10.07.2015 Views

OSSERVATORIO LETTERARIO Ferrara e l'Altrove ANNO XIII/XIV ...

OSSERVATORIO LETTERARIO Ferrara e l'Altrove ANNO XIII/XIV ...

OSSERVATORIO LETTERARIO Ferrara e l'Altrove ANNO XIII/XIV ...

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

2<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


E d i t o r i a l e___________________di Melinda B. Tamás-Tarr ___________________Lectori salutem!Nello scorso mese di luglio ho ricevuto unalettera dal Dr. Gyula Paczolay - uno deicorrispondenti ungheresi -, che mi segnalavauna scrittrice ungherese, Cécile (Cecilia)Tormay (1876-1937), di fama mondiale,mancata candidata al Premio Nobel per laletteratura nella prima metà del 900.Mi era familiare il suo nome, ma ho avutopoche informazioni al riguardo. Come mai? Risfogliandoi miei libri universitari e facendo ricerche su internet hoscoperto il motivo della sua scarsa diffusione: era unadegli scrittori proscritti grazie alla dittatura proletariacomunista del kadarismo (v. elenco dei libri proibiti:http://hu.metapedia.org/wiki/Tiltott_irodalom).Certo, lei non è l’unico personaggio che per 50 anniè stato taciuto e proibito: accanto agli altri anche ilettori vennero perseguitati e, se ne possedevano,nascondevano le sue opere, particolarmente il suodiario intitolato «Il libro proscritto», per cui rischiavanola morte... Assieme a lei anche un professoreuniversitario, lo storico di letteratura János Hankiss(1893-1959), venne taciuto e ignorato durante questianni di dittatura rossa. Fu egli a pubblicare alcunivolumi di libri biografici sulla scrittrice.Scrittori proscritti, libri proibiti... Libri e scrittoriproibiti... Infiniti sono stati i libri scritti amati edosannati nel corso della storia umana, altrettanto infinitiquei libri che sono stati combattuti, osteggiati,denunciati, ignorati o distrutti. Ci sono ancora numerosicasi di uomini e donne che scrivono ciò che pensano e,per una ragione od un’altra, (ma c’entra sempre ilpensiero e le sue parole!), vengono respinti,perseguitati, condannati o addirittura uccisi. Libri euomini che nel corso dei secoli hanno creato problemi achi, per motivi politici o religiosi, voleva e vuole gestirela condizione umana in termini di forza. Ecco un limitatoelenco di scrittori condannati per i loro libri e le loroidee. Il primo gruppo è cosmopolita, il secondo èitaliano:Francesco Bacone, Honoré de Balzac, HenriBergson, George Berkeley, Cartesio, D’Alembert,Daniel Defoe, Denis Diderot, Alexandre Dumas(padre) e Alexandre Dumas (figlio), GustaveFlaubert, Thomas Hobbes, Victor Hugo, DavidHume, Immanuel Kant, Jean de La Fontaine,John Locke, Montaigne, Montesquieu, BlaisePascal, Pierre-Joseph Proudhon, Jean-JacquesRousseau, George Sand, Spinoza, Stendhal,Voltaire, Émile Zola, Simone de Beauvoir, AndréGide, Jean-Paul Sartre.Vittorio Alfieri, Pietro Aretino, Cesare Beccaria,Giordano Bruno, Benedetto Croce, GabrieleD’Annunzio, Antonio Fogazzaro, Ugo Foscolo,Galileo Galilei, Giovanni Gentile, FrancescoGuicciardini, Giacomo Leopardi, Ada Negri,Adeodato Ressi, Girolamo Savonarola, LuigiSettembrini, Niccolò Tommaseo, Pietro Verri,Alberto Moravia.Questi sono solo alcuni degli scrittori escrittrici messi all’Indice dalla ChiesaCattolica nel famoso INDEX LIBRORUMPROHIBITORUM. L’Indice dei libri proibiti fuun elenco di pubblicazioni proibite dallaChiesa Cattolica, creato nel 1558 per operadella Congregazione della Sacra Romana eUniversale Inquisizione (o Sant’Uffizio), sottoPaolo IV. Ebbe diverse versioni e fusoppresso solo nel 1966 con la fine dell’inquisizioneromana, sostituita dalla congregazione per la dottrinadella fede.Senza addentrarci nella ultra-centenaria storia di questa«vergogna» culturale, che per fortuna la ChiesaCattolica ha chiuso con il Concilio Vaticano II del 1969,non possiamo fare a meno di ricordare che tuttorainfuria la caccia alle parole e ai pensieri stampati informa di libri di circa 700 scrittori perseguitati per leloro idee in più di cento paesi su questo pianeta. E nonè esclusa neanche l’Italia.Parlare della storia del libro significa parlare dellastoria dell’uomo. I libri, come gli uomini, inseguono lostesso destino, fatto di successi, illuminazioni,conquiste, ma anche di terrore, sangue e follia.I libri proibiti non sono altro che il simbolo dell’«uomoproibito» a se stesso ed agli altri suoi amici uomini,compagni di viaggio e di letture.Meno male che in Italia oggi per leggere un libro nonabbiamo più bisogno di patenti di lettura come untempo il Santo Uffizio faceva dando licenza a chisecondo loro, ne aveva la competenza, il compito didecidere cosa leggere. È dovere di ogni bibliomane farsì che cose del genere non si verifichino mai in nomedel libero pensiero e del libero libro. 1Ora torniamo al caso della scrittrice magiara sopraaccennata: se guardiamo l’elenco qui riportato degliscrittori proibiti, non ci sfugge che, alla fine, possiamotrovare le loro opere oggigiorno, come pure i saggicritici che trattano la loro attività letteraria. Nellebiblioteche e negli archivi, come pure su internet,possiamo comunque reperire informazioni su di loro. Manon è stato così nel caso della scrittrice magiara: dopo isuccessi italiani e dopo le riedizioni dei suoi romanzinon è stato più pubblicato nulla di lei né in Italia, né inUngheria. Del «Libro proscritto» invece, al contrario deisuoi romanzi, non si trova alcuna traccia neanche nellebiblioteche e negli archivi italiani. In Ungheria la suapersecuzione dura già da 90 anni! È vero che dall’iniziodegli anni ’90 si sente già parlare di lei, i suoi libri sonousciti di nuovo, anche recentemente, ma ci sono certicerchi culturali e sociali in cui continuano a diffamarla,a sminuire i suoi meriti nonostante la sua grandebravura, il suo talento. Perché? Per il suo coraggio, perla sua libertà di esprimere i suoi pensieri critici, per lasua visione acuta e di vate, per il sua grande amoreincondizionato per la sua Patria, allora Austria-Ungheria, e per questo la etichettavano – e lo fannoanche oggi – con il nazionalismo, l’antisemitismo,<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/20103


l’irredentismo – evidenziando esclusivamente le sueparole critiche espresse nel suo diario – che può essereconsiderato un saggio storico – nei confronti deitraditori magiari o non [cioè personaggi appartenentialle altre etnie tra cui in maggioranza agli ebrei] dellaPatria. Perché in questo documento storico ha descritto,testimoniando in prima persona, gli orrori e il verovolto del comunismo, della Repubblica SovieticaUngherese. Tutto quello che si legge in questo grossodiario allora di due volumi, ora è un unico volume da496 pagine, è sostenuto dagli autori de «Libro nero delcomunismo» edito da Mondadori nel 1998. Non sidimentichi che nessuna nazione ha subìtoun’amputazione così grave, così come i potenti vincitoridella prima guerra mondiale hanno deciso di fare conl’Ungheria storica strappando due terzi dal suomillenario territorio. Cécile Tormay fu preoccupatissimaper l’integrità del territorio millenario dell’Ungheria:l’Ungheria storica, la cosiddetta Grande Ungheriaappartenne alla Monarchia degli Asburgo, fu – come hosopra accennato – Austria-Ungheria. Vedendo icomportamenti dei responsabili traditori e di tutti quelliche furono complici temeva la perdita dei territori dellasua fortemente amata Patria che, purtroppo, accadevail 4 giugno 1920 con il Trattato di pace di Trianon e,questa, è una tragedia nazionale: Dal punto di vistaeconomico, il 61,4% della terra arabile, l'88% deiboschi, il 62,2% delle ferrovie, il 64,5% delle stradebattute, l'83,1% della produzione di ghisa, il 55,7%degli impianti industriali e il 67% degli istituti bancari edi credito dell'ex Regno di Ungheria, divennero parte dialtre nazioni. Romania e Jugoslavia dovettero assumersiparte degli obblighi finanziari dell'Ungheria, per via delterritorio posto sotto la loro sovranità. Per quantoriguarda gli abitanti, rispetto a quella del Regno diUngheria, la popolazione dell'Ungheria post-Trianonvenne ridotta da 19 milioni a 7 milioni, mentre lasuperficie territoriale venne ridotta di due terzi. Dopo il1918, l'Ungheria non ebbe più accesso al mare, cheinvece il Regno di Ungheria aveva avuto, attraverso iterritori dell'odierna Croazia, per oltre 800 anni.Dr. Ottó Légrády nel suo «IgazságotMagyarországnak» [«Giustizia per l’Ungheria»],pubblicato nel 1930 scrisse: «Megnyomorították anémetet, a bolgárt és törököt is. De... azoknak levágtákegy-egy ujját, a magyarnak pedig kezét, lábát», cioé:«Hanno storpiato i tedeschi, i bulgari ed anche i turchi.Ma... ad essi hanno tagliato soltanto un dito, ma deimagiari le mani e le gambe.»:Di tutto ciò e dello sfondo storico, politico e socialeparlerò nel saggio a lei dedicato.4Dal 1945 era proibito pubblicare tutte le sue opere –non soltanto il suo diario intitolato «Il libro proscritto»,–, non si potevano trovare i suoi libri nelle biblioteche,archivi, non si poteva nominarla altrimenti venivanoseveramente puniti i trasgressori non soltanto con unaalta somma di denaro, ma addirittura anche con laprigione. Chiunque teneva in casa il suo diario rischiavaanche l’esecuzione con la forca... Dopo cinquant’anni disilenzio forzato, due case editrici hanno ripubblicato isuoi romanzi e le opere dello storico letterario,professore universitario di fama mondiale Hankiss aseguito del 70° anniversario della morte della scrittrice,organizzando una serie di conferenze al riguardo. Suinternet, sia le opere della Tormay, sia le relazioni delleconferenze sono consultabili. Però questaripresentazione ha causato diverse reazioni: ci sonocoloro che l’hanno accolta con gioia, ma ci sono anchegruppi di persone che hanno reagito con polemicheastiose nei suoi confronti. Ma perché? Di questo sisaprà nel servizio dedicato alla scrittrice e in cui JánosHankiss all’epoca – prima della scrittura e pubblicazionedei volumi monografici dedicati a lei pure scomparsi,poi recentemente riapparsi – così presentòsommariamente la scrittrice Cécile Tormay:Cécile Tormay compose irreprensibili capolavori, la cuiperfezione artistica potrebbe dar compiacenza a unTeofilo Gautier; essi trattano avvenimenti umani chepenetrano nel cuore della vita. La scrittrice è legataall'Italia come nessun altro fra i suoi contemporanei.Prima della guerra ogni anno passò lunghi periodi ditempo in Italia, soprattutto a Firenze. E appunto neisalotti di Firenze incontrò D'Annunzio che notoriamentedetestava le scrittrici e che, per la prima volta in vitasua, si decise a tradurre: tradusse in italiano le prime«fiabe» della Tormay, «II flauto e la dramma», e il verocapolavoro «Nostra Donna in Arcadia» in cui il soggettogreco e il sentimento cristiano si uniscono audacementein un tutto saldissimo. Ogni donna, ogni madre è in«Nostra Donna»; il cristianesimo non è venuto percancellare le ingenue devozioni, ma per completarle eavvalorarle.Nel 1913 sulle pagine della «Revue de Paris» fupubblicato il primo romanzo della Tormay: «Cuori fra lepietre», e con questa pubblicazione la scrittrices'assicurò una fama mondiale. Ogni viaggio in Italia lacondusse attraverso l'inferno roccioso del Carso.Quest'ambiente dà al suo romanzo l'atmosfera dispasimo e di sofferenza in cui si svolge la sorte di unacroata che da creatura selvatica si fa donna, arded'amore folle per un giovane ferroviere ungherese einfine si uccide. Il cozzo di due mondi, anzi di duepaesaggi diversi è un dramma ove sopra la tragicaroccia crescono i fiori della bellezza e della realtà.Nel capolavoro della Tormay tradotto quasi in tutte lelingue colte, «La vecchia casa» (1914), s'incontrano sulcampo di battaglia della vita intere civiltà in cui «vecchiacasa», una casa antica di patrizi, è una delle fortezzemorali e sentimentali della borghesia di linguatedesca di Buda e di Pest, la quale nel 1848 èconquistata dalla patria e dalla lingua ungherese. Lavecchia casa viene demolita, la città ringiovanisce e sistende sulle due rive del Danubio. In questa battagliapacifica la etnia magiara è vittoriosa perché ha dallasua parte la verità, la gioventù e la forza d'attrazione.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Sergio Cimino — NapoliPOETA SENZA ASCOLTOPoeta senza ascolto,morta marionetta di se stesso,pulviscolo di versiche s’aggruma,in un tardivo fiocco di neveche scioglie in primaveraSONNO AMICOSonno amico,ghermiscicon acuminati artigliil pensiero.Non temeredi sollevarloa vertiginose altezzee non aver scrupoloa gettarne il fardello,nel vuoto di un sognoSonno amico,serra le mie palpebreaffinché sola,filtri,una lingua di buio.Dammi l’assoluto nerodel tizzoneche s’infredda,da un fuoco vecchiospento di paceDaniela Raimondi - Renzo Ferri — Londra (Gb)-<strong>Ferrara</strong>SOSPENSIONEAl Duomo di <strong>Ferrara</strong>le donne in biciclettaincrociavano destinisulle pietre bianche della piazza.L’aria aspettava qualcosa.Un segnoun fragore dal cieloo dal centro della terra.Il cappello di paglia dormivasu una testa abbassata.Sotto la camiciasudava la colonna vertebrale di un’iguana.L’operaio strappava un senoalla ragazza distesa sul muro.Copriva di colla il ventre di pizzo,metà del suo sorriso.Restava soltanto l’azzurro di un occhio,la curva intatta del fianco.Il treno per Suzzarafermo alla cabina di scambio.Tosca cantava da una finestra apertasul terzo binario.6Poi la radio taceva.L’uomo chiudeva di colpo il giornalefacendo tremarestreghe e demòni sulle guglie più alte.Un cielo ocra girava lento sul film muto.Forse non era estate,e non era <strong>Ferrara</strong>.Ma ricordo il fragore del tuono sulle foglie di rame.Il castello di carte sparse sul selciatoe le sue gambe nude.Le sue belle gambe sudate.(Daniela Raimondi, da: “Ellissi”)(906-937) CALCO DA D. RAIMONDIAl Duomo di <strong>Ferrara</strong>tu c’eri, ed ioincrociavoil tuo destinopassando invisibiled’ombresul selciato estivodella piazza.Da tempo ti aspettavofacendoe disfacendo parole,ma trovando solo i tuoisilenzi,e segni pesantidi noidal cielo e dalla terra;e nel cuoreamaritudiniper irrisoltesolitudini non più nostree tradite infanziee piogge.Tu c’eri,ma forsenon era estatee non era <strong>Ferrara</strong>.Mi ricordoche ti guardavofuggitivasvanirenella luce dolorosadi un sorriso.(Renzo Ferri, da: “Album Privato”)Chiara Luciani — Casteldelpiano (Gr)SUL FIUME OKAVANGOCorrerò solalungo il delta del fiumeche non si getta in mare.Se ci ritroveremo,un giorno,voglio non sia per caso.Mi siederò in attesa<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


