dodici misure, appena - allasua maniera - con qualche piccolissima, ma essenziale variante.Esattamente al polo opposto, Lennie Tristano (richiamatosi al bluesarcaico, con una cadenza introduttiva senza tempo, quasi a folate digregoriano in rubato) suona <strong>il</strong> “Requiem” in morte di Charlie Parkerprendendo a improvvisare sul blues, senza un tema dato (se nonquello extramusicale, della scomparsa dello sfortunato amico,musicista incomparab<strong>il</strong>e), e imponendosi di smettere solo per inanizione(e lasciando in verità l’arduo compito alla manopola dello“sfumando” ad libitum a posteriori).Dunque, poco è cambiato nel blues - a prescindere dal numerodelle battute e dal rapporto fra tonica, dominante e sottodominantee poi dal circolo delle quinte - se quella manciata di note riesceancor oggi a intristirci e parimenti a farci accettare tutto e <strong>il</strong> contrariodi tutto, proprio perché, nella sua semplicità, fin dal nascere essaha saputo accogliere insieme <strong>il</strong> minore e <strong>il</strong> maggiore, <strong>il</strong> dolore e lagioia, <strong>il</strong> dramma e la speranza.Non è più blues nella sostanza ciò che magari potrebbe esserlonella forma (prendiamo lo Shorter di “Juju” o di “Adam’s Apple” odello stesso “Witch Hunt”), ma resta blues magari una semplicescaletta che sa portarti la testa dove vuole lei (prendiamo GeneHackman che suona <strong>il</strong> sax da d<strong>il</strong>ettante ne “La conversazione” diCoppola).Quando <strong>il</strong> blues cessasse totalmente di essere quel suo indicib<strong>il</strong>espleen che ne ha da sempre forgiato <strong>il</strong> temperamento, allora <strong>il</strong>blues sarebbe davvero alla fine del suo viaggio.Ma allora forse neppure <strong>il</strong> jazz sarebbe più se stesso.


Sun Ra:<strong>il</strong> jazzeliocentricodi Francesco MartinelliIl 30 maggio 2003 fanno 10 anniche Sun Ra ha lasciato <strong>il</strong> pianeta.Era arrivato col nome di HermanBlount nella città di Birmingham, Alabama, <strong>il</strong> 22 maggio del 1914.Ra ha lasciato una controversa e molteplice eredità. Nei suoi sessant’annida bandleader ha creato un proprio st<strong>il</strong>e esecutivo-organizzativoe uno spesso book di composizioni; pioniere della autoproduzionediscografica, Ra ha lasciato un ampio corpus di registrazioni,che continuano a colpire la fantasia degli ascoltatori grazieanche alle ristampe più o meno ufficiali. Alcuni dei musicistidella sua orchestra, che gli sono stati al fianco per decenni, lo reinterpretanocreativamente, insieme ai molti giovani che sono statitoccati direttamente dalla sua lezione.La sua carriera l'ha portato, da una iniziale collaborazione conFletcher Henderson, a esercitare poi una grande influenza sugliuomini del free jazz; esperto pianista di blues e boogie, è stato allostesso tempo uno dei primi e più acuti ut<strong>il</strong>izzatori degli strumentielettronici.A diciotto anni era già in grado di svolgere attività professionalenella sua città: era anzi molto ricercato per lo straordinario talentoche gli permetteva di trascrivere a orecchio i brani dalla radio,senza aspettare che uscissero i dischi o le partiture. Nel 1933 trascrivead esempio l'arrangiamento di “Yeah Man”, appena pubblicatodall'orchestra di Fletcher Henderson: <strong>il</strong> brano resterà nelrepertorio di tutte le sue orchestre lungo l'intero arco della suacarriera. Dalla metà degli anni ‘30 guida la sua propria orchestra,che si esibisce nell'intensa attività sociale delle fratellanze afroamericane,mentre studia alla Alabama A&M University di49


Francesco Martinelli50Huntsv<strong>il</strong>le, dove si concentra sulla musica, ma divora libri di storiae f<strong>il</strong>osofia. Nell'ottobre del 1942 studi e carriera vengono interrottibruscamente dalla convocazione per <strong>il</strong> servizio m<strong>il</strong>itare, cui eglirisponde, cosa inaudita per l'epoca, dichiarandosi obiettore dicoscienza. Sonny finisce in prigione e poi in un campo di lavoro;dopo cinque mesi viene congedato per motivi di salute, ma la suafama di personaggio "strano" viene aggravata dalle voci che lodefinscono disertore. Forse anche per questo abbandonaBirmingham e la sua famiglia, con cui praticamente non avrà piùrapporti: si trasferisce a Nashv<strong>il</strong>le, dove nel 1946 lo troviamo comedirettore musicale dell'orchestra che accompagna <strong>il</strong> cantanteWynonie Harris. Sono le sue prime incisioni: <strong>il</strong> pianismo di “DigThis Boogie” ci restituisce un musicista profondamente radicatonel blues. Spostandosi di ingaggio in ingaggio arriva a Chicago, lametropoli che svolge un ruolo di snodo decisivo nella storia dell'Americanera tra <strong>il</strong>Sud agricolo e <strong>il</strong>Nord industriale.A Chicago benpresto la suafama si spargetra i musicisti eottiene un ottimolavoro alClub De Lisa, unlocale in cui siesibiscono lemigliori orchestredi passaggioin revuescon cantanti,ballerini e comici.Tra i musicistiche passano dalDe Lisa vi è(ph. Piotr Klosek)


Sun Ra: <strong>il</strong> jazz eliocentricoanche <strong>il</strong> suo idolo Fletcher Henderson, con cui ha l'occasione dicollaborare. Il breve momento d'oro di Henderson è ormai lontano,e <strong>il</strong> grande bandleader lascia volentieri spazio al giovane pianista earrangiatore.È a Chicago che ricomincia a pensare di creare una propria orchestra;non ha mai smesso di studiare armonia, di approfondire letecniche della musica occidentale e di seguire l'impetuoso sv<strong>il</strong>uppodelle innovazioni tecniche: è tra i primi a possedere e usareun magnetofono e una tastiera elettronica.In quel periodo incide con i Dukes of Swing, la formazione delbassista nero Eugene Wright che diventerà poi celebre nel quartettodi Brubeck; Gene Wright dice che la sua cultura gli ricordavaJohn Lewis; <strong>il</strong> bebop non lo interessa, malgrado Junior Manceracconti di averlo sentito suonare <strong>il</strong> piano in una perfetta assim<strong>il</strong>azionedello st<strong>il</strong>e di Bud Powell.Per suo conto conduce esperimenti vari, tra l'altro invitando acasa sua, nel 1948, <strong>il</strong> violinista Stuff Smith a suonare in duo e registrando.Uno dei brani uscirà molti anni dopo su Saturn: si trattadi “Deep Purple”, che stranamente compare anche nella sua ultimaseduta di registrazione del 1992, con B<strong>il</strong>ly Bang al violino(“Tribute to Stuff Smith, Black Saint”). Una simmetria troppo perfettaper essere casuale. Nello stesso periodo suona conColeman Hawkins che racconterà alla baronessa Nica deKoenigswarter di aver trovato troppo diffic<strong>il</strong>i da suonare, per l'unicavolta nella sua carriera, gli arrangiamenti di Ra.Con <strong>il</strong> batterista Tommy “Bugs” Hunter, nella città del vizio diCalumet City, accompagna gli spettacoli di strip tease, suonandodietro a una tenda perché i neri non erano ammessi a vedere lespogliarelliste di pelle bianca. Fa <strong>il</strong> direttore musicale per l'orchestradi Red Saunders (i suoi arrangiamenti compaiono in alcuneregistrazioni con LaVern Baker e Joe W<strong>il</strong>liams). Ma in questoperiodo studia intensamente la Bibbia, ricercandone una interpretazionecabalistica, e la mitologia egiziana. Circa 120 libri dellabiblioteca di Sun Ra sono stati catalogati: accanto a dizionari dimoltissime lingue e varie edizioni di Bibbia, Corano e altri testi51


Francesco Martinelli52sacri egiziani o buddisti, trova spazio una raccolta di volumi dedicatialla interpretazione dei simboli, alla storia delle civ<strong>il</strong>tà africane,alle varie scuole di misticismo e al progesso tecnologico. Unaapprofondita analisi del retroterra f<strong>il</strong>sofico di Sun Ra e dell'interacorrente mistica afroamericana, che assumerà esplicitamentemolta importanza a partire dagli anni ‘60, ma che è presente nell'interastoria del jazz, è contenuta in Blutopia Visions of the Futureand Revisions of the Past in the Work of Sun Ra, Duke Ellingtonand Anthony Braxton di Graham Lock (Duke, 1999)Dal punto di vista bibliografico, sono da segnalare anche due librimonografici: l'insostituib<strong>il</strong>e guida discografica The Earthly Recordingsof Sun Ra, pubblicata da Cadence, che comprende anchecentinaia di nastri dal vivo che circolano tra i collezionisti; e la bellissimabiografia di John Szwed, Space is the Place (Pantheon) particolarmentepreziosa per l'approfondita ricerca sulla biografia di Ranegli anni formativi di Birmingham. L'impatto visivo delle performancedell'Arkestra è almeno in parte restituito nei due fim dedicatia Sun Ra, “A Joyful Noise”, intervista-concerto di Robert Mugge,del 1980, e <strong>il</strong> poliziesco-fantascientifico “Space is the Place”.Nel 1950 riunisce finalmente un proprio gruppo: lo Space Trio, conPat Patrick all'alto e al baritono, mentre alla batteria si alternanoTommy Hunter e Robert Barry. Nel 1952 si dichiara ufficialmentecittadino di Saturno, e <strong>il</strong> 20 ottobre cambia <strong>il</strong> suo nome in LeSony'r Ra; nel 1954 allo Space Trio si aggiunge John G<strong>il</strong>more, provenientedalla orchestra di Earl Hines. Il gruppo cresce rapidamente,arriva anche Julian Priester al trombone, e lavora regolarmenteal Budland, nei sotterranei dell'Hotel Pershing, dove musicisticome Ahmad Jamal vengono ad ascoltarlo incuriositi.È in questo periodo che compone e arrangia inconsueti brani inst<strong>il</strong>e doo-wop, oggi riediti sull'imperdib<strong>il</strong>e integrale in due cd deiSaturn singles: i “Cosmic Rays” nel ricchissimo arrangiamento diDreamin' del 1955 negoziano con una qualche difficoltà la diffic<strong>il</strong>ee insolita modulazione, evidenziata da cambiamenti nella ritmica,che sottolinea le parole "For there is a world where thingsaren't what they seem" (Perchè c'è un mondo dove le cose non


Sun Ra: <strong>il</strong> jazz eliocentricosono quelle che sembrano).Nel 1956 l'orchestra incide i primi dischi, usciti su Saturn, etichettada lui stesso fondata con l'aiuto di Alton Abraham, e sullaindipendente Transition. La musica mostra una decisa influenzadell'hard-bop (Saturn) ma con aperture in direzione della politonalità,della modalità e della poliritmia; altri brani sembrano ispirarsialla musica gospel, o al genere “exotica” allora molto in voga(“The Kingdom of Not”, “El Is a Sound of Joy”).I Saturn erano autoprodotti con <strong>il</strong> minimo dei mezzi: vin<strong>il</strong>e riciclato,decorati e distribuiti a mano, tirature da 75 a 500 copie. Per fortunaesiste un'ottima serie di ristampe dalla Evidence diPh<strong>il</strong>adelphia, che ha reso disponib<strong>il</strong>i i primi Saturn in eccellenti eben curate edizioni: Supersonic <strong>Jazz</strong>, del 1957, e <strong>Jazz</strong> inS<strong>il</strong>houette, 1958. Contrasti e complicazioni hanno poi interrotto <strong>il</strong>programma di ristampe, e chi fosse interessato alla musica di Rasarà bene che se le procuri prima dell'uscita di catalogo.Altri elementi essenziali entrano nella band: James Spaulding eMarshall Allen all'alto e al flauto, Ronnie Boykins al basso che riescefinalmente a seguire le idee ritmiche di Ra, <strong>il</strong> trombettistaHobart Dotson, che sarà poi chiamato da Charles Mingus e LionelHampton. Alle atmosfere swing e hard-bop cominciano ad aggiungersiquelle africane (“Ancient Ethiopia”) con ampie sezionipercussive, e brani dalle tonalità raffinate, ispirati dalla lezione diTadd Dameron, come “Images”.Nel 1960 una lunga seduta di registrazione fornisce materiale peruna serie di Lp della Saturn (“Fate in a Pleasant Mood”, “WeTravel the Spaceways”, “Rocket Number 9”, “Angels and Demonsat Play”). Comprendono standard (Body and Soul, But Notfor Me), blues (Big City Blues) e brani di ispirazione orientale (TinyPyramids, Kingdom of Thunder). “Rocket Number Nine Take OffFor Planet Venus” è un brano armonicamente statico, che osc<strong>il</strong>lafra due centri tonali alla maniera di “Flamenco Sketches” di Davis,e in cui G<strong>il</strong>more sembra anticipare Coltrane.Un club di Montreal invita nel 1961, chissà come mai, l'Arkestra:<strong>il</strong> gestore si aspetta un gruppo rock, e licenzia l'orchestra dopo53


