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l' Odissea il cammino di ogni uomo - Libera Conoscenza

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L’ODISSEA: IL CAMMINO DI OGNI UOMO1downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


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Pietro ArchiatiL’ODISSEA:IL CAMMINODI OGNI UOMO3downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


Seconda e<strong>di</strong>zione riveduta dall’autore.© Archiati Verlag e. K., Monaco <strong>di</strong> Baviera, 2005Disegno <strong>di</strong> copertina: E<strong>di</strong>zioni ArchiatiISBN 3-937078-72-XArchiati Verlag e. K.Sonnentaustraße 6a · 80995 München · Germaniainfo@archiati.com · www.archiati.com4downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


INDICEPREFAZIONE 7ODISSEA, UN TESTO DI MEDITAZIONEPER L’UMANITÀ 9La moderna riunificazione <strong>di</strong> scienza, arte e religione 9La fantasia oggettiva e morale10Le scuole misteriosofiche all’origine della scienza,dell’arte e della religione 14Evoluzione dell’arte narrativa: mito, saga, fiaba, storia 16I quattro mo<strong>di</strong> umani <strong>di</strong> concepire <strong>il</strong> <strong>di</strong>vino 20Il mito: l’<strong>uomo</strong> si avvia all’in<strong>di</strong>pendenza 25Macrocosmo e microcosmo nell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong> 27L’ODISSEA ESOTERICA 31La saga esoterica <strong>di</strong> Elena 31QUATTRO GRADINI DI DISCESAVERSO LA LIBERTÀ 37Il significato dei nomi e dei luoghi nell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong> 40I Lestrìgoni e la formazione dei do<strong>di</strong>ci sensi 455downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


L’INIZIAZIONE DI ODISSEO 49L’ira e <strong>il</strong> dolore nel nome «o<strong>di</strong>sseo» 49Penelope, l’anima pensante 53Le sirene ovvero <strong>il</strong> fascino irresistib<strong>il</strong>e del mondo fisico 54Sc<strong>il</strong>la e Carid<strong>di</strong> ovvero la polarità fra la testa e le viscere 64Sette qualità <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseo 67Erbe magiche e veleni 72L’impulso della Trinità e l’isola Trinacria 76Calypso, ovvero <strong>il</strong> tempo della scienza occulta 77VERSO L’UOMO NUOVO 79Respiro cosmico e canto umano 79Traduttori, tra<strong>di</strong>tori? 80Il desiderio <strong>di</strong> essere sovrani 84La spada e la parola 86O<strong>di</strong>sseo, ossia <strong>il</strong> «Nessuno», <strong>il</strong> «non qualcuno» 89Polifemo, l’antico chiaroveggente ispirato 93Il doppio lancio del macigno: coscienza e istinto 96L’essere della libertà 1016downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


PREFAZIONEQuesti cenni sull’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong> risalgono a <strong>di</strong>versi anni or sono.In un Convegno per artisti a Firenze fui invitato a commentare<strong>il</strong> testo omerico avvalendomi degli strumenti <strong>di</strong>quella scienza moderna dello spirituale che è stata inaugurataall’inizio del XX secolo da Rudolf Steiner. Il presuppostoche viveva alla base del mio commento era – ed è –la convinzione che Omero racconta un’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong>, cioè unaperipezia evolutiva, che è non solo un vagare esteriore mapiù ancora un camminare <strong>di</strong> natura interiore e spirituale.Ci presenta l’evoluzione dell’anima e dello spirito umani,non meno <strong>di</strong> quella del corpo.Sono stati degli amici a premere perché dessi allastampa queste pagine. Io ero r<strong>il</strong>uttante sia perché, datal’esiguità del tempo che avevo a <strong>di</strong>sposizione in quel Convegno,nelle mie relazioni dovetti limitarmi a pochi cenni<strong>di</strong> carattere più che altro metodologico, sia perché mirivolgevo ad ascoltatori muniti <strong>di</strong> conoscenze scientificospiritualiche io potevo presupporre. Ho comunque deciso<strong>di</strong> rielaborare <strong>il</strong> testo, soprattutto con l’intento <strong>di</strong> renderloaccessib<strong>il</strong>e a tutti.Mi auguro che siano gli amici ad aver ragione e chequesti spunti, per quanto succinti e modesti, valgano aconvincere molti dello splendore artistico e della profon<strong>di</strong>tàsapienziale del testo omerico. I miei pensieri nonvogliono essere che l’avvio ad altri, infiniti pensieri creati7downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


dal lettore stesso a partire dalla lettura <strong>di</strong> queste pagine epiù ancora, s’intende, dalla lettura dell’insuperab<strong>il</strong>e <strong>O<strong>di</strong>ssea</strong><strong>di</strong> Omero.Pietro Archiati8downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


ODISSEA, UN TESTODI MEDITAZIONE PER L’UMANITÀLa moderna riunificazione <strong>di</strong> scienza, arte e religioneCari amici, inizierò con l’evidenziare alcuni aspetti <strong>di</strong> caratteregenerale della splen<strong>di</strong>da peripezia umana che è l’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong>.Il nostro è un Convegno sull’arte, l’avvenire della qualesarà tutto nel superare a mano a mano <strong>ogni</strong> elemento <strong>di</strong>arbitrarietà. In base a una rinnovata conoscenza dei mon<strong>di</strong>invisib<strong>il</strong>i l’artista dei tempi moderni – e soprattutto l’artistadei tempi futuri – è chiamato a riscoprire in termini <strong>di</strong>conoscenza oggettiva le sorgenti spirituali dell’arte.Scienza, arte e religione, queste tre gran<strong>di</strong> espressionidell’umano, erano, al loro primo apparire, un’unità inscin<strong>di</strong>b<strong>il</strong>e.Poi, nel corso dell’evoluzione, in vista dell’acquisizionedella libertà, si sono a vicenda perdute <strong>di</strong> vista.La religione ha perso <strong>di</strong> vista la scienza e l’arte; l’arte haterminato <strong>di</strong> mostrare <strong>il</strong> suo carattere religioso e sapienziale;e la scienza moderna ha sempre più ignorato sia lareligione sia l’arte.La nostra situazione culturale-spirituale è questa:– la scienza non ne vuole più sapere della religione. È<strong>di</strong>ventata una scienza moralmente neutra, è a-morale (anchese non anti-morale);– l’arte sgorga da una fantasia che si sbizzarrisce arbitrariamentein tutte le <strong>di</strong>rezioni, senza trovare un’ancora9downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


fissa nella verità oggettiva, nella moralità, nel religioso;– la religione ha sempre più <strong>di</strong>sdegnato <strong>il</strong> bello, si è allontanatadal vivere della vita stessa della verità, sostituendole<strong>il</strong> dogma fisso e morto.È importante comprendere che l’arte del futuro potràessere vera arte solo nella misura in cui <strong>il</strong> bello <strong>di</strong>venti, alcontempo, anche buono e vero. Le future generazioni nonpotranno considerare bello, e dunque artistico, ciò chenon sia al contempo oggettivamente vero e moralmente,religiosamente buono.Era necessario che l’antica unione <strong>di</strong> scienza, arte e religionesi sciogliesse. Nella sua forma antica essa era dataper grazia <strong>di</strong>vina. Diventare liberi significa invece avere lafortuna <strong>di</strong> essere noi stessi a ritrovare <strong>il</strong> connesso universaleche fa una cosa sola del bello, del vero e del buono. È ciòche <strong>di</strong>ce Dante alla fine del canto <strong>di</strong> Pier delle Vigne:«...raunai le fronde sparte». Le tre gran<strong>di</strong> «fronde sparte»del <strong>di</strong>venire umano sono la scienza, l’arte e la religione.L’esercizio umano della libertà è l’esperienza della «fontanazamp<strong>il</strong>lante» <strong>di</strong> cui parla <strong>il</strong> vangelo <strong>di</strong> Giovanni, alludendoalla sorgente che scaturisce dal <strong>di</strong> dentro <strong>di</strong> ognuno e chericostruisce quell’armonia a cui tutti aspiriamo.La fantasia oggettiva e moraleIn questi giorni, me<strong>di</strong>tando sul testo dell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong>, sarà miocompito mostrare come l’interpretazione oggi prevalente10downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


faccia torto a Omero. L’<strong>uomo</strong> moderno non sa più cheOmero appartiene ancora ai tempi in cui <strong>il</strong> bello era vistobello solo perché era al contempo vero e buono.Le traduzioni per lo più partono dal presupposto chele cose che Omero racconta siano un puro prodotto dellasua fantasia. E invece è un testo <strong>di</strong> una verità e oggettivitàche possono farci stupire. Nell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong> sono espresse, peresempio, nozioni <strong>di</strong> fisiologia così scientifiche e preciseda non aver nulla da invi<strong>di</strong>are ai trattati della modernaanatomia o biologia.L’<strong>uomo</strong> moderno si preclude la via <strong>di</strong> accesso a un’operacome l’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong> perché la interpreta a partire dallacompagine interiore sua propria che, nell’attività artistica,è abituata ad inventare <strong>di</strong> sana pianta e conosce solouna fantasia senza nessuna regola o pretesa <strong>di</strong> oggettività.Noi non riflettiamo sul fatto che questo tipo <strong>di</strong> fantasiaè invalso nell’umanità soltanto negli ultimi secoli e chenon esisteva affatto ai tempi <strong>di</strong> Omero. Non ci ren<strong>di</strong>amosufficientemente conto delle mutazioni profon<strong>di</strong>ssimeavvenute nell’animo umano nel corso del tempo.Omero era un vero e proprio iniziato e come iniziatonon poteva permettersi nell’Iliade e nell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong>, poste alfondamento della cultura occidentale, nemmeno una parolache non in<strong>di</strong>casse un contenuto <strong>di</strong> assoluta oggettività.Nemmeno una parola. Eppure tanti commentatori lascianointendere, per esempio, che <strong>il</strong> linguaggio greco,specialmente quello omerico, ricorra a innumerevoli «riempitivi»solo per far quadrare la rima, la proso<strong>di</strong>a, <strong>il</strong> metro11downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


ecc. Non esistono riempitivi in Omero! Sono impensab<strong>il</strong>i,come lo sarebbero in un libro moderno <strong>di</strong> fisica o <strong>di</strong>matematica!Se è vero che <strong>il</strong> bello dovrà in avvenire corrispondere alvero, saremo noi a doverci spogliare della zavorra dell’arbitrarietàper riconquistare quella che chiamerei una fantasiaoggettiva. La forza creatrice dell’artista dell’avvenire saràtutta protesa a sv<strong>il</strong>uppare in sé una fantasia oggettiva. Iltermine «fantasia» va conservato, perché l’arte non saràmai una metafisica, dove gli elementi sono già tutti, in uncerto senso, prestab<strong>il</strong>iti. La fantasia continuerà a crearequalcosa che prima non c’era, ma <strong>di</strong>venterà oggettiva,ancorandosi al reale in un modo tale da non permettersipiù <strong>di</strong> agire arbitrariamente sul reale stesso.C’è un grande artista moderno che ha esercitato questafantasia, come precursore dell’arte del futuro: è Goethe.Io credo che non ci sia un modo più bello per definirel’operare artistico <strong>di</strong> Goethe che <strong>di</strong>re: era un essere umanoche ha esercitato in modo sommo la facoltà della fantasiaoggettiva.Lo stu<strong>di</strong>o della metamorfosi delle piante è stata la suavia maestra: egli si è immedesimato nella creatività «fantasiosa»dell’essere che noi chiamiamo pianta. Infatti, doveve<strong>di</strong>amo esemplarmente all’opera la fantasia oggettiva dellanatura? Nelle piante! Negli animali <strong>di</strong> meno, perché leforme negli animali sono più «rigorose»; esistono formetipiche che consentono solo variazioni secondarie. Nelmondo vegetale, invece, le variazioni sono infinite: lì lafantasia della natura non conosce limiti.12downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


Immedesimandosi nelle forze formatrici viventi checreano tutte le piante a noi visib<strong>il</strong>i, Goethe è entrato nelcuore della natura e ha imparato da lei i misteri della fantasiaoggettiva. Le forme delle piante sono ben fantasiose,però non sono affatto arbitrarie: sono tutte «oggettive»nel loro offrirsi alla nostra conoscenza e allo stuporereligioso del nostro cuore.Noi tutti cerchiamo, anche senza saperlo, un’arte che<strong>di</strong>venti, nell’artista stesso, un creare sim<strong>il</strong>e a quello dellanatura. Ogni artista cerca <strong>di</strong> imitare la pianta primigenia,quella che Goethe chiama Urpflanze: essa crea, in base alleforze vitali del mondo «eterico», forme sempre nuove eopera nella pianta singola la metamorfosi che parte dalgerme, fa sorgere lo stelo, moltiplica le foglie, trapassa daisepali ai petali colorati, e termina <strong>il</strong> suo ciclo nei frutti.Per poi ricominciare da capo grazie al seme.Diventando oggettiva, grazie all’amore al vero, la fantasiadell’artista del futuro <strong>di</strong>verrà ad un tempo moralmenteresponsab<strong>il</strong>e nei confronti della natura e, così, anche profondamentereligiosa. Per l’arte dell’avvenire, l’altro elementoche recupera <strong>il</strong> buono lo chiamerei fantasia morale.È questa una <strong>di</strong>mensione dell’arte del tutto nuova, moralee religiosa ad un tempo, capace <strong>di</strong> farsi carico della conduzionedel <strong>cammino</strong> spirituale della natura e dell’umanitàintera: sarà una «fantasia pedagogica» in seno all’evoluzioneumana – pedagogica perché è oggettiva e morale ad untempo.Il futuro della religione può solo risiedere in una «religioneartistica» o in un’«arte religiosa». Colui che si porrà13downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


<strong>di</strong> fronte a un’opera d’arte o sperimenterà <strong>il</strong> <strong>di</strong>vino, l’eterno,l’assoluto, oppure <strong>di</strong>rà: non è bello. E l’<strong>uomo</strong> religiosotroverà buono unicamente ciò che lo riempirà <strong>di</strong> gioiaperché è bello e vero.Le scuole misteriosofiche all’origine della scienza,dell’arte e della religioneL’arte, insieme alla scienza e alla religione, è nata nellescuole misteriche dell’antichità. L’esperienza principale chesi faceva in quei Misteri era un’imitazione <strong>di</strong> ciò che ciascuno<strong>di</strong> noi vive varcando la soglia della morte. Il processodell’iniziazione, espresso nei suoi infiniti aspetti dalle mitologiee dalle religioni dei vari popoli, fu sempre un’anticipazione,nella vita, <strong>di</strong> ciò che si attraversa quando si muore.Morire significa entrare nei mon<strong>di</strong> spirituali; essere iniziatisignifica aver fatto l’esperienza dei mon<strong>di</strong> spirituali da vivi.La religione, l’arte e la scienza sono sempre state le tre viemaestre per entrare nei mon<strong>di</strong> spirituali.Gli iniziati non potevano comunicare a tutti ciò cheavveniva nei Misteri. Soltanto pochi erano in grado <strong>di</strong>operare quella purificazione interiore che si richiede peraccedere ai mon<strong>di</strong> dello spirito. Il popolo or<strong>di</strong>nario nonera in grado né <strong>di</strong> comprendere né <strong>di</strong> far buon uso <strong>di</strong> unacomunicazione <strong>di</strong>retta <strong>di</strong> ciò che l’iniziato aveva vissuto esapeva.Per questo motivo gli iniziati elaborarono per <strong>il</strong> popolotre forme in<strong>di</strong>rette <strong>di</strong> partecipazione agli eventi dei Misteri:14downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


• la prima forma è <strong>il</strong> MITO• la seconda forma è <strong>il</strong> RITO• la terza forma è l’ IMMAGINE ARTISTICANei Misteri troviamo l’origine del mito, del rito cultico edella creazione artistica. Tutti i miti autentici dell’umanitàsono racconti fatti da iniziati per svelare al popolo inmodo velato (ecco <strong>il</strong> paradosso!) ciò che essi avevanovissuto nei mon<strong>di</strong> spirituali durante l’iniziazione. I mitirappresentano sempre un qualche aspetto delle infiniteesperienze spirituali legate all’iniziazione. Il mito è perciòuna creazione artistica fantasiosa, ma del tutto «vera», deltutto fedele alla realtà oggettiva delle esperienze che racconta.Ma non bastava <strong>il</strong> mito, per <strong>il</strong> popolo: ci voleva ancheuna specie <strong>di</strong> imitazione a livello dell’azione, un’imitazioneper così <strong>di</strong>re drammatica o rituale, fatta <strong>di</strong> gesti e <strong>di</strong>azioni, sempre relativi alle esperienze compiute nel mondospirituale. Per questo è stato dato all’umanità <strong>il</strong> ritocultico, l’azione liturgica che è alla sorgente <strong>di</strong> tutte lereligioni.Infine, se uniamo insieme <strong>il</strong> mito che racconta – e sirivolge maggiormente al pensiero – e <strong>il</strong> rito che agisce –operando maggiormente a livello della volontà – abbiamo<strong>il</strong> dramma originario dell’umanità: <strong>il</strong> dramma misteriosofico– che agisce <strong>di</strong>rettamente sul sentimento. La trage<strong>di</strong>a,la forma originaria dell’elemento drammatico, rappresental’incontro del mito col rito: l’elemento <strong>di</strong> racconto, <strong>di</strong>conoscenza, <strong>di</strong>venta azione sulla scena. Ecco perché era15downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


così importante la trage<strong>di</strong>a per i Greci: essa facevaconfluire nell’azione drammatica la sacralità del culto e laverità del mito.Evoluzione dell’arte narrativa: mito, saga, fiaba, storiaAlla ricerca <strong>di</strong> una chiave <strong>di</strong> interpretazione fondamentaleche ci consenta <strong>di</strong> accedere alle gran<strong>di</strong> opere dell’antichità,fra le quali è l’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong>, propongo <strong>di</strong> seguire i quattro gra<strong>di</strong>nifondamentali dell’evoluzione dell’arte narrativa: <strong>il</strong> mito,la saga, la fiaba, la storia.Queste quattro forme esprimono quattro fasi dell’evoluzionedell’umanità intesa quale processo <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidualizzazionedell’essere umano e <strong>di</strong> conquista della libertà:1. la prima fase <strong>di</strong> questo lungo <strong>cammino</strong> è quella incui l’essere umano era ancora immerso nel <strong>di</strong>vino, è <strong>il</strong>tempo del mito, la cui caratteristica è quella <strong>di</strong> porre alcentro una figura <strong>di</strong>vina. Il mito è una narrazione chegravita attorno all’operare <strong>di</strong> esseri <strong>di</strong>vini, dei o dee. L’<strong>uomo</strong>è ancora immerso nel grembo <strong>di</strong>vino che gli dà vita,vive ancora nel «para<strong>di</strong>so» della <strong>di</strong>vinità come <strong>il</strong> bimbonel grembo della mamma;2. <strong>il</strong> secondo gra<strong>di</strong>no viene narrato dalle saghe chepongono al centro non più gli dei, ma i semidei o gli eroi. Ilconcetto <strong>di</strong> semi<strong>di</strong>o va compreso in rapporto all’evoluzioneumana. L’essere umano, a uno sta<strong>di</strong>o ben definitodella propria evoluzione, comincia a <strong>di</strong>staccarsi dalla matriceuniversale <strong>di</strong>vina per <strong>di</strong>ventare sempre più autonomo.16downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


Era soltanto un inizio, però: vigeva un’interazione tra laconduzione <strong>di</strong>vina e <strong>il</strong> primo apparire dell’autonomiaumana. Non c’è modo migliore o più oggettivo <strong>di</strong> denominarequesto essere che <strong>di</strong>re: l’essere umano è, a questosta<strong>di</strong>o evolutivo, un «semi-<strong>di</strong>o». Uno dei genitori è un<strong>di</strong>o, l’altro è già un essere umano, e <strong>il</strong> figlio fa la somma<strong>di</strong> tutti e due.I semidei sono i gran<strong>di</strong> eroi dell’umanità, sono i fondatori<strong>di</strong> religioni, i promotori <strong>di</strong> nuove culture e <strong>di</strong> nuovecomunità sociali: le poleis, le città greche, lo ricorderete,hanno tutte un semi<strong>di</strong>o come fondatore. La <strong>di</strong>fferenzaessenziale tra Ach<strong>il</strong>le e Ulisse, per fare un esempio, èproprio questa: Ach<strong>il</strong>le è ancora un semi<strong>di</strong>o, mentreUlisse è già del tutto un essere umano.Se ci spostiamo dalla Grecia verso l’Asia Minore o laMesopotamia, risalendo ancora più in<strong>di</strong>etro nel tempo, la<strong>di</strong>stinzione fra <strong>il</strong> <strong>di</strong>vino e l’umano si fa ancora più precisa:nella saga <strong>di</strong> G<strong>il</strong>gamesh, <strong>il</strong> primo meraviglioso testo letterarioche posse<strong>di</strong>amo, <strong>il</strong> protagonista viene presentato perdue terzi come <strong>di</strong>o e per un terzo come <strong>uomo</strong>. L’essereumano, fatto <strong>di</strong> pensiero, <strong>di</strong> sentimento e <strong>di</strong> volontà, nonpuò che emanciparsi dal <strong>di</strong>vino dapprima nell’elementodel pensiero. Questo «terzo» del suo essere <strong>di</strong>venta umano,libero e autonomo prima degli altri due.Poi, con l’andar del tempo, si spera (stiamo ancorasperando!) che, in base a questa prima autonomia, l’<strong>uomo</strong>possa gestire sempre più autonomamente anche i proprisentimenti cessando <strong>di</strong> subirli passivamente: è allora chevigono in lui due terzi umani e un terzo <strong>di</strong>vino.17downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


