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la contrada<br />
TEATRO STABILE DI INTERESSE PUBBLICO<br />
Quela note in via Crosada<br />
Ninì Perno e Francesco Macedonio
la contrada<br />
TEATRO STABILE DI INTERESSE PUBBLICO<br />
Presidente<br />
Orazio Bobbio<br />
Direttore artistico<br />
Francesco Macedonio<br />
Direttore organizzativo<br />
Ivaldo Vernelli
teatro la contrada<br />
via del Ghirlandaio, 12<br />
34138 Trieste<br />
tel. 040 948471<br />
fax 040 946460
Ninì Perno e Francesco Macedonio<br />
<strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong><br />
a cura di Paolo Quazzolo
<strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong><br />
Orazio Bobbio<br />
la contrada<br />
stagione I997 8<br />
/ 9<br />
prima rappresentazione<br />
Trieste teatro cristallo<br />
3 ottobre 1997
Indice<br />
007 Roberto Damiani<br />
Un impegno per Trieste<br />
009 Orazio Bobbio<br />
Un rinnovamento nella tradizione<br />
011 Francesco Macedonio<br />
Note di regia<br />
015 Ninì Perno<br />
Una canzone<br />
017 Paolo Quazzolo<br />
Dalla cronaca al palcoscenico<br />
024 Nota iconografica<br />
027 Marina Cattaruzza<br />
Cittavecchia tra Ottocento e Novecento<br />
035 Ondina Ninino<br />
<strong>La</strong> fototeca dei Civici Musei di Storia ed Arte<br />
049 Ninì Perno e Francesco Macedonio<br />
Quela note in via Crosada. <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong><br />
095 <strong>La</strong> pittura triestina tra Ottocento e Novecento<br />
104 Schede
Un impegno per Trieste<br />
Roberto Damiani<br />
ViceSindaco di Trieste<br />
Mantenendo fede al suo impegno nei confronti della città, anche quest’anno<br />
il Teatro Stabile <strong>La</strong> <strong>Contrada</strong> apre l stagione di prosa con un testo<br />
in dialetto triestino. Quela note in via Crosada. <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong> di Ninì<br />
Perno e Francesco Macedonio prosegue lungo il percorso imboccato più<br />
di vent’anni fa dalla compagnia di Orazio Bobbio e Ariella Reggio, espressamente<br />
dedicato alla valorizzazione del teatro in dialetto triestino.<br />
Questo lavoro di ricerca ha contraddistinto la <strong>Contrada</strong> sin da A casa tra<br />
un poco, lavoro che scrissi assieme a Claudio Grisancich nel 1976 e con<br />
il quale la compagnia aprì le proprie attività artistiche. Il testo affondava<br />
le radici nella cronaca cittadina proponendo una riflessione su una pagina<br />
importante della nostra storia locale e al contempo proponendosi di<br />
valorizzare la scrittura drammaturgica in triestino. Da allora sul palcoscenico<br />
abbiamo visto la <strong>Contrada</strong> alle prese sia con opere che hanno rivitalizzato<br />
la tradizione della commedia brillante, sia con lavori drammatici.<br />
Questo impegno ha portato la <strong>Contrada</strong> a una vera e propria azione filologica,<br />
recuperando il linguaggio triestino di un tempo, affrontando aspetti meno<br />
conosciuti della storia locale e rivitalizzando - come qui avviene in modo<br />
specifico - il repertorio della canzone popolare d’inizio secolo.<br />
<strong>La</strong> realtà teatrale di Trieste si distingue per la vivacità delle proposte e per la<br />
risposta immediata di un pubblico meraviglioso e unico per competenza,<br />
intelligenza, passione e caldo affetto. <strong>La</strong> <strong>Contrada</strong> reca un contributo meritorio<br />
e originale, del quale mi compiaccio come Assessore alla Cultura e mi<br />
congratulo con sincerità e lealtà come Presidente del “Rossetti”. <strong>La</strong> città sta<br />
crescendo nel settore sempre più ampio delle attività culturali. Ne siamo<br />
tutti orgogliosi e riconoscenti a chi - come Orazio, Ariella e gli amici della<br />
<strong>Contrada</strong> - a questa eccezionale crescita contribuisce con la sua impronta, il<br />
suo temperamento, il suo amore per Trieste e per l’arte.<br />
7
Un rinnovamento nella tradizione<br />
Orazio Bobbio<br />
Con la messa in scena di Quela note in via Crosada. <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong> di<br />
Ninì Perno e Francesco Macedonio, la <strong>Contrada</strong> offre per la prima volta<br />
al proprio pubblico, in apertura di stagione, un lavoro in dialetto triestino<br />
che si scosta dalla tradizionale commedia brillante. Si tratta di una piéce<br />
che, pur senza assumere i toni più cupamente drammatici, affronta una<br />
tematica di sicuro impegno e di solido spessore drammaturgico.<br />
Come è ben noto, la <strong>Contrada</strong> già in passato ha più volte proposto con<br />
successo alla platea triestina opere drammatiche in dialetto: basti ricordare<br />
Un baseto de cuor di Claudio Grisancich o Galina Vecia di Augusto<br />
Novelli, che hanno incontrato il plauso convinto degli spettatori. <strong>La</strong> scelta<br />
di aprire il cartellone di prosa 1997-1998 con un testo drammatico vuole<br />
essere il segno di un rinnovato impegno che la <strong>Contrada</strong> da sempre profonde<br />
nel settore della drammaturgia in dialetto. È questa la volontà precisa<br />
di valorizzare un filone teatrale e un gruppo di autori che costituiscono<br />
la base di una tradizione drammaturgica - quella triestina, appunto -<br />
che certamente non può vantare una storia molto antica.<br />
<strong>La</strong> scelta di un testo come <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong> ha permesso di attuare un<br />
prezioso lavoro di ricerca sia sul fronte linguistico, con il recupero di un<br />
dialetto triestino dalla forte valenza teatrale, sia con la riproposta di alcune<br />
canzoni popolari che il mutare dei tempi rischia di far scomparire per<br />
sempre dalla memoria collettiva. E inoltre questa messinscena ha consentito<br />
di proporre il ritratto di un mondo quale era quello di un rione<br />
popolare della Trieste di inizio secolo, chiuso e quasi ghettizzato all’interno<br />
dei suoi confini. Documento questo di una realtà sociale che non si<br />
esaurisce solamente all’interno dell’epoca storica o del luogo geografico<br />
rappresentati, ma che nel suo sconcertante dipanarsi presenta aspetti di<br />
viva attualità.<br />
9
Note di regia<br />
Francesco Macedonio<br />
Già parecchi anni addietro avevo pensato di realizzare uno spettacolo sulla<br />
storia di <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong> ma, per un motivo o per l’altro, il progetto non era<br />
mai giunto a realizzazione. Ora, nel ripercorrere la genesi di questo testo,<br />
posso dire che la scelta dell’argomento non è stata casuale, da un lato<br />
perché possiede una sorta di legame artistico con El mulo Carleto, lo<br />
spettacolo della passata stagione, dall’altro perché tocca un tipo di sensibilità<br />
che mi stimola in modo particolare.<br />
Questa vicenda, i suoi personaggi, le sue atmosfere, mi hanno coinvolto<br />
profondamente sin dal primo momento. Di <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong> mi ha subito<br />
colpito la storia semplice e un po’ primitiva, i personaggi caratterizzati da<br />
una forte rudezza eppure animati da forti e sincere passioni. Personaggi<br />
che forse non è facile amare e che nella realtà quotidiana non si vorrebbe<br />
neppure conoscere. Sono così lontani, così diversi da noi a tal punto che,<br />
quando ridono, possono divenire persino inquietanti. Perché inquietante<br />
non è solo colui che dice o fa cose misteriose: inquietante può essere<br />
molto di più la risata su una barzelletta che non l’azione violenta di un<br />
accoltellamento. I personaggi di questa vicenda non sono dei ribelli, ma<br />
solo dei diversi. Il vivere in un quartiere disagiato e il loro essere poveri,<br />
li pone irrimediabilmente lontano da noi, perché molta gente non ama la<br />
diversità o la povertà. Anche i cani abbaiano contro i poveri: e la guardia<br />
Nagode abbaia contro questa gente che non è simpatica perché ha la<br />
colpa di appartenere a un mondo diverso.<br />
Non è facile, a volte, spiegare il perché di determinate scelte o per quale<br />
motivo una determinata cosa ti affascina. Il personaggio della fioraia, per<br />
esempio, richiama spontaneamente alla memoria tutta una serie di sentimenti<br />
che conducono al patetismo e alla dolcezza. Sono questi gli elementi<br />
che ti coinvolgono, che fanno presa, che ti spingono a scegliere<br />
11
12<br />
questo personaggio piuttosto che quello, a farlo parlare in un modo piuttosto<br />
che in un altro.<br />
Allestire uno spettacolo su questa tematica permette di far vedere al pubblico<br />
tutto un universo di comportamenti che difficilmente oggi sono conosciuti.<br />
Il punto non è tanto sottolineare gesti o movimenti appartenuti a<br />
un mondo lontano, quanto piuttosto la scoperta di certi modi comportamentali<br />
che oggi non esistono più. Per esempio quello dell’uomo<br />
che invitando a ballare una donna si pulisce le mani sui calzoni: è questo<br />
un piccolo gesto che, come molti altri, è stato dimenticato, ma che ci<br />
ricollega immediatamente a un modo di vivere e di sentire propri di un’altra<br />
epoca. È interessante far rivivere delle cose che non ci sono più, proporle<br />
alla gente di oggi affinché possa vederle, ricordarle...<br />
Questo spettacolo non vuole essere la ricostruzione di un fatto di cronaca,<br />
quanto piuttosto il tentativo di riproporre e ricordare un mondo fatto<br />
di gente semplice; è la volontà di afferrare l’atmosfera, i sentimenti, le<br />
emozioni di quel mondo per portarli a far vedere al pubblico dei nostri<br />
giorni.<br />
Nel passaggio dal fatto di cronaca all’azione scenica si è cercato mantenere<br />
intatti i sentimenti e le emozioni così come li visse nella realtà <strong>Antonio</strong><br />
<strong>Freno</strong>. Egli era una persona insoddisfatta, che aveva molto sofferto nell’infanzia<br />
perché non aveva conosciuto la madre e perché il padre non era<br />
mai stato tale per lui. Cresciuto in un orfanotrofio, era stato vittima di<br />
umiliazioni e violenze, ma soprattutto di una forte mancanza di affetto. E<br />
non è casuale che <strong>Freno</strong> fosse una persona in cerca di affetto, mansueto<br />
se trattato bene, capace di divenire terribile se trattato con odio. Pur senza<br />
voler giustificare l’azione violenta compiuta dal protagonista, tuttavia<br />
l’omicidio trova spiegazione proprio in quel suo sentirsi aggredito e trattato<br />
con ingiustizia da chi, in quel momento, rappresenta il potere.<br />
<strong>La</strong> parte centrale nella messinscena di <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong> credo possa essere<br />
indicata in una delle scene del primo atto. Si tratta della festa improvvisata,<br />
il momento in cui <strong>Freno</strong>, in osteria da Guelfo, offre a Lucia e agli amici<br />
un colombo. <strong>La</strong> festa viene rovinata da Nagode, dall’autorità che fa concludere<br />
repentinamente la baldoria. Eppure nella memoria di tutti i partecipanti,<br />
essa verrà ricordata come un momento unico e irripetibile. Quando,<br />
all’ultima scena della commedia, trent’anni più tardi, Pepi Spinazza si<br />
lascia andare alla memoria del passato, non è un caso che ricordi proprio<br />
quella festa, divenuta simbolo di un mondo che non esiste più. E allora il<br />
ricordo assume il sapore dell’onirico, laddove ci si chiede se le cose che<br />
si ricordano sono davvero esistite oppure se siano solo frutto della fanta-
sia. E così Pepi Spinazza diviene cantore di un mondo che forse è solo<br />
nella sua immaginazione e che non è mai esistito, celebratore di un ambiente<br />
che nel ricordo appare perfetto ma che forse così non era.<br />
<strong>La</strong> stesura di questo testo ha permesso di realizzare un lavoro di ricerca<br />
su più piani. Da un lato si è agito a livello linguistico, tentando di ricostruire<br />
- per quanto possibile - le espressioni del dialetto parlato in Cittavecchia<br />
agli inizi del secolo. E questo tenendo presente che si tratta di una lingua<br />
non letteraria ma viva, detta, parlata. Tuttora il triestino è una lingua che<br />
si sta evolvendo, i giovani parlano in modo diverso rispetto gli anziani;<br />
certi modi di dire sono oggi scomparsi, mentre spesso i giovani fanno uso<br />
di espressioni che i vecchi non conoscono.<br />
Su un altro lato questa commedia ha permesso di fare un lavoro di ricerca<br />
sulla canzone popolare triestina degli inizi del secolo, recuperando un<br />
repertorio di canzoni spesso dimenticate. Esse costituiscono una sorta di<br />
cultura “da osteria”, luogo questo dove la gente andava non solo per bere,<br />
ma anche per raccontarsi delle storie, per narrare i propri fatti, le passioni<br />
e anche per cantare. Era l’osteria il luogo per eccellenza dove si sviluppava<br />
la cultura popolare. <strong>La</strong> stessa canzone di <strong>Freno</strong> è nata nelle osterie e là<br />
è stata tramandata sino a noi da persone come i Pastrovicchio ai quali si<br />
deve la conservazione di questa fetta di cultura popolare che altrimenti<br />
sarebbe andata perduta irrimediabilmente.<br />
13
Una canzone<br />
Ninì Perno<br />
Dalla canzone – tuttora molto nota e ancora cantata – siamo risaliti al<br />
personaggio, alla sua storia e al suo ambiente.<br />
E ci siamo trovati in presenza di una Trieste dei primi anni del Novecento<br />
ricca di figure e di luoghi ora scomparsi.<br />
Rena vecia: una parte della città vicina al porto, dove abitava la povera gente,<br />
dove si aprivano i bordelli per i marinai e le osterie di basso rango, dove<br />
regnavano le leggi della piccola malavita e la polizia – seppure presente –<br />
faticava a far rispettare le proprie. Leggi della malavita basate su un particolare<br />
codice d’onore, di lealtà e di amicizia («Vergogna no xe rubar, vergogna<br />
xe no portar niente a casa») in ossequio all’autorità del più forte che si<br />
faceva valere facendo scattare la lama del coltello che portava “in seno”. C’è<br />
anche disperazione, in queste vite senza amore, con un desolante passato<br />
da dimenticare e un futuro inesistente e nebbioso, fantasticato tra un bicchiere<br />
e l’altro senza la forza o la volontà di realizzare.<br />
Ma c’è il collante delle canzoni.<br />
Un filo musicale tenero e continuo che racconta le tragedie, i delitti, o<br />
anche solo la vita di tutti i giorni col desiderio di esorcizzare le brutture e<br />
le fatiche quotidiane in un canto liberatorio e corale.<br />
Il vino, il canto e lo stare insieme: gli unici tesori di vite “a perdere”.<br />
Così, quando l’autorità, l’altro, l’elemento contrario e ostile vuole intervenire<br />
e soffocare proprio quel momento di abbandono e di allegria, scatta<br />
la reazione incontrollata e furiosa.<br />
Queste, alcune delle considerazioni che ci hanno portato a leggere quel<br />
fatto di cronaca nera del 1904 come una foto un po’ sbiadita, virata color<br />
seppia, di un gruppo di persone all’angolo di via Crosada.<br />
15<br />
Ninì Perno è nata a<br />
Trieste. Regista Rai,<br />
autrice di originali<br />
radiofonici, ha firmato<br />
molte trasmissioni<br />
televisive di successo,<br />
tra le quali Un giorno<br />
in pretura. Tra i<br />
radiodrammi va<br />
ricordata la serie dei<br />
processi celebri<br />
realizzata per la Sede<br />
regionale della Rai.<br />
Come autrice teatrale<br />
ha scritto, per la<br />
<strong>Contrada</strong>, la<br />
commedia Un sial per<br />
Carlotta, andata in<br />
scena nel 1981 e,<br />
assieme a Francesco<br />
Macedonio, Quela<br />
sera de febraio...<br />
rappresentata a<br />
Trieste nel 1990 e<br />
Un’Isotta nel giardino<br />
(1995).
Dalla cronaca al palcoscenico<br />
Paolo Quazzolo<br />
«Il tragico fatto seguito in via Crosada e di cui rimase vittima una guardia<br />
di pubblica sicurezza, ci produsse grandissima e penosa impressione.<br />
Questa fu condivisa da tutta intera la cittadinanza, commossa all’immagine<br />
di quella povera donna orbata del marito e di quei poveri bimbi privati<br />
dell’unico sostegno. […] È generalmente lamentata la mancanza di sorveglianza<br />
in cui si trovano le vie delle Beccherie, Crosada e del Fortino,<br />
nonché della Pescheria vecchia, tutte vie che per essere site dove trovansi<br />
delle case pubbliche, oltreché di prostitute sono piene zeppe di notte di<br />
moltissima gente, tra cui parecchi pregiudicati che spesso si approfittano<br />
della confusione massima regnante in quelle vie a causa delle suddette<br />
donne allegre. Il cittadino che passa per quei paraggi a stento riesce a<br />
superare quelle forche caudine, che sono costituite dalle prostitute che<br />
gli s’appiccicano d’attorno invitandolo in mille guise ai loro alberghi. Il<br />
cittadino che prosegue la via non dando ascolto a quelle offerte, è insultato<br />
e nella confusione che vien generata i pregiudicati si approfittano per<br />
far man bassa nelle saccoccie del malcapitato. […] Non bastano quindi<br />
due guardie che devono fare quattro ore di ronda continua per tutte quelle<br />
vie, per tutti quegli inestricabili labirinti fatti di angiporti oscuri e di<br />
antri dove il buio è pesto e l’insidia può riuscire coll’impunità<br />
dell’insidiatore. Per quelle contrade dieci guardie sarebbero ancora insufficienti!»<br />
Così il 26 settembre 1904 il quotidiano Il Gazzettino di Trieste commentava<br />
il delitto di via Crosada, il tragico fatto di sangue avvenuto due giorni<br />
addietro che aveva profondamente sconvolto l’opinione pubblica cittadina.<br />
Tutti i quotidiani di allora dedicarono non poco spazio alla vicenda,<br />
tentando sin dal primo momento di dare una logica ricostruzione dei fatti.<br />
Il tono polemico adottato dall’articolista del Gazzettino era la risposta<br />
17
18<br />
più immediata alla situazione di malessere e di insicurezza che da molto<br />
tempo affliggeva le vie di Cittavecchia, il quartiere popolare sito nel pieno<br />
centro di Trieste e caratterizzato da un livello malavitoso veramente preoccupante.<br />
L’intrico complesso e labirintico delle viuzze che si inerpicavano<br />
su per il colle di San Giusto, una illuminazione notturna precaria, la<br />
presenza di numerosi bordelli nonché di osterie malfamate, offrivano sicuro<br />
riparo a persone tutt’altro che raccomandabili, divenendo così il punto<br />
di riferimento di una umanità degradata che viveva rinchiusa in una sorta<br />
di universo a sé stante.<br />
Non c’è da meravigliarsi, quindi, se la zona fosse accuratamente evitata<br />
da coloro che appartenevano a ceti sociali differenti, consci che l’ingresso<br />
in quel labirinto di vie oscure avrebbe costituito un vero pericolo per<br />
l’incolumità personale. E d’altra parte lo stesso pericolo era vissuto quotidianamente<br />
dalle guardie che svolgevano là dentro il servizio di vigilanza,<br />
a diretto contatto con una popolazione a loro ostile. L’assassinio di<br />
Giacomo Nagode messo a segno da <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong>, deve quindi essere<br />
interpretato quale punta emergente di un conflitto costante che contrapponeva<br />
gli agenti di pubblica sicurezza agli abitanti del quartiere, coloro<br />
che cercavano di far rispettare l’ordine a coloro che nelle guardie vedevano<br />
il simbolo di un potere oppressivo e invadente.<br />
<strong>La</strong> storia di <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong> si consumò nel giro di poche ore, dalla notte di<br />
sabato 24 settembre 1904 alla mattina successiva, quando lo stesso protagonista<br />
- fuggito nel frattempo a Isola d’Istria - si consegnò alle guardie<br />
senza opporre resistenza alcuna. Il ricordo di quel fatto di sangue è rimasto<br />
documentato - oltre che in una nota canzone popolare - in un corposo<br />
fascicolo conservato presso l’Archivio di Stato di Trieste riguardante gli<br />
atti penali del Tribunale Provinciale. Un insieme di documenti costituito<br />
da interrogatori, testimonianze, perizie psichiatriche, dichiarazioni, atti<br />
del processo, ricorsi e contro-ricorsi, che consentono di ricostruire la verità<br />
storica e le motivazioni profonde di quel gesto di violenza.<br />
Soprannominato “il terrore di via Crosada”, noto per la sua violenza e per<br />
la sua irascibilità, <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong> è stato in seguito mitizzato ed è divenuto<br />
una sorta di piccolo eroe popolare, simbolo della ribellione contro un’autorità<br />
a stento sopportata. Ma chi era in realtà <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong>? Senza dubbio<br />
il prodotto di un malessere sociale, di una condizione di vita disagiata<br />
che spesso conduceva persone miti a trasformarsi in autentiche belve e a<br />
far valere se stesse tramite la legge del più forte. <strong>La</strong> descrizione fisica che<br />
si può leggere nel protocollo di arresto, ce lo presenta come un uomo di<br />
statura media, di corporatura giusta, dalla faccia provvista di mustacchi<br />
dal colore scuro, occhi e capelli castani, fronte bassa, naso regolare.