Francesco Martinelli54due sere. Pat Patrick e Tommy Hunter trovano alloggi di fortuna aNew York, dove la band inizia un secondo periodo della sua esistenzavivendo in comunità e continuando a provare in continuazionesenza praticamente ingaggi: i musicisti per sopravviveremettono insieme quello che guadagnano come session men. Ilrepertorio comincia a includere i brani di Fletcher Henderson e gli“space chants” intonati da tutta l'orchestra in parata tra <strong>il</strong> pubblico:Interplanetary Music, We Travel the Spaceways, RocketNumber Nine Take Off for Planet Venus.La ridotta Arkestra di quel periodo si ascolta su un disco Savoy(“Futuristic Sound/We Are The Future”): è capace di erigere unamuraglia percussiva che ricorda l'Art Ensemble, anche per l'uso distrumentini intonati in scale non temperate. In “Atlantis”, registratodal vivo al Center for African Culture del percussionistaOlatunji, Ra ut<strong>il</strong>izza in maniera estesa i sintetizzatori; in “MyBrother The Wind vol. II” si ascolta la prima volta la vocalist JuneTyson; “The Magic City” è una lunga suite che comprende esplosionifree e passaggi delicatamente arrangiati con delicati impastidi archi e fiati. Il massimo dello sperimentalismo Ra lo raggiungecon “Strange Strings”, in cui ai musicisti dell'Arkestra vengonofatti suonare sculture sonore, lamiere, biwa cinesi e banduraukraini oltre che mandolini e ukulele creando un magma sonorocui dà forma in diretta la direzione di Sun Ra sostenuta da Boykinsal basso e Clifford Jarvis alla batteria.In “When Angels Speak of Love”, del 1963, Ra compie estremericerche sul suono, con Marshall Allen all'oboe modificato cheesplode suoni acuti nella “camera di risonanza” creata da TommyHunter reimmettendo l'uscita di un Ampex nel suo ingresso;muscolari improvvisazioni pianistiche che richiamano Cec<strong>il</strong> Taylor;brani poliritmici con assoli free contrastati dal ritmo di marcia dellapercussione, come succederà in Braxton, ed estese improvvisazionicollettive.Nel 1964 viene invitato ad esibirsi alla rassegna “The OctoberRevolution in <strong>Jazz</strong>” organizzata da B<strong>il</strong>l Dixon, e successivamentea far parte della <strong>Jazz</strong> Composers' Gu<strong>il</strong>d con Bley, Giuffre, Taylor,


Sun Ra: <strong>il</strong> jazz eliocentricoLacy, Graves, Rudd e Taylor oltre allo stesso Dixon. Nell'ambitodelle attività della Gu<strong>il</strong>d, l'Arkestra si esibisce con Marion Browne Pharoah Sanders come solisti ospiti. Malgrado la associazionesi sciolga ben presto per insanab<strong>il</strong>i contrasti di personalità, haeffetti positivi in termini di spazio sui media, e dà luogo alla creazionedi un catalogo discografico dedicato al jazz d'avanguardia: <strong>il</strong>giovane avvocato Bernard Stollman, la cui etichetta ESP era nataper produrre corsi di esperanto, si entusiasma ai concerti e decidedi pubblicare una serie di dischi dei musicisti che ha ascoltato.Sono i dischi della Esp che fanno conoscere Ra a livello internazionale;riascoltandoli ora non hanno perso niente della loro pregnanzamusicale. Memorab<strong>il</strong>i i passaggi in trio di tastiere, sax ebasso archettato di Nothing Is; le improvvisazioni guidate, che sidispongono su un tempo swing o che si interrompono bruscamenteper mettere in evidenza uno specifico dialogo; i contrastitimbrici inediti per una orchestra jazz, come <strong>il</strong> trio di tromboni el'ottavino con la celesta o <strong>il</strong> clavioline. “Heliocentric World” è <strong>il</strong>lustratoin copertina da una antica stampa tedesca del periodo in cuivenne proposta la centralità del Sole e non della Terra; nella galleriadi scienziati che si trova sotto lo schema del sistema solare, traLeonardo, Copernico, Gal<strong>il</strong>eo e Tycho Brahe sono inseriti Pitagorae Sun Ra, come a stab<strong>il</strong>ire <strong>il</strong> posto del musicista afroamericano inun lignaggio iniziato dal f<strong>il</strong>osofo greco che studiò in Egitto e chemise la musica alla base della sua interpretazione dell'Universo.La fine degli anni '60 segna un altro punto di svolta. Malgrado lafama raggiunta presso <strong>il</strong> pubblico di intellettuali del V<strong>il</strong>lage, lasopravvivenza a New York è diventata impossib<strong>il</strong>e, e Ra trasferiscela sua comune in un edificio di proprietà della famiglia diMarshall Allen, nel quartiere di Germantown a Ph<strong>il</strong>adelphia. È daquesto centro che irradierà la sua attività negli ultimi vent'anni dicarriera, cercando un radicamento locale anche con iniziative davveroinconsuete per un musicista, come l'apertura di un negozio dialimentari. Nel 1969 viene per la prima volta a suonare in Europa,contribuendo a suo modo a quell'esodo che vede presenti nel vecchiocontinente i Chicagoani della generazione più giovane: Brax-55


Francesco Martinelli56ton, Smith, Jenkins, i componenti dell'Art Ensemble di Chicago.Le etichette europee Byg e Shandar pubblicano Lp a suo nome,e in particolare quelli della Byg presentano significativi nastri dalvivo scelti da Ra tra le sue registrazioni di New York: vi si ascolta<strong>il</strong> Moog, sintetizzatore appena uscito e basato su una nuova concezione,di cui Ra possiede uno dei prototipi. L'uso del glissandosul sintetizzatore sembra ispirargli arrangiamenti che sfruttanomicrotoni e battimenti. Una nuova visib<strong>il</strong>ità gli viene data dallaImpulse! con cui inizia a pubblicare una fortunata serie di dischi,tra cui “Astro Black” e “Space is the Place”; <strong>il</strong> rapporto si interrompeimprovvisamente quando la MCA incorpora la piccola etichettadi Bob Thiele e alcuni dei titoli vedono la luce solo su cd,ancora su Evidence. I solisti dell'orchestra hanno raggiunto lapiena maturazione e, accanto a un G<strong>il</strong>more che si dimostra a suoagio in tutte le atmosfere, si segnalano Allen, Boykins, Davis oltreche Eloe Omoe al clarinetto basso.La produzione discografica della Saturn rallenta, arrivando a pubblicarecirca settanta titoli, mentre cresce quantitativamente la produzionein Europa: l'italiana Horo pubblica tre doppi lp che presentanoregistrazioni dal vivo: l'Arkestra a New York, con omaggi ai pred<strong>il</strong>ettiHenderson e Dameron, e una rara esibizione in quartetto, conG<strong>il</strong>more, Michael Ray alla tromba e Luqman Ali alla batteria. Lo stupefacente“Lanquidity”, originariamente uscito per la Ph<strong>il</strong>ly <strong>Jazz</strong>,prefigura la musica ambient o trance, ed è oggi uno dei più “campionati”dai dj, sempre alla ricerca di “groove” originali. Eddie Galevi figura alla tromba insieme a Michael Ray, due chitarre elettriche,e lo stesso Ra si ascolta a lungo al Fender Rhodes.Titoli registrati dal vivo nei festival europei escono su Inner City(Montreux), Mps (Berlino), Hat Art (W<strong>il</strong>lisau) mentre un'altra etichettaitaliana, la Black Saint, mette finalmente a disposizionedell'Arkestra uno studio: ne risultano tre memorab<strong>il</strong>i titoli (“HoursAfter, Reflections in Blue” e soprattutto “Mayan Temples”).Anche i due titoli pubblicati dalla A&M, “Blue Delight” e “PurpleNight”, sono rappresentativi della tarda maturità di Sun Ra. A partiredall'83 l'etichetta inglese Leo pubblica una bella selezione di


Sun Ra: <strong>il</strong> jazz eliocentricoconcerti dal vivo e alcuni progetti speciali: di particolare interessequello dedicato ai temi dei f<strong>il</strong>m di Disney, Pleiades, con l'orchestrad'archi. Negli anni '90, tuttavia, <strong>il</strong> declino fisico del leader cominciaa farsi sentire; G<strong>il</strong>more si ammala e poi scompare, e gli ultimidischi su Enja e in sestetto dal vivo al V<strong>il</strong>lage Vanguard suRounder sono senza mordente.Dopo un periodo un po' confuso, in cui varie formazioni si contendonola rappresentanza dell'eredità di Sun Ra, è Marshall Allenche si afferma come interprete più conseguente e autentico dellasua musica. La carriera di Allen si è svolta all'ombra del maestro,e si è sempre saputo poco di lui, ma <strong>il</strong> sassofonista del Kentuckye attuale leader dell'Arkestra è un personaggio di grande spessore.Allen compie 79 anni in questi giorni, essendo nato a Louisv<strong>il</strong>le<strong>il</strong> 25 maggio del 1924. Dopo aver compiuto <strong>il</strong> servizio m<strong>il</strong>itare inEuropa durante la seconda guerra mondiale, sceglie di restare aParigi fino al 1952 per continuare gli studi al Conservatorio grazieall'aiuto finanziario del governo americano per gli ex-soldati. Inquel periodo suona conmolti dei musicisti americaniche si erano trasferitiin Europa, tra cui KennyClarke, ma le uniche traccediscografiche sono inalcune incisioni conJames Moody realizzatea Zurigo e a Vienna tra <strong>il</strong>1949 e <strong>il</strong> 1950. Tornatonegli USA, non pensa diabbracciare la carrieramusicale e svolge var<strong>il</strong>avori fino a quando senteper caso un brano di SunRa in un sampler dellaTransition. Contatta subito<strong>il</strong> leader, e dal 195757


Francesco Martinelli58entra a far parte stab<strong>il</strong>e dell'Arkestra: ne sarà un membro perquasi quarant'anni prima di diventarne <strong>il</strong> leader nel 1995 allamorte di John G<strong>il</strong>more.Molti dei più importanti membri dell'Arkestra hanno collaboratocon altri leader e gruppi: particolarmente importanti le uscite diJohn G<strong>il</strong>more in compagnia di Blakey, Pete La Roca, Elmo Hope,Paul Bley e Dizzy Reece, <strong>il</strong> ruolo di direttore musicale svolto daPat Patrick per Mongo Santamaria, mentre la singolare personalitàdi Michael Ray si alterna tra l'Arkestra e Kool and The Gang,per cui ha scritto alcuni hit. Le partecipazioni di Allen a registrazionial di fuori dell'Arkestra sono assai rare: memorab<strong>il</strong>e <strong>il</strong> suoruolo in “Barrage” di Paul Bley, e <strong>il</strong> suo sax può essere ascoltatoanche in “Drums! Drums! Drums!” di Babatunde Olatunji. L'altosassofonistaè oggi senza dubbio <strong>il</strong> musicista vivente che più intimamenteconosce le idee di Sun Ra, <strong>il</strong> quale gli ha affidato le suepartiture - tra cui moltissime composizioni che non solo non sonomai state registrate, ma nemmeno eseguite in pubblico; <strong>il</strong> suost<strong>il</strong>e solistico si è evoluto dall'hard bop delle prime incisioni in unapersonalità complessa: i suoi assoli possono richiamare la morbidadolcezza di Carter e Hodges per esplodere poi improvvisamentein infuocate colonne di sovracuti degni di Ayler e Coltrane;Ra l'ha spinto ad allargare <strong>il</strong> suo arsenale strumentale all'oboe,flauto e ottavino, oltre che a strumenti elettronici come l'EVI e aflauti etnici modificati. Accanto a lui siedono in orchestra musicistidel calibro di Noel Scott, che ha preso degnamente <strong>il</strong> posto diG<strong>il</strong>more al tenore; <strong>il</strong> trombettista Fred Adams, leader di un suogruppo dedicato alle molte e diverse tradizioni della musica afroamericanadi Ph<strong>il</strong>adelphia; Tyrone H<strong>il</strong>l, trombonista noto per averarrangiato brani per <strong>il</strong> gruppo soul MFSB; Charles Ellerbee, chitarristache ha collaborato tra l'altro con Ornette Coleman; LuqmanAli alla batteria e Art Jenkins alle “space voices”, protagonisti dialcune memorab<strong>il</strong>i incisioni dell'Arkestra. Compositore di alcunidei brani che l'Arkestra ha oggi in repertorio, Allen la guida conquell'equ<strong>il</strong>ibrio tra relax e attenzione al dettaglio che è <strong>il</strong> segnodistintivo dei grandi bandleader.


