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OSSERVATORIO LETTERARIO Ferrara e l'Altrove ANNO XIII/XIV ...

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che copriva i ruderi e la voglia di piangere frenata amalapena.Fuori è ancora buio. Il té è ormai freddo e fisso le tueparole sullo schermo. Penso alle nostre risate, a te checantavi Guapparia a suarciagola sull’autostrada. Comecantavi male amore mio…Poi mi torna in mente la prima volta che abbiamo fattol’amore. Avevamo dormito nel tuo letto, tutta nottesenza nemmeno sfiorarci. Al mattino abbiamo apertogli occhi nello stesso momento. Siamo rimasti aguardarci in silenzio. Chi ha mosso per primo la mano?Io o tu? So che le nostre dita si sono avvicinate, sisono intrecciate con una delicatezza estrema.C’era l’eclisse a Roma quel giorno. La città oziava. Ilcaldo era denso, l’aria pesante.Penso alla Notte di San Lorenzo, alla spiaggia del lagodove mi avevi portato a guardare le stelle cadere. A teche mi spedivi una mail mentre io dalla cucina buttavola pasta.“Cosa stai facendo?” – chiesi.Non mi rispondesti. Ma quando tornai a casa, trovai iltuo messaggio. Dicevi che la storia dei desideri e dellestelle che cadono a San Lorenzo era vera: il tuodesiderio si era avverato. Quante sciocchezze fanno gliinnamorati.Poi ricordo tutti i momenti tristi, uno ad uno. Sonoancora più vivi, quelli.Che strano. Si dice che degli amori passati si finiscesempre per ricordare soltanto i giorni felici. Che ildolore si dimentica con il tempo, come dopo un parto.Perchè se il ricordo del dolore perdurasse, sicuramentenessuna donna affronterebbe mai una secondagravidanza. E nessuna donna potrebbe più amare. Ildolore si dimentica sempre, dicono. Io so che non èvero. Mi tornano in mente tutte le tue parole la nottepassata a Firenze. C’era quell’incredibile facciata dimarmo della chiesa dall’altra parte della stradina. Unaluce bianca riempiva la nostra finestra. Mi abbracciavi ec’erano gli angeli, e i putti, e i santi con le trombe delParadiso che splendevano di là del vetro, appena di làdel vetro. Avremmo quasi potuto sfiorarli.“Non ti scorderò mai. Non potrei mai scordarti.” – midicevi. “Ma tu devi pretendere tutto da un uomo.Giuramelo. Devi volere tutto, fino in fondo. In amorenon ci si può accontentare.”Quelle parole non me le sono dimenticate, sai? Non mele sono dimenticate mai. Parlavi di essere logici,razionali. Che la distanza era troppa, e l’età, e poi lei.Lei che non amavi, ma era una scelta più ragionevole.Era più adatta alla tua famiglia, alla tua vita. Ma erame che tenevi sempre più stretta. E mentre io ti dicevosì, sì hai ragione, hai ragione, tu scoppiasti a piangere:“È te che voglio, è solo te che voglio, solo te….”.Invece mi lasciasti. Per una storia senza amore ma piùtranquilla, più accettabile, più facile.Leggo di te, della notte di Roma e di quanto forte stiapiovendo mentre mi scrivi. Di quanta voglia tu abbia dirisentire la mia voce. Qui invece sta arrivando ilmattino. Qui non piove, sai? Il cielo è pulito. Sarà unabella mattina di sole.V. la traduzione in ungherese di Olga Erdős nella rubrica«Appendice».Umberto Pasqui — ForlìRESINOSAAlla fine mio padre non mi vollecon sé: mi disse che là, quelgiardino, era un posto pericoloso eche lo avrei accompagnato un’altravolta a lavorare. Allora, tutto queldiscorso sulla fatica… Perchécambiare così presto idea? È unposto da non-bambini, diceva il verduraio, il figlio dellaStupita, con uno di quei sorrisi senza verità. In paese sisussurrava che quando la luce del sole picchia fortedentro il giardino misterioso degli Spocchiali, rimbalzaun bagliore dorato cui nessuno sa dare interpretazione.Nemmeno il saggio Gamba di Locusta, maestro disolfeggio in pensione, aveva mai capito molto di quelfenomeno strano. Sauro, il collezionista che mettevabello con bello, cioè la tela di un quadro sulla tela di unaltro per venderli in coppia, mi raccontava di quantioggetti preziosi era ricca la casa degli Spocchiali.Quando mio padre tornò dal lavoro aveva gli occhi chescrutavano cose lontane: non avevo mai visto quellosguardo. Non parlava, faceva finta di niente. Ma sapevoche dietro alla muraglia gigantesca c’era qualcosa chelo aveva sconvolto. La televisione fu la sua salvezza, sirifugiò nelle parole di niente e non riuscii a dormire.Sotto la mia finestra c’è la strada, la stessa strada chepercorro tutti i giorni per andare a scuola. Sulla strada,a qualche centinaio di metri, inizia la muragliagigantesca. Sentivo fare baccano quella notte, come digente che batte bastoni sui pali della luce. Avevo pauragià ricordando lo sguardo annullato di mio padre equella parola “Spocchiali – Spocchiali” che misconquassava il contenuto della testa. «Ricordati di nondire a nessuno quello che hai visto – urlava quellagente là fuori – ricordati: nessuno!» La luce del mattinomi fece dimenticare la paura: il sole, il sole caldo avevacacciato via l’angoscia della notte. Però quella muragliaera sempre lì, sempre invalicabile. E gli occhi di miopadre… Invece di andare a scuola cercai un modo perentrare nel giardino degli Spocchiali. Non c’era unascala tanto grande per vedere oltre il confine, né volevodare nell’occhio per evitare di sentirmi urlare dietro «Ilfiglio del giardiniere, il figlio del giardiniere non èandato a scuola!» Mi venne in mente che Volto dellaSalute aveva dei trampoli che non usava mai e lasciavaincustoditi accanto ai rastrelli nel capanno dell’aia. Mache senso avrebbe avuto prendere una cosa non miaper entrare in un posto non mio, per di più un postoper non-bambini? «È il senso dell’ambra» mi mormoròalle orecchie Sebastiano Spocchiali quasi mi leggessenel pensiero; non era lì per caso. «Se vuoi scoprire ilsenso dell’ambra – mi disse sorridendo – vieni con me».Non ebbi il coraggio di dire di no. Avevo paura di lui: èpoco più grande di me, non se ne parla bene in giro, faquello che vuole perché la collina è la sua, dei suoigenitori e dei suoi nonni. Mi prese per mano e mi fecearrivare davanti al portone di casa Spocchiali: un arcotutto grigio, grande come il doppio di mio padre. Aprì laporta, sua madre mi venne incontro e lo sgridòfortissimo: «non devi portare a Resinosa i bambini deglialtri!» Fui accompagnato fuori da un signore dalla manotremante e nel tempo di un saluto ero di nuovo in<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 11

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