Nato a Trieste il 4 dicembre del 1876, <strong>Freno</strong> ebbe un’infanzia difficile. <strong>La</strong><br />
madre, Maria Mladinovich, morì poco dopo il parto per idropisia, mentre<br />
il padre, Rocco, già al secondo matrimonio, era prossimo ai settant’anni.<br />
Dopo la perdita della seconda moglie, il padre di <strong>Antonio</strong> si sposò per la<br />
terza volta e, desideroso di sbarazzarsi dell’incomoda presenza di questo<br />
figlio, lo relegò nella Pia Casa dei poveri, l’orfanotrofio cittadino. Qui <strong>Antonio</strong><br />
ebbe occasione di farsi - seppure a fatica - una istruzione scolastica<br />
di base e di mettere subito in luce un carattere certamente difficile e<br />
umorale. E a ciò certamente non giovarono la mancanza di affetto, le punizioni<br />
e i maltrattamenti subiti. Uscito dall’orfanotrofio a quattordici anni,<br />
fece per qualche tempo il falegname; trasferitosi poi a Capodistria, fu spazzacamino,<br />
professione che svolse anche a Gorizia e Trieste. Stabilitosi<br />
nuovamente nella sua città, <strong>Freno</strong> svolse l’attività di facchino, di venditore<br />
girovago di cocomeri e anche di contrabbandiere di acquavite. In seguito<br />
fu disoccupato, spesso vivendo alla giornata o facendosi mantenere<br />
da una prostituta, Lucia Popovich, che era divenuta la sua donna.<br />
Allo squallore di una vita sbandata si aggiunse anche la malattia. Come è<br />
possibile desumere delle perizie mediche e dai ripetuti ricoveri ospedalieri,<br />
<strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong> era afflitto da epilessia nonché dagli effetti di un alcoolismo<br />
spinto ai massimi livelli. Abituato a bere sin da giovanissimo, egli era in<br />
grado di assimilare - secondo quanto sostenuto dalle perizie - sino a undici<br />
litri di vino al giorno, cifra questa senz’altro impressionante.<br />
Di carattere instabile, egli era soggetto a violenti dolori al capo che spesso<br />
ne appannavano il ragionamento, mentre una notevole irascibilità e<br />
aggressività si scatenavano in lui non appena aveva l’impressione di essere<br />
trattato ingiustamente o con violenza. Insoddisfatto della propria esistenza<br />
che lui stesso non aveva difficoltà a considerare infelice, nel luglio<br />
del 1904 cercò di togliersi la vita ingerendo dell’acido fenico.<br />
Il nome di <strong>Freno</strong> era ben noto alla polizia. Prima degli avvenimenti del<br />
1904 egli aveva già riportato una quindicina di condanne per furto e pubblica<br />
violenza, l’ultima delle quali nell’agosto precedente. In quell’occasione<br />
egli mise a segno un furto di cinquanta corone ai danni di una prostituta.<br />
Il caso grottesco volle che la donna, il cui nome era Lucia Popovich,<br />
dopo aver denunciato <strong>Freno</strong> se ne innamorasse, divenendo così la sua<br />
compagna.<br />
I fatti che riguardano l’assassinio di via Crosada sono ampiamente documentati<br />
dalle numerose testimonianze che la polizia raccolse nelle ore<br />
immediatamente seguenti il fatto, così come dallo stesso <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong>,<br />
che rese ampia e dettagliata confessione. Nonostante la discrepanza esi-<br />
19
20<br />
stente tra le diverse versioni, tuttavia si può stabilire che all’origine del<br />
delitto vi fu una provocazione da parte della guardia di pubblica sicurezza<br />
Nagode. Costui investì con eccessiva violenza verbale <strong>Freno</strong> il quale, già<br />
di per se stesso psichicamente instabile, ebbe una reazione incontrollata.<br />
Ammonito a non cantare, <strong>Freno</strong> rispose in modo brusco, vi furono spintoni<br />
e strattonate, sinché si giunse alle armi. Ne seguì una violenta colluttazione,<br />
al termine della quale Nagode, ripetutamente colpito con un coltello, cadde<br />
a terra esangue. Lo stesso <strong>Freno</strong>, nella foga della lotta, si conficcò il<br />
temperino nella mano sinistra, ferendosi gravemente. L’omicida, dopo<br />
aver gironzolato inebetito per i dintorni e dopo essersi fasciato alla meno<br />
peggio la mano sanguinante, decise di allontanarsi dalla zona. Si diresse<br />
allora in piazza della Barriera Vecchia e da qui su per via Molino a vento<br />
sino al cimitero di Sant’Anna. Lungo la strada per Zaule, <strong>Freno</strong> si fece<br />
dare un passaggio da un carro di campagna diretto a Capodistria. Cammin<br />
facendo tuttavia decise di cambiare destinazione e sulla strada di<br />
Semedella smontò dal carro e proseguì a piedi alla volta di Isola d’Istria.<br />
Qui giunto si fece medicare la mano da un dottore, per poi prendere alloggio<br />
presso un affittacamere.<br />
Le indagini di polizia non durarono molto a lungo. Le indicazioni dei testimoni<br />
e i sospetti supportati da indizi sin troppo evidenti, permisero di<br />
raggiungere <strong>Freno</strong> a Isola già la mattina seguente, dove fu arrestato senza<br />
grosse difficoltà. Lui stesso, dopo aver tentato in modo maldestro di<br />
negare il fatto, confessò spontaneamente, consegnando inoltre ai gendarmi<br />
l’arma del delitto ancora sporca di sangue. Da qui l’uomo venne riportato<br />
con il treno a Trieste, dove giunse alle 10 di sera, alla stazione di S. Andrea,<br />
tra due ali di curiosi.<br />
<strong>La</strong> procedura giudiziaria fu molto rapida e già il 10 dicembre 1904 la corte,<br />
all’unanimità, pronunciò la sentenza di condanna a morte mediante<br />
capestro. Gli avvocati di <strong>Freno</strong> ricorsero contro la sentenza, sostenendo<br />
che questa era stata condizionata da una perizia psichiatrica di parte. Ed<br />
effettivamente, rileggendo tale perizia, appaiono evidenti tutta una serie<br />
di contraddizioni. Se da un lato si dimostra che <strong>Freno</strong> era un alcoolizzato,<br />
dall’altro si sostiene che egli, al momento dell’omicidio, era pienamente<br />
sobrio, nonostante avesse tracannato più di due litri di vino e parecchi<br />
bicchieri di birra. Se al principio si dimostra che <strong>Freno</strong> era ammalato di<br />
epilessia, al termine si conclude che tale malattia in realtà non lo affliggeva<br />
gravemente.<br />
Sebbene il ricorso fosse stato respinto, il 3 maggio 1905 <strong>Freno</strong> fu graziato<br />
dall’imperatore che commutò la pena di morte in carcere duro a vita. Trasportato<br />
nel penitenziario di Maribor, qui rimase sino al 1922, anno in cui
venne concessa una amnistia in occasione delle nozze del re Alessandro<br />
di Jugoslavia. Tornato a Trieste, venne rinchiuso nuovamente in carcere<br />
in quanto, secondo le leggi di allora, spettava solamente al re italiano<br />
graziare i cittadini di Trieste condannati dagli ex tribunali austriaci. Il 3<br />
ottobre del 1922 Vittorio Emanuele III concesse la riduzione di pena a<br />
trent’anni, mentre il 15 agosto del 1924 la pena venne ulteriormente ridotta<br />
a ventidue anni.<br />
<strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong> uscì di carcere nel 1926, all’età di cinquant’anni. Di lui non<br />
si posseggono altre notizie, all’infuori di quella che lo vuole in seguito<br />
sposato e padre di due figli.<br />
Quanto a Giacomo Nagode, originario di Longatico, ventinovenne, morì<br />
poco dopo la colluttazione per rapido dissanguamento a seguito di numerose<br />
ferite, la più grave delle quali aveva reciso la carotide. <strong>La</strong>sciò una<br />
moglie malata di cuore e due figli molto piccoli.<br />
<strong>La</strong> trasposizione teatrale della storia di <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong> realizzata da Francesco<br />
Macedonio e Ninì Perno più che offrire una visione truculenta e<br />
realistica della vicenda, ne propone una rilettura in chiave poetica. Addolciti<br />
gli elementi più duri, eliminato ogni eccesso di violenza, la commedia<br />
diviene un attento studio d’ambiente. Al suo interno spicca l’attenzione<br />
riservata dagli autori alla ricostruzione del dialetto d’inizio secolo, così<br />
come alla riscoperta di alcune canzoni popolari triestine, che contribuiscono<br />
a ricreare l’atmosfera di Cittavecchia. Il susseguirsi dell’azione<br />
rispecchia con una certa fedeltà i reali fatti di cronaca che peraltro costituiscono<br />
la fonte prima e ineliminabile sulla quale costruire una commedia<br />
di questo genere. Gli stessi personaggi, da <strong>Antonio</strong>, a Lucia, a Pepi<br />
Spinazza, alle prostitute, portano il nome dei protagonisti di quel lontano<br />
fatto di cronaca, così come i luoghi, le vie, le osterie, i bordelli, sono tutti<br />
la trasposizione di simili ambienti effettivamente esistiti.<br />
Non mancano certamente alcune trasgressioni alla realtà storica, dettate<br />
dalla vena creativa degli autori che hanno così voluto dare spazio alla loro<br />
sensibilità artistica e a una rilettura interiore di alcuni aspetti della vicenda.<br />
Ecco allora comparire sulla scena della commedia un personaggio<br />
indimenticabile come quello della fioraia Gigeta, simbolo di dolcezza e di<br />
patetismo, figura evocatrice di ricordi lontani traboccanti d’affetto. Ecco<br />
materializzarsi sulla scena, all’inizio del secondo atto, il barone, personaggio<br />
simbolo dell’uomo sottomesso e codardo, oggetto di scherno ma<br />
anche insostituibile fonte di guadagno per le prostitute da lui frequentate.<br />
Uno squarcio di allegria posto al centro delle sequenze più drammati-<br />
21
22<br />
che della storia, capace di creare un singolare e stridente accostamento<br />
di tonalità opposte.<br />
<strong>La</strong> brutalità della vicenda di cronaca poteva concretizzarsi sulla scena teatrale<br />
solamente attraverso un tono drammatico che entrasse armonicamente<br />
in sintonia con lo spirito del carattere triestino. Sarebbe quindi<br />
inutile cercare di scorgere nel testo di Macedonio e della Perno una<br />
tragicità antica o, ancor peggio, una drammaticità dal cupo sapore<br />
espressionistico. <strong>La</strong> stessa letteratura triestina, non estranea alla sensibilità<br />
drammatica, si è sempre espressa attraverso un tono che tende piuttosto<br />
alla melanconia, al sentimento o al ricordo, ma mai alle tinte cupe o<br />
violente. Da qui il dipanarsi di una vicenda all’interno della quale non<br />
manca posto per la battuta allegra, per la risata, per i toni melanconici o<br />
patetici, che allentano e diluiscono l’incedere drammatico della storia.<br />
<strong>La</strong> ricostruzione drammaturgica della vicenda di <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong> oltre a<br />
poggiare sui già citati fatti di cronaca, porta con sé un la coscienza di una<br />
civiltà teatrale che influisce inevitabilmente sulle scelte operate dagli autori.<br />
Nella trasposizione teatrale di un fatto ambientato in un quartiere<br />
proletario della Trieste di inizio secolo, è possibile sentire l’eco di alcuni<br />
modelli forti della drammaturgia europea precedente. A partire dal<br />
Woyzeck di Georg Büchner, opera cara agli espressionisti tedeschi, dotata<br />
di una forte carica di violenza e di una notevole cupezza, in gran parte<br />
fondata sulla tematica del disfacimento sociale e della corsa verso<br />
l’autodistruzione. Temi questi che vengono addolciti da un altro modello<br />
rintracciabile dietro l’opera di Macedonio-Perno: Bilora di Ruzante. E qui<br />
emerge immediatamente la tematica della contrapposizione tra il potente<br />
e l’uomo del popolo, così come dell’omicidio causato dall’ubriachezza e<br />
dall’ira di chi si sente calpestato nei suoi diritti. Il tutto in una chiave di<br />
lettura che stempera la tragicità con la battuta comica e con una visione<br />
del mondo non del tutto cupa. E infine, dietro la coralità della vicenda<br />
teatrale di <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong>, può essere scorto il modello offerto da El nost<br />
Milan di Carlo Bertolazzi, commedia in dialetto milanese che racconta<br />
una storia di povera gente ambientata in un quartiere popolare del capoluogo<br />
lombardo. Una storia dietro la quale non è difficile scorgere le tracce<br />
di un clima non completamente dissimile a quello tutto luci e ombre di<br />
Cittavecchia.<br />
Di questi modelli l’eco si ripercuote talora anche dietro singole battute<br />
della commedia che, pur nella loro originalità, divengono a tratti una sorta<br />
di citazione di quegli esempi che ne hanno ispirato l’atmosfera.<br />
Ma anche nella strutturazione linguistica del testo gli autori hanno cerca-
to un linguaggio che riproponesse la parlata di Cittavecchia degli inizi del<br />
secolo. In tale senso molto hanno contribuito le citazioni, spesso testuali,<br />
delle frasi in dialetto che compaiono nei verbali degli interrogatori. Ma a<br />
creare l’atmosfera linguistica appropriata contribuiscono anche una notevole<br />
quantità di proverbi, detti popolari, modi di dire, talora ancora in<br />
uso nella parlata triestina, ma tutti rigorosamente risalenti all’epoca dell’azione.<br />
E infine anche le barzellette che sono inserite all’interno della<br />
commedia sono la riproposta di altrettanti raccontini che compaiono in<br />
alcune pubblicazioni di fine Ottocento.<br />
<strong>La</strong> vicenda teatrale di <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong> più che essere letta come la riproposta<br />
nostalgica di un mondo che non c’è più, deve essere interpretata come la<br />
volontà di ricostruire un ambiente, con i suoi personaggi, la loro gestualità,<br />
il loro modo di parlare e di esprimersi, rendendo così omaggio a un mondo<br />
che è ormai scomparso e che i ritmi della vita moderna hanno per<br />
sempre cancellato. E forse proprio nella festa che costituisce il cuore del<br />
primo atto, è possibile rintracciare il segno più chiaro di questa operazione.<br />
Non è casuale che, alla fine della commedia, quella festa divenga un<br />
ricordo lontano, a metà strada tra il vero e il sognato, mitizzazione di un<br />
mondo che ormai sta vivendo la sua ultima stagione.<br />
<strong>La</strong> commedia di Francesco Macedonio e Ninì Perno si conclude agli inizi<br />
degli anni Trenta, quando <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong>, uscito di prigione, ritorna ai<br />
luoghi di un tempo. Ma ormai si percepisce che l’atmosfera è mutata, le<br />
generazioni sono cambiate, il mondo di inizio secolo non esiste più. Non<br />
è una coincidenza - e questo fa parte della realtà storica - che proprio nel<br />
1937, nel corso dei lavori di risistemazione urbanistica, parte di<br />
Cittavecchia sia stata completamente demolita. Anche la sezione iniziale<br />
di via Crosada cadde sotto i colpi delle ruspe e oggi rimane ben poco di<br />
quella che fu la naturale scenografia della storia di <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong>. Ora la<br />
parte superstite di via Crosada è inagibile per i lavori di risanamento edilizio,<br />
mentre la sua sezione iniziale, che si spingeva sino all’incrocio con<br />
via della Muda vecchia, ha ceduto il posto alla più ampia via del Teatro<br />
Romano. <strong>La</strong> casa numero 4, presso la quale <strong>Freno</strong> uccise Nagode, sorgeva<br />
più o meno ai piedi della gradinata che conduce alla chiesetta di San<br />
Silvestro: quello che fu il suo posto, è oggi occupato da una rivendita di<br />
giornali.<br />
23
24<br />
NOTA ICONOGRAFICA<br />
Per le illustrazioni pubblicate in questo<br />
programma di sala si ringrazia il dottor<br />
Adriano Dugulin, direttore dei Civici<br />
Musei di Storia ed Arte di Trieste, che<br />
ha concesso la riproduzione di alcune<br />
fotografie di Cittavecchia scattate agli<br />
inizi del secolo, provenienti dall’Archivio<br />
fotografico dei Civici Musei.<br />
Per i quadri dei pittori triestini tra<br />
Ottocento e Novecento esposti alla<br />
Galleria d’Arte Moderna, si ringrazia la<br />
dottoressa Maria Masau Dan, direttore<br />
del Civico Museo Revoltella, che ne ha<br />
consentito la riproduzione.<br />
Queste illustrazioni, unitamente a<br />
molte altre provenienti dalla raccolta<br />
dell’Archivio fotografico dei Civici<br />
Musei di Storia ed Arte di Trieste, sono<br />
state utilizzate dallo scenografo Sergio<br />
D’Osmo e dal costumista Fabio<br />
Bergamo per la realizzazione dell’aspetto<br />
visivo dello spettacolo.<br />
Pag. 25: Isola d’Istria. Casa Lovisato.<br />
Pag. 30-31: Isola d’Istria. Casa Lovisato<br />
e Casa gotica veneziana<br />
.Pag. 32: Cittavecchia. Via Pozzo di<br />
Crosada. Corte della casa n. 7. Foto di<br />
Pietro Opiglia. Inverno 1925/26.<br />
Pag. 33: Cittavecchia. Androna della<br />
Fontanella. Foto di Pietro Opiglia.<br />
Inverno 1925/26.<br />
Pag. 34: Cittavecchia. Via Giuseppe<br />
Rota. Atrio e scaletta scoperta della<br />
casupola n. 1. Foto di Pietro Opiglia.<br />
Inverno 1925/26.<br />
Pag. 37: Cittavecchia. Via Pozzo di<br />
Crosada verso via delle Mura. Foto di<br />
Pietro Opiglia. Inverno 1925/26.<br />
Pag. 38: Cittavecchia. Un’androna<br />
innominata in via Crosada n. 10. Foto di<br />
Pietro Opiglia. Inverno 1925/26.<br />
Pag 39: Cittavecchia. Androna degli<br />
Orti. Foto di Pietro Opiglia. Inverno<br />
1925/26.<br />
Pag. 40: Cittavecchia. Via del Fortino.<br />
Foto di Pietro Opiglia. Inverno 1925/<br />
26.<br />
Pag. 41: Cittavecchia. Androna di<br />
Riborgo. Foto di Pietro Opiglia.<br />
Inverno 1925/26.<br />
Pag. 42: Cittavecchia. Via Crosada,<br />
portone della casa n. 1. Foto di Pietro<br />
Opiglia. Inverno 1925/26.<br />
Pag. 43: Cittavecchia. Androna del<br />
Forno. Foto di Pietro Opiglia. Inverno<br />
1925/26.<br />
Pag. 44: Cittavecchia. Via Sporcavilla.<br />
Foto di Pietro Opiglia. Inverno 1925/<br />
26.<br />
Pag. 45: Cittavecchia. L’Arco di<br />
Riccardo agli inizi del secolo.<br />
Pag. 46-47: Cittavecchia. <strong>La</strong> spianata di<br />
fronte al Corso Italia dopo i lavori di<br />
demolizione del 1937.<br />
Pag. 76: Cittavecchia. Via Crosada,<br />
portone della casa n. 13. Foto di Pietro<br />
Opiglia. Inverno 1925/26.
Cittavecchia tra Ottocento e Novecento<br />
Marina Cattaruzza<br />
Nell’opinione dei contemporanei Cittavecchia era unanimemente vissuta<br />
come mondo a sé stante, governato da proprie leggi, abitato da una specie<br />
umana particolare che poco aveva di comune con il resto della popolazione.<br />
Nel 1902, la scrittrice tedesca Ricarda Huch descriveva il II distretto<br />
come «... uno sgradevole labirinto di vicoli stretti e bui, che fa l’effetto<br />
di una tana o di una cantina sotterranea in cui si entra da ridenti e soleggiate<br />
colline». Cittavecchia «era abitata solo dal basso ceto e veniva evitata dai<br />
benestanti che non si esponevano volentieri allo sguardo della miseria e<br />
agli sciami questuanti dei bimbi laceri, e, del resto, non vi avevano anche<br />
nulla da cercare» 1 . Anche Silvio Benco, altrimenti propagatore di un’immagine<br />
edulcorata e di maniera della città “irredenta”, posto di fronte alla<br />
realtà di Cittavecchia, rinunciava ai consueti orpelli retorici e tratteggiava<br />
con toni “impressionistici” il seguente quadro della parte più antica della<br />
città «... una grande tavolozza di bruni, di rossigni, di grigi, di tinte sporche,<br />
di toni cupi fino al nero sordo e polveroso della fuliggine; un grande<br />
impasto di miserie e sudiciume, nel quale la vita umana brulica come un<br />
fermento... l’odore di sfacelo delle vecchie murature, il miasma delle infiltrazioni<br />
viscide, il tanfo dell’aria imputridita negli antri bui di certi portoni,<br />
nella semioscurità equivoca di certe bottegucce, si confondono in una<br />
complicata atmosfera ammorbante, dove è sentore di ragnatele e di topaie,<br />
di calcinacci e di legni consunti, di letti sfatti e di ferrame rugginoso, di<br />
cuoi freschi e di legnami fradici, di friggeria, di rigatteria, di alcoolismo e<br />
di prostituzione... Nella parte bassa del quartiere la vergogna striscia, si<br />
occulta, serpeggia con una specie di pudore ignobile, per vie che rompono<br />
su altre vie ugualmente anguste, tetre e ambigue, nelle quali, là dove<br />
giunge a toccare, si insudicia la stessa luce del sole. Qui la vita diurna ha<br />
un alcunché di nauseante e di corrotto, che non si spiega bene se non<br />
pensando alla vita notturna, quando le innumerevoli bottegucce si chiu-<br />
27<br />
1 Ricarda Huch, Aus<br />
der Triumphgasse,<br />
Hamburg, 1953, p. 11,<br />
p. 6.
28<br />
2 Silvio Benco, Trieste,<br />
Trieste, 1910, p. 48-49.<br />
3 Nel 1875 Cittavecchia<br />
era con i suoi 20.278<br />
abitanti il distretto più<br />
popoloso della città. Nel<br />
1913 il II distretto non<br />
contava che 18.926<br />
abitanti e risultava, in<br />
ordine alla popolazione,<br />
l’ultimo dei distretti<br />
urbani. Cfr. <strong>La</strong><br />
popolazione di Trieste<br />
nel 1875, Trieste 1878,<br />
“Bollettino Statistico<br />
mensile”, “Riassunto di<br />
statistica”.<br />
4 Cfr. “Riassunto di<br />
statistica”, a. 1911-1912.<br />
5 Il contributo<br />
percentuale che<br />
Cittavecchia dà al totale<br />
dei morti è costantemente<br />
superiore al<br />
contributo degli abitanti<br />
del II distretto al totale<br />
della popolazione. Nel<br />
1913 in Cittavecchia<br />
non abita che il 7,9%<br />
della popolazione di<br />
Trieste ma i morti<br />
rappresentano ben il<br />
10,2% del totale (!). Cfr.<br />
“Riassunto di statistica”<br />
a. 1913.<br />
dono e gli innumerevoli lupanari si illuminano, quando il cencioso bazar<br />
cede il campo alla suburra, la mercanzia dei robivecchi al mercato delle<br />
schiave dipinte, che si vedono gesticolare in tutti i trivi e a tutte le finestre...»<br />
2 .<br />
Emerge in questi giudizi, nella scelta degli aggettivi o delle metafore, una<br />
valutazione che va al di là della rilevazione della miseria materiale, una<br />
valutazione che riflette una qualche sorta di “condanna morale” nei confronti<br />
del II distretto urbano e di chi ci abita. Accanto alla condanna morale,<br />
l’estraneità e un senso di timore: lo stesso che spingeva i ceti benestanti<br />
a non avventurarsi per quei vicoli dove i segni distintivi della propria<br />
classe, che ogni borghese si porta addosso, sarebbero stati vissuti<br />
come “provocazione”.<br />
A questa soggettiva pericolosità del II distretto, più che a considerazioni<br />
di carattere igienico o “umanitario” va fatta risalire, secondo noi, la scelta<br />
dell’emarginazione di Cittavecchia dallo sviluppo urbanistico e<br />
demografico, successivo al Novecento.<br />
Il II distretto è il solo in cui la popolazione, tra il 1900 e il 1913 diminuisca<br />
in termini assoluti, tanto che, alla vigilia della guerra, in Cittavecchia abita<br />
meno gente che nel 1875 (!) 3 . Nel corso del boom edilizio del 1911-<br />
1912 il II distretto aumenta di sole sette costruzioni, contro le trentatré di<br />
cui si arricchisce, negli stessi anni, il nuovo quartiere proletario di S. Giacomo<br />
4 . Infine, ad ulteriore conferma dell’emarginazione oggettiva di tale<br />
distretto dalle dinamiche demografiche e dai movimenti della popolazione<br />
sviluppatesi con il nuovo secolo, rileviamo un tasso di natalità più che<br />
modesto, a cui si accompagnava un elevatissimo tasso di mortalità, quale<br />
suole riscontrarsi di norma nei quartieri abitati dai ceti eufemisticamente<br />
definiti “meno abbienti” 5 .<br />
Cittavecchia era diventata luogo di sedimentazione dei “rifiuti sociali”<br />
prodotti dallo sviluppo urbano già a partire dal Settecento, quando al nuova<br />
borghesia mercantile legata all’Emporio aveva eletto a propria sede la<br />
parte piana della città fuori delle mura medioevali e aveva costruito i propri<br />
palazzi e magazzini sui fondi delle vecchie saline (III distretto). Il nucleo<br />
urbano originario, cresciuto attorno al castello nell’epoca comunale,<br />
rimaneva monopolio dei ceti inferiori, delle classi lavoratrici intese nel<br />
loro significato più ampio, degli artigiani, delle categorie che vivevano<br />
del lavoro portuale, della pesca, degli imbarchi, nonché di quegli strati<br />
sociali che in un porto di mare solo con difficoltà possono essere distinti<br />
dalle classi lavoratrici vere e proprie e che traggono la loro sussistenza<br />
(del tutto o solo parzialmente) da traffici illeciti, stratagemmi di vario ge-
nere, ricettazioni, furti, prostituzione6 .<br />
Per tutta la metà del secolo XIX il II distretto era rimasto la sede pressoché<br />
esclusiva delle classi popolari urbane, accerchiato dai distretti signorili<br />
di Cittanuova e S. Vito, mentre la popolazione del suburbio rimaneva<br />
legata all’attività agricola. Ciò si rifletteva peraltro nella complessità dell’articolazione<br />
sociale e per mestieri degli abitanti di Cittavecchia. Uno<br />
spaccato di tale articolazione ci viene offerto dalle rilevazioni condotte in<br />
occasione del censimento del 1875 e da quelle, meno minuziose, ma altrettanto<br />
significative, del censimento generale del 1890. Nel 1875, la “classe<br />
operaia” risulta presente in misura notevole nel II distretto; dal punto<br />
di vista quantitativo prevalgono tuttavia, sulle categorie operaie vere e<br />
proprie, legate alla lavorazione del ferro (carpentieri, calderai, fonditori,<br />
fabbri ferrai), la manovalanza generica (i facchini sono di Cittavecchia la<br />
componente più numerosa7 ), i mestieri legati all’attività marinara<br />
(nocchieri, pescivendoli, fuochisti di bordo, marinai, macchinisti della<br />
navigazione a vapore, velaie), l’artigianato (cappellai, orefici, tappezzieri),<br />
le professioni legate ai servizi (camerieri, caffettieri, barbieri, cuochi,<br />
osti, stiratrici, servitù in genere), e infine quei settori di proletariato direttamente<br />
e univocamente collegati ad attività alegali ed extralegali (sensali,<br />
affittaletti quale supporto della prostituzione non regolamentata, meretrici,<br />
girovaghi, trafficanti, ecc.) 8 .<br />
Nel 1890 in Cittavecchia si registra, rispetto agli altri distretti, la presenza<br />
più alta di Bettgeher e di subaffittuari 9 , e se solo la prima di tali categorie<br />
è costituita complessivamente da indigenti, ambedue sono sintomatiche<br />
di una condizione sociale instabile.<br />
[…] Per tutto il periodo asburgico venne agitato in modo propagandistico<br />
e mistificato il problema del “risanamento” del II distretto, sede di<br />
un’umanità inquietante che sfuggiva agli schemi di classificazione della<br />
burocrazia austriaca, della cui esistenza come microcosmo era stata sancita<br />
l’estinzione, dietro il paravento ipocrita di condizioni materiali “insopportabili”,<br />
del tutto analoghe a quelle che a un altro capo della città<br />
erano state approntate per l’esercito degli operai immigrati.<br />
(da <strong>La</strong> formazione del proletariato urbano, Torino, Musolini Editore,<br />
1979)<br />
29<br />
6 Per lo svilupparsi di<br />
comportamenti<br />
“pericolosi” già nella<br />
fase emporiale cfr.<br />
Elio Apih, <strong>La</strong> società<br />
triestina nel XVIII<br />
secolo, Torino, 1957.<br />
Sulla prostituzione v.<br />
G. Schmutz, <strong>La</strong><br />
prostituzione e le<br />
prostitute a Trieste,<br />
Trieste, 1868.<br />
7 Nel 1875 si<br />
contavano in<br />
Cittavecchia 792<br />
facchini, la maggiore<br />
concentrazione sul<br />
territorio di questo<br />
settore di proletariato<br />
(cfr. <strong>La</strong> popolazione<br />
di Trieste nel 1875...<br />
cit., p. 174).<br />
8 Id. p. 162 ss.<br />
9 Dati tratti dal<br />
censimento generale<br />
del 1890.