In un <strong>cammino</strong> successivo si tratta <strong>di</strong> governare anchegli impulsi volitivi. In fondo, nel nostro agire (inteso anchecome puro movimento) siamo ancora tutti «<strong>di</strong>vini» perché,tanto per fare un solo esempio, perfino <strong>il</strong> sempliceatto del sollevare un oggetto si sottrae alla nostra normalecoscienza <strong>di</strong>urna. Noi non sappiamo che cosa avviene, <strong>di</strong>fatto, nei muscoli, nelle forze del ricambio, quando afferriamoun oggetto e lo solleviamo. La nostra coscienzaor<strong>di</strong>naria non è in grado <strong>di</strong> comprendere e <strong>di</strong> governaregli impulsi della volontà (pensiamo alla <strong>di</strong>gestione!): in essisiamo ancora dormienti, abbandonati alla saggezza <strong>di</strong>vinache opera in noi attraverso le forze della natura;3. la terza grande fase dell’evoluzione si esprime nellaforma narrativa della fiaba. Le fiabe originarie raccontanoesperienze specificamente umane. La fiaba è sorta dunquepiù tar<strong>di</strong>, quando gli esseri umani cominciarono adoccuparsi maggiormente e centralmente <strong>di</strong> se stessi. Lafiaba parla però <strong>di</strong> un essere umano che ha ancora coscienza<strong>di</strong> vivere in un mondo <strong>di</strong> esseri e realtà spirituali,<strong>di</strong> non appartenere soltanto al mondo fisico.Col sopravvenire del materialismo moderno si persero<strong>di</strong> vista gli dei, sparirono i semidei e gli eroi, si perse nonmeno <strong>ogni</strong> capacità <strong>di</strong> creare fiabe vere e proprie. Lefiabe «moderne» sono state create dalla fantasia che hochiamato arbitraria, non più oggettiva, e per la quale puòandare bene tutto. Le fiabe antiche invece sono veraci,sono oggettive nel senso che esprimono esperienze umaneobiettive, fatte in mon<strong>di</strong> spirituali che sono non menoveri e reali <strong>di</strong> quelli che noi conosciamo.18downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


Pren<strong>di</strong>amo ad esempio le fiabe classiche raccolte daifratelli Grimm: sono <strong>di</strong> una veri<strong>di</strong>cità stupefacente, in<strong>ogni</strong> minimo particolare. Non c’è nulla <strong>di</strong> arbitrario o <strong>di</strong>inventato in esse: sono state percepite nella loro oggettivitàgrazie a un’immaginazione spirituale oggettiva. I primicreatori <strong>di</strong> fiabe raccontavano fedelmente ciò che avevanovisto o vissuto nei mon<strong>di</strong> spirituali. Per questo losforzo <strong>di</strong> interpretazione non sempre è fac<strong>il</strong>e per l’<strong>uomo</strong>d’oggi.Un esempio <strong>di</strong> trapasso dalla saga alla fiaba lo troviamonel Parsifal, nella versione <strong>di</strong> Chrètien de Troyes e ancora<strong>di</strong> più in quella <strong>di</strong> Wolfram von Eschenbach. Wolframnon sapeva leggere, non sapeva scrivere: dovette dettare aun canonico tutto <strong>il</strong> testo (più <strong>di</strong> ventim<strong>il</strong>a versi). E checosa gli dettava? Quello che vedeva nel mondo spirituale!Non c’è nulla <strong>di</strong> inventato arbitrariamente. Per questomotivo Wolfram non era del tutto sod<strong>di</strong>sfatto dell’opera<strong>di</strong> Chrètien de Troyes e <strong>di</strong>ceva che la vera storia era quella<strong>di</strong> Kyot, <strong>il</strong> quale si era rifatto a un certo Flegetanis: entrambiarabi che avevano conoscenza degli eventi cosmicistellari, dove si possono leggere anche gli eventi umaninella loro oggettività;4. l’umanità degli ultimi secoli, orientandosi unicamenteverso <strong>il</strong> mondo fisico, ha creato la forma narrativadella storia vera e propria – che sfocia poi sempre piùnella cronaca –, con un’ancella tutta a modo suo che è lastoriella. Da un lato ci si dà all’osservazione dei fatti e deglieventi che, venendo considerati solo nel loro risvoltoesterno, vengono riconosciuti come oggettivi solo in19downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


quanto esteriormente «documentab<strong>il</strong>i»; dall’altro lato èsorta una fantasia del tutto arbitraria, senza più alcunancoraggio nella realtà: le storielle. Nessuno chiede a unastoriella <strong>di</strong> essere vera, nessuno andrebbe a interpretarlain riferimento alla realtà oggettiva: una storiella, si sa, èsemplicemente inventata.I quattro mo<strong>di</strong> umani <strong>di</strong> concepire <strong>il</strong> <strong>di</strong>vinoPrima <strong>di</strong> venire all’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong> vorrei ancora premettere unaduplice riflessione sull’origine delle mitologie. Nel corso deltempo sorgono mitologie in chiave sia monoteistica, siapoliteistica, sia panteistica; la fase ateistica o materialisticadell’umanità rappresenta la fine delle mitologie. È importante,allora, capire da dove nascono• <strong>il</strong> monoteismo,• <strong>il</strong> politeismo,• <strong>il</strong> panteismo,• l’ateismo.A questo riguardo c’è un gustoso scambio epistolare avvenutofra Goethe e Jacobi. Jacobi era una persona religiosissimae, pur essendo molto amico <strong>di</strong> Goethe, puressendogli affezionato, si preoccupava della sua evoluzioneinteriore, che gli appariva troppo poco religiosa,troppo poco pia. Viceversa Goethe riteneva che l’amico,tutto preso dalla sua teologia metafisica, si perdesse inpure astrazioni. E gli scrisse: «Dio ha punito te con la20downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


metafisica e ha benedetto me con la fisica». Bellissimaquesta espressione! Dio mi ha benedetto con la fisica,cioè con l’amore per la sua creazione, che è la natura.Il 6 gennaio 1813, giorno dell’Epifania, Goethe scriveal suo amico Jacobi queste parole: «Ciò che <strong>di</strong>vide gliesseri umani è <strong>il</strong> modo <strong>di</strong> pensare, ciò che li unisce è <strong>il</strong>modo <strong>di</strong> sentire. Per quanto mi riguarda, considerando lemolteplici <strong>di</strong>mensioni del mio essere [Goethe non avevacerto problemi <strong>di</strong> falsa modestia!], non posso accontentarmi<strong>di</strong> un solo modo <strong>di</strong> pensare. In quanto poeta e artistaio sono un politeista. In quanto scienziato della naturaio sono panteista, e l’uno non meno risolutamente dell’altro.Avendo poi bisogno <strong>di</strong> un Dio unico [quin<strong>di</strong> delmonoteismo], in quanto <strong>uomo</strong> morale, non ho nessunproblema [c’è la religione che insiste a <strong>di</strong>rmi che <strong>di</strong> Dioce n’è uno solo].»Goethe aveva già raggiunto queste altezze duecentoanni fa! Noi oggi arranchiamo ancora per avvicinarci aqueste vette: penso alla teologia che ho stu<strong>di</strong>ato, dove misi <strong>di</strong>ceva che solo <strong>il</strong> monoteismo è giusto. Panteismo epoliteismo sono errori! C’è un solo Dio, quello dei cristiani!E gli altri?, chiedevo io da studente. E tutti gli dei ele dee della Grecia, così belli! Via, tutti via!, tutti al <strong>di</strong>avolo!era la risposta.Goethe afferma che si può essere veri scienziati soloin quanto panteisti, e veri artisti unicamente in quantopoliteisti. Tutto ciò che l’umanità ha detto sul <strong>di</strong>vino nonpuò essere che un prodotto umano! Feuerbach avevaragione nel <strong>di</strong>re che, sì, Dio avrà pur creato l’<strong>uomo</strong> a sua21downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


22immagine e somiglianza, ma quelli erano affari suoi, all’iniziodella creazione. Adesso che noi ci siamo, è nostrocompito creare, cioè concepire Dio a nostra immagine esomiglianza! Che altro possiamo fare? C’è mai stato un<strong>uomo</strong> che ha pensato sul <strong>di</strong>vino con una testa non umana,ma <strong>di</strong>vina? Se Dio ha creato l’<strong>uomo</strong> a sua immagine, <strong>il</strong>Dio che l’<strong>uomo</strong> crea genuinamente a sua immagine nonpotrà far torto al Creatore!Ci sono allora quattro possib<strong>il</strong>ità fondamentali <strong>di</strong> concepire<strong>il</strong> <strong>di</strong>vino, corrispondenti alle quattro <strong>di</strong>mensionifondamentali del nostro essere che sono:– <strong>il</strong> corpo fisico-materiale;– <strong>il</strong> corpo delle forze vitali, che costituiscono la <strong>di</strong>fferenzatra un corpo vivo e un cadavere. Questo corpo <strong>di</strong> forzevitali lo abbiamo in comune con le piante (la scienza dellospirito lo chiama «corpo eterico»);– l’anima, cioè tutti gli affetti e le passioni che costituisconola nostra vita interiore fatta <strong>di</strong> pensieri, <strong>di</strong> sentimentie <strong>di</strong> impulsi volitivi. Gli impulsi dell’anima sonomultiformi, polivalenti, cioè «politeistici» per natura;– l’io, cioè <strong>il</strong> nucleo dell’autoesperienza in quanto essereattivo nel pensiero e nella volontà, è la coscienza <strong>di</strong> sé inquanto spirito vero e proprio, che coor<strong>di</strong>na e guida ciòche è fisico, vitale e psichico. L’esperienza dell’io è pernatura unitaria, «monoteistica».Ve<strong>di</strong>amo ora questi livelli in rapporto al <strong>di</strong>vino:1. Là dove l’essere umano si esperisce interiormentecome un «io», riconduce all’unità i molteplici impulsi cheagiscono nella sua anima: l’esperienza dell’io è, per ecceldownloadedfrom www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


lenza, l’esperienza dell’unità del proprio essere. Se nonfacessimo questa esperienza <strong>di</strong> unità come potremmo,senza mentire, usare la parola «io»? Nessuno <strong>di</strong> noi pensa adue, tre o quattro «io» quando <strong>di</strong>ce «io». Dicendo «io» vivotutto ciò che è in me, pur nella sua molteplicità infinita, nelsuo carattere <strong>di</strong> unità, che è essenziale per l’autoesperienzaumana. Se mi sentissi solo come una molteplicità <strong>di</strong> impulsie mai come un essere unitario che tutti li guida e tutti li hain mano, non sarei in grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>re «io» a me stesso.Le culture umane che nell’economia complessiva dell’evoluzionehanno avuto la missione <strong>di</strong> far sorgere, o <strong>di</strong>priv<strong>il</strong>egiare l’autoesperienza umana dell’io, sono le culturein cui è invalso <strong>il</strong> monoteismo. «Non avrai altro Dio fuori <strong>di</strong>me»: non avrai un altro io oltre al tuo io. Devi ricondurre<strong>il</strong> tuo essere all’unità se non vuoi sentirti interiormented<strong>il</strong>aniato.2. Chie<strong>di</strong>amoci ora: c’è soltanto un essere <strong>di</strong>vino, nelcosmo, o ce ne sono molti? E se ce ne sono molti, sottostannoa qualche «reggimento» unitario? Il popolo greco,che ha saputo conversare con una molteplicità <strong>di</strong> esseri<strong>di</strong>vini, ha vissuto non meno <strong>il</strong> desiderio <strong>di</strong> farli, in qualchemodo, convergere.La paura del caos è insita nell’essere umano: ecco allorache Zeus si affanna per mantenere l’or<strong>di</strong>ne nell’Olimpoanche se poi, <strong>ogni</strong> tanto, gli sfugge qualche <strong>di</strong>o <strong>di</strong> qua,qualche dea <strong>di</strong> là, oppure lui stesso si addormenta e allenta<strong>il</strong> controllo e qualcun altro <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>sce e si ribella… Manell’insieme <strong>il</strong> pantheon greco non è un «chaos» ma un«cosmos» or<strong>di</strong>nato e strutturato.23downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


Il popolo greco, immerso nella realtà psichica del politeismo,ha sì vissuto l’anelito verso l’unitarietà dell’Io, mal’elemento portante nella sua esperienza del <strong>di</strong>vino non èl’unità propria dello spirito bensì la molteplicità delle realtà,delle forze e delle esperienze dell’anima. Dall’esperienzadella pluralità <strong>di</strong> impulsi insiti nel proprio essere d’animasorge, nella contemplazione del mondo, <strong>il</strong> politeismo.Il politeismo è dunque la religione dell’anima, è la descrizionedell’operare <strong>di</strong>vino dentro le multiformi forzedell’anima. Pallade Atena (Minerva) non «simboleggia» leforze del pensiero: è l’essere <strong>di</strong>vino, vero e reale, che ispira<strong>il</strong> pensare umano. Lo stesso vale per <strong>il</strong> rapporto <strong>di</strong> Afro<strong>di</strong>te(Venere) con le forze dell’amore, <strong>di</strong> Era (Giunone)con le forze <strong>di</strong> volontà, e così via.3. Il panteismo, poi, ravvisa <strong>il</strong> <strong>di</strong>vino effuso nella naturacon tutte le sue leggi e le sue forze. Considera per esempiol’elettricità, la gravità, <strong>il</strong> magnetismo come realtà nonpuramente materiali ma <strong>di</strong> origine spirituale e <strong>di</strong>vina.Non <strong>di</strong>stingue tra Dio e natura – deus sive natura, <strong>di</strong>cevaSpinoza – e vede nella natura stessa una realtà <strong>di</strong>vina. Ilpanteismo considera <strong>il</strong> <strong>di</strong>vino sotto l’aspetto dell’onnipresenzaimpersonale delle forze <strong>di</strong> natura.4. Quando poi l’umanità ha perso la comunione conesseri <strong>di</strong>vini <strong>di</strong> natura spirituale (monoteismo), con esseri<strong>di</strong>vini <strong>di</strong> natura psichica (politeismo) e con le forze sovrasensib<strong>il</strong>iall’opera nella natura (panteismo), ha cominciatoad avere esperienza soltanto del mondo fisico ed è sortol’ateismo, cioè la convinzione che non esista alcuna realtàspirituale.24downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


L’identificazione con la propria fisicità ha portatol’<strong>uomo</strong> a collocare nella materia l’origine stessa della «vita»:così ha deificato la materia e, poiché la materia è peritura,ha ucciso <strong>il</strong> <strong>di</strong>vino in sé. Questa autonegazione del<strong>di</strong>vino a partire dall’esperienza <strong>di</strong> sé è l’essenza dell’ateismo,in rapporto al <strong>di</strong>vino, e del materialismo, quale capacità<strong>di</strong> considerare reale solo la materia.Il compito delle varie culture che si sono storicamentesuccedute era <strong>di</strong> volta in volta specialistico: le forze del<strong>di</strong>venire bisogna prima squadernarle una dopo l’altra perpoi esercitarsi, nella seconda parte dell’evoluzione, a integrarletutte insieme, a viverle una dentro l’altra.Il mito: l’<strong>uomo</strong> si avvia all’in<strong>di</strong>pendenzaIl mondo della mitologia è sconfinato e infinitamente appassionante.L’evoluzione umana ha comportato <strong>il</strong> frantumarsidell’umanità, all’inizio unitaria, in tanti esseriin<strong>di</strong>viduali ognuno dei quali è in grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>re «io» a sestesso. I vari miti esprimono vari aspetti <strong>di</strong> questo inesaurib<strong>il</strong>emistero. L’essere umano, all’inizio, era inserito inuna realtà spirituale, animica e corporea comune. Agivanoin lui esseri spirituali; parlava in lui l’anima <strong>di</strong> gruppoumana; e operava in lui la natura, <strong>il</strong> sangue.Pensiamo a tutte le trage<strong>di</strong>e basate sull’ere<strong>di</strong>tarietà delsangue (la stirpe <strong>di</strong> Tantalo, per fare un esempio): destiniinteri determinati dal fatto <strong>di</strong> portare in sé un dato tipo <strong>di</strong>sangue, e poi <strong>il</strong> <strong>cammino</strong> per liberarsene. E<strong>di</strong>po è l’<strong>uomo</strong>25downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


che non riconosce più <strong>il</strong> suo proprio sangue: uccide <strong>il</strong>padre e sposa la madre.La realtà dell’anima è quella comune a tutto un gruppo<strong>di</strong> persone, quella del linguaggio, della cultura. Unitaliano che fosse oggi unicamente prodotto dell’italianità,che esprimesse soltanto ciò che è comune al popolo italiano,non avrebbe nulla <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduale. Sarebbe una puraespressione dell’anima <strong>di</strong> gruppo, della cultura, della lingua,del modo <strong>di</strong> sentire <strong>di</strong> una certa porzione dell’umanità.Quando invece mi chiedo: chi sono io?, non basta <strong>di</strong>reche sono italiano, oppure che sono un membro della talfamiglia, oppure che sono figlio <strong>di</strong> Dio. Figli <strong>di</strong> Dio siamotutti, italiani siamo in tanti, <strong>di</strong> una certa generazione delsangue sono un buon numero <strong>di</strong> miei parenti. Ma chisono io? L’in<strong>di</strong>vidualità, l’io, è ciò che viene aggiunto a <strong>ogni</strong>tipo <strong>di</strong> comunanza.I miti si riferiscono al <strong>cammino</strong> <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidualizzazionedell’<strong>uomo</strong>, descrivono la lotta che l’in<strong>di</strong>viduo deve fareper affrancarsi da tutto ciò che fa parte <strong>di</strong> un gruppo.Pren<strong>di</strong>amo <strong>il</strong> mito del peccato originale nel primo librodella Bibbia, la Genesi: è un mito <strong>di</strong> separazione. Ilpeccato originale in<strong>di</strong>ca l’esperienza del rendersi in<strong>di</strong>pendentinei confronti della <strong>di</strong>vinità.Il mito <strong>di</strong> E<strong>di</strong>po parte dal polo opposto, quello delsangue, della natura. Con un brivido <strong>di</strong> orrore <strong>il</strong> greco <strong>di</strong>trem<strong>il</strong>a anni fa si sentiva <strong>di</strong>re: E<strong>di</strong>po è un essere umanonel quale <strong>il</strong> sangue non parla più! Egli non riconosce suopadre e lo uccide, non riconosce sua madre e la sposa! Il26downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


dove l’essere umano, non ancora in grado <strong>di</strong> autogestirsi,è mosso da un impulso <strong>di</strong> natura, o <strong>di</strong>vino, che lo «travolge»,che lo rende «iracondo».Nell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong>, invece, Ulisse è l’<strong>uomo</strong> che comincia adessere capace <strong>di</strong> autonomia interiore. Egli anticipa <strong>il</strong><strong>cammino</strong> del periodo <strong>di</strong> cultura successivo, quello grecoromano,che vedrà sorgere i gran<strong>di</strong> f<strong>il</strong>osofi e <strong>il</strong> civis romanus.Le due gran<strong>di</strong> epopee omeriche vanno dunque vistel’una come <strong>il</strong> risultato finale <strong>di</strong> un periodo <strong>di</strong> civ<strong>il</strong>tàdell’umanità, l’altra come l’inizio <strong>di</strong> un altro, come unprogramma <strong>di</strong> sv<strong>il</strong>uppo <strong>di</strong> una nuova civ<strong>il</strong>tà. Questachiave fondamentale <strong>di</strong> lettura consente <strong>di</strong> comprenderecorrettamente i contenuti <strong>di</strong> questi testi.Noi ci limiteremo in questi giorni ai canti IX - X - XI -XII dell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong>. Troviamo in essi ciò che Ulisse raccontaai Feaci circa la sua peripezia: Polifemo, Circe, la <strong>di</strong>scesaagli Inferi, le Sirene, Sc<strong>il</strong>la e Carid<strong>di</strong>, l’isola <strong>di</strong> Trinacriacon i vitelli del Sole... Col XII canto termina <strong>il</strong> raccontodel ritorno. Nei primi 12 canti Ulisse è <strong>il</strong> grande girovagomentre gli ultimi 12 li passa a Itaca, a casa.C’è una polarità tra i primi 12 canti e gli ultimi 12. Iprimi 12 narrano la peripezia dell’<strong>uomo</strong> nel macrocosmo,i secon<strong>di</strong> 12 <strong>il</strong> <strong>cammino</strong> <strong>di</strong> esplorazione del microcosmo.Tutto ciò che avviene a Itaca, la lotta con i Proci, rappresentala lotta interiore dell’essere umano con se stesso:ognuna delle figure itacensi va compresa in primalinea come appartenente agli impulsi interni all’essereumano.28downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


A questo proposito è importante ricordare che esistonodue tipi fondamentali <strong>di</strong> mitologie nell’umanità:1. le mitologie dei popoli del nord parlano delle esperienzeche si fanno uscendo fuori da sé per entrare nel macrocosmo.Ne fanno parte tutta la mitologia persiana, tutta lanor<strong>di</strong>co germanica dei Celti. Descrivono esperienze <strong>di</strong>natura estatica;2. le mitologie dei popoli del sud, che comprendono l’in<strong>di</strong>ana,l’egizia e in buona parte la greca, si de<strong>di</strong>cano maggiormentealle esperienze <strong>di</strong> natura mistica, fatte dentrol’interiorità umana, nel mondo del microcosmo.L’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong> rappresenta un primo tentativo <strong>di</strong> unificarele due gran<strong>di</strong> vie delle mitologie: nei primi 12 canti prevalgonole esperienze estatico-macrocosmiche, negli ultimi12 quelle mistico-microcosmiche.Aristotele, nella descrizione della trage<strong>di</strong>a quale via <strong>di</strong>purificazione, in<strong>di</strong>ca due esperienze fondamentali: la paurae la compassione.L’esperienza che fa l’essere umano quando fuoriesceda sé e si espande nelle vastità del macrocosmo è quella<strong>di</strong> una smisurata paura, perché amplia <strong>il</strong> proprio essere adun punto tale da avere l’impressione <strong>di</strong> d<strong>il</strong>uirsi del tutto e<strong>di</strong> perdersi: per questo bisogna prepararsi esercitandosiad anticipare <strong>il</strong> confronto con la paura.Quando invece l’essere umano penetra nei recessi recon<strong>di</strong>tidel proprio essere, nel microcosmo, sente profon<strong>di</strong>ssimavergogna perché viene confrontato con larealtà del proprio egoismo. Il sorgere dell’egoismo è statauna necessità evolutiva, propedeutica all’autonomia: ma29downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


oggi abbiamo già <strong>di</strong> gran lunga oltrepassato la giusta misura<strong>di</strong> amore <strong>di</strong> sé. Ognuno si occupa quasi soltanto <strong>di</strong>se stesso, anche se non lo vuole ammettere. Che cosa ciaiuta a superare l’egoismo eccessivo? È la compassione versoaltri esseri, la seconda esperienza catartica <strong>di</strong> cui parlaAristotele.Possiamo allora <strong>di</strong>re: la prima metà dell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong> trattadei misteri della paura; nella seconda metà l’essere umano,entrando sempre <strong>di</strong> più dentro <strong>di</strong> sé, scopre l’egoismo esi adopera a vincerlo grazie alle forze della compassione.30downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


