Aprì la porta ed attraversò la sala da pranzo. Nel buiosi sentiva un odor di pane e di mele. Oltrepassò ancorauna stanza per arrivare alla camera dei ragazzi.L’aria vi era tepida; sul comò da tre cassetti ardevauna lucerna. A cui accanto la signorina Tina, seduta, siera appisolata con un logoro libro di preghiere sulleginocchia. L’ombra del suo berrettino da notte si alzavae si abbassava sul muro come un pennello cheintonacasse la parete. Nel vano cavo della bianca stufadi coccio, l’acqua si riscaldava in una brocca azzurra.Dai lettini a griglie veniva il lieve respiro dei ragazzini.Ulwing si chinò cauto su uno di essi. Vi dormiva ilmaschietto. Il suo piccolo corpo rannicchiato sotto lelenzuola pareva si nascondesse a qualcosa nel sognoche veniva con la notte e restava attorno al suo lettino.Il vecchio si curvò e baciò il bimbo in fronte. Quellosussultò, per un attimo spalancò gli occhi atterriti etremante nascose il volto nel cuscino.La signorina Tina si svegliò ma non oso muoversi. Ilmastro costruttore stava in atteggiamento così umiledinanzi al bambino, che non era conveniente a unapersona mercenaria di assistere a simile spettacolo.Volse la testa e così ascoltò la voce del padrone chediceva:— Non volevo spaventarti. Piccolo Kristóf, non averpaura; sono io!Ma il bambino si era già riaddormentato.Mastro Ulwing si avvicinò all’altro letto e baciò pureAnna. La bimbetta non si spaventò. I suoi capelli biondiondeggiavano sul cuscino come argento diffuso attornoal suo capo. Col braccìno circondò il collo del nonno edessa ricambiò il bacio.Quando Kristóf Ulwing uscì in punta di piedi dallacamera, la signorina Tina gli tenne dietro con losguardo.Pensò che, dopo tutto, quegli Ulwing erano davverodella brava gente.____________________NOTE:1Presente romanzo venne scritto nel 1914 e fu pubblicato laprima volta nel 1930 dalla Casa Editrice Sonzogo di Milano,poi il 30 aprile 1936-<strong>XIV</strong>. (Trad. Silvia Rho)2Kepi, in ungherese csákó [si pronuncia: ciàco]. Nel 1930Silvia Rho con “berretto” traduce questa parola ungherese. Ioho scelto nella traduzione la versione esattamentecorrispondente all’originale: Lo shakò è un copricapo militareche si affermò alla fine del ‘700 nell’esercito austriaco (derivainfatti da un termine ungherese che significa “copricapo convisiera”) e fu prontamente imitato nelle uniformi degli altrieserciti. È un alto berretto a visiera cilindrico o tronco-conico,scomodo e difficile da portare, il cui scopo era quello diaccrescere l’imponenza dei soldati.Nella seconda metà dell’ottocento fu progressivamentesostituito negli stati tedeschi dagli elmi chiodati e dal kepi (okepì). Alcuni eserciti lo mantennero sino alla prima guerramondiale, in foggia ridotta paragonabile, seppure piùdecorata, a quella del kepì. Attualmente è mantenuto inalcune accademie militari americane.In Italia, dove ha prevalso sempre la terminologiauniformologica francese, almeno sino al dilagare deglianglicismi, con il termine kepì si definiscono copricapitradizionali che sono in realtà shakó.Il kepi (varianti:chepì, cheppì) è un copricapo militare diforma cilindrica o troncoconica, con la parte più stretta in altoe dotato di visiera, diffusosi per la sua praticità, rispetto aiberretti in uso precedentemente, fra i principali esercitinell’Ottocento e nel primo Novecento. È statoprogressivamente soppiantato dal berretto piatto o rigido edal basco.Il primo modello di kepi è quello dell’esercito imperialeaustriaco, il termine, difatti, è la francesizzazione del tedescokappi, utilizzato come berretto di guarnigione dalle truppe dicavalleria