<strong>La</strong> fototeca dei Civici Musei di Storia ed Arte<br />
Ondina Ninino<br />
<strong>La</strong> fototeca dei Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste è il luogo un po’<br />
magico dove, come per incanto, attraverso le foto scopriamo la Trieste<br />
del passato, così come la videro i nostri padri e i nostri nonni.<br />
È un patrimonio prezioso che ricercatori e studiosi utilizzano per documentare<br />
le loro opere e per descrivere la Trieste del tempo passato popolata<br />
da personaggi anche famosi quali - per citarne alcuni - Richard Burton,<br />
Italo Svevo e James Joyce.<br />
Il patrimonio fotografico dell’archivio dei Civici Musei di Storia ed Arte<br />
comprende circa centomila foto e copre un arco di tempo che va dalla<br />
seconda metà del secolo scorso ai giorni nostri.<br />
Vi sono rappresentate tutte le tecniche fotografiche dalla più antiche a<br />
quelle più recenti e spesso è possibile scoprire pezzi di particolare interesse<br />
tecnico.<br />
<strong>La</strong> collezione si è creata sia attraverso lasciti e donazioni di privati, sia<br />
tramite acquisti effettuati nel corso del tempo dai vari direttori dei Musei.<br />
Le foto, alcune molto belle e significative, sono opere sia di fotografi anonimi<br />
sia di professionisti quali Francesco Ramann, Giuseppe Wulz e il<br />
figlio Carlo, Augusto Tominz, Sebastianutti e Benque, Giuseppe Malovich,<br />
Mino e il figlio Oreste Zanutto.<br />
I soggetti delle fotografie spaziano dalla vita quotidiana alle cerimonie<br />
pubbliche, dagli avvenimenti politici ai fatti storici - talvolta anche tragici<br />
- che hanno caratterizzato oltre un secolo di storia di queste terre.<br />
Notevole è anche la collezione dei ritratti. Tra quelli legati alla storia cittadina<br />
possiamo citare quelli della famiglia Sartorio, della famiglia Morpurgo,<br />
il barone Pasquale Revoltella, Pietro Kandler, l’arciduca Massimiliano<br />
d’Austria e Guglielmo Oberdan.<br />
35
36<br />
L’archivio fotografico non si limita alle immagini di Trieste, ma comprende<br />
anche i dintorni: l’Istria, l’”Alto Isonzo”, diverse città italiane, stati europei<br />
ed extraeuropei.<br />
Un notevole numero di fotografie è stato realizzato anche da fotografi<br />
dipendenti del Museo come Pietro Opiglia che ha prodotto, durante i circa<br />
quarant’anni in cui si trovò a operare per l’Istituto, una ricca e pregevole<br />
documentazione di reperti del Museo ed anche una bella e interessante<br />
serie di immagini fotografiche di Cittavecchia come era prima delle<br />
demolizioni.<br />
Da questa serie sono state scelte e riprodotte in questa pubblicazione<br />
alcune foto scattate nel corso dell’inverno del 1925-1926, tutte molto suggestive,<br />
con l’intenzione di ricostruire lo “scenario” com’era ai tempi in<br />
cui visse <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong>.<br />
I Civici Musei di Storia ed Arte comprendono anche il prezioso materiale<br />
fotografico della fototeca del Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl” (circa<br />
cinquantamila pezzi), che documenta la vita dei teatri e dello spettacolo<br />
e quello del Civico Museo di Guerra per la pace “Diego de Henriquez”.<br />
Va ricordato anche l’archivio “Giornalfoto” che contiene circa cinquecento<br />
mila negativi relativi alla cronaca cittadina dal giugno 1950 al dicembre<br />
1989.<br />
Nonostante l’avvento di nuovi sistemi che offrono un diverso approccio<br />
alle immagini visive, la fotografia rimane un documento e una testimonianza<br />
storica precisa ed efficace, che riesce a suscitare sempre varie ed<br />
intense emozioni.<br />
L’archivio fotografico dei Civici Musei di Storia ed Arte è perciò lo “scrigno”<br />
che conserva questo tesoro affinché tutti ne possano godere.
<strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong><br />
Ninì Perno e Francesco Macedonio<br />
Tragicommedia in due atti<br />
Personaggi<br />
ANTONIO FRENO<br />
GIGETA, LA FIORAIA<br />
PEPI SPINAZZA<br />
FABRIS<br />
TOMBOLIN<br />
MAESTRO<br />
BARONE<br />
NAGODE<br />
BUTUS<br />
GUELFO<br />
RAVALICO<br />
BUDA<br />
NINO LUNA<br />
ERNESTO<br />
FRANZELE<br />
PESCATORE<br />
ELVIO<br />
DUILIO<br />
FISARMONICISTA<br />
LAMPIONAIO<br />
GUARDIA<br />
LUCIA<br />
APOLLONIA<br />
SANTINA<br />
ANGIOLINA<br />
LA SIGNORA<br />
MARIA<br />
49
ATTO PRIMO<br />
50 Scena prima – <strong>La</strong> strada<br />
<strong>La</strong> canzone “<strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong>” suonata prima da una fisarmonica poi cantata da<br />
una voce maschile – sulla canzone si apre il sipario. Llimbrunire – brontolio<br />
lontano di tuoni che continuerà a intervalli per tutto l’atto.<br />
LA VOCE (canta) tuti lo conossiamo:<br />
Se ciama <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong>,<br />
Che col cortel in seno<br />
Girava la zità.<br />
Entra <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong> – Si tocca la testa con le mani – Ha una smorfia dolorosa<br />
PEPI SPINAZZA (fuori scena chiama) <strong>Freno</strong>!<br />
(<strong>Freno</strong> ascolta) <strong>Freno</strong>! (<strong>Freno</strong> si volta)<br />
(Pepi entrando) F-freno... C-ciò <strong>Freno</strong>... F-freno spetime!<br />
’Dio <strong>Freno</strong>! (si ferma ansante)<br />
FRENO (calmo ma duro) Ciò, Pepi Spinazza, no ciamar per nome!<br />
No ciamar per nome! te go za dito che no se ziga mai el nome!<br />
PEPI M-ma no xe nissun!<br />
FRENO No se sa mai.<br />
PEPI S-scusa (pausa)<br />
FRENO Coss’ te vol?<br />
PEPI Xe tuto el giorno che te zerco.<br />
FRENO E po’?<br />
PEPI N-niente... Cussì. (pausa) Te ga un spagnoleto?<br />
FRENO (gli dà una sigaretta che prende da una tasca) Ciapa.<br />
PEPI (dopo una pausa) T-te ga un fulminante?<br />
FRENO Ciò, Spinazza! Ciapa anca un fulminante!<br />
PEPI (accendendosi la sigaretta) X-xe, x-xe che no xe lavor!<br />
FRENO E no te son bon de gratarghe el tacuin a qualchedun?<br />
PEPI Go provà, ieri matina, in Galeria Tergesteo.<br />
FRENO E alora?<br />
PEPI M-manca poco che i me guanta.
FRENO Te son proprio andà in asedo.<br />
PEPI S-son scalognà. (pausa) D-’do te va?<br />
FRENO A bever un otavo.<br />
PEPI V-vegno anca mi. (si incamminano) A-andemo a le “Tre porte”?<br />
FRENO No. ’Ndemo de Toio qua drio. Voio passar de Lucia che la invito per<br />
zena. Go ciolto un colombo in Piazza Granda e ghe lo go portà a Guelfo che<br />
me lo prepari. (si porta le mani alla testa)<br />
PEPI C-coss’ te ga?<br />
FRENO Me par che me vegni fora i oci de la testa.<br />
PEPI C-coss’ te sta mal?<br />
FRENO Xe sto tempo maledeto. Me ga becà l’ataco anca ieri. Son tuto insempià.<br />
PEPI Ah, m-ma alora te sta mal!<br />
FRENO Stago mal, Spinazza, stago mal!<br />
PEPI N-no state rabiar.<br />
FRENO Niente no me ricordo co me beca sta roba maledeta.<br />
PEPI (sommesso) M-mal de San Valentin, saria...<br />
FRENO (continuando) I disi che me scasso tuto... E po’, co xe finì, xe come che<br />
me sveiaria.<br />
PEPI X-xe come morir e dopo tornar vivi.<br />
FRENO (lo guarda un momento) Anca pezo.<br />
PEPI B-bruto, no?<br />
FRENO Ah, ... Iera meio che i me lassava che me copo, co iero in ospedal!<br />
PEPI (per cambiare discorso) X-xe rivada la barca de le angurie?<br />
FRENO (torvo) No sta parlar de angurie che xe meio per ti.<br />
PEPI (quasi offeso) O-ogi xe meio che taso.<br />
FRENO Una flica ogni d’una che vendevo, gavevimo dito, con quel magna merda<br />
de ciozoto. Mi i conti no li so far ben, ma naso tre ore lontan co i me<br />
imbroia. (pausa con effetto) Se no i me guanta in tre, roba che lo copo.<br />
PEPI E-e lu?<br />
FRENO Ancora là che ’l se ingruma le angurie in canal.<br />
PEPI (ride)<br />
FRENO Coss’ te ga de rider?<br />
PEPI (subito serio) N-niente. C-cussì. Me fazeva de rider el c-ciozoto in ccanal.<br />
Entrano Poldo Buda con l’amico Nino Luna.<br />
Poldo Buda non si accorge subito di <strong>Freno</strong> e saluta Pepi.<br />
BUDA Salute, Spinazza!<br />
PEPI A-ara Poldo Buda! Poldo, vien qua!<br />
FRENO (intenso) Ailo! un altro merlo!<br />
PEPI (lo chiama di nuovo) P-Poldo Buda!<br />
Poldo e l’amico parlottano in disparte tra loro.<br />
FRENO (c.s.) Quatro ani che speto de becarlo solo. Ma ’na volta o l’altra...<br />
PEPI P-perché? Cossa el te ga fato?<br />
FRENO Xe meio che vado via! (esce)<br />
PEPI (andando verso Buda) C-ciò, Poldo Buda, cossa ga <strong>Freno</strong> con ti?<br />
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52<br />
NINO LUNA ’Ndemo ’vanti, Poldo!<br />
PEPI E-e ’lora, Buda?<br />
NINO Ma coss’ te se missi? Coss’ te vol?<br />
BUDA No, no! Xe giusto che ’l sapi, lu che el xe cul e camisa con <strong>Freno</strong>!<br />
NINO Xe meio no intrigarse co’ ste robe, dei!<br />
BUDA Xe nato quatro ani fa, che ti te ieri in canon.<br />
NINO Ma sì, xe robe vecie! Coss’ te va gnanca a tirarle fora!...<br />
PEPI M- ma cossa xe nato? Se pol saver?<br />
BUDA Ierimo al “Bon Almissian”. Tuta via Punta del Forno insieme, xe vignuda.<br />
<strong>Freno</strong> taca far barufa con Doimo, el se imboreza, el tira fora la britola...<br />
NINO Ben... Se lo conossi no?<br />
BUDA (continuando) ... E Oreste Corte, povero, el se buta in mezo per separarli,<br />
e ’l se beca ’na cortelada in tela gamba.<br />
PEPI M-ma ti?... Coss’ te ghe entravi, ti?<br />
BUDA Me ga ciamà a testimoniar, e go dito quel che go visto.<br />
PEPI D-’desso go capì.<br />
BUDA Nissun gaveva coragio de dir che iera stà <strong>Freno</strong>, e mi go parlà.<br />
PEPI F-freno se ga becà tre mesi, e a ti coss’ te xe vegnù in scarsela?<br />
BUDA Son a posto co’ la mia cossienza.<br />
PEPI (lo guarda fissamente) bela cossienza!<br />
BUDA Perché, te ga qualcossa de dir?<br />
PEPI M-mi?<br />
BUDA Ti sì, pupoloto!<br />
PEPI D-disi ancora una volta, disi ancora una volta, se te ga coragio!<br />
BUDA Ma coss’ te credi che go paura de ti?<br />
NINO Cala, Spinazza, cala, no sta far onde!<br />
BUDA Mi no go paura de nissun!<br />
PEPI Gn-gnanca de <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong>?<br />
BUDA Ma se xe quatro ani che ’l me zerca e mi no me volto gnanca indrio!<br />
FRENO (è entrato poco prima non visto) E adesso te go trovà! ciò merlo, che<br />
nova!...<br />
PEPI (andandogli incontro) N-no sta bazilar, <strong>Freno</strong>, ’ndemo via, che no merita,<br />
’ndemo via!<br />
Nel silenzio lo scatto del coltello di <strong>Freno</strong>.<br />
PEPI N-no, <strong>Freno</strong>, no!<br />
NINO Ciò, meti via la britola.<br />
PEPI (trattenendo <strong>Freno</strong>) I-iutime, Nino!<br />
NINO (trattenendo anche lui <strong>Freno</strong>) Scampa, Buda, scampa!<br />
FRENO Molème, molème che lo copo!<br />
Buda fugge / Pepi e Nino lasciano <strong>Freno</strong>.<br />
FRENO (ansimando) lo gavè fato scampar. Sè tuti con quel spion!<br />
PEPI C-calmite, <strong>Freno</strong>, che te fa mal!<br />
FRENO (mentre Nino sta raccogliendo il berretto) E ti sparissi. E dighe al tuo<br />
compare che vegnerà el momento che se troveremo soli mi e lu!<br />
Nino Luna si eclissa.
PEPI Ocio, ocio, sta ’rivando Nagode co un altro.<br />
(<strong>Freno</strong> chiude il coltello)<br />
FRENO (ha cambiato completamente umore) Ara chi che se vedi!<br />
Entrano Nagode e Butus di pattuglia.<br />
NAGODE <strong>Freno</strong>! I me ga dito che te gavessi trovà de ste parti!<br />
FRENO Se so che la ga i sui spioni!<br />
NAGODE Ricordite che te son sempre soto sorveglianza, e che te ga de rigar<br />
drito più dei altri!<br />
FRENO Perché la me disi ste robe? Se no go fato niente!<br />
NAGODE (a Butus) Ti, Butus, che te son novo, vardilo ben, ’sto muso, ricorditelo!<br />
Co te sentirà parlar del “teror de Crosada” xe come dir <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong>!<br />
BUTUS Me ricorderò, me ricorderò.<br />
NAGODE Se pol star in pase solo quando che el xe in canon.<br />
FRENO Ma la la ga proprio con mi!<br />
PEPI I-ierimo qua boni, cuci, che ciacolavimo de una roba e l’altra...<br />
NAGODE Ti tasi, che no go parlà con ti.<br />
PEPI M-mi son libero zitadin, e posso parlar fin che me par e piasi!<br />
NAGODE Ti te son libero zitadin fin che no te beco co’ le man nele scarsele dei<br />
altri. (a Butus) E sto qua el se ciama Giuseppe Ivanoff, deto Pepi Spinaza,<br />
bona cubia!<br />
FRENO Ma parcossa la ga sempre de ofender!<br />
PEPI F-freno, ’ndemo via.<br />
NAGODE Andè, andè!<br />
FRENO Ierimo giusto drio de andar a farse un otavo. (ironico) Vignì con noi?<br />
NAGODE (truce) Andè, go dito. E zerchè de no capitarme più tra i pie.<br />
PEPI Sì, siora guardia!<br />
Nagode e Butus escono.<br />
FRENO (cupo) Te vedarà quando che te incontro de solo. Orcotron!<br />
PEPI ’N-ndemo, <strong>Freno</strong>!<br />
FRENO Andemo, che dopo go de andar de Lucia.<br />
PEPI Anche mi dopo go de andar de Ravalico. Go de parlar con un de afari.<br />
Dame ancora un spagnoleto, dei.<br />
FRENO (gli dà la sigaretta) Ciapa anca el fulminante, Spinazza! (si avvia)<br />
PEPI Te son proprio un amico. (si accende la sigaretta / a <strong>Freno</strong> che è già un<br />
po’discosto) <strong>Freno</strong>!<br />
FRENO (mettendo la mano davanti alla bocca) Sssss! (escono)<br />
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54<br />
Scena seconda – Il casino<br />
Fuori scena una canzone.<br />
Vado in giardin,<br />
Trovo el piacer:<br />
Faccio l’amore<br />
Col giardinier !<br />
“O giardinier<br />
Non mi tradir !<br />
Son verginella,<br />
Posso a morir !<br />
Posso a morir,<br />
Posso a restar...”<br />
“tre ani in carcere<br />
Ma toca a far!”<br />
<strong>La</strong> stanza vuota è appena stata decorata da un affresco che riempie la parete di<br />
fondo / a terra secchi di colore / Tombolin dà gli ultimi ritocchi.<br />
TOMBOLIN (chiama) Polonia! Polonia! Movite, Polonia, Vien veder !<br />
APOLLONIA (entrando) Coss’ te zighi come un mato!<br />
TOMBOLIN<br />
piasi?<br />
(indicando l’affresco con orgoglio) Coss’ te par? Ah? Coss’ te par? Te<br />
APOLLONIA (freddina) Me piasi, sì ... Bel...<br />
TOMBOLIN (deluso) E no te me disi altro?<br />
APOLLONIA Te go dito, me piasi. Vederemo coss’ che dirà la Signora.<br />
TOMBOLIN Per mi la pol dir quel che la vol. No son miga un smerdamuri, mi<br />
son un artista.<br />
APOLLONIA Ma cossa me rapresenta sta roba?<br />
TOMBOLIN No te capissi? L’Eden, no!<br />
APOLLONIA Che sarìa?<br />
TOMBOLIN El Paradiso terrestre! Varda. Qua xe el lion, qua xe la tigre, el capriol,<br />
el stambecco, qua xe el serpente che ghe ga insegnà ai omini l’amor profano.<br />
APOLLONIA Amor profano?<br />
TOMBOLIN A guar! (ride come un matto) ... E sto qua xe Adamo che son mi, e<br />
sta qua xe Eva che te son ti.<br />
APOLLONIA Mi? Cossa? Son cussì grassa?<br />
TOMBOLIN Ma cossa grassa, cossa grassa! Quando che xe vignù el maestro, che<br />
mi stavo ancora piturando, el ga subito dito “Bravo, Tombolin, Polonia la xe<br />
proprio bela, la xe proprio un bel toco de fia.”<br />
APOLLONIA Ti inveze te son proprio ti spudà: tuto ossi, che te me vardi con quei<br />
tui oci de sepa.<br />
TOMBOLIN Perché te voio ben.<br />
Entra la Signora – è grassa e si sventola con un ventaglio.<br />
SIGNORA Dio che caldo tacadiz! Me se taca dosso anca le mudande.<br />
(a Tombolin) Alora gavemo finì? Gavemo sbianchizà pulito?<br />
TOMBOLIN (con un gesto verso l’opera) <strong>La</strong> vardi!
SIGNORA Ma cossa xe sta roba?<br />
APOLLONIA El Paradiso terrestre.<br />
SIGNORA Ti tasi. Tombolin, ma cossa te son diventà mato! ... Oh, dio!<br />
TOMBOLIN (battendo con la mano sull’affresco) Qua xe musica, cara la mia signora,<br />
xe arte, xe el Paradiso terestre!<br />
APOLLONIA Sti qua semo mi e Tombolin: Adamo e Eva.<br />
SIGNORA Ti tasi e lassa parlar Tombolin.<br />
TOMBOLIN Mi no go niente de dir. Per mi parla la mia opera!<br />
SIGNORA Mi te gavevo dito solo de darme una bela sbianchizada ai locai. Ti te<br />
ga voludo far l’arte, ma mi no te dago un centesimo de più, te ga capì?<br />
Apolonia, va de là cior i linzioi che i xe pena neti: xe de piegarli. Fate iutar,<br />
qua, de Adamo.<br />
Apollonia esce.<br />
(dà un’occhiata all’affresco) Però, in fondo no xe gnanca tanto mal! Ga bele<br />
tinte.<br />
TOMBOLIN Signora, lei la xe una persona de gusto!<br />
SIGNORA So so... Ma no te dago una flica de più! (esce)<br />
Entra Apollonia con il pacco di lenzuola che comincia a piegare aiutata da<br />
Tombolin.<br />
TOMBOLIN (respirando) Mmmm! Senti che odor de pitura! No se senti più<br />
gnanca l’odor de casin!<br />
APOLLONIA Perché? Che odor ga i casini? (porgendogli un lembo del lenzuolo).<br />
Ciapa.<br />
TOMBOLIN (in estasi) Odor de fumo de pipa, de spagnoleti, odor de cipria, de<br />
sudor, odor de profumo, profumo de dona... (abbraccia Apollonia)<br />
APOLLONIA Dei, dei, lassime star!<br />
TOMBOLIN Solo un momento, andemo de là, solo un momentin...<br />
APOLLONIA No se pol, adesso no se pol! no xe ora de lavor!<br />
TOMBOLIN Ma mi te voio ben, mi te voio ben veramente ... (la stringe)<br />
SIGNORA (entrando improvvisa) Cossa nassi qua? No voio che se fazi sporchezi<br />
qua dentro fora del lavor. Xe una casa seria, sta qua. Se se vol andar co le mie<br />
putele, qua dentro bisogna pagar. E po’ogi semo ancora seradi, se verzi doman.<br />
Doman matina ’riva in porto una nave piena de americani.<br />
Entrano Lucia e Santina con il canapè – poi Angiolina con un quadro.<br />
Voialtre, el canapè metèlo là in quel canton. Ricordève che ogi xe l’ultimo<br />
giorno che sè libere; de domani no se bevi più, che dopo ve indormenzè sul<br />
lavor. Quel quadro, Angiolina, pozilo intanto là, ghe troveremo un altro buso.<br />
El nostro artista ga piturà tuto el muro!... Bona de dio che le camere le xe tute<br />
a posto! ... (esce)<br />
LUCIA Per risparmiar do fliche a do fachini la ne fa sgobar a noi!<br />
(sistemando il canapè – poi, a Tombolin) Bela quela pitura, Tombolin!<br />
SANTINA Anche mi me piasi. Tute quele bestie, le par vere.<br />
APOLLONIA Mi me piasi Adamo ed Eva.<br />
TOMBOLIN Coccola mia.<br />
ANGIOLINA Ciò, Tombolin, te ga visto el Moro?<br />
TOMBOLIN Lo devo veder dopo. Se trovemo tuti in osteria de Guelfo.<br />
SANTINA Anche Pepi Spinazza?<br />
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56<br />
TOMBOLIN Penso de sì. Vegnì anche voi, putele, cussì bevemo tuti insieme.<br />
Portève un pochi de schei! savè che le nostre scarsele le xe sempre fiape!<br />
ANGIOLINA (ridendo) Fussi solo le scarsele!<br />
TOMBOLIN Ciò, mula, te vol provar?<br />
APOLLONIA Vien qua e no sta far el macaco.<br />
TOMBOLIN No se pol ofender cussì un omo.<br />
APOLLONIA Qua, omo, vien con mi, andemo. (i due escono)<br />
ANGIOLINA <strong>La</strong> se ga inganzà con Tombolin! Vol dir che a ela ghe va ben! Uff...<br />
Che caldo! No ’riva a piover...! Vado un poco in camara. Se vedemo dopo,<br />
putele. (esce)<br />
SANTINA Lucia, te vol che te petèno? Te ga cavei cussì bei. Provo farte un cocon,<br />
te vol?<br />
LUCIA Fa, basta che no te me li zuchi.<br />
(canta)<br />
“Sono orfana di padre e di madre,<br />
sono stufa di fare questa vita!<br />
Su nel cielo sta scritta la mia vita,<br />
che la mia sposa sarà su nel ciel!”<br />
SANTINA Che bela vose che te ga, Lucia! Ogni volta che te sento me vien de<br />
pianzer!<br />
LUCIA Perché te son una frignota! Come la disi sempre la Signora?<br />
“Quando che se xe zo de bala, meio una cantada che un bicer de trapa!”<br />
Santina, sti cavei! te go dito de no zucarme! Sta ’tenta!<br />
SANTINA Xe quei de soto che iera un poco ingropai.<br />
LUCIA (canta) “Tante stelle che brilla su nel cielo,<br />
tanti baci che mi te daria!<br />
Uno solo per mi basteria<br />
per consolare sto misero cuor!”<br />
Te son mai andada al cinematografo?<br />
SANTINA Mi no. I me ga dito che xe cussì bel!<br />
LUCIA Mi son stada, un màrtedì che iero libera.<br />
SANTINA Contime!<br />
LUCIA Tuto se movi. No xe come in fotografia che se xe tuti fermi. I omini i<br />
camina, come che caminemo noi... El treno el te vien incontro, xe come che<br />
el vignissi sora de ti, che el te buti soto! Go ciapà paura...<br />
SANTINA Oh, Maria Vergine...<br />
LUCIA Bona che iero col mio omo!<br />
SANTINA Co se ga uno come <strong>Freno</strong> vizin, no se ga de ’ver paura de niente!<br />
LUCIA Ah, no, no. Per quel posso star sicura!<br />
SANTINA Che bel, però, aver un omo cussì... Forte... Che ne difendi!<br />
LUCIA Ah, ben, sa picia... Ga anche i sui lati cativi... Ma sta ’tenta, no stame<br />
zucar!<br />
SANTINA No te zuco, te go solo messo un saldin.<br />
LUCIA El giorno che lo go conossù, iero ’pena rivada, sie mesi fa, no iero ancora<br />
qua de la Signora. El ga ciolto una caroza de piazza...<br />
SANTINA (ammirata) Una caroza...