La saga esoterica <strong>di</strong> ElenaL’ODISSEA ESOTERICARudolf Steiner afferma che nell’antichità la saga <strong>di</strong> Elenaaveva due versioni: una essoterica (per tutti) e una esoterica(riservata agli iniziati). Omero, essendo un iniziato,era a conoscenza del contenuto esoterico, ma nei suoipoemi ci ha dato soltanto la versione essoterica. Veritàessoteriche sono quelle che possono venir comunicate atutti senza danno e senza pericolo che se ne faccia cattivouso. Esoteriche sono invece quelle verità che è lecitocomunicare solo a coloro che hanno compiuto uno specifico<strong>cammino</strong> <strong>di</strong> purificazione interiore, che consenteloro <strong>di</strong> farne buon uso per sé e per gli altri.Euripide accenna alla saga esoterica <strong>di</strong> Elena, che ritroviamoanche nel Faust <strong>di</strong> Goethe. L’opera del tedescoHugo von Hofmannsthal, Elena egizia, si riferisce alla<strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> Elena <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere tra la sua immagine e lasua realtà. Rudolf Steiner riassume <strong>il</strong> contenuto esoterico<strong>di</strong> questa saga, nei suoi tratti fondamentali, in una dellesue conferenze sul Faust: Elena gioca infatti un ruolofondamentale nel Faust <strong>di</strong> Goethe.La saga a noi nota, quella essoterica, <strong>di</strong>ce che Parideandò a Sparta, rapì Elena, moglie <strong>di</strong> Menelao, e se laportò a Troia, a Ilio: gli eserciti greci, con a capo Agamennone,nell’intento <strong>di</strong> aiutare Menelao a riconquistare31downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


Elena, si misero in moto e per <strong>di</strong>eci lunghi anni combatteronoalle porte <strong>di</strong> Ilio finché vinsero e si ripreseroElena.La saga esoterica, invece, presenta le cose in modo <strong>di</strong>verso:gli iniziati sapevano che la storia <strong>di</strong> Elena avevaben altri significati. Mentre era in viaggio con Elena versoTroia, Paride naufragò e fu costretto ad approdare inEgitto. Il faraone si invaghì <strong>di</strong> Elena (giustamente, perchéla sua bellezza è l’elemento importante) e se la tenne persé. A Paride consegnò un’immagine <strong>di</strong> lei, un quadro o,se vogliamo, una fotografia. E Paride dovette accontentarsie tornarsene a Troia con un mero ritratto, senza laElena in carne e ossa.I Greci combatterono – stando alla versione misterica –<strong>di</strong>eci lunghi anni non per la Elena reale, ma per la suamera immagine. Solo alla fine se ne resero conto: cadutaTroia, entrando nelle stanze del palazzo dove Menelaopensava <strong>di</strong> riabbracciare la moglie, ne trovarono soltanto<strong>il</strong> bel ritratto. Venuti a sapere dove era rimasta la veraElena veleggiarono verso l’Egitto. Lì trovarono la veraElena, la realtà della Elena, e la riportarono in patria.L’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong> è profondamente intrecciata con la vicendadell’Iliade. Lo stratagemma decisivo per entrare in Troia, <strong>il</strong>cavallo, venne escogitato dall’eroe dell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong>, da Ulisse.L’iniziato Omero, pur conoscendo <strong>il</strong> contenuto esotericodella storia <strong>di</strong> Elena, non ne fa trapelare nulla. Infatti noi,leggendo le due epopee omeriche, siamo convinti che iGreci abbiano trovato a Troia la vera Elena in carne edossa. È chiaro, allora, che dobbiamo chiederci che cosa ci32downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


33fosse <strong>di</strong> «pericoloso» nella versione esoterica, così daproibirne <strong>il</strong> racconto al popolo.Ebbene, nella versione esoterica è contenuto uno deimisteri più profon<strong>di</strong> dell’evoluzione dell’umanità. Questomistero consiste nel fatto quanto mai tragico e sconcertanteche l’umanità era destinata a perdere, nel periodo <strong>di</strong>cultura greco-romano, <strong>ogni</strong> contatto con la realtà veradello spirito e ne avrebbe conservato solo l’immagine,che è <strong>il</strong> mondo fisico, <strong>il</strong> mondo della «parvenza», dell’apparenzaingannevole, che l’oriente chiamava maya, pura<strong>il</strong>lusione. Per acquisire la libertà interiore, l’essere umanodovette spogliare le sue rappresentazioni, tutte le immaginidella sua fantasia, <strong>di</strong> <strong>ogni</strong> realtà spirituale che sarebbestata cogente secondo le leggi <strong>di</strong> tutto ciò che è reale eoperante.Prima dei Greci, gli esseri spirituali agivano nell’<strong>uomo</strong>e attraverso l’<strong>uomo</strong>. Nella cultura greca nascono <strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofoe l’artista: l’uno e l’altro con un mondo interiore fatto <strong>di</strong>pure immagini che, come tali, non causano nulla e consentonol’esperienza interiore della libertà.Osserviamo com’è ancora oggi <strong>il</strong> nostro pensare: senoi, nei nostri pensieri or<strong>di</strong>nari, avessimo delle realtà veree proprie non saremmo liberi. Quando io penso a unarosa non ho, dentro al pensiero, la rosa vera e propria masolo l’immagine rappresentativa. Quando mando qualcunoal <strong>di</strong>avolo nei miei pensieri non sia mai che lui ci vadaveramente! L’<strong>uomo</strong> è potuto <strong>di</strong>ventare libero soltantoconservando nel suo pensare la sola immagine del reale laquale, appunto perché è pura immagine, pura rappresendownloadedfrom www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


tazione astratta, non può causare nulla. È così che siamoin grado <strong>di</strong> pensare una cosa e <strong>di</strong>rne un’altra, <strong>di</strong> progettareuna serie <strong>di</strong> azioni senza compierle. Nel nostro pensieroabbiamo immagini riflesse, «speculari» (da qui la parola«speculazione»). L’immagine che vedo nello specchio nonè una realtà: non può fare nulla e come tale mi lascia deltutto libero.Col nascere della f<strong>il</strong>osofia, appunto in Grecia, <strong>il</strong> pensareumano ha perso l’esperienza <strong>di</strong>retta della realtà spirituale.Colui che ha vissuto un ultimo residuo <strong>di</strong> realtà nelpensare è stato Platone: le sue idee non sono ancora deiconcetti astratti, non sono ancora le idee <strong>di</strong> Hegel. Se leidee <strong>di</strong> Platone fossero già le idee astratte che abbiamonoi oggi, egli non potrebbe <strong>di</strong>re: le idee sono la vera realtàe le cose che noi ve<strong>di</strong>amo esteriormente sono soltantoun’effimera immagine, un’immagine priva <strong>di</strong> realtà. DopoPlatone, a partire da Aristotele, in fondo viene riconosciutocome realtà soltanto ciò che si vede esteriormente,nel mondo fisico.Anche gli impulsi volitivi, per <strong>di</strong>ventare liberi, dovetterodapprima affrancarsi dalla conduzione <strong>di</strong>retta <strong>di</strong> esserispirituali. Ecco che i Greci hanno instaurato un modo<strong>di</strong> guardare la natura scevro <strong>di</strong> moralità. L’Antico Testamentoè tutto fondato su impulsi morali: i <strong>di</strong>eci comandamentivengono posti a fondamento della vita del popoloebraico. Nell’Iliade, nell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong>, non troviamo considerazioni<strong>di</strong> tipo morale: gli dei omerici non conoscono leggimorali. Non si parla mai del fatto che essi agiscano beneo male da un punto <strong>di</strong> vista morale.34downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


Per ciò che riguarda <strong>il</strong> vero, sorge l’astrazione propriadel pensare; per ciò che riguarda l’agire morale sorgel’arbitrarietà, che non conosce norma moralmente vincolante;per ciò che riguarda <strong>il</strong> bello sorgono i sentimentisuscitati dalla mera parvenza, dalla fantasmagoria delmondo visib<strong>il</strong>e.L’umanità ha dovuto, al tempo dei Greci, perdere nelproprio pensare, nel proprio sentimento e nella volontà larealtà sostanziale dello spirituale al fine <strong>di</strong> conquistare latriplice libertà interiore sia nei pensieri, che nei sentimenti,e nelle decisioni della volontà.35downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


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QUATTRO GRADINI DI DISCESAVERSO LA LIBERTÀL’ultima cultura a vivere nella realtà dello spirituale (e nonnella sua mera immagine visib<strong>il</strong>e) è stata quella che hapreceduto la greca: la cultura egizio-caldaica. È questal’affermazione formidab<strong>il</strong>e della versione esoterica dellasaga <strong>di</strong> Elena: la realtà vera <strong>di</strong> tutto ciò che «appare» comebello (la realtà spirituale <strong>di</strong> «Elena») è rimasta in Egitto e iGreci hanno paradossalmente lottato per instaurare unacultura fondata su quel bello che da sempre osc<strong>il</strong>la traessere e non essere, tra apparizione e parvenza.Supponiamo che <strong>il</strong> mondo visib<strong>il</strong>e sia l’opera <strong>di</strong> artisti<strong>di</strong>vini che creano in modo analogo all’artista umano.Consideriamo ora i vari livelli della realtà e dell’operare <strong>di</strong>un artista, nonché i vari mo<strong>di</strong> nostri <strong>di</strong> venire a contattopiù o meno <strong>di</strong>retto con questa realtà:1. Al livello supremo c’è l’intuizione dell’essere vero eproprio dell’artista, c’è la piena comunione col suo io.Immaginiamo che sia un pittore e che noi siamo in grado<strong>di</strong> metterci in comunione non solo col quadro morto,ormai staccato da lui, ma con la sorgente intima e irraggiantedel suo stesso essere <strong>di</strong> artista creatore.2. A un gra<strong>di</strong>no inferiore si colloca ciò che l’artista cicomunica <strong>di</strong> sé. Supponiamo <strong>di</strong> conversare con lui e cheegli ci <strong>di</strong>ca in che modo compie le sue creazioni artistiche,o quali sta progettando. Ponendoci nell’ascolto della37downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


sua automanifestazione, attingiamo ad una realtà che èmeno centrale al suo essere <strong>di</strong> quanto lo sia l’io creatoreintuito <strong>di</strong>rettamente.3. Ci allontaniamo ancora <strong>di</strong> un passo dall’artistaquando ne consideriamo l’operare verso l’esterno: peresempio possiamo osservarlo mentre <strong>di</strong>pinge. È pur sempreun rapporto col suo essere che, però, non ci si manifestapiù <strong>di</strong>rettamente dal <strong>di</strong> dentro tramite la parola. Neve<strong>di</strong>amo solo la manifestazione esteriorizzata, l’operareper così <strong>di</strong>re «muto» verso l’esterno.4. La massima <strong>di</strong>stanza dall’artista è quella che non ciconsente più alcun rapporto <strong>di</strong>retto con la sua vera epropria realtà. Ciò avviene quando siamo posti (restandoall’esempio del pittore) <strong>di</strong> fronte al quadro ultimato, all’operafissa e morta, senza accesso <strong>di</strong>retto all’artista.Se ciò che ve<strong>di</strong>amo attorno a noi è come un quadro <strong>di</strong>pintoda esseri spirituali, che cosa conosciamo, noi, <strong>di</strong> questiesseri spirituali? Solo l’opera compiuta e morta, ormaiportata al suo termine. Ve<strong>di</strong>amo la natura, l’opera muta <strong>di</strong>esseri spirituali che hanno a loro volta creato da artisti.In termini f<strong>il</strong>osofici, questa descrizione concorda conla quadruplice causalità <strong>di</strong> Aristotele. In un’opera d’artela causa materiale sono i colori, <strong>il</strong> marmo, la creta ecc.; lacausa formale è l’idea creatrice e operante (una Pietà,una Trasfigurazione, un colonnato...); la causa finale è <strong>il</strong>perché dell’opera, lo scopo: per esempio adornare untempio, celebrare un evento, <strong>il</strong> semplice guadagnare oquant’altro. E la causa efficiente è l’artista stesso in quantoessere vero e proprio capace <strong>di</strong> creare.38downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


Noi che siamo gli ere<strong>di</strong> della cultura greca non siamopiù in grado <strong>di</strong> vedere <strong>il</strong> cosmo a livello <strong>di</strong> causa efficiente,né <strong>di</strong> causa finale, né <strong>di</strong> causa formale (Platone è statol’ultimo che ha contemplato <strong>il</strong> cosmo a livello <strong>di</strong> causaformale): ci è rimasta soltanto la causa materiale. In altreparole, ci siamo abituati a vedere «<strong>il</strong> materiale» del cosmocome se ne fosse la sola realtà. Gli Artisti <strong>di</strong>vini non hannosmesso <strong>di</strong> essere reali, ma noi non li conosciamo più, nonviviamo più in comunione con loro.E allora la civ<strong>il</strong>tà greco-latina dove ha lasciato <strong>il</strong> verospirito <strong>di</strong> Elena? L’ha lasciato nel periodo <strong>di</strong> cultura precedente,in Egitto: lì è rimasta la realtà dello spirituale,perché l’umanità potesse avviarsi verso la libertà. La sagaesoterica <strong>di</strong> Elena afferma dunque che l’umanità deve«ripassare per l’Egitto» se vuol ritrovare la realtà veradelle cose, che è lo spirito.L’<strong>uomo</strong> moderno è ormai abituato a conoscere solo laparvenza esteriore del mondo. Gli interessano unicamentele cose «concrete»: quelle che si vedono, si toccano, simangiano... Non immagina nemmeno <strong>di</strong> vivere <strong>di</strong> solaparvenza e <strong>di</strong> dover mettersi a cercare «la vera» realtà.Però faremmo un grosso errore psicologico se pensassimoche <strong>di</strong>re al greco dei tempi omerici che la realtàandava perdendosi avrebbe avuto lo stesso effetto – omeglio, lo stesso non-effetto – che constatiamo oggi.L’<strong>uomo</strong> comune <strong>di</strong> allora sarebbe stato gettato in unabisso <strong>di</strong> <strong>di</strong>sperazione. Il greco non iniziato avrebbe sentitomancarsi la terra sotto i pie<strong>di</strong>. È per questo che <strong>il</strong>risvolto esoterico, quello più profondo e <strong>di</strong> natura morale,39downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


del mito <strong>di</strong> Elena veniva comunicato solo agli iniziati.Ma oggi, con le forze <strong>di</strong> un pensiero <strong>di</strong>venuto veramentelibero, possiamo comprendere che ci è dato <strong>di</strong>superare questo nulla <strong>di</strong> realtà con quella libertà del pensareche conferisce realtà a tutte le cose. Tocca a noi«ripassare per l’Egitto» per riconquistare la realtà spiritualenascosta nel mondo della bellezza visib<strong>il</strong>e, per riconquistarecioè la realtà spirituale <strong>di</strong> Elena meramente simboleggiatanella sua immagine, che è <strong>il</strong> mondo della percezionesensib<strong>il</strong>e. La bellezza esteriore è soltanto l’immagine <strong>di</strong>quella bellezza vera che è lo spirito.Il significato dei nomi e dei luoghi nell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong>L’Ulisse dell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong> ha vinto Troia (città retta da Priamo,re-sacerdote, ultimo rappresentante <strong>di</strong> una cultura <strong>di</strong>stampo orientale) con le forze del pensiero espresse nelcavallo. Ach<strong>il</strong>le, l’<strong>uomo</strong> in cui agisce l’ira <strong>di</strong>vina, muore aTroia e muore con Troia. Il futuro appartiene non all’<strong>uomo</strong>dell’ira, ma all’<strong>uomo</strong> dell’intelletto, della razionalitàche calcola a sangue freddo. Questa trasformazione dellacompagine interiore umana si esprime in modo para<strong>di</strong>gmaticonel nome della moglie – dell’anima stessa – <strong>di</strong>O<strong>di</strong>sseo: Penelope. Ogni figura femmin<strong>il</strong>e – nell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong>come in <strong>ogni</strong> altro testo antico – esprime un qualcheaspetto dell’anima <strong>di</strong> <strong>ogni</strong> <strong>uomo</strong>.Qual è, allora, la realtà animica con la quale O<strong>di</strong>sseo sicongiunge come con sua «moglie» e verso la quale tutta la40downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


sua peripezia tende? Quale realtà viene espressa nel nome<strong>di</strong> «Penelope»?Nell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong>, non meno che in altri testi antichi, i nomisono delle chiavi fondamentali <strong>di</strong> lettura. Nel nome siesprimeva oggettivamente l’essenza, la caratteristica fondamentaledella persona da esso designata. Non è peròsempre fac<strong>il</strong>e cogliere <strong>il</strong> significato dei nomi dell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong>perché spesso non si tratta <strong>di</strong> nomi greci. Molte parolerisalgono a epoche preomeriche.Tutte le parole del linguaggio umano erano, ai primor<strong>di</strong>,«onomatopeiche». Per designare una cosa o un’esperienzasi usavano i suoni che oggettivamente le corrispondevano.Esprimere certi suoni non serviva a «in<strong>di</strong>care»astrattamente qualcosa, ma a far fare l’esperienza realedell’essere <strong>di</strong> quella cosa.Pren<strong>di</strong>amo un esempio dall’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong> stessa: Circe abital’isola Aiaia: che cosa ci <strong>di</strong>ce <strong>il</strong> suono ai ai ai ai... Che èl’isola dei guai! Vivendo interiormente questi suoni, rifacciamol’esperienza che fece Ulisse. È una parola fatta <strong>di</strong>sole vocali, e che perciò si riferisce a una pura esperienzainteriore.La lingua originaria dell’umanità constava <strong>di</strong> do<strong>di</strong>ciconsonanti e sette vocali, come <strong>il</strong> sanscrito, che è <strong>il</strong> piùvicino ad essa: le consonanti sono l’imitazione delle do<strong>di</strong>ciforze plasmanti del cosmo provenienti dallo Zo<strong>di</strong>aco;le sette vocali sono invece i sette mo<strong>di</strong> o moti fondamentalidell’anima (i sette pianeti in movimento), le setteesperienze soggettive originarie: gioia, dolore, stuporeecc.41downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


La parola Aiaia si riferisce esclusivamente al soggettivoanimico. In questo modo ci viene detto già in partenzache, con Circe, O<strong>di</strong>sseo farà delle esperienze principalmenteinteriori, che farà i conti con se stesso.Πηνελοπεια (Penelòpeia): dal greco πηνος (pènos)«tessuto», da cui viene la parola latina pannus = panno,tessuto, e λειπω (lèipo) che significa «sciolgo, d<strong>il</strong>uisco».L’anima <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseo (Penelope) è la grande «scioglitrice <strong>di</strong>tela». Penelope significa «la scioglitela», colei che sempre<strong>di</strong>sfa la tela.I Proci asse<strong>di</strong>avano la moglie <strong>di</strong> Ulisse perché si decidessea risposarsi, visto che <strong>il</strong> marito non accennava atornare. E lei, con la scusa <strong>di</strong> dover prima tessere <strong>il</strong> pannoper le spoglie del padre, rimandava le nozze al giorno incui <strong>il</strong> lavoro sarebbe stato compiuto. Però, <strong>di</strong> giorno tessevae <strong>di</strong> notte <strong>di</strong>sfaceva.Noi, ere<strong>di</strong> della cultura greca, facciamo esattamente lostesso: <strong>di</strong> giorno tessiamo, col nostro pensare astrattom<strong>il</strong>le fantasticherie e le intrecciamo fra <strong>di</strong> loro. Quando ciaddormentiamo ed entriamo nei mon<strong>di</strong> spirituali spariscetutto ciò che c’era nella coscienza or<strong>di</strong>naria. Durante <strong>il</strong>sonno, dei nostri pensieri <strong>di</strong>urni non rimane più nulla.Sono privi <strong>di</strong> realtà, questi pensieri, sono pure rappresentazioni,e perciò nel mondo della realtà spirituale spariscononel nulla. La tela <strong>di</strong> Penelope che si <strong>di</strong>sfa <strong>ogni</strong> notteè quin<strong>di</strong> <strong>il</strong> pensare astratto dell’<strong>uomo</strong> moderno che contienein sé immagini puramente speculari, non più realidell’immagine che si vede nello specchio, che ora «c’è» epoco dopo «non c’è più».42downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


Nei Feaci, ai quali Ulisse narra le sue peripezie, possiamovedere gli abitanti dell’antico continente atlantico,<strong>di</strong> cui parla anche Platone, e che col passar del tempo èstato sommerso dalle acque. Omero li descrive comeesseri che si muovono del tutto sovranamente nell’elementodell’acqua. Le loro navi, più che veleggiare, volanosul mare. Non hanno bisogno <strong>di</strong> remi, e in unasola notte Ulisse viene trasportato dall’isola dei Feaci aItaca, la sua patria.Dove va, dove è <strong>di</strong>retto O<strong>di</strong>sseo? È <strong>di</strong>retto a Itaca= Ιϑακη (Ithàke). Ι−ϑηκη (I-thèke) è «la teca dell’Io»,cioè <strong>il</strong> corpo fisico quale scrigno dello spirito umanoin<strong>di</strong>viduale. La vocale «I» esprime, e non solo nella linguagreca, l’esperienza oggettiva del raggio <strong>di</strong> luce dell’Io inposizione eretta. Di esempi ne potremmo addurre molti:ιδιος (ì<strong>di</strong>os), «<strong>il</strong> singolo»; ιος (ìos), « la freccia»; ιος(ìos), «uno»; ιστηµι (ìstemi), «sto in posizione eretta, miergo»; ιστος (istos), «albero maestro»; ισχυς (iscüs), «forzache oppone resistenza»...Il ritorno in patria <strong>di</strong> Ulisse, in altre parole, è <strong>il</strong> <strong>cammino</strong>evolutivo che è stato percorso dagli esseri umaniper <strong>di</strong>scendere fin nel corpo fisico quale luogo <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduazioneche, solo, rende possib<strong>il</strong>e l’autocoscienza che siritiene separata da altri esseri e autonoma.Purtroppo oggi ha la meglio l’interpretazione dell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong>in termini materialistico-geografici anche se, ormai,secoli <strong>di</strong> analisi omerica dovrebbero averci convinto cheOmero non è comprensib<strong>il</strong>e in base a sim<strong>il</strong>i parametri.Infatti, ora <strong>di</strong>ce che i personaggi sono in occidente, poi,43downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


senza che nessuno si sposti, <strong>di</strong>ce che sono in oriente.Bisognerebbe capire, almeno da queste singolari «contrad<strong>di</strong>zioni»,che non si tratta <strong>di</strong> località geograficheesterne: Itaca non è in primo luogo una data isola delMe<strong>di</strong>terraneo, ma è <strong>il</strong> corpo umano, nel quale ciascuno <strong>di</strong>noi «si isola», appunto, da tutti gli altri esseri. È la patriadell’<strong>uomo</strong> che abita <strong>il</strong> suo corpo come spirito in<strong>di</strong>viduale.Non più l’umanità, non più la stirpe, non più <strong>il</strong> popolosono i miei confini, si <strong>di</strong>ce l’<strong>uomo</strong> Ulisse, ma <strong>il</strong> mio corpo:lì approdo alla patria dell’<strong>uomo</strong> chiamata Itaca, o tecadell’Io.La corporeità terrestre esprime la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> separarcida tutti gli altri esseri. Nei nostri pensieri, invece,non siamo separati gli uni dagli altri. La vicenda dell’io,che si rende in<strong>di</strong>pendente staccandosi da <strong>ogni</strong> gestionedall’esterno, è essenzialmente connessa con l’abitare questateca, questo scrigno, questo corpo fatto <strong>di</strong> materia cheperò è <strong>il</strong> tempio del nostro spirito.Meta del <strong>cammino</strong> umano è dunque l’autonomia dellospirito in<strong>di</strong>viduale: ad esso occorrono un’Itaca, una tecacorporea che isoli l’<strong>uomo</strong>, e una Penelope, un’anima chetessa <strong>di</strong> giorno una tela <strong>di</strong> rappresentazioni prive <strong>di</strong> realtà,che la libertà è sempre in grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>sfare e <strong>di</strong> far sparirenel nulla.44downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