Una vitacon Dizzydi Ira Gitler *(traduzione di Loretta Simoni)La prima volta che parlai con DizzyG<strong>il</strong>lespie fu nel febbraio 1946 alloSpotlite, nella Cinquantaduesima strada. Era appena ritornatodalla California dove aveva lavorato con Charlie Parker al club diB<strong>il</strong>ly Berg, a Hollywood. Parker era rimasto laggiù e Dizzy lo avevasostituito con <strong>il</strong> baritonista Leo Parker, nessuna parentela conBird. Il resto del gruppo era composto da M<strong>il</strong>t Jackson, Al Haig,Ray Brown e Stan Levey, tutti esibitisi con lui nella West Coast.Quando Dizzy uscì dal palco alla fine di un set, gli chiesi quandoaveva intenzione di fare un’altra registrazione. «Abbiamo registratooggi», fu la sua succinta risposta. Effettivamente quella era laseduta che aveva dato origine alle quattro facciate pubblicatecome parte dell’album “New 52nd Street <strong>Jazz</strong>”. J.C. Heard era alposto di Levey; <strong>il</strong> tenore di Don Byas rimpiazzava <strong>il</strong> baritono diParker, con l’aggiunta di B<strong>il</strong>l De Arnago alla chitarra.Non era inusuale che io e Dizzy conversassimo. I musicisti de “Lastrada” erano cordiali e disponib<strong>il</strong>i. “La strada” si estendeva persoli due isolati, dalla Settima alla Quinta. Era come un set teatralee bastava bazzicarci qualche volta per diventare di casa, partedell’ambiente. Parlare a G<strong>il</strong>lespie, tuttavia, era un’emozione specialeper un teenager quale ero io a quel tempo. Dopo tutto, erauno dei miei nuovi eroi, che mi coinvolgeva davvero con una musicaa quel tempo di grande attualità. Il mio primissimo pezzo suljazz venne pubblicato nell’edizione del primo apr<strong>il</strong>e del giornaledella mia High School, “The Columbia News”, e conteneva unarecensione sulla band di Diz allo Spotlite.Da pre-adolescente ero ben preparato su Louis Armstrong. Non59


Ira Gitler60solo era una presenza alla radio, ma lo avevo visto anche al cinema.D’altro canto, non conoscevo bene <strong>il</strong> suo meraviglioso mododi suonare con gli Hot Fives e fu solo nei primi anni ’60 che miaddentrai veramente nell’intera sua opera. Tra la fine degli anni’30 e l’inizio dei ’40 mi concentravo su Buck Clayton, Harry“Sweets” Edison, Dud Bascomb (solo che a quel tempo pensavofosse Erskine Hawkins), Charlie Shavers, Cootie W<strong>il</strong>liams,Snooky Young, Paul Webster, Sam Massenberg (Savoy Sultans),Johnny Austin (Jan Savitt), Harry James, Ziggy Elman, CootieW<strong>il</strong>liams e Roy Eldridge. Quanto a Dizzy, sono sicuro di averlosentito perché mio fratello collezionava i dischi di Cab Calloway,ma non lo conoscevo in modo specifico.Penso di essermi reso conto per la prima volta di stare ascoltandoDiz in occasione di uno show radiofonico condotto da un certoAlan Courtney su “WOV”. Solitamente venivano trasmessi branisu disco, ma una sera alla settimana si dedicava un’ora a un gruppoche si esibiva dal vivo in studio. Doveva essere <strong>il</strong> quintetto cheG<strong>il</strong>lespie e Oscar Pettiford guidavano nella CinquantaduesimaStrada nel 1944, la prima bebop band organizzata che suonavanella Strada. Non abituato al suo st<strong>il</strong>e, come ero, pensavo chestesse suonando note sbagliate. La seconda volta, nel 1945, quandocominciai ad ascoltare <strong>il</strong> programma di Symphony Sid suWHOM e sentii le registrazioni Gu<strong>il</strong>d e Manor di Diz, ebbi una reazioneassolutamente positiva sia a G<strong>il</strong>lespie che a Charlie Parker.In un angolo del nostro soggiorno, collocato dentro a un bel mob<strong>il</strong>e,c’era un combinato di radio e cambiadischi. Nel dicembre del1945 acquistai “Groovin’ High”, lo misi sul piatto del giradischi econtinuai a farlo suonare (col p<strong>il</strong>ota automatico, per così dire), d<strong>il</strong>ettandomiin particolare con la coda drammaticamente bella di Diz dacui veniva “If You Could See Me Now” di Tadd Dameron. Quandoacquistai <strong>il</strong> Manor con “Bebop” e “Salted Peanuts” (lo stesso di“Salt Peanuts” ma senza la parte cantata), feci la stessa cosa,sedendomi sul copritermosifone di legno all’estremità del soggiorno,guardando fisso fuori dalla finestra <strong>il</strong> fiume Hudson mentre lecomplesse circonvoluzioni e l’intrinseco potere ritmico degli assoli


Una vita con Dizzydi G<strong>il</strong>lespie si stampavano indeleb<strong>il</strong>mente nella mia memoria.“I Can’t Get Started”, dalla stessa seduta, condusse nel mondodi Dizzy alcune persone sino a quel momento r<strong>il</strong>uttanti ad entrarvi,perché faceva sentire <strong>il</strong> suo st<strong>il</strong>e in una canzone loro fam<strong>il</strong>iare.La coda che scrisse per Started divenne successivamente la suaintroduzione a “Round Midnight”.L’incisione Manor venne realizzata <strong>il</strong> 9 gennaio 1945. Alla fine delmese egli apparve per la Gu<strong>il</strong>d con la band di Boyd Raeburn nellasua composizione “A Night in Tunisia”. Per combinazione si esibivacon Raeburn al celebre Apollo Theatre nella CentoventicinquesimaStrada. La serata del mercoledì, che l’Apollo dedicavasolitamente ai d<strong>il</strong>ettanti, veniva trasmessa in diretta dalla WMCA.A metà del programma i d<strong>il</strong>ettanti lasciavano <strong>il</strong> posto, per unbrano, alla star della settimana. G<strong>il</strong>lespie eseguì “A Night inTunisia” con Raeburn e fu la prima volta che mi ricordo di aversentito questo classico.Nel settembre del ’46 lasciai New York per l’Università delMissouri, a Columbia, una piccola cittadina situata tra St. Louis eKansas City. C’erano due negozi che vendevano dischi di jazz e lifrequentavo quasi ogni giorno in quell’autunno, in cerca dell’album“New 52nd Street <strong>Jazz</strong>”. Ero un fanatico del bebop, al puntoda farmi crescere un pizzetto come quello di Dizzy e provare aconvertire al partito di G<strong>il</strong>lespie chiunque fosse minimamenteinteressato al jazz.Un trombettista dell’Università, Doug Elder, che si credeva unmusicista e un esperto di jazz, liquidò lo st<strong>il</strong>e di Dizzy come nientepiù di una serie di “gruppetti”, di abbellimenti barocchi. Provai adirgli che le sue ragioni erano semplicistiche e false. Controbattèdicendo che <strong>il</strong> bebop era solo una moda passeggera e che Dizzy,logoratosi le labbra per via di quel suo modo di suonare, sarebbecaduto nel dimenticatoio nel giro di qualche anno. A distanza diquarant’anni si può dire che si sia leggermente sbagliato.Naturalmente, negli anni ’40, c’erano anche persone molto piùimportanti che disapprovavano Dizzy e <strong>il</strong> bebop. Molti critici musicaliche lo avevano attaccato divennero poi produttori e realizza-61


Ira Gitler62rono dischi con Diz, J.J. Johnson, M<strong>il</strong>es Davis, Sonny Stitt e altriboppers che avevano denigrato a chiare lettere.Negli anni ’50, quando G<strong>il</strong>lespie sciolse la sua big band e formò <strong>il</strong>piccolo gruppo che registrò “Oo Shoobe Do Be” per la nuova etichettaDee Gee, che lui stesso aveva creato con Dave Usher, fuoggetto di nuove critiche: era diventato commerciale; non suonavapiù; faceva <strong>il</strong> buffone e suonava le congas più della tromba.Questo accadeva in un momento in cui i detrattori del bop ne gridavanoa gran voce la morte. La scomparsa di Charlie Parker, nel1955, fu considerata un altro segnale della fine di un’epoca. Unacosa ridicola, perché <strong>il</strong> “cool” jazz non era altro che cool bop e leband funky di Blakey e S<strong>il</strong>ver erano popolate da boppers comeKenny Dorham, Hank Mobley, eccetera. Inoltre, nella grande tradizionebop era apparso l’eccellente quintetto di M<strong>il</strong>es Davis eMax Roach (con Clifford Brown).Poi emerse Dizzy, come un colosso, e ricreò una big band conl’aiuto del giovane arrangiatore Quincy Jones. La sezione trombefu organizzata sul modello G<strong>il</strong>lespie, con le campane degli strumentiall’insù e poi - quando al Birdland si leggevano le parti –abbassate e puntate direttamente verso <strong>il</strong> pubblico per un miglioreascolto. Quincy era in quella sezione con Joe Gordon, che suonaval’assolo in “A Night in Tunisia” (Diz è un leader magnanimo);i sax comprendevano Ph<strong>il</strong> Woods all’alto e B<strong>il</strong>ly Mitchell al tenore.La band andò in tournée per <strong>il</strong> Dipartimento di Stato nel MedioOriente, in Yugoslavia e Grecia e, in un secondo momento, inAmerica Latina. Una formazione successiva di questa band, chesi sciolse nel gennaio 1958, presentava <strong>il</strong> teenager Lee Morgan(che ereditò l’assolo di “Tunisia”); Benny Golson al tenore eWynton Kelly al pianoforte.A parte qualche “reunion band” e qualche evento speciale, Dizzyha diretto solo piccoli gruppi, <strong>il</strong> che è un peccato, consideratoquanto egli si trovi a suo agio di fronte a un’orchestra. Questo nonsignifica che non abbia capeggiato qualche importante combo.Quelli con <strong>il</strong> suo socio di lungo corso James Moody alle ance e alflauto furono particolarmente gratificanti. Non solo i due si inten-


Una vita con Dizzydevano alla perfezione, ma la loro giocosa amicizia aggiungeva untocco in più.G<strong>il</strong>lespie non è solo un trombettista maestoso, è una personalità,un intrattenitore che per istruire <strong>il</strong> suo pubblico ut<strong>il</strong>izza diversitalenti. Tutti con un tratto in comune: <strong>il</strong> “timing”.Il senso del ritmo di Dizzy si manifesta in tutto ciò che fa: quandosuona la tromba, quando canta, danza, racconta una storia e, ultimoma non meno importante, quando scuote un tamburello battendolocontro diverse parti del suo corpo alla ricerca del livellofondamentale della pulsazione.Mentre scrivo, Diz si sta avvicinando ai 70 anni (1) . Ogni tanto sentoqualche commento negativo su di lui. Qualcuno chiama e dice:«Un mio amico ha sentito Dizzy l’altra notte; era fiacco, non ha piùlo smalto di prima.» In una particolare occasione, mi accadde diessere allo stesso concerto, <strong>il</strong> debutto dell’American <strong>Jazz</strong> Orchestraalla Cooper Union di New York <strong>il</strong> 12 maggio dello scorsoanno. Parte del programma consisteva in un tributo alle big banddi G<strong>il</strong>lespie, con alcuni arrangiamenti speciali di Slide Hampton.Mentre Jon Faddis stava facendo un assolo, da dietro le quinteuscì Diz. Non volle rubare le luci della ribalta al suo degno pup<strong>il</strong>lo,ma suonò da un lato del palco, mettendo in mostra <strong>il</strong> suo complessosenso armonico, trovando incredib<strong>il</strong>i sfumature nelle piùpiccole fessure degli accordi e giustapponendo i prof<strong>il</strong>i ritmicidelle sue linee contro <strong>il</strong> beat, come solo lui sa fare. Nel jazz, unadelle cose più eccitanti accade quando G<strong>il</strong>lespie rimane in attesae poi rincorre, con un paio di passaggi in staccato, seguiti da motiascendenti rapidissimi ma perfettamente articolati.Non si può pretendere che, alla sua età, sia ogni volta al massimodella forma; ma questo gigante, questo teorico del jazz moderno,insegnandoo a molti con <strong>il</strong> pianoforte, esprimendosi vividamenteattraverso la sua tromba o cantando una linea con lo scat, continuaa darci lezioni ogni volta che sale sul palco. Viva Diz! 63(1)I festeggiamenti per i settant’anni vissero un prologo entusiasmante aBassano del Grappa, nel settembre 1987, su iniziativa di L<strong>il</strong>ian Terry (n.d.t.).