LUCIA ...che go pagà mi. E semo andai a far un bel giro, e dopo a bever birra su<br />
ala Dreher.<br />
SANTINA E po’?<br />
LUCIA E po’semo finidi in leto. Mi gavevo zinquanta corone che le tignivo<br />
sempre con mi ligade qua. (indica il seno) <strong>La</strong> matina me sveio, de <strong>Freno</strong><br />
gnanca l’ombra, e gnanca de le zinquanta corone.<br />
SANTINA Le gaveva rubade lu?<br />
LUCIA E chi po’? Ah, ma mi vado dei gendarmi e fazo denuncia. El se ga fato<br />
quatro mesi.<br />
SANTINA De galera?<br />
LUCIA Dopo, mi son vignuda qua dela Signora, e tuti i me diseva “Sta ’tenta, el<br />
xe un violento, col vien fora el te copa”... E un giorno vado cior late qua de<br />
soto de Marino, e me lo vedo pozà sul canton, co un spagnoleto fra i labri,<br />
che el se netava le onge cola britola. “’Dio Lucia”, el me disi.<br />
SANTINA E ti?<br />
LUCIA E mi “’Dio <strong>Freno</strong>”. E lo guardo drito nei oci. “Te ga ’vu un bel coragio<br />
a denunciarme” e ghe vedo come un soriso...<br />
SANTINA Bei oci neri che ’l ga ... Bei bafi ...<br />
LUCIA “Mi e ti semo fati un per l’altra. Te son la mia dona”. El meti la britola in<br />
scarsela. “’Ndemo bever qualcossa.”<br />
SANTINA Xe come un romanzo!<br />
LUCIA Romanzo, sì! Caro te me costi el mio caro <strong>Freno</strong>. Fora de un’osteria,<br />
dentro de quel’altra, tuto el giorno! Son za bastanza disgraziada in sta vita, me<br />
mancava solo che lu! ... (con uno scatto di orgoglio) Ma el xe el mio omo!<br />
(si spettina con rabbia) Ah, basta, Santina, lassime come che iero!<br />
SANTINA Iera vignudi cussì ben...<br />
LUCIA Qualche volta go come el presentimento...<br />
Entra <strong>Freno</strong>.<br />
SANTINA Mi vado Lucia.<br />
LUCIA Grazie sa Santina.<br />
SANTINA De cossa? (esce)<br />
LUCIA Cossa xe, <strong>Antonio</strong>? te sa che la Signora no vol che te vegni su co no semo<br />
verti.<br />
FRENO ’Sai me importa de la Signora!<br />
LUCIA Dopo però le sento mi.<br />
FRENO Che la provi solo a dirte qualcossa...<br />
LUCIA Te prego <strong>Antonio</strong>...<br />
FRENO No posso soportar i prepotenti. Go patì tanto in istituto co iero mulo!...<br />
Iera un che me dava col baston sula schena e el zigava: “Te cavo mi la polvere<br />
de dosso!” Co sarò grande, go dito, no permeterò a nissun de alzar le man<br />
sora de mi!<br />
LUCIA (accarezzandolo) <strong>Freno</strong>, calmite.<br />
FRENO (calmandosi un poco) Andar via de qua, via... Via de sta zità in un logo<br />
dove no te conossi nissun. E cominciar tuto de novo.<br />
(abbraccia e bacia Lucia – poi completamente calmo e quasi divertito) Te go<br />
contà de quela volta che volevo scampar de Trieste, e me son sconto in una<br />
cassa dentro un mercantil. Dove che ’ndavo, ’ndavo, basta ’ndar via. E dopo<br />
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un poco sento che i tira su sta cassa – “Orca, coss’ che la pesa”, sento che i disi<br />
– la verzi e i me tira fora: ierimo sempre sul stesso molo, no i gaveva gnanca<br />
molà la zima! (ride) Ma stavolta sarà diverso. Voio andar via per bon.<br />
LUCIA Ma con quai, <strong>Freno</strong> mio, con quai?<br />
FRENO (si agita di nuovo) Sempre bori, ti no te sa parlar altro che de bori, no te<br />
pensi che ai bori!<br />
LUCIA Ciò, ma i miei bori i te fa comodo anche a ti!<br />
FRENO Se te pensi che vado a spacarme la schena dodeze ore in arsenal per un<br />
bianco e un nero, te ga capì mal!<br />
(improvvisamente appare la Signora)<br />
SIGNORA ’Desso basta. Qua xe tuto un zigar, ve se senti fin zo de la strada. Go<br />
una reputazion de difender, questa xe una casa fine! (esce)<br />
FRENO ’Ndemo fora Lucia.<br />
LUCIA Dove andemo?<br />
FRENO De Guelfo. Go ciolto un colombo, lo go spenà e ghe lo go portà che ne<br />
lo prepari.<br />
LUCIA Col ripien?<br />
FRENO No so mi. Vate a vestir! (con un gran gesto) Te invito!<br />
LUCIA (ironica) Con quai?<br />
FRENO Coi tui!<br />
LUCIA Ah!<br />
FRENO (le dà un bacetto) Ma dei, che bori sarà che noi no saremo! Te speto de<br />
Guelfo. (esce)<br />
LUCIA Eh, el xe propio el mio omo.<br />
(si aggiusta, si stira voluttuosamente e incomincia a cantare)<br />
“Tante stelle che brilla su nel cielo...”
Scena terza – <strong>La</strong> strada<br />
Qualcuno canta una canzone – la canzone può essere anche interrotta e ripresa.<br />
<strong>La</strong> canzone lega la scena precedente.<br />
Se spera che i sassi/diventa paneti<br />
perché i povareti/se possa saziar.<br />
Se spera che il caldo/ prinzipia in genaro<br />
e senza tabaro/ poder caminar.<br />
Se spera che adesso/ no nassi più tose<br />
perché le morose /se possa sposar.<br />
Se spera, se spera / che el late vien fora,<br />
che vadi in malora / el nostro sperar.<br />
Se spera, e sperando / ne capita l’ora<br />
de andar in malora / col nostro sperar.<br />
Entra lentamente sulla canzone il lampionaio che accende il lampione / luce<br />
serale / da un’altra parte entra anche Gigeta.<br />
GIGETA Se spera, se spera... (al lampionaio) Te sa come che se disi, Nando. Chi<br />
vive sperando. (sospira) Altro che sperar ... Mi son tuto el giorno che consumo<br />
le zavate caminando su e zo. Go fato un per un tuti i locai chic de la zità,<br />
dove che xe i siori!<br />
(Nando si fa una sigaretta)<br />
Co’ sto caldo! E coi siori te toca vestirte ben, se no i te buta fora del local,<br />
come se te saria una che domanda la carità. Te devi esser neta, ben petinada,<br />
tuta a posto. E te devi ’ver sempre el sorisin sui labri, che qualche volta, te<br />
digo la verità, Nando, me par de esser come una de quele!...<br />
Chi che vendi una roba, chi quel’altra. Basta ciapar bori. Sembra facile el<br />
lavor de una che vendi fiori. Me go anche imparà una canzoneta, per far<br />
come un numereto, per esser più simpatica, per presentarme meio...<br />
Nando è uscito di scena / Gigeta continua a parlar sola.<br />
I disi: “la xe una macia”, e i me compra i fiori. Dopo ghe xe anche quel che<br />
te trata mal, che ga la luna per traverso. A quel là i fiori ghe li daria per la testa.<br />
Nando. (si guarda attorno) Nando? Dove el xe andà? No ’ssai lontan. (ridacchia)<br />
So dove trovarlo: al prossimo feral.<br />
(esce)<br />
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Scena quarta – Osteria da Guelfo<br />
Fisarmonica<br />
TOMBOLIN Senti, senti sta qua, <strong>Freno</strong>. Guelfo, vien qua ’scoltar anche ti.<br />
GUELFO Cossa xe?<br />
TOMBOLIN Una barzeleta, che i me ga contado. Alora. Un smafaro entra in<br />
un’ostaria, un’ostaria come sta qua, e el se fa portar del paron una botilia de<br />
bon vin. El se la bevi, po’el va de l’oste, arente del bancon, e el ghe disi tuto in<br />
zito: “<strong>La</strong> ga za pagà quel vin?” e l’oste ghe fa: “Ostia, se lo go pagà!” – “Ah –<br />
disi quel altro – me xe cascà un peso dal cuor. Credevo de doverlo pagar mi”.<br />
E el se la moca co la sua solita fiacheta!<br />
<strong>Freno</strong> e Guelfo ridacchiano.<br />
FRENO (alzando il bicchiere verso Guelfo) Ciò, Guelfo, te ga za pagà ’sto vin?<br />
(ride) Sta qua la xe bona, propio bona!<br />
Tutti ridono.<br />
FABRIS (entrando) ’Dio muli! cossa gavè de rider?<br />
freno e GUELFO ’Dio! ’Dio Jacometo!<br />
TOMBOLIN Desso che xe qua anca el Moro ve conto un’altra. Scoltè, scoltè.<br />
Una domenica in ciesa, un sior el guanta un ladro che el iera drio de meterghe<br />
le man in scarsela. “Vergognite, el ghe disi, cussì giovine e za borsariol!” – “<strong>La</strong><br />
se vergogni lei – ghe disi el mulo – esser cussì ben tapado e no ’ver in scarsela<br />
gnanca un fazoleto de seda!” –<br />
Tutti ridono.<br />
FRENO Bona anca sta qua. Ma me piaseva più quel’altra. Coss’ te disi, Guelfo, te<br />
ga za pagà quel vin? (ride con Guelfo che lo asseconda)<br />
FABRIS Come xe la vita, <strong>Freno</strong>?<br />
FRENO Come te vol che la sia?! Come che i vol i altri. Speto Lucia.<br />
FABRIS Vien anche Angiolina?<br />
FRENO No so. Penso de sì.<br />
FABRIS Alora resto qua.<br />
TOMBOLIN Mi ghe vado incontro a Polonia. (grida) Ciò, Guelfo, vado e torno!<br />
GUELFO No sta far come quel smafaro dela barzeleta!<br />
Tombolin se ne va ridacchiando.<br />
FABRIS Guelfo! Son qua anche mi !<br />
GUELFO Bianco o nero?<br />
FABRIS Bianco fresco de bote!<br />
FRENO (stuzzicandolo) Ciò, Moro, te piasi, ah, la Angiolina?!<br />
FABRIS Me piasi... <strong>La</strong> xe giovine, la me meti alegria. A casa go la moglie che la ga<br />
sempre el muso longo. E i fioi sempre che i pianzi! (beve il vino che gli ha<br />
portato Guelfo e schiocca la lingua) Niente mal, sa!<br />
FRENO (beve anche lui)<br />
Sempre la fisarmonica.<br />
Ciò, coss’ te me ga el sacheto novo?!<br />
FABRIS Ma che novo! Do corone de Franzele strazariol. Me ocoreva, no! Go de<br />
far la mia figura. Ala Fenice i zerca un domator. I me ga dito che torno<br />
domani. Dovessi far un numero.
FRENO (impressionato) Coi leoni?<br />
FABRIS No so... (si accende una sigaretta) Varda, mi vado in cheba con qualsiasi<br />
bestia, basta che i me paghi! Te sa, pratica go! Un poco go imparà con quel<br />
circo tedesco che iero un ano, e po’qua a Trieste, de Zweier che ghe davo de<br />
magnar ale sue bestie feroci.<br />
FRENO (per associazione) Co’ iero in istituto i me gaveva imparà de marangon.<br />
Ma po’, co gavevo quindese ani son andà a Capodistria e fazevo de aiuto al<br />
spazacamin. Me piaseva, te dirò. Iera come esser sempre in carneval. Xe in<br />
quela volta che go tacà a bever. Quando che gavevimo netà un camin, i<br />
contadini ne dava de bever. E mi bevevo. (beve)<br />
FABRIS Alora, coss ’te par de sto sacheto?<br />
FRENO No xe mal.<br />
FABRIS Me ga imprestà Angiolina le do corone per comprarlo. Se no fussi lore.<br />
(beve) Ah, no xe vita sta qua, mai una flica in scarsela.<br />
FRENO (grandioso) Coss’ te bambi, coss’ te bambi! Arime mi! No me volto<br />
gnanca indrio!<br />
FABRIS Ara, te giuro che ogni tanto me ciapa i zinque, e me vien voia de impiantar<br />
baraca e buratini e ’ndar in America come che ga fato Toio mato.<br />
FRENO Che nova! Te dovessi prima trovar i bori! 180 corone in terza classe!<br />
FABRIS Ma no miga sul “Gerty” come i siori! Pei emigranti costerà de meno,<br />
no?<br />
FRENO Meno de zento corone, no sicuro!<br />
FABRIS Te ga ragion! Maledeti bori ! Vergogna no xe rubar, ma niente portar<br />
casa! Almeno gavessi el coragio che te ga ti!<br />
FRENO E po’? Drio man la galera: Gesuiti, via Tigor, e co se vien fora la<br />
sorvelianza!<br />
FABRIS Coss’ te li ga ancora drio?<br />
FRENO Ah, no i me mola! Ma speta che incontro quel sbiro co el xe solo!...<br />
FABRIS Ciò, no sta far monade <strong>Freno</strong>!<br />
FRENO El la ga con mi! L’ultima volta el xe sta lui a portarme in cheba, el<br />
maledeto! E mi so anche perché. Do sere prima el me gaveva domandà se<br />
gavevo de darghe una corona.<br />
FABRIS El te ga dito che te ghe daghi una corona?<br />
FRENO Mi no la gavevo. Ma anche se la gavessi ’vuda no ghe la davo a quel<br />
porco!<br />
Guelfo dà una manata sul tavolo.<br />
FABRIS (sobbalzando) Ciò, Guelfo, ma te son mona?<br />
GUELFO <strong>La</strong> go copada! ’Na mosca. Le xe fastidiose, ogi. Pioverà.<br />
FRENO Magari! Guelfo, ma come xe co’ sto colombo?<br />
GUELFO El ciapa color, sior <strong>Freno</strong>. Cossa, no ghe riva el profumo?<br />
Da fuori si sente il canto di Gigeta che si sta avvicinando.<br />
VOCE GIGETA Son orfanela<br />
che vende i fiori<br />
d’ogni color<br />
d’ogni beltà.<br />
GUELFO Ecola che la ’riva: l’orfanela!<br />
GIGETA (entrando gioviale) Bonasera, bonasera a tuti! Chi vol comprar i miei<br />
61
62<br />
fiori! Xe fiori de stagion savè: freschi e profumadi.<br />
(canta) Vado a racoglierli<br />
sui più bei prati,<br />
poi li rivendo per la zità.<br />
FRENO Ma cossa Gigeta, te ne canti l’opera?<br />
FABRIS Ciò, te poderia andar a cantar al Verdi con quela vose!<br />
GIGETA (soffermandosi su Fabris) Ti no te conosso... Ben... E no so come che te<br />
se ciami. Inveze ti (fissa intensamente <strong>Freno</strong>) ... ti so chi che te xe. <strong>Antonio</strong><br />
<strong>Freno</strong> te se ciami. Conossevo tua mama, povera dona, che ga patì tanto nela<br />
vita... (pianissimo, con un sospiro) Come tuti del resto. (pausa) Quando che<br />
te va a trovarla, portighe ’sto fior. Speta, speta che te dago el più bel.<br />
(porge a <strong>Freno</strong> un fiore che questi mette dolcemente sul tavolo)<br />
Tuo pare la la ga fato tanto sofrir. Eh, quanto che no se sofri per i omini...<br />
FABRIS E anche quanto no se sofri per le done!...<br />
GIGETA Ti tasi, no stavo parlando con ti. <strong>Freno</strong> ga capì, <strong>Freno</strong> ga capì cossa che<br />
digo. Xe vero <strong>Freno</strong>?!<br />
<strong>Freno</strong> beve.<br />
GUELFO <strong>La</strong>ssili in pase, Gigeta.<br />
GIGETA (accenna, come rimasticando, il motivo che cantava prima/pausa) Anca<br />
mi son stada giovine savè. Me son sposada e po’... Gioventù, gioventù, quel<br />
che xe passà no torna più.<br />
(canta)<br />
LUCIA (entrando) ’Dio muli ...<br />
FRENO (vedendo Lucia) Ah, ecola qua! Finalmente te son vegnuda!<br />
FABRIS ’Dio Lucia.<br />
FRENO (a Guelfo) Guelfo! Portighe un otavo a Gigeta. Ofro mi!<br />
GIGETA Te ghe volevi ben ti a tua mama xe vero? (guardando Lucia) <strong>La</strong> xe<br />
proprio una bela putela.<br />
Gigeta siede lontano dagli altri / quando arriverà il vino lo berrà lentamente.<br />
LUCIA Bon, se magna!<br />
FRENO (grida) Guelfo! Movite co’ sto colombo, che se no el svola via! (ride<br />
forte)<br />
GUELFO ’Rivo, sior <strong>Freno</strong>! ’Rivo subito!<br />
FRENO (a Fabris) Te resti anca ti, no?<br />
FABRIS Ve farò compagnia. (a Lucia) E Angiolina?<br />
LUCIA <strong>La</strong> vien subito co’ le altre.<br />
GUELFO (arrivando col colombo) Eco, pronto el colombo, sior <strong>Freno</strong>!<br />
LUCIA Cussì a vederlo me par bel!<br />
FRENO Picio, ma bel!<br />
GUELFO E’l xe anca bon! cossa ghe demo vizin?<br />
FRENO Fame (fa il gesto) una bela piadina de radicio coi fasoi.<br />
FABRIS Eco: mi magnerò un poco de radiceto coi fasoi.<br />
FRENO Alora, una bela piadina de radiceto coi fasoi. E un dopio de refosco. Te<br />
sentirà che rosolio, Lucia! (schiocca la lingua)<br />
LUCIA (improvvisamente) <strong>Freno</strong>!<br />
FRENO Cossa?
LUCIA Ciò, Guelfo, ancora un piato fondo che metemo i ossi.<br />
GUELFO Ghe lo porto subito. <strong>La</strong> sentirà el ripieno, signorina Lucia. <strong>La</strong> me saverà<br />
dir.<br />
FRENO (scherzando) Guelfo, me par che te fa tropo el mona qua con Lucia. Sta<br />
’tento.<br />
LUCIA Ara che el xe geloso!<br />
GUELFO (serio) Noi femo seriamente el nostro mestier!<br />
FRENO (bevendo) Ma cossa, te se la ga becada. Dei, dei, mato! (a Lucia) Ciò,<br />
Lucia, coss’ te volevi prima? Te volevi dirme qualcossa?<br />
LUCIA Volevo dirte che xe bel star cussì insieme come che fossimo una familia...<br />
FRENO Ma cossa te disi?<br />
LUCIA Come che fossimo sposai...<br />
FRENO Ma va là, cofe! (ride / poi a Fabris) Taca taca, domator! Se te speti ancora<br />
un poco, co’ ste belve te resti a panza svoda.<br />
FABRIS Mi speto el radiceto coi fasoi.<br />
IL MAESTRO (entrando con il bombardino sotto il braccio assieme a Tombolin)<br />
Salute ala compagnia! Bonasera a tuti!<br />
FRENO (allegro) ’Dio maestro!<br />
TOMBOLIN Le mule le vien subito. Le se ga messo tute in ghingheri! Vedarè,<br />
vedarè che spetacolo!<br />
FRENO Se volè acomodeve.<br />
MAESTRO Mi go zà magnà al balo che iero a sonar. Ciogo volentieri un bicer.<br />
Guelfo, el solito miss mass col teran.<br />
TOMBOLIN (pronto) Un bicer no se rifiuta mai. (gioco con il bicchiere tra<br />
Tombolin e <strong>Freno</strong> / a <strong>Freno</strong> che gli sta versando da bere) Ara che ghe xe la<br />
patulia.<br />
FRENO Dove?<br />
TOMBOLIN I li ga visti in via del Bastion. Par che i fazi el giro de via Madona del<br />
mar.<br />
FABRIS I fa el giro longo, alora.<br />
FRENO Basta che no i me capiti davanti! (cambiando discorso) Bon, proprio<br />
bon!<br />
FABRIS Anche i fasoi. Devi esser galiziani. ’Ssai me piasi radiceto coi fasoi. Fin<br />
de picio.<br />
TOMBOLIN Giusto che se parla de magnar, gavessi giusto una bela barzeleta de<br />
contarve. Scoltè.<br />
Un pare che ghe fazeva patir la fame ai sui fioi, un giorno che iera in tavola,<br />
ghe domanda al più vecio: “Ciò Nando, coss’ te vol diventar de grando?” –<br />
“Sazio” ga risposto pronto el povero giovine.<br />
FRENO Questa xe la più bela de tute. E xe anche vera.<br />
FABRIS Ciò Tombolin.<br />
TOMBOLIN Coss’ te vol?<br />
FABRIS Te me ga portà la pitura?<br />
TOMBOLIN Che pitura?<br />
FABRIS Quela verde, che go de piturar le porte.<br />
TOMBOLIN Propio la tua pitura gavevo in testa in sti giorni. Te vedarà coss’ che<br />
no go piturà su in casin. Un ca-po-la-vo-ro! Te vedarà! El Paradiso terestre!<br />
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64<br />
GIGETA (canta) Questi son fiori<br />
freschi e soavi<br />
d’ogni colore<br />
d’ogni beltà.<br />
Fiori, bei fiori ... Chi li vol?<br />
FABRIS Dame qua, Gigeta, quel bianco. Ciapa! (dà un soldo a Gigeta e si mette il<br />
fiore all’occhiello della giacca)<br />
GIGETA Cussì te me par propio un sposo. Anca mi, ma xe passadi tanti ani ...<br />
GUELFO Dai dai, Gigeta, daghe un taio!<br />
GIGETA Ti muci e portime un bianco.<br />
Entrano Apollonia, Santina e Angiolina / quasi in coro<br />
LE RAGAZZE Bona sera!<br />
TOMBOLIN (entusiasta della bellezza delle ragazze) Bele! Bele! Bele! Benedete<br />
le bele giornade!<br />
MAESTRO (canta) Belle figlie dell’amore ...<br />
FABRIS Angiolina. Mule. Vegnì. Senteve qua.<br />
FRENO Guelfo, cossa, no se bevi stasera?<br />
GUELFO Go solo due man, sior <strong>Freno</strong>.<br />
FRENO Porta ancora un dopio.<br />
SANTINA Gavè visto Pepi Spinazza?<br />
FRENO Prima el iera con mi. (grida) Alora, Guelfo! (a Santina) El ga dito che ’l<br />
andava de Ravalico. Per cossa te lo zerchi?<br />
SANTINA Gnente. Dovevo dirghe una roba.<br />
LUCIA (maliziosamente) Ah, Santina, Santina!<br />
GUELFO (portando il vino a <strong>Freno</strong>) Eco qua.<br />
SANTINA Vien sentarte vizin de mi, maestro.<br />
MAESTRO (cavalleresco) Ai suoi comandi, signorina.<br />
SANTINA Te me ofri un’aniseta?<br />
MAESTRO Ma come no, Santina!<br />
ANGIOLINA (a Fabris) Xe questo el sacheto che te se ga comprà, Jacometo?<br />
FABRIS Cossa, no te piasi?<br />
ANGIOLINA No no, bel, sa, bel, ... El te slonga! (agli altri) No xe vero che Jacometo<br />
el xe propio un bel omo?<br />
FABRIS Dei ... Angiolina!<br />
APOLLONIA Xe un poco streto de spale.<br />
ANGIOLINA (aggressiva) Chi? Jacometo?<br />
APOLLONIA No, el sacheto.<br />
LUCIA<br />
un.<br />
Cossa, xe el sacheto novo? Me piasi, sa. Anca ti, <strong>Freno</strong>, te dovessi ciorte<br />
FRENO Mi son bel anche nudo.<br />
LUCIA (dandogli uno spintone affettuoso) Ma va là, sporcacion! Sporcacion e<br />
vanitoso!<br />
TOMBOLIN Alo, col sacheto novo! Bagnemolo, dei!<br />
TUTTI Bagnemolo, sì, bagnemolo!<br />
FABRIS Xe facile dir bagnemolo. E dove vado ciorli? Su de Popel?
MAESTRO Ben ben, divideremo!<br />
APOLLONIA Ma sì, dei, intanto bevemo!<br />
TOMBOLIN Guelfo! Altri do dopi de sta parte!<br />
MAESTRO E un’aniseta per Santina.<br />
GIGETA E per mi?<br />
FRENO Coss’ te ga za finì de bever, Gigeta?<br />
GIGETA Gavevo sede. Sa co sto caldo.<br />
FABRIS E po’ xe un vin che va zo come l’acqua! (beve) Xe un netare!<br />
GIGETA Fiori! Fiori! Fiori de stagion!<br />
Questi son fiori freschi e soavi...<br />
GUELFO Dai dai, Gigeta, piantila co sta solfa!<br />
GIGETA Se no vendo no go soldi, e se no go soldi no posso comprarme el vin, e<br />
anche ti che te zighi tanto no te guadagni, moniga de un Guelfo!<br />
FABRIS Ga ragion la vecia! Se no se lavora no se magna!<br />
FRENO Ma se se ga coragio se pol andar a rubar!<br />
GIGETA Chi vol comprar i miei fiori? Lei, giovinoto?<br />
TOMBOLIN No go schei.<br />
GIGETA I xe freschi e profumadi come la sua morosa!<br />
TOMBOLIN Te go dito che no go schei!<br />
APOLLONIA Te li compro mi, Gigeta!<br />
TOMBOLIN Ma per cossa te buti via cussì i schei!<br />
APOLLONIA Ara chi che parla!<br />
GIGETA (dandole un mazzetto di fiori) Che dio te daghi del ben! Pregherò per ti.<br />
TOMBOLIN Alora te son a posto, Polonia.<br />
GIGETA Ti tasi, miscredente che no te son altro. No te se la meriti una cussì bela<br />
putela. (accarezzandola) Bela ti ... Te son proprio cocola. E ricordite: chi nassi<br />
bel, nassi maridado! (breve pausa) Che po’, anca maridarse pol esser una<br />
disgrazia! (grida) Guelfo, ancora un bicer de quel bon!<br />
GUELFO Mi go solo che vin bon, Gigeta!<br />
GIGETA Te son un mostricio, ti ... (va a sedersi al suo posto)<br />
Il maestro nel frattempo è andato al grammofono e ha messo su un rullo: il<br />
valzer di Musetta.<br />
FABRIS Porca mastela, maestro, ogni volta te fa girar sta loica!<br />
GUELFO Pian con quel strumento, che el xe delicato!<br />
MAESTRO Vara che mi go pratica, sa, de strumenti!<br />
APOLLONIA Mai come noialtre! (risatine)<br />
MAESTRO Mi disevo el bombardin! cossa gavè capì?<br />
FRENO Ma buta via quela cassetta de naranze!<br />
ANGIOLINA Ciò, Guelfo, no te ga un altro rullo?<br />
GUELFO Si, cossa ancora! Do’grazia che Ricobon ga lassà in pegno el fonografo!<br />
MAESTRO Sentì che musica! che sentimento!<br />
TOMBOLIN Mi me piasi.<br />
MAESTRO Xe Pucini.<br />
SANTINA Me vien de pianzer!<br />
FABRIS Daghe un taio! Daghe un taio!<br />
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66<br />
TOMBOLIN Ciò Guelfo, no te ga un rullo per far quatro salti?<br />
GUELFO Ve go za dito che go solo sto qua de opera. Se volè ciamo Gigi Fisarmonica.<br />
TOMBOLIN Ciama Gigi.<br />
GUELFO (chiamando fuori scena) Gigi, vien qua che i vol balar!<br />
GIGETA Anche mi, anche mi!<br />
FRENO Sta ’tenta che no te me caschi per tera!<br />
GIGETA Ciò, no son miga tanto vecia!<br />
TOMBOLIN No te son vecia, te son in cimberli!<br />
Risate / Gigi fisarmonica ha cominciato a suonare un valzerino<br />
ANGIOLINA Mi me piasi tanto balar!<br />
Angiolina comincia a ballare da sola / poi a lei si unisce Apollonia<br />
APOLLONIA Fè un poco de posto! (continua a ballare con Angiolina)<br />
FRENO Alora, muli! No lasserè miga che le putele le bali de sole! Alo alo, domator,<br />
coss’ te ga paura de Angiolina?<br />
FABRIS Xe che mi no so balar ben.<br />
ANGIOLINA Vien qua, vien qua che te imparo!<br />
Ballano stentatamente / intanto Gigeta va da uno all’altro ma tutti la sfuggono.<br />
TOMBOLIN (a Apollonia) Polonia, femoghe veder come che se bala!<br />
Tombolin e Apollonia si lanciano nella danza molto seriosi.<br />
MAESTRO (a Santina) <strong>La</strong> permeti questo balo, signorina Santina?<br />
SANTINA Ma come no! Basta che no la stia a strenzerme tropo!<br />
MAESTRO Son un galantomo!<br />
LUCIA (a <strong>Freno</strong> che è seduto sulla panca, prendendolo per mano) Dei, <strong>Freno</strong>,<br />
balemo anche noi!<br />
FRENO No go voia!<br />
LUCIA ’Ndemo, dai! Xe cussì bel sto valzer!<br />
FRENO Go mal de testa!<br />
GIGETA Ma cossa, te me lassi sola sta povera fia? Propio ti che te disevi ai altri!<br />
LUCIA (ballando davanti a <strong>Freno</strong>) Zighighe, zighighe, Gigeta!<br />
FRENO Te se meti a far la rufiana, ’desso! Va ben, basta che no me stè più romper!<br />
(beve il resto del vino che gli era rimasto nel bicchiere, si pulisce la bocca poi<br />
balla con Lucia)<br />
GIGETA<br />
qua!<br />
E cossa, mi resterò sola? Ciò Guelfo, ara che ghe xe ancora una dama,<br />
GUELFO Ma mi ...<br />
GIGETA Ti te son un cavalier galante! (lo costringe a ballare)<br />
SANTINA (al maestro) No la me stia tanto strucar, la me sofiga!<br />
MAESTRO Xe che mi sento ’ssai la musica ... Son musicista!<br />
LUCIA <strong>Freno</strong>! <strong>Freno</strong>!<br />
FRENO Coss’ te diol?<br />
LUCIA Te me vol ben? (pausa) Go dito se te me vol ben.<br />
FRENO Dai dai, tasi e bala!<br />
Intanto Gigi ha cominciato a suonare un motivo. Più lento. Lucia guardando<br />
<strong>Freno</strong> negli occhi incomincia a cantare. Anche gli altri le verranno dietro.