I Lestrìgoni e la formazione dei do<strong>di</strong>ci sensiPartendo dal presupposto che Omero non inventi nullama descriva oggettivamente le varie fasi dell’evoluzioneumana, proviamo a cimentarci con i suoi Cìconi, con iLotofàghi (o Mangiatori <strong>di</strong> loto), <strong>il</strong> ciclope Polifemo,Circe, Sc<strong>il</strong>la e Carid<strong>di</strong>...Iniziamo con la vicenda dei Lestrìgoni, al canto IX: icompagni <strong>di</strong> Ulisse entrano in un ampio porto dall’ingressoangusto, con do<strong>di</strong>ci navi, mentre Ulisse ormeggia fuori lasua nave, la tre<strong>di</strong>cesima. A proposito <strong>di</strong> quante fossero lenavi ci sono <strong>di</strong>verse opinioni: ma è chiaro dal verso 202 delcanto IX che sono do<strong>di</strong>ci più una, quella <strong>di</strong> Ulisse. Mi pareevidente <strong>il</strong> riferimento all’essere solare che percorre i do<strong>di</strong>ciimpulsi cosmici dello Zo<strong>di</strong>aco. Ulisse non può essere unodei do<strong>di</strong>ci: deve essere <strong>il</strong> tre<strong>di</strong>cesimo, <strong>il</strong> rappresentante delSole, come vuole l’esoterismo <strong>di</strong> tutte le antiche culture.Il tre<strong>di</strong>cesimo è <strong>di</strong> natura <strong>di</strong>versa dai do<strong>di</strong>ci, non puòessere messo sullo stesso piano. Infatti, i do<strong>di</strong>ci perisconotutti miseramente e alla fine resta soltanto Ulisse, l’essereumano come tale. Le navi che entrano in porto sonodo<strong>di</strong>ci: Ulisse, con la tre<strong>di</strong>cesima, getta l’ancora fuori. ILestrìgoni scagliano macigni sulle do<strong>di</strong>ci navi e le <strong>di</strong>struggono:Ulisse, e i compagni che sono sulla sua nave,tagliano gli ormeggi e si salvano.La mitologia persiana parla degli Amshaspand o AmeshaSpenta: le do<strong>di</strong>ci forze, sei occulte e sei manifeste,45downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


poste alla base delle do<strong>di</strong>ci (sei doppie) correnti neurosensorialidella sfera cranica.In tempi antichi l’essere umano era visto come dotatonon <strong>di</strong> cinque, ma <strong>di</strong> do<strong>di</strong>ci sensi, con do<strong>di</strong>ci organi <strong>di</strong>senso corrispondenti: questi do<strong>di</strong>ci organi erano inizialmentedelle correnti viventi in connessione <strong>di</strong>retta colcosmo, quali si esprimono, per esempio, nelle corna ramificatedel cervo.Una delle <strong>di</strong>fferenze più importanti tra l’<strong>uomo</strong> el’animale è che nell’animale gli organi <strong>di</strong> senso sonomaggiormente vitalizzati che non nell’<strong>uomo</strong>. L’occhioanimale, per esempio, è maggiormente intriso <strong>di</strong> forzevitali mentre quello umano è pressoché morto. Un grandepasso sulla via dell’umanizzazione dell’<strong>uomo</strong> fu dunquecompiuto quando gli organi <strong>di</strong> senso vennero «mortificati».Se ciò non fosse avvenuto, i nostri sensi sarebberooggi troppo «vitalizzati», troppo «sensib<strong>il</strong>i»: tenderebberoa vivere in se stessi le varie «sensazioni» senzafarsi trasparenti per ciò che l’<strong>uomo</strong> vuol vivere attraverso<strong>di</strong> loro. Oggi l’occhio, <strong>il</strong> nostro organo <strong>di</strong> senso piùperfetto, funziona quasi esattamente come una cameraoscura, è un apparato fisico vero e proprio messo a<strong>di</strong>sposizione della coscienza umana. Prima <strong>di</strong> questatrasformazione gli uomini sentivano per esempio <strong>il</strong> blucome qualcosa che li risucchiava, <strong>il</strong> rosso come qualcosache li assaliva. Il toro non può reagire oggettivamentealla percezione del rosso: la percezione stessa lavora nelsuo organo <strong>di</strong> senso e non lo lascia libero. Perciò, perdesignare questo tipo <strong>di</strong> esperienza riferita agli animali,46downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


sarebbe più esatto <strong>il</strong> termine «sensazione» (azione deisensi), anziché «percezione».Ulisse ripercorre con i Lestrìgoni la grande tappa del<strong>di</strong>venire umano in cui le do<strong>di</strong>ci forze cosmiche della vitapenetrano nel cranio dell’<strong>uomo</strong> e <strong>di</strong>ventano nervi cranici.Ulisse rivede quei do<strong>di</strong>ci vascelli, carichi <strong>di</strong> forze viventi,entrare in un porto dall’imboccatura stretta e poi ampio ecircolare, dalle acque quiete. Qui le do<strong>di</strong>ci forze cosmichedel vivente vengono uccise dall’elemento del minerale: iLestrìgoni buttano giù dagli scogli dei possenti macigni, asignificare l’elemento fisico terrestre che uccide dentro gliorgani umani <strong>di</strong> senso <strong>il</strong> pulsare della vita.Ulisse ora prosegue – come ciascuno <strong>di</strong> noi a partireda quel momento dell’evoluzione – con una dodecuplicemorte in sé: le percezioni sensorie <strong>di</strong>vengono puramentespeculari, morte e passive, al fine <strong>di</strong> lasciarci liberi ne<strong>il</strong>oro confronti, quando <strong>di</strong> fronte alla percezione ci concentriamosul pensiero.47downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


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L’INIZIAZIONE DI ODISSEOL’ira e <strong>il</strong> dolore nel nome «o<strong>di</strong>sseo»Il nome Οδυσσευς (Odüsseus) può essere ricondottofondamentalmente a due verbi: οδυσσοµαι (odüssomai)che significa «mi a<strong>di</strong>ro» e οδυροµαι (odüromai) chesignifica «soffro».Platone affronta la questione dell’origine del linguaggionel suo Crat<strong>il</strong>o. Crat<strong>il</strong>o sostiene che <strong>il</strong> linguaggio èsorto nell’umanità non per via <strong>di</strong> convenzione, ma comeun fatto <strong>di</strong> natura: <strong>ogni</strong> parola è stata creata imitandooggettivamente <strong>il</strong> fenomeno o la cosa che vuole significare,oppure per esprimere l’esperienza che l’<strong>uomo</strong> ne fa. Egli<strong>di</strong>fende la tesi che nel linguaggio umano nulla è arbitrario,ma tutto è oggettivo.Pren<strong>di</strong>amo un esempio dall’italiano, anche se l’italianoè ormai lontano dal linguaggio iniziale: vi pare possib<strong>il</strong>epronunciare la parola «correre» per in<strong>di</strong>care un camminareflemmatico? Non è possib<strong>il</strong>e, perché nell’esperienza cheproduce l’u<strong>di</strong>re questi suoni c’è l’urgere interiormentevissuto della corsa col suo affanno reale. Si sente la spintainiziale e <strong>il</strong> rotolare delle rrrrrrrr!In tedesco, per prendere un altro esempio, c’è <strong>il</strong> verbogehen (ghéhen) che significa «andare»: si sente la resistenzadella terra sotto i pie<strong>di</strong>: ghé-hen, un passo dopo l’altro, sipreme sulla terra. Potrebbe la parola springen (sprìnghen)49downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


50significare «andare»? No! Ascoltiamo bene: sprin… sprin...O potrebbe forse significare «dormire»? No! Questa parolafa svegliare, si vive come uno slancio, un’elevazione!Infatti significa «saltare». Ancora, ascoltate: schlafen… schlafen…(schlàfen, col suono sc come in «sciare»)… qui sìche si può dormire! E infatti schlafen significa dormire. Eperché l’acqua si chiama in tedesco Wasser, e non comeda noi? È perché li al nord l’acqua è più fredda, ti fa rabbrivi<strong>di</strong>re– www, sss, rrr –, mentre noi quando siamo almare, al sole caldo, possiamo <strong>di</strong>stendere le braccia e <strong>di</strong>re:aaa - cquaaa!La tesi del Crat<strong>il</strong>o è dunque che <strong>il</strong> linguaggio originarioera oggettivo, come, del resto, troviamo detto anche nellaBibbia: «All’inizio l’umanità aveva un linguaggio unico»(Genesi, XI,1). Perché? Perché le parole esprimevano oggettivamentela cosa o l’esperienza che in<strong>di</strong>cavano.Una volta, parlando in Sudafrica del linguaggio, esprimevoproprio queste considerazioni sull’oggettività dell’esperienzadei suoni. Un giovane studente della tribù degliOwambo volle mettermi alla prova. Propose <strong>di</strong> pronunciarealcune parole fondamentali della sua lingua (come:Dio, acqua, terra, sole, vento...) invitandomi a intuirne <strong>il</strong>significato fondamentale: accettai, rispondendo che forsenon sarei stato precisissimo. Su circa cinquanta paroleche pronunciò ne azzeccai, anche se talvolta con qualcheapprossimazione, più <strong>di</strong> quaranta, tanto da fargli sospettareche avessi stu<strong>di</strong>ato la sua lingua <strong>di</strong> nascosto! Per mefu una conferma strepitosa della tesi <strong>di</strong> Crat<strong>il</strong>o. Oltre aPlatone devo <strong>di</strong>re che mi sono valso anche delle considedownloadedfrom www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


azioni che fa Rudolf Steiner sulla natura oggettiva deivari suoni del linguaggio.Consideriamo, in questa chiave, <strong>il</strong> nome <strong>di</strong> Ulisse Οδυσσευς(Odüssèus). In esso troviamo i suoni che hannodato origine alle seguenti parole:– οδυς (odüs) da cui <strong>il</strong> latino o<strong>di</strong>um, «o<strong>di</strong>o»: od...d, d,d,... si sente la resistenza «o<strong>di</strong>osa» nella «d» come nellaparola «duro» o «<strong>di</strong>to»;– οδος (odòs), «la via». Anche qui faccio un’esperienza<strong>di</strong> resistenza che mi costringe a prendere posizione: èla posizione del piede che preme sulla terra nel camminare;– οδυνη (odüne) che in greco vuol <strong>di</strong>re «dolore»:anche <strong>il</strong> dolore si vive là dove si incontrano resistenze esi è indotti a resistere;– οδους (odùs), «dente», <strong>il</strong> duro dente che azzanna emorde.Troviamo οδυς sia in οδυσσοµαι (odüssomai) che,come abbiamo già visto, significa «mi a<strong>di</strong>ro», «vado incollera», sia in οδυροµαι (odüromai), «soffro». L’a<strong>di</strong>rarsie <strong>il</strong> soffrire sono due aspetti fondamentali del chiudersi insé, del <strong>di</strong>ventare in<strong>di</strong>viduo libero e autonomo.Il primo ci pone contro tutti gli altri, è <strong>il</strong> fenomenofondamentale dell’egoismo: la capacità <strong>di</strong> porci controtutto <strong>il</strong> resto del mondo, <strong>il</strong> gesto egoico che ci fa trovarenoi stessi. La prima fase della libertà, la cruna dell’agodell’evoluzione, è sempre l’egoismo.51downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


La seconda grande fase è l’amore, che consiste nelsuperamento progressivo dell’egoismo: è la forza che, unpo’ alla volta, vince l’egoismo estendendo l’amore ancheagli altri.L’egoismo è necessario all’evoluzione e ha due aspettifondamentali, dai quali deriva <strong>il</strong> nome, l’essenza <strong>di</strong> «O<strong>di</strong>sseo»:nel rapporto con gli altri, successivo allo smembramentodell’umanità, c’è dapprima l’opposizione tra esseree essere, la resistenza e dunque l’insorgere della collera,dell’ira; successivamente subentra <strong>il</strong> dolore, <strong>il</strong> soffrire nelsentirsi soli e isolati, ma anche grazie alla misericor<strong>di</strong>a ealla compassione che ci fanno immedesimare nella sofferenzaaltrui.Ach<strong>il</strong>le, <strong>di</strong> fronte alla morte <strong>di</strong> Patroclo, prova soloira, non dolore. Ulisse è l’essere umano che <strong>di</strong>ventacapace anche <strong>di</strong> dolore: comincia a sentire in sé l’altraforza dell’egoità, quella che sopraggiunge dopo <strong>il</strong> <strong>di</strong>staccoche ci oppone agli altri. È la forza dell’amore verso glialtri.Dunque O<strong>di</strong>sseo porta nel suo nome sia l’esperienzadella collera, espressa da οδυσσοµαι (odüssomai), sia lacapacità <strong>di</strong> sofferenza dell’οδυροµαι (odüromai): è unessere autonomo perché è in grado <strong>di</strong> soffrire, <strong>di</strong> patire e<strong>di</strong> compatire.Nel nome «O<strong>di</strong>sseo» c’è tutto <strong>il</strong> <strong>cammino</strong> umano, tuttal’evoluzione verso l’io.52downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


Penelope, l’anima pensanteÈ interessante stu<strong>di</strong>are, in Omero, anche l’uso degli aggettivi.Consideriamone tre riferiti a Penelope:• εχε−ϕρων (echèfron)• περι−ϕρων (perìfron)• δαι−ϕρων (daìfron)La parola ϕρων (fron), viene da ϕρην (fren) che significa«<strong>di</strong>aframma», «anima», «cuore», «mente», e la cui ra<strong>di</strong>cetroviamo nel verbo ϕρονεω (penso): è dunque una parola<strong>di</strong> significato complesso. Da essa è derivato anche l’o<strong>di</strong>ernotermine «frenologia». In Omero, la sede del pensiero ènella regione del <strong>di</strong>aframma, nella sfera me<strong>di</strong>ana del sentimento,non in quella della testa. Φρονειν (fronèin,pensare) in greco si riferisce a quel processo incipiente delpensare che si esprime nel sentimento. Penelope è coleiche ha una capacità <strong>di</strong> pensare qualificata e <strong>di</strong>versificatada:1. εχεϕρων (echèfron) = che ha <strong>il</strong> pensare: εχειν (echèin) = avere;2. περιϕρων ( perìfron) = che pensa intorno alle cose: περι (perì) = intorno;3. δαιϕρων (daìfron) = che pensa attraverso, cioè finoin fondo: δαι (daì), omerico per δια = attraverso;53downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


1. Che cosa compiamo con la nostra facoltà <strong>di</strong> «avere» lamente? Esercitiamo la concentrazione: ci poniamo al centro<strong>di</strong> un cerchio, al centro del nostro mondo, al centrodell’universo.2. Che cosa succede quando facciamo «girare intorno»la nostra facoltà pensante? Viviamo nella contemplazione:siamo in un ampio tempio e lo abitiamo contemplandolo.Con <strong>il</strong> nostro pensiero ci poniamo in questo caso contemporaneamenteal centro e alla periferia.3. Infine, quando <strong>il</strong> processo pensante «va da un puntoall’altro tracciando una linea», abbiamo la me<strong>di</strong>tazione:compiamo un percorso che «me<strong>di</strong>a» vari contenuti delpensiero collegandoli tra <strong>di</strong> loro.In queste tre qualifiche date da Omero a Penelope,nell’esperienza stessa delle parole greche, sono espressi itre mo<strong>di</strong> fondamentali <strong>di</strong> pensare.Le sirene ovvero <strong>il</strong> fascino irresistib<strong>il</strong>e del mondo fisicoLe varie stazioni dell’iniziazione <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseo (i Cìconi, iMangiatori <strong>di</strong> loto, <strong>il</strong> Ciclope, Eolo, i Lestrìgoni, Circe, leSirene, Sc<strong>il</strong>la e Carid<strong>di</strong>, le vacche del Sole) rappresentano,come già accennavo, gli sta<strong>di</strong> evolutivi che tutti noi abbiamoattraversato a partire da ciò che la Bibbia chiama lacacciata dal para<strong>di</strong>so terrestre.L’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong> ci parla del nostro passato, da quando abbiamocominciato ad abitare in un corpo fisico (questo èinfatti <strong>il</strong> senso della cacciata dal para<strong>di</strong>so): prima <strong>di</strong> allora54downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


la nostra realtà umana non era ancora frantumata in singoliuomini. Esisteva «l’umanità» unitaria, nessuno <strong>di</strong> noiera ancora un essere in<strong>di</strong>viduale. Abbiamo cominciato a<strong>di</strong>n<strong>di</strong>vidualizzarci proprio congiungendoci con un corpofisico.L’XI canto dell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong> narra la <strong>di</strong>scesa agli Inferi, cioè<strong>il</strong> sorgere nell’umanità del principio dell’iniziazione. Discendereagli Inferi significa venire iniziati ai mon<strong>di</strong> spirituali:venire a contatto con i morti, infatti, significa sperimentare<strong>di</strong>rettamente <strong>il</strong> mondo spirituale. Il post-mortem,<strong>il</strong> regno delle ombre, non è un luogo ma uno stato <strong>di</strong>coscienza che si può sperimentare anche da vivi nel corsodell’iniziazione.Il greco considerava la vita senza <strong>il</strong> corpo come un’esistenza«umbrat<strong>il</strong>e». Aristotele ha ravvisato l’immortalitàdell’anima nella capacità dell’essere umano morto <strong>di</strong> ricordarsidella vita trascorsa nel corpo: solo in questoriferimento al corporeo egli vedeva la possib<strong>il</strong>ità dell’immortalità.Anche per lui la vita senza <strong>il</strong> corpo non è unavita piena. Il greco ha lottato molto profondamente colmistero della morte e l’<strong>uomo</strong> d’oggi lo ha reso ancora piùdrammatico perché la scienza moderna, coerente nelmaterialismo, non può immaginare un’esplicazione <strong>di</strong>facoltà spirituali e animiche senza <strong>il</strong> corpo, e dunqueritiene implicitamente che dopo la morte ci sia <strong>il</strong> nulla.Conclusa la <strong>di</strong>scesa agli Inferi, nel XII canto O<strong>di</strong>sseotermina <strong>il</strong> suo racconto ai Feaci: in esso viene descrittal’evoluzione degli ultimi m<strong>il</strong>lenni, fino al tempo <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseostesso.55downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


Nell’evoluzione non esistono scansioni arbitrarie deltempo e della storia. Osservando <strong>il</strong> rapporto inscin<strong>di</strong>b<strong>il</strong>eche c’è tra macrocosmo e microcosmo si possono delimitareperio<strong>di</strong> specifici con caratteri <strong>di</strong> volta in volta <strong>di</strong>versi.Il Sole impiega 25.920 anni (<strong>il</strong> noto anno platonico) percompiere un giro <strong>di</strong> 360°, cioè l’intero cerchio dello Zo<strong>di</strong>aco.Ogni grado corrisponde dunque a una percorrenzalunga 72 anni, che è anche la vita me<strong>di</strong>a dell’<strong>uomo</strong>(25.920 : 360 = 72).Ciò significa che <strong>ogni</strong> 72 anni <strong>il</strong> Sole sorgerà arretrato<strong>di</strong> un grado al momento dell’equinozio <strong>di</strong> primavera (precessionedegli equinozi). Poiché <strong>ogni</strong> segno si estende per30° nel cerchio dello Zo<strong>di</strong>aco (360° : 12 = 30°), <strong>ogni</strong>2.160 anni (72 x 30 = 2.160) <strong>il</strong> Sole sorgerà in un segno<strong>di</strong>verso al passaggio dell’equinozio <strong>di</strong> primavera. Il tempoin cui <strong>il</strong> Sole <strong>di</strong>mora in un segno zo<strong>di</strong>acale rappresentauna unità evolutiva nel senso che le con<strong>di</strong>zioni sia geografico-climatiche,sia culturali, hanno per tutto queltempo un carattere unitario. Quando <strong>il</strong> Sole passa nelsegno successivo si verifica un mutamento profondo <strong>di</strong>tutte le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita sulla Terra, e si può con ragioneparlare <strong>di</strong> un nuovo periodo <strong>di</strong> cultura, <strong>di</strong>verso dal precedente.Seguendo a ritroso <strong>il</strong> percorso che <strong>il</strong> Sole ha compiutonegli ultimi m<strong>il</strong>lenni, troviamo alla data 1413 d.C. l’ingressodel Sole nel segno dei Pesci: esso inaugura <strong>il</strong> periodo<strong>di</strong> cultura attuale che durerà fino al 3573 d. C.(1413+2160 = 3573). Va naturalmente tenuto conto delfatto che tutti i trapassi evolutivi sono graduali: in chiave56downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