Ira GitlerP.S.: All’inizio del 1992, cinque anni dopo aver scritto questo articolo,Dizzy venne festeggiato al club Blue Note di New York inquello che fu definito <strong>il</strong> Giub<strong>il</strong>eo di Diamante (avrebbe compiuto75 anni quell’ottobre). Una parte delle iniziative prevedeva collaborazionicon una schiera di all stars della tromba, giovani e vecchi,per una settimana, e con un’analoga all stars di sassofonist<strong>il</strong>a settimana successiva. Dizzy respingeva le incursioni dell’etàcontro le sue forze fisiche. Era la vecchia volpe capace di richiamarealla mente la sua acuta conoscenza armonica e uno sv<strong>il</strong>uppatissimosenso ritmico, per mostrarsi ancora una volta all’altezzadella situazione. Dizzy G<strong>il</strong>lespie è stato un talento musicaleimmortale che continua a ispirarci.64* Da un articolo pubblicato nella rubrica mens<strong>il</strong>e “NewYork Talk” del periodico inglese “<strong>Jazz</strong> Express”(numero del giugno 1987).Massey Hall Concert, Toronto: <strong>il</strong> più famoso concerto del jazz moderno. Da sinistra:Bud Powell, Charles Mingus, Max Roach, Dizzy G<strong>il</strong>lespie e Charlie Parker.(ph. P. S. Duncan - archivio Berendt)


Dizzy G<strong>il</strong>lespiela rivoluzionecome continuitàdi Michele MannucciNella sua vita, dal 1917 al 1993, JohnBirks G<strong>il</strong>lespie detto Dizzy ha portatotre contributi alla musica degliStati Uniti: <strong>il</strong> senso dello spettacolo che veniva dalla tradizione africano-americanadell'Ottocento; i ritmi afrocubani, anche per <strong>il</strong> loroconsapevole esplicito legame con la cultura africana; <strong>il</strong> jazz moderno,o bebop. Non da solo, certo, sebbene fosse un artistadotato di uno straordinario carisma e della capacità di attrarrecompletamente l'attenzione dei suoi spettatori-ascoltatori. È statouno strepitoso esecutore, o meglio un grande performer in ognisenso, un compositore nel senso proprio della parola, un insegnante.Un insegnante che oltre all'usuale trasmissione delleconoscenze tipica del jazz, da musicista a musicista nel corso dicollaborazioni e concerti, alla metà degli anni Cinquanta ha partecipatoalla creazione della Lonox School of <strong>Jazz</strong> ideata da JohnLewis, quella alla quale si iscrissero anche Ornette Coleman eDon Cherry.Restando a quanto ci tramandano le registrazioni discografiche,abbiamo almeno una sua registrazione a cappella, in cui esegueda solo alla tromba “The Star Spangled Banner”, conosciamo isuoi duetti con Oscar Peterson al pianoforte, con Max Roach allabatteria, con la pianista Marian McPartland assieme alla qualesuona anche lui <strong>il</strong> pianoforte. Possiamo riascoltarlo in trio senzapianoforte con contrabasso e batteria (Mitchell e Ruff), in quartetto,quintetto e sestetto, possiamo seguire l'intera evoluzionedella sua concezione del jazz moderno per orchestra, realizzatacon <strong>il</strong> contributo di arrangiatori eccellenti.65


Michele Mannucci66Ci restano anche, nell'arco di quarant'anni, alcune prove di bopaccompagnato da orchestre sinfoniche. Il disco non restituiscesempre la qualità di quei lavori, in cui la complicazione ritmica e <strong>il</strong>lirismo possono sfruttare la tenerezza e la forza di una grande formazionedi archi e fiati, ma quando suonò a Torino negli anniOttanta con gli arrangiamenti di Tom McIntosh risultò all'ascoltodiretto nell'Auditorium della Rai uno splendore, perché l'orchestraaveva scatto e varietà timbrica impeccab<strong>il</strong>i nel sostenere i voli el'immaginazione della tromba. E già negli anni Cinquanta quellatromba aveva profittato degli archi per distendersi in sonorità earticolazioni più ampiamente sfumate, soffuse e morbide, diquanto non fossero nell'usuale contesto del quintetto o della bigband con ottoni e percussioni. La big band, la vera orchestra jazz,prevede la frammentazione delle parti, una suddivisione e unincrocio che tengano conto del timbro e della sonorità di ciascunelemento per costruire l'insieme. L'orchestra di impianto sinfonicoeuropeo non è mai stata forse intesa come un presunto innalzamentodi stato sociale dai pochi sommi solisti africano-americaniche hanno cercato di usarla, bensì ha rappresentato una possib<strong>il</strong>itàdi trovare un ambito diverso, in cui per una volta, una voltaogni tanto, si potesse improvvisare senza dovere intersecarelinee e suoni altrui. Charles Parker non ha avuto tempo per offrirsimolti esperimenti che andassero oltre l'impianto organizzativodella musica che aveva inventato, G<strong>il</strong>lespie sì. E proprio questiesiti, da molti spesso considerati minori perché privi della spettacolaritàsemplice, quella fatta dell'ab<strong>il</strong>ità solistica esaltante, chetroppi chiedono al jazz possono invece offire ancora deliziose sorpresenell'opera di Dizzy G<strong>il</strong>lespie.In musica per raddoppiare la velocità si dimezza <strong>il</strong> tempo. Tra <strong>il</strong> 1941e <strong>il</strong> 1945 nella musica africano-americana c'è stata una rivoluzione,che in parte è consistita nel raddoppio della velocità. Alcuni deimusicisti che la organizzarono dimezzarono <strong>il</strong> proprio tempo:Charles Parker, Fats Navarro, Charlie Christian. Altri invece sepperorallentare, fino a fermarsi (tacere, anche, in musica): TheloniousMonk, che infatti si fatica a mettere tra i cosiddetti boppers proprio


La rivoluzione come continuitàper questo. E ciò nella vita, che per tanti si dimezzò e tacque.John Birks G<strong>il</strong>lespie invece partecipò all'invenzione della musicarapida e piena, ma non alla diminuzione del tempo di vita e riempìquesta. Una vita lunga nel jazz espone a molteplici problemi di letturasia dal punto di vista dell'estetica sia da quello del gradimento.Se cioè si debbano creare di continuo nuovi capolavori cheabbiano nella originalità dell'impianto e del suono la caratteristicapiù evidente, o se si possa fare della magnifica musica restandofedeli alle prime scelte st<strong>il</strong>istiche. E ancora, se si possano faredegli esperimenti. Ora, Dizzy G<strong>il</strong>lespie non ha fatto sempre lastessa musica. Non è diventato importante con <strong>il</strong> modern jazz obebop: quando ha partecipato alla creazione del nuovo st<strong>il</strong>e eragià un musicista di estremo interesse, perché stava modificandopoco a poco lo st<strong>il</strong>e precedente, o gli st<strong>il</strong>i precedenti, suonandoper di più in modo personale, originale. Non ha attraversato <strong>il</strong>primo jazz, però ha frequentato, già nella scuola elementare,quanto lo precedeva, lo spettacolo minstrel. Prima di incontrareCharlie Parker aveva suonato nella splendida orchestra di CabCalloway e collaborato con Chu Berry, Benny Carter, Ben Webster,Coleman Hawkins, Don Byas, Herschel Evans. Tutti solistidalla personalità esecutiva e st<strong>il</strong>istica estremamente spiccata, giàin orchestre in cui queste passavano al servizio dell'insieme. Luiaveva preso ispirazione dal giovane trombettista Roy Eldridgeche, trascendendo Louis Armstrong, aveva studiato pianoforte. Almomento dell'incontro con Parker aveva potuto scegliere comefare la nuova musica, studiandola anche al pianoforte, niente diistintivo. Aveva lo stesso approccio di Coleman Hawkins, di DonRedman, di Thelonious Monk. Era un musicista colto. In più, nell'orchestradi Calloway, aveva incontrato <strong>il</strong> collega cubano MarioBauza e aveva potuto studiare con lui i ritmi complessi chedall'Africa attraverso i Caraibi avevano originato <strong>il</strong> primo jazz, viaJelly Roll Morton. E questo gli permetteva una serie assai vastadi nuove possib<strong>il</strong>ità ritmiche.Il bop consisteva nel prendere standard tunes, melodie già entratenel repertorio basate su una forma canzone estremamente67


Michele Mannucci68dutt<strong>il</strong>e, e costruirne di nuove aggiungendo altre concatenazioni diaccordi e creando una nuova struttura di accenti ritmici, di divisionedel tempo.Poi vennero i nuovi pezzi immaginati apposta, nel caso di Parkerbasati su una struttura blues. Quella musica richiedeva nuoveidee e nuove tecniche al pianoforte, al contrabbasso, alla batteria.L'armonia era studiata, composta, perché bisognava trovareaccordi che non bloccassero la continuazione dell'improvisazione,ma la liberassero, offrendo ogni volta una o più possib<strong>il</strong>ità di uscitaverso una nuova linea melodica. Qui sta la magia delle composizionidi G<strong>il</strong>lespie. Una delle più strepitose, “Manteca”, era statacreata nella prima parte dal suo formidab<strong>il</strong>e percussionista cubanoLuciano "Chano" Pozo y Gonzales (un altro da cui aveva imparatotanto), ma <strong>il</strong> segreto, oltre che nell'enfasi della complessitàmetrica, sta nella parte di mezzo, estremamente produttiva, scrittada G<strong>il</strong>lespie. Tanto che nel 1954 può essere trasformata nellasuite per big band Afro, sv<strong>il</strong>uppata in quattro movimenti.Parker tendeva a dominare solisticamente, come per altro giàLouis Armstrong prima o Sonny Rollins oggi, <strong>il</strong> piccolo gruppo checostruiva i suoi sfondi. G<strong>il</strong>lespie ha sempre cercato di suddivideresia le formazioni minime sia le orchestre in una molteplicità diindividui musicalmente diversi per creare una musica fatta dielmenti in continuo movimento, come Monk oppure OrnetteColeman. È da un'orchestra costruita in maniera da avere la piùvasta varietà ritmica divisa in forti personalità di timbro e fraseggioe tale da originare quindi <strong>il</strong> Modern <strong>Jazz</strong> (Bop) Quartet chevengono <strong>il</strong> quartetto di Ornette Coleman, l'Arkestra di Sun Ra e <strong>il</strong>Roscoe Mitchell Art Quartet, poi of Chicago. Sarà, in fondo,Lester Bowie <strong>il</strong> vero erede di Dizzy, colui che non lo imita ma neimmagina <strong>il</strong> futuro e altri scherzi, altre vertigini. E per altri aspettiCharlie Haden, la cui Liberation Music Orchestra ha molti punti incomune con le big band di G<strong>il</strong>lespie, dalla fascinazione ritmica chetiene dell'Africa e della penisola Iberica alla melodia fascinosa perl'impianto metrico variab<strong>il</strong>e e la passione dei significati.Addirittura gli inserti vocali, anche puri elementi di musica con-