SANTINA (ride improvvisa nervosamente) Ma dai, cossa la fa? Maestro, la me fa<br />
grizoli!<br />
TOMBOLIN Coss’ te ghe combini, maestro?<br />
MAESTRO Mi? Niente.<br />
SANTINA Ghe go za dito che in quel punto son sensibile.<br />
ANGIOLINA In che punto, Santina?<br />
SANTINA Cossa?<br />
TOMBOLIN<br />
Risate.<br />
Sì, in che punto te son sensibile?<br />
SANTINA Sè solo boni de pensar mal dei altri e de dir robe sporche!<br />
APOLLONIA Ciò, pensa per ti!<br />
SANTINA Se tuti dei sporchi, dei sporchi.<br />
APOLLONIA Ciò date una calmada.<br />
Santina è sul punto di piangere.<br />
LUCIA Ma lassèla star in pase.<br />
SANTINA Anche qua che vegno per divertirme, per star un poco in compagnia.<br />
MAESTRO Che bela che te son quando che te pianzi...<br />
SANTINA (un attimo / poi sbotta ridendo e abbracciandolo) Ma tasi, vecio mato!<br />
<strong>La</strong> fisarmonica continua.<br />
GIGETA Guelfo! Porta de bever per tuti!<br />
GUELFO Te paghi ti, Gigeta?<br />
GIGETA Ti intanto porta. Se no pago mi, pagherà qualchedun altro!<br />
LUCIA Muli, muli! scoltè! Femo una bela cantada!?<br />
TUTTI Dei dei! ... Alo alo! ...<br />
APOLLONIA E cossa cantemo?<br />
FRENO (deciso) Son soto i tui balconi.<br />
GIGETA (intona) Son soto i tui balconi...<br />
GUELFO No stè zigar tanto, me racomando.<br />
TUTTI Son soto i tui balconi<br />
Son distirà sui sassi<br />
Mandime zò i stramassi<br />
Che dormirò più ben,<br />
Che dormirò più ben!<br />
FRENO E adesso con sentimento!<br />
CORO Son soto i tui balconi<br />
Son distirà sui spini<br />
Mandime zo i cussini<br />
Che dormirò più ben<br />
Che dormirò più ben.<br />
ANGIOLINA (a un’altra, mentre cantano) Altro che cussini, un secio de acqua, ara!<br />
CORO Son soto i tui balconi<br />
Son distirà su l’erba<br />
Mandime zo la serva<br />
Che dormirò più ben<br />
Che dormirò più ben.<br />
67
68<br />
GUELFO (era uscito un momento in strada / rientra) Ocio, ocio, tasè! Xe la patulia!<br />
NAGODE (entrando con Butus) E ’lora? (silenzio) Xe queste le ore de far scandal?<br />
FRENO (sottovoce) Bruto muso!<br />
BUTUS Ve se senti fin in Cavana.<br />
GIGETA Se divertivimo un poco.<br />
NAGODE Ti a sta ora te doveria esser za a casa!<br />
GIGETA Sì! E chi vendi i fiori?<br />
NAGODE Vergognite, ala tua età!<br />
GIGETA Mi no mi ...<br />
Qualche risatina<br />
MAESTRO Ierimo qua giusto per passar un’oreta, siora guardia!<br />
GUELFO No i fazeva niente de mal!<br />
TOMBOLIN Quatro salti ...<br />
APOLLONIA ... Una cantada in compagnia!<br />
NAGODE <strong>La</strong> gente dormi, a sta ora! No i xe miga tuti spuzafadighe come che sé<br />
voialtri!<br />
(movimento e vocio delle donne)<br />
FRENO No la stia a ofender, se no ...<br />
NAGODE (duro) Se no cossa?<br />
LUCIA (a <strong>Freno</strong>) Sta bon!<br />
NAGODE Vara che te porto drito in cheba!<br />
SANTINA Ma dei, no la stia rabiarse!<br />
NAGODE E voialtre via! Cossa, a sta ora ancora in giro! Via tute a casa!<br />
ANGIOLINA El ne trata come che fussimo dele bestie!<br />
FRENO Ma se no le ga fato niente!<br />
NAGODE Ti tasi! Ti tasi sempre, te ga capì?<br />
FRENO (sottovoce) Ma varda coss’ che me toca ingiotir!<br />
nagode (che sta uscendo con Butus) Coss’ te ga dito?<br />
FRENO (con aria di sfida) Mi taso, mi taso sempre.<br />
LUCIA No ’l ga dito niente, siora guardia!<br />
NAGODE Guelfo, me racomando, che i vadi tuti a casa!<br />
GUELFO Sì, siora guardia.<br />
NAGODE (forte) E in silenzio! (esce con Butus)<br />
FRENO (sottovoce) Un giorno o l’altro te farò star mi in silenzio! (basso) Solo<br />
che ofender, davanti de tuti!<br />
GIGETA Alora nissun compra più niente! (canta) Son orfanela che vendo i fiori ...<br />
MAESTRO Dame quel fior. (le dà dei soldi) Eco, ciapa.<br />
GIGETA (canta) Son orfanela che vende i fiori ... (sta per uscire)<br />
GUELFO Sta ’tenta, che quei sbiri i te porta dentro.<br />
GIGETA (uscendo e cantando più forte) Son orfanela che vendo i fiori.<br />
Il suo canto si allontana lentamente.<br />
APOLLONIA ’Ndemo, ’ndemo mule. ’Dio Tombolin.<br />
LUCIA ’Ndemo dei, che no nassi gheto!<br />
FRENO Ti no te se movi! Ti te resti qua!
LUCIA Ma se no se pol!<br />
ANGIOLINA Nagode el xe bon de tornar e veder se semo andade via!<br />
LUCIA ’Dio muli. ’Dio <strong>Freno</strong>. Bona note a tuti.<br />
Esce con Apollonia<br />
SANTINA Bona note, maestro.<br />
MAESTRO Santina. (le dà il fiore) ’Sto fior xe per ti.<br />
SANTINA (lo bacia sulla guancia) Vecio bacuco! (esce)<br />
Il maestro rimette il rullo di Puccini.<br />
FABRIS Proprio sul più bel che cominciavimo a divertirse!<br />
TOMBOLIN In un modo o nel altro, prima o dopo finissi anche le bele giornade!<br />
<strong>Freno</strong> beve torvo / la musica sale mentre cala la luce.<br />
69
70<br />
Scena quinta – Strada<br />
Strada da sfruttare in tutta la sua lunghezza / quando la scena è ancora semibuia<br />
partono i saluti / siamo fuori dell’osteria di Guelfo / Gigi suona la fisarmonica<br />
MAESTRO Bona note, Guelfo.<br />
GUELFO Bona note maestro. Bona note a tuti.<br />
GLI ALTRI Bona note.<br />
FABRIS Chi iera quela meza menola che iera con Nagode?<br />
TOMBOLIN<br />
anca lu!<br />
Cossa, no te sa? Butus, Desiderio Butus, el se ciama. Un bruto tartaifel<br />
FABRIS Che ora xe?<br />
MAESTRO (guardando l’orologio) Le nove e un quarto.<br />
TOMBOLIN Bon, cossa femo qua? Andemo ale “Tre porte”!<br />
FRENO Pepi ne speta su de Ravalico in via Donota. (si avvia deciso per uscire)<br />
FABRIS Ciò, <strong>Freno</strong>, ’ndove te va de quela parte?<br />
FRENO Ma gnente. Vado cior spagnoleti.<br />
MAESTRO Fa presto, che te spetemo.<br />
FRENO No ocori. Andè pur avanti.<br />
TOMBOLIN Alora te spetemo ale “Tre porte”. Dopo andemo de Ravalico.<br />
FRENO Bon bon. (esce)<br />
MAESTRO Ma cossa el ga?<br />
FABRIS Te sa come che el xe.<br />
TOMBOLIN Alora andemo o no andemo? Qua vien matina!<br />
MAESTRO Calma, calma, che la note la xe longa!<br />
TOMBOLIN Ciò, ma no stè esser cussì muffi!...<br />
(intona la canzone che viene cantanta parte in scena / poi tutti verso la fine<br />
escono)<br />
E su per sti scalini<br />
E zo per sti scaloni<br />
Sti sporchi de spioni<br />
Dirò la verità, dirò la verità.<br />
<strong>La</strong> verità go dito<br />
E più no posso dire<br />
A costo de morire<br />
A costo de morir!<br />
GIGETA (arrivando dal fondo) Spetème, spetème! Ma ’ndove andè? ’Ndove i va,<br />
benedeti?<br />
CORO (lontano) No sta badar<br />
<strong>La</strong> mula fasol,<br />
Che la se lava<br />
El muso in buiol!<br />
Coss’ te bazili<br />
Mula fasol,<br />
Che te vol ben
El mulo Pignol!<br />
GIGETA Sta qua la so anca mi! (canta)<br />
Coss’ te bazili<br />
Mula fasol,<br />
Che te vol ben<br />
El mulo Pignol.<br />
(sta per uscire / colpo di tuono) Dio che spavento!<br />
Almeno che piovessi!<br />
Dal fondo della strada arriva <strong>Freno</strong> fumando, ma non si capisce bene chi e perché<br />
si trova in una zona buia.<br />
Chi xe quel là? (canticchia) Coss’ te bazili, mula fasol ...<br />
(<strong>Freno</strong> è emerso in una zona luminosa)<br />
Ma par <strong>Freno</strong> ...<br />
(canta) ... Che te vol ben / el mulo Pignol ...<br />
<strong>Freno</strong>, te son ti?<br />
FRENO (avvicinandosi) Coss’ te fa qua, Gigeta?<br />
GIGETA Xe cussì scuro. Xe che de veci se diventa paurosi, go paura de tuto e de<br />
tuti.<br />
FRENO Co te son con mi te son sicura.<br />
GIGETA Benedeto! Te sa mi conossevo tua mama, povera ...<br />
FRENO Mi gnanca no me la ricordo. Mio pare me lo ricordo anche se lo go<br />
visto poche volte: iera un che no pareva gnanca mio pare. (fuma / poi come se<br />
si scuotesse) Dei dei, andemo avanti che i ne speta ale “Tre porte”. (esce)<br />
GIGETA ’Ndemo, ’ndemo. Ma pian, senza furia! son tuto el giorno che camino,<br />
e son in tochi! (esce)<br />
71
72<br />
Scena sesta – Osteria di Ravalico<br />
Un bancone e solo un tavolino al quale sta seduto Pepi Spinazza davanti a un<br />
mezzo litro di vino / un canto lontano che si avvicina.<br />
RAVALICO I sta ’rivando.<br />
PEPI I-i sarà za imbriaghi duri.<br />
RAVALICO Bisogna bever el vin, ma no el giudizio.<br />
Entra <strong>Freno</strong>, Tombolin, Fabris, il maestro / portano sulle spalle Gigeta che ride<br />
PEPI F-finalmente. Xe za le diese e meza. Xe do ore che ve speto.<br />
FRENO Tasi tasi, momolo.<br />
GIGETA Metème zo, metème zo. (la mettono a sedere sul banco)<br />
TOMBOLIN Ravalico, daghe de petess!<br />
MAESTRO Date da bere agli assetati! (suona il bombardino)<br />
FRENO Ravalico, portime un piato de iota!<br />
GIGETA Anche mi, anche mi!<br />
FRENO Un piato de iota anche per Gigeta. Pago mi!<br />
RAVALICO<br />
sera!<br />
No xe più niente, a sta ora, sior <strong>Freno</strong>! I ga za netà tuto, xe sabo de<br />
FRENO (scaldandosi) Voio iota, orcotron!<br />
(dà un pugno sul tavolo o sul banco) Se no spaco tuto!<br />
GIGETA Se no xe iota che ne porti almeno petess.<br />
MAESTRO Ma dai, scusa, <strong>Freno</strong>, te prego, no xe modo de comportarse!<br />
FRENO Ciò, maestro, va a far un giro, va a far un giro!<br />
TOMBOLIN (volendo sviare il discorso) Ciò, Ravalico, porta de bever, dei!<br />
RAVALICO Subito. (si avvia)<br />
FRENO No. Vien qua Ravalico! go dito che voio iota!<br />
RAVALICO (sottomesso) Ma no xe, sior <strong>Freno</strong>!<br />
FRENO Vala a trovar, alora!<br />
FABRIS Ma dei, <strong>Freno</strong>, se no xe, no xe!<br />
FRENO Alora spaco tuto!<br />
MAESTRO Ma no, dei!<br />
FABRIS Sta bon!<br />
TOMBOLIN Coss’ te ciapa?!<br />
<strong>Freno</strong> getta qualcosa a terra: una brocca, una bottiglia.<br />
RAVALICO Guantèlo!<br />
GIGETA Boni, muli, cossa fè?<br />
PEPI I-i ciama le guardie e po’ne toca pagar tuto!<br />
GIGETA (raccogliendo da terra i cocci) Oh, el ga roto sta bela broca, che pecà!<br />
RAVALICO Intanto porto de bever.<br />
MAESTRO Scusa, <strong>Freno</strong>, ma no xe modo de far sto qua!<br />
FRENO Mi posso far tuto quel che voio perché son triestin!<br />
(tenta di gettare a terra qualcosa d’altro, ma Gigeta glielo sottrae)<br />
GIGETA Fermo là!<br />
MAESTRO Ravalico, la se movi che domani go de alzarme presto! Go un matri-
monio a san Saba.<br />
Ravalico ha portato da bere.<br />
FRENO Che schifo sta vinazza! Ciò, Ravalico, coss’ te ga lavà i piati qua dentro?<br />
RAVALICO Sior <strong>Freno</strong>, no stemo ofender!<br />
FRENO Mi ofendo chi che voio perché son triestin!<br />
TOMBOLIN Dai, <strong>Freno</strong>, no state scaldar!<br />
FRENO Mi me scaldo fin che voio perché son triestin!<br />
FABRIS Dai, che i ne buta fora!<br />
FRENO Chi ne buta fora? Chi ne buta fora? Chi ne buta fora?<br />
MAESTRO E chi lo ferma adesso?!<br />
FRENO Nissun me ga mai butà fora, mi ... Perché ...<br />
TOMBOLIN ... Te son triestin!<br />
GIGETA Anche noi semo triestini.<br />
FRENO (dopo una pausa) Ma no come mi.<br />
PEPI V-vara che xe Nagode e Butus de patulia!<br />
FRENO Mi con Butus – lo beco – e tapo la gorna.<br />
(Pepi ridacchia)<br />
E con Nagode ...<br />
FABRIS Parla pian. Te sa che te son conossù.<br />
FRENO Mi digo quel che voio perchè son triestin! ... Nagode ... Za una volta el<br />
me ga messo le man adosso! Ma prima che ’l me seri in cheba ghe ga volù! I<br />
ga dovudo ciamar altri do! ...<br />
(Pepi ridacchia)<br />
Me go becà 18 mesi, ma ghe go dito in muso quel che pensavo!<br />
(sputa con sprezzo) Nagode!<br />
FABRIS Bon, bon, demoghe un taio, ’ndemo farse la boca ai “Piatti”!<br />
FRENO ’Ndemo al “Pozzo d’oro”.<br />
TOMBOLIN Sì, sì, tornemo in Crosada.<br />
MAESTRO Mi no volessi far tardi.<br />
FRENO Tasi. Ti te vien con noi!<br />
RAVALICO Chi paga, ginoti?<br />
FRENO Nota sul iazzo e meti a sugar sul sol!<br />
MAESTRO Per no far ciacole. (getta sul banco delle monete) Qua Ravalico, la se<br />
paghi! Te vien, Gigeta?<br />
GIGETA Finisso de bever.<br />
Intanto gli altri, capitanati da <strong>Freno</strong>, hanno intonato la canzone<br />
Aiuto compare me nego,<br />
Me nego in mezo al mar...<br />
Al coro si unirà il maestro / buio / quando la canzone calerà si accenderanno le<br />
luci.<br />
73
74<br />
Scena settima – Strada – via Crosada<br />
FRENO (canta) Aiuto compare me nego<br />
me nego in mezo al mar.<br />
Aiuto compare negheve<br />
negheve in mezo al mar.<br />
FABRIS ’Dio muli. Mi vado.<br />
FRENO (afferrandolo) Ti te resti qua con noialtri.<br />
FABRIS (tentando) I me speta a casa.<br />
FRENO (cantando) Aiuto compare son morto!<br />
Domani xe ’l funeral!<br />
CORO (diretto da <strong>Freno</strong>) Speteme che impizzo la pipa,<br />
<strong>La</strong> pipa col piripipì!<br />
Compare, impizzime la pipa,<br />
<strong>La</strong> pipa col piripipì!<br />
VOCE (dall’alto) Basta! Xe gente che dormi, qua!<br />
FRENO (gridando) E alora dormi e no sta romper, mona!<br />
VOCE DI NAGODE<br />
Compare Nagode.<br />
Ma chi xe ste bestie che ziga! Ziti là!<br />
MAESTRO (agli altri che continuano a cantare) Ocio, ocio, ziti.<br />
PEPI (sottovoce) A-ara Nagode.<br />
FRENO (torvo) El xe solo.<br />
NAGODE Ah, sè sempre voialtri! Ti <strong>Freno</strong>! Capo coro! Capo orchestra!<br />
FRENO <strong>La</strong> fazi el suo dover e no la stia a ofender!<br />
NAGODE No sta a impizarte con mi, sa!<br />
MAESTRO (sottovoce) ’Ndemo prima che nassi baruffa!<br />
TOMBOLIN (id.) ’Ndemo, ’ndemo!<br />
Maestro, Tombolin e Fabris si dileguano<br />
NAGODE (girando intorno a <strong>Freno</strong>) Te sa come che se disi, no, <strong>Freno</strong>: la prima se<br />
perdona, la seconda se ammonissi, la terza se bastona.<br />
FRENO (indietreggiando) No la staghi a meterme le man adosso ...<br />
NAGODE Adesso te fazo veder mi ... (leva la sciabola dal fodero)<br />
FRENO Alora ciapa, porco. (gli mena un colpo)<br />
NAGODE Come ... A una guardia austriaca!<br />
FRENO (colpendo ancora) Te go dito de taser ...<br />
NAGODE ... A un pare de fameia ...<br />
FRENO (colpendo) Tasi, tasi, tasi ...<br />
NAGODE Disgrassià ...(è a terra morente)<br />
FRENO (ansante) E adesso cossa te ga ancora de dirme ...<br />
PEPI (tornando) C-Cossa te ga fato?<br />
<strong>Freno</strong> non risponde<br />
C-cossa te ga sulla man?<br />
FRENO Cossa?<br />
PEPI Xe-xe sangue.