di quello stato in sostituzione dello shakò, piùelaborato, voluminoso e costoso, che veniva portato nellecerimonie, in parata o nelle occasioni di servizio ove erarichiesta l’uniforme completa.Il successo del modello derivò dal fatto che, come adesso,la moda militare tende ad imitare le fogge degli eserciti dimaggior influenza e successo. Le armate austriache, pernumero e tenacia in combattimento, avevano rappresentato laspina dorsale ed il nerbo della coalizione antifrancese e lo stiledel vestiario asburgico fu imitato e copiato dai numerosigoverni della restaurazione appoggiati o sostenuti dall’Austria.L’affermazione definitiva di questo copricapo coincise,tuttavia, con la sua adozione da parte dell’esercito francese,che risale alle prime campagne coloniali in Algeria quando,per esigenze climatiche, dovette essere adottata una uniformepiù semplice e pratica.Il prestigio militare francese, per nulla compromesso dallesconfitte napoleoniche, fece si che la foggia delle sue uniformifosse prontamente imitata da alcuni degli eserciti del tempo,Il kepi, nel modello francese, si diffuse nell’esercito zaristadella Russia, e da questa nei paesi slavi dei Balcani,nell’esercito degli Stati Uniti d’America, in Spagna, negli statiitaliani, soprattutto il regno Borbonico e quello Sardo.Si diffuse, inoltre, fra tutte le milizie rivoluzionariedell’Ottocento, che, in un certo senso richiamandosi ai valoridella rivoluzione francese, volevano utilizzare un indumentoemblematico, di matrice francese, in contrapposizione con leforze reazionarie, che in combattimento portavano ancora glialti shakò. Nella seconda metà dell’Ottocento fu adottatoanche dal Giappone, sotto l’influsso delle uniformi americane.Progressivamente il kepi iniziò ad essere soppiantato dai primiberretti piatti o rigidi, la cui diffusione si può far risalire allaPrussia, parallelamente al diffondersi della fama militare diquel Paese.La Russia lo sostituì nell’ultimo ventennio dell’Ottocento,estendendo il berretto piatto, anche nel modello senza visiera,a tutte le sue truppe, nell’ambito della slavizzazionedell’aspetto esteriore dei suoi militari.Altri Paesi adottarono dei copricapi intermedi fra il kepi el’odierno berretto piatto, come gli Stati Uniti od il Giappone,passando, nei primi anni del Novecento, al nuovo modello.La prima guerra mondiale segnò la fine della grandediffusione del kepi, coincidente con la progressivamarginalizzazione della Francia dal ruolo di potenza mondiale.Nel primo dopoguerra quasi tutti i paesi passarono ai berrettipiatti, spesso richiamandosi alle fogge in uso in Germania.Ai nostri giorni solo la Francia adotta per l’esercito e lagendarmeria, almeno nelle uniformi da cerimonia ed ordinarieil kepi, prevalentemente per motivi tradizionali.Il kepi in Italia ebbe larga diffusione sino al 1933, quandofu sostituito dal berretto piatto con visiera, denominatoburocraticamente “berretto rigido”, nell’ambito della riformadelle uniformi militari del generale Baistrocchi, che introdussefogge più moderne e confortevoli, fra cui la giubba aperta concravatta, in parte ancora in uso al giorno d’oggi. La riformaintervenne provvidenzialmente in quanto il primo modello dikepì, sobrio e pratico, era stato progressivamente alterato daesemplari cosiddetti fuori ordinanza, sempre più teatrali espropositati, con visiere enormi, pronunciata forma a tronco dicono rovesciato, con la parte superiore più ampia dell’inferioree dimensioni doppie rispetto ai primi modelli (unadegenerazione analoga sta avendo in Russia, dove i berrettimilitari hanno raggiunto delle dimensioni ridicole, paragonabilia quelle di piccoli ombrelli). Questo berretto, tuttavia, rimanein uso, in foggia più o meno simile al modello adottato nel22<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010