sulla sabbia del Kalahari,e il tuo ricordosarà il mio castigo.Se tornerai,un giornochiamami da lontano,ascolterò in silenzioe non sarà per caso.CANTO DEI VINTIPagasti a caro prezzol'essere nato uomo,chiamato da una guerrache non è mai dei giusti.Si prese con la forza i tuoi vent'anni,colmando di lusinghele sterili speranze.Come una sposa antica attesela donna a te più cara,tessendo nella luce fiocaveli di immacolata seta,disfatti dopo un'ora.Non ritornasti alla tua amata terra,nessuno accarezzò le tristi spoglie.E chi ti tolse tuttocadde un attimo dopo,come altri cento sulle barricate.Il ventò portò l'eco di un lamento,e nel chiarore dolce della prima lucecoprì i tuoi occhi un velo,di pura seta bianca.Roberto Minardi — Camisa (Rg)PAZZOtroppo uniforme,per questo la valle sembravapiù bella. credeva nella vitacosì tanto da volerlaricominciare sùbito da capo.Alessandro Monticelli — Sulmona (Aq)Non aspettarmi.Inselvatichito da parole che affaticano il pettoMi addormenterò in un nido segretoFatto di carne e supplicante desiderio.Non preoccuparti.Questo è un dolore che si dimentica subitoCome labbra appena nate che succhiano dai seni.Come bacio ardente che illumina la pelleDi labbra mute semplici e sconosciute.Non aspettarmi.Perché ieri ho voluto tutto il mare in una fonteEd oggi mi perdo in un bicchiere d’acqua.(…mi bagno a malapena le labbra).BELVEDERE O PASSAGGIOLavavetri inconsapevoliTuristi in sandali e calziniUna piscina condominiale piena di foglie.E tu che scrivi sul cristalloAppannato dal fiatoUn “per sempre”Che venti secondi è durato.Al secondino non importase sei un parente strano.e gli altri sono già seduti,i loro occhi nel fondo di una tazza;dalla finestra una luce si allunga,mette in risalto il pulviscolo… a teviene da ridere. Ridi.nell’ora del giardinoun’orchidea ti ha visto;annusala, cammina avanti e indietro,in cerchio, come ti va di fare.COME SE NON BASTASSEquel vento così gentileche dà l'ideadi un essere supremo che carezza,non avrà fatto altroche accompagnare il suo sguardomentre dall'orlo si perdeva. così,avrà maledetto ogni sua piuma,convintodi non saper far altroche svolazzare. sparireera il suo sogno. il cielo eraIvan Pozzoni — Villasanta (Mi)LATHIKADAS?Tu, Lathikadas,sei ghiaccio sprayad effetto istantaneosulle mie feritesanguinanti;riesci ad esserecosì importanteche“mi manchianche se sei qui”,sorridente,tra le mie braccia.BARATTANDO SACHERMa la vodka scende,e riscalda cuori ibernati,mischiata a lattine di red bull.Per non dormire,e non scacciare i dolori,di una condanna(da Underground)<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/20107


Carina Spurio — TeramoSPORCA CHIMERAa vivereesistenze instabilistress da assediodesideri roventi.Davvero conviene,a noi due,barattare timori e sconfittedi chi muore di stenticon una torta sacher,e una tavola imbandita?Pensando a lei,di nascosto,e ai suoi murisu cui scrivere: “Dio è con te;almeno lui!”.Mi respiri dentroquasi vicino alla vitache ora ci legatra una sillaba e il cuore,appena incollatiad una sporca chimera,nello spazio senza confinidi un fragile sognoin cui tutto vuoi darmi,ma io prendo soltantoe spoglio dagli incubiil vecchio dolore,tu forse non lo sai,e se tutto passa da sempre,per poco ritorna,nel punto dove si unisconole tue, le mie fantasie,prima che il buio ci avvolgacome orfani senza più pace.Patrizia Trimboli — AnconaPOESIAA sussurrarmi, amore,sul gomito dolente del nulla, assortain un a solo sulla soglia mortadel mio freddo, sei tu, poesia. Ma sempretrascendi in sembianza muta, sei il luccicanteverde e incanto del mare,tra stupore e meraviglia celeste(da Underground)Le nostre lacrime strappatefanno vibrarele carni taciturne, trapuntedi silenzio, di un sole convalescentedalla sua buia veste.Ed io cammino sul primo sognobrancolando nel raggio di un pensierodove albeggia, alla sua origine, la nenia del giorno.Erano caduti, lentamentesul vapore del vetro e inghiottivanobucce di sogno, sbriciolato in un inferno,i miei occhi fitti di setescesi nel mio senso, lentamente.Metà notte, metà luce.Nel tramonto…nell’oro del mistero.All’indietro.: . …; : . ; .Loro nell’intimo ruotavanoindietreggiandosordi ai sensi, oltre gli spazi vuoticome uccelli saziper entrare nel tuo soffio silenziosolungo e profondo.Lo vedi: sono un uomo compiuto,puoi chiudere i miei occhi stanchi.Mi sono spogliata delle mie mani d’ombraho lasciato la cecitàper partorire un’eternitàche sia poesia sulle tue labbra.Ho camminato a piedi scalzi, sola, come alloracercando il mio valore, tra le tue bracciala preghiera per il luogo in cui dovrò andaredove il vento soffia su una cetrapiù grande della miseriaoltre la terrae le voci non sono più pietraprigionianel manto dell’annientamentolà dove sputa la lebbradell’umanità, avvolta nella nebbiae tu riempi le mie mani di rabbiadelle stanze socchiuse del mio cuoree io ti porto dove fluisce il mio sanguee sangue dilaga.che al respiro della sera, dentro la mia vita,in epifania il senso riporta.LA MIA NASCITAScivolata da un arso murola bicicletta di mio padreguarda il cielo da un altare,resta dolcemente ad aspettareil mio respironascere.8Cade la mia vocenel ghiotto fondo del destino,nel serico giornoche non odo e mi prende la manocome se fosse un dono,di cui nulla conoscoin questa moltitudine di me,di ombre e di luce, insieme.Cade la mia vocedove vive la vita che non vedoe si dibatte<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


e lentamente mi ravvolgecome una scintilla, assortadove c’era la morte.LA TRAMA DEL FATOechiare vogliementre il vecchio negro suona il blues.Quanta gente…Visti dall’altosembrano piccole,frenetiche, formiche.Strane sensazioni,chiare, invece,troppo chiare le voglie.Rosa Rossa e Stella Nera,abbracciano il destino,finzione di una scelta.Bevono e pensano,fino a star male.Bevono e pensano,mentre il vecchio negro,suona ancora il blues.Taglio le gambe alle nuvoledi primavera inoltrata,al punto da dimenticareciò che eravamo noi;molto più di qualcosa,meno di un lecito amore,e scrivo di te,rude essere natodall’uovo di madree dal solito padreche tagli le ali ai miei sognial punto da non dimenticaretra conflitti e ricattii secoli in cui hai amato,Racconti_________odiato, tradito,Gianmarco Dosselli — Flero (Bs)e solo adessoIL REGALO DEL GATTOdal fluido nerotra le mie rigide dita,Mattinata della vigilia di Natale. Davide Sabani,esprimi a mio modooramai prossimo a “conquistare” la sua pensioneil tuo essere fragile,d’anzianità, prediligeva quella mattinata seduto su unamentre raccontopoltrona, tra la solitudine e il silenzio: il fuoco della trama del fatogrande camino del salotto era la sua unica visioneche intreccia ancoraspettacolare. Al calore della fiamma, la sua giornatale nostre effimere vite.“invernale” si alternava con letture, musica radiofonica,computer. A volte evitava questi “oggetti di compagnia”per poter meditare sul passato, sulla sua giovinezza, sulValentino Vannozzi — Torrita di Siena (Si)ricordo dei banchi scolastici…BEFFA LA MORTELa neve aveva appena smesso di cadere; il panoramacampagnolo sembrava uscire da un racconto diBrilla ancora piccola stella,Dickens: la spessa coltre sul selciato e sui cornicioni; lebrilla,luci colorate degli alberi natalizi dietro i vetri delleanche se ormai sei morta.finestre, che facevano un caldo contrasto con leFacci vedere il sentiero sicuro,bianche colline circostanti e lontane. Quella mattina,lontanodirimpetto a un fuoco più che mai ardente, il suodalla luce cannibale.pensiero era legato a una certa gattina, di nome “Sissi”.La dea bianca osserva stupitaLa vide per la prima volta una gelida mattina d’autunnoIl genocidio dell’uomo terrestre...di cinque anni prima, quando la sua domestica si rivolseDitemi: quale degli astri non scapperebbe dalla terra, a lui perché in qualità di veterinario visitasse la bestiolase non fosse legato da leggi superiori?dal pelo nero.Brilla ancora“Non sapevo che avesse un gatto, Clara!”piccola stella,“Non l’abbiamo, dottor Sabani. Questa è unala morte non ti ha spento.trovatella. L’abbiamo chiamata “Sissi”; viene da me dueNon farti ingannare de furbe bugie,o tre volte la settimana. Io e i miei familiari le diamo dala tua luce la vedremo ancora per molto. mangiare.”Disintegrati,“Non avete mai pensato che, magari, voglia restarepiccola stella,sempre da voi?”esplodi,“No. È una creatura timida. Entra in casamafurtivamente, prende il cibo e poi se ne va. Ha un’ariacontinua a brillare...simpatica, ma sembra non gradire interferenze di sortaBeffa la morte!nella sua vita privata.”Il dottor Sabani osservò la gatta. La prese tra le suebraccia, ma subito l’animale si divincolò. A terra, laBLUESgatta s’accostò, pacificamente, sulla prima base delcamino. C’era qualcosa di strano nel comportamento diEccomi qua,Sissi. Seduta diritta come un fuso sullo spesso tappetodi nuovo…davanti al fuoco, non pensava neppure adstrane sensazioniacciambellarsi o a lavarsi o a fare qualsiasi altra cosa9<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


che non fosse il semplice guardare davanti a sé.Qualcosa nel suo pelo polveroso, nel suo aspettomacilento e un po’ selvatico fece intuire al veterinario laverità sul suo conto.“Sembra quasi che voglia concedersi un lusso.”,annuì il dottore. “Sta assaporando una sensazione dibenessere insperata nella sua esistenza quotidiana!”L’uomo provò a fare amicizia con l’animale.Parlandole con voce dolce e suadente riuscì adaccarezzarle la guancia con un dito. Risposestrofinandosi contro la sua mano, poi uscì furtivamentedalla stanza e si eclissò. La domestica fece un gestoamabile e dichiarò il suo dispiacere che la gatta circolinelle stanze credendo nell’ira del suo datore; ma cosìnon fu: il dottor Sabani rise divertito alla reazione dellagatta.“La lasci stare. Finita la sua giornata se la può portarea casa. È una straordinaria gatta; la curi e laprotegga.”, replicò generoso come sempre.Era la mattina dell’Epifania quando il veterinario ebbedi nuovo notizie da Clara, e il suo tono di voce era discusa.“Dottor Sabani, mi spiace disturbarla proprio oggi.”,disse. La sua naturale gentilezza non riusciva anascondere la preoccupazione che si avvertiva nitidanella voce. “Si tratta di Sissi. C’è qualcosa che nonquadra; per favore, vorrebbe raggiungere casa mia. Ècomparsa all’improvviso circa due ore fa; sembravareggersi a fatica sulle zampe e teneva in bocca ungattino.”“Accorro subito, non si preoccupi!”Sissi giaceva immobile su un fianco, e rannicchiatovicino a lei c’era un gattino nero. Il dottor Sabanis’inginocchiò e passò la mano sul collo e sulle costole;era più magra del solito, con il pelo sporco e incrostatodi fango. Quando le abbassò la palpebra e notò che lacongiuntiva era bianca, ebbe un presentimento. Palpòl’addome e constatò una massa dura tra i visceri: unlinfosarcoma. Per giunta a uno stadio avanzato e senzasperanza di guarigione.“Sta morendo. È in coma e ormai non soffre più.”,dichiarò.“Povera bestiola!”, singhiozzò la donna. “Cosa deveaver passato! Avrei dovuto fare molto per lei!”“Nessuno avrebbe potuto fare di più di lei, Clara.”“Avrei dovuto tenerla qui, al caldo. Dev’essere statoorribile rimaner fuori al gelo così malaticcia, e avendoavuto i gattini, per giunta! Chissà quanti ne sono nati!”“Non lo sapremo mai. Forse, ne ha avuto uno solo.Capita, a volte; e lo ha portato a lei, vede?”“Un bel gesto!”, disse commossa, Clara; non appenal’ebbe preso in braccio, il micino aprì la piccola bocca inun muto miagolio. “Davvero strano, dottore! Stavamorendo e ha condotto qui il suo “figliolo”. Amore dimamma gatta!”Sabani si chinò e mise la mano sul cuore di Sissi; nonsi udì alcun battito. Avvolse la bestiola in un lenzuolo ela portò nel bagagliaio della macchina. Quando ritornòdalla sua domestica, lei stava ancora accarezzando ilgattino e non piangeva più. Disse che lo volle con sé…Il micino divenne presto un bel gatto dal pelo lucentee dall’indole violenta, a cui mise il nome di Buster. Sottoogni aspetto era l’esatto contrario di sua madre.Camminava sui pregiati tappeti come un re. Durante levisite, Sabani osservò la sua crescita, ma il momentoche gli era rimasto più impresso fu l’Epifania dell’annodopo al suo arrivo in casa di Clara. Buster saltavaaddosso ai gomitoli di Clara, le orecchie tese, gli occhifiammeggianti, toccandoli prima con una zampa, perpoi fuggirsene via.“Vede, dottor Sabani… si diverte a tormentarli!”, riseClara. “Voglio farle vedere una cosa.”Clara prese una palla di gomma e uscì, seguita daBuster. Gettò la palla nel prato gelato e poco innevato,e il gatto le si precipitò dietro, i muscoli tesi sotto ilnero lucente del suo pelo. Afferrò la palla con i denti, lariportò alla padrona, la lasciò cadere e atteseimpaziente. Sabani rimase a bocca aperta, incredulo.Un cane da riporto travestito da felino!“Ha mai visto niente di simile, dottor Sabani?”“Accidenti!”, esclamò aggrottando la fronte. “ Mai! Èdecisamente un fenomeno questo gatto!”Buster era il ritratto della salute e della contentezza;era eccessivo immaginare che Sissi, in punto di morte eal limite delle forze, avesse voluto portare il suo piccolonell’unico luogo caldo e confortevole che conosceva,nella speranza che là potesse essere amato? Tuttavia ildottor Sabani non era l’unico a pensarla in quel modo.“Sissi sarebbe felice.”, disse Clara.“Sì, è vero! Lo portò qui esattamente un anno fa.”“Ed è stato il più bel dono che abbia mai ricevuto nelgiorno dell’Epifania.”Sissi, la cara dolce gatta… Cinque anni erantrascorsi. Ora come ora, Buster era un gattone cheamava saltare addosso a ciascuno dei cuscini cheabbellivano il divano di Clara. Il dottor Sabani si “destò”da quei ricordi; scrutava, quasi stupefatto, i dintorni delsuo salotto come chiedersi in quale luogo si trovasse. Ildintorno del salotto era riccamente addobbato conlustrini e rami di agrifoglio. Dalla cucina veniva uninvitante profumo di tacchino al forno…Daniela Raimondi — Londra (Gr)E-MAILL’ho trovata stamattina presto fra la posta elettronica.Era ancora buio. Faceva freddo e stavo bevendo unatazza di té.‘Receiving Mail’, poi ho visto il tuo nome sullo schermo.Il titolo del messaggio: “allacciare le cinture”. Speditoalle 2:51 della notte.Un piccolo strappo, giù, in fondo. Un piccolo attimo distupore. Un vago senso di malessere. Il tuo nome,dopo oltre due anni di silenzio.Mi dici che hai trovato il mio nuovo indirizzo di e-mailcon una ricerca in internet. Un sito di letteratura, e unamia foto nuova. Mi dici che sono ancora bella. Parli delpiù e del meno. Di te racconti poco. Che adesso haiun cagnolino che si chiama Charlie, altre cose così,senza importanza.Non mi dici se l’hai sposata. Se siete ancora insieme.Se sei felice.Non ce n’è bisogno. Un uomo felice non passa la nottescorrendo internet in cerca di un amore finito. Finitosotto la pioggia sottile dell’Appia Antica, con la nebbia10<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