La rivoluzione come continuitàcreta, vengono da G<strong>il</strong>lespie, se ricordiamo l'uso inaudito della linguayoruba, sacra per di più, che Pozo immise in “Cubano Be,Cubano Bop” e che tornano nell'unico album realizzato da Dizzyper la Impulse! (registrazione dal vivo in un club che è ora di valutareper quel che merita strutturalmente e poeticamente, noncerto semplice divertissement con intollerab<strong>il</strong>i lungaggini per <strong>il</strong>jazzof<strong>il</strong>o mediocre). Anche <strong>il</strong> ricupero della pratica dello scat, inizialmentesuggerita da Armstrong, si deve a G<strong>il</strong>lespie che nonsolo ut<strong>il</strong>izzò la s<strong>il</strong>labazione ritmico-melodica fin dai primi esempi dibebop, ma insegnò anche questa curiosa tecnica che si apparentaa forme di musica concreta per l'uso della parola non significantecome suono puro, a Ella Fitzgerald, rivoluzionando le tecnichedi canto africano-americane col riportarle ai loro esordii folk.Pur apparendo in scena spesso giocherellone e buffo, mentre peraltro si trattava di assai attenta applicazione di alcune qualità dellospettacolo comico africano-americano che da sempre nascondevala propria serietà, G<strong>il</strong>lespie partecipò anche ad alcune esperienzedi politica economica, quella che tocca più a fondo <strong>il</strong> cuoredegli Stati Uniti. Nel 1951 fondò con l'amico Dave Usher la casadiscografica indipendente Dee Gee Records e nel 1953 uno deisuoi dischi capitali uscì per la Debut, l'etichetta di Charles Mingus.Si poteva rinunciare, almeno per un poco, anche alla miglioreriproduzione del suono, pur di potere proprorre la musica come lasi voleva. Questo può far riflettere sul fatto che, dopo gli anni dell'affermazione,G<strong>il</strong>lespie fosse apparso a molti, e ancora appaia,autore di musiche di minore impegno, coraggio, importanza. Laperfezione raggiunta dalle sue orchestre, per le quali ebbe semprela capacità di impiegare gli arrangiatori giusti, oltre che di ab<strong>il</strong>itàfuori dell'ordinario, e solisti di notevole personalità, gli ha permessodi mantenere una qualità costante nelle lunghe tournéeanche mondiali che in alcune occasioni gli è stato concesso dicondurre e di costruire dischi che mantengono ancora oggi la qualitàdel disco come tale, non testimonianza ma prodotto musicale.La testimonianza la troveremo dopo, e non necessariamente.Comunque, come si è accennato più sopra, ha anche saputo per-69


Michele Mannucci70mettersela. Magari permettendo al giovane John Coltrane di registrareal suo fianco e per la propria etichetta. Attorno al 1961,1962 G<strong>il</strong>lespie ha affrontato temi davvero non leggeri. Con LaloSchifrin ha realizzato ad esempio una suite per big band musicalmentepiuttosto impegnativa e assai attraente, che è però soprattuttouna riflessione storica e quindi politica di profondo interesse,“The New Continent”, che guarda con atteggiamento profondamentecritico alla conquista (la prima, dall'Europa, la seconda,dagli Stati Uniti) dell'America, in particolare del centro e del sud.Lo fa con una titolazione non reticente e con una musica ancheaggressiva, anch'essa mai in disparte.Quando ricostruì un'orchestra alla fine degli anni Sessanta, fu unameraviglia di attualità sonora che si ripropose anche vent'annidopo. Capace di partecipare negli anni Cinquanta ai grandi concertidi solisti inventati da Norman Granz col nome di "<strong>Jazz</strong> at thePh<strong>il</strong>harmonic" e poi di tornare in sim<strong>il</strong>i contesti negli anni Settantaai festival di Montreux, Dizzy G<strong>il</strong>lespie ha inaugurato i Settantacon una curiosa operazione prodotta da George Wein: sotto ladenominazione di "Giants of <strong>Jazz</strong>" - con Sonny Stitt, Kai Winding,Thelonious Monk, Al McKibbon e Art Blakey - Dizzy riportò <strong>il</strong>bebop tale e quale nelle grandi sale da concerto e nei teatri.Scomparsi Ayler e Coltrane, quando M<strong>il</strong>es Davis aveva rinnovato<strong>il</strong> proprio ambiente musicale e <strong>il</strong> nuovo jazz elaborato a Chicagostava facendosi conoscere anche negli Stati Uniti, G<strong>il</strong>lespie riproponevala propria rivoluzione come continuità. Era riuscito a pochi,Armstrong, Hawkins, Ellington, Mingus, Monk, senza che ciòsembrasse revival o archeologia. Trent'anni dopo uno dei grandicambiamenti, si poteva ascoltare dal vivo quel jazz modernosenza che perdesse fascino.Nel 1972 Dizzy suonò in concerto anche con Charles Mingus. Poivennero concerti da protagonista accanto ad altri protagonisti,compreso un duetto sublime con Oscar Peterson che al pianoforteaveva ripreso le sue stesse qualità virtuosistiche espressive.Vengono in genere sottovalutati oltre misura gli anni '80. Maè <strong>il</strong> caso riportarvi un poco di attenzione. Ad esempio accoglie


La rivoluzione come continuitànelle proprie formazioni Sam Rivers che aveva ottenuto un notevolesuccesso come torrenziale e profondo costruttore di poderosivortici sonori affidati al sassofono tenore, al flauto e, g<strong>il</strong>lespianamente,al pianoforte. Come ogni buon musicista, ancheeccelso, Rivers mantiene sonorità e fraseggio a lui propri, macerto rinuncia a fare la propria musica per eseguire quella di Dizzy.Una cosa che tanto pubblico del jazz, anche quello che ne scriveancora fatica a comprendere. Ma non si fa capire bene nemmenoG<strong>il</strong>lespie, quando registra nel 1984 due dischi in cui accoglie esperimenta sonorità pacatamente elettriche e in uno di questi sitrova accanto al fratello minore e ad alcuni altri collaboratori delsuo massimo concorrente, Wynton Marsalis. La mossa è splendida:mentre Marsalis cerca di ritrovare lo splendore dei tempi diLouis Armstrong,Dizzy spariglia e invita<strong>il</strong> suo entourage aosare un diverso G<strong>il</strong>lespie.D'altra partesostiene <strong>il</strong> più sim<strong>il</strong>e,nello stesso periodocollabora spesso conJon Faddis che tanto,marsalisticamentetroppo, gli somiglia.Chi lo avrebbe volutofedele a se stessonon ha poi forsenotato abbastanza lameraviglia della registrazionedella provacondotta accanto aMax Roach a Pariginel marzo 1989. Lorodue soli, ancora unavolta la tromba a71


Michele Mannucci72prendere le parti del pianoforte e del contrabbasso, parti che peraltro anche <strong>il</strong> batterista melodico sostiene. Una prova stupefacente,tanto ben congegnata che forse la perfezione ottenutaosando a ogni istante ha finito per mettere in ombra se stessa el'avventura in ogni senso intesa. Qui, come nel di poco seguenteconcerto costruito sempre a Parigi per ricordare Parker con tanticolleghi d'un tempo per altro frequentati a lungo, sono ancora <strong>il</strong>tempo e <strong>il</strong> metro a definire la musica. Nello stesso anno rinasceuna big band davvero notevole, in cui tornano i musicisti cubani,quelli di adesso, quelli del dopo salsa. Dopo un concerto organizzatonel ‘77 a Cuba in memoria di Chano Pozo, ora scopre almondo <strong>il</strong> talento di Gonzalo Rubalcaba, in orchestra ospita <strong>il</strong> giovanepianista venezuelano Dan<strong>il</strong>o Perez, <strong>il</strong> trombonista assai versatonei ritmi afrolatini Steve Turre, <strong>il</strong> sassofonista Paquito D'Riverache aveva imposto la grandezza salsa pop di Irakere. Nonerano tempi di Buena Vista Social Club, e gli europei soprattuttolo presero per un riposo.Accostarsi con attenzione alla musica e alla vita di Dizzy G<strong>il</strong>lespie,vita raccontata tra l'altro nel bel libro auobiografico To Be or not... ToBop scritto con la collaborazione del romanziere e saggista Al Fraser,aiuta a capire meglio <strong>il</strong> jazz. Come ad esempio non ci si debbafermare alla consacrazione degli esordi, come l'apparente leggerezzain questa cultura vada scavata per scoprirne le profonditàspesso volontariamente nascoste a chi non ne fa parte, come sia <strong>il</strong>caso di non svalutare a priori sperimentazioni e commistioni apparenteextravaganti, come l'età matura di un musicista non rappresentiper forza una consuetudine acquisita da apprezzarsi eventuamentesolo dal punto di vista dello spettacolo o della possib<strong>il</strong>ità diaccostarsi a una malandata leggenda, come si debba accettare chetutto cambi e insieme che quello che viene dopo non sia necessariamentené migliore né peggiore di quanto precede o succede.Mettiamola così: l'opera di John Birks Dizzy ("pazzerellone" e insiemeanche "vertiginoso") è un ottimo trattato di estetica africanoamericana.Vale per lui come per tanti quanto disse Cec<strong>il</strong> Taylor: B<strong>il</strong>lieHoliday non ha mai fatto un brutto disco.


Horace S<strong>il</strong>ver<strong>il</strong> grande predicatoresanguignodi Ira Gitler(traduzione di Loretta Simoni)Nonostante sia assolutamenteadatto a interpretare standard eabbia scritto alcune magnifiche ballad- la sua Peace ne è una dimostrazione -, Horace S<strong>il</strong>ver èsoprattutto famoso per le sue musiche sanguigne o, come diceva<strong>il</strong> suo produttore Alfred Lion, “liturgiche”. Di seguito sonoriportati alcuni estratti da varie note di copertina che ho scrittonegli anni ’50 per gli album Blue Note di S<strong>il</strong>ver. In alcuni casi idischi sono indicati specificamente.73A un intervistatore che gli poneva domande sul suo gruppo,Horace rispose: «Possiamo andare a ritroso e raggiungere quell’approcciobluesy grezzo e vecchio st<strong>il</strong>e, da bar, con <strong>il</strong> sapore delbackbeat». Si riferiva, naturalmente, a The Preacher, un gospelswingtirato e viscerale, che nella linea melodica ricordava in qualchemodo I’ve Been Working On The Ra<strong>il</strong>road (1) . Conformementeal titolo, tutti “predicano” nei loro assoli.Nelle sue composizioni, Horace abbraccia la f<strong>il</strong>osofia del “funk”.In Safari, di atmosfera nordafricana e orientale, cita “It don’t meana thing if it ain’t got that swing” di Duke Ellington e professa intutto e per tutto quella dottrina, specialmente nella sua summa -Opus De Funk. Qui <strong>il</strong> sentimento sanguigno dell’idioma blues chepermea la sua scrittura e <strong>il</strong> suo modo di suonare viene messo inbottiglia come se fosse una soluzione non d<strong>il</strong>uita. (…)Sister Sadie parla di una donna del profondo sud. S<strong>il</strong>ver raccontache Coltrane, sentendo <strong>il</strong> gruppo suonarla a F<strong>il</strong>adelfia, gli disse:«Qual è <strong>il</strong> titolo di quel brano “amen” (2) che stai suonando?»


Ira Gitler74Blowing The Blues AwayQuando Horace S<strong>il</strong>ver suona, non solo esprime <strong>il</strong> suo spiccatotalento, immediatamente riconoscib<strong>il</strong>e, ma nel modo in cui scriveper <strong>il</strong> suo gruppo e lo guida, ribadisce nuovamente la sua personalitàunica. In tempi di conformismo musicale, in cui molti gruppisono impegnati solo a “trovare un certo suono”, spesso attraversostratagemmi, <strong>il</strong> quintetto di S<strong>il</strong>ver ha affermato la propria identitàsenza l’aiuto di falsi espedienti musicali.Horace non scrive semplicemente inizi e conclusioni che i solistidevono riempire; fa crescere le sue composizioni introducendointerludi e variazioni sui temi d’apertura; le sue ballad sono potentieppure tenere: ecco in parte spiegato perché <strong>il</strong> gruppo di S<strong>il</strong>ver nondipinge in monocromia.E poi c’è lo spirito della band, quello emblematico soprattutto neibrani su tempi veloci. «Questo gruppo è pieno di ardore e questo èciò che voglio», parole, queste, pronunciate dal leader S<strong>il</strong>ver, unodei più impetuosi musicisti jazz. Giovanotto educato e sinceramenteaffab<strong>il</strong>e che si veste con moderna accuratezza, Horace diventaun demonio trasudante quando riversa la sua anima musicale sulpianoforte. Mi ricordo che Cannonball Adderley, appena arrivato aNew York, commentò così la sua apparizione fuori scena: «Come sipuò essere così fico e suonare così funky?»A proposito di tutte le recenti chiacchiere su “soul” e “funk”, èinteressante notare come in Horace S<strong>il</strong>ver, uno che di “soul” e“funk” ne possiede in gran quantità, queste siano sempre state dotinaturali e mai <strong>il</strong> risultato di uno sforzo deliberato.Per costruire un’armonia di sensazioni in un gruppo si deve disporredi musicisti che hanno veramente voglia di suonare, ma la scint<strong>il</strong>ladeve venire dal leader. Horace possiede un inesaurib<strong>il</strong>e entusiasmoche agisce come potente forza unificante. Riferendosi allivello della performance del gruppo, dice: «Qualche sera siamo almassimo, qualche sera no... ma nessuno si adagia mai». Questoesprit de corps dà al quintetto vitalità e forza impetuosa. (…)Se questo album non riesce a scacciarvi la malinconia, dubito chel’abbiate mai avuta. (3)