periodo umbertino, nelle uniformi storiche di alcuneaccademie e scuole militari, o di polizia. Un’eccezione ècostituito dal reggimento di artiglieria a cavallo “Voloire” che,unico esempio nazionale, conserva anche nell’uniformeordinaria il caratteristico kepì con pennacchio di crine. (Fonte:Wikipedia)3La ricca di famosa famiglia Grassalkovich nel territorio dellaMonarchia Austro-Ungarica costruì più palazzi tra cui piùfamosi si trovano a Gödöllő (il Castello Reale che è unagrande, monumentale residenza) ed a Vienna, nel quartiere IIil palazzo estivo.«Uno dei gruppi monumentali di maggior rilievo in Ungheriaè composto dal Palazzo Grassalkovich, con la sua superficiecomplessiva, assieme agli edifici di dipendenza, di 17 milametri quadrati e con l’adiacente parco dell’estensione di 28ettari; vecchio di 250 anni, questo capolavoro dell’architetturaè il più grande castello barocco del Paese. A circa mezz’ora diauto da Budapest, il Palazzo Reale deve la sua fama alricchissimo passato storico ed alle soluzioni architettonicheutilizzate che diedero inizio ad un nuovo stile ‘alla Gödöllő’,usato per la progettazione di vari castelli ungheresi.Il castello, edificato al centro del latifondo di Gödöllő , conla sala principale decorata in bianco e oro, gli affreschi dellestanze, i bagni ricoperti di marmo, la serra botanica, l’ampiascuderia, il teatro e il vasto parco, era l’autentico modellorappresentante il modo di vivere della nobiltà dell’epoca. Ilconte Antal I Grassalkovich, uno degli aristocratici piùautorevoli dell’Ungheria settecentesca, nonché confidentedella regina Maria Teresa, iniziò a far costruire il castello neglianni intorno al 1730. Il complesso, diverse volte modificatofino alla definitiva forma a doppia U, fu progettatodall’architetto András Mayerhoffer. Acquistato dallo statoungherese, il castello divenne, dal 1867 al 1916, la residenzadi riposo dell’imperatore Francesco Giuseppe I e della moglieElisabetta e successivamente, dal 1920 al 1944, la dimoraestiva del governatore d’Ungheria Miklós Horthy. Dopo la IIGuerra Mondiale, a seguito delle inadeguate forme di utilizzo,per il castello iniziò un lento degrado che durò per quasimezzo secolo. La lenta rinascita cominciò nel 1985 grazieall’opera di ristrutturazione della Società di Utilità Pubblica peril Palazzo Reale di Gödöllő . Grazie ai lavori di restauro, nel1996, ha potuto aprire le porte il Museo del Castello nel corpocentrale dell’edificio. Gli interni, arredati secondo le fonti, dauna parte rievocano i Grassalkovich e l’epoca barocca delcastello, dall’altra presentano la vita quotidiana della famigliareale, dando una panoramica dell’Ungheria ai tempi dellamonarchia.Al pianterreno si trovano, oltre all’elegante caffè, alnegozio di articoli da regalo e al laboratorio fotografico, lestanze segrete della regina Elisabetta, decorate da specchi,lampadari di cristallo e da sontuosi stucchi al soffitto; la salaBarocca, con il soffitto a volta, le pareti dipinte el’arredamento d’epoca; le quattro sale utilizzate per iricevimenti: la sala Lónyay, con i ritratti dei membri della Casad’Asburgo, quella del cavallo, con le incisioni a coloriraffiguranti scene di cacce all’inglese, quella di caccia, piena ditrofei e fotografie di argomento venatorio, la sala con ilsoffitto dipinto e con le riproduzioni illustranti l’orangeria diuna volta. Lo scalone, con i parapetti in pietra traforati