che copriva i ruderi e la voglia di piangere frenata amalapena.Fuori è ancora buio. Il té è ormai freddo e fisso le tueparole sullo schermo. Penso alle nostre risate, a te checantavi Guapparia a suarciagola sull’autostrada. Comecantavi male amore mio…Poi mi torna in mente la prima volta che abbiamo fattol’amore. Avevamo dormito nel tuo letto, tutta nottesenza nemmeno sfiorarci. Al mattino abbiamo apertogli occhi nello stesso momento. Siamo rimasti aguardarci in silenzio. Chi ha mosso per primo la mano?Io o tu? So che le nostre dita si sono avvicinate, sisono intrecciate con una delicatezza estrema.C’era l’eclisse a Roma quel giorno. La città oziava. Ilcaldo era denso, l’aria pesante.Penso alla Notte di San Lorenzo, alla spiaggia del lagodove mi avevi portato a guardare le stelle cadere. A teche mi spedivi una mail mentre io dalla cucina buttavola pasta.“Cosa stai facendo?” – chiesi.Non mi rispondesti. Ma quando tornai a casa, trovai iltuo messaggio. Dicevi che la storia dei desideri e dellestelle che cadono a San Lorenzo era vera: il tuodesiderio si era avverato. Quante sciocchezze fanno gliinnamorati.Poi ricordo tutti i momenti tristi, uno ad uno. Sonoancora più vivi, quelli.Che strano. Si dice che degli amori passati si finiscesempre per ricordare soltanto i giorni felici. Che ildolore si dimentica con il tempo, come dopo un parto.Perchè se il ricordo del dolore perdurasse, sicuramentenessuna donna affronterebbe mai una secondagravidanza. E nessuna donna potrebbe più amare. Ildolore si dimentica sempre, dicono. Io so che non èvero. Mi tornano in mente tutte le tue parole la nottepassata a Firenze. C’era quell’incredibile facciata dimarmo della chiesa dall’altra parte della stradina. Unaluce bianca riempiva la nostra finestra. Mi abbracciavi ec’erano gli angeli, e i putti, e i santi con le trombe delParadiso che splendevano di là del vetro, appena di làdel vetro. Avremmo quasi potuto sfiorarli.“Non ti scorderò mai. Non potrei mai scordarti.” – midicevi. “Ma tu devi pretendere tutto da un uomo.Giuramelo. Devi volere tutto, fino in fondo. In amorenon ci si può accontentare.”Quelle parole non me le sono dimenticate, sai? Non mele sono dimenticate mai. Parlavi di essere logici,razionali. Che la distanza era troppa, e l’età, e poi lei.Lei che non amavi, ma era una scelta più ragionevole.Era più adatta alla tua famiglia, alla tua vita. Ma erame che tenevi sempre più stretta. E mentre io ti dicevosì, sì hai ragione, hai ragione, tu scoppiasti a piangere:“È te che voglio, è solo te che voglio, solo te….”.Invece mi lasciasti. Per una storia senza amore ma piùtranquilla, più accettabile, più facile.Leggo di te, della notte di Roma e di quanto forte stiapiovendo mentre mi scrivi. Di quanta voglia tu abbia dirisentire la mia voce. Qui invece sta arrivando ilmattino. Qui non piove, sai? Il cielo è pulito. Sarà unabella mattina di sole.V. la traduzione in ungherese di Olga Erdős nella rubrica«Appendice».Umberto Pasqui — ForlìRESINOSAAlla fine mio padre non mi vollecon sé: mi disse che là, quelgiardino, era un posto pericoloso eche lo avrei accompagnato un’altravolta a lavorare. Allora, tutto queldiscorso sulla fatica… Perchécambiare così presto idea? È unposto da non-bambini, diceva il verduraio, il figlio dellaStupita, con uno di quei sorrisi senza verità. In paese sisussurrava che quando la luce del sole picchia fortedentro il giardino misterioso degli Spocchiali, rimbalzaun bagliore dorato cui nessuno sa dare interpretazione.Nemmeno il saggio Gamba di Locusta, maestro disolfeggio in pensione, aveva mai capito molto di quelfenomeno strano. Sauro, il collezionista che mettevabello con bello, cioè la tela di un quadro sulla tela di unaltro per venderli in coppia, mi raccontava di quantioggetti preziosi era ricca la casa degli Spocchiali.Quando mio padre tornò dal lavoro aveva gli occhi chescrutavano cose lontane: non avevo mai visto quellosguardo. Non parlava, faceva finta di niente. Ma sapevoche dietro alla muraglia gigantesca c’era qualcosa chelo aveva sconvolto. La televisione fu la sua salvezza, sirifugiò nelle parole di niente e non riuscii a dormire.Sotto la mia finestra c’è la strada, la stessa strada chepercorro tutti i giorni per andare a scuola. Sulla strada,a qualche centinaio di metri, inizia la muragliagigantesca. Sentivo fare baccano quella notte, come digente che batte bastoni sui pali della luce. Avevo pauragià ricordando lo sguardo annullato di mio padre equella parola “Spocchiali – Spocchiali” che misconquassava il contenuto della testa. «Ricordati di nondire a nessuno quello che hai visto – urlava quellagente là fuori – ricordati: nessuno!» La luce del mattinomi fece dimenticare la paura: il sole, il sole caldo avevacacciato via l’angoscia della notte. Però quella muragliaera sempre lì, sempre invalicabile. E gli occhi di miopadre… Invece di andare a scuola cercai un modo perentrare nel giardino degli Spocchiali. Non c’era unascala tanto grande per vedere oltre il confine, né volevodare nell’occhio per evitare di sentirmi urlare dietro «Ilfiglio del giardiniere, il figlio del giardiniere non èandato a scuola!» Mi venne in mente che Volto dellaSalute aveva dei trampoli che non usava mai e lasciavaincustoditi accanto ai rastrelli nel capanno dell’aia. Mache senso avrebbe avuto prendere una cosa non miaper entrare in un posto non mio, per di più un postoper non-bambini? «È il senso dell’ambra» mi mormoròalle orecchie Sebastiano Spocchiali quasi mi leggessenel pensiero; non era lì per caso. «Se vuoi scoprire ilsenso dell’ambra – mi disse sorridendo – vieni con me».Non ebbi il coraggio di dire di no. Avevo paura di lui: èpoco più grande di me, non se ne parla bene in giro, faquello che vuole perché la collina è la sua, dei suoigenitori e dei suoi nonni. Mi prese per mano e mi fecearrivare davanti al portone di casa Spocchiali: un arcotutto grigio, grande come il doppio di mio padre. Aprì laporta, sua madre mi venne incontro e lo sgridòfortissimo: «non devi portare a Resinosa i bambini deglialtri!» Fui accompagnato fuori da un signore dalla manotremante e nel tempo di un saluto ero di nuovo in<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 11


mezzo alla strada. A questo punto non potevo tirarmiindietro. Corsi a prendere i trampoli di Volto dellaSalute, ma non erano sufficienti a scavalcare l’altissimamuraglia. Quindi li riportai indietro, avevo una rabbiadentro che sfogai in un urlo terribile. Dovevo volare, aquesto punto: e l’unico modo per sollevarmi da terraera chiedere aiuto a Gamba di Locusta. Mi consigliò dilasciar perdere, quindi mi rivolsi alla Stupita, la vecchiadel mulino. «Se questo è il motivo ti dico: non farlo –mi bisbigliò – non puoi vedere ciò che c’è dentro lamuraglia». Lei sapeva, quella donna c’era stata, forse.La supplicai di parlare: dapprima resistette, ma poi…Visto che nessuno aveva l’abitudine di ascoltarla sputò ilrospo. «Quel giardino è chiamato Resinosa – rivelò laStupita – ed è chiuso da una muraglia inespugnabileperché è pericolosissimo: devi sapere che lì dentro glialberi gocciolano una resina che avvolge chi vi entrafino a catturarlo in una colata di ambra». Ammetto chescoppiai a piangere: ecco cos’aveva visto mio padre.Chiesi il motivo di tutto questo e la vecchia parlò di unostrano sortilegio che sarebbe terminato quando almenoun abitante del paese avesse rimediato a un errore dalui commesso. Vaghe come tutte le risposte chesconfinano nell’oracolo, le cose dette dalla Stupitavolarono via tra le nuvole finquando mi ricordai dellosguardo di mio padre. Fu così che presi sul serio lascuola e mi misi a studiare d’impegno; ci volle un po’ ditempo, ma poi arrivarono buoni voti. In quel momento,gli alberi malefici di Resinosa seccarono, al loro postoora c’è un prato di mughetti.NOTTENell’ultima notte a La Thuile stava contemplando unaroccia presa in alta montagna. L’aveva scelta per la suafaccia mutevole, arricchita da cristalli bianchi eabbracciata da piccoli licheni, sprazzo di vita tenace inuna materia provata, senza quiete pur nella pace dellecime. Sfumature ferrose e caverne dell’era glacialemartoriavano questo piccolo mondo di roccia. L’avevascelta perché era equidistante tra persone interessanti,quelle con cui era salito sin sulla cima, quelle cui avevaripetuto: «Non posso dirti quanto manca alla fine delcammino, ma posso dirti di camminare con me».L’aveva scelta perché era rivolta verso il Bianco che soloa lei, nel segreto, rivelava le sue fattezze scoprendosidalle nubi perpetue. L’aveva scelta perché collocata inun luogo di trascendenza, in prossimità dell’Assoluto.Fissandola, s’inoltrò nei percorsi labirintici dellerimembranze. C’era, così ricordava, lassù sul belvedere,uno scriteriato che lanciava sassi; c’erano quelle colfiore in testa o chi si bruciava, svenendo al sole.Pensava alla torinese, o a quella cena: sedanini al pestocon pomodorini freschi, vitello arrosto e zuppa inglese.La roccia prende la forma del ricordo, benché essa nonricordi, non abbia memoria. L’uomo trasforma le cose ele colloca in uno spazio utile alla conoscenza. Se non cifosse l’uomo, le rocce non evocherebbero ricordi. Fucosì che quella pietra, esposta da sempre alleintemperie più aspre ma alla bellezza più pura, iniziò alamentarsi. Nella camera d’albergo era impossibilestare: la roccia balbettava e frignava come un bambinocapriccioso. D’istinto, venne da metterla in valigia eserrarla lì dentro. All’istinto subentrò lo stupore, invanoimbrigliato da logiche spiegazioni. Fatto sta che laroccia riuscì ad evadere dalla valigia mentre il suorapitore stava approfittando della doccia. Sortì dallatrecentosei e percorse i corridoi dell’albergo, fermandosiappena qualcuno le passava accanto. Fu contattato ildirettore che prese sul serio la questione solo al quartobicchiere di grappa: purtroppo la ricerca risultavaproibitiva per l’estensione dell’albergo e per il tempoormai trascorso da quando la roccia era evasa.Nell’ultima notte a La Thuile erano accadute altre cosestrane, la cui memoria, però, si sciolse confluendo nellaDora. L’impresa della roccia, invece, rimase impressa achi n’era venuto a conoscenza. Pensò che era tornatada dov’era stata presa, lassù, oltre le due seggiovie. Oforse aveva raggiunto la coltre glaciale del Rutor nelleore piccole della notte graia? Lo scompiglio destò lecamere: qualcuno aveva trovato la roccia o, meglio,l’aveva ascoltata. Si diresse verso il salone: c’era uncentinaio di persone nonostante che l’aurora fosseimminente. Sul palco, la roccia raccontava la sua storiasenza tempo: anche per questo l’aveva scelta. Si mise asedere, tranquillo, e attese l’alba facendo attenzionealle sue parole.LO SCUDO NEL CIELOQuando si guarda il cielo non si fa molta attenzione allestelle che compongono il firmamento; spesso ci sisofferma solo su quelle più appariscenti e più brillanti.La nostra vista è attratta dalle costellazioni note, chesembrano le cose che rappresentano, di cui conosciamoi miti e le leggende. Quasi nessuno ha mai notato unrombo allungato, velato appena dalla bianca copertadella Galassia, che pare proteggerci dall’Aquila inpicchiata. È lo Scudo, piccola costellazione inventata nel‘600, creata giusto per colmare uno spazio vuoto nelcielo. Fu dedicata al grande re polacco Giovanni IIISobieski, guida dell’esercito che respinse l’avanzatadegli ottomani alle porte di Vienna nel 1683. Nonostenta magnificenza, umilmente splende con pocaforza. Si sa per certo che la regione che comprende loscudo nel cielo è abitata dagli scudati, creature alatedall’aspetto bizzarro. Essi vorticosamente volano tra lequattro stelle principali della costellazione come se vifossero imprigionati. Qualche telescopio, puntando ilcielo dalle alture deserte delle Ande, è riuscito a vederlinella forma di una scia continua a veloce, una specie digomitolo di luce. Secondo le più moderne teorie, siproteggono sotto lo scudo dalle insidie perpetuedell’Aquila e in esso vivono cibandosi di quei residui dimateria che vagano nello spazio. Il respiro veloce degliscudati (unico rumore presente in quella regione delcielo) influenza anche alcuni nostri comportamenti, maquesto non è certo, essendo più materia di astrologiche di astronomi. L’Aquila non riuscirà mai araggiungere e divorare gli scudati perché essi sonoprotetti dallo scudo. All’interno del rombo umilenessuno potrà mai nuocere a questi strani esseri chenon parlano né vagiscono. Così gli scudati, respirando,potranno volare rincorrendosi e giocando all’internodella costellazione, protetti da ogni male, in attesa chevenga la fine del tempo. Da quel giorno, infatti, il cielo12<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


