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OSSERVATORIO LETTERARIO Ferrara e l'Altrove ANNO XIII/XIV ...

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Dall’altra parte invece il quadro è più complesso. Ipoeti traducono molto anche in Italia, soprattutto imoderni e i contemporanei (Ungaretti, Montale,Quasimodo, Pasolini, Milo de Angelis, Franco Fortini,Giovanni Giudici). Ma lo fanno soprattutto dalle lingueclassiche e da quelle di grande diffusione, in cui hannola competenza linguistica, il resto viene affidato alfilologo. Per quello che concerne la letteraturaungherese, Ruspanti cita due poeti, SalvatoreQuasimodo e Diego Valeri, che lavorando con unatraduzione grezza hanno tradotto poesie ungheresi.(Ruspanti 1997: 370) 9 mentre da noi accade spessoche anche le poesie «minori» hanno trovato le loro vociungheresi in poeti di prim’ordine (come László Nagy perla poesia bulgara). Un’altra differenza è, che latraduzione occidentale, fra cui anche quella italiana, perdiversi motivi ben illustrati anche dallo studioso TiborSzűcs rinuncia alla rima. Già nel lontano 1912 il grandepoeta e letterato ungherese Mihály Babits osservava,recensendo tre volumi di poesia ungherese appenausciti, che le poesie ungheresi sono tradotte in prosa(Babits). 10 Nel citato saggio di Ruspanti troviamo tutti ichiarimenti.La seconda parte del libro, il quarto capitolo (Studiparalleli), comprende un’analisi testuale multidirezionaledelle versioni di diciotto poesie. Testi ben scelti, offrononon solo il fior fiore della poesia ungherese (sistemati inordine cronologico), ma presentano una varietà dicontenuti e linguaggi poetici. Dove la stessa poesia èdisponibile in versioni sia italiana e tedesca (Babits,Csokonai, Kölcsey, Petőfi, Arany, József Attila, Juhász,Radnóti, Szabó, Nagy László) l’autore studia e presentaparallelamente le due varianti. Le complesse analisilinguistico testuali vengono svolte con grandecompetenza e con un simpatico rispetto verso il lavorodel traduttore, fra cui si trovano anche numerosi nomiungheresi. Lénárd, scrittore di origine unghereseemigrato in Brasile ha scritto il suo nome nella storiadella traduzione letteraria con la versione in latino delWinnie the Pooh di Milne, qui si figura come traduttorein tedesco di alcune poesie ungheresi.Nella Conclusione tirando le somme della ricerca,Szűcs osserva che, mentre i traduttori italiani sembranovoler restare fedeli alle immagini ed ai contenuti dellepoesie ungheresi, sfruttano meno lo strato sonoroformale,gli autori delle versioni in tedesco sono inclini aconsiderare quest’ultimo, a scapito magari della fedeltàdei contenuti.Questi risultati andrebbero ricordati anche nelmomento in cui si pongono all’attenzione dei traduttoripoeti da tradurre in italiano. Babits nel già citatoarticolo osserva, che ad esempio Petőfi è la poesia diPetőfi è la poesia delle idee, e come tale è dipendentedalla forma. 11 In ogni poesia si sa, fra gli elementicostituenti (rima, ritmo, figure, ecc.) c’è sempre unofondamentale che dovrebbe esser conservato anchenella traduzione. Se i traduttori in italiano sono più«bravi» a tradurre gli aspetti legati al contenuto,all’immagine dovrebbero tradurre, appunto quellepoesie in cui proprio questo elemento organizzativo èquello dominante.Molte sono le proposte che avanza lo studioso e concui si può pienamente concordare: la pubblicazione divolumi bi-, tri-, plurilingue, la soluzione con il testo afronte, la realizzazione di libri bilingui con commenti,considerati indispensabili, senza cui non vale la penatradurre gran parte della nostra poesia dei secolipassati, come rammentano traduttori ungheresi odall’ungherese.Sarebbe interessante inoltre (chissà se un giorno saràlui a realizzarlo, o qualcun altro) estendere la ricerca adaltre lingue, a quelle geneticamente vicine maarealmente lontane (il finlandese, l’estone, il turco,ecc.) a quelle distanti sia tipologicamente chearealmente (l’inglese e il cinese, ecc.). Un altro studiointeressante potrebbe essere lo studio di diverseversioni della tessa poesia fatta da diversi traduttori escoprirne e interpretarne le differenze, (magari, senzaesprimere giudizi di valutazione).I pensieri dell’autore offrono spunti di riflessioneanche sul versante della didattica delle lingue. Unavolta i libri di testo di italiano per discenti ungheresi,riportavano brani letterari, non solo della letteraturaitaliana ma anche di quella ungherese. I discenti diitaliano hanno potuto leggere molte poesie di Petőfi, diVörösmarty, di Kisfaludy in lingua italiana. Trovarsi difronte ad una poesia ben conosciuta, nella versionedella lingua straniera doveva avere un fascino, cioè unaforza motivante in più. Ai giorni nostri di solito il testoletterario è delegato ai livelli superiori, soprattutto nellatraduzione italiana della didattica dell’italiano all’estero.Chi si occupa di metodologia pensa che bisogna tenereben separate l’educazione linguistica da quellaletteraria, il testo poetico lo si offre al discente che siain grado di coglierne le sfumature ed apprezzarne laspecificità letteraria.Nella didattica dell’inglese la posizione verso il testoletterario è diverso, come forse lo è in quellaungherese. Miklós Hubay, che essendo un letterato eprofondo conoscitore della poesia ungherese, fadell’uso del testo poetico il proprio metodo:«Della lettura di poesia: Invece di scrivere regolegrammaticali sulla lavagna, ogni giorno ho scritto unapoesia. Con i miei alunni abbiamo recitato i versi, parolaper parola, come se fosse un rosario. E lo Spirito Santoscese nell’Aula. I miei alunni non hanno cominciato conle solite frasi: ”Che cosa fa il compagno Kovács? Ilcompagno Kovács guarda la televisione”. A poco a pocovenivano stregati dalla magia della poesia, che rompevala resistenza.» 12Concludendo la ricerca l’autore non può (e non vuole)aggirare la domanda che si solleva non solo fra gliscettici della traduzione, ma fra i traduttori stessi: in findei conti, vale la pena tradurre il testo poetico, pergiunta se esso è scritto in lingua ungherese?Le risposte, come si sa bene, dipendono anche dalconcetto che si dà all’equivalenza e alle aspettativeverso un testo tradotto. Tibor Szűcs risponde di sì,insistendo sul fatto che la traduzione è un genereletterario a sé stante e che va valutata come tale.Un’operazione necessaria, che l’Autore – aderendo aduna tradizione – paragona al lavoro di chi dà una nuovastrumentazione ad una partitura (mentre altriadoperano la metafora della tessitura).Il lavoro è completato da una ricca, preziosa edaggiornata bibliografia, punto di riferimento per ulteriori<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 27

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