FRENO Sangue? devo esserme taià co la britola.<br />
Intanto è calata la casa con finestre alle quali si affacciano i vari personaggi.<br />
VOCI Gavè sentì?<br />
Iera gente che cantava.<br />
PEPI B-Bisogna taiar la corda. Scampemo.<br />
(scappa seguito da <strong>Freno</strong>)<br />
VOCI Ma chi iera?<br />
No se sa.<br />
(ad un certo punto voci ed altre persone che entrano in strada)<br />
Davanti al “Pozzo d’oro”! Un omo distirà!<br />
El xe in un mar de sangue ...<br />
’Ndemo, ’ndemo a veder!<br />
Cossa xe nato?<br />
I ga copà una guardia.<br />
Ma forsi la xe solo che ferida.<br />
Ma chi lo ga copà?<br />
No se sa. No xe più nissun.<br />
I xe scampai via tuti.<br />
Mi go visto com un’ombra sul muro.<br />
I ga copà una guardia.<br />
Ciamè un dotor.<br />
A l’Igea, qua vizin.<br />
Sta ora xe serado. Meio la guardia medica.<br />
No sta ciamar nissun. No se sa mai.<br />
Ma chi xe morto?<br />
<strong>La</strong> guardia Nagode. Copà co ’na cortelada.<br />
Par che i ghe gabi dà de più de una cortelada.<br />
I ga copà una guardia.<br />
Ma in quanti i la ga copada?<br />
I disi un solo, o forsi do.<br />
Ma el xe morto subito?<br />
Par che un momento el se ga tirà su, e po’el xe cascà zo, e là el xe.<br />
Ma vara là, che robe che nassi.<br />
I ga copà una guardia!<br />
Una guardia!<br />
I ga copà una guardia in via Crosada.<br />
(durante le voci: fisarmonica / poi verso la fine il coro canta i versi della canzone)<br />
CORO ’Na guardia de patulia<br />
De posto in via Crosada<br />
Xe stada assassinada<br />
De un nostro zitadin.<br />
Tuti lo conossiamo<br />
Se ciama <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong><br />
Che col cortel in seno<br />
Girava la zità.<br />
75
ATTO SECONDO<br />
Scena prima – Casino<br />
<strong>La</strong> saletta è in ordine. Un canapè, un separè, una o due sedie, un tavolino /<br />
quando è ancora buio si sente suonare la campanella.<br />
VOCE SIGNORA Vegno! vegno!<br />
SIGNORA (entrando con un lume) Ma chi xe a sta ora?<br />
(ancora il suono della campanella)<br />
Vegno, vegno! Dio che furia.<br />
(la Signora esce / poi da fuori)<br />
VOCE SIGNORA Ah, la xe lei.<br />
VOCE BARONE <strong>La</strong> me scusi se vegno a sta ora.<br />
SIGNORA (entrando) <strong>La</strong> vegni, la vegni sior Baron. Lei la xe sempre ben aceto.<br />
Fazo un poco de luse.<br />
BARONE Iero qua al Verdi. Me son fato acompagnar. Fora iera una confusion!<br />
Devi esser sucesso qualcossa.<br />
SIGNORA (accendendo un lume) Eh, a ste ore e per ste strade pol nasser de tuto.<br />
Eco, cussì xe za meio. Almeno se vedemo. Ah, la iera al’opera. E cossa i fazeva?<br />
BARONE Rigoleto.<br />
SIGNORA Ah, quela storia del gobo.<br />
BARONE (guardandosi attorno) Bel sa! sembra fin un altro logo. (ride indicando<br />
la pittura) El Paradiso terrestre! Bona idea el Paradiso terrestre in un casin!<br />
SIGNORA No xe vero?<br />
BARONE Gaveria pensà de dormir qua de lei ...<br />
SIGNORA Qua la xe come a casa sua.<br />
BARONE (sospirando) Speremo meio. E ... Le putele?<br />
SIGNORA ’desso le ciamo.<br />
BARONE Ma gari le iera za a far nanna!<br />
SIGNORA No credo.<br />
BARONE Me dispiaseria disturbarle.<br />
SIGNORA Lei la se comodi sul canapè.<br />
BARONE (siede) Go un bel regaleto per lore ... E anche per lei.<br />
77
78<br />
SIGNORA (decisa) Alora le dismissio anche se le dormi. (esce)<br />
BARONE Poverete. (ride forte) Poverete. Picie mie. Povere picie mie!<br />
Canticchia qualcosa battendo nervosamente il tempo sul ginocchio. Entra<br />
Angiolina lentamente, senza far rumore, seguita da Apollonia. Si avvicina al<br />
Barone, dietro il canapè e gli mette le mani sugli occhi / si capisce dal loro abbigliamento<br />
che le ragazze si sono appena alzate dal letto.<br />
BARONE (strilla deliziato) Ih ... Ih ... Ih ... Chi xe? De chi xe ste bele manine? ...<br />
(odora) Tute profumade?<br />
APOLLONIA Indovina grillo!<br />
BARONE Ti te me par, se no me sbaglio, te me par, dela vose, dela voseta, te me<br />
par Apollonia.<br />
ANGIOLINA<br />
de mi?<br />
(scherzando) Ma come no te me riconossi? Te se ga za dismentigà<br />
BARONE Scusime sa cara, ma dela vose me pareva ...<br />
ANGIOLINA Te bastoneria, traditor!<br />
APOLLONIA (spuntando da dietro il canapè) Iero mi, iero mi! (gli fa il solletico)<br />
BARONE No sta a farme cussì! (ride) Te prego, basta, te prego, che no me s’ciopi<br />
el cuor!<br />
SIGNORA (rientrando) Ma cossa ghe fè, povero omo? (ride anche lei) Cussì se<br />
trata i clienti?<br />
BARONE No le xe cative, ste putele, le xe solo che zogatolone.<br />
SIGNORA <strong>La</strong> me le sta viziando tropo! (esce)<br />
BARONE E Lucia? Dove xe Lucia?<br />
LUCIA (entrando con Santina) Son qua. Ghe piasi la mia camisa de note? (si<br />
pavoneggia)<br />
BARONE Bela, bela. Ma desso metite un poco in ordine. Te sa che no ve voio<br />
veder tanto scolaciade. A mi me basta una manina, un piedin, un niente, per<br />
imaginarme tuto el resto. (ridacchia nervosamente)<br />
SANTINA (sottovoce) Vecio sporcacion!<br />
APOLLONIA (idem) Ma pien de bori.<br />
LUCIA (strillando) Un sorzo! Un sorzo!<br />
TUTTE (gridando e correndo chi da una parte chi dall’altra) Ecolo qua! No, el xe<br />
andà de qua. Là là là!<br />
BARONE Dove? dove? (corre anche lui, poi salta su una sedia)<br />
APOLLONIA (alzando la camicia da notte) Oh, Dio! Aiuto! Aiuto! El me vien su<br />
per le gambe! aiuto!<br />
LUCIA Qua ghe vol un gato!<br />
ANGIOLINA Mi, mi fazo el gato! Miao! Miao (imita il verso del gatto mettendosi<br />
a quattro zampe / selvaggiamente)<br />
SANTINA El xe scampà! Mi lo go visto! El xe scampà!<br />
(il Barone è terrorizzato / entra la Signora)<br />
SIGNORA Ma cossa xe sto baccan? (indica il Barone) Ma vardè come che lo gavè<br />
ridoto! (aiuta il Barone a scendere dalla sedia)<br />
LUCIA Ma dei che no iera vero niente!<br />
APOLLONIA Gavemo fato per zogar!<br />
BARONE Mi savevo che iera tuto un scherzo. No podeva esserghe sorzi qua
dentro!<br />
SANTINA (che era uscita / rientrando con un enorme ventaglio) Sorzi no (apre e<br />
chiude il ventaglio) ... Ma un bel pavon, sì!<br />
TUTTE (in coro) Oh che bel pavon ...<br />
Oh che bel pavon ...<br />
Il Barone imita il verso del pavone. Inizia la vestizione: un mantello colorato<br />
sulle spalle che il Barone aggancia davanti / lentamente il Barone si trasforma in<br />
pavone. Gonfia il petto, manda un grido, poi si inginocchia aiutato da Santina e<br />
Lucia / incomincia a camminare. Apollonia e Angiolina aprono e chiudono il<br />
ventaglio come se fosse un’enorme coda / Lucia e Santina con una candela accesa<br />
in mano.<br />
CORO Oh che bel, che bel pavon!<br />
Oh che bel, che bel pavon!<br />
Pel giardin va a torziolon.<br />
(grido del Barone che imita il pavone)<br />
Ah il pavon, che bel, che bel!<br />
Ah il pavon, che bel, che bel!<br />
El xe propio un grosso usel!<br />
Grido del Barone che imita il pavone / Lucia e Santina spengono le candele,<br />
aiutano il Barone ad alzarsi / poi in fretta avviene la svestizione / suona la campanella<br />
/ passa la padrona.<br />
BARONE E adesso ... (tira fuori dei soldi) Vedemo ... Vedemo (si guarda attorno<br />
furbescamente)<br />
ANGIOLINA (furbescamente) Sto qua xe un zogo che me piasi!<br />
BARONE Vedemo ... Vedemo dove che noi podemo meter questo!? (mette le<br />
monete nel reggiseno di una ragazza)<br />
E questo dove lo metemo? (mette il denaro in una giarrettiera)<br />
E adesso a chi ghe toca? (si fa avanti un’altra che prende il denaro in bocca)<br />
Oh, bricconcella! Xe rimasto solo che ... (una ragazza alza la camicia da<br />
notte) Coss’ te fa sporcaciona? (le mette il denaro nelle mutandine)<br />
Si sente cantare la strofa.<br />
VOCE (canta) E in punto a mezanote<br />
<strong>La</strong> mano insanguinata<br />
E l’anima turbata<br />
Cercava di fugir.<br />
VOCE SIGNORA (fuori scena) Ma cossa la fa? Go dele persone de riguardo!<br />
Improvvisamente entra <strong>Freno</strong>. Ha la mano sinistra fasciata malamente da un<br />
fazzoletto insanguinato.<br />
FRENO (ansante) Lucia!<br />
LUCIA <strong>Antonio</strong>!<br />
È come se fossero soli e si vedessero per la prima volta.<br />
BARONE Sangue. El ga la man insanguinada! Oh, Dio, stago mal! (sviene tra le<br />
braccia di Angiolina e Apollonia. Santina gli fa vento con il ventaglio e non<br />
sapendo cosa fare canta)<br />
SANTINA Oh, che bel pavon ...<br />
SIGNORA (a <strong>Freno</strong>) <strong>La</strong> staghi atento che la me sporca per tera!<br />
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80<br />
FRENO (a Lucia) Dame qualcossa per fassarme meio.<br />
LUCIA Ma cossa xe nato?<br />
<strong>Freno</strong> tace / Lucia esce.<br />
SIGNORA (ad Apollonia, Angiolina e Santina) Voialtre portè el Barone in camera<br />
mia, svelte! (le ragazze guardano imbambolate <strong>Freno</strong> e non si muovono) Svelte,<br />
go dito!<br />
ANGIOLINA El xe magro, ma el pesa che ’l sembra de piombo!<br />
APOLLONIA Xe i bori che ’l ga in scarsela.<br />
SANTINA Strassinemolo, xe meio!<br />
Mentre viene portato via il barone si lamenta / <strong>Freno</strong>, seduto sul canapè guarda<br />
fisso davanti a sé.<br />
SIGNORA Cossa la ga combinà stavolta?<br />
FRENO <strong>La</strong> me lassi in pase.<br />
SIGNORA Qualche bela dele sue, me imagino!<br />
FRENO <strong>La</strong> me lassi in pase, go dito!<br />
LUCIA (entrando con una lunga benda / a <strong>Freno</strong>) Dame qua la man.<br />
SIGNORA Mi vado in camara a veder come che sta el Baron. (a Lucia) Dopo<br />
ricordite de netar per tera. (esce)<br />
LUCIA (guardando la mano a <strong>Freno</strong>) Che bruto taio. Te doverà andar de un<br />
dotor. Ma cossa xe nato? (<strong>Freno</strong> tace) Go sempre ’vu paura che te nassi qualcossa.<br />
(gli dà un bacio)<br />
FRENO (molto agitato) Un omo no pol patir tuta la vita!<br />
LUCIA Sì ... Sì ...<br />
FRENO No ’l pol lassar sempre che i altri lo comandi. (Lucia annuisce) Quando<br />
che lui el xe vegnù avanti per darme ...<br />
LUCIA Lui chi?<br />
FRENO Nagode!<br />
LUCIA <strong>La</strong> guardia ...<br />
FRENO Ghe go dà cola britola.<br />
LUCIA Maria Vergine ...<br />
FRENO No so gnanca come che xe nato. El iera distirà per tera ...<br />
E el iera morto.<br />
LUCIA (incomincia a piangere / dice qualcosa di indistinto / forse prega)<br />
FRENO Bisogna che vado via, più lontan che posso. Ti no sta a pianzer, che no<br />
merita.<br />
LUCIA Te ga copà un omo!<br />
FRENO Mi no go colpa. El se la ga voluda. Se i vol, i pol anca taiarme a tocheti.<br />
Mi no go colpa.<br />
LUCIA Cossa sarà de noi! ...?<br />
FRENO Mi vado. Prima che scampo meio xe.<br />
LUCIA Speta. (gli dà del denaro) Ciapa. No go altro.<br />
FRENO (le dà un bacio) ’Dio. ’Pena che posso me fazzo vivo.<br />
LUCIA ’Dio <strong>Freno</strong>.<br />
<strong>Freno</strong> esce. Lucia resta sola per qualche momento sempre guardando nella direzione<br />
da cui è uscito <strong>Freno</strong>.<br />
ANGIOLINA (entrando) El xe andà? Ma cossa xe nato?
LUCIA (uscendo per andare a prendere straccio e secchio) Te conterò dopo.<br />
SIGNORA (entrando) Bona che el xe andà via. Qua bisogna netar presto, se no<br />
quel altro el me va insieme de novo.<br />
ANGIOLINA Che omo de merda.<br />
SIGNORA Vara che el xe uno dei nostri più boni clienti. Tien serada quela bocazza.<br />
ANGIOLINA (tra i denti) Ma vara chi che parla!<br />
Entra Lucia con un secchio d’acqua e uno straccio / incomincia a pulire per<br />
terra.<br />
SANTINA (entrando) El Baron el domanda se el pol vignir.<br />
VOCE BARONE Se pol?<br />
SIGNORA <strong>La</strong> vegni, la vegni sior Baron, xe tuto a posto.<br />
VOCE BARONE El xe andà via?<br />
SIGNORA Si, si, el xe andà.<br />
ANGIOLINA Ma de cossa la ga paura? Semo qua noi.<br />
BARONE (entrando con Apollonia) Xe el sangue, putele, xe el sangue. No posso<br />
proprio soportar de veder el sangue.<br />
APOLLONIA E come no. Xe qualchedun che ghe fa impression.<br />
BARONE Brava picia mia, te me capissi. Za de putel me fazeva impression. Me<br />
ricordo de quela volta che i contadini ga mazà al porco su in Carso. Dio che<br />
mal che stavo.<br />
ANGIOLINA Povero picio ... (lo accarezza)<br />
BARONE Cocolime un poco, picia mia.<br />
SIGNORA Dai, putele, canteghe una canzon.<br />
APOLLONIA (ironicamente) Una nina nana per el picio...<br />
BARONE Sì sì, canteme qualcossa. Dio che ben che stago con voi, putele mie,<br />
mie bele, mie care putele... (le ragazze cantano una ninna nanna / il barone<br />
chiude gli occhi) Cussì me piasi. Brave, brave e bele le mie pice. Qua con voi<br />
son proprio in paradiso...<br />
Lucia piange / la ninna nanna sale / le luci si spengono / fischietti lontani.<br />
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82<br />
Scena seconda – <strong>La</strong> strada<br />
Entrano Butus e una guardia / i personaggi entrano ed escono come ombre.<br />
BUTUS E alora?<br />
GUARDIA Niente. El xe sparì.<br />
BUTUS Ma le mace de sangue?<br />
GUARDIA Le ’rivava fin al casin del Sabion. Dopo niente. Semo andadi su; le me<br />
ga dito che no ’lo ga visto.<br />
BUTUS Xe tuti che lo iuta, quela carogna. Ma no ’l pol esser lontan. ’Ndemo.<br />
Escono veloci / fischi di richiamo delle guardie / entra <strong>Freno</strong> ansante / dietro di<br />
lui Pepi<br />
VOCI LONTANE Per de qua! Lo go visto de sta parte.<br />
PEPI Ciò, b-bisogna che te vadi via. Xe sbiri partuto.<br />
FRENO Che Dio li stramaledissi!<br />
VOCE LONTANA Zerché, zerché per tute le case!<br />
FRENO ’Dio, Pepi.<br />
PEPI T-te vol che te compagno?<br />
FRENO Meio che scampo solo!<br />
Escono Pepi da una parte / <strong>Freno</strong> dall’altra / entrano Fabris e Tombolin / <strong>Freno</strong><br />
rientra immediatamente<br />
FABRIS No se pol passar de nissuna parte! Via Catedrale, via dele Monighe, tuto<br />
pien de sbiri!<br />
TOMBOLIN Anca zo: via Muda vecia, Cavana, via del Pesse, tuto fisso de guardie!<br />
FABRIS ’Ndemo de Tosca, che de là se pol scampar pei copi.<br />
FRENO ’Dio muli. Xe l’ultima volta che se vedemo.<br />
Tutti escono / fischi e voci delle guardie.<br />
VOCE DI BUTUS<br />
Entra Gigeta<br />
Guanteli! guanteli! altolà!<br />
GIGETA (rivolta nella direzione da cui è uscito <strong>Freno</strong>) Ma dove te cori? Dove te<br />
cori? (colpo di tuono) Xe proprio el finimondo! (a Butus che sta entrando) E<br />
ti coss’ te vol?<br />
BUTUS Ah, te son ti?<br />
GIGETA E chi te vol che sia. Te me par un can che ghe cori drio a un levro.<br />
BUTUS Te ga visto <strong>Freno</strong>, vecia?<br />
GIGETA Vecio te sarà ti!<br />
BUTUS Te lo ga visto?<br />
GIGETA Xe questo el modo de tratar la gente?<br />
BUTUS Alora, te lo ga visto sì o no?<br />
GIGETA Sicuro che lo go visto!<br />
BUTUS E indove?<br />
GIGETA Una ora fa, su de Guelfo.<br />
BUTUS Adesso, digo.<br />
GIGETA Adesso? adesso che te me disi, me par come de aver visto qualchedun<br />
che scampava! ...<br />
BUTUS Per dove?
GIGETA De là! (indica la direzione contraria a quella da cui è uscito <strong>Freno</strong>)<br />
BUTUS De là! (esce / poi si sentirà la sua voce che grida) Per de qua! per de qua!<br />
Passa la seconda guardia che uscirà nella direzione di Butus.<br />
GIGETA Cori, cori che te lo bechi, mona de guardia! cori e rompite l’osso del<br />
colo!<br />
Entra il lampionaio<br />
GIGETA Ciò, Nando, te son za de ritorno? (il lampionaio va a spegnere il lampione.<br />
Gigeta guarda in alto) Eh, sì: sta za s’ciarendo. No me iero gnanche inacorta<br />
che iera za zorno. Dio, come passa el tempo. Meno mal che passa per tuti.<br />
Bon, intanto ’ndemo avanti. De un feral a l’altro ’riveremo a casa. (esce con il<br />
lampionaio)<br />
Tutto dissolve nella canzone “<strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong>” suonata alla fisarmonica / poi<br />
cantata / distintamente le parole:“... e apena fato el colpo / A Isola el xe scampado<br />
... ecc.”<br />
Buio.<br />
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84<br />
Scena terza – Osteria<br />
Osteria molto piccola e povera – è mattino.<br />
Da una parte una breve scala che porta al primo piano / per un momento l’osteria<br />
rimane vuota / da fuori le campane / entra <strong>Freno</strong>, si guarda attorno.<br />
FRENO No ghe xe nissun?<br />
VOCE DI ERNESTO IL LOCANDIERE (fuori scena) Son qua, son qua, vegno.<br />
FRENO (scrollando il cappello) Maledeta piova.<br />
ERNESTO (entrando) Ecome qua. (Scruta <strong>Freno</strong> che è ridotto in condizioni<br />
impresentabili, con un sacco sulle spalle: sembra quasi un mendicante) <strong>La</strong><br />
desidera?<br />
FRENO Una camera.<br />
ERNESTO Quanto la se ferma?<br />
FRENO El tempo de riposarme. Un giorno, penso. Xe tuta la note che son in<br />
viagio.<br />
ERNESTO Ah sì. De dove la vien?<br />
FRENO De Trieste. (pausa)<br />
ERNESTO Ah, cussì. A pìe?<br />
FRENO A Zaule go incontrà un caro che el me ga portà fin a Semedèla. Po’de là<br />
a Isola, xe poco ... Alora, la camera?<br />
ERNESTO Per un giorno, la ga dito?<br />
FRENO Sì. Doman vado via.<br />
ERNESTO Cossa la se ga fato sula man?<br />
FRENO Ah, niente. Anche el dotor qua a Isola che son ’ndà a medicarme el ga<br />
dito che no xe niente.<br />
ERNESTO (pausa) E per cossa la xe vignù qua de noi?<br />
FRENO (sorridendo) Ma cossa, xe un interogatorio? Inveze de far tante domande,<br />
la me daghi una trapeta. Co’ tuta la piova che go ciapà...! (si stira e sbadiglia)<br />
ERNESTO No la stia a ofenderse. Ma noi gavemo l’obligo de saver chi che vien<br />
de noi!<br />
FRENO <strong>La</strong> ga ragion. Con tuti sti delinquenti che va in giro! (schiocca la lingua)<br />
Bona sta trapa. <strong>La</strong> scalda e no la grata.<br />
ERNESTO <strong>La</strong> xe domacia.<br />
FRENO Son vegnù qua per comprar uva.<br />
ERNESTO Ah, xe giusto el tempo. <strong>La</strong> vegni con mi che la compagno in camera.<br />
<strong>La</strong> ga qualcossa de portar su?<br />
FRENO No. Per un giorno no volevo intrighi.<br />
ERNESTO <strong>La</strong> ga fato ben. (prende la chiave) <strong>La</strong> vegni con mi. <strong>La</strong> vegni con mi.<br />
Escono. Dopo un po’ entra Maria, la moglie di Ernesto / è vestita a festa / si<br />
guarda attorno poi velocemente si versa da bere e beve rapida perché sente i<br />
passi del marito che scende.<br />
ERNESTO Iera ora! xe quasi le diese! scometo che te se ga messo a ciacolar con<br />
qualche baba!<br />
MARIA Me ga fermà don Mario dopo la messa.<br />
ERNESTO Alora go capì: quel là el xe pezo de una baba! Ciò, Maria, xe ’rivà un<br />
de Trieste, un strano tipo che no me piasi niente.
MARIA Dove te lo ga portà?<br />
ERNESTO Lo go messo in camereta picia perché el ga dito che el sta solo un<br />
giorno. Ti spetime qua, mi vado un momento de Franzele. (prende un ombrello)<br />
MARIA No ocori che te se cioghi l’ombrela. Sta s’ciarendo. Fa presto.<br />
ERNESTO Vado e torno. (si incrocia con un pescatore che entra)<br />
PESCATORE Salute, Ernesto, volevo dirte ...<br />
ERNESTO Go furia Toni. ’Dio. (esce)<br />
PESCATORE In sti ultimi tempi no se pol più parlar con tuo marì.<br />
MARIA A chi te ghe lo disi! Coss’ te vol?<br />
PESCATORE Un bicer de bianco.<br />
MARIA (versandogli da bere) Come xe, Toni?<br />
PESCATORE Bon per ti che te son piena de bori!<br />
MARIA Come che i vien, cussì i va via, caro mio!<br />
PESCATORE Eh, te la sa longa, ti! (beve) Ciò, go sentì che stanote xe successa una<br />
bruta storia a Trieste. Te sa niente, ti?<br />
MARIA Mi no.<br />
PESCATORE Par che i gabi copà qualchedun. Una guardia, i disi.<br />
MARIA Mama mia.<br />
PESCATORE Dove anderemo a finir! Bon, vado. Se vedemo, Maria!<br />
MARIA ’Dio Toni.<br />
Il pescatore esce/ una banda, fuori, comincia a suonare / Maria sente un rumore:<br />
qualcuno sta scendendo. È <strong>Freno</strong> senza giacca. Quando entra, <strong>Freno</strong> e Maria si<br />
fissano un momento.<br />
MARIA Bongiorno, signor. Mio marì el xe andado un momento in camera. <strong>La</strong><br />
desidera qualcossa?<br />
FRENO Un spagnoleto. Go tanta voia de dormir, ma no posso indormenzarme<br />
se no go un spagnoleto. Xe un bruto vizio, ah!<br />
MARIA Qualcossa doveria esserghe. (apre un cassetto) Eco qua. Tabaco e cartine.<br />
Mio marì el se rodola solo i spagnoleti.<br />
FRENO Cussì el fuma de meno. (si arrotola la sigaretta / la banda arriva più<br />
forte) Cossa che i ghe dà dentro, ara!<br />
MARIA Ogi se ga sposà Bruno, quel del tamburo. Xe tuti i amici che ghe fa festa!<br />
FRENO Mi la banda me diverti.<br />
MARIA Mio marì el me ga dito che lei la vien de Trieste. (<strong>Freno</strong> annuisce) Per far<br />
cossa?<br />
FRENO (la guarda calmo e sorridente) Afari ... Mii! (ride divertito) <strong>La</strong> gavessi<br />
anca un fulminante?<br />
Maria prende nervosamente i fiammiferi.<br />
Me par de esser come Pepi Spinazza.<br />
MARIA Chi?<br />
FRENO Ah, un che conosso. Un che no ga mai spagnoleti e fulminanti. Povero<br />
Spinazza. (si accende la sigaretta) E ’desso ghe volessi una bona trapeta!<br />
MARIA Ghe la porto subito.<br />
Versa la grappa in un bicchierino / con un dito lecca le gocce cadute sul banco,<br />
con soddisfazione.<br />
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86<br />
FRENO <strong>La</strong> cioghi anche lei.<br />
MARIA (fingendosi scandalizzata) A sta ora de matina?<br />
FRENO No me piasi bever solo. Pago mi. (butta dei soldi sul tavolo) Ala nostra!<br />
(beve – poi guardando fuori da un’ipotetica finestra) No la me gaveva dito<br />
che suo marì el iera andà in camera?<br />
MARIA Cussì me gaveva parso! (beve)<br />
FRENO E inveze el xe là fora che el parla co’ una guardia!<br />
MARIA (impacciata) Ah, sarà Franzele. I xe amici. Qua se conossemo tuti, el<br />
paese xe picolo ...<br />
FRENO Va ben, va ben. Più lontan no podevo andar.<br />
MARIA No capisso.<br />
FRENO Se no xe ogi xe doman, se no xe doman sarà un altro giorno. Importante<br />
xe esser pronti.<br />
MARIA Ma cossa la disi?<br />
FRENO Digo che me andaria ancora un altro bicerin. (le dà gli ultimi soldi) <strong>La</strong> se<br />
tegni tuto. Ogi voio far le robe in grando! (si versa da bere da solo) Sta banda<br />
me ga messo de bonumor!<br />
Entrano Ernesto e la guardia Franzele.<br />
ERNESTO <strong>La</strong> piova che xe vignuda zo stanote la ga rinfrescà!<br />
FRANZELE Eh, ormai l’estate la xe propio finida!<br />
ERNESTO Te vol una trapeta, Franzele?<br />
FRANZELE Preferisso de no. Come va, Maria?<br />
MARIA No xe mal.<br />
FRANZELE (a <strong>Freno</strong>) Bongiorno.<br />
FRENO Bongiorno.<br />
FRANZELE (guardando <strong>Freno</strong>) Questo xe el signor de Trieste che te me contavi?<br />
FRENO Ah, gavè parlà de mi?<br />
FRANZELE Vedo che la ga la man infassada.<br />
FRENO (allegro) Ogi tuti i se interessa ala mia man! Me go taià verzendo una<br />
botilia de refosco.<br />
FRANZELE (piccola pausa) Te sa Ernesto, stanote a Trieste xe sta commesso un<br />
bruto fato.<br />
ERNESTO I parlava in giro.<br />
FRANZELE I ga copà una guardia de patulia.<br />
MARIA Madonna santa!<br />
FRANZELE Iera un omo giovine, el ga lassà la moglie, povera, con due fioi pici.<br />
MARIA Povareto!<br />
Qualcuno comincia a entrare / si formerà poi il coro finale.<br />
FRANZELE<br />
forsi?<br />
Xe tuto scrito sul Picolo. Lei che la vien de Trieste, la sa qualcossa<br />
FRENO E cossa doveria saver mi?<br />
MARIA El assassin i lo ga becà?<br />
FRANZELE No. El xe scampà. El devi esser ferido, perché el ga lassà mace de<br />
sangue per un toco de strada ... E po’el devi aver la man infassada.<br />
MARIA Perché la man?<br />
ERNESTO No state intrigar, ti!