si aprirà e tutte le stelle si scioglieranno, l’Aquila sidissolverà e lo scudo esploderà lasciando gli scudatiliberi di sfrecciare nell’infinito.Francesco Tiberi — Tolentino (Mc)EPIFANIAEpifania: …fig. lett., Manifestazione, apparizione;(Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana)Giornata festiva, silenziosa.Pomeriggio di gennaio grigio tenue, perfettamenteintonato al pallore gelido del cielo carico di umidità.Una vecchia coperta di lana sulle spalle. Le dita dellamano sinistra ne avvolgono ritmicamente le frange,inappagate.Il naso ed i bronchi saturi di muco, desiderosi diaprirsi a più ampi respiri.Anche stanotte poco sonno per me. In camera facevacosì dannatamente freddo che, nonostante la cuffia dilana calzata fino agli occhi e la montagna di copertetirate fin sulla bocca, il mio naso si è quasi staccato,tanto era gelato. All’alba, il termometro sul comodinosegnava 9,8°C.Questa casa piccola e vecchia non è stata concepitaper affrontare l’austero inverno. Chi l’ha costruita neaveva immaginato un destino lieve, di estati spensieratee calure salmastre. Ora che viene abitata anched’inverno, forse sentendo violata la propria intimanatura, essa si rivolta contro di me non trattenendoalcun calore e lasciandosi penetrare da qualsiasi soffiod’aria gelata l’avvolga.Un po’ puttana, casa mia.Niente di più triste che vedere abbandonato un luogoche si ricorda brulicante di euforica vitalità. Per me chesono un uomo di entroterra, è tristemente stranoabitare al mare in questa stagione.Ora spettrale ed oscuro, il quartiere in cui vivo daquasi un anno ha la capacità di indossare il vestito dellafesta i primi di maggio e scrollarsi di dosso le facce dagaleotto e gli stralunati cronici che ne popolano le viedurante la brutta stagione. Forse le squadre di operaicomunali che lo mettono a soqquadro prima dell’arrivodei vacanzieri conoscono un segreto per seppellire sottoagli zerbini delle case sulla spiaggia la vita minuta cheper lunghi mesi si è nascosta nei suoi angoli bui.Un tempo borghesemente residenziale, da qualcheanno il quartiere è popolato dalle genti più disparate.Donne immigrate, occhi fieri che spingono passegginiperennemente pieni, muratori dalle fronti basse comegli occhi costantemente puntati sull’asfalto che partonoall’alba a bordo di furgoni scassati e loro, le silenziose eriservate puttane, le cui finestre sempre illuminateoffrono compagnia e conforto alle solitarie notti deipochi residenti locali, spesso tristi professionisti single.Le mie vicine di casa.Starsene fermi su questa sedia rossa di vimini a farcorrere le dita sulla tastiera del portatile non è perniente facile.Il freddo penetra nella carne fin dentro alle ossa.Lama affatto sottile che affonda nella mia fronterisvegliando un mal di testa sordo, profondo,irrisolvibile.Lo sguardo attraversa i doppi vetri delle finestrefissandosi sui rami immobili degli alberi spoglifrequentati da merli sbiaditi, il collo rinsaccato tra alispiumate, pochissima voglia di volare lontano.Claudia dorme ancora, non voglio svegliarla.Prima che si abbandonasse al sonno ci siamoabbracciati forte, cercando ristoro e calore nella sommadei nostri respiri. Così piccola e morbida tra le miebraccia. E maledettamente stanca.Il lavoro la sta distruggendo, dolce fiamma cheriscalda la mia vita.Sono le due passate ormai, eppure resta avvolta inun bozzolo di coperte. Sul cuscino i capelli sparsi ed ilritmato respiro del riposo privo di brutti sogni. Invidioprofondamente la sua capacità di gettarsi tutto allespalle dandosi in pasto al sonno, sorridente.Io no, non ci riesco. Più forte di me.La notte, quando ci stendiamo nel buio umido dellacamera da letto e lei cade quasi subito addormentata,io vago per molti minuti in cerca di ispirazioni chealimentino le mie ossessioni. Generalmente, dalprincipio combatto con i miei disturbi di stomaco primache il silenzio mi avvolga mentre faccio conoscenza connuovi autori assaporandone lo stile e bramandodisperatamente di carpirne i segreti.Da dove proviene il maledetto talento che trasuda daogni loro pagina? Riuscirò a violare la misteriosaalchimia che fa di uno scribacchino come me, un veroscrittore?Il tempo che mi separa dalla veglia è breve, cinque osei ore al massimo.Al primo rumore del mattino qualcosa nel mio cervelloinizia a pulsare, premendo sulle tempie senza lasciarmipace e rivendicando le proprie ragioni. Ossessione chesi manifesta sotto forma di immagini che noncomprendo, ma che misteriosamente riconosco.Pensieri che si espandono rapidissimi, indistinti,obbligandomi a fissarli immediatamente sulla carta deltaccuino che non mi abbandona nemmeno quandovado a letto, rischiarato dalla luce fioca della piccolalampada azzurra del comodino di bambù.Sento la mancanza del tempo. Disperatamente.Ne ho sprecato tanto in vita mia, da non poterne piùperderne neanche per riposare.Scrivere. Ansia bella che pervade la mente.Autoanalisi da quattro soldi cui non so rinunciare.Mi consente di guardare il mondo dall’alto dellacattedrale che ho edificato attingendo al monte dei mieierrori perduti, inesauribile cava.Il mio desiderio, vivere di scrittura. Così da scrollarmi didosso la polvere che la vita deposita sulle mie spalleogni giorno, generosa.Scrivere è impegno costante, fatica. Ahi, quantoaspra fatica. Soltanto chi ha pratica di tastiera eschermo bianco può capire.La genesi di un racconto, nebulosa che si addensa,coagulo di esperienze. Dapprima intuizione vaga,impalpabile, a volte una storia si fa inseguire persettimane senza lasciarsi afferrare. Eppure si trova lì,<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 13


appena più in là del mio sguardo annebbiato, incrostatatra le pieghe di un sogno, perfettamente definita dallaluce di un istante.Raccontare, esigenza antica. Utopia, forse.Il primo racconto pubblicato. Come descriverel’emozione di veder riconosciuto valore alle parolescritte durante l’orario lavorativo, per una scommessacontro sé stessi?Sono realista.Trentadue anni, bianco, occidentale, sufficientementeferito dal mondo per tendere a non illudermi di frontead alcuna lusinga.Ho ricevuto complimenti e qualche spazio in alcuneriviste letterarie, ma scrivere, a tutt’oggi, non mi hareso un euro. Nessun, maledettissimo, euro.Eppure, ogni atomo che compone il fragileagglomerato di cellule che dà forma al mio corpodetiene in sé una certezza. Io scriverò.Da dove possa nascere tanto impalpabile convinzione,francamente, lo ignoro. Nulla, nella mia vita di oggi,lascia supporre la minima possibilità di successo.E dire che, finora, la vita mi ha accompagnatoladdove non avrei mai pensato di andare. A volterivoltandomi a ceffoni, altre accarezzandomidolcemente le guance, ma è andata così.Una convinzione che non voglio analizzare misospinge. Ciecamente.Mai avrei pensato, un anno e mezzo fa, di trovarmi diquesti tempi in questa casa di vacanza abbandonata,lasciata la famiglia, un lavoro assurdo per le mani eduna ragazza allora sconosciuta, teneramenteaddormentata nel mio letto. E quanto ho lottato peraverla accanto a me.Ho abbattuto montagne e prosciugato mari, ingoiatorabbie e rancori. E sconfitte molte e speranza, infinita.Ma ora lei dorme nel mio letto. Il passato, distante.Ed io amo, finalmente.Inquieto, la mente confusa. Aria fredda risale lenarici ravvivando i pensieri. Mi gratto la testa sperandodi cavarne qualcosa di migliore della mia calvizie. Latastiera ticchetta gentile sotto le mie dita screpolate einfreddolite.Comincio ad aver fame. Gli occhi serrati sulloschermo.Il quartiere, muto, pallida ombra di sé stesso.Gocce di condensa si staccano dal riquadro metallicodell’infisso e solcano i vetri ambrati delle finestre gelatedisegnando animali inesistenti.Ho trascorso la giornata festiva chino sulla tastiera, ascrivere queste righe. Domani al lavoro, come al solito.I colleghi mi chiederanno conto degli occhi segnati edella magrezza eccessiva. Mi sfotteranno ed io nonspiegherò. Li lascerò fare. Starò al gioco. Riderò di meinsieme a loro. E continuerò a ritagliare la normalità pernon spegnermi.Scrivendo. Al meglio delle mie capacità.Dovere verso me stesso.Spero.Sento qualcosa muoversi oltre la porta chiusa delcorridoio. Una voce arrochita dal freddo e dal sonnoprofondo squarcia il silenzio, chiamandomi a sé.Claudia è sveglia.È tempo di richiudere il computer per correre adabbracciarla mentre ha gli occhi ancora chiusi ed ilprimo sorriso del giorno nuovo si apre sul suo visoperennemente ferito dalla luce.Mi alzo dal tavolo insoddisfatto. Una mole di lavoroimmensa si staglia di fronte a me. Un libro tutto mio lameta, lontana.Mi fermo per un istante a guardare il mare attraversoi vetri appannati.Gli occhi bruciano, ma il cuore si rifiuta di rallentare.DIARIO DI LETTURA & PRESENTAZIONI____________Galleria Letteraria & Culturale Ungherese____________Lirica unghereseAdy Endre (1877-1919)«ÁDÁM, HOL VAGY?»Oszlik lelkemnek barna gyásza:Nagy, fehér fényben jön az Isten,Hogy ellenségim leigázza.Az arcát még titkolja, rejti,De Nap-szemét nagy szánalommalMost már sokszor rajtam felejti.És hogyha néha-néha győzök,Ő járt, az Isten járt előttem,Kivonta kardját, megelőzött.Ady Endre (1877-1919)ADAMO, DOVE SEI?Il lutto marrone dell’anima mia si dissolve,In una gran luce candida arriva il Signore,Per soggiogare i miei nemici.Il suo volto ancora lo cela, lo nasconde,Ma i suoi occhi di Sole con grande pietàOra già spesso li scorda su di me.E quando io trionfo di tanto in tanto,Egli, l’Iddio è passato a me davanti;Ha estratto la sua spada, è prima arrivato.Hallom, ahogy lelkemben lépkedS az ő bús «Ádám, hol vagy?»-áraAvverto i suoi passi nel mio animo,E al suo tetro: «Adamo, dove sei?»14<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Felelnek hangos szívverések.Szívemben már őt megtaláltam,Megtaláltam és megöleltemS egyek leszünk mi a halálban.Gravi battiti di cuore gli rispondono.L’ho già trovato nel mio cuore,L’ho trovato e l’ho abbracciatoE noi tutt’uno saremo nella morte.Traduzione di © Melinda B. Tamás-TarrA HALÁL ROKONAÉn a Halál rokona vagyok,Szeretem a tűnő szerelmet,Szeretem megcsókolni azt,Aki elmegy.Szeretem a beteg rózsákat,Hervadva ha vágynak, a nőket,A sugaras, a bánatosŐsz-időket.Szeretem a szomorú órákKísértetes, intő hívását,A nagy Halál, a szent HalálJátszi mását.Szeretem az elutazókat,Sírókat és fölébredőket,S dér-esős, hideg hajnalonA mezőket.Szeretem a fáradt lemondást,Könnyetlen sírást és a békét,Bölcsek, poéták, betegekMenedékét.Szeretem azt, aki csalódott,Aki rokkant, aki megállott,Aki nem hisz, aki borús:A világot.Én a Halál rokona vagyok,Szeretem a tűnő szerelmet,Szeretem megcsókolni azt,Aki elmegy.IL PARENTE DELLA MORTEDella Morte sono io parente,Amo l’amore sparenteAmo baciare,Chi sta per andare.Amo le malate rose,Le sfiorite, donne se desiderose,I radiosi, infeliciTempi d’autunno.Amo delle ore mesteLo spettrale, l’ammonito richiamo,Della grande Morte, della santa MorteIl sosia ridanciano.Amo chi sta partendo,Chi geme e chi si sveglia,E nell’albore brinato, freddoI prati d’erba.Amo il lasso sacrificio,Senza lacrime il pianto e la pace,Di saggi, poeti, infermiIl rifugio.Amo colui ch’è sfiduciato,Ch’è disabile, chi s’è fermato,Chi non crede, ch’è rattristato:Tutto il creato.Io della Morte sono parente,Amo l’amore sparenteAmo baciare,Chi sta per andare.Traduzione di © Melinda B. Tamás-TarJuhász Gyula (1883-1937)CREDOA sors kevély. A sors goromba.Ó emberek, álljunk a sorba,S ha végzetünk vak és kegyetlen:Tegyünk mi a hatalma ellen.Ha sebet üt, adjunk írt rája.Ha zsarnok a világ királya,Koldusai, legyünk mi jobbak,Részvevőbbek, irgalmazóbbak.Legyen e földön szent szövetség,Melyből a gazságot kivessék.Gyula Juhász (1883-1937)CREDOLa sorte è superba e orrenda.Oh, uomini! Mettiamoci in coda!Se il destino è cieco e crudeleAgiamo contro il suo potere!Se ci ferisce, curiamoci il cuore,Se il re del mondo è un oppressore,Siamo migliori noi indigenti,Più partecipi e più indulgenti.Nella terra sia un’alleanza santa,Da cui l’infamia verrà respinta.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 15