<strong>di</strong> preparazione i pionieri dell’evoluzione devono anticipareciò che gli altri conseguiranno più tar<strong>di</strong>; in chiave <strong>di</strong>necessaria controforza da offrire al nuovo ci devonoessere anche i conservatori ritardatari che si abbarbicano aciò che è ormai <strong>di</strong>ventato anacronistico.Nell’epoca precedente la nostra <strong>il</strong> Sole sorgeva nell’Ariete,e i 2160 anni che corrispondono alla sua durata ciportano dal 1413 d.C. al 747 a.C., anno della fondazione <strong>di</strong>Roma. In questo periodo, come sappiamo, sono stati culturalmentealla guida prima <strong>il</strong> popolo greco e poi quelloromano. Nei 2160 anni ancora precedenti, quando <strong>il</strong> Solesorgeva nella costellazione del Toro, erano culturalmentealla guida i popoli caldeo, assiro, bab<strong>il</strong>onese ed egizio. Altempo in cui <strong>il</strong> Sole sorgeva nella costellazione dei Gemellifu <strong>il</strong> popolo paleo-persiano a guidare spiritualmente l’umanitàe durante la costellazione del Cancro la guida spiritualefu nelle mani del popolo paleo-in<strong>di</strong>ano.La prima prova <strong>di</strong> Ulisse – quella del canto ammaliantedelle Sirene – si riferisce al carattere comune <strong>di</strong> tutti questiperio<strong>di</strong> <strong>di</strong> cultura, <strong>il</strong> cui compito fu quello <strong>di</strong> inserire l’essereumano sempre più profondamente nel mondo dellamateria. La cultura in<strong>di</strong>ana – intrisa <strong>di</strong> ricor<strong>di</strong> e <strong>di</strong> nostalgiadei tempi in cui gli esseri umani vivevano nel mondospirituale – chiama «maya», <strong>il</strong>lusione, <strong>il</strong> mondo fisico che,però, le culture seguenti dovranno imparare a prenderesul serio come luogo d’acquisizione dell’autonomia edella libertà umane.Il canto delle Sirene esprime dunque l’ammaliamento,l’attrattiva irresistib<strong>il</strong>e esercitata dal mondo fisico. La57downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


voce delle Sirene è <strong>il</strong> fascino del mondo materiale checaratterizza tutta l’evoluzione a partire da quando <strong>il</strong> Solesorse a primavera per l’ultima volta nel Cancro. Precedentementegli esseri umani vivevano più nel mondospirituale che in quello fisico.All’inizio del canto XII Ulisse racconta l’incontrocon l’indovino Tiresia, avvenuto negli Inferi. Perché proprioun indovino? Perché essere iniziati significa acquisirela capacità <strong>di</strong> anticipare l’avvenire in base all’interpretazionedel passato: «indovinare» significa, cioè, capirele leggi fondamentali dell’evoluzione passata e futura. Ilkarma, o destino, funziona come la semina e <strong>il</strong> raccolto:come faccio a sapere come e quando sarà <strong>il</strong> raccolto? Loso nella misura in cui comprendo la natura del ciclovegetale.Ciò non contrad<strong>di</strong>ce <strong>il</strong> fatto che ci siano tanti fattoriimpreve<strong>di</strong>b<strong>il</strong>i – per esempio una gran<strong>di</strong>ne che <strong>di</strong>strugge <strong>il</strong>raccolto. Il grande fattore impreve<strong>di</strong>b<strong>il</strong>e dell’evoluzione èla libertà umana: l’esito finale del <strong>cammino</strong> evolutivo èlasciato aperto alla libertà <strong>di</strong> ognuno, anche se le «leggi »dell’evoluzione sono valide per tutti, come la legge cheregola <strong>il</strong> rapporto tra la semina e <strong>il</strong> raccolto.O<strong>di</strong>sseo è allora colui che passa in rassegna tutto <strong>il</strong>trascorso dell’evoluzione umana in modo tale da trarne laconoscenza dei tratti fondamentali dell’avvenire. La suainiziazione, la <strong>di</strong>scesa agli Inferi, consiste nel fatto cheTiresia, l’indovino che guarda nel futuro, gli <strong>di</strong>ce quelloche dovrà accadere in futuro in base a ciò che è già accadutonel passato.58downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


Anche Circe è in grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>rgli ciò che avverrà in futuro:Tu però ascolta efa’ come io ti <strong>di</strong>rò: te lo ricorderà anche un <strong>di</strong>o.(XII, 37-38) 1Con questo la profetessa Circe gli <strong>di</strong>ce: quando ciò che ti<strong>di</strong>co si avvererà, la parte <strong>di</strong>vina <strong>di</strong> te, poiché ormai sei statoiniziato, ti ispirerà e tu saprai che cosa devi fare per <strong>il</strong> futuro,saprai esercitare presenza <strong>di</strong> spirito <strong>di</strong> fronte agli eventi.Tu arriverai, prima, dalle Sirene, che tuttigli uomini incantano, chi arriva da loro. (XII, 39-40)Non incantano tutti gli uomini, bensì tutti quelli che arrivanoda loro. È l’Occidente che ha fatto i conti col mondodella materia: l’Oriente vi ha sempre fatto resistenza,chiamando la materia pura <strong>il</strong>lusione.A colui che ignaro s’accosta e ascolta la vocedelle Sirene, mai più la moglie e i figli bambinigli sono vicini, felici che a casa è tornato,ma le Sirene lo incantano con limpido canto,adagiate sul prato: intorno è un gran mucchio <strong>di</strong> ossa<strong>di</strong> uomini putri<strong>di</strong>, con la pelle che si raggrinza.Perciò passa oltre: sulle orecchie ai compagni impastae spalma dolcissima cera, che nessuno degli altri1 Il testo <strong>di</strong> riferimento è: Omero <strong>O<strong>di</strong>ssea</strong>, vol. III, Introduzione, testoe commento a cura <strong>di</strong> Alfred Heubeck, traduzione <strong>di</strong> G. AurelioPrivitera - 6 voll. - Fondazione Lorenzo Valla/Arnoldo MondadoriE<strong>di</strong>tore, 1988.59downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


le senta. Tu ascolta pure, se vuoi:mani e pie<strong>di</strong> ti leghino nella nave veloceritto sulla scassa dell’albero, ad esso sian strette le funi,perché possa u<strong>di</strong>re la voce delle Sirene e goderne.Se tu scongiuri i compagni e coman<strong>di</strong> <strong>di</strong> scioglierti,allora dovranno legarti con funi più numerose.(XII, 41-54)L’essere umano si accosta ignaro alle Sirene quando non haancora compreso che <strong>il</strong> mondo visib<strong>il</strong>e non è automaticamenteamico dell’<strong>uomo</strong>, ma che può esserne anche <strong>il</strong>nemico. Nel mondo materiale non c’è solo da vincere: sipuò anche perdere. L’<strong>uomo</strong> deve perciò imparare che, se siriduce a processi <strong>di</strong> natura, perde la sua umanità.L’essere umano è ben altro che una somma <strong>di</strong> meccanismie determinismi <strong>di</strong> natura: è la vittoria su <strong>di</strong> essi. Maper poterli vincere, bisogna che ci siano! Viverci dentroper vincerli, non scappare e non lasciarsi schiacciare:questo è <strong>il</strong> compito della libertà umana.Che cosa <strong>di</strong>ranno allora le Sirene a Ulisse?Vieni, celebre O<strong>di</strong>sseo, grande gloria degli Achei,e ferma la nave, perché <strong>di</strong> noi due possa u<strong>di</strong>re la voce.Nessuno mai è passato <strong>di</strong> qui con la nera navesenza ascoltare dalla nostra bocca <strong>il</strong> suono <strong>di</strong> miele,ma egli va dopo averne goduto e sapendo più cose.Perché conosciamo le pene che nella Troade vastasoffrirono Argivi e Troiani per volontà degli dei;conosciamo quello che accade sulla terra ferace.(XII, 184-191)60downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


In questo «canto delle Sirene» vengono assommate letentazioni offerte all’essere umano grazie al vivere nelmondo fisico. «Ferma la nave» sta a <strong>di</strong>re: arresta <strong>il</strong> tuo<strong>cammino</strong>, termina <strong>di</strong> evolverti, lasciati in tutto e per tuttocausare dal mondo fisico. Le Sirene sono qui «ridotte» adue, a in<strong>di</strong>care la polarità <strong>di</strong> fondo dell’essere umano,fatto <strong>di</strong> pensiero e <strong>di</strong> volontà: la sua capacità <strong>di</strong> conosceree <strong>di</strong> trasformare <strong>il</strong> mondo. Se si lascia ammaliare dallaloro voce, Ulisse lascia far tutto alla natura sia nel suopensiero – rendendolo puramente speculare e meccanico– sia nella sua volontà – lasciandola al livello puramenteistintivo, specifico dell’animale.«Nessuno mai…»: non esiste evoluzione umana senzafare i conti col mondo della materia. Tutto sta nel modo incui ognuno si pone e agisce nei suoi confronti. Come <strong>il</strong>serpente biblico del para<strong>di</strong>so terrestre ad Adamo ed Eva,così le Sirene promettono a O<strong>di</strong>sseo <strong>il</strong> dono della conoscenza:egli potrà procedere oltre «sapendo più cose». Lavicenda della caduta, la <strong>di</strong>scesa nella materia, serve a far<strong>di</strong>stinguere <strong>il</strong> bene dal male, rendendo così possib<strong>il</strong>e lalibertà <strong>di</strong> scelta. Le Sirene (v. 191) si <strong>di</strong>cono esperte in ciòche viene generato (γενηται, ghènetai) dentro all’essereumano grazie al suo vivere sulla Terra, che è ferace, doviziosa<strong>di</strong> doni (πουλυβοτειρη, pulübotèire).L’albero maestro al quale O<strong>di</strong>sseo deve restare fermamenteancorato è la spina dorsale del corpo fisicoquale tempio dell’essere umano-<strong>di</strong>vino che ognuno <strong>di</strong> noiè. Quando noi al risveglio «leghiamo» la nostra coscienzaalla spina dorsale, <strong>di</strong>ventiamo coscienti <strong>di</strong> noi stessi e del61downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


mondo. Circe <strong>di</strong>ce a Ulisse che per superare la provadelle Sirene deve mantenere la coscienza desta. Quandoci stacchiamo dall’albero maestro, ci addormentiamo.L’autocoscienza desta ci consente l’esperienza della forzaautonoma dell’io.L’insegnamento dato a Ulisse per affrontare la vicendadel mondo fisico è: non scappar via, non turarti le orecchie,affronta la realtà della Terra, ma con la forza dellalibertà autocosciente. Guai a te se ti stacchi dall’alberomaestro, dal supporto del sistema neurosensoriale che tidà la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> prendere coscientemente posizione <strong>di</strong>fronte ai fenomeni del mondo.E che cosa sono le funi che lo devono tener legato alpalo, allora come oggi? I compagni <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseo rappresentanola molteplicità degli impulsi dell’anima presenti in<strong>ogni</strong> essere umano: affetti, brame, sentimenti, passioni,paure... O<strong>di</strong>sseo è l’io, e <strong>di</strong> io ce n’è uno solo. La vicendadel poema è anche la vicenda dell’interazione tra O<strong>di</strong>sseoe i compagni: è l’evoluzione dell’io umano nel suo intento<strong>di</strong> padroneggiare le forze animiche dentro <strong>di</strong> lui. I compagnie le loro azioni sono, così visti, <strong>di</strong>mensioni dell’unicoessere <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseo, dell’essere umano.Retrocedendo <strong>di</strong> circa 9.000 anni, troviamo <strong>il</strong> Sole chesorge a primavera nel segno del Cancro. Ci fu allora unagrande svolta nell’evoluzione, un nuovo grande inizio,espresso dalla «inversione <strong>di</strong> marcia del Sole», che sta ain<strong>di</strong>care come una creazione dal nulla. L’emblema delCancro, con le sue due <strong>di</strong>rezioni opposte senza soluzione<strong>di</strong> continuità, con un vuoto tra una <strong>di</strong>rezione e l’altra,62downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


vuol in<strong>di</strong>care proprio questo. La cultura-guida a queitempi fu, come ho già accennato, quella sorta sul territoriodell’In<strong>di</strong>a.Il nuovo grande inizio fu dovuto al fatto che, a partire daallora, l’umanità ebbe <strong>il</strong> compito <strong>di</strong> venire alle prese colmondo fisico. Nel periodo in<strong>di</strong>ano del Cancro ciò avvennedapprima, come <strong>di</strong>cevo, con profonda esitazione,anzi con paura nei confronti del mondo fisico, nonchécon una profonda nostalgia del mondo spirituale cheandava scomparendo dall’esperienza umana, a mano amano che ci si sentiva cacciati dal para<strong>di</strong>so. Nell’epocasuccessiva, quella dei Gemelli condotta dal popolo paleopersiano,<strong>il</strong> grande Zarathustra insegnò agli esseri umania non più temere, ma ad amare <strong>il</strong> mondo della materia.Poi venne <strong>il</strong> periodo del Toro, poi quello dell’Ariete…come l’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong> ci sta per narrare.Torniamo alle funi che ci tengono legati all’albero dellaspina dorsale: esse sono i fasci dei nervi che sono allabase dei processi <strong>di</strong> coscienza. Altri fasci <strong>di</strong> nervi lungo laspina dorsale sono alla base del sistema nervoso simpatico,che non siamo ancora in grado <strong>di</strong> portare a coscienza.Ciò avverrà nel <strong>cammino</strong> successivo della nostra evoluzione:in futuro, <strong>di</strong>venteremo capaci <strong>di</strong> in<strong>di</strong>pendenza non63downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


soltanto nel pensiero, ma anche nella sfera del sentimento(grazie ai fasci <strong>di</strong> nervi me<strong>di</strong>ani) e nella volontà (grazie aifasci <strong>di</strong> nervi ancora più bassi).Questi testi, a mano a mano che li riscopriremo inchiave scientifico-spirituale, con la precisione <strong>di</strong> unascienza dello spirito degna dei tempi moderni, <strong>di</strong>venterannofonte ispiratrice <strong>di</strong> creazioni artistiche senza fine.Ogni artista può fare dell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong> un suo para<strong>di</strong>so, perchéimmagini più belle e più ricche è <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e trovarle. Essesono vere, belle e buone a un tempo perché esprimonooggettivamente <strong>il</strong> <strong>cammino</strong> che rende l’<strong>uomo</strong> sempre più«buono», cioè sempre più umano.Sc<strong>il</strong>la e Carid<strong>di</strong> ovvero la polarità fra la testa e le viscereNel secondo periodo <strong>di</strong> cultura a cui accennavo, quellopaleopersiano, è sorto nell’umanità <strong>il</strong> principio delladualità. Zarathustra riconduce <strong>ogni</strong> fenomeno all’operaredella luce e della tenebra: Ahura Mazda (Ormuzd) eAngrya Mayniu (Arhiman), <strong>il</strong> bene e <strong>il</strong> male. Mentre gliantichi in<strong>di</strong>ani del primo periodo postatlantico vivevanonella nostalgia del mondo spirituale, gli antichi persianihanno cominciato a sperimentare la tensione tra spiritoe materia come favorevole all’evoluzione. È <strong>il</strong> periodo<strong>di</strong> cultura dei Gemelli, delle gran<strong>di</strong> polarità della vita:64downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


65Nell’episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Sc<strong>il</strong>la e Carid<strong>di</strong>, Ulisse deve imparare apassare in mezzo a due scogli, a due pericoli mortali, evitandosia l’uno sia l’altro. Se avessimo più tempo potremmovedere come tutti i particolari <strong>di</strong> Sc<strong>il</strong>la e Carid<strong>di</strong> <strong>di</strong>ventinosignificativi se interpretati in chiave <strong>di</strong> fisiologia.Ciò non significa che Sc<strong>il</strong>la e Carid<strong>di</strong> in<strong>di</strong>chino soltantouna polarità corporea che è in noi: si riferiscono anche atutte le polarità dell’anima e dello spirito. Il greco nonviveva la realtà del corpo come qualcosa <strong>di</strong> separatodall’anima e dallo spirito. Non conosceva <strong>di</strong>cotomia traspirito e materia: ciò che viveva a livello corporeo era alcontempo un’esperienza dell’anima e dello spirito.Nella realtà corporea, la polarità fondamentale è quelladella testa e dello stomaco. Tramite la testa si svolgono iprocessi <strong>di</strong> coscienza e nello stomaco avvengono i processivitali. Quando noi pensiamo ucci<strong>di</strong>amo forze vitalinel nostro corpo, e quando rigeneriamo le forze vitalipossiamo farlo solo <strong>di</strong>minuendo la forza pensante, comedurante una laboriosa <strong>di</strong>gestione o durante <strong>il</strong> sonno.«Sc<strong>il</strong>la» si riferisce ai processi della testa. In inglese c’èproprio una parola che deriva da Sc<strong>il</strong>la e ha lo stessosignificato: skull (cranio), in ebraico shahal. Carid<strong>di</strong> è <strong>il</strong>metabolismo: <strong>di</strong> essa viene detto che tre volte al giornosucchia tutto e poi rimanda fuori. Sono i tre pasti quotidownloadedfrom www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


<strong>di</strong>ani ingeriti e <strong>di</strong>stribuiti a tutte le propaggini del corpo.A O<strong>di</strong>sseo viene detto: tieniti piuttosto dalla parte <strong>di</strong>Sc<strong>il</strong>la – perché solo nella testa, nell’elemento del pensiero,noi siamo liberi. E Ulisse, <strong>di</strong>versamente da Ach<strong>il</strong>le tuttopreso dall’ira, è l’essere umano in cui nasce l’elemento delpensiero e che si consulta con Pallade Atena, la dea dellasaggezza cosmica che si fa pensiero umano dentro allanostra testa, grazie a «Sc<strong>il</strong>la».Parlando della polarità testa-metabolismo, ci riferiamoalla realtà corporea; se consideriamo la polarità tra coscienzae vita, ci riferiamo all’anima; se, infine, vogliamoin<strong>di</strong>care l’alternanza fondamentale che vive <strong>il</strong> nostro spirito,dobbiamo riferirci alla polarità che c’è tra la veglia e<strong>il</strong> sonno.L’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong> richiede un’interpretazione che comprendatutti questi livelli, quin<strong>di</strong> non univoca: essa deve essere daun lato la più vasta possib<strong>il</strong>e, dall’altro la più precisa, ingrado <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere anche i minimi particolari.Circe <strong>di</strong>ce, a proposito <strong>di</strong> Sc<strong>il</strong>la:Dall’altro sono due scogli: uno con la vetta aguzzaarriva al vasto cielo, l’avvolge una nuvola scurache mai si <strong>di</strong>sperde: mai l’aria è limpidaintorno alla cima, d’estate o d’autunno.Un <strong>uomo</strong> mortale non potrebbe scalarla o salirvineppure se mani e pie<strong>di</strong> ne avesse venti. (XII, 73-78)Vedete come qui è inesatta la traduzione? Trattandosidella testa, l’aggettivo giusto è «acuta», non aguzza. Ma sesi crede che Omero stia descrivendo un paesaggio della66downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


natura esterna all’<strong>uomo</strong>, è inevitab<strong>il</strong>e sbagliare! Οξυς(oxüs) in greco vuol <strong>di</strong>re «acuto». Questa vetta acuta «arrivaal vasto cielo»: sono i nostri pensieri che arrivano alcielo, allo spirituale. La luce dei pensieri è ottenebrataperò dalla maya, dal mondo visib<strong>il</strong>e: la vera luce non è <strong>di</strong>natura fisica, ma è sovrasensib<strong>il</strong>e. Solo chi percepisce laluce spirituale delle idee («idea» è parente del latino video,«vedo») si accorge <strong>di</strong> essere avvolto dalla nube scura egraveolente del mondo fisico. «Mai l’aria è limpida intornoalla cima»: se così non fosse, vedremmo <strong>il</strong> mondo spirituale.Ma solo intorno alla cima non è limpida: ciò vuol <strong>di</strong>reche la percezione e la conoscenza del fisico-visib<strong>il</strong>e, cheavviene «alla base del picco», va facendosi <strong>di</strong> contro semprepiù nitida, precisa e, <strong>di</strong>remmo oggi, scientifica.Sette qualità <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseoDiamo ora uno sguardo agli attributi <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseo, <strong>di</strong> coluiche già nel nome, l’abbiamo visto, esprime l’esperienzadell’o<strong>di</strong>o, dell’opposizione, quali presupposti per <strong>di</strong>ventareliberi e autonomi. Ciò vale anche per l’esperienza deldolore.Ogni aggettivo qualificativo che riguarda O<strong>di</strong>sseo ècomposto dall’aggettivo πολυς (polüs, neutro πολυ,polü, usato anche come avverbio) seguito da un sostantivo.Πολυς significa «molto» e sta ad in<strong>di</strong>care la poliedricità,la versat<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseo. Egli non è un essere umano asenso unico. Il suo impulso è quello della libertà ed essere67downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


liberi significa essere capaci <strong>di</strong> muoversi nelle più svariate<strong>di</strong>rezioni... πολυ (polü). Le gran<strong>di</strong> mancanze o carenzedell’essere umano sono le sue parzialità e le sue omissioni.O<strong>di</strong>sseo vive nella pluralità (ve<strong>di</strong> <strong>il</strong> latino plus) propriadella libertà e delle sue vie sempre tutte aperte.Di Ulisse viene detto che è:1. πολυ−µητις (polü-metis) dal pluriforme ingegno,pieno <strong>di</strong> intuizioni;2. πολυ−αινος (polü-ainos) molto lodato, moltoapprezzato dagli uomini, stimato come degno <strong>di</strong>imitazione;3. πολυ−µηχανος (polü-mèchanos) dalle molte tecniche,dai multiformi espe<strong>di</strong>enti, dall’ingegno inesaurib<strong>il</strong>e;4. πολυ−τλας (polü-tlas) dalla molta sopportazionee perseveranza, tetragono ai colpi <strong>di</strong> sventura;5. πολυ−τροπος (polü-tropos) dalle molte <strong>di</strong>rezionie vie d’uscita, dalle infinite «trovate»;6. πολυ−στονος (polü-stonos) dai molti lutti, cherimpiange molte per<strong>di</strong>te e piange per molti <strong>di</strong>stacchi;7. πολυ−ϕρων (polü-fron) dal molto senno, pieno<strong>di</strong> saggezza e <strong>di</strong> sagacia.1. Iniziamo da πολυ−µητις: µητις ha la stessa origine<strong>di</strong> «mente», mens (lat.), µηδοµαι (mèdomai) «me<strong>di</strong>tare»,«misurare», me<strong>di</strong>tor (lat.). Da qui viene la parola me<strong>di</strong>tazione,che è un percorrere col pensiero un passo dopol’altro. O<strong>di</strong>sseo è colui che esercita un pensare me<strong>di</strong>tativo,68downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


misurato e <strong>di</strong>scorsivo, che conosce sia la meta sia la viada percorrere in tutti i minimi passi.Πολυ−µητις ricorre solo tre volte nell’Iliade e ben 68nell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong>. È usato soltanto per Ulisse, perché è ciò chepiù essenzialmente lo caratterizza: <strong>il</strong> sorgere nell’essereumano della forza pensante che crea i vari nessi logici chevanno da un pensiero all’altro, che connettono una cosacon un’altra;2. πολυ−αινος , «molto lodato»: ricorre nell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong>una volta sola perché per l’essere umano che <strong>di</strong>ventalibero è molto secondario l’essere lodato dal <strong>di</strong> fuori, daaltri. Ciò <strong>di</strong> cui si tratta è la forza che scaturisce dall’internodell’essere, in<strong>di</strong>pendentemente dal fatto che venga da altr<strong>il</strong>odato, riconosciuto o biasimato. Il fatto però che altri lolo<strong>di</strong>no <strong>di</strong>ce qualcosa su <strong>di</strong> loro: testimonia la loro stima e laloro aspirazione verso ciò che Ulisse ha già esemplarmenteconseguito;3. πολυ−µηχανος viene da µηχανη (mechané),«meccanismo», da cui è derivato <strong>il</strong> nostro termine «macchina».È la capacità <strong>di</strong> elaborare una strategia, un pianod’azione. Se πολυ−µητις si riferisce alle intuizioni della«immaginativa morale», πολυ−µηχανος in<strong>di</strong>ca quella«tecnica morale» <strong>di</strong> cui c’è bisogno per concretamenterealizzare in seno al mondo visib<strong>il</strong>e gli ideali morali checoncepiamo.Πολυ−µηχανος è dunque l’essere umano versat<strong>il</strong>enell’elaborare piani concreti <strong>di</strong> azione che gli consentono<strong>di</strong> inserire nel mondo della percezione ciò che ha coltocon la facoltà del pensare. È la capacità <strong>di</strong> trasfondere nel69downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