eintrecciati, conduce al piano nobile. Nelle sale che ricordano iGrassalkovich, oltre ai ritratti della regina Maria Teresa, tuttauna serie di documenti e ricordi materiali legati ad Antal I e aisuoi discendenti che evocano la grandezza di questaimportante famiglia comitale ungherese. Costruito intorno al1758, il Salone d’onore è il più grande ambiente dirappresentanza del castello; le pareti hanno un rivestimentomarmoreo, il soffitto è decorato di stucchi di ghirlande dorate.Tra le altre stanze: la saletta con il grande dipintodell’Incoronazione, lo studio di Francesco Giuseppe, con iritratti dei sovrani e dei principi asburgici, il salotto diElisabetta, con immagini a lei dedicate, le tre stanzetinteggiate in stile barocco, la camera di Maria Teresa, inmarmo rosso e con una ricca doratura. Ed infine gli ambientidedicati all’esposizione commemorativa della reginaElisabetta, ove spicca, tra le pitture favorite e i ritratti delledamigelle, il suo busto di marmo bianco.Il teatro del Castello Reale di Gödöllő venne costruito tra il1782 e il 1785, per ordine dei Grassalkovich, nell’alameridionale del complesso, dove prima si trovavano gliappartamenti del conte Kristóf Migazzi, vescovo di Vác ecardinale di Vienna. Questo, che è stato il primo teatro dipietra dell’Ungheria, poteva ospitare fino a 100 persone edera in funzione quando la corte soggiornava nel maniero. Imuri interni erano decorati da affreschi tardobarocchi, oggiriportati al loro aspetto originale. I lavori di ristrutturazionedel teatro, che oggi è possibile ammirare nella sua bellezzaoriginale, si sono conclusi nel 2003.Chiuso tra le ali del castello, il cortile interno dà una vistasul parco, una volta coperto di bosco e poi provvisto di raritàbotaniche, che era teatro delle cavalcate della reginaElisabetta. È stata recentemente ultimata la ristrutturazionedello storico gazebo, il padiglione esagonale fatto costruire nel1760 da Antal Grassalkovich. L’interno, ricoperto di legno edecorato da ritratti in olio, raffigurava i personaggi storicidell’Ungheria; purtroppo una parte dei dipinti si perse nelcorso degli anni. Un lavoro di restauro, realizzato attenendosia fotografie riproducenti le caratteristiche originarie delgazebo, gli ha ridato l’antico splendore.» (Fonte :http://www.newsy.it)Nei seguenti luoghi si trovano ancora palazzi/castelli deiGrassalkovich: Pozsony (Bratislava), Baja, Gyöngyös, Hatvan,Kompolt, Nyitraivánka, Sülysáp, Zombor.4Cristoforo5Bratislava nell’attuale Slovacchia6Sebastiano7 Giovanni Uberto8Floriano9 Agostino10Palatino11 Giorgio Martino12CristinaN.d.R.: Il testo originale si legge nella rubrica «Appendice».Traduzione riveduta e note © di Melinda B. Tamás-TarrRóbert HászPASSEGGIATA SETTEMBRINATitolo originale: Szeptemberi séta1) ContinuaTratto dal volume “Sok vizeknek zúgása”, Kortárs kiadó,Budapest, 2008Le giornate estive si accorciano, l’autunno arriva instrada furtivo, zoppo e rasente il muro come unvecchio scaltro, e come sempre, in questo periododell’anno mi sento addosso lo sguardo del tempo.Quando il mondo rallenta per un po’, le particellesentono freddo e si restringono, i fuochi si smorzanofino a diventare brace e bruciano appena, i fluidicircolano più lentamente nei propri canali e il Potere,questa Entità Superiore a volte cinica, ma tuttosommato indifferente, si toglie un attimo la maschera –come una vedova che per un istante alza il velo pertergere le lacrime con il fazzoletto.Quanto detesto questo suo gioco con i mortali!<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 23
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