Az ember, aki gyönge, téved,Legyen erős! Jobb, mint a Végzet!L’uomo che è debole e fa errore,Sia forte e del Destino migliore!Traduzione di © Melinda B. Tamás-TarrKosztolányi Dezső (1885-1936)GYEREKKORJaj, a gyerekkor mily tündéri kor volt:egy ködbe olvadt álom és való,ha hullt a hó az égből, porcukor volt,s a porcukor az abroszon a hó.MAGÁNYOMMint telefon az elhagyott lakásban,Mely éjidőn reménytelen csörömpöl,Úgy jajveszékel itt hiába lelkem,Oly messze az élettől és örömtől.Dezső Kosztolányi (1885-1936)INFANZIAChe tempo di fate l’infanzia era!Reale e sogno in una nebbia sfumati:Neve cadendo, zucchero essa era,E zucchero neve sui tovagliati.LA MIA SOLITUDINEQual telefono in casa dove assentiA notte disperato che scampana,La mia anima qui vani da in lamentiTanto da vita e gioia sì lontana.Traduzioni © di Mario De BartolomeisTóth Árpád (1886-1928)HEJ, DEBRECEN...Árpád Tóth (1886-1928)EHI, DEBRECEN...Hej, Debrecen, Debrecen,Virágtalan város,Ködös képpel kérdezem:Mit kezdjek itt már most?Öreg pallóid poránCsüggedezve járok,Vén sikátoraid soránÁsítozva nyitja rámTorkát minden árok.Vén kapunkban nem köszöntPipás régi gazda,Agg akác se, üdezöld,Áldott ága aszva.Vinkós Sesta ó borátSehol se találom,Orros kancsót, csutorát,Öreg kocsmák bútorátKótyavetyén látom.Ama leányasszonyokAsszonyfővel járnak,Kik miatt még felzokogSzívemben a bánat.Új pár ül a kis padon,Diák, bakfis, látom,Ó, hiába tagadom,Oda sok szép tegnapom,Édes ifjúságom.Akkor voltam fiatal,Hogy elmentem innen,Egy-két zsenge diadalŰzött nagyra mennem,Jártam büszke hegyeken,Hazajöttem mármost,S kijózanít hidegenMost ez a nagy, idegen,Virágtalan város.Ehi, Debrecen, Debrecen,Città spoglia di fiori,Nebbioso in volto invocoCosa devo fare già qui?Sulle antiche passerelle sporcheAvvilito cammino,Tra i tuoi vicoli antichiSu di me apre sbadigliandoLa gola ogni fossato.Non saluta sul nostro liso portoneCon la pipa il vecchio padrone.Né la vecchia acacia, suo beatoVerde fresco ramo è seccato.Non trovo in alcun luogoIl vecchio vino di Sesta Vinello,La brocca nasuta, la borraccia,La mobilia delle vecchie osterieLe vedo accantonate.Quelle candide fanciulleCamminano da signore,Ancora per loro il doloreSinghiozza nel mio cuore.Nuova coppia sta sulla panchina,Uno studente, una ragazzina,Scorgo, oh, invano nego,I miei bei giorni, dolci verdi anniSono ormai lontani.Allora ero un giovanottoQuando da qui sono avviato,Un paio di tenere grandezzeMi spingeva verso altezze.Dei fieri monti ho scalato,Ora però sono tornatoE mi disincanta freddamenteOra quest’estranea, grandeCittà spoglia di fiori.Traduzione © di Melinda B. Tamás-Tarr16<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Erdős Olga (1977) ― Hódmezővásárhely(H)SZÜRKENéha szeretek szürke lenni,vagy fekete inkább, esetlegfehér, meg farmerkék –egyszóval egyen,hogy ne legyek feltűnő, kihívóés rívó,hogy befogadjon éselfogadjon a tömeg:„mass” ahogy az angol mondja -„massza” – undorító, nyúlánkés folyékony is, áramló, lüktető,de mihaszna.Tényleg, mi haszna így a létnek?Hát én leszek újra, különc,lázadó, furcsa lélek.Erdős Olga (1977) ― Hódmezővásárhely(H)GRIGIOTalvolta prediligo apparire grigioo piuttosto nero, biancomagari, oppure blu di tela di cotone *–per farsi breve: uniformeper non essere fuori dal comune,provocante e stridenteche la massa di gentemi possa accogliere ed accettare:«mass» come lo dice un inglese –«massa» – per un ungherese –è nauseante,viscido e fluido pure,affluente e pulsante, ma inutile.È vero, che utile ha così la vita?Perciò io sarò di nuovo insolita,un’anima atipica e insorta.* N.d.T. farmerkék: blu di tela di contone/blu dajeansTraduzione © di Melinda B. Tamás-TarrHollósy Tóth Klára (1949) ― Győr (H)IDŐMALOMBANA lenyugvó nap bíborába bágyad,a menny kirakatára bízza tündöklését,végtelenbe ring a fény, a káprázat,az alkony gyolcs ruhájába temeti létét.Míg fel-felfénylő szikraport ragyogtat,csapong csupa gyöngyben a leszállt békén,búcsút integet messzi csillagoknak,átlebeg balzsamos szellők hűvösségén.A gyönyörök kék kupolagyűrűbenpillanatot marasztalva ragyognak,a színeket szépen összegyűjtögetvemíg összegyűl a víz partján a harmat.Az angyalszárnyon szálló béke-kékekmély áhítattal, buzgón litániáznak,tetszelegnek a reszkető teremtésnek,halványlilára festve a violákat.Búcsúzik a tájtól engedelmesena fényt dajkáló varázs csönd-lila titokban,a halhatatlanság békéjébe veszvevirraszt az Öröklét lágy időmalomban.Klára Hollósy Tóth (1949) ― Győr (H)NEL MULINO DEL TEMPOIl sole occiduo languisce nella veste regale,al suo specchio affida lo splendore il cielo,fluttuano nell’infinito la luce e le faville,si oscura nel vespertino telo.Mentre fa brillare i granelli delle scintilleimperlato sulla pace calata fiammeggia,salutando congeda dalle distanti stelle,pel fresco dei venti balsamici volteggia.Nella cupola del cerchio azzurro gli onoribrillano chiamando l’attimo da fermarsi,e con ordine raccolgono dei colorimentre sulla riva la rugiada sta per allungarsi.Gli azzurri di pace volanti sulle ali angelichecon zelo e fervore immenso recitano la litania,vagheggiano alla creatura tremolantetingendo le violette in lilla sbiadita.Congeda dal paesaggio obbedientel’incanto cullando la luce in quiete-viola segreto,nella pace dell’immortalità smarrentel’Eternità vigila nel soave mulino del momento*.Qualche savio, creò questi versi invece di tenere lamorte in mente e così disse:Prosa unghereseL’INNO DELLA MORTE(Da il Libro degli Esempi)* N.d.T. In senso del tempo.Traduzione © di Melinda B. Tamás-TarrVado a morire, perché la morte è sicura, ma non c’è piùincerta dell’ora della morte. Anche se è incerta, vado amorire.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 17


Vado a morire; perché devo amare ciò che prometteuna fine amara acui l’amore è vano. Perché amo ciò?Piuttosto vado a morire.Vado a morire, perché tutto deve avere questa fine enulla darebbe dolore a cui questa parte non ci fossedata.Vado a morire, io che adesso sono un uomo presente,sarò simile agli uomini passati, se non me ne andrò, maoggi ancora vado a morire.Quarda dove va ogni uomo presente, perché il corsodel fiume può dire con me: vado a morire.Vado a morire, perché ogni vola sento che la morte èsicura e piuttosto abbandono la colpa capitale.Vado a morire, per i cattivi è una dura sentenza ed ibuoni saranno graziati. Dopo la vita arriva la morte,perciò vado a morire.Vado a morire, sono destinato a diventar cenere, comesono nato, così giungerò alla mia fine.Vado a morire seguendo gli altri, ma anch’io saròseguito dagli altri, perché non sono né il primo, nél’ultimo, per questo vado a morire.Vado a morire; sono un re, ma che onore, che vantoterreno perché per l’uomo la morte è il re-padrone,perciò vado a morire.Vado a morire; sono un papa ma la morte non mi lasciaa lungo fare il papa, mi chiuderà la bocca.Vado a morire; sono un vescovo, ma il pastorale, il suopeso, il kofium, la mitria volendo o nolendo, ma lilascerò e vado a morire.Vado a morire; in nessuna lotta non mi hanno vinto,anche se sono prode, non ho imparato vincere lamorte.Vado a morire; sono un campione, so combattere bene,ma non posso vincere la morte, perciò vado a morire.Vado a morire; la vecchiaia non mi lascia ancoracontinuare a vivere.Vado a morire; sono vecchio ed il mio tempo è giàvicino, il portone della morte si è aperto, perciò vado amorire.Vado a morire; sono oratore saggio, con le mie paroleho battezzato alcune persone, ma la morte mi habloccato, perciò vado a morire.Vado a morire; sono ricco ma l’oro e l’abbondanza dellemucche non mi sono utili.Vado a morire; sono povero e non porto con me nulla,odio il mondo, esco da esso nudo e vado a morire.Vado a morire; sono giudice, ho già giudicato moltepersone, temo il giudizio della morte e vado a morire.Vado a morire; il cattivo piacere non mi ferma, né lalussuria mi allunga la vita.Vado a morire; sono nato da nobile stirpe ma esso nonallunga il mio tempo, perciò vado a morire.Vado a morire; all’occhio sono bello, ma la morte nonsa avvantaggiare la bellezza ed il corpo nobile.Vado a morire; sono saggio ma qual’uomo saggi saconvincere l’intelligenza della morte? Si direbbe:neanche uno.Vado a morire; sono scemo, ma la morte né al scemoné al savio offre le nozze della pace o il suo servizio.Però tutti i due ugualmente vanno a morire.Vado a morire; ho avuto buoni cibi e vini, ho possedutiessi, però posso dire: vado a morire.Vado a morire;, sono un frate per l’amore di questomondo e per la buona vita morirò. Così vado amorire.Vado a morire; sono un medico, ma non mi salvo con lemedicine, i medici possono far qualsiasi cosa, perciòvado a morire.Vado a morire; perché mi diverto quando la vagafortuna tradisce l’uomo che si diverte. Perché mi divertoquando l’uomo che si diverte muore? Perciò vado amorire.Vado a morire; sono pieno di denaro, ma l’abbondanzadei soldi non allontana la morteVado a morire; ho vissuto a lungo, forse questo èl’ultimo giorno, perciò mi preparo a morire.Vado a morire; per me nessuno verserà lacrime, per menessuno dirà preghiere; ma farò scordare anche i mieidella mia morte.Vado a morire; ma non so dove andrò e non so neppurquando, ma dovunque m’incammini, vado sempreverso la morte.Vado a morire; perché vedo che la morte regna su tuttoe la sua rete è fitta e frequente.Vado a morire; e ti supplico Cristo misericordioso, abbipietà di me, perdona tutti i miei peccati perché devomorire.Vado a morire; pregando il mio Signore Cristo che tuttipregano e chiedano perdono per me, così bene vado amorire.Testo medievale in ungherese, il quale fu copiato nel 1510 daLea Ráskai e due sue compagne nel monastero delle suoresull’isola dei Conigli di Buda (oggi Isola Margherita aBudapest) è un dialogo tra la Vita e la Morte di Petrus deRosenheim, tradotto dal latino. János Hankiss (1893-1959) ,storico della letteratura disse: «Questa prosa ritmica la piùcommuovente poesia del Medioevo ungherese, la più bellavariazione della danza macabra. Pensare molto eprofondamente alla morte non è forse la maggior arra d’unavita intensa e utile?»N.d.R.: Il testo ungherese si legge nella rubrica «Appendice».Traduzione e nota di © Melinda B. Tamás-TarrCécile Tormay (1876-1937)LA VECCHIA CASA(Budapest, 1914)I.Era sera. L’inverno stendeva suomantello bianco sulla terra. Attraversola nevicata gli altissimipioppi sfaldati sfilavano incontroalla carrozza; si avanzavano spettrali sulla pianuraimmobile. Dietro ad essi i colli emergevano dalla neve. Ipiccoli campanili, i tetti delle case si ammucchiavanol’uno sull’altro. Qua e là minuscoli quadrati deifinestrini s’illuminavano nel buio.Quando la carrozza giunse la barriera daziaria, si erafatta notte. Al di là dello steccato due garitte, a mezzoaffondate nella neve, si ergevano di fronte. Il vetturinogridò, facendo tromba alla bocca con le mani. Dopo unpo’ una voce assonnata rispose. Nell’oscura profonditàdelle casette di guardia si videro muoversi i pennacchibianchi degli shakó 2 ; poi dalla baracca della guardiavenne fuori la luce di una lanterna. Dietro a quella unuomo, munito di carabina, si strascinò verso lacarrozza.18<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Era una berlina da viaggio ad alte ruote, dipinta adue colori; la parte superiore verde scuro, e l’inferiore ele ruote giallo limone. In alto, ai lati della cassetta,ardevano due lucerne ad olio, e il loro barlumeespandeva sul dorso dei cavalli. I corpi degli animalifumavano nel freddo.La guardia alzò la lanterna. Sfiorato da quella lucecruda, il finestrino della carrozza parve trasalire edimprovvisamente si sprofondava. Nel quadro delfinestrino si sporse una testa vigorosa e canuta. Dueimmobili occhi tranquilli fissarono in volto la guardia.L’uomo indietreggiò e s’inchinò rispettosamente.— È la carrozza degli Ulwing!... — E alzò la barriera.Sotto le due garitte le sentinelle presentarono le armi.— Potete passare.La luce delle lanterne della carrozza ora brancolavasugli storti steccati dei campi vuoti.Un grande mercato abbandonato. Il muro di unachiesa. Lungo le vie contorte delle case buie, gibbose,se ne stavano tra le fosse. Esse ad occhi chiusiorigliavano nel buio. Più in là le case parevano semprepiù alte. Per le vie non un essere umano. Solo accantoal palazzo del duca Grassalkovich 3 una guardianotturna sguazzava nella neve. Nelle mani dondolavauna lanterna di ferro appesa ad una pertica. L’ombradella sua alabarda, riflessa sul muro, pareva un neroanimale che si muovesse sopra il suo capo.Dalla torre municipale una consumata, lontana vocegridò nell’alto silenzio notturno:— Sia lodato il nostro Signore Gesù! La sentinellalassù segnalava che era desta.Di nuovo la città si immerse nel silenzio. La nevecadeva calma tra i vecchi comignoli dei tetti e sotto levecchie gronde sporgenti le strade contorte, come deicongiurati, sbucavano sospettose da ogni parte;congiungendosi in uno spiazzo tortuoso. Al centro dellapiazza, l’acqua scolava gelida dal parapetto del pozzodei Serviti; pareva una voce stanca che balbettasse unapreghiera nel buio, dinanzi alla chiesa.Alla casa d’angolo una solitaria, lanterna attaccata adun grosso uncino di ferro pendeva sulla via, le suecatene cigolavano piano ogni volta che il vento lescuoteva e la sua luce s’impiccioliva sul muro, tanto cheavrebbe potuto essere contenuta nel pugno di unfanciullo. In mezzo alla piazza del Mercato Nuovo c’erauna lanterna abbandonata dalla luce fumosa che sisperdeva nella densa nevicata; non giungeva adilluminare il suolo.Kristóf 4 Ulwing nascose il mento nell’ampio collettodel suo mantello. Il calendario oggi segna luna pienaed in simile ricorrenza il sindaco risparmia l’olio dellalanterna, e non c’è nulla da fare se talora il cielo non vadel tutto d’accordo col calendario e lascia la città nelletenebre. Del resto i bonari borghesi in quelle oredebbono starsene in casa.Due lanterne... ma tanto non servivano a nessuno.Pest, la vecchia cittadina borghese, dormiva di già, ea Kristóf Ulwing parve che fosse sempre così, anche digiorno, come se egli fosse l’unico a vegliare in questacittà.Alzò il capo. Ora percorrevano il sobborgo Leopoldo.Lo stretto selciato irregolare qui mancava. Le buchediventavano cedevoli e profondi sotto le ruote. DalDanubio salì un vento svolazzando le criniere dei cavalli.Ad un tratto il silenzio fu interrotto da un piacevole,libero mormorio. Tra le due rive dormienti, nellaprofonda oscurità, il fiume grandioso passava comel’invisibile vita, sempre rinnovandosi.Più in là si schieravano le bianche colline di Buda. Sullato di Pest una superficie piana si stendeva tra il fiumee la città. Su questo territorio bianco la casa di KristófUlwing sorgeva solitaria. Ormai già da trent’anni lachiamavano come casa nuova della città. La suacostruzione era stata un grande evento. Ognidomenica i cittadini del centro venivano a trovarlo:guardavano la casa nuova, confabulavano e scuotevanoil capo. Non riuscivano a comprendere come mai ilmastro costruttore Ulwing avesse edificato la suadimora là, su quella sabbia mobile quando, certo, nonmancava il terreno nelle belle e strette contrade delcentro. Ma egli ignorandoli, seguiva la sua strada esempre più si affezionava alla sua casa. Era veramentesua, era sorta dalla sua idea, era frutto del suo lavoro,ed era costruita del suo proprio materiale. Però unavolta...Mentre Kristóf Ulwing ascoltava inconsciamente ilmormorio del Danubio, nella sua anima si ravvivarono iricordi lontani, da tempo ormai già muti. Egli pensava aisuoi avi Ulwing che avevano vissuto nelle vaste, oscureforeste germane; facevano i taglialegna e il Danubio lichiamava; ed essi erano scesi giù, lungo le sue rive, poiavevano preso la cittadinanza di una piccola cittàtedesca, dove esercitavano i mestieri di falegname e difabbro. Lavoravano il legno di quercia e il ferro colsemplice, puro materiale e si assomigliavano ad esso.Erano diventati uomini onesti e forti. Poi uno di loro eraperegrinato in Ungheria, stabilendosi a Pozsony 5 , dovesi era fatto accogliere nella Corporazione degli orafi.Lavorava l’oro e l’avorio e nell’opera del cesello la suamano diveniva più abile, l’occhio più raffinato di quellodei suoi avi. Costui poteva dirsi già un artista. KristófUlwing pensava ad un’uomo: al suo padre. Alla suamorte erano rimasti due figli soli: lui e il fratelloSzebasztián 6 . E poiché la casa paterna diventava vuota,anch’essi vennero chiamati da qualcosa come erasuccesso ai loro avi. Partirono da Pozsony lungo le rivedel Danubio. Andarono, Vennero giù orfani, poveri.Da allora molti anni erano passati e tante cose sierano mutate.Kristóf Ulwing trasse di tasca la tabacchiera. È unlavoro di suo padre e la sua sola eredità. Eglidelicatamente picchiò le due dita sul coperchio, e,mentre la rimetteva in tasca si sporse dal finestrino.Ora si vedeva già bene la casa, col duplice tettorigido, la facciata tozza a piani, le finestre a piccoli vetriquadrati, e nel muro giallo il solido portone di quercia ilcui cornicione ad arco era accompagnato da unarchitrave coperto di neve che pareva come un grigiosopracciglio. L’architrave terminava con due urne elaggiù, accanto al portone due cariatidi. Ogni buca, ognirialzo della casa era fresco e bianco.Dentro la casa l’arrivo della carrozza era statoavvertito. Successivamente le finestre al piano siilluminarono e si rabbuiarono in fretta. Qualcuno conuna candela percorreva le camere. Il grande portone diquercia si aprì, e le ruote trabalzarono, il cofano daviaggio picchiò contro il lato posteriore della carrozza,mentre le cariatidi gettarono un rapido sguardo dentro<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 19