70reale ciò che si concepisce nella mente. Μηχανη, ingreco, non è la meccanica come la inten<strong>di</strong>amo noi: èl’ab<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> colui che sa «ingegnarsi» in <strong>ogni</strong> situazioneconcreta. È la comunione col proprio «Genio» che ci <strong>di</strong>cecome comportarci nelle varie situazioni della vita. Questoaggettivo, riferito a Ulisse, ricorre nell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong> 16 volte.4. πολυ−τλας viene da τλαω (tlào) «sopporto». Atlante(Ατλας, Àtlas) è colui che «porta» <strong>il</strong> mondo sullesue spalle. Πολυ−τλας = capace <strong>di</strong> portare, e perciò <strong>di</strong>sopportare, tante cose. È colui che sa perseverare, che ètetragono ai colpi <strong>di</strong> sventura. È l’<strong>uomo</strong> del vangelo <strong>di</strong>venutocapace <strong>di</strong> prendere <strong>il</strong> proprio «lettuccio», <strong>il</strong> propriofardello karmico dal quale prima era trasportato eche ora è in grado <strong>di</strong> portare liberamente sulle propriespalle. Ach<strong>il</strong>le era nelle mani del destino, Ulisse prende <strong>il</strong>destino nelle proprie mani.È questa una qualità maggiormente morale: è la forzainteriore propria <strong>di</strong> chi sa che non si può <strong>di</strong>ventare in<strong>di</strong>vidualitàforti senza le prove. I colpi del destino sonocolpi non <strong>di</strong> sfortuna ma <strong>di</strong> fortuna e mirano sempre alpositivo. O<strong>di</strong>sseo è colui che ha capito questo.La parola «fortuna» inizialmente significava <strong>il</strong> destino.Noi italiani siamo così «fortunati» che della parola «fortuna»abbiamo preso soltanto <strong>il</strong> lato positivo! Lo dobbiamoal genio della lingua! Col termine «destino» esprimiamopiuttosto un senso <strong>di</strong> rassegnazione. È essenzialeal <strong>cammino</strong> <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseo, al <strong>cammino</strong> verso la libertà, impararea prendere su <strong>di</strong> sé <strong>il</strong> proprio destino e a trasformarloin fortuna, in occasione positiva <strong>di</strong> crescita. L’agdownloadedfrom www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


gettivo πολυ−τλας compare nell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong> 37 volte.5. πολυ−τροπος da τρεπω (trèpo), «rivolgersi», significa«che sa orientarsi in tutte le <strong>di</strong>rezioni». È coluiche sa guardare la realtà da <strong>di</strong>versi punti <strong>di</strong> vista peragire <strong>di</strong> conseguenza. Questo aggettivo compare duevolte.6. πολυ−στονος compare una volta sola: è la capacitàdell’essere umano <strong>di</strong> reagire in sintonia alla meteorologiache lo circonda e alla composizione degli elementi <strong>di</strong>natura. È l’<strong>uomo</strong> che si adatta, fa o prende <strong>il</strong> meglio <strong>di</strong>tutto ciò che lo circonda, soprattutto in relazione al regnodegli elementi naturali.Στενω (stèno), da cui <strong>il</strong> nostro «stendere», «<strong>di</strong>stendere»,è la capacità <strong>di</strong> porsi in sintonia con la terra, conl’acqua, con l’aria, col fuoco. Viene <strong>di</strong> solito tradotto con«gemere», ma è un gemere sim<strong>il</strong>e a quello delle piante nelloro rapporto con le forze della natura.7. πολυ−ϕρων (polü-fron): è colui che è versat<strong>il</strong>enella capacità <strong>di</strong> riflessione in generale. Φρονειν (fronèin)è la capacità <strong>di</strong> pensare, <strong>di</strong> riflettere prima <strong>di</strong> agiree in vista dell’agire. La <strong>di</strong>fferenza fondamentale traπολυ−µητις e πολυ−ϕρων sta nel fatto che µητις siriferisce al pensare in quanto gestito in<strong>di</strong>vidualmente eliberamente dall’essere umano; ϕρων in<strong>di</strong>ca quelle intuizioniche vengono date dall’alto in chiave rivelatoriao ispirativa. Ulisse è in grado <strong>di</strong> capire con la mente(µητις) ciò che <strong>il</strong> cuore (ϕρων) gli ispira.Per <strong>ogni</strong> peripezia Omero usa l’aggettivo «giusto»,cioè <strong>il</strong> modo giusto <strong>di</strong> affrontarla.71downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


Erbe magiche e veleniConsideriamo ora brevemente l’incontro con la magaCirce, che viene narrato nel X canto. Ricorderete cheO<strong>di</strong>sseo manda avanti Eur<strong>il</strong>oco con 22 compagni, i qualivengono da Circe trasformati in porci: Eur<strong>il</strong>oco ritorna eracconta in lacrime. O<strong>di</strong>sseo non si lascia scoraggiare e vaa ricercarli: gli appare per strada Mercurio che gli dà unaspecie <strong>di</strong> erba magica che, <strong>di</strong>ce Omero, nel linguaggiodegli dei si chiama µωλυ (molü).Nell’Iliade e nell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong> Omero <strong>di</strong>stingue a più riprese<strong>il</strong> modo in cui le cose vengono chiamate dagli dei e <strong>il</strong>modo in cui vengono chiamate dagli uomini. Per fare unesempio: <strong>il</strong> fiume che scorre davanti a Troia si chiamaΞανϑος (Xànthos) nel linguaggio degli dei e Σκαµανδρος(Scamàndros) nel linguaggio degli uomini. Qual è <strong>il</strong>significato <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>stinzione? Gli dei fanno della realtàun’esperienza e gli esseri umani ne fanno un’altra. Perciò<strong>il</strong> linguaggio non può essere lo stesso. Ancora una voltaha ragione Crat<strong>il</strong>o nel <strong>di</strong>re che nessuna parola all’inizio èstata inventata per arbitrio, ma per esprimere oggettivamentel’esperienza che si compie venendo a contatto conla cosa che la parola designa.Gli dei sono immortali perché non abitano, come noi,un corpo <strong>di</strong> materia. Ci invi<strong>di</strong>ano però quella libertà umanache sorge solo grazie alla nostra interazione tra spirito emateria. Là dove lo spirito interagisce con la materia pervincerla e trasformarla, si vivono tutt’altre conquiste, ele parole che le esprimono debbono essere <strong>di</strong>verse.72downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


Nel caso <strong>di</strong> µωλυ ci viene in<strong>di</strong>cato soltanto <strong>il</strong> nome<strong>di</strong>vino. Vuol <strong>di</strong>re, allora, che non si tratta <strong>di</strong> un’erba materiale.Dice Omero che è nera alla ra<strong>di</strong>ce e bianca nelfiore; e aggiunge che soltanto gli dei sono in grado <strong>di</strong>fruirne. Si tratta insomma <strong>di</strong> una realtà nota soltanto aglidei: l’opposto dell’erba µωλυ sono infatti i farmaci cheCirce propina agli uomini per trasformarli in porci.Abbiamo qui da un lato <strong>il</strong> farmaco degli dei e dall’altro<strong>il</strong> contro-farmaco <strong>di</strong> Circe. Il regno <strong>di</strong> Circe è <strong>il</strong> sistema delmetabolismo, e <strong>il</strong> metabolismo è proprio in grado <strong>di</strong> trasformaregli esseri umani in «porci». Nei testi antichi questitermini hanno un significato tecnico: I «cani» e i «porci» <strong>di</strong>cui parla anche <strong>il</strong> Vangelo rappresentano, sotto altri aspetti,la stessa polarità espressa in Sc<strong>il</strong>la e Carid<strong>di</strong>. Il figliolpro<strong>di</strong>go della parabola evangelica, al punto infimo dellasua peripezia, prima del ritorno a casa, si congiunge con larealtà dei porci: mangia le ghiande riservate ai porci (e poineanche più quelle). La qualità più spiccata del «cane» è <strong>il</strong>suo fiuto. In termini <strong>di</strong> autoesperienza umana è la capacità<strong>di</strong> fiutare, con l’astuzia e la sagacia proprie del pensiero, lesituazioni che vanno sfruttate a proprio vantaggio. Il maialeè una calzante immagine delle forze dell’egoismo chechiudono l’essere in se stesso, come <strong>il</strong> maiale che si avvoltolanei propri escrementi. Nel metabolismo (Circe)l’essere umano è del tutto chiuso in sé, nei propri processiorganici. La capacità <strong>di</strong> fiutare <strong>il</strong> mondo esterno invece,la facoltà pensante, lo apre alla realtà circostante.La parola «Circe», in greco Κιρκη (Κìrke), esprimeun’esperienza <strong>di</strong> chiusura. Kerker in tedesco è «<strong>il</strong> carcere»:73downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


ker-ker, ker-ker... È proprio una cinghia che avvolge, che«cerchia» e chiude. Circe è la cerchia dei processi del metabolismo,della <strong>di</strong>gestione, <strong>di</strong> tutti i processi vitali chesfuggono alla nostra coscienza: in essi noi siamo, in uncerto senso, «incarcerati» perché non li possiamo contemplaredal <strong>di</strong> fuori e gestire coscientemente. Lì la naturaagisce in noi. Quando i processi vitali sommergono iprocessi <strong>di</strong> coscienza (e questo avviene, per esempio,quando ci ubriachiamo) invece <strong>di</strong> nutrirci e farci sani,agiscono come «veleni»: avvelenano, cioè ottenebrano, <strong>il</strong>nostro spirito.Circe ha a sua <strong>di</strong>sposizione due armi : la prima sono ifarmaci stregati, cioè i cibi che mangiamo. Tutto ciò cheingeriamo <strong>di</strong>venta veleno, veleno nel senso tecnico <strong>di</strong>«ciò che uccide <strong>il</strong> polo della coscienza»; la seconda arma<strong>di</strong> Circe è la bacchetta magica che trasforma in porci.Tutto ciò che mangiamo e beviamo può <strong>di</strong>venire «veleno»se ingerito in modo non giusto. Proviamo a bere<strong>di</strong>eci litri d’acqua tutti insieme! Ciò che mangiamo e beviamoè sempre potenzialmente un veleno perché <strong>il</strong>compito del nostro organismo è <strong>di</strong> opporvi resistenza,generando la controforza che superi <strong>il</strong> veneficio e riemergain processi <strong>di</strong> coscienza.L’antidoto ermetico, cioè mercuriale contro i cibi che<strong>di</strong>ventano veleno è chiamato µωλυ e rappresenta <strong>il</strong> sanorapporto col cibo. Non <strong>di</strong>mentichiamo che noi mangiamoa tre livelli: con la bocca ingeriamo i cibi propriamentedetti; col naso ingeriamo aria; con i sensi ingeriamo lepercezioni. Il cibo può <strong>di</strong>ventare sia un veleno che ci74downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


uccide, sia un miele (µωλυ - µελι, mèli, «miele») che cifa vivere. Siamo vincitori sul cibo quando lo trasformiamoin zucchero (miele) e riemergiamo con processi <strong>di</strong> coscienzaancora più chiari e cristallini.L’altra arma <strong>di</strong> Circe è <strong>il</strong> ραβδος (ràbdos), «la verga»,un elemento <strong>di</strong> magia che contrasta l’esercizio della libertà.Contro quest’arma O<strong>di</strong>sseo è munito dello ξιϕος (xìfos),che è una piccola spada, un pugnale.La verga serve a picchiare, mira ad annullare l’autonomiadell’altro. La spada taglia, <strong>di</strong>vide, separa: è la facoltàdel <strong>di</strong>stinguere. Inizia <strong>di</strong>stinguendo le polarità fondamentalidell’essere per poi ulteriormente sotto<strong>di</strong>stinguere. L’esempioappena citato ci ha fatto <strong>di</strong>stinguere <strong>il</strong> polo delle funzionivitali da quello della coscienza come opposti fra loro.Ogni <strong>di</strong>stinzione ha due corni. Un bravo pensatore, seinterrogato, non ama rispondere univocamente, ma preferisce<strong>di</strong>stinguere. Distingue frequenter, numquam errabis,<strong>di</strong>ce l’antico proverbio: <strong>di</strong>stingui spesso, non errerai mai.L’arte del pensare è l’arte del <strong>di</strong>stinguere.In questo X canto la maga Circe rappresenta allora losta<strong>di</strong>o dell’evoluzione umana previo al pensiero e allalibertà. A quei tempi l’essere umano veniva governato daquella «magia <strong>di</strong>vina» che le religioni e le mitologie esprimononelle immagini più <strong>di</strong>verse. La «bacchetta magica»è un’immagine greca per ciò che <strong>il</strong> cristianesimo, per citareun esempio, chiama «volontà <strong>di</strong> Dio». Ulisse è l’<strong>uomo</strong>nuovo: egli rappresenta lo sta<strong>di</strong>o del pensiero che <strong>di</strong>stinguetra <strong>il</strong> bene e <strong>il</strong> male e che de-cide (ecco <strong>il</strong> taglio dellaspada!) <strong>di</strong> fare solo <strong>il</strong> bene.75downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


L’impulso della Trinità e l’isola TrinacriaNel XII canto Ulisse «rammemora» – portandolo così acoscienza e a conoscenza – ciò che l’umanità ha vissutoquando <strong>il</strong> Sole sorgeva in primavera nel segno del Toro.Ciò ci riporta al tempo in cui la cultura caldaico-egiziaebbe <strong>il</strong> ruolo <strong>di</strong> guida nel <strong>di</strong>venire umano. Come quellapaleo-in<strong>di</strong>ana si era svolta in chiave <strong>di</strong> unità e quella paleopersianasi era incentrata su tutti i fenomeni <strong>di</strong> dualità e <strong>di</strong>polarità (lotta fra <strong>il</strong> bene e <strong>il</strong> male), così quella egiziocaldaicasi de<strong>di</strong>ca principalmente al mistero della trinità,per esempio nella triade fondamentale <strong>di</strong> Osiride, Iside,Horus.Omero ci narra a questo punto la vicenda delle vacchedel Sole, che si svolge sull’isola Trinacria. Quest’isola nonsta a in<strong>di</strong>care in primo luogo la Sic<strong>il</strong>ia o, per lo meno,non è <strong>il</strong> riferimento a un luogo fisico che importa r<strong>il</strong>evare.La Sic<strong>il</strong>ia è a forma <strong>di</strong> triangolo per <strong>il</strong> fatto che l’impulsoche l’ha fatta sorgere è un impulso ternario, ed è quest’impulsocosmico che Omero sta ricordando dando <strong>il</strong> nome<strong>di</strong> Trinacria all’isola delle vacche del Sole.Il fatto che sull’isola «dalle Tre Corna» O<strong>di</strong>sseo ecompagni trovino le vacche del Sole ci <strong>di</strong>ce che abbiamo76downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


a che fare con quel periodo <strong>di</strong> cultura in cui <strong>il</strong> Sole sorgevanella costellazione del Toro. O<strong>di</strong>sseo e compagni,confrontati con queste esperienze dell’isola del Sole, sitrovano a ripercorrere, per portarlo a coscienza, <strong>il</strong> <strong>cammino</strong>che l’umanità ha percorso quando <strong>il</strong> Sole sorgeva nelsegno del Toro.Calypso, ovvero <strong>il</strong> tempo della scienza occultaDopo la vicenda dell’isola del Sole viene narrato l’incontrocon la dea Calypso. Καλυψο (Kalüpso) viene daκαλυπτω (kalüpto) che vuol <strong>di</strong>re «occulto, nascondo».Per sette anni Ulisse deve imparare i segreti recon<strong>di</strong>tidell’universo in cui viviamo. Calypso significa, in sensovero e proprio, «la scienza occulta», la «sofìa occulta».Ci vien fatto <strong>di</strong> chiedere: perché è occulta questa sapienzae non, invece, palese? Goethe parlava <strong>di</strong> «misteropalese» (das offenbare Geheimnis), particolarmente in riferimentoalla natura. Intendeva <strong>di</strong>re che essa è, da un lato,accessib<strong>il</strong>e a tutti, ma dall’altro occulta, perché occorresv<strong>il</strong>uppare precise qualità per comprenderne i misteri piùprofon<strong>di</strong>.Questa realtà ovvia e «palese» esprime al contempo <strong>il</strong>più grande «mistero» dell’evoluzione: che nessuno puòvenire a conoscenza dei più intimi segreti del mondoprima <strong>di</strong> essere in grado <strong>di</strong> farne buon uso, cioè un usogiovevole per tutti. Ciò vuol <strong>di</strong>re in altre parole: ognuno<strong>di</strong> noi capisce le cose più profonde della vita nella misura77downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


in cui vince in sé l’egoismo e cessa <strong>di</strong> ricercare unicamente<strong>il</strong> proprio tornaconto.Solo nell’umanità moderna e se<strong>di</strong>cente «democratica»è invalso <strong>il</strong> principio che si può <strong>di</strong>re tutto a tutti e chetutti hanno <strong>il</strong> <strong>di</strong>ritto a saper tutto. Per fortuna quello chesi ha oggi per lo più da <strong>di</strong>re contiene ben poco <strong>di</strong> pericoloso,visto che le conoscenze più profonde degli iniziatiantichi sono andate perdute. Prima dei nostri tempi, la<strong>di</strong>stinzione tra <strong>il</strong> palese e l’occulto, tra l’essoterico el’esoterico (tra ciò che è per tutti e ciò che va detto solo achi ha percorso un ben definito <strong>cammino</strong> <strong>di</strong> purificazioneinteriore, come si <strong>di</strong>ceva) veniva osservata rigorosamente.Platone e Aristotele sanno bene che cosa possono affidareallo scritto (reso accessib<strong>il</strong>e a tutti) e che cosa va comunicatosolo oralmente.Anche nei vangeli si <strong>di</strong>stingue chiaramente tra le parabole– che contengono immagini che sono per tutti, perchéognuno le capisce per quel che può e non <strong>di</strong> più – ela spiegazione delle parabole – che avviene in forma concettualeed è per i soli <strong>di</strong>scepoli.Il fatto che O<strong>di</strong>sseo venga a conoscenza della sapienzaocculta (si unisce con Calypso) significa appunto che hacompreso che l’essenza del <strong>cammino</strong> umano è un percorso<strong>di</strong> purificazione interiore: bisogna prima <strong>di</strong>ventare capaci<strong>di</strong> far buon uso <strong>di</strong> quelle conoscenze che <strong>il</strong> pensieroumano va via via conquistando.78downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


VERSO L’UOMO NUOVORespiro cosmico e canto umanoCi siamo soffermati su quattro canti fondamentali dell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong>,limitandoci a pochi cenni <strong>di</strong> carattere orientativo.Avremmo bisogno <strong>di</strong> molto più tempo se dovessimoavvalerci <strong>di</strong> queste chiavi <strong>di</strong> lettura per affrontare <strong>il</strong> testonei particolari.I 24 episo<strong>di</strong> dell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong> vengono chiamati «canti» enon «libri» o «capitoli». Dicendo libro o capitolo <strong>di</strong>menticheremmoche siamo <strong>di</strong> fronte ad una tra<strong>di</strong>zione orale:questi testi venivano veramente cantati, come una cant<strong>il</strong>ena,al ritmo dell’esametro (un verso lungo sei pie<strong>di</strong>, omisure).All’interno <strong>di</strong> <strong>ogni</strong> piede abbiamo <strong>il</strong> datt<strong>il</strong>o, che racchiudeuna s<strong>il</strong>laba lunga (equivalente a due brevi) e duebrevi: uu ( ( lunga breve breve; oppure abbiamo lo spondeouu uu lunga lunga (equivalente a quattro brevi), anchequi vige un rapporto <strong>di</strong> quattro a uno. È lo stesso rapportoche c’è tra i due ritmi fondamentali dell’organismo umano.Il battito car<strong>di</strong>aco (72 volte al minuto) e <strong>il</strong> respiro (18volte al minuto) hanno tra loro un rapporto <strong>di</strong> quattro auno: un respiro <strong>ogni</strong> quattro battiti.79downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