FRANZELE Me xe vignù in mente, cussì, spontaneo, perché go visto el signor,<br />
qua, co la man infassada.<br />
Lungo silenzio / qualcuno si accende una sigaretta<br />
FRANZELE (proprio di fronte a <strong>Freno</strong>) No ghe go domandà come che la se<br />
ciama. (piccola pausa) Alora. Qual xe el suo nome?<br />
FRENO Xe inutile sconderse. Son mi, son mi che go copà Nagode. Me ciamo<br />
<strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong>. ’Desso podè far de mi quel che volè. (mette il coltello sul<br />
banco)<br />
Brusio di folla. <strong>La</strong> musica della banda sale un poco / qualcuno mette sulle spalle<br />
di <strong>Freno</strong> la giacca, un altro il cappello.<br />
FRENO Cossa, sè vegnudi a ciorme co la banda?<br />
(porge i polsi a Franzele che gli mette le catene)<br />
VOCI I lo ga ciapà! i lo ga ciapà!<br />
Dove?<br />
A Isola!<br />
El iera scampà tanto lontan!<br />
Gavè sentì: i ga ciapà <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong>.<br />
Una guardia lo ga ciapà.<br />
Solo una guardia?<br />
El teror de Crosada?!<br />
Ma che teror e teror. Se la ga fata soto.<br />
El iera bon solo a parole.<br />
Ma ga copà Nagode!<br />
Perchè el iera imbriago.<br />
Gavè sentì: i ga ciapà <strong>Freno</strong> a Isola.<br />
E adesso i lo porta qua a Trieste al Criminal.<br />
Si è aggiunto anche Butus / entra Lucia<br />
LUCIA <strong>Antonio</strong>.<br />
BUTUS <strong>La</strong> vadi via.<br />
VOCE Chi xe quela là?<br />
ALTRA VOCE Sarà la sua amante.<br />
LUCIA Go de dirghe solo due parole.<br />
VOCE Mi, un cussì no lo volessi gnanca morto!<br />
ALTRA VOCE No me dispiasi come omo.<br />
LUCIA Scoltime, <strong>Antonio</strong>.<br />
FRENO <strong>La</strong>ssime star. Ormai xe finido! Xe tuto finido. Xe meio che no te pensi<br />
più a mi. ’Dio, Lucia.<br />
<strong>Freno</strong> viene portato via e la gente si disperde / ancora qualche voce.<br />
VOCE Povera mula. <strong>La</strong> xe inamorada.<br />
ALTRA VOCE I omini xe propio dele bestie!<br />
LUCIA De quela volta no lo go visto più. Prima i lo ga condanà ala forca, po’i<br />
ghe ga dà l’ergastolo. Adesso squasi no me ricordo gnanca più come che el<br />
iera fato. So solo che ierimo zovini e se volevimo ben ...<br />
Lucia esce mentre sale un poco la musica sul cambio scena che farà entrare i<br />
personaggi della scena quarta.<br />
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88<br />
Scena quarta – Osteria di Guelfo<br />
Siamo negli anni ’30 e lo si capisce dalla canzonetta trasmessa dalla radio /<br />
per il resto l’osteria non ha subito sostanziali mutamenti / sono invece molto<br />
invecchiati i personaggi che abbiamo già conosciuto: Pepi Spinazza, Tombolin,<br />
Guelfo / Gigeta è adessso quasi una mendicante. Pepi e Guelfo e qualche<br />
altro entrano con la marcia austriaca / relitti di un mondo che sta totalmente<br />
scomparendo.<br />
In un angolo un uomo che sembra dormire di schiena al pubblico / siamo in<br />
novembre: qualcuno indossa ancora qualche cappotto militare oppure la giacca.<br />
L’osteria, se non fosse per la presenza di due giovani, Elvio e Duilio,<br />
sembrerebbe un ospizio.<br />
PEPI (È un alcolizzato / parla ai due giovani) N-niente no sarà più come<br />
una volta. V-voi no podè gnanca imaginar come che iera una volta! X-xe<br />
vero, Guelfo?<br />
GUELFO (filosofo) Eh, una volta iera una volta e adesso xe adesso.<br />
ELVIO Ara che el vol far el galeto!<br />
Duilio dà uno spintone a Pepi che quasi ruzzola a terra.<br />
DUILIO Sti veci i bevi e no i sa tegnir!<br />
Nello spintone a Pepi sono cadute delle zampe di gallina che teneva avvolte<br />
in un giornale.<br />
ELVIO Coss’ te xe cascà là per tera?<br />
Pepi incomincia a raccogliere le zampe di gallina.<br />
DUILIO Zate de galina. (prende una zampa e incomincia a giocare – Pepi<br />
vuole prenderle, ma l’altro gliele sottrae)<br />
PEPI D-dame qua, bruto muso.<br />
DUILIO Ciapa.<br />
ELVIO Dio che schifo.<br />
Pepi si riprende le sue zampe / lentamente le avvolge nel giornale.<br />
PEPI (quasi a se stesso) M-me servi per far el brodo. El brodo me fa ben.<br />
Stasera me fazo un brodo, un brodeto me farà ben.<br />
DUILIO Ormai no te servi più niente, te son za con un pie de l’altra parte.<br />
PEPI (li guarda con odio) S-se fussi qua <strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong>!<br />
Entra Gigeta cantando / non ha quasi più voce / è un relitto.<br />
ELVIO Ara un’altra mata! Guelfo, ma i vien proprio tuti de ti.<br />
GIGETA (ride / è diventata sorda / a Guelfo) Cossa i disi? Xe qualche giorno<br />
che no ghe sento più tanto ben.<br />
GUELFO Anche qualche ano, Gigeta!<br />
GIGETA No go capì.<br />
GUELFO Niente Gigeta, niente. (forte) Te porto el solito.<br />
GIGETA Bravo ... Bravo ... Ti te son proprio un bravo mulo. (guardando<br />
affettuosamente Pepi) E anche Pepi.<br />
PEPI M-magari fussi un mulo.<br />
GIGETA (ai due giovani – accattivante) Volè comprar fiori, bei giovinoti?<br />
DUILIO Ma dove te li trovi?<br />
GIGETA (cercando di cantare, non ci riesce, e recita) Vado a racoglierli nei<br />
più bei prati ... Oh, dio, come va avanti dopo? (è confusa) No me ricor-
do. No me ricordo più niente.<br />
PEPI (dolcemente) P-poi li rivendo per la zità.<br />
ELVIO Per mi la li ga ciolti in qualche scovazzon.<br />
GIGETA Cossa te ga dito? Cossa te ga dito? Razza maledeta.<br />
Fa qualche passo verso Elvio con le mani alzate.<br />
DUILIO Ara che vol far barufa, la vecia.<br />
GIGETA (correndo come può dietro a Elvio) Se te beco te fazo veder mi! (si<br />
ferma ansante) Oh, dio, me s’ciopa el cuor. El mio povero cuor!<br />
GUELFO (portandole un bicchiere di vino) Bevi, bevi, che sto qua te farà<br />
ben.<br />
GIGETA (sorseggia lentamente il vino) Me sento za meio.<br />
PEPI (a Guelfo) C-ciò, Guelfo, te gaveria un spagnoleto?<br />
GUELFO Dei, Pepi, te sa che no fumo più de diese ani.<br />
PEPI S-sa, no se sa mai ...<br />
Dalla radio un motivo cantato – “Bombolo” – ripreso dai due ragazzi che<br />
canticchiano.<br />
DUILIO (indicando l’uomo che dorme) E sto qua, cossa fa, el dormi?<br />
Entra Tombolin vecchio, ma arzillo.<br />
TOMBOLIN Bonasera a tuti.<br />
GUELFO Bonasera.<br />
PEPI S-sera!<br />
GIGETA ’Dio Tombolin.<br />
ELVIO Dane un mazo de carte, dei Guelfo.<br />
Guelfo va a prendere le carte, le dà a Elvio che si mette a giocare con Duilio<br />
– poi porterà un bicchiere anche a Tombolin.<br />
TOMBOLIN Ah, scoltè, scoltè sta qua. Xe una de quel che conta Cechelin al<br />
varietà. ’Lora. Un giorno Carleto el ’riva a scola tuto contento e el ghe<br />
disi al maestro: “Maestro, maestro, ieri la mia gata ha fato quatro gatini<br />
beli come fassisti!” – “Bravo Carleto”, che ga risposto el maestro, “lo dirò<br />
al direttore, che sarà molto contento di quelo che hai deto.” – dopo<br />
qualche giorno, el diretor ga ciamà el putel: “Alora, dimi, Carleto, come<br />
sono i tuoi gatini?” – “Belissimi, sior diretore, beli come quatro socialisti!”<br />
– “Ma come! Al tuo maestro non avevi deto che erano beli come<br />
quatro fassisti?” – “L’ho deto, l’ho deto, ma proprio ieri i ga ’verto i oci”.<br />
E lo ga messo in canon!<br />
Risate.<br />
GIGETA Lo ga messo in canon? Ma cossa xe un ladro, un borsariol, sto<br />
Cechelin?<br />
TOMBOLIN Ma cossa ladro! No te ga capido propio niente. Xe un bravo<br />
comico! Xe tuta Trieste che xe come mata per lui!<br />
PEPI T-te gaveria un spagnoleto, Tombolin?<br />
TOMBOLIN Volentieri te daria, Pepi, ma te sa che no fumo de ani anorum,<br />
de quela volta che i me ga mandà in Galizia e go becà una patrona che<br />
me ga passà de qua a qua. (indica) Per fortuna la me xe andada ben.<br />
Inveze al Moro ... Ciò, quando che se disi el destin, ah ...!<br />
PEPI E-el Moro no voleva andar in Galizia.<br />
TOMBOLIN Ierimo propio qua che parlavimo ... Te se ricordi, Guelfo! (Guelfo<br />
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90<br />
non segue / sta dando la caccia a una mosca) “Mi scampo in Italia, el<br />
diseva, cussì me la scapolo!” Inveze i lo ga ciapà e mandà sul Carso. E là<br />
una granata ... Oh, xe proprio vero: quando el marangon fa la cassa, nissun<br />
sa chi i ghe meterà dentro. (pausa) <strong>La</strong> par quasi una barzeleta, ma no xe<br />
tanto de rider.<br />
Guelfo dà un colpo sul tavolo.<br />
GIGETA (che si era un poco assopita sussulta) Aiuto! Cossa nassi?<br />
GUELFO <strong>La</strong> go copada. Semo in novembre e ancora le va ’torno!<br />
GIGETA Te me ga spaventada! (sorseggia il vino come un bambino)<br />
GUELFO No posso soportar le mosche!<br />
PEPI Q-quando che noi no sareme più, le mosche le sarà ancora!<br />
GUELFO Chi te ga dito?<br />
PEPI G-go sentido dir!<br />
GIGETA Mi, inveze, go sentido dir che <strong>Freno</strong> che ’l iera in galera a Maribor,<br />
el xe vignù fora. El xe libero.<br />
PEPI E-el xe qua, in zità?<br />
GIGETA Mi no lo go visto.<br />
PEPI P-pena che ’l vien a Trieste el vegnerà a trovarme! Son sicuro! (a uno<br />
dei due giovani) C-ciò, mulo, te gavessi un spagnoleto?<br />
I due giovani stanno giocando a carte.<br />
ELVIO Te fa mal!<br />
DUILIO Perché no te va a ingrumar ciche?<br />
PEPI S-se fussi qua <strong>Freno</strong> ve faria scampar come levri solo con una ociada,<br />
no xe vero Gigeta?<br />
GIGETA <strong>Freno</strong> iera un che no gaveva paura gnanca del diavolo!<br />
PEPI N-niente sarà più ...<br />
DUILIO ... Come una volta, gavemo capido, gavemo capido.<br />
PEPI N-no, ti no te ga capì niente e no te capirà mai niente!<br />
ELVIO Ma dei, tasi, vecio imbriagon!<br />
PEPI T-ti te parlerà quando che te gaverà fato i denti.<br />
DUILIO Che coragio!<br />
ELVIO El ghe ne ga quatro in boca!<br />
PEPI I-imbotonite le braghete che no te scampi el pagnarol.<br />
DUILIO Spiritoso el vecio!<br />
PEPI F-freno. El teror de Crosada, i lo ciamava. Me lo ricordo, quel sabato<br />
de sera, quando che el ga copà Nagode, la guardia! N-nagode el iera solo<br />
... E el xe vegnù zo per via Crosada caminando co le gambe larghe come<br />
se fussi el paron de Trieste. E una parola tira l’altra, a un certo momento<br />
Nagode ga tirà fora la siabola. F-freno no ghe ga visto più, (accompagna<br />
le parole con le azioni) e che ga dà cola britola ... Cussì ... Cussì ... E lo ga<br />
copà. Chi me dà un spagnoleto?<br />
FRENO (non si deve capire da dove proviene la voce / forte) Pepi Spinazza!<br />
(silenzio / tutti sono attoniti) Ciapa el spagnoleto. (Pepi prende la sigaretta<br />
/ Pepi vorrebbe dire qualcosa / <strong>Freno</strong> mette un dito davanti le labbra)<br />
Sssss...<br />
<strong>Freno</strong> butta dei soldi sul tavolo ed esce lentamente / musica.<br />
DUILIO Che tipo! Ma chi iera?
PEPI (dopo una pausa d’effetto) R-ricordite che no se disi el nome, no se<br />
disi el nome, no se ziga mai el nome!<br />
Musica.<br />
Sipario.<br />
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<strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong><br />
distribuzione<br />
92 Gigeta, la fioraia Ariella Reggio<br />
Lucia Marzia Postogna<br />
Apollonia Maria Grazia Plos<br />
Santina Paola Bonesi<br />
Angiolina Elena Senes<br />
<strong>La</strong> Signora Michela Vitali<br />
Maria Mari Delconte<br />
<strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong> Orazio Bobbio<br />
Pepi Spinazza / Riccardo Canali<br />
<strong>La</strong>mpionaio<br />
Maestro / Barone /<br />
Ernesto<br />
Raniero Brumini<br />
Tombolin Maurizio Repetto<br />
Nagode / Pescatore Michele Ainzara<br />
Ravalico / Elvio /<br />
Nino Luna<br />
Andrea Lovisato<br />
Buda / Guelfo Paolo De Paolis<br />
Butus / Duilio Fabio Ursich<br />
Fabris / Franzele Adriano Giraldi<br />
Fisarmonicista / Carlo Moser<br />
Guardia
<strong>Antonio</strong> <strong>Freno</strong><br />
servizi tecnici e collaborazioni<br />
direttore di scena Francesco de Simone<br />
luci Bruno Guastini<br />
capomacchinista Alessandro <strong>La</strong> Porta<br />
elettricista Roberto Vinattieri<br />
fonico Cristiano Della Loggia<br />
sarta Ida Visintin<br />
suggeritrice Mari Delconte<br />
aiuto regista Luciano Pasini<br />
assistente scenografo Federico Cautero<br />
assistente costumista Cristiano Galzerano<br />
allestimento scenico <strong>La</strong>boratorio Teatro <strong>La</strong> <strong>Contrada</strong> /<br />
Tavagna Realizzazioni Scenografiche<br />
costumi Teatro <strong>La</strong> <strong>Contrada</strong> / BS Studio<br />
parrucche BS Studio<br />
calzature CTC Pedrazzoli Milano<br />
foto di scena Studio Zip<br />
amministrazione Nadia Zanardi<br />
ufficio stampa Diego Matuchina / Cristina Rastelli<br />
promozione Viviana Facchinetti<br />
relazioni culturali Paolo Quazzolo<br />
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<strong>La</strong> pittura triestina tra Ottocento e Novecento<br />
<strong>La</strong> produzione pittorica triestina che si pone a cavallo tra gli ultimi anni<br />
dell’Ottocento e gli inizi del Novecento è caratterizzata - come altrove - da<br />
un progressiva mutazione delle tecniche utilizzate dagli artisti, così come<br />
dall’attenzione per nuove ambientazioni e soggetti inediti. Da un approccio<br />
eminentemente realistico come quello che aveva accompagnato la<br />
seconda metà dell’Ottocento, si passa ora a una tecnica che risente ampiamente<br />
dell’esperienza impressionistica; da soggetti di carattere per lo<br />
più storico e celebrativo, l’attenzione si fissa su piccole scene di vita quotidiana<br />
che tendono a cogliere, molto spesso, il lavoro del popolo, la cronaca<br />
di ogni giorno, i piccoli gesti rituali, il tutto sullo sfondo delle vie o<br />
delle piazze che costituiscono il naturale scenario entro il quale si muove<br />
la gente comune.<br />
<strong>La</strong> precisione del tocco che aveva generalmente accompagnato la pittura<br />
ottocentesca, cede ora il passo a pennellate meno precise ma sicuramente<br />
ricche di tutto il colore e di tutta la vivacità necessari per restituire il<br />
brioso movimento che accompagna le scene della vita popolare. Ecco<br />
allora che la precisione descrittiva ancora presente in Al pozzo di Giovanni<br />
Battista Crevatin, cede il posto alla sensibilità artistica di autori come<br />
Umberto Veruda che in Fondamenta a Burano - una delle sue ultime<br />
opere - mette in evidenza tutta la ventata innovativa che aveva saputo trasmettere<br />
all’ambiente artistico triestino, coniugando tra di loro l’eredità<br />
dell’impressionismo francese con un colorismo di sapore squisitamente<br />
veneto.<br />
Lo sfondo “scenografico” generalmente prediletto dalla gran parte dei<br />
pittori triestini tra Ottocento e Novecento è sicuramente quello marino. Il<br />
lavoro dei pescatori, la vita trascorsa all’aria aperta e immersa nei colori<br />
affascinanti del mare e del cielo, ispirano l’opera di molti autori. Così, per<br />
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esempio, in Primi albori di Guido Grimani, dove il lavoro dei pescatori<br />
viene colto alla luce di un fanale nell’incerto chiarore dell’alba, al quale<br />
fanno da contrappunto i riflessi di un mare tranquillo e quasi immobile.<br />
Ancora il mare, questa volta fortemente protagonista, torna in Ora d’argento<br />
di Ugo Flumani, che descrive una imbarcazione di pescatori posta<br />
al centro di uno sfondo tutto cielo e mare, nel quale assumono forte suggestione<br />
il movimento e la trasparenza delle onde, così come i rapporti<br />
cromatici che si instaurano tra queste e la distesa del cielo.<br />
Una descrizione concreta e briosa della realtà la notiamo in Pieretto Bianco,<br />
autore attivo anche come scenografo presso importanti teatri quali la<br />
Scala di Milano, l’Opera di Roma e il Metropolitan di New York. Formatosi<br />
a Venezia, egli rimase vicino alla tematica lagunare in molti dei suoi<br />
quadri, come per esempio Paese di pescatori, caratterizzato da colori<br />
estremamente vivaci ed accesi.<br />
In molti autori le scene di mare tendono progressivamente a lasciare il<br />
posto a soggetti che ritraggono l’intera città. Trieste, il suo vivace e chiassoso<br />
porto, le viuzze di Cittavecchia, il lavoro incessante del popolo, divengono<br />
così fonte di ispirazione per opere come Il porto di Vittorio<br />
Bolaffio. <strong>La</strong> suggestione della vita degli umili che caratterizza soprattutto<br />
l’ultima parte della produzione di questo artista, trova espressione attraverso<br />
una tecnica di raffinato cromatismo non del tutto ignara degli influssi<br />
provenienti dal postimpressionismo francese.<br />
E infine Trieste, colta in un insieme che va dal colle di San Giusto sino al<br />
porto, ritorna ancora in Paesaggio di Pietro Marussig, autore questo che,<br />
rispetto ai precedenti, presenta tinte meno vivaci e un tocco decisamente<br />
più corposo. Caratteristica che diviene predominante soprattutto negli<br />
ultimi lavori dell’autore quando, avvicinandosi a un gusto tipicamente<br />
novecentesco, Marussig si fece più attento alla volumetria, all’equilibrata<br />
armonia del colore e della forma, alla ricerca di una struttura d’insieme<br />
che risente senza dubbio l’influenza dei modi di Cézanne. (p.q.)
Giovanni Battista<br />
Crevatin (Trieste, 1837-<br />
1910). Al pozzo.<br />
Civico Museo<br />
Revoltella, Trieste.<br />
97<br />
Vittorio Bolaffio<br />
(Gorizia, 1883- Trieste,<br />
1931). Nave attraccata<br />
al molo.<br />
Civico Museo<br />
Revoltella, Trieste.
Ugo Flumiani<br />
(Trieste, 1876-1938).<br />
Ora d’argento.<br />
Civico Museo<br />
Revoltella, Trieste.<br />
98<br />
Pieretto (Bortoluzzi<br />
Pietro) Bianco<br />
(Trieste, 1875-<br />
1937).<br />
Paese di pescatori.<br />
Civico Museo<br />
Revoltella, Trieste.
Guido Grimani<br />
(Trieste, 1871-1933).<br />
Primi albori.<br />
Civico Museo<br />
Revoltella, Trieste.<br />
99<br />
Pietro Marussig<br />
(Trieste, 1879-Pavia,<br />
1937).<br />
Paesaggio.<br />
Civico Museo<br />
Revoltella, Trieste.
Umberto Veruda<br />
(Trieste, 1868-1904).<br />
Fondamenta a Burano.<br />
Civico Museo<br />
Revoltella, Trieste.
la contrada<br />
TEATRO STABILE DI INTERESSE PUBBLICO<br />
Ariella Reggio e Orazio Bobbio<br />
Quela note in via Crosada<br />
di Ninì Perno e Francesco Macedonio<br />
regia di Francesco Macedonio<br />
con<br />
Paola Bonesi Raniero Brumini<br />
Riccardo Canali Mari Delconte<br />
Adriano Giraldi Carlo Moser<br />
Maria Grazia Plos Marzia Postogna<br />
Michele Ainzara Paolo De Paolis<br />
Andrea Lovisato Maurizio Repetto<br />
Elena Senes Fabio Ursich<br />
Michela Vitali<br />
scene di costumi di<br />
Sergio D’Osmo Fabio Bergamo<br />
musiche a cura di<br />
Livio Cecchelin<br />
il cristallo
102
103
104<br />
ARIELLA REGGIO<br />
Triestina, Ariella Reggio ha frequentato<br />
nella sua città la Scuola di Recitazione<br />
“Silvio D’Amico” annessa al Teatro<br />
Nuovo, per entrare poi a far parte della<br />
compagnia di prosa della Rai, diretta da<br />
Ugo Amodeo. Nel 1961 viene scritturata<br />
dal Teatro Stabile del Friuli-Venezia<br />
Giulia per partecipare, sotto la direzione<br />
di Fulvio Tolusso, a una edizione di<br />
Arlecchino servitore di due padroni di<br />
Carlo Goldoni. Da allora, e per numerosi<br />
anni, fa parte della compagnia fissa<br />
dello Stabile, assieme alla quale<br />
partecipa alla messinscena di parecchi<br />
spettacoli. <strong>La</strong>vora sotto la direzione di<br />
registi come Giuseppe Maffioli,<br />
Giovanni Poli, Orazio Costa, Francesco<br />
Macedonio, Sandro Bolchi e altri. Fra il<br />
1970 e il 1974 partecipa all’allestimento<br />
della trilogia di Carpinteri e Faraguna<br />
Le maldobrie, Noi delle vecchie<br />
province e L’Austria era un paese<br />
ordinato.<br />
Parallelamente, Ariella Reggio lavora<br />
anche fuori Trieste. A Londra, per due<br />
anni consecutivi, conduce, presso la<br />
BBC, trasmissioni culturali<br />
radiofoniche e televisive. Nel 1975<br />
lavora a Genova, con il Teatro della<br />
Tosse, sotto la direzione di Tonino<br />
Conte e Massimo Scaglione, mentre a<br />
Milano partecipa all’allestimento di<br />
Santa Giovanna dei macelli di Bertolt<br />
Brecht, prodotto dal Piccolo Teatro,<br />
sotto la direzione di Giorgio Strehler.<br />
Nel 1976, assieme a Orazio Bobbio,<br />
Lidia Braico e Francesco Macedonio<br />
fonda il Teatro Popolare <strong>La</strong> <strong>Contrada</strong>.<br />
Innumerevoli da allora le sue apparizioni<br />
sul palcoscenico del Cristallo in testi<br />
sia brillanti sia drammatici, sotto la<br />
direzione di registi quali Francesco<br />
Macedonio, Mario Licalsi, <strong>Antonio</strong><br />
Calenda, Alessandro Marinuzzi e altri.<br />
Accanto all’interpretazione di testi<br />
brillanti in dialetto triestino come Due<br />
paia di calze di serta di Vienna, Un<br />
biglietto da mille corone, Marinaresca,<br />
Quela sera de febraio, Sette sedie di<br />
paglia di Vienna, Locanda Grande,<br />
Ariella Reggio si è anche distinta nel<br />
repertorio drammatico interpretando<br />
testi quali Tango viennese di Turrini,<br />
Grisaglia blù di Velitti, <strong>La</strong> panchina di<br />
Gel’man, Un baseto de cuor di<br />
Grisancich, A cinquant’anni lei<br />
scopriva... il mare della Chalem,<br />
Galina vecia di Novelli.<br />
Si è pure dedicata al teatro per ragazzi<br />
prendendo parte, tra l’altro, al fortunato<br />
allestimento di Marcovaldo.<br />
Fra le sue attività, si conta la partecipazione<br />
al Festival Internazionale<br />
dell’Operetta organizzato dal Teatro<br />
Verdi di Trieste, dove ha sostenuto<br />
ruoli di caratterista sotto la direzione di<br />
Gino <strong>La</strong>ndi, Filippo Crivelli e Roberto<br />
Croce.
ORAZIO BOBBIO<br />
Orazio Bobbio è nato a Trieste, dove ha<br />
iniziato a lavorare come attore,<br />
giovanissimo, assieme ad alcune<br />
compagnie semi-professionali. Dopo le<br />
prime esperienze, si avvicina al<br />
professionismo, entrando a far parte<br />
della compagnia del Teatro Stabile del<br />
Friuli-Venezia Giulia. In tale veste<br />
partecipa all’allestimento di numerosi<br />
spettacoli prodotti da quel teatro fra il<br />
1963 e il 1976. <strong>La</strong>vora sotto la direzione<br />
di registi quali Giovanni Poli, Eriprando<br />
Visconti, Gianfranco De Bosio,<br />
Francesco Macedonio, Aldo Trionfo,<br />
Sandro Bolchi, Fulvio Tolusso e<br />
numerosi altri. Nel 1969 prende parte<br />
all’allestimento de I nobili ragusei di<br />
Marino Darsa nel restaurato Politeama<br />
Rossetti di Trieste e in seguito alla<br />
fortunata trilogia in dialetto triestino Le<br />
Maldobrie di Carpinteri e Faraguna,<br />
allestite dallo Stabile di Trieste con la<br />
regia di Francesco Macedonio.<br />
Fra il 1973 e il 1974 collabora alla Rai di<br />
Trieste e di Torino per la realizzazione<br />
di alcuni programmi televisivi e<br />
radiofonici.<br />
Nel 1976, assieme alle attrici Ariella<br />
Reggio e Lidia Braico e al regista<br />
Francesco Macedonio, fonda a Trieste<br />
il Teatro Popolare <strong>La</strong> <strong>Contrada</strong>. Con la<br />
<strong>Contrada</strong>, della quale è presidente,<br />
Bobbio partecipa all’allestimento di<br />
svariati spettacoli quali Un’ora d’amore<br />
di Topol, Buon natale, amici miei di<br />
Ayckbourn, <strong>La</strong> roccia e i monumenti di<br />
Rosso di San Secondo, Emigranti di<br />
Mrozek, Omobono e gli incendiari di<br />
Frisch, Centocinqanta la gallina canta<br />
di Campanile per la regia di <strong>Antonio</strong><br />
Calenda. Si è anche dedicato al teatro<br />
per ragazzi, prendendo parte, tra l’altro,<br />
alla fortunata messinscena di<br />
Marcovaldo. Ha inoltre partecipato,<br />
sotto la regia di Francesco Macedonio,<br />
all’allestimento di numerosi testi in<br />
dialetto triestino, come Due paia di<br />
calze di seta di Vienna, Marinaresca,<br />
Co’ ierimo putei, Quela sera de<br />
febbraio..., Putei e putele, Sette sedie di<br />
paglia di Vienna, El mulo Carleto e<br />
molti altri. <strong>La</strong> passata stagione è stato<br />
protagonista, assieme a <strong>La</strong>uretta<br />
Masiero, di una fortunata messinscena<br />
di Non ti conosco più di Aldo De<br />
Benedetti, per la regia di Patrick Rossi<br />
Gastaldi, spettacolo che sarà ripreso<br />
anche nei prossimi mesi.<br />
105
106<br />
MARIA GRAZIA PLOS<br />
Maria Grazia Plos è nata a Udine. Dopo<br />
essersi diplomata nella sua città presso<br />
la Civica Scuola di Recitazione “Nico<br />
Pepe”, vince nel 1983 un provino<br />
indetto dal Teatro Stabile “<strong>La</strong><br />
<strong>Contrada</strong>” di Trieste per la partecipazione<br />
all’allestimento di uno spettacolo<br />
per ragazzi, Poema a fumetti. Da allora<br />
collabora attivamente con lo Stabile<br />
privato triestino.<br />
Ha lavorato sotto la direzione di registi<br />
quali Francesco Macedonio, Giorgio<br />
Pressburger, Mario Licalsi, Patrick<br />
Rossi Gastaldi, Orietta Crispino e Luisa<br />
Crismani.<br />
Tra gli spettacoli realizzati assieme alla<br />
compagnia della “<strong>Contrada</strong>” E tutto per<br />
una rosa, Omobono e gli incendiari,<br />
L’ospite desiderato, <strong>La</strong> roccia e i<br />
monumenti, <strong>La</strong> presidentessa, Due paia<br />
di calze di seta di Vienna, Pronto,<br />
mama...?, El mulo Carleto, Non ti<br />
conosco più e numerosi altri.<br />
ADRIANO GIRALDI<br />
Triestino, ha frequentato la scuola del<br />
Piccolo Teatro di Milano. Ha debuttato<br />
nel 1981 al Teatro Stabile del Friuli-<br />
Venezia Giulia in Karl Valentin kabaret<br />
per la regia di Giorgio Pressburger. In<br />
seguito è stato scritturato dal Teatro di<br />
Roma, dove ha lavorato sotto la<br />
direzione di Luigi Squarzina in Il<br />
cardinale <strong>La</strong>mbertini e Timone<br />
d’Atene. Ha poi recitato con Leo De<br />
Berardinis e nuovamente allo Stabile di<br />
Trieste diretto da Roberto Guicciardini,<br />
Giuseppe Patroni Griffi e Gabriele<br />
<strong>La</strong>via. Ha inoltre lavorato con registi<br />
quali Sandro Sequi, Franco Però,<br />
Sandro Bolchi, K. Zanussi, Gino <strong>La</strong>ndi<br />
e altri.<br />
Alla <strong>Contrada</strong> debutta nel 1986, in Due<br />
paia di calze di seta di Vienna . Da<br />
allora ha partecipato a quasi tutti gli<br />
allestimenti dello Stabile privato<br />
triestino, sotto la direzione di registi<br />
quali Francesco Macedonio, <strong>Antonio</strong><br />
Calenda, Mario Licalsi, Patrick Rossi<br />
Gastaldi e altri. Ha infine partecipato al<br />
“Festival Internazionale dell’Operetta”<br />
1997 organizzato dal Teatro Verdi di<br />
Trieste.