il cocchio. Il fracasso dei ferri dei cavalli e delle ruoterimbombò come tuono sotto la volta.Un servo abbassò il predellino.Sul pianerottolo un uomo ancor giovane stava fermosollevando una candela in alto. La luce cadeva propriosui suoi densi e biondi capelli; il viso restava in ombra.— Buona sera, János Hubert 7 ! — gridò Kristóf Ulwinga suo figlio. La sua voce era profonda e netta come è ilsuono del martello quando batte l’acciaio. — Comestanno i ragazzi? — Si volse in fretta e da questo suogesto sulle spalle gli sventolò i molti colletti delpastrano di color tabacco.— Flórián 8 , presto, chiama Füger!Il volto largo e bonario del servo sbucò dall’ombra.— Il signor contabile ha atteso a lungo...Ulwing corrugò la fronte.— Allora! Dormono tutti in questa città?— Io non dormo, non dormo affatto —, e Ágoston 9Füger salì su di corsa le scale. Egli aveva sempre fretta,aveva un respiro corto, teneva la piccola testa calva ditraverso come se origliasse.Kristóf Ulwing gli desse una pacca sulla spalla.— Mi dispiace, Füger, ma per me il giorno dura finchého da fare.János Hubert li venne incontro. Portava una giaccacolor verde bottiglia e i pantaloni ed il panciotto dicolor paglierino. Al colletto, esageratamente alto, eraannodata con doppio giro una cravatta di raso neroirreprensibile. Egli si chinò rispettosamente e baciò lamano del padre. Gli assomigliava, ma la sua figura erapiù bassa, gli occhi più chiari, il volto più delicato.Dietro a loro una sottana frusciò per il corridoio buiodal pavimento quadrettato.— Buona sera, signorina! Non ho fame —, dissesenza voltarsi e gettò il mantello su una sedia ed entrònella sua camera.La signorina Tina, col suo viso lungo dai lineamentistirati e le ciocche di capelli neri appiattite sugli orecchi,tenne dietro con lo sguardo deluso al mastrocostruttore. Lo aveva dunque atteso inutilmente a cena!Con disappunto constatò quest’atteggiamento per leiincomprensibile, dato che ella non era abituata aquesto modo di fare, dato che sua madre servivasempre presso le famiglie nobili. Eh, già! Gli Ulwing...Con un po’ di dispetto si buttò il cestino da un braccioall’altro e se ne andò con rabbia per il buio delcorridoio, sventolando le sottane.La camera di Kristóf Ulwing era bassa di soffitto conarco; alle due finestre a volta biancheggiavano delletende di mussola. Una candela ardeva sul tavolorotondo: era di sego, ma messa nel candelabrod’argento. La sua luce vacillava lentamente un po’avvolgendo la larga poltrona ricoperta da una stoffalucida a strisce.—Sedetevi, Füger. Anche tu — disse Ulwing al figlio;ma egli rimase in piedi.—Il Signor Palatinus mi ha affidato il restauro delcastello. Ho concluso anche l’affare che riguarda iboschi.Prese una lettera sulla scrivania da molti cassetti. Lasua mano afferrava rudemente senza tentennare tuttoquello che gli serviva. Intanto dava istruzioni brevi,precise al suo segretario:— La mattina subito mi portate i progetti di disegni.Mandate i carpentieri al lavoro. Sul Danubio si devesfasciare le zattere.Füger scribacchiò in fretta sul suo taccuino rilegato ingiallo. Se lo portava sempre appresso e anche quandoandava a messa, glielo si vedeva sbucare fuori dalletasche.János Hubert sedeva scomodamente nella poltronaben imbottita. Il suo sguardo errava vuoto per lastanza. Sopra il divano pendevano i ritratti degliarchitetti Fischer von Eriach e Mansard. Erano delleantiche, fini, piccole incisioni. Li conosceva bene queidue volti, ma non lo interessavano affatto. Egliricominciò a guardare la tappezzeria che era a righesottili con coroncine verdi. Guardava queste ad una aduna; nel frattempo gli venne sonno. Parecchie volte diseguito tirò fuori lo spillo dalla grossa testa appuntato aun pizzo all’uncinetto, che proteggeva i bracciali dellapoltrona e poi tornava a ricacciarlo esattamente al suoposto. Desiderava chiudere gli occhi ma suo padre loguardava di continuo. Quando gli dicevano qualcosaegli improvvisamente non sapeva rispondere. Inqueste occasioni se ne accorse della sua distrazionedurata da un pezzo. Cominciò a sforzarsi e corrugava lafronte per dare l’impressone di una profondameditazione. Poi tossiva però voleva invece sbadigliare.Füger ancora prendeva appunti e quando il suo capocessò di parlare gli disse:— È venuto qui il signor Münster, i suoi creditori lospingono al fallimento.Lo sguardo di Kristóf Ulwing si irrigidì.— Perché non me l’avete detto prima?Füger scrollò le spalle.— Finora non ho potuto parlare...Il mastro costruttore rimase immobile in mezzo allacamera; corrugò gli occhi come se guardasse coselontane.Giorgio Martino Münster, il potente impresario, loscienziato, l’architetto diplomato era andato in rovina. Ilsuo ultimo rivale, il gran nemico che gli aveva spessosbarrato la strada, ora non contava più! Kristóf Ulwingpensò alle umiliazioni patite, alle dure lotte, e a queimolti avversari che dovevano rovinarsi perché egliprimeggiasse. Li aveva vinti, ora davvero li aveva tuttisuperati.Con le grandi mani con soddisfazione rigirava un belcandido ricciolo sfuggito alla sua grigia capigliatura, glisi attorcigliava sulle tempie.Füger lo guardò attentamente. La luce della candelailluminava il suo volto ossuto e raso, che il vento gelidoaveva arrossato. I suoi capelli e le sopraccigliaparevano più bianchi, gli occhi più azzurri del solito. Ilsuo mento, un po’ storto, si nascondeva nell’altocolletto bianco, dandogli un aspetto di singolarecaparbietà.«Quest’uomo non invecchia » — pensò il piccolocontabile.— II signor Münster ha perduto trecentomila fiorinidel Reno. Non ha sopportato questo.Kristóf Ulwing annuì, e fece i conti, freddamente,senza pietà.— Dovrei vedere i registri e il bilancio della dittaMünster.20<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Mentre parlava, pensava che ormai egli eraabbastanza ricco per poter avere anche buon cuore. Ilcuore è un gran peso e intralcia ogni salita. Finchéascendeva dovette lasciarlo da parte. Ma ormai anchequesto era superato; egli giungeva l’apice.— Aiuterò György Márton 11 Münster — disse piano —lo rimetterò in piedi, ma in modo che ormai dovràprocedere accanto a me.Füger, sotto le lenti, ammiccò commosso, come seavesse applaudito col battito delle ciglia il suoprincipale.Ora Kristóf Ulwing, avendo sistemato quell’affare,smoccolò la candela e si rivolse a suo figlio:— E tu sei stato in municipio?János Hubert avvertì nella voce paterna come unasevera scrollata alle spalle.— Ma voi non siete stanco, padre? — La domanda gliera venuta sul labbro come per difesa. Forse così sisarebbe liberato di quel peso e avrebbe rimandatol’affare increscioso al giorno dopo. Ma il padre non lodegnò di risposta.— Hai parlato?— Sì...La voce di János Hubert era incerta e debole. Eglipronunciava le parole in modo ambiguo così che poi glifosse più facile di riprenderle.— Ho detto quanto voi mi incaricaste di spiegare, macredo che non abbia servito a nulla.— Lo credi? — Per un attimo un lampo di scaltrezzapassò negli occhi di Kristóf Ulwing, ma poi egli sorrisecon superiorità. — Gente della nostra fatta deve agire...e può anche pensare, sempre però che tali pensierisiano espressi da gran signori. Tuttavia voglio che tuparli. Poi farò di te un gran signore, perché così gli altriti ascolteranno.Füger annuì; János Hubert cominciò lamentarsi:— Quando io ho proposto di piantare delle file dialberi in città, un funzionario eletto mi chiese se ero percaso diventato giardiniere, e quando ho consigliato dimettere l’illuminazione per le vie, risposero che gliubbriachi se la cavano attaccandosi ai muri delle case eche per altro scopo i fanali non servono.— Le cose saranno ancora anche diverse! — La vocedel costruttore era calda e piena di fiducia.Il giovane Ulwing seguitò un po’ spento:— Annunciai la nuova fornace e dissi che d’orainnanzi venderemo i mattoni al dettaglio senzamediatori fin nei sobborghi della città, ma neppurequesto andò a genio. I signori del municipio si misero abisbigliare fra di loro.— Che dicevano? — chiese Kristóf Ulwingfreddamente.János Hubert fissò il pavimento:— Dicevano che il «gran falegname» si arricchisce aspese dell’altrui miseria. Il «gran falegname»! Così essichiamano mio padre, che l’anno scorso desserocittadino onorario.Ulwing fece un cenno di dispregio:— Gli onori resi in municipio non contano. Lo feceroperché io non possa muovermi liberamente dal peso e lilasci in pace.— E anche rubare in pace... — disse Füger, mentrefaceva con la mano un ampio gesto circolare nelladirezione della tasca.— Lasciate stare quelli — mormorò il mastrocostruttore —, del resto anche là ce ne sono deglionesti.Il contabile allungò il collo in avanti come seconcentrando ascoltasse qualcosa, poi s’inchinòsolennemente e uscì dalla camera.Quando Kristóf Ulwing rimase solo col figlio si volseimprovvisamente verso di lui:— Cosa hai ancora detto in municipio?János Hubert alzò sul padre gli occhi dolci e stupiti.— Altro non mi avete affidato di dire...— Qualcosa dovevi pur aggiungere ancora, qualcosache proprio tu avresti potuto pensare.Vi venne un silenzio.Il giovane Ulwing sentiva una terribile ingiustizia neisuoi confronti. Suo padre era responsabile di tutto! Eralui che lo aveva fatto uomo, ed ora non è soddisfattodella sua opera... E ad un tratto, come un lampo, tuttoil passato gli venne in mente: il tempo dellafanciullezza, gli anni di studi alla Scuola tecnica, le tantelotte piene di scoraggiamento, tante amarezze senzalamenti, vili compromessi. E si ricordò di quei tempi incui voleva avere una volontà sua, che suo padre laproibì, quando egli aveva voluto amare e scegliere e,suo padre aveva scelto per lui. Il mastro costruttoreUlwing non voleva la povera modista. Egli voleva lafiglia di Ulrich Jörg. Quella sì gli andava a genio, perchéera ricca. La loro unione però aveva durato poco,perché Krisztina 12 Jörg era morta presto e a lui non erastato più permesso di pensare né a un’altra donna né auna nuova vita. «Ci sono i bambini», aveva detto ilpadre ed egli si era piegato al suo volere, perché KristófUlwing era il più forte e sapeva far valere ad alta vocela sua ragione.Un’insolita ostinazione s’impadronì di János Hubert eper un momento si raddrizzò per accusarlo del tutto: ilsuo mento stava un po’ di traverso... Il vecchio ci sispecchiava. Guardò teso il figlio, come se volesse colsuo sguardo arrestare negli occhi di lui quella volontàostinata di cui sapeva che non era sempre statapresente ed ora perché si manifestava.Ma nello sguardo di János Hubert quella fiamma diresistenza lentamente tornò a spegnersi. Kristóf Ulwingchinò il capo.— Vattene! — disse senza pietà. —Sono stanco —,ed in quel momento egli pareva davvero un vecchiospaccalegna spossato dal lavoro. Socchiuse gli occhi, lemani ossute pendevano con tutto peso dalle maniche.Fuori, nel corridoio, una porta si richiuse piano conun cigolio a scatti. Il mastro costruttore Ulwing avrebbepreferito che l’avessero sbattuta con fracasso; ma suofiglio chiudeva tutte le porte con cautela. Suo figlio cosìdiverso da quello che egli desiderava! Il perché perònon lo sapeva spiegare. «Che accadrà quando io non glisarò più vicino?» Si scosse. La vita era così poco consumatain lui, che l’idea della morte gli era come estraneae nemica. «Che sarebbe accaduto?» Ma quelladomanda già svaniva nella sua mente, già egli non cipensava più. Guardò verso la camera vicina... I suoinipotini! Quelli, sì, avrebbero continuato l’opera che ilgran mastro costruttore aveva iniziata. Essi, sì,sarebbero diventati dei forti.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 21