Nelle infinitesimali variazioni e sfumature <strong>di</strong> questo rapportosi esprime l’in<strong>di</strong>vidualità <strong>di</strong> ciascuno.Si tratta quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> una recitazione declamata che si avvicinaal canto. L’<strong>uomo</strong> greco aveva ancora la capacità,recitando o cant<strong>il</strong>enando l’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong> e l’Iliade, <strong>di</strong> imitarefedelmente <strong>il</strong> rapporto biologico <strong>di</strong> quattro a uno che vigetra circolazione e respirazione. Il ritmo del corpo accompagnavaquello del canto e <strong>il</strong> canto imitava <strong>il</strong> ritmo biologico.Mens sana in corpore sano!In questo modo <strong>il</strong> greco non solo esprimeva nei suoiversi <strong>il</strong> ritmo naturale del suo organismo fisiologico, maviveva l’armonia col macrocosmo dal quale provengonotutti i ritmi posti alla base del corpo umano. Il rapportoritmico quattro a uno è infatti uno dei più importanti delnostro sistema solare. L’epatta (o nodo) lunare, cioè <strong>il</strong> tempoche occorre perché Sole, Luna e Terra si ritrovino nellostesso rapporto fra loro, è <strong>di</strong> 18 anni (e qualcosa). In 72anni, vita me<strong>di</strong>a dell’<strong>uomo</strong>, questo evento si verifica quattrovolte. Quin<strong>di</strong> <strong>il</strong> greco che declamava l’esametro si mettevain comunione col canto cosmico, con l’armonia dellesfere. Nel suo organismo umano sentiva l’eco delle armoniedel mondo e <strong>il</strong> suo canto era l’eco fedele <strong>di</strong> entrambi.Traduttori, tra<strong>di</strong>tori?Vorrei fare un breve cenno alle <strong>di</strong>fficoltà insite in <strong>ogni</strong>traduzione moderna dei testi greci antichi, testi intrisi <strong>di</strong>una spiritualità che noi, e le nostre lingue, non conosciamo80downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


più. Il tanto esecrato materialismo si esprime nel nostrostesso linguaggio. Vi porto un esempio banalissimo perdarvi un’idea <strong>di</strong> ciò che voglio <strong>di</strong>re.Pren<strong>di</strong>amo <strong>il</strong> primo verso del IX canto, un verso <strong>di</strong>per sé (o per noi) insignificante, che ricorre a più ripresee che <strong>di</strong>ce semplicemente:Rispondendo gli <strong>di</strong>sse l’astuto O<strong>di</strong>sseo...Τον δ’απαµειβοµενος προσεϕη πολυµητιςΟδυσσευς...(Ton d’apameibomenos prosefe polümetis Odüsseus)Osserviamo che cosa va necessariamente perso nellatraduzione: απο (apò) vuol <strong>di</strong>re «venir via da, staccarsida, migrare da»: in<strong>di</strong>ca una realtà che si stacca da qualcunoper andare verso qualcun altro; προς (pros) significa«verso», in senso <strong>di</strong>namico <strong>di</strong> movimento. L’accusativoτον (ton), retto da προς, non può venir reso bene dalnostro «gli» (dativo per <strong>il</strong> complemento <strong>di</strong> termine) chein<strong>di</strong>ca che io son qui tranqu<strong>il</strong>lo e beato e mi rivolgoall’interlocutore che è là, senza minimamente pensare chec’è qualcosa <strong>di</strong> reale emesso da me, che parte da me, vieneda me messo in movimento e va verso <strong>di</strong> lui.Il verbo µειβω (mèibo) significa «migrare, mutare,cambiare, trasformare». I pensieri <strong>di</strong> Ulisse, migrando dalui verso <strong>il</strong> suo interlocutore, si trasformano al contempoper farsi compatib<strong>il</strong>i con lo spirito dell’ascoltatore, dalquale devono venire accolti. Ogni <strong>di</strong>alogo è un velocissimoe continuo an<strong>di</strong>rivieni tra <strong>il</strong> pensare i propri pensieri e <strong>il</strong>pensare quelli altrui.81downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


82Per meglio capire questo «realismo spirituale» insitonella lingua greca, pensiamo al primo versetto del vangelo<strong>di</strong> Giovanni: Εν αρχη ην ο Λογος, και ο Λογος ηνπρος τον Θεον (En archè en o Lògos, kai o Lògos enpros ton Theòn), «In principio era <strong>il</strong> Verbo, e <strong>il</strong> Verbo era<strong>di</strong>namicamente proteso verso <strong>il</strong> Dio». Così era nel principio(letteralmente: «dentro al principio», cioè in seno alla realtàspirituale iniziale) perché in seguito <strong>il</strong> Verbo è <strong>di</strong>ventatocarne e si è orientato verso l’umano. Nel προς (pros) c’èanche qui <strong>il</strong> movimento <strong>di</strong>namico <strong>di</strong> tutto l’essere.Continuiamo ad esaminare questo verso dell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong>:προσεϕη (prosèfe) viene da προσειποµαι (proséipomai)che significa «<strong>di</strong>re», ma non <strong>il</strong> <strong>di</strong>re astratto nostro, bensìl’inviare verso l’altro qualcosa <strong>di</strong> reale, un mandare verso(προς) <strong>di</strong> lui la realtà <strong>di</strong> pensiero e <strong>di</strong> sentimento che sivuol con<strong>di</strong>videre con lui. Επος (èpos) è «la parola» inquanto viene pronunciata, parlata, emessa vocalmentecosì che voli e «giunga» all’orecchio dell’altro. Da èposabbiamo i nostri «epopea, epico» ecc.L’immagine del verso citato, <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseo πολυµητις,versat<strong>il</strong>e nei processi logici <strong>di</strong> pensiero, che si rivolge adAlcinoo alla corte dei Feaci per narrare le sue peripezie,in lingua greca può essere resa soltanto con <strong>il</strong> reale gesto<strong>di</strong> tutte queste preposizioni che <strong>di</strong>cono: Una realtà spiritualesi <strong>di</strong>parte da (απο) O<strong>di</strong>sseo versat<strong>il</strong>e e migra versat<strong>il</strong>e verso Alcinoo(προς τον...), sulle ali del linguaggio che è comunicazione vivente<strong>di</strong> realtà spirituali da essere a essere.Che cosa va perso in <strong>ogni</strong> traduzione moderna? Larealtà spirituale e vivente dei pensieri che vengono codownloadedfrom www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


municati! Il greco era ancora in grado <strong>di</strong> percepire e viverequesta realtà spirituale vivente. Quando noi oggi leggiamo«Rispondendo gli <strong>di</strong>sse l’astuto O<strong>di</strong>sseo...» ci sorge forse l’immaginevivente <strong>di</strong> una realtà spirituale lanciata da un essereverso un altro? No, tutto ciò va perso! Proprio in questoconsiste la tendenza moderna all’astrazione. È stata unanecessità evolutiva, certamente, ma che però attende ora<strong>di</strong> venir superata nella sua un<strong>il</strong>ateralità.Non pensate che stia facendo violenza al testo greco:non sto inventando nulla. Se noi togliamo <strong>il</strong> τον accusativoe ci mettiamo <strong>il</strong> dativo; se noi togliamo απο che è un«partire da», uno «staccarsi da»; se togliamo <strong>il</strong> προς che èla meta del movimento, la meta verso cui la realtà delleparole si <strong>di</strong>rige; se togliamo questi tre elementi <strong>di</strong>namici,non abbiamo più <strong>il</strong> verso omerico!Goethe era innamorato <strong>di</strong> Omero e conosceva a memoriainteri canti dell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong>: tra quelli che più amava c’era<strong>il</strong> VI, dove si narra l’incontro fra O<strong>di</strong>sseo e Nausicaa, uncanto sublime, ma anch’esso impossib<strong>il</strong>e da tradurre. PerciòGoethe si augurava una traduzione dell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong> in prosa,nonostante l’esimia tra<strong>di</strong>zione tedesca <strong>di</strong> traduzioni inversi. Nella poesia l’essenziale non è infatti <strong>il</strong> contenutoteorico, bensì l’elemento artistico che si esprime nei ritmi enell’armonia dei suoni, delle rime, delle allitterazioni. Goethecapiva che le nostre lingue moderne non sono più ingrado <strong>di</strong> recuperare queste epopee in quanto opere d’artepoetica e ci tocca perciò accontentarci <strong>di</strong> comprenderne <strong>il</strong>più fedelmente possib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> significato espresso in prosa,che basta a darci un’idea della loro ricchezza inesaurib<strong>il</strong>e.83downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


Il desiderio <strong>di</strong> essere sovraniConsideriamo ora più da vicino alcuni contenuti del cantoIX:Rispondendo gli <strong>di</strong>sse l’astuto O<strong>di</strong>sseo:«Potente Alcinoo, insigne fra tutti i popoli,certo è bello ascoltare un cantorecosì come è questo, sim<strong>il</strong>e per la voce agli dei.Perché penso non v’è go<strong>di</strong>mento più bello,<strong>di</strong> quando la gioia pervade tutta la gente,i convitati ascoltano nella sala <strong>il</strong> cantoreseduti con or<strong>di</strong>ne, le tavole accanto son piene<strong>di</strong> pane e <strong>di</strong> carni; dal cratere attinge vino<strong>il</strong> coppiere, lo porta e nelle coppe lo versa:questo mi sembra nell’animo una cosa bellissima.Ma <strong>il</strong> tuo cuore s’è volto a chiedere delle mie dolorosesventure, perché piangendo io gema <strong>di</strong> più.Quale devo narrare per prima, quale per ultima?».(IX, 1-14)O<strong>di</strong>sseo sta qui <strong>di</strong>cendo:«È bella questa vostra anima <strong>di</strong> gruppo, questo vostrosentirvi uniti, dove l’essere umano è ancora inserito nell’armoniadel tutto; e proprio tu, Alcinoo, che sei <strong>il</strong> capo <strong>di</strong>questa realtà comunitaria, senti in te, come essere umano,<strong>il</strong> desiderio <strong>di</strong> ascoltare <strong>il</strong> racconto delle peripezie cheaffronta colui che lascia <strong>il</strong> grembo della originale appartenenza,che viene scagliato fuori dal para<strong>di</strong>so per viverel’esperienza dell’essere umano a sé stante. Non vive più84downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


l’esperienza dell’armonia iniziale, ma fa l’esperienza dolorosae sofferta della separazione che rende in<strong>di</strong>vidui autonomi.C’è in te, Alcinoo, rappresentante dell’anima <strong>di</strong>gruppo, l’anelito a non restare in questa protezione ancoraignara della libertà del singolo: tu desideri sentire <strong>il</strong> racconto<strong>di</strong> ciò che si vive lungo <strong>il</strong> <strong>cammino</strong> che fa <strong>di</strong>ventareun essere umano autonomo».E ancora più in profon<strong>di</strong>tà questi versi <strong>di</strong>cono:«O Alcinoo, la tua richiesta che l’O<strong>di</strong>sseo, l’<strong>uomo</strong> in<strong>di</strong>viduale,razionale, che ha tanto sofferto per <strong>di</strong>ventarese stesso, ti racconti come ciò avvenga, è <strong>il</strong> desiderio piùprofondo <strong>di</strong> <strong>ogni</strong> essere umano che è stato creato peruscire dal grembo materno, dal para<strong>di</strong>so iniziale, per <strong>di</strong>ventareun io in<strong>di</strong>viduale e responsab<strong>il</strong>e. L’essere umanoavverte da un lato che questo <strong>cammino</strong> è pieno <strong>di</strong> sofferenzae solitu<strong>di</strong>ne, ma dall’altro lo desidera profondamenteperché sa che è <strong>di</strong>vinamente bello: <strong>il</strong> tuo cuoredesidera proprio questo».Viene espresso in questi versi <strong>il</strong> contrasto sublime tra<strong>il</strong> vivere nell’impulso dell’anima <strong>di</strong> gruppo (i Feaci) e ciòche avviene quando si è espulsi, cacciati fuori dalla spadadel Cherubino e si comincia la vicenda dell’essere soli.Soli e pieni <strong>di</strong> sofferenza, ma anche <strong>di</strong> gioia perché sinasce all’essere proprio, su questa via. È la versione omericadella parabola evangelica del figliol pro<strong>di</strong>go.Qui a Firenze sono vissuti dei veri colossi dello spirito:basti pensare a un Michelangelo, a un Leonardo da Vinci,a un Dante... Dante è sommamente un <strong>uomo</strong> «o<strong>di</strong>ssiaco»:la forza dell’in<strong>di</strong>vidualità autonoma gli comporta una85downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


misura colma <strong>di</strong> sofferenza, ma è anche una fontanazamp<strong>il</strong>lante <strong>di</strong> creatività, che viene sempre <strong>di</strong> nuovo alimentataproprio dal dolore.La spada e la parolaNell’episo<strong>di</strong>o a tutti noto del ciclope Polifemo, Omero ciparla <strong>di</strong> due piani <strong>di</strong> battaglia che O<strong>di</strong>sseo concepisce peraffrontare <strong>il</strong> gigante dall’unico occhio: <strong>il</strong> primo lo abbandona,<strong>il</strong> secondo lo attua.Il primo piano era quello <strong>di</strong> uccidere <strong>il</strong> Ciclope con laspada, conficcandola nella parte me<strong>di</strong>ana del petto, dovec’è <strong>il</strong> <strong>di</strong>aframma: ma O<strong>di</strong>sseo rinuncia perché pensa che,uccidendo <strong>il</strong> ciclope, eliminerebbe l’unico essere in grado<strong>di</strong> rimuovere l’enorme macigno che chiude la caverna.Qui si mostra all’opera la capacità <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseo <strong>di</strong> valutare<strong>di</strong>verse strategie e <strong>di</strong> scegliere la migliore.Il secondo piano non prevede <strong>di</strong> uccidere: gli sta<strong>di</strong>evolutivi che lasciamo <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> noi non devono venire<strong>di</strong>strutti, ma superati. Invale qui <strong>il</strong> principio della metamorfosi,che domina in questo canto. Metamorfosi dolorosain senso esteriore, ma gran<strong>di</strong>osa in senso evolutivoperché permette <strong>di</strong> trasformare l’occhio unico <strong>di</strong> Polifemo(l’occhio dell’atavica, sognante chiaroveggenza)nei due occhi che tutti abbiamo oggi, fatti per guardarele cose del mondo a modo nostro. Perfino <strong>il</strong> ciclope,alla fine del canto, deve ammettere che questo eventoera stato preannunciato. Gli era stato detto che sarebbe86downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


87venuto un essere umano più forte <strong>di</strong> lui, che l’avrebbevinto.In tante fiabe si ritrova <strong>il</strong> tema della grande mole senzaintelligenza (<strong>il</strong> gigante) e della piccola mole nella qualealberga l’intelligenza (<strong>il</strong> nano). La piccola mole vince ciòche, come realtà <strong>di</strong> natura, è molto più grosso. Davidevince Golia. L’ingegno ha la meglio sulla forza bruta.Questo tema in<strong>di</strong>ca <strong>il</strong> movimento e <strong>il</strong> significato complessividell’evoluzione umana: la natura viene gradualmentetrasformata dallo spirito e in spirito. Le forze ciechedella natura sono chiamate a servire <strong>il</strong> <strong>cammino</strong>dell’intelligenza umana, non a impe<strong>di</strong>rlo. In ciò consistela vittoria del nano astuto sul gigante energumeno mastupido.Il secondo piano <strong>di</strong> salvezza sostituisce la spada con <strong>il</strong>palo d’ulivo tagliato, <strong>di</strong>ce <strong>il</strong> testo, alla lunghezza <strong>di</strong> unatesa – cioè <strong>di</strong> due braccia allargate – che è uguale all’altezzadella persona dalla testa ai pie<strong>di</strong>. La realtà principale,anche se non la sola, espressa nel palo d’ulivo è la spinadorsale con in cima <strong>il</strong> cervello. Viene qui fatto riferimentoal mistero della posizione eretta dell’essere umano. Inquesto canto si ripassa in rassegna tutta l’evoluzione:dall’epoca in cui l’essere umano è pervenuto alla posizioneeretta, all’epoca durante la quale si è appropriato dellafacoltà del linguaggio, fino alla nostra epoca, dove semprepiù acquisisce la facoltà del pensiero.Questi tre gran<strong>di</strong> sta<strong>di</strong> del <strong>di</strong>venire umano racchiudonole tre gran<strong>di</strong> facoltà che ci <strong>di</strong>stinguono dagli animali. Sonole tre tappe che <strong>ogni</strong> bambino deve ripetere in modo in<strong>di</strong>downloadedfrom www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


viduale dopo la sua nascita, a <strong>di</strong>fferenza degli animali chenascono già compiuti nella loro natura <strong>di</strong> specie.Polifemo è in posizione orizzontale, è <strong>di</strong>steso a terra (<strong>il</strong>testo lo ripete più volte), è l’essere umano che non ha ancoraconquistato le forze della stazione eretta: in lui vienevinto, col palo della verticalità, lo sta<strong>di</strong>o dell’antica, sognantechiaroveggenza espressa nell’occhio frontale singolo.Una <strong>di</strong>fferenza sostanziale tra <strong>il</strong> piano <strong>di</strong> uccidere Polifemoe quello <strong>di</strong> accecarlo è la scelta tra un’evoluzionesenza continuità e un’evoluzione in base a trasformazione.Il secondo piano, quello poi adottato da O<strong>di</strong>sseo, nonuccide l’essere umano già esistente, ma gli trasforma lavista, conc<strong>il</strong>iando nel <strong>di</strong>venire la continuità con l’innovazione.Nel vangelo <strong>di</strong> Giovanni, al momento della cattura delCristo, ve<strong>di</strong>amo da un lato i soldati e dall’altro Pietro chetira fuori la spada e taglia l’orecchio al servo. Anchequi abbiamo la spada, come nel primo piano <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseo,ma in relazione all’orecchio: anche l’orecchio, infatti, èriferito al mistero della parola, che la bocca emette el’orecchio riceve.La spada <strong>di</strong> Pietro è la parola che ferisce, che manipolal’altro: quin<strong>di</strong> offende l’orecchio. E <strong>il</strong> Cristo gli <strong>di</strong>ce:«Rimetti la spada nel fodero, perché chi <strong>di</strong> spada ferisce<strong>di</strong> spada perisce». Chi manipola con la parola verrà luistesso manipolato, perché non riconosce quella libertàgrazie alla quale gli esseri umani si <strong>di</strong>cono soltanto ciòche c’è, e lasciano ad ognuno la decisione in<strong>di</strong>vidualesu ciò che c’è da fare.88downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


Abbandonata la spada e preso <strong>il</strong> palo d’ulivo, che cosanasce nei due occhi che sostituiscono l’occhio del Polifemoaccecato? Nasce la capacità <strong>di</strong> vedere oggettivamenteciò che sta davanti a noi. I due occhi ci rendonoliberi <strong>di</strong> guardare <strong>il</strong> mondo e <strong>di</strong> vedere le cose come sono,nella loro oggettività. Gli occhi sono la sorgente <strong>di</strong>informazione oggettiva più preziosa che abbiamo: guar<strong>di</strong>amociò che vogliamo e quando vogliamo. Essendodue, i fasci <strong>di</strong> luce emessi dagli occhi s’incrociano, e toccandosifanno sorgere la coscienza dell’io.O<strong>di</strong>sseo, ossia <strong>il</strong> «Nessuno», <strong>il</strong> «non qualcuno»Un altro importante tema <strong>di</strong> questo canto è <strong>il</strong> nome, onon-nome, <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseo. Al ciclope che gli chiede come sichiami risponde: <strong>il</strong> mio nome è Nessuno. Nel nome, l’abbiamogià accennato, viene espressa la realtà profondadell’essere e O<strong>di</strong>sseo ha questa bella trovata da πολυµητις(polümetis, ingegnoso) qual è.A Polifemo che gli chiede <strong>il</strong> suo nome <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> chiamarsiΟυ−τις (u-tis), «non qualcuno». È l’<strong>uomo</strong> che non è ancora<strong>di</strong>venuto qualcuno: colui che ancora si identifica conl’anima <strong>di</strong> gruppo, che non è ancora emerso come singolosv<strong>il</strong>uppando l’in<strong>di</strong>vidualità. È proprio l’opposto <strong>di</strong> ciò cheO<strong>di</strong>sseo è, nella duplice caratteristica fondamentale dellacollera e della sofferenza che abbiamo già visto. Grazieall’impulso della collera e all’esperienza della sofferenzaO<strong>di</strong>sseo è l’<strong>uomo</strong> per eccellenza che <strong>di</strong>venta in<strong>di</strong>viduale,89downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


autonomo, libero. «Nessuno», in italiano, non rende benela parola greca che significa «non-uno», un non in<strong>di</strong>viduo.È una menzogna questo stratagemma <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseo? Èmoralmente riprovevole <strong>il</strong> fatto che <strong>di</strong>ca a Polifemo questonome? Ulisse tiene conto del livello <strong>di</strong> coscienza oggettivodel Ciclope e gli <strong>di</strong>ce: per te, io non sono nessuno,poiché tu non puoi capire l’avvento dell’«Io sono», dell’ioin<strong>di</strong>viduale. Per te è nulla ciò che per me è tutto.Ricor<strong>di</strong>amo la scena del Faust dove Faust vuole scenderenel regno misterioso delle Madri e Mefistofele gli<strong>di</strong>ce che là non troverà nulla, niente e nessuno. E Faustrisponde: In deinem Nichts hoff’ ich das All zu finden! Nel tuonulla io spero <strong>di</strong> trovare <strong>il</strong> tutto!Per Polifemo Ulisse dunque non-è, perché <strong>il</strong> Ciclopeconosce solo quelle forze dentro l’essere umano che impe<strong>di</strong>scono<strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare qualcuno, che sono «nessunificanti».Se la vicenda fosse da intendere solo sul piano fisico,immaginate voi <strong>il</strong> gigante che, <strong>di</strong> fronte a questi omiciattoliche armeggiano rigirandogli l’enorme palo nell’occhio,solo alla fine, ormai accecato, comincia ad urlare e a <strong>di</strong>fendersi?Ma non li avrebbe nemmeno lasciati incominciare,si sarebbe svegliato subito all’inizio!Si tratta dunque <strong>di</strong> esperienze spirituali, benché realissime,che rendono, in chiave <strong>di</strong> visione e <strong>di</strong> immagini, l’oggettivitàdei passi compiuti dall’evoluzione umana. Il palocon la punta temprata nel fuoco, questo palo col fuoco incima, è la nostra spina dorsale con la sua cima nel cervelloe dalla cui sommità irraggia la luce luminosa delle forzedel pensiero. La cima <strong>il</strong> testo omerico la chiama «aguzza»:90downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


<strong>il</strong> cervello dev’essere «acuto», sennò che cervello è?!C’è un vaso greco, nella collezione <strong>di</strong> antichità <strong>di</strong> Monaco,che raffigura Ulisse che esce aggrappato al ventredell’ariete e dei compagni inf<strong>il</strong>ati sotto le pecore legate atre a tre. È bellissimo. Dei do<strong>di</strong>ci compagni ne sono rimastiormai solo sei perché Polifemo ha <strong>di</strong>vorato gli altrisei. Anche in questo episo<strong>di</strong>o ritorna <strong>il</strong> do<strong>di</strong>ci, a rappresentarei sei doppi fasci nervosi (sei fisici e sei «eterici») cheentrano nel cranio e costituiscono la base dei sensi. O<strong>di</strong>sseoresta per ultimo e, non avendo nessuno che lo leghi, sitiene aggrappato sotto la pancia dell’ariete al quale Polifemo<strong>di</strong>ce: «Tu montone (sarebbe molto meglio tradurre con«ariete»), che sei sempre uscito per primo, ora sei l’ultimo...».Consideriamo le tre forme degli ovini: la pecora è femmin<strong>il</strong>ee non ha corna, la capra è femmin<strong>il</strong>e e ha le corna,l’ariete è masch<strong>il</strong>e e ha le corna. Il riferimento è qui allaqualità masch<strong>il</strong>e e femmin<strong>il</strong>e, non alla realtà fisica dell’esseremaschio o femmina. Queste tre forme rappresentanogli sta<strong>di</strong> fondamentali dell’evoluzione che ci conduce dalgregge (delle pecore) all’essere autonomo (l’ariete): la capraè uno sta<strong>di</strong>o interme<strong>di</strong>o. La pecora è l’animale gregario pereccellenza. Il vangelo <strong>di</strong>ce che c’è più festa per una solapecora che si «perde» staccandosi dalle altre cento, che nonper le altre 99 che restano nel gregge. La grande metadell’evoluzione è proprio che l’<strong>uomo</strong> impari a emanciparsidal gregge e a <strong>di</strong>ventare in<strong>di</strong>vidualmente responsab<strong>il</strong>e.Tornando al vaso <strong>di</strong> Monaco, abbiamo, <strong>di</strong>versamentecolorati rispetto a tutto <strong>il</strong> resto, i tre impulsi che rappresentano<strong>il</strong> sorgere del pensiero (ve<strong>di</strong> <strong>il</strong> motivo <strong>di</strong> copertina):91downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