PAOLA BONESI RICCARDO CANALI<br />
Originaria di Busto Arsizio (Varese),<br />
Paola Bonesi si è diplomata nel 1987<br />
presso la Civica Scuola d’Arte Drammatica<br />
“Piccolo Teatro di Milano”, sotto la<br />
guida di Massimo Castri.<br />
Alla <strong>Contrada</strong> giunge nel 1988 quando<br />
prende parte all’allestimento di Kathie<br />
e l’ippopotamo di Mario Vargas Liosa e<br />
a L’ospite desiderato di Pier Maria<br />
Rosso di San Secondo, sotto la direzione<br />
della regista Orietta Crispino. Da<br />
allora l’attrice inizia una stretta<br />
collaborazione con la <strong>Contrada</strong>,<br />
partecipando sia all’allestimento di<br />
spettacoli in lingua, sia all’allestimento<br />
di spettacoli in dialetto triestino, sia<br />
infine all’allestimento di spettacoli per il<br />
teatro ragazzi.<br />
Nel corso di questi anni, Paola Bonesi<br />
ha lavorato sotto la direzione di registi<br />
quali Francesco Macedonio, <strong>Antonio</strong><br />
Calenda, Mario Licalsi, Patrick Rossi<br />
Gastaldi, Gino <strong>La</strong>ndi e altri. Dal 1992<br />
partecipa con regolarità agli<br />
allestimenti estivi del “Festival Internazionale<br />
dell’Operetta” curato dal Teatro<br />
Giuseppe Verdi di Trieste.<br />
Nato a Gorizia, Riccardo Canali debutta<br />
nel 1954 esibendosi come comico al<br />
fianco di personaggi quali Caterina<br />
Caselli, Achille Togliani, Nilla Pizzi,<br />
Giorgio Gaber, Wilma De Angelis,<br />
Bobby Solo, Mina e molti altri.<br />
Negli anni seguenti entra a far parte del<br />
Piccolo Teatro città di Gorizia, dove ha<br />
l’opportunità di conoscere il regista<br />
Francesco Macedonio, con il quale<br />
stringe una duratura collaborazione<br />
artistica. Nel 1967 viene scritturato dal<br />
Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia<br />
e da allora prende parte a numerosi<br />
spettacoli che lo vedono impegnato in<br />
parti di caratterista brillante. Parallelamente<br />
recita con la compagnia del<br />
Veneto Teatro, al fianco di Paola<br />
Borboni e <strong>La</strong>ndo Buzzanca.<br />
Nel 1981 inizia a collaborare con la<br />
<strong>Contrada</strong>, partecipando allo spettacolo<br />
Un sial per Carlotta. Da allora ha preso<br />
parte a numerosi allestimenti dello<br />
Stabile privato triestino, sia rivestendo<br />
ruoli di caratterista nelle produzioni in<br />
dialetto triestino, sia impegnandosi nel<br />
teatro per ragazzi.<br />
107
108<br />
RANIERO BRUMINI<br />
Raniero Brumini è nato a Pola. Dopo<br />
aver conseguito il diploma di geometra<br />
si avvicina al teatro recitando con<br />
compagnie amatoriali sino al 1947.<br />
In seguito vince un’audizione indetta<br />
dal Dramma Italiano di Fiume e viene<br />
scritturato all’interno della compagnia<br />
stabile, iniziando così la carriera<br />
professionistica. Da allora ha preso<br />
parte alla realizzazione di oltre un<br />
centinaio di spettacoli, ricoprendo<br />
dapprima ruoli giovanili e secondari e<br />
in seguito parti protagonistiche. È stato<br />
diretto da registi quali Francesco<br />
Macedonio, Giuseppe Maffioli, Tonino<br />
Conte, Mario Licalsi e altri. Ha inoltre<br />
lavorato presso Radio Fiume e per<br />
TeleCapodistria. Ha preso parte alla<br />
realizzazione di una ventina di film.<br />
Assieme alla compagnia della<br />
<strong>Contrada</strong>, Brumini ha recitato ne El<br />
mulo Carleto diretto da Francesco<br />
Macedonio.<br />
MARZIA POSTOGNA<br />
Triestina, ha studiato danza classica e<br />
contemporanea nonché canto lirico. Ha<br />
seguito alcuni corsi di perfezionamento<br />
attorale con Giovanni Boni, Aldo<br />
Vivoda, Jean Pierre Marry, nonché gli<br />
stages condotti dal regista Francesco<br />
Macedonio presso <strong>La</strong> <strong>Contrada</strong>. A<br />
teatro ha esordito nel 1993 nel contesto<br />
del Palio teatro-scuola. Da allora ha<br />
recitato dapprima con piccole compagnie<br />
per approdare infine al teatro<br />
professionistico. Tra le esperienze più<br />
significative Piaf con il CIRT di Trieste<br />
e Babele con la compagnia Petit Soleil.<br />
Assieme al Teatro Stabile <strong>La</strong> <strong>Contrada</strong><br />
ha recitato in Anche le pulci hanno la<br />
tosse, Il compagno di viaggio e, nella<br />
passata stagione, El mulo Carleto e Il<br />
fuoco del radio.
CARLO MOSER MARI DELCONTE<br />
Musicista triestino, si è occupato di<br />
etnomusicologia lavorando, con il<br />
“Canzoniere Triestino”, al recupero dei<br />
canti popolari triestini, alternando<br />
l’attività concertistica con trasmissioni<br />
radiofoniche e televisive.<br />
Nel 1977 inizia a esibirsi come pianista<br />
di cinema muto e nel corso di questi<br />
anni viene riconosciuto dai critici e<br />
dagli “addetti ai lavori”, a livello<br />
mondiale, tra i migliori musicisti in<br />
questo campo. Ha “accompagnato”<br />
films muti in tutta Italia, a Buenos Aires<br />
e a Parigi. Ha composto e diretto<br />
partiture orchestrali per alcuni films<br />
per “Le giornate del cinema muto di<br />
Pordenone” e per un Cyrano di<br />
Bergerac, versione in videocassetta,<br />
registrata, con l’Olympia Chamber<br />
Orchestra negli Stati Uniti.<br />
Dal 1982 lavora continuativamente con<br />
il Teatro Stabile <strong>La</strong> <strong>Contrada</strong>, firmando<br />
le musiche degli spettacoli per ragazzi<br />
e di alcune produzioni per gli adulti.<br />
Mari Delconte è nata a Pirano. Si è<br />
avvicinata al teatro nel corso degli anni<br />
Cinquanta, recitando con la compagnia<br />
del Gad Enal Teatro della fiaba. Ha in<br />
seguito conseguito il diploma di<br />
recitazione dell’Enal Gruppo Arte<br />
Drammatica. Dopo aver lavorato con<br />
numerosi gruppi amatoriali debutta nel<br />
professionismo con la compagnia I<br />
Giovani. Dal 1972 collabora alla Rai<br />
sotto la direzione del regista Ugo<br />
Amodeo. Ha inoltre partecipato alla<br />
realizzazione di numerosi film e<br />
sceneggiati Tv, oltre che agli<br />
allestimenti del Festival Internazionale<br />
dell’Operetta organizzato dal Teatro<br />
Verdi di Trieste.<br />
Dal 1988 collabora con il Teatro Stabile<br />
<strong>La</strong> <strong>Contrada</strong>, partecipando alla realizzazione<br />
di numerosi spettacoli sotto la<br />
direzione di Francesco Macedonio e<br />
Mario Licalsi.<br />
109
110<br />
FABIO URSICH<br />
Triestino, Fabio Ursich ha iniziato la<br />
carriera artistica come cantante,<br />
vincendo un concorso per voci nuove<br />
tenutosi nel 1962 alla Fiera di Trieste e<br />
presentato da Mike Bongiorno. Da<br />
allora si è esibito come cantante e<br />
chitarrista assieme ad alcune Rock<br />
Band come i Combo, dapprima in<br />
regione e poi in tournée nella maggiori<br />
città italiane. In seguito ha lavorato<br />
come cantante-batterista su alcune navi<br />
da crociera, per poi unirsi nuovamente<br />
a una band triestina per una tournée in<br />
l’Europa. Tornato a Trieste ha continuato<br />
la carriera musicale al fianco di<br />
Umberto Lupi, partecipando a diverse<br />
registrazioni musicali per la Rai. Nel<br />
1979 il regista Gianni Lepre la fa<br />
partecipare a un programma televisivo<br />
di RaiTre nel quale si ripercorrono le<br />
tappe della sua carriera artistica. Sotto<br />
la direzione dello stesso Lepre si<br />
avvicina al teatro, recitando nella<br />
commedia musicale Tre donne e e un<br />
cabaret. Assieme alla <strong>Contrada</strong> ha<br />
preso parte, nel 1981, alla messinscena<br />
di Un sial per Carlotta di Ninì Perno,<br />
per la regia di Francesco Macerdonio.<br />
MAURIZIO REPETTO<br />
È nato a Novi Ligure (Alessandria). Ha<br />
iniziato a recitare nel 1986 assieme ad<br />
alcune compagnie amatoriali triestine<br />
quali “I commedianti” di Ugo Amodeo<br />
e “Gli asinelli”. Nel 1991 viene scritturato<br />
dal Teatro Stabile <strong>La</strong> <strong>Contrada</strong> per<br />
sostenere il ruolo di Bepi Marovich in<br />
Sette sedie di paglia di Vienna di<br />
Carpinteri e Faraguna, per la regia di<br />
Francesco Macedonio. Nel corso della<br />
stessa stagione prende parte ad alcuni<br />
spettacoli della rassegna Ti racconto<br />
una fiaba. Nel 1995 ha recitato con il<br />
“Gruppo per il dialetto triestino”<br />
interpretando alcuni personaggi delle<br />
Maldobrie di Carpinteri e Faraguna. Ha<br />
inoltre lavorato alla Rai e ha partecipato<br />
alla realizzazione di alcuni film sotto la<br />
direzione di Bigas Luna.
ANDREA LOVISATO PAOLO DE PAOLIS<br />
È nato a Trieste. Dopo aver conseguito<br />
la laurea in medicina e la<br />
specializzazione in oculistica, nel 1995<br />
ha iniziato a dedicarsi al teatro,<br />
diventando allievo di Dino Castelli. Ha<br />
partecipato all’allestimento di alcuni<br />
spettacoli teatrali prodotti dall’I.R.Co.P.<br />
e ha recitato in alcune produzioni<br />
cinematografiche e televisive.<br />
Triestino, ha iniziato l’attività teatrale<br />
nel 1990 partecipando ad alcuni<br />
spettacoli amatoriali. Durante la<br />
stagione di prosa 1996-97, dopo aver<br />
seguito i seminari estivi organizzati dal<br />
Teatro Stabile <strong>La</strong> <strong>Contrada</strong>, è stato<br />
scritturato dal Dramma Italiano di<br />
Fiume per l’allestimento del Campiello<br />
di Goldoni sotto la direzione di<br />
Francesco Macedonio.<br />
Ha in seguito lavorato in qualità di<br />
attore rediofonico alla Rai di Trieste.<br />
111
112<br />
MICHELA VITALI<br />
Triestina, dopo aver seguito alcuni<br />
corsi di recitazione con Ugo Amodeo e<br />
dopo aver frequentato l’Accademia di<br />
Canto di Trieste, ha partecipato alla<br />
realizzazione di alcuni sceneggiati<br />
radiofonici per conto della Rai. Nel<br />
1993 ha partecipato alla lettura integrale<br />
dell’Ulisse di James Joyce, al Teatro<br />
Miela, sotto la direzione di Francesco<br />
Accomando. Collabora inoltre con<br />
l’Associazione “Grado Teatro” e, nel<br />
corso delle passate stagioni, ha<br />
maturato alcune esperienze professionali<br />
con il Teatro Stabile <strong>La</strong> <strong>Contrada</strong>.<br />
Ha registrato per Telequattro il<br />
monologo A proposito di una signora<br />
di Sergio Velitti per la regia di Ugo<br />
Amodeo.<br />
ELENA SENES<br />
È nata a Trieste dove ha ricevuto la<br />
prima formazione teatrale alla scuola<br />
diretta da Spiro Dalla Porta Xidias,<br />
partecipando a corsi di recitazione,<br />
dizione e mimica. Ha lavorato con la<br />
compagnia del Teatro Rotondo assieme<br />
alla quale ha interpretato ruoli in testi<br />
di Pirandello e Kundera.
MICHELE AINZARA<br />
È nato a Trieste dove ha iniziato a<br />
frequentare il teatro amatoriale nel<br />
1992 recitando con la compagnia I<br />
Commedianti diretta dal regista Ugo<br />
Amodeo. Dopo aver maturato alcune<br />
esperienze anche nel campo della regia<br />
assieme all’Associazione culturale<br />
Arteffetto, è stato scritturato dalla<br />
compagnia del Teatro Stabile <strong>La</strong><br />
<strong>Contrada</strong>.<br />
113
114<br />
FRANCESCO MACEDONIO<br />
Regista e autore teatrale, Francesco<br />
Macedonio è nato a Idria - una località<br />
non lontana da Gorizia - da una famiglia<br />
di musicisti. Dopo essersi istruito in<br />
vari collegi della zona, è diventato<br />
insegnante elementare. L’interesse per<br />
il teatro nasce assai presto, anche<br />
attraverso gli spettacoli cinematografici<br />
e teatrali che egli, ancora ragazzino, ha<br />
occasione di vedere a Gorizia. Dopo la<br />
fine delle guerra, Macedonio fonda,<br />
sempre a Gorizia, una compagnia<br />
teatrale per la quale svolge le mansioni<br />
di regista. <strong>La</strong> grande svolta giunge però<br />
nel 1967, quando il Teatro Stabile del<br />
Friuli-Venezia Giulia gli chiede di<br />
mettere in scena un testo di Vittorio<br />
Franceschi, Gorizia 1916, interpretato<br />
dallo stesso Franceschi.<br />
Dopo le prime esperienze a Trieste,<br />
Macedonio diviene il regista stabile del<br />
Teatro del Friuli-Venezia Giulia,<br />
dirigendo la famosa compagnia dei<br />
“dodici”, gli attori che per numerosi<br />
anni costituirono il gruppo di riferimento<br />
fisso per gli allestimenti di produzione.<br />
Fra gli spettacoli allestiti per lo<br />
Stabile, Sior Todero brontolon con<br />
Corrado Gaipa, Il mio Carso, Avvenimento<br />
nella città di Goga con Gabriele<br />
<strong>La</strong>via, Casa di bambola, L’idealista con<br />
Corrado Pani, Vecchio mondo con Lina<br />
Volonghi I rusteghi, oltre alla fortunatissima<br />
trilogia in dialetto triestino di<br />
Carpinteri e Faraguna Le Maldobrie,<br />
Noi delle vecchie province e L’Austria<br />
era un paese ordinato interpretata, fra<br />
gli altri, da Lino Savorani: uno dei<br />
successi più grandi nella storia teatrale<br />
triestina recente.<br />
Nel 1976, assieme agli attori Orazio<br />
Bobbio, Ariella Reggio e Lidia Braico,<br />
Macedonio è tra i fondatori del Teatro<br />
Popolare <strong>La</strong> <strong>Contrada</strong>, del quale è<br />
direttore artistico. In tale veste ha<br />
messo in scena parecchie decine di<br />
spettacoli, spaziando dal teatro in<br />
dialetto triestino a quello in lingua<br />
italiana, dal repertorio brillante a quello<br />
drammatico, sino a numerosi<br />
allestimenti per il teatro ragazzi. Ha<br />
inoltre curato la messa in scena di<br />
alcuni spettacoli per la compagnia dei<br />
“Piccoli” di Podrecca e di alcune opere<br />
e operette per il Teatro Giuseppe Verdi<br />
di Trieste.<br />
Parallelamente, egli si è dedicato anche<br />
alla scrittura drammaturgica, componendo,<br />
in collaborazione con Ninì<br />
Perno Quela sera de febraio e<br />
Un’Isotta nel giardino. Sue sono anche<br />
numerose commedie espressamente<br />
pensate per il teatro ragazzi, come <strong>La</strong><br />
vecchia e la luna, Bandiera, Scarabocchio,<br />
Dietro la cometa, E tutto per una<br />
rosa, <strong>La</strong> vigilia di Natale e altre.<br />
Insegna a Bologna, presso la scuola di<br />
recitazione di Alessandra Galante<br />
Garrone.
SERGIO D’OSMO<br />
Sergio D’Osmo è nato a Trieste.<br />
Attratto dal teatro sin da giovane, ha<br />
studiato architettura a Venezia,<br />
accostandosi così alla scenografia. Nel<br />
1954, assieme ad alcuni tra i maggiori<br />
esponenti culturali cittadini, fu tra i<br />
fondatori del Teatro Stabile Città di<br />
Trieste, divenuto in seguito Teatro<br />
Stabile del Friuli-Venezia Giulia. Da<br />
allora, e per trentaquattro anni consecutivi,<br />
D’Osmo è stato il direttore dello<br />
Stabile regionale, divenendone il centro<br />
vitale e organizzativo.<br />
Nel corso della sua lunga direzione, ha<br />
firmato le scene e i costumi per decine<br />
di spettacoli quali, per citarne solo<br />
alcuni, <strong>La</strong> ragazza di campagna di<br />
Odets per la regia di Franco Enriquez e<br />
l’interpretazione di Gian Maria Volontè<br />
(1959), Arlecchino servitore di due<br />
padroni (1960), Romagnola di<br />
Squarzina (1965), Le massere di<br />
Goldoni (1971), Il crogiuolo di Miller<br />
(1975), Anatol di Schnitzler con<br />
Gabriele <strong>La</strong>via (1975), Storie del bosco<br />
viennese di von Horvath (1977) fino ai<br />
più recenti spettacoli quali Scacco<br />
pazzo per la regia di Nanni Loy (1991)<br />
e Oblomov (1992) per la regia di<br />
Bordon.<br />
Ha inoltre firmato gli allestimenti<br />
scenici per alcuni spettacoli lirici e<br />
d’operetta.<br />
Nel corso della sua permanenza allo<br />
Stabile, D’Osmo si è impegnato nel<br />
recupero di nuovi spazi teatrali riaprendo,<br />
nell’estate del 1964, il Teatro<br />
Romano di Trieste.<br />
Concluso il suo lungo rapporto con lo<br />
Stabile cittadino, D’Osmo è stato al<br />
Teatro Biondo di Palermo e al Teatro di<br />
Roma, lavorando con registi quali<br />
Ronconi, Strehler, Missiroli, Squarzina<br />
e altri. È attualmente direttore degli<br />
allestimenti scenici del Teatro Verdi di<br />
Trieste.<br />
Assieme al Teatro Stabile <strong>La</strong> <strong>Contrada</strong>,<br />
D’Osmo ha collaborato più volte, a<br />
partire da A casa tra un poco di<br />
Damiani-Grisancich, che segnò nel<br />
1976 l’avvio delle attività per la compagnia.<br />
In seguito ha firmato le scene per<br />
Un baseto de cuor di Grisancich<br />
(1994), Centocinquanta la gallina canta<br />
di Campanile (1994), Un’Isotta nel<br />
giardino di Macedonio-Perno (1995), El<br />
mulo Carleto di Cecchelin-Damiani<br />
(1996), Non ti conosco più di De<br />
Benedetti (1996).<br />
Ha infine curato l’allestimento scenico<br />
di innumerevoli spettacoli per la regia<br />
di Francesco Macedonio.<br />
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FABIO BERGAMO<br />
Triestino, Fabio Bergamo da quasi<br />
venticinque anni si dedica all’ideazione<br />
dei costumi, firmando in tale veste<br />
innumerevoli spettacoli. Ha lavorato<br />
assieme a costumisti come Lele<br />
Luzzatti, Santuzza Calì e Gabriella<br />
Pescucci, collaborando alla messinscena<br />
di spettacoli allestiti da registi quali<br />
Ronconi, Enriquez, Macedonio,<br />
Calenda, Wajda e altri.<br />
Ha firmato i costumi per numerosi<br />
spettacoli di prosa, di lirica e commedie<br />
musicali, nonché per alcune produzioni<br />
della Rai, spaziando dal repertorio del<br />
Settecento sino a quello attuale.<br />
Dal 1987 collabora con regolarità con il<br />
Teatro Stabile <strong>La</strong> <strong>Contrada</strong> di Trieste,<br />
per il quale ha firmato i costumi di una<br />
trentina di spettacoli, fra i quali Un<br />
biglietto da mille corone, Marinaresca,<br />
Vecchio mondo, <strong>La</strong> panchina, Due<br />
paia di calze di seta di Vienna, Tango<br />
viennese, Un baseto de cuor, Il<br />
compagno di viaggio, El mulo Carleto.<br />
Fra i suoi recenti impegni, la collaborazione<br />
con il Festival Pucciniano di<br />
Torre del <strong>La</strong>go.<br />
LIVIO CECCHELIN<br />
Livio Cecchelin è nato a Trieste. Figlio<br />
del celebre attore e autore Angelo<br />
Cecchelin e dell’attrice Lilia Carini, si è<br />
avvicinato al mondo artistico sin da<br />
giovane in qualità di musicista. Ha<br />
iniziato a fare musica a Trieste durante<br />
l’occupazoine alleata, specializzandosi -<br />
come molti musicisti della sua generazione<br />
- nel repertorio della canzone<br />
americana. In seguito, assieme a<br />
diverse orchestrine, compie tournée in<br />
Italia e in svariati paesi europei,<br />
collabora con cantanti francesi quali<br />
Josepine Baker e Jaques Brel, si<br />
esibisce in alcuni paesi del Medio<br />
Oriente come Tunisia e Iran.<br />
L’incontro con la <strong>Contrada</strong> avviene sin<br />
dal 1978, quando gli viene proposto di<br />
comporre le musiche per lo spettacolo<br />
Marionette in libertà. Le prospettive di<br />
un lavoro diverso lo legano così allo<br />
Stabile privato triestino, per il quale ha<br />
sinora composto le musiche per<br />
innumerevoli spettacoli sia in dialetto<br />
triestino sia in lingua italiana, sia del<br />
teatro ragazzi, sia della programmazione<br />
serale.
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la contrada<br />
TEATRO STABILE DI INTERESSE PUBBLICO<br />
Il teatro popolare la contrada nasce a Trieste nel 1976 per volontà degli<br />
attori Ariella Reggio, Orazio Bobbio, Lidia Braico e del regista Francesco<br />
Macedonio. Dopo alcuni anni di attività itinerante con spettacoli di Teatro<br />
Ragazzi, la compagnia approda nel 1983 al Teatro Cristallo.<br />
Da allora è organismo stabile di produzione e programmazione teatrale che<br />
opera in sei principali settori di attività:<br />
• L’allestimento di opere di autori triestini;<br />
• <strong>La</strong> messa in scena di testi di autori dell’area mitteleuropea, dell’Est Europa<br />
e della drammaturgia italiana degli anni Trenta-Quaranta;<br />
• <strong>La</strong> produzione di spettacoli per l’infanzia e la gioventù;<br />
• <strong>La</strong> metodica presenza in Istria - in collaborazione con la Regione Friuli-<br />
Venezia Giulia, l’Università Popolare di Trieste e con l’Unione Italiana di<br />
Fiume - a favore delle Comunità Italiane di Slovenia e Croazia;<br />
• <strong>La</strong> realizzazione di attività seminariali per insegnanti e studenti e di<br />
progetti di aggiornamento e perfezionamento professionale per giovani<br />
attori;<br />
• <strong>La</strong> programmazione degli spettacoli e delle rassegne del Teatro Cristallo.<br />
Dal 1989 la contrada ha ottenuto il riconoscimento di “Teatro Stabile di<br />
interesse pubblico” (l’unico ad iniziativa privata nelle Tre Venezie).<br />
Nella stagione 1996/97 la compagnia ha festeggiato il proprio ventennale. Nel<br />
corso di questi anni sono state realizzate circa 120 produzioni ed ospitate più di<br />
250 compagnie, per un totale di quasi 400 spettacoli, ripartiti fra la programmazione<br />
serale e quella del Teatro Ragazzi.<br />
In ogni stagione vengono effettuate circa 200 recite in sede – considerando gli<br />
spettacoli di produzione e le ospitalità – di fronte ad un pubblico di 5.000<br />
abbonati con oltre 70.000 presenze complessive.<br />
Attualmente lavorano con la contrada più di 50 persone tra attori, maestranze<br />
tecniche, impiegati e collaboratori stagionali.
Finito di stampare<br />
nel mese di ottobre 1997<br />
Stampa<br />
Riva Arti Grafiche, Trieste<br />
in collaborazione con