Aprì la porta ed attraversò la sala da pranzo. Nel buiosi sentiva un odor di pane e di mele. Oltrepassò ancorauna stanza per arrivare alla camera dei ragazzi.L’aria vi era tepida; sul comò da tre cassetti ardevauna lucerna. A cui accanto la signorina Tina, seduta, siera appisolata con un logoro libro di preghiere sulleginocchia. L’ombra del suo berrettino da notte si alzavae si abbassava sul muro come un pennello cheintonacasse la parete. Nel vano cavo della bianca stufadi coccio, l’acqua si riscaldava in una brocca azzurra.Dai lettini a griglie veniva il lieve respiro dei ragazzini.Ulwing si chinò cauto su uno di essi. Vi dormiva ilmaschietto. Il suo piccolo corpo rannicchiato sotto lelenzuola pareva si nascondesse a qualcosa nel sognoche veniva con la notte e restava attorno al suo lettino.Il vecchio si curvò e baciò il bimbo in fronte. Quellosussultò, per un attimo spalancò gli occhi atterriti etremante nascose il volto nel cuscino.La signorina Tina si svegliò ma non oso muoversi. Ilmastro costruttore stava in atteggiamento così umiledinanzi al bambino, che non era conveniente a unapersona mercenaria di assistere a simile spettacolo.Volse la testa e così ascoltò la voce del padrone chediceva:— Non volevo spaventarti. Piccolo Kristóf, non averpaura; sono io!Ma il bambino si era già riaddormentato.Mastro Ulwing si avvicinò all’altro letto e baciò pureAnna. La bimbetta non si spaventò. I suoi capelli biondiondeggiavano sul cuscino come argento diffuso attornoal suo capo. Col braccìno circondò il collo del nonno edessa ricambiò il bacio.Quando Kristóf Ulwing uscì in punta di piedi dallacamera, la signorina Tina gli tenne dietro con losguardo.Pensò che, dopo tutto, quegli Ulwing erano davverodella brava gente.____________________NOTE:1Presente romanzo venne scritto nel 1914 e fu pubblicato laprima volta nel 1930 dalla Casa Editrice Sonzogo di Milano,poi il 30 aprile 1936-<strong>XIV</strong>. (Trad. Silvia Rho)2Kepi, in ungherese csákó [si pronuncia: ciàco]. Nel 1930Silvia Rho con “berretto” traduce questa parola ungherese. Ioho scelto nella traduzione la versione esattamentecorrispondente all’originale: Lo shakò è un copricapo militareche si affermò alla fine del ‘700 nell’esercito austriaco (derivainfatti da un termine ungherese che significa “copricapo convisiera”) e fu prontamente imitato nelle uniformi degli altrieserciti. È un alto berretto a visiera cilindrico o tronco-conico,scomodo e difficile da portare, il cui scopo era quello diaccrescere l’imponenza dei soldati.Nella seconda metà dell’ottocento fu progressivamentesostituito negli stati tedeschi dagli elmi chiodati e dal kepi (okepì). Alcuni eserciti lo mantennero sino alla prima guerramondiale, in foggia ridotta paragonabile, seppure piùdecorata, a quella del kepì. Attualmente è mantenuto inalcune accademie militari americane.In Italia, dove ha prevalso sempre la terminologiauniformologica francese, almeno sino al dilagare deglianglicismi, con il termine kepì si definiscono copricapitradizionali che sono in realtà shakó.Il kepi (varianti:chepì, cheppì) è un copricapo militare diforma cilindrica o troncoconica, con la parte più stretta in altoe dotato di visiera, diffusosi per la sua praticità, rispetto aiberretti in uso precedentemente, fra i principali esercitinell’Ottocento e nel primo Novecento. È statoprogressivamente soppiantato dal berretto piatto o rigido edal basco.Il primo modello di kepi è quello dell’esercito imperialeaustriaco, il termine, difatti, è la francesizzazione del tedescokappi, utilizzato come berretto di guarnigione dalle truppe dicavalleria di quello stato in sostituzione dello shakò, piùelaborato, voluminoso e costoso, che veniva portato nellecerimonie, in parata o nelle occasioni di servizio ove erarichiesta l’uniforme completa.Il successo del modello derivò dal fatto che, come adesso,la moda militare tende ad imitare le fogge degli eserciti dimaggior influenza e successo. Le armate austriache, pernumero e tenacia in combattimento, avevano rappresentato laspina dorsale ed il nerbo della coalizione antifrancese e lo stiledel vestiario asburgico fu imitato e copiato dai numerosigoverni della restaurazione appoggiati o sostenuti dall’Austria.L’affermazione definitiva di questo copricapo coincise,tuttavia, con la sua adozione da parte dell’esercito francese,che risale alle prime campagne coloniali in Algeria quando,per esigenze climatiche, dovette essere adottata una uniformepiù semplice e pratica.Il prestigio militare francese, per nulla compromesso dallesconfitte napoleoniche, fece si che la foggia delle sue uniformifosse prontamente imitata da alcuni degli eserciti del tempo,Il kepi, nel modello francese, si diffuse nell’esercito zaristadella Russia, e da questa nei paesi slavi dei Balcani,nell’esercito degli Stati Uniti d’America, in Spagna, negli statiitaliani, soprattutto il regno Borbonico e quello Sardo.Si diffuse, inoltre, fra tutte le milizie rivoluzionariedell’Ottocento, che, in un certo senso richiamandosi ai valoridella rivoluzione francese, volevano utilizzare un indumentoemblematico, di matrice francese, in contrapposizione con leforze reazionarie, che in combattimento portavano ancora glialti shakò. Nella seconda metà dell’Ottocento fu adottatoanche dal Giappone, sotto l’influsso delle uniformi americane.Progressivamente il kepi iniziò ad essere soppiantato dai primiberretti piatti o rigidi, la cui diffusione si può far risalire allaPrussia, parallelamente al diffondersi della fama militare diquel Paese.La Russia lo sostituì nell’ultimo ventennio dell’Ottocento,estendendo il berretto piatto, anche nel modello senza visiera,a tutte le sue truppe, nell’ambito della slavizzazionedell’aspetto esteriore dei suoi militari.Altri Paesi adottarono dei copricapi intermedi fra il kepi el’odierno berretto piatto, come gli Stati Uniti od il Giappone,passando, nei primi anni del Novecento, al nuovo modello.La prima guerra mondiale segnò la fine della grandediffusione del kepi, coincidente con la progressivamarginalizzazione della Francia dal ruolo di potenza mondiale.Nel primo dopoguerra quasi tutti i paesi passarono ai berrettipiatti, spesso richiamandosi alle fogge in uso in Germania.Ai nostri giorni solo la Francia adotta per l’esercito e lagendarmeria, almeno nelle uniformi da cerimonia ed ordinarieil kepi, prevalentemente per motivi tradizionali.Il kepi in Italia ebbe larga diffusione sino al 1933, quandofu sostituito dal berretto piatto con visiera, denominatoburocraticamente “berretto rigido”, nell’ambito della riformadelle uniformi militari del generale Baistrocchi, che introdussefogge più moderne e confortevoli, fra cui la giubba aperta concravatta, in parte ancora in uso al giorno d’oggi. La riformaintervenne provvidenzialmente in quanto il primo modello dikepì, sobrio e pratico, era stato progressivamente alterato daesemplari cosiddetti fuori ordinanza, sempre più teatrali espropositati, con visiere enormi, pronunciata forma a tronco dicono rovesciato, con la parte superiore più ampia dell’inferioree dimensioni doppie rispetto ai primi modelli (unadegenerazione analoga sta avendo in Russia, dove i berrettimilitari hanno raggiunto delle dimensioni ridicole, paragonabilia quelle di piccoli ombrelli). Questo berretto, tuttavia, rimanein uso, in foggia più o meno simile al modello adottato nel22<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