Sulle fortune del TangoDoing the Thing (da At the V<strong>il</strong>lage Gate)Il Gate, situato in Bleecker Street, una strada nel Greenwich V<strong>il</strong>lageche si diparte da Thompson Street, si raggiunge scendendouna rampa di scale di ferro che un po’ ricorda le scale d’emergenza.Effettivamente quaggiù c’è del fuoco sotto forma di intrattenimentoeccitante. Il capo fuochista è quel demonio barbuto, grassoccioe benevolo che risponde al nome di Art D’Lugoff. Art e suofratello hanno preso un seminterrato vuoto del vecchio M<strong>il</strong>ls Hotele lo hanno trasformato in uno dei nightclub più diversificati delmondo. Dal 1958, di qui è passato <strong>il</strong> meglio della musica jazz e folk,strumentale e vocale. È un grande scantinato (capienza di 450 persone),ma un’efficace <strong>il</strong>luminazione, sia sul palco che tra i tavoli,crea un senso d’intimità maggiore di quanto si potrebbe immaginare.La cucina è semplice ma sostanziosa: manzo sotto sale esandwich con pastrami (4) sono la specialità della casa.Tutto ciò ci riporta aHorace S<strong>il</strong>ver o, più precisamente,a Horace S<strong>il</strong>verat the V<strong>il</strong>lage Gate. Ora,S<strong>il</strong>ver, ha realizzato unaserie di bei dischi per laBlue Note, ma questa è laprima volta che <strong>il</strong> suogruppo ha registrato sottocontratto. Tra le moltequalità di Horace, notevoleè la sua capacità dicomunicare profondamentee direttamentecon <strong>il</strong> suo pubblico. Forsequesta dote non è altroche l’effetto complessivodi tutti i suoi tratti migliori.Qualunque cosa sia, lui ècapace di infiammare iHorace S<strong>il</strong>ver (ph. Giuseppe Pino - archivio Berendt)75


Ira Gitler76suoi ascoltatori fino a uno stadio di potente eccitazione.L’applauso che saluta la conclusione di F<strong>il</strong>thy Mc Nasty non èaffatto meccanico. Il pubblico è davvero sbalordito e vuole comunicarloal gruppo. Attraverso la magia dell’apparecchiatura portat<strong>il</strong>edi Rudy Van Gelder, lo spirito dell’intero set vi viene trasmessointatto. (…)Nel settembre 1956 Horace S<strong>il</strong>ver passò dai Messengers di ArtBlakey a un proprio gruppo. Da allora ha capeggiato <strong>il</strong> quintettocon crescente successo. L’attuale formazione è stata assieme piùa lungo della maggior parte dei combo attivi nel jazz contemporaneo.Nel 1958 si unirono Cook, Mitchell e Taylor; nel settembre1959 Brooks. Si tratta di un record eccellente se si considera chequesto è un campo in cui molti gruppi assomigliano a hotel perclienti di passaggio. Ciò spiega perché questi cinque uomini vadanocosì splendidamente d’accordo e producano un jazz groovesecondo a nessuno. E se ognuna delle cinque parti di questogruppo è importante, <strong>il</strong> loro leader è <strong>il</strong> punto focale. Il suo spiritoinestinguib<strong>il</strong>e, incarnato dal suo accompagnamento pressante epercussivo così come dall’ostinato, impetuoso schema dei suoiassoli, è la fiamma p<strong>il</strong>ota di un bruciatore che è una delle più efficaciunità di cottura del jazz. Arrostisce, lessa, frigge, cuoce alvapore e persino alla griglia con la salsa piccante. Al V<strong>il</strong>lage Gatesi “brucia” tutto, all’infuori del pastrami e del manzo sotto sale.Quando è <strong>il</strong> momento di “fare la cosa”, Horace S<strong>il</strong>ver e <strong>il</strong> suogruppo sanno davvero come comportarsi.(1)La struttura dell’accordo deriva tuttavia da Show Me the Way ToGo Home (n.d.a.)(2)Coltrane si riferiva a un pezzo gospel, di atmosfera liturgica (n.d.t.)(3)Qui l’autore si riferisce al titolo dell’album Blowin’ the Blues Awayin cui la parola “blues” è intesa non tanto in senso musicale,quanto nel significato di “malinconia”. “Blowin’ the Blues Away”significa quindi “Scacciare la malinconia” (n.d.t.)(4)Carne di manzo speziata e affumicata (n.d.t.)


L’influenzadella musica europeasul jazzda Max Harrison*Il jazz, così come si è venuto configurandosino ad oggi, è <strong>il</strong> frutto diun incrocio casuale tra due sistemimusicali assai diversi. Questo incontro non aveva certo in sé igermi di un futuro promettente: la tradizione musicale africanadegli schiavi negri entrò senz'altro in fase di decadenza nonappena essi vennero trapiantati in terra americana, mentre d'altrocanto tutta la musica che essi potevano aver udito dai padronibianchi non era certo quanto di meglio offrisse la tradizioneeuropea.Sino a ieri, si può dire, la più decisiva componente europea dellinguaggio jazzistico è stata l'armonia, e ad essa risalgono i modulimelodici che nascono e si sv<strong>il</strong>uppano dagli accordi; inoltre,nonostante si sia tanto vantato l'eccezionale senso del ritmo deimusicisti jazz, va detto che l'apporto europeo comprendevaanche l'impostazione ritmica, la quale è di gran lunga più semplicedi quella che si riscontra nella musica di molti altri paesi delmondo. E, a parte <strong>il</strong> tamburo, la chitarra e <strong>il</strong> banjo, anche gli strumentidel jazz sono europei. Tuttavia <strong>il</strong> primissimo jazz è caratterizzatoda una assoluta originalità non nei "materiali" musicali,bensì nel "modo" di usarli. Spesso le sequenze armoniche piùconvenzionali e le forme melodiche più trite acquistavano nuovosapore grazie alle alterazioni microtonali introdotte dai suonatorijazz. Solitamente in queste alterazioni si è voluto vedere unasopravvivenza della pratica musicale dell'Africa Occidentale:certo è, comunque, che esse non sono minimamente presentinel tessuto armonico dei cantanti del jazz delle origini, e ancormeno nel cromatismo del jazz più maturo. C'è sempre stata77


Max Harrison78questa tensione tra l'armonia (e l'accordatura basata sul temperamentoequab<strong>il</strong>e - la divisione europea dell'ottava in 12 gradisemitonali uguali) e gli altri elementi del jazz. Se gli strumentieuropei contribuirono a plasmare le forme concrete della musicajazz, nella tecnica esecutiva del jazz ci fu sempre una naturalee imprescindib<strong>il</strong>e autonomia. Tale autonomia si è venutaaccentuando negli ultimi anni; ma quello che è stato definito"trattamento del suono" non si è mai veramente avvicinato agliideali europei. Più innanzi ci si soffermerà ad analizzare che cosapossano indicare questi fenomeni.L'armonia, e <strong>il</strong> genere di elaborazione melodica e ritmica che nederiva, hanno comunque determinato vari aspetti dell'evoluzionedel jazz sino a tempi molto recenti.Come nella musica europea, anche nel jazz <strong>il</strong> lessico accordaleaumentò, la dissonanza si impose in misura sempre crescentee la varietà ritmica si arricchì. Tutto questo accadde molto rapidamente.Nel giro di pochi decenni i jazzisti s'impadronirono, sipuò dire, del linguaggio armonico che per la tradizione europearappresentava un patrimonio di secoli d'esperienza. Una sim<strong>il</strong>efretta significava che l'armonia del jazz, oltre a non essere originale,era per moltiaspetti un<strong>il</strong>aterale eche la sua apparentericercatezza nonaveva una sua corrispondenteautenticità.Una voltaimpadronitisi delsegreto dell'armonia,i musicisti jazzfurono in grado diampliare <strong>il</strong> propriolessico musicalesino ai confini dell'atonalitàsenzaDuke Ellington (ph. Hans Harzheim)


L’influenza sul jazzdover ricorrere ad aiuti dall'esterno. Tuttavia senza un ben orientatostudio dei capolavori europei essi probab<strong>il</strong>mente non sarebberomai stati in grado di saper usare l'armonia su vasta scalaper comporre opere di grande respiro. In Europa, dalla fine dell'eradel contrappunto (1750 circa) e sino all'avvento del sistemaseriale (1920 circa), la forma era stata una funzione dell'armonia.Il problema del jazz era che <strong>il</strong> fatto di disporre d'un ricco lessicoarmonico non significava necessariamente saper costruireforme musicali di ampio respiro. Alcuni musicisti jazz, com'ènaturale, erano coscienti di questa limitazione, pur non afferrandonetutta la portata effettiva. Creole Rhapsody fu <strong>il</strong> primo diuna serie di tentativi di Duke Ellington di comporre opere di piùvasto respiro destinate a complessi jazz; eppure soltanto inpochi casi si ebbero dei risultati apprezzab<strong>il</strong>i, soprattutto inCrescendo e Diminuendo in Blue, in The Happy-Go-Lucky Locale in Tone-Parallel to Harlem. Più convincenti appaiono certecomposizioni di John Lewis per <strong>il</strong> “Modern <strong>Jazz</strong> Quartet”,come, ad esempio, Concorde, Versa<strong>il</strong>les e Three Windows, ovevengono ab<strong>il</strong>mente adattate le tecniche del contrappunto delSettecento europeo. Il fatto che i br<strong>il</strong>lanti risultati conseguiti daLewis fossero frutto di una impostazione orizzontale, cioè contrappuntistica,può avere r<strong>il</strong>ievo ai fini della teoria del compositoreGeorge Russel, secondo cui <strong>il</strong> jazz fondamentalmente èsempre stato una musica a scrittura orizzontale, basata sullamodalità e non sull'armonia. Forse <strong>il</strong> fatto che i musicisti jazznon si siano mai cimentati con le funzioni strutturali di ampiorespiro dell'armonia non dipendeva semplicemente da un problemadi formazione culturale. Può darsi infatti che per <strong>il</strong> jazzI'armonia e la prospettiva musicale che da essa deriva non sianomai stati altro che un fattore secondario, o comunque nonessenziale.Ad ogni modo <strong>il</strong> jazz giunse sino agli anni Cinquanta con un patrimoniodi risorse armoniche (e non soltanto armoniche), masenza aver conseguito un'autentica dimensione strutturale. Inpratica si può dire che tutto <strong>il</strong> jazz, dal più semplice al più com-79


Max Harrison80plesso, era basato sulla ripetizione di schemi a ritornelli di trentadueo dodici battute; ma questo girotondo senza fine stavadiventando sovraccarico da un punto di vista armonico. Neglianni Cinquanta, con l'opera di musicisti come Cec<strong>il</strong> Taylor, <strong>il</strong> crescentecromatismo del jazz sfociò nell'atonalità e perciò alla finedi ogni possib<strong>il</strong>ità armonica: parve quindi che <strong>il</strong> jazz avesse ormaiassorbito dall'Europa tutto quanto poteva assorbire. E poichéevidentemente non poteva attingere all'altro patrimonio musicaleda cui discendeva – ossia alla musica dell'AfricaOccidentale, ormai dimenticata e già divenuta estranea – sembròche <strong>il</strong> jazz fosse giunto alla fine del suo cammino. O per lomeno, dal momento che aveva assim<strong>il</strong>ato tanto dall'esterno, eratutt'altro che certo che fosse in grado di vivere delle proprierisorse interiori.A questo punto quattro erano le strade che si aprivano al jazz.Innanzitutto non è da escludere che i negri - cui risale la paternitàdi tutto <strong>il</strong> grande jazz -, a mano a mano che riusciranno astrappare alla società dei bianchi d’America un maggior grado diintegrazione, debbano perdere parte delle loro caratteristichespecifiche e possano non sentir più bisogno o desiderio dicimentarsi in un'arte tipicamente di minoranza qual è <strong>il</strong> jazz, cheancor oggi i negri associano al doloroso passato della loro razza:qualora le circostanze mutassero, anche se i negri dovesserocontinuare in una loro tradizione musicale, è probab<strong>il</strong>e che questapossa scivolare in un'amorfa ed edulcorata manipolazioneartigianale qual è quella di Quincy Jones, tanto per fare unesempio. Comunque sta di fatto che se anche l'integrazionecompleta della società americana un giorno si realizzerà, quelgiorno è purtroppo ancora lontano; e prima d'allora molte sonole cose che possono accadere nel mondo del jazz. Inoltre l'arteè sempre <strong>il</strong> frutto di personalità eccezionali, non di masse; e perciònon è <strong>il</strong> caso di indulgere a un eccessivo pessimismo sulfuturo del jazz.Come seconda ipotesi, può darsi che <strong>il</strong> jazz, non trovando aperturericche di sv<strong>il</strong>uppi nuovi, si debba ripiegare su se stesso e