1. le corna dell’ariete (segno zo<strong>di</strong>acale del periodo <strong>di</strong>cultura dei greci e dei romani) sono luminose e ben circonvolute.Il Sole sorgeva nel segno dell’Ariete quandonacque nell’umanità la f<strong>il</strong>osofia, la capacità <strong>di</strong> pensare, inseno alla cultura greca. Il tratto principale dell’ariete sonole corna ricurve al punto da percorrere quasi un cerchiointero per tornare a toccare <strong>il</strong> proprio punto <strong>di</strong> partenza.Le corna dell’ariete – che anche Abramo fu chiamato aoffrire – rappresentano ciò che gli Scolastici chiamavanola recurvatio in se ipsum, cioè la capacità del pensiero <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventareautocosciente, <strong>di</strong> pensare <strong>il</strong> pensare – per <strong>di</strong>rlacon Aristotele;2. la testa <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseo, che fa pensare al suo prolungamentonella spina dorsale;3. <strong>il</strong> palo con la punta aguzza e infuocata che O<strong>di</strong>sseoporta via con sé. Questo palo non genera da sé la luce,ma è stato acceso, temprato da una brace che covavasotto <strong>il</strong> letame del Ciclope: infatti i contenuti del pensare,che sorgono nella nostra testa, alla punta del palo che è laspina dorsale, li inventiamo forse noi? No! Li pren<strong>di</strong>amodal mondo che ci circonda. E in che cosa consiste <strong>il</strong> trapassodal fuoco che va spegnendosi sotto la brace allaluce del palo? È <strong>il</strong> passaggio dalla sapienza cosmica all’intelligenzaumana singola: l’intelligenza umana è sapienzacosmica in<strong>di</strong>vidualizzata. È <strong>il</strong> passaggio dalla percezione,che è un frammento <strong>di</strong> mondo, al concetto, che è un <strong>il</strong>luminarsidella mente umana. Questa <strong>di</strong>fferenza è importante:<strong>di</strong> sapienza è pieno <strong>il</strong> mondo, ma l’intelligenza devevenire elaborata dall’<strong>uomo</strong>, per forza propria e libera.92downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


La tentazione evangelica <strong>di</strong> buttarsi giù dal pinnacolo(alto e luminoso) del tempio è la tentazione sempre incorso <strong>di</strong> ab<strong>di</strong>care alla facoltà luminosa e libera del pensieroe <strong>di</strong> abbandonarsi alla sfera «bassa» degli istinti e dellebrame. Ulisse vince <strong>il</strong> Ciclope con la luce del pensiero,non rinunciando al pinnacolo del tempio (<strong>il</strong> «tempio» èesso pure un’immagine del corpo umano, col «pinnacolo»che è la testa – più o meno pensante!).Il periodo <strong>di</strong> cultura greco-romano è posto sotto <strong>il</strong>segno dell’Ariete (sia nell’immagine dell’agnello sacrificaleebraico e cristiano, sia nell’immagine greca del vellod’oro):Polifemo, l’antico chiaroveggente ispirato93Polifemo è uno dei ciclopi: κυκλωψ (küklops) da κυκλος(küklos) che significa «cerchio, giro» e ωψ (ops)«occhio» da οραω (orào) «vedo» (futuro οψοµαι, òpsomai).Quello <strong>di</strong> Polifemo è un occhio che «vede tutt’intorno».Vede tutto panoramicamente, e perciò non puòancora <strong>di</strong>stinguere nulla. Il passaggio dall’occhio «panoramico»<strong>di</strong> Polifemo ai due occhi nostri è <strong>il</strong> passaggio dauna veggenza onnicomprensiva – che ancora non conodownloadedfrom www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


94sce, perciò, i concetti singoli – a quella vista che deve consciamenterivolgersi verso quella specifica cosa che vuole <strong>di</strong>volta in volta percepire, rinunciando a percepire tutto <strong>il</strong>resto. Era l’occhio della percezione spirituale, quellodell’antica chiaroveggenza che vedeva, fuori dal tempo, lacompresenza del tutto: non c’era ancora la storia, non c’era<strong>il</strong> mondo materiale, non c’era l’evoluzione, non c’era loscorrere del tempo. I nostri due occhi sono invece quelliche vedono le cose del mondo sensib<strong>il</strong>e una dopo l’altra,sono quelli dell’evoluzione nel tempo.L’opposto della parola κυκλωψ è ελικωψ (elìcops),«che guarda a elica, a spirale». Questa parola ricorre sianell’Iliade che nell’<strong>O<strong>di</strong>ssea</strong>: è <strong>il</strong> modo <strong>di</strong> guardare dei pianeti,<strong>il</strong> modo <strong>di</strong> guardare orientato, che ha una traiettoria, chedeve preferenziare per vedere <strong>di</strong> volta in volta cose nuovee <strong>di</strong>verse.I ciclopi sono tanti e <strong>il</strong> nostro si chiama Polifemo.Πολυϕηµος (Polüfemòs) è colui «che <strong>di</strong>ce tutto»:ϕηµι (femì) significa «parlare, narrare». È l’antica ispirazione<strong>di</strong>vina che narra non una cosa dopo l’altra, ma tuttoinsieme, nel contesto universale. Noi tutti, del ciclope cheeravamo, abbiamo perso da un lato la chiaroveggenzaatavica – che ci faceva vedere tutto in una volta – edall’altra l’ispirazione atavica – che ci faceva u<strong>di</strong>re tuttocontemporaneamente. L’antico vedere si è fatto sveglionel nostro guardare, e <strong>il</strong> vecchio u<strong>di</strong>re si è fatto attivo nelnostro ascoltare.Ve<strong>di</strong>amo ora in quale modo questo essere umano antico,<strong>il</strong> ciclope Polifemo, dotato <strong>di</strong> forze veggenti e ispiradownloadedfrom www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


tive del passato, si rivolge all’impulso dell’ariete. Finchél’ariete era stato al suo servizio, era uscito sempre perprimo; ora che l’ariete si è unito a O<strong>di</strong>sseo, che portaaggrappato al ventre, esce per ultimo. Ciò che si concepisceper primo è lo scopo che si vuol raggiungere ed è alcontempo ciò che si realizza per ultimo. Nell’intelligenzaumana avviene un’inversione <strong>di</strong> marcia: essa è la capacità<strong>di</strong> concepire per prima cosa ciò cui si vuol arrivare inultimo. Nella pianificazione dell’evoluzione umana lameta da raggiungere, la cosa concepita per prima, ful’impulso dell’ariete, cioè la chiamata a essere autonomi eliberi nel pensare. Ma proprio questa meta si può raggiungeresolo alla fine, perché è <strong>il</strong> fine <strong>di</strong> tutta l’evoluzione.Ecco allora che l’ariete, in chiave <strong>di</strong> attuazione delpiano evolutivo per opera <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseo, compare alla fine.«Esce dalla caverna» vuol <strong>di</strong>re: si affranca dai determinismi<strong>di</strong> natura.E noi tutti, non meno <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseo, siamo sempreall’inizio della fine: siamo all’inizio della realizzazione delfine complessivo dell’evoluzione che è l’acquisizione dellalibertà e dell’amore, resi possib<strong>il</strong>i solo dal pensare autonomo.Ascoltiamo le sublimi parole <strong>di</strong> Omero:Caro montone, perché vieni per la spelonca così,per ultimo? Prima non sei mai venuto dopo le pecore,ma primissimo correvi a brucare i teneri fiori dell’erba,a gran salti; per primo raggiungevi <strong>il</strong> corso dei fiumi;per primo bramavi tornare alle stalle,la sera; e ora invece sei l’ultimo. Forse tu piangi95downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


l’occhio del tuo padrone? Lo ha accecato un vigliacco,coi suoi v<strong>il</strong>i compagni, dopo avermi vinto la mente col vino:Nessuno, che penso non è sfuggito ancora alla morte.Oh se potessi anche tu pensare e parlare,per <strong>di</strong>rmi dove lui fugge dal mio furore.A lui, sbattuto qua e là per la grotta,si spaccherebbe <strong>il</strong> cervello per terra e <strong>il</strong> mio cuoreavrebbe sollievo dai mali che questo Nessuno da nulla mi<strong>di</strong>ede.( IX, 447-460)Il doppio lancio del macigno: coscienza e istintoUn’altra cosa interessante è <strong>il</strong> doppio lancio del macigno:Polifemo è figlio <strong>di</strong> Poseidone, <strong>di</strong>o del mare, vive cioèancora in uno stato <strong>di</strong> coscienza non entrato nella fisicitàdella terra. L’acqua è <strong>il</strong> simbolo delle forze cosmiche dellavita, non ancora intrise <strong>di</strong> materia terrestre. Polifemochiede vendetta al padre, lo supplica <strong>di</strong> intervenire controO<strong>di</strong>sseo.Ma appena <strong>di</strong>stai quanto basta per sentire chi grida,allora con parole taglienti <strong>di</strong>ssi al ciclope:«Ciclope, non certo i compagni <strong>di</strong> un <strong>uomo</strong> vigliaccoavresti mangiato nella cava spelonca con dura violenza.E i misfatti dovevano ricadere proprio su te,sciagurato, che non hai esitato a mangiare gli ospitinella tua casa: perciò ti ha punito Zeus e gli altri dei».96downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


Dissi così, e lui si a<strong>di</strong>rò nel cuore <strong>di</strong> più,<strong>di</strong>velse e scagliò la cima <strong>di</strong> una grande montagna:la fece cadere oltre la nave dalla prora turchina;alla caduta del masso <strong>il</strong> mare si sollevò:l’onda rifluendo sospinse la nave a terra,<strong>il</strong> riflusso dal largo, e la strinse contro la costa.Io, però, afferrata una lunghissima pertica,la spinsi <strong>di</strong> fianco e or<strong>di</strong>nai ai compagni, incitandoli,<strong>di</strong> gettarsi sui remi, per scampare al pericolo,con cenni del capo: ed essi remavano, piegandosi avanti.Quando avanzando sul mare <strong>di</strong>stammo <strong>il</strong> doppio,allora gridai al ciclope; intorno, i compagnichi <strong>di</strong> qua chi <strong>di</strong> là mi frenavano con dolci parole:«Sciagurato, perché vuoi irritare un selvaggio?che anche ora, lanciando <strong>il</strong> masso nel mare, ha risospintoverso terra la nave, e credevamo <strong>di</strong> lasciarci la vita.Se sentiva fiatare o parlare qualcuno,ci fracassava le teste e i legni <strong>di</strong> bordo,colpendoci con una ruvida roccia: perché tira lontano.»Così <strong>di</strong>cevano, ma non convinsero <strong>il</strong> mio cuore magnanimo,e <strong>di</strong> nuovo gli <strong>di</strong>ssi con animo irato:«Ciclope, se qualche <strong>uomo</strong> mortaleti chiede dello sconcio accecamento dell’occhio,<strong>di</strong>gli che ad accecarti fu O<strong>di</strong>sseo, <strong>di</strong>struttore <strong>di</strong> rocche,<strong>il</strong> figlio <strong>di</strong> Laerte che abita ad Itaca».Dissi così, ed egli mi rispose gemendo:«Ahimè, una profezia molto antica si avvera.C’era qui un indovino valente e grande,Telemo Eurimide, che eccelleva nell’arte profetica97downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


e profetando invecchiò fra i Ciclopi:egli mi <strong>di</strong>sse che un giorno tutto questo si sarebbe compiuto,d’essere privato della vista per mano <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseo.Ma io ho sempre aspettato che arrivasse qui un <strong>uomo</strong>grande e bello, vestito <strong>di</strong> grande vigore:invece uno che è piccolo, da nulla e debole, orami ha orbato dell’occhio, dopo avermi vinto col vino.Ma vieni, O<strong>di</strong>sseo, ché ti offra i doni ospitalie induca lo Scuotiterra glorioso a scortarti:<strong>di</strong> lui sono figlio, padre mio <strong>di</strong>ce d’essere.Egli mi guarirà, se lo vuole, lui e nessun altro,né degli dei beati, né degli uomini mortali».Disse così, ed io rispondendogli <strong>di</strong>ssi:«Magari avessi potuto privarti dell’animae della vita e scortarti nella casa <strong>di</strong> Ade,come non guarirà <strong>il</strong> tuo occhio neppure lo Scuotiterra».Dissi così, ed egli a Posidone signoreelevò una preghiera, tendendo le mani al cielo stellato:«Ascolta, Posidone che percorri la terra, dai capelli turchini,se sono tuo veramente, padre mio <strong>di</strong>ci d’essere,che a casa non giunga O<strong>di</strong>sseo <strong>di</strong>struttore <strong>di</strong> rocche,<strong>il</strong> figlio <strong>di</strong> Laerte che abita ad Itaca.Ma se è suo destino vedere i suoi cari e tornarenella casa ben costruita e nella terra dei padri,tar<strong>di</strong> vi giunga e male, perduti tutti i compagni,sopra una nave straniera, e a casa trovi dolori».Disse così pregando, lo udì <strong>il</strong> <strong>di</strong>o dai capelli turchini.Egli sollevato <strong>di</strong> nuovo un macigno molto più grandel’avventò roteando, gli impresse un impeto immenso:98downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


cadde <strong>di</strong>etro la nave dalla prora turchina,poco lontano, e quasi colpì l’estremità del timone.Alla caduta, <strong>il</strong> mare si sollevò,l’onda sospinse la nave, la spinse verso la costa.Quando arrivammo nell’isola, dove aspettavanoinsieme le altre navi ben costruite – i compagni sedevanointorno gemendo, sempre attendendo ci –,spingemmo sulla sabbia la nave, appena arrivati,e noi stessi sbarcammo sulla riva del mare.Tratte le greggi del ciclope dalla nave ben cava,le <strong>di</strong>videmmo, perché nessuno partisse privato del giusto.I compagni dai sal<strong>di</strong> schinieri, <strong>di</strong>vise le bestie,assegnarono <strong>il</strong> montone a me solo, a parte: immolandoloa Zeus Cronide dalle nuvole cupe, che <strong>di</strong> tutti è signore,ne bruciai sulla riva i cosci. Ma non accettò <strong>il</strong> sacrificio:me<strong>di</strong>tava come potessero perdersi tuttele navi ben costruite e i miei fedeli compagni».(IX, 473-555)Che cosa sono i due macigni scagliati dal ciclope Polifemo?Al primo lancio <strong>il</strong> masso va a finire oltre la prua erisospinge la nave verso la terra del ciclope. La secondavolta Ulisse e compagni avanzano del doppio: <strong>il</strong> macignocade prima della poppa, quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>etro al timone, e la naveviene sospinta in avanti verso l’isola delle Capre.L’isola delle Capre, dove viene portato l’ariete, è unpolo, quello degli impulsi coscienti; l’isola del ciclope èl’altro polo, con l’essere umano <strong>di</strong>steso e accecato, con gliimpulsi non coscienti della volontà istintiva e delle forze99downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


<strong>di</strong> natura. Al centro, la nave <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseo, la sfera me<strong>di</strong>anadel cuore e della parola.Abbiamo la testa (isola delle Capre), gli arti (isola <strong>di</strong>Polifemo con gli impulsi ciechi <strong>di</strong> natura) e <strong>il</strong> cuore:quando nob<strong>il</strong>itiamo <strong>il</strong> nostro essere solo a metà – lasciandosì la sfera buia degli istinti, ma entrando soltantoin quella sem<strong>il</strong>ibera dei sentimenti – veniamo risucchiati<strong>di</strong> nuovo nella sfera buia.La sfera dei sentimenti è da un lato <strong>il</strong> risultato <strong>di</strong> impulsipiù profon<strong>di</strong>, e dall’altro ci fa sempre <strong>di</strong> nuovo ricaderein essi. Se, invece, ci sforziamo <strong>di</strong> andare «<strong>il</strong> doppiopiù lontano», mirando decisamente al polo della coscienza<strong>il</strong>luminata, allora tutto ciò che ci viene dall’altro polo ciaiuta, ci fa da sostegno. Infatti, se noi non ricreiamo sempre<strong>di</strong> nuovo le basi del metabolismo non possiamo neanchepensare. Ma un conto è che <strong>il</strong> sistema del metabolismofaccia da sostegno, che ci consenta <strong>di</strong> vivere la libertàdella sfera della testa, e un conto è che annulliquesto impulso, risucchiandolo nella sfera dell’istinto.Polifemo è dunque l’<strong>uomo</strong> naturale, che conosce soloistinto e sentimento. Se in noi vigono soltanto l’istinto e<strong>il</strong> sentimento, siamo in un continuo ondeggiare tra l’unoe l’altro: l’istinto fa sorgere i sentimenti e i sentimentirimandano agli istinti. Il nostro compito è quello invece<strong>di</strong> rafforzare sempre <strong>di</strong> più l’altro polo, quello del pensiero,che trasforma sia l’istinto sia <strong>il</strong> sentimento in positiviaiuti: ciò che prima era lo scopo <strong>di</strong>venta ora lo strumento,ciò che era primo <strong>di</strong>venta ultimo.100downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


L’essere della libertàIl ciclope ricorda la profezia che gli era stata fatta circal’arrivo <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseo. L’evoluzione non improvvisa: i gra<strong>di</strong>ninecessari all’evoluzione dell’<strong>uomo</strong> sono stati concepiti –cioè pre-visti! – tutti fin dall’inizio. Noi ci arriviamo dopo,ma sono già messi in conto. A noi resta o <strong>di</strong> capirli o <strong>di</strong>non capirli, <strong>di</strong> attuarli o <strong>di</strong> ometterli.Noi ci troviamo dentro un’evoluzione progettata intutto <strong>il</strong> suo svolgersi fin dal suo stesso sorgere. E non ècosa da poco sentirsi avvolti da una saggezza eterna cheabbraccia tutto <strong>il</strong> tempo dall’inizio fino alla fine.Che l’essere umano <strong>di</strong>venti libero, autonomo, è statoda sempre previsto e voluto: Polifemo deve dar atto chegli era già stato predetto che la sua con<strong>di</strong>zione monoocularenon poteva essere lo sta<strong>di</strong>o ultimo del <strong>di</strong>venire. Eperché – potremmo chiederci – Polifemo non pre<strong>di</strong>ce asua volta ad Ulisse che verrà anche per lui qualcuno chelo vincerà? Perché l’autonomia dello spirito in<strong>di</strong>vidualenon è a sua volta uno sta<strong>di</strong>o interme<strong>di</strong>o: è la meta complessivae finale <strong>di</strong> tutto <strong>il</strong> <strong>di</strong>venire umano e come talenon può essere in vista <strong>di</strong> qualcos’altro. È in vista <strong>di</strong> sé,anche se consente infiniti gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> intensità e <strong>di</strong> perfezionamento.L’in<strong>di</strong>viduo che è libero nel suo pensare e che ama nelsuo volere non è superab<strong>il</strong>e da qualcosa <strong>di</strong> meglio ancora:è potenziab<strong>il</strong>e all’infinito, ma mai superab<strong>il</strong>e. Non è previstouno sta<strong>di</strong>o che sia un superamento della libertà attuata:non c’è niente <strong>di</strong> più alto o <strong>di</strong> più bello. Però Polifemo101downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


pre<strong>di</strong>ce a Ulisse che <strong>il</strong> conseguimento <strong>di</strong> questo sta<strong>di</strong>osupremo del <strong>di</strong>venire della Terra gli costerà molto. Questosì, che è previsto!E perché Polifemo si oppone al nuovo, pur vedendonela necessità evolutiva? Perché <strong>il</strong> ciclope rappresenta ciòche in noi è vecchio e duro a morire: se si ritraesse contentonon avremmo nulla da vincere, saremmo già allafine dell’evoluzione! Il compito <strong>di</strong> ciò che è vecchio èsempre quello <strong>di</strong> porre ostacoli al nuovo. Gli ostacolisono necessari per l’esercizio della libertà: se tutto andasseliscio e la strada fosse sempre sgombra non ci sarebbenulla da fare per la libertà, tutto andrebbe avanti per forzad’inerzia.L’incontro <strong>di</strong> Ulisse con Polifemo non è una bruttasventura, che sarebbe meglio se non ci fosse, ma è la piùgrande fortuna offerta alla libertà <strong>di</strong> <strong>ogni</strong> giorno.102downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


Pietro Archiati è nato nel 1944 a Capriano del Colle(Brescia). Ha stu<strong>di</strong>ato teologia e f<strong>il</strong>osofia alla Gregoriana<strong>di</strong> Roma e più tar<strong>di</strong> all’Università statale <strong>di</strong> Monaco <strong>di</strong>Baviera. È stato insegnante nel Laos durante gli anni piùduri della guerra del Vietnam (1968-70). Dal 1974 al 1976ha vissuto a New York nell’ambito dell’or<strong>di</strong>ne missionarionel quale era entrato all’età <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni. Nel 1977,durante un periodo <strong>di</strong> eremitaggio sul lago <strong>di</strong> Como, hascoperto gli scritti <strong>di</strong> Rudolf Steiner la cui scienza dellospirito ― destinata a <strong>di</strong>ventare la grande passione dellasua vita ― indaga non solo <strong>il</strong> mondo sensib<strong>il</strong>e ma anchequello invisib<strong>il</strong>e, e permette così sia alla scienza sia allareligione <strong>di</strong> fare un bel passo in avanti.Dal 1981 al 1985 ha insegnato in un seminarioin Sudafrica durante gli ultimianni della segregazione razziale. Dal 1987vive in Germania come libero professionista,in<strong>di</strong>pendente da qualsiasi tipo <strong>di</strong>istituzione, e tiene conferenze, seminari e convegni in variPaesi. I suoi libri sono de<strong>di</strong>cati allo spirito libero <strong>di</strong> <strong>ogni</strong>essere umano, alle sue inesaurib<strong>il</strong>i risorse intellettive emorali.103downloaded from www.archiati-e<strong>di</strong>zioni.it


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