L’influenza sul jazzspegnersi in formule smorte e superate, come accadde allamusica inglese tra Purcell ed Elgar. Se così fosse, non vivrebbeche del suo passato, sia dal punto di vista tecnico che da quelloestetico. Ed è proprio quello che sembra voler desiderare quelcerto tipo di pubblico che si oppone automaticamente ad ogninuova evoluzione del jazz. La musica senza pretese di novità hatrovato una inesaurib<strong>il</strong>e riserva cui attingere nella cosiddettamainstream revival (rinascenza del jazz dalle origini), che si verificòalla fine degli anni Cinquanta, e anche, sebbene in misuraminore, nella New Orleans Revival che si ebbe tra la fine deglianni Quaranta e l'inizio dei Cinquanta. Ma finché questo generedi musica non si identificherà con tutto <strong>il</strong> jazz, non pare che cisia ancora motivo di allarme. Esiste un costante favore di uncerto pubblico per questo tipo di jazz conservatore perché la suafedeltà a idee ormai accettate non dà fastidio a nessuno e ancheperché vi sono sempre degli artisti di secondo piano disposti astare al gioco e a dare al pubblico quello che esso chiede loro.La terza possib<strong>il</strong>ità, naturalmente, nasce dalla considerazionedell'influenza che continua a esercitare sul jazz la musica europeanella sua fase post-armonica. Le soluzioni, elaborate dai piùsinceri ed espliciti musicisti europei dall'inizio del secolo, quandosi trovarono di fronte all'esaurimento dell'armonia funzionale,potranno venire applicate al jazz, ora che esso si trova in unasituazione analoga? In concreto, ci si riferisce alle innovazioni diSchönberg e Debussy. La tecnica seriale introdotta da Schönbergparrebbe assolutamente inadatta a una musica d'improvvisazionequal è <strong>il</strong> jazz. Eppure si è prodotto - e non una, ma piùvolte, e senza per questo sacrificare la improvvisazione - del jazzbasato sulla più rigida tecnica dei dodici suoni. I risultati più notevolisono quelli ottenuti da David Mack, un musicista inglese, inRalph 'O Mead, Cameo, Johnnie 'O Door, Chiquita Moderne eTonette registrati nel long playing “New Directions”; un gruppocapeggiato dal compositore americano John Benson Brooks hacontinuato per vari anni a improvvisare della musica jazz atonalesu di una serie di cui sono state fatte circolare delle registra-81


Max Harrison82zioni su nastro magnetico, ma non delle incisioni su disco e i jazzisticecoslovacchi Jaromir Hn<strong>il</strong>icka e Pavel Blatny applicanocostantemente i principi del sistema seriale alla loro produzionejazz. Tutto ciò appare meno strano se ci si rende conto che <strong>il</strong>jazz, una volta raggiunto <strong>il</strong> fondo d'una intensa esperienza armonica,ha bisogno di nuovi metodi che siano capaci di dare coesionemusicale, e che siano orizzontali e verticali. Com'era giàaccaduto per la musica europea, anche nel jazz la tecnica delledodici note fu preceduta da un uso piuttosto ampio e autonomodi espedienti quasi seriali da parte di Don Ellis (ImprovisationalSuite No.1, Tragedy, Imitation), di John Carisi (Moon Taj, AngkorWatt), di M<strong>il</strong>es Davis (All Blues) e altri. Siamo ancora ben lungida una completa assim<strong>il</strong>azione del sistema dodecafonico maforse l'aspetto non armonico di tale sistema ha più affinità diquanto si possa credere con la vera natura del jazz.In effetti, dato che la serialità potrebbe condurre a un vasto rinnovamentodel linguaggio musicale del jazz, e poiché apre unosbocco di notevole importanza per <strong>il</strong> suo progresso spirituale, <strong>il</strong>jazz può attingere a essa ottenendone un frutto maggiore diquello ottenuto in passato dall'armonia. Alcune composizioni,come Abstraction del post-weberiano Gunther Schuller, e, più alivello di tentativo, Three on a Row di Shorty Rogers, danno giàindicazioni precise di tali possib<strong>il</strong>ità. Un jazz "puro" basato sulsistema seriale sarebbe musica tradizionale, in quanto costituirebbeun f<strong>il</strong>one continuo con la musica europea. Ma può anchedarsi che la tecnica dei dodici suoni sappia avviare un dialogovitale con altri elementi del jazz: e questa possib<strong>il</strong>ità ci porta aquella che è la terza via aperta al jazz.Quarta, nell'ordine, è l'ampia prospettiva offerta dalla produzionejazzistica di Ornette Coleman. Coleman ha cominciato aimporsi all'attenzione generale verso la fine degli anniCinquanta, giusto quando negli ambienti più d'avanguardia si eraormai imposta la necessità d'un rinnovamento su vari piani.La musica di Coleman in se stessa costituisce non solo unosganciamento dalle influenze europee, ma anche l'inizio di un


L’influenza sul jazznuovo jazz visto come genere musicale veramente autonomo.Da Cole-man in poi è evidente che <strong>il</strong> jazz forgia delle tecnicheautenticamente sue e tutte nuove, che è alla ricerca d'un atteggiamentopiù intimamente suo per quanto riguarda la forma, eche elabora principi estetici suoi propri.Per motivi che saranno chiari più avanti, è forse meglio perprima cosa analizzare quello che si può ben definire l'aspettopuramente musicale dell'influenza di Omette Coleman.Riconoscendo che <strong>il</strong> jazz non poteva più trarre nessun beneficioné dall'armonia europea né dagli altri aspetti del discorso musicalea essa connesso, Coleman fece di necessità virtù e respinsenon solo la ripetizione di schemi a ritornello ma addirittura l'abitudinejazzistica d'improvvisare melodie sulla base di accordi.Anche dopo questa sua decisione, capita comunque spesso diintravedere nel fraseggio di Coleman una sottintesa strutturaarmonica ma si può affermare senza tema di smentita che inpezzi come Congeniality, RP.D.D. e Cross Breeding l'armonia haben scarso r<strong>il</strong>ievo nel processo d'organizzazione musicale, cheessa non domina né guida e se questo è vero per Coleman lo èancora di più per quasi tutti i giovani musicisti che hanno risentitodella sua influenza. Coleman abbandonò anche la scritturatonale che aveva adottato <strong>il</strong> temperamento equab<strong>il</strong>e e cheusava esclusivamente due modi (frutto dell'armonia e dallanecessità da essa creata di intervalli fissi), e se si tiene presentequanto detto più sopra, ossia che per <strong>il</strong> jazz l'armonia è un elementosecondario - dato che la sua vera natura sarebbe piuttostoquella di musica basata su una struttura orizzontale - si vedràbene che le innovazioni di Coleman non furono così negativecome potrebbe sembrare a prima vista, ma che anzi furono inevitab<strong>il</strong>i.E così pure le alterazioni tonali (o microtonali), con intervalliinferiori al semitono, che caratterizzano <strong>il</strong> nuovo jazz piùancora del primo jazz, potrebbero dopotutto essere non unretaggio africano, bensì una conferma che <strong>il</strong> temperamentoequab<strong>il</strong>e non apparteneva all'essenza del jazz più di quanto nonvi appartenesse l'armonia. E forse a questo <strong>il</strong> jazz una volta tanto83


Max Harrison84è in vantaggio sulla musica europea. Stravinski, a chi gli chiedevaquali elementi musicali fossero ancora suscettib<strong>il</strong>i di un'evoluzionee di un impiego radicali, ha risposto: «Io mi azzarderei apredire che l’intervallo costituirà la maggiore differenza tra la"musica del futuro" e la nostra» (1) .In The Ark e in Clergyman's Dream l'improvvisazione diColeman fa uso di quella che si potrebbe definire modalità libera,con un ampio e serrato sv<strong>il</strong>uppo di elementi sia sul pianomelodico sia su quello ritmico. In ciò lo aiuta la sua eccezionalecapacità inventiva le sue linee melodiche (sciolte, naturalmente,dalle pastoie dell'armonia, dalla ripetizione di ritornelli e dal fraseggioconvenzionale) hanno una grande libertà, e, nonostantela loro apparente stranezza, una potenza espressiva di raro vigore.Molti, sentendo Coleman, hanno l'impressione di trovarvi deiparalleli con la musica orientale, ma per discutere con un minimodi chiarezza questo fatto - e anche un altro aspetto della suainfluenza - bisogna prima ritornare all'Europa.Come si è già osservato, dall'abbandono dell'armonia funzionalescaturirono due grandi metodi di costruzione: <strong>il</strong> sistema serialedi Schönberg e la rivoluzione di Debussy, <strong>il</strong> quale consideraogni accordo come un'entità a se stante, priva di qualsiasi rapportointrinseco con gli altri. L'assenza di una gerarchia di successionee concatenazione non è tuttavia assenza di ordine e d<strong>il</strong>ogica: queste vengono raggiunte in maniera nuova, soprattuttocon <strong>il</strong> ricorso a tecniche medievali che hanno sapore decisamenteorientale, e con <strong>il</strong> rinnovamento del materiale e della sensib<strong>il</strong>itàtimbrica. Tutto questo ebbe una grande influenza sullamusica europea.Il primo a capire pienamente le conseguenze dell'atteggiamentotimbrico debussiano del materiale sonoro fu <strong>il</strong> già neglettoEdgar Varèse. Per quanto nuovi fossero i procedimenti debussiani,<strong>il</strong> materiale musicale a cui egli attingeva era pur semprequello dettato dalla tradizione europea. Ma nel rifiuto debussianodella successione armonica, e nel suo interesse per quelleche un tempo si sarebbero definite "tecniche esotiche", Varèse


L’influenza sul jazzvide la fine della st<strong>il</strong>izzazione musicale convenzionale e della rigidademarcazione tra suoni musicali e suoni non musicali.Quest'ultimo punto è in realtà molto meno stravagante di quantopotrebbe sembrare. L'uso di suoni non musicali risale a primadella “Battaglia di Wellington” di Beethoven, per non parlare deinumerosi esempi più recenti. Ci sono i "suoni della natura" (teminaturali) delle sinfonie di Mahler; le "grosse catene di ferro"richieste dalla partitura originale dei Gurrelieder di Schönberg ;oppure la musica dell'americano Henry Cowell, che impiegatone-clusters (grappoli di note) prodotti sonando con <strong>il</strong> pugno el'avambraccio, pizzicati nelle corde, e altri espedienti.Tutti questi elementi - l'orientalismo, l'uso di suoni non musicali(benché non necessariamente anti-musicali) - sono presentinell'opera di compositori come l'americano John Cage. Cage ealtri considerano ogni suono - sia esso musicale o meno – comecompleto in se stesso, non suscettib<strong>il</strong>e di evoluzione (e questa,si badi bene, è una estensione delle idee di Debussy di cui si ègià parlato). Nella musica di questi compositori non c'è melodia,né armonia, e neppure ritmo nel senso europeo; e in essa ladiscontinuità del discorso musicale introdotta e sostenuta nonsolo da Debussy ma anche da Stravinski e Schönberg raggiungeun livello massimo. I suoni sono collegati tra loro in quantocoesistono nello spazio, e talvolta <strong>il</strong> loro distribuirsi nel tempodipende dal caso. E spesso è proprio qui che riemerge la presenzadell'Oriente. Così la durata e la natura dei suoni di pianoforteche formano la Music of Changes di Cage, sono governatidall'I-Ching, un antico gioco cinese con cui si ottengonocombinazioni di numeri con <strong>il</strong> lancio di monetine. Il caso (o indeterminazione,come viene definito) è un elemento di importanzafondamentale per l'interpretazione delle opere di molti giovanicompositori europei quali Stockhausen, Pousseur, N<strong>il</strong>sson ealtri. Tutti questi fattori sono chiari sintomi dello stadio cui ègiunta la musica dell'Occidente, e se n'è parlato solo per dareun quadro generale della situazione: perciò non è necessariosoffermarsi oltre sull'argomento. Quel che interessa al nostro85


Max Harrison86scopo è osservare che, grazie all'influenza di Ornette Coleman,proprio questi settori della musica vengono ora esplorati daicompositori jazz. Si può infatti pensare a Coleman come a unDebussy del jazz, ossia come colui che ha liberato <strong>il</strong> jazz dallepastoie dell'armonia e ha introdotto una nuova sensib<strong>il</strong>ità timbrica,sciolta da regole sia armoniche sia contrappuntistiche. Imusicisti delle generazioni più giovani hanno reagito un po'come Varèse, ossia hanno visto nel jazz di Coleman la fine deimodi espressivi e convenzionalizzati e la via per giungere a unagamma sonora molto più ampia.Anche senza l'esempio di Coleman, parte di tutto questo era giàimplicito nella natura stessa del jazz più di quanto non lo fossenella natura della musica europea: <strong>il</strong> che costituisce un'ulterioreprova di come <strong>il</strong> jazz appartenga soltanto parzialmente al mondoculturale dell'Occidente. Inoltre si ricordi che nell'improvvisazionecollettiva dei jazzisti è sempre stata presente una forte componenteaccidentale, di pura casualità, che è del tutto assentedalla musica classica europea. Nel jazz armonico era raro trovareun uso effettivo dei suoni non musicali; ma era però frequenteche tale uso fosse implicito e sottinteso.Accanto agli evidenti effetti di Tiger Rag e di Barnyard Bluesdella "Original Dixieland azz Band" vanno collocate le sott<strong>il</strong>i onomatopeedi certi pezzi di Duke Ellington ispirati ai treni come, adesempio, Daybreak Express e Lightnin’ oppure composizionicome Six-Wheel Chaser e Honky Tonk Train Blues del pianistaMeade Lux Lewis. Ancora più trasparenti i brontolii ringhiosidegli ottoni di Bubber M<strong>il</strong>ey, Joe Nanton e altri membri dell'orchestradi Ellington, i cui strumenti giungevano a delle distorsionitimbriche tali da portare più vicino al puro rumore di quantosi fosse mai verificato nella tradizione europea degli strumentia fiato. E, com'era prevedib<strong>il</strong>e, questa tendenza giunge almassimo nel free jazz posteriore a Coleman. Il long playingExplosion, inciso dal Trio di Bob James, ogni tanto ricordaCowell o Varèse; ma in realtà rappresenta una ricetta del tuttoautonoma sulle mete ancora aperte al pianoforte e agli stru-


L’influenza sul jazzmenti a percussione,sulla viva improvvisazionein quanto opposta ainastri preregistrati, e suisuoni musicali mescolatiai suoni non musicali. Inqualche caso questo jazznon partiva affatto dairapporti fra note, bensìdalle intrinseche qualitàsonore degli stessi strumenti(ossia da quel cheVarèse chiamerebbe laloro "densità"). Le registrazionidel "M<strong>il</strong>ford GravesPercussion Ensemble",sono un tipico esempio di ciò, e - insieme alla produzionedel Trio di Bob James e a varie altre, come, ad esempio, <strong>il</strong> longplaying Oltre, dell'italiano Giorgio Gaslini - rappresentano <strong>il</strong> corrispondentejazzistico delle opere di decisa avanguardia, tipoGalaxies di Henry Brant, che esplorano le inaspettate capacitàdegli strumenti mantenendo ben scarsi rapporti con la struttura.La musica per complessi formati da una vasta gamma di ottonie strumenti a percussione registrata da Sun Ra è un'ennesima<strong>il</strong>lustrazione del valore dato dai jazzisti al timbro come elementoa se stante. Quanto agli strumenti europei ancora in uso nel jazz,le esecuzioni di musicisti come Byron Allen e Roswell Rudddimostrano che negli ultimi anni <strong>il</strong> jazz è riuscito a impadronirsidi essi come non mai.Comunque questi paralleli tra <strong>il</strong> jazz più recente e la musicaeuropea parrebbero voler smentire l'affermazione secondo cu<strong>il</strong>a produzione di Coleman segnerebbe l'inizio del jazz in quantoentità a se stante. E inoltre si badi che accanto alle somiglianzespecifiche già analizzate ve ne sono altre più generali. Se siascolta, poniamo, un blues di Bessie Smith e poi un pezzo suo-Ornette Coleman (archivio Melody Maker)87


Max Harrison88nato da Albert Ayler al sax tenore, e se si contrappone un quartettoper archi di Haydn a una composizione di Cage per "pianopreparato", in entrambi i casi sembra di trovarsi di fronte a unanalogo processo di graduale disumanizzazione della musica;l'analogia tecnica ed estetica tra i due paralleli consiste in unidentico distacco dalla tradizione occidentale. Tuttavia è di fondamentaleimportanza osservare le differenze, le quali, benchémeno evidenti delle analogie, sono assai più significative diesse. Se <strong>il</strong> jazz "si stacca dall'Occidente", lo fa senz'altro per reazionecontro le tecniche musicali europee che hanno ostacolatoin modo così massiccio <strong>il</strong> suo sv<strong>il</strong>uppo iniziale. Le improvvisazionidi certi sassofonisti free posteriori a Coleman possonoricordare la musica orientale per la loro estrema mob<strong>il</strong>ità, masono tuttora assai più semplici di certa musica indiana (tanto perfare un esempio) sia dal punto di vista melodico sia, e ancor dipiù, dal punto di vista ritmico. Inoltre <strong>il</strong> jazz non ha ancora introdottoespedienti decisamente orientali - quali sono i raga e i talausati da Cage e da altri - mentre sino ad oggi ha impiegato elementieuropei, come l'armonia. In realtà <strong>il</strong> nuovo jazz non èorientale: è semplicemente meno europeo, insomma, è più sestesso. Oggi sia <strong>il</strong> jazz sia la musica europea tengono un analogoatteggiamento orientale, o per lo meno non occidentale, neiconfronti del tempo e quindi della forma. Però, mentre per lamusica europea si tratta piuttosto di una novità, nel caso del jazzquesti sv<strong>il</strong>uppi, come pure gli altri elementi non occidentali di cuisi è detto, sono sempre stati impliciti e latenti. Non ha senso criticarel'eccessiva lunghezza di opere come Durations di MortonFeldman o Chasin' the Train di John Coltrane, nelle quali nonsussiste affatto la preoccupazione di rispettare <strong>il</strong> tradizionaleconcetto di tempo musicale ne le forme chiuse; ma altrettantosi potrebbe dire a proposito di una composizione di jazz delle origini,come Harmonica Stomp di Sonny Terry, che avrebbe potutobenissimo continuare o essere più breve senza per questomutare sostanzialmente. È <strong>il</strong> caso di ripetere che <strong>il</strong> nuovo jazz,ben lungi dal seguire ancora la tradizione musicale europea, l'ha


L’influenza sul jazzsorpassata di molto nell'uso di suoni di altezza variab<strong>il</strong>e. E nonostantel'assenza di determinazione in Stockhausen e in altri,nella musica europea non c'è ancora nulla che possa stare a paricon l'improvvisazione collettiva o simultanea del jazz.Come s'è detto all’inizio, <strong>il</strong> jazz precedente a Coleman era unibrido, e proprio da questa sua natura ibrida derivano gran partedelle sue caratteristiche meno positive. Nonostante tutto quantosi è affermato, <strong>il</strong> jazz era una musica semplice e conservatrice.Ma ora, benché con una certa r<strong>il</strong>uttanza da parte sua, è statotrascinato in pieno XX secolo; e sia tecnicamente sia esteticamenteè cambiato più adesso, nel giro di pochi anni, di quantonon fosse cambiato in tutta la sua storia precedente. E forse sipuò aggiungere che è arrivato vicino a quella che è la sua autenticapotenzialità di sv<strong>il</strong>uppo. Può darsi che in futuro, anziché sentiresoltanto una nuova versione dell'ibrido jazz originale, sipossa sentire una vera sintesi di tutti gli elementi esaminati inquesta breve analisi. Le qualità essenziali di Brahms e diWagner - che un tempo sembravano rappresentare due direzionidivergenti e inconc<strong>il</strong>iab<strong>il</strong>i della musica ottocentesca - si sonofuse nell'opera di Schönberg e hanno dato vita al sistema seriale,una delle più importanti evoluzioni tecniche che annoveri lamusica europea, dopo la tonalità; mentre in Boulez <strong>il</strong> mondosonoro di Debussy viene disciplinato dal serialismo schönberghiano(o weberniano). Forse <strong>il</strong> jazz di domani sarà un dialogo diquesto tipo, in cui un uso del suono, di una libertà senza precedenti,verrà plasmato e raffinato da un sistema seriale che siadatti a esso. Se così dovesse accadere, è probab<strong>il</strong>e che leesplicite importazioni formali di oggi, di apparente influsso orientale,debbano rivelarsi temporanee, poiché <strong>il</strong> jazz, se riusciràfinalmente a liberarsi dalla zavorra degli imprestiti europei, dovràplasmarsi delle forme sue proprie interamente nuove. 89(1)Tratto da «Colloqui con Strawinsky», di Craft-Strawinsky, Einaudi, Torino, 1977* La musica moderna, vol. III - © F.lli Fabbri Editori, M<strong>il</strong>ano, 1967


ColoPhonCOMUNE DI VICENZAsindaco / mayorenrico hüllweckASSESSORATO ALLE ATTIVITÀ CULTURALIdepartment of cultural servicesassessore / counc<strong>il</strong>lormario bagnaraNEW CONVERSATIONSVICENZA JAZZ 2003direzione artistica / artistic directionconsulenza artistica / artistic adviserriccardo brazzalesounds from the world di mario guidi91ufficio festival / festival officetel.faxe-ma<strong>il</strong>httppalazzo del territorio - levà degli angeli, 11 - 36100 vicenza0444-222101-222115-222133-2221250444-222155stampacultura@comune.vicenza.itwww.comune.vicenza.it/olimpico/newconv.htmdirettore / general managerrelazioni esterne / public relationsass. direzione artistica / ass. artistic directionass. segreteria artistica / ass. artistic secretariatallestimenti / logisticsamministrazione / administrationsegreteria / secretariatbruno lucatelloloretta simonivalentina violacarlo gent<strong>il</strong>in, patrizia lorigiolaannalisa mosele, giovanna rinaldimargherita bonetto, sabrina cecchetto, eleonora toscanocoordinamento organizzativoorganizational coordinationart ’91ufficio stampa / press offficeroberto valentino - jazzval@tin.it


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InformazioniBIGLIETTI / TICKETSTeatro Olimpico:gradinata intero/tiers full pricegradinata ridotto/tiers reduced priceplatea intero/stalls full price . . . . . .platea ridotto/stalls reduced price .. . . . . . . . . . . . . . . . . . Euro 21,00. . . . . . . . . . . . . . . . . . Euro 18,00. . . . . . . . . . . . . . . . . . Euro 15,00. . . . . . . . . . . . . . . . . . Euro 13,00Sala Palladio FieraConcerto del 13.5. . . . . . . . . . . . . . .Concerto del 13.5. . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . .da Euro 35,00 a 45,00. . . . . . . . . . . . . .from Euro 35,00 to 45,00Concerto del 24.5.intero/full price . . . . . . . . . . . . . . . .ridotto/reduced price . . . . . . . . . . . .Auditorium Canneti(non numerato/non numbered)intero/full price . . . . . . . . . . . . . . . .ridotto/reduced price . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . Euro 18,00. . . . . . . . . . . . . . . . . . Euro 13,00. . . . . . . . . . . . . . . . . . Euro 13,00. . . . . . . . . . . . . . . . . . Euro 8,0095Palazzo Chiericatie Palazzo Barbaran Da Porto(non numerato/non numbered) . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . Euro 8,00Tempio di S. Corona(non numerato/non numbered)intero/full price . . . . . . . . . . . . . . . .ridotto Carta 60reduced for people over 60 . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . Euro 20,00. . . . . . . . . . . . . . . . . . Euro 15,00Auditorium Città di Thieneintero/full price . . . . . . . . . . . . . . . .ridotto/reduced price . . . . . . . . . . . .(info: 0445.804744). . . . . . . . . . . . . . . . . . Euro 10,00. . . . . . . . . . . . . . . . . . Euro 8,00


IndiceI salutidi Enrico Hüllweckdi Mario Bagnaradi Luca Trivellato345Programma generale6Le schede sui protagonistia cura di Roberto Valentino1396Viaggio al termine del blues?di Riccardo BrazzaleSun Ra: <strong>il</strong> jazz eliocentricodi Francesco MartinelliUna vita con Dizzydi Ira GitlerDizzy G<strong>il</strong>lespie, la rivoluzione come continuitàdi Michele MannucciHorace S<strong>il</strong>ver, <strong>il</strong> grande predicatore sanguignodi Ira GitlerL’influenza della musica europea sul jazzda Max Harrison454959657377finito di stampare nel mese di maggio 2003dalla tipografia peretti - quinto vicentinoper la collana “I quaderni del jazz” [agorà factory]

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