periodo umbertino, nelle uniformi storiche di alcuneaccademie e scuole militari, o di polizia. Un’eccezione ècostituito dal reggimento di artiglieria a cavallo “Voloire” che,unico esempio nazionale, conserva anche nell’uniformeordinaria il caratteristico kepì con pennacchio di crine. (Fonte:Wikipedia)3La ricca di famosa famiglia Grassalkovich nel territorio dellaMonarchia Austro-Ungarica costruì più palazzi tra cui piùfamosi si trovano a Gödöllő (il Castello Reale che è unagrande, monumentale residenza) ed a Vienna, nel quartiere IIil palazzo estivo.«Uno dei gruppi monumentali di maggior rilievo in Ungheriaè composto dal Palazzo Grassalkovich, con la sua superficiecomplessiva, assieme agli edifici di dipendenza, di 17 milametri quadrati e con l’adiacente parco dell’estensione di 28ettari; vecchio di 250 anni, questo capolavoro dell’architetturaè il più grande castello barocco del Paese. A circa mezz’ora diauto da Budapest, il Palazzo Reale deve la sua fama alricchissimo passato storico ed alle soluzioni architettonicheutilizzate che diedero inizio ad un nuovo stile ‘alla Gödöllő’,usato per la progettazione di vari castelli ungheresi.Il castello, edificato al centro del latifondo di Gödöllő , conla sala principale decorata in bianco e oro, gli affreschi dellestanze, i bagni ricoperti di marmo, la serra botanica, l’ampiascuderia, il teatro e il vasto parco, era l’autentico modellorappresentante il modo di vivere della nobiltà dell’epoca. Ilconte Antal I Grassalkovich, uno degli aristocratici piùautorevoli dell’Ungheria settecentesca, nonché confidentedella regina Maria Teresa, iniziò a far costruire il castello neglianni intorno al 1730. Il complesso, diverse volte modificatofino alla definitiva forma a doppia U, fu progettatodall’architetto András Mayerhoffer. Acquistato dallo statoungherese, il castello divenne, dal 1867 al 1916, la residenzadi riposo dell’imperatore Francesco Giuseppe I e della moglieElisabetta e successivamente, dal 1920 al 1944, la dimoraestiva del governatore d’Ungheria Miklós Horthy. Dopo la IIGuerra Mondiale, a seguito delle inadeguate forme di utilizzo,per il castello iniziò un lento degrado che durò per quasimezzo secolo. La lenta rinascita cominciò nel 1985 grazieall’opera di ristrutturazione della Società di Utilità Pubblica peril Palazzo Reale di Gödöllő . Grazie ai lavori di restauro, nel1996, ha potuto aprire le porte il Museo del Castello nel corpocentrale dell’edificio. Gli interni, arredati secondo le fonti, dauna parte rievocano i Grassalkovich e l’epoca barocca delcastello, dall’altra presentano la vita quotidiana della famigliareale, dando una panoramica dell’Ungheria ai tempi dellamonarchia.Al pianterreno si trovano, oltre all’elegante caffè, alnegozio di articoli da regalo e al laboratorio fotografico, lestanze segrete della regina Elisabetta, decorate da specchi,lampadari di cristallo e da sontuosi stucchi al soffitto; la salaBarocca, con il soffitto a volta, le pareti dipinte el’arredamento d’epoca; le quattro sale utilizzate per iricevimenti: la sala Lónyay, con i ritratti dei membri della Casad’Asburgo, quella del cavallo, con le incisioni a coloriraffiguranti scene di cacce all’inglese, quella di caccia, piena ditrofei e fotografie di argomento venatorio, la sala con ilsoffitto dipinto e con le riproduzioni illustranti l’orangeria diuna volta. Lo scalone, con i parapetti in pietra traforati eintrecciati, conduce al piano nobile. Nelle sale che ricordano iGrassalkovich, oltre ai ritratti della regina Maria Teresa, tuttauna serie di documenti e ricordi materiali legati ad Antal I e aisuoi discendenti che evocano la grandezza di questaimportante famiglia comitale ungherese. Costruito intorno al1758, il Salone d’onore è il più grande ambiente dirappresentanza del castello; le pareti hanno un rivestimentomarmoreo, il soffitto è decorato di stucchi di ghirlande dorate.Tra le altre stanze: la saletta con il grande dipintodell’Incoronazione, lo studio di Francesco Giuseppe, con iritratti dei sovrani e dei principi asburgici, il salotto diElisabetta, con immagini a lei dedicate, le tre stanzetinteggiate in stile barocco, la camera di Maria Teresa, inmarmo rosso e con una ricca doratura. Ed infine gli ambientidedicati all’esposizione commemorativa della reginaElisabetta, ove spicca, tra le pitture favorite e i ritratti delledamigelle, il suo busto di marmo bianco.Il teatro del Castello Reale di Gödöllő venne costruito tra il1782 e il 1785, per ordine dei Grassalkovich, nell’alameridionale del complesso, dove prima si trovavano gliappartamenti del conte Kristóf Migazzi, vescovo di Vác ecardinale di Vienna. Questo, che è stato il primo teatro dipietra dell’Ungheria, poteva ospitare fino a 100 persone edera in funzione quando la corte soggiornava nel maniero. Imuri interni erano decorati da affreschi tardobarocchi, oggiriportati al loro aspetto originale. I lavori di ristrutturazionedel teatro, che oggi è possibile ammirare nella sua bellezzaoriginale, si sono conclusi nel 2003.Chiuso tra le ali del castello, il cortile interno dà una vistasul parco, una volta coperto di bosco e poi provvisto di raritàbotaniche, che era teatro delle cavalcate della reginaElisabetta. È stata recentemente ultimata la ristrutturazionedello storico gazebo, il padiglione esagonale fatto costruire nel1760 da Antal Grassalkovich. L’interno, ricoperto di legno edecorato da ritratti in olio, raffigurava i personaggi storicidell’Ungheria; purtroppo una parte dei dipinti si perse nelcorso degli anni. Un lavoro di restauro, realizzato attenendosia fotografie riproducenti le caratteristiche originarie delgazebo, gli ha ridato l’antico splendore.» (Fonte :http://www.newsy.it)Nei seguenti luoghi si trovano ancora palazzi/castelli deiGrassalkovich: Pozsony (Bratislava), Baja, Gyöngyös, Hatvan,Kompolt, Nyitraivánka, Sülysáp, Zombor.4Cristoforo5Bratislava nell’attuale Slovacchia6Sebastiano7 Giovanni Uberto8Floriano9 Agostino10Palatino11 Giorgio Martino12CristinaN.d.R.: Il testo originale si legge nella rubrica «Appendice».Traduzione riveduta e note © di Melinda B. Tamás-TarrRóbert HászPASSEGGIATA SETTEMBRINATitolo originale: Szeptemberi séta1) ContinuaTratto dal volume “Sok vizeknek zúgása”, Kortárs kiadó,Budapest, 2008Le giornate estive si accorciano, l’autunno arriva instrada furtivo, zoppo e rasente il muro come unvecchio scaltro, e come sempre, in questo periododell’anno mi sento addosso lo sguardo del tempo.Quando il mondo rallenta per un po’, le particellesentono freddo e si restringono, i fuochi si smorzanofino a diventare brace e bruciano appena, i fluidicircolano più lentamente nei propri canali e il Potere,questa Entità Superiore a volte cinica, ma tuttosommato indifferente, si toglie un attimo la maschera –come una vedova che per un istante alza il velo pertergere le lacrime con il fazzoletto.Quanto detesto questo suo gioco con i mortali!<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 23


Di solito faccio la mia passeggiata la sera, quando ilsole è ormai una palla di fuoco sfilacciata rosso sanguedietro i muri delle case e gli uomini affrettano il passoverso casa. La quiete della casa, la sicurezza dellacaverna: una sensazione antica, piacevole. Il calore delfuoco, il tremolio delle fiaccole davanti all’ingresso dellacaverna… che il male non può raggiungere.All’angolo, davanti al negozio di alimentari, unbambino gioca accanto al mucchio di ghiaia e sabbiarimasta dopo i lavori stradali. Lo vedo tutti i giorni.Scorgo in lui la morte. Si muove nelle sue vene, nel suosangue. A volte vedo la sua testa bionda, a volte il suocranio con l’infossatura degli occhi e gli alberi checresceranno sopra. Vedo il bambino nel tempo, nonsoltanto nel presente; lo vedo ovunque e sempre.Passo accanto al bambino che salta in piedi e correda suo padre sull’altro marciapiede, davanti al tabaccaiodove sta parlando con il negoziante.«Papà, quel tizio mi guarda sempre!»La voce era più irritata che lamentosa. Il padre, unuomo con i capelli rossi e il ventre tipico dei bevitori dibirra, con l’anima in pena dalla mattina alla sera per ildesiderio insoddisfatto di paesaggi lontani, detesta laquotidianità e le notti banali, ha un’ulcera e un principiodi emorroidi, possiede un esiguo conto in banca,accarezza la testa del bambino.«Di chi stai parlando, figliolo?» domanda distratto eguarda in giro.Non lontano, ai bordi del parco, sotto il vecchiocastagno alto, sulla panchina mezza marcia siede ilvecchio vagabondo. Mi riconosce sempre. Lui è in pacecon me. Alza la testa e sorride, con la pelle tanto tesache sembra spaccarsi. Mi siedo sulla panca, vicino a lui.Ha ancora lo sguardo rivolto in alto, sembra mirare ilcaduco tramonto autunnale. Strizza e batte le palpebreguardando fuori dal profondo della sua anima. Respirarapidamente, ansimante. Il viso è coperto da una barbacrespa di diversi giorni. Il corpo è incurvato, sporgonole spalle da sotto il cappotto liso come se le articolazionifossero troppo stanche per tenere le ossa al loro posto.Vedo che la stoffa è consumata. Il vecchio inclina latesta, fissa prima le sue scarpe sformate, poi la ciccafumante fra le sue dita. Sento i suoi pensieri dolorosi.Le sue ossa temono il gelo. Se potessi, lo consolerei. Glisfioro invece solo la fronte. Si tranquillizza, come se losentisse. Per lui è facile ormai, se ne andrà come eravenuto: puro.Quando il semaforo sul marciapiede opposto diventaverde dozzine di gambe attraversano le striscepedonali. Un paio fra loro precedono le altre. Saltasvelto sul marciapiede opposto e mi passa accantovelocemente. Un ometto con i capelli radi, con occhialitondi sulla punta del naso. Fa ciondolare la borsa nellamano destra come se anche questo servisse adacquistare velocità. Deve avere fretta. Gira intorno lagente, giro intorno a lui anch’io. Dopo un po’ loraggiungo e ormai camminiamo uno al fianco dell’altro.Guarda fisso davanti a sé, si concentra sulla stradasotto i piedi. Qualche goccia di sudore esalta la suafretta. Lancia un’occhiata di sfuggita all’orologio ma nonvede il quadrante; non è un’azione consapevole, masolo il movimento istintivo del polso. Ansima piano.Questa corsa non fa per lui. Lo sa ed è arrabbiato conse stesso, sente di nascosto la manica della camicia eora ce l’ha con sé anche per l’odore del sudore. Eppurenon rallenta. Svolta l’angolo, tanto all’improvviso dafare quasi cadere la signora corpulenta che gli si para difronte. La signora protesta ad alta voce e gesticola conla borsa carica di patate. L’ometto prosegue, mormorasolo qualcosa fra sé mentre aggiusta gli occhiali sulnaso. Il marciapiede pende un po’ e lo costringe adallungare il passo, con la cravatta che sembra volaredietro di lui.Si ferma finalmente dopo un secondo angolo, davantia un portone. Rimane immobile per qualche istante,solo il suo petto sale e scende mentre ritmicamenteriprende fiato. Poi fa un ultimo profondo respiro esuona uno dei campanelli.Quando il portone si apre con un rombo io sono giàall’interno. Lo osservo entrare dalla tromba delle scale.Sale le scale lanciando delle occhiate in alto. Al secondopiano si accosta alla porta di fronte e bussa piano. Laporta si apre subito, ma solo una fessura sufficiente perfar entrare l’ometto.La donna che ha aperto la porta ora si poggia allaparete del corridoio con una mano sul seno e ansimaimbarazzata. È frastornata, i capelli sono in disordinecome i suoi pensieri. Esita se dire qualcosa, attende conocchi spalancati.L’uomo guarda di nuovo l’orologio, ora però osservaattentamente la posizione delle lancette.«Trenta…» vorrebbe dire, ma appena sente la propriavoce sottile e sfiatata si raschia la gola e ricomincia:«Abbiamo quaranta minuti».«Quaranta…» ripete la donna senza sapere perché losta dicendo. Ansima e guarda l’uomo.In quell’istante l’uomo fa cadere la borsa per terra eabbraccia improvvisamente la donna. Quando la suabocca tocca la bocca di lei, o meglio quando i loro dentisi urtano, gli occhi aperti della donna continuano afissare il punto dove prima c’era la testa dell’uomo. Perqualche istante rimane paralizzata nel tempo, mentrel’uomo ansima e spinge la lingua nella sua bocca. Tutti isuoi pensieri, tutta la sua volontà si condensano in unasola parola: No! Che si agita nel suo cervello come ungrido imprigionato che gira in tondo e non riesce aerompere, poi l’eco si smorza, viene coperta dallavolontà, dalla vicinanza fisica dell’uomo che le crollaaddosso. Diventa un leggero sospiro di resa, come secon l’aria esalata dissolvesse la sua resistenza. Ormai èlei ad aiutare l’uomo, lo tira per la camicia, dentro,sempre più dentro la casa, ma non raggiungono lecamere, crollano davanti alla porta della cucina, cadonouno dentro l’altra come le stelle infuocate.Vado via.Fuori, nella via, c’è una folla. All’incrocio macchineabbandonate, alcune con le ruote ferite, di traverso,come fossero animali morti. La gente indica con le dita,spiega con voce sommessa, serietà commossa,comprensiva, come ai funerali: dalla via vicina staarrivando il suono della sirena di un’ambulanza.Accanto al marciapiede giace una persona con lemembra allargate. Mi avvicino, mi piego. Respira piano;la vita che si sta mescolando all’aria colma di odore dinafta, lo sta abbandonando. Non ho tempo perriflettere. Lo tocco per aiutarlo, ma guardandolo vedoquello che è stato e quello che sarà, che lascio che24<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


venga. Lo porto in alto, sempre più in alto, lascio lacittà e il cielo settembrino sotto di noi.Traduzione di © Andrea Rényi- Roma -Tibor SzűcsLA POESIA RIFLESSA DAUN DUPLICE SPECCHIO:IN VERSIONI TEDESCHEED ITALIANE(A magyar vers kettős nyelvitükörben: német és olaszfordításokban)Tinta KönyvkiadóBudapest, 2007, pp. 228.La casa editrice ungherese«Tinta» cura ormai da diversi anni una collana di libri dilinguistica, intesa in un senso molto ampio. Finora hapubblicato, oltre a numerosi dizionari, antologie egrammatiche, un paio di decine di edizioni framonografie e raccolta di saggi, atti di conferenze, tesidi dottorati di ricerca, molti lavori innovativi o colmantivecchie lacune.Una recente pubblicazione, La poesia unghereseriflessa da due specchi fa parte di quel genere di studiinterdisciplinari che ad ugual diritto potrebbero esserannoverati fra quelli sul linguaggio poetico, sulla teoriadella traduzione, sulla linguistica contrastiva e cognitiva,sulla comparatistica e sulla magiaristica, ed altri ancora.L’autore, Tibor Szűcs, linguista della Facoltá di Letteredell’Università di Pécs, professore titolare del Seminariodi Ungarologia ha appunto al suo attivo alcune decinedi saggi. I suoi interessi spaziano dalla linguisticacontrastiva, alla linguisica testuale, alla didatticadell’ungherese a stranieri, al testo poetico, e a variaspetti di interculturalità. Il presente lavoro, dedicatoalla traduzione del testo poetico ungherese, intendeessere una sorta di sintesi della sua pluridecennaleattività di docente, mediatore e studioso.L’argomento è stimolante; la possibilità dellatraduzione di un testo letterario, ed in particolare quelladel testo poetico accompagna da secoli la culturaeuropea, essendo un problema universale, al limite conaccenti e modalità diversi a secondo dei tempi e deicontesti. In Italia, il rifiuto della traducibilità del testopoetico ha particolarmente avuto molte adesioni. Ilfamoso ammonimento dantesco: «E però sappiaciascuno che, che nulla cosa per legame musaicoarmonizzata si può della sua loquela in altra trasmutaresenza rompere tutta sua dolcezza e armonia» 1(Convivio, I: libro, capitolo VII.) ha trovato accoglienzafavorevole nei filosofi come Croce (cfr. Croce 1928) 2 enei linguisti come Terracini (cfr.. Terracini 1957) 3 oltreche presso numerosi poeti. Quasi tutti sono concordiche per tradurre poesia praticamente si presentano duepossibilità: comporre una nuova poesia, che sarà solouna delle infinite possibili versioni dell’originale opreparare una traduzione in prosa, accompagnata dafitti commenti di carattere linguistico-culturale.Anche molti letterati, poeti, traduttori ungheresicondividono questo scetticismo. Un poeta, scrittore,Saggistica ungheresetraduttore spesso citato dall’Autore, Dezső Kosztolányi,nei suoi numerosi scritti osserva che traducendo lapoesia «quella che rimane intatta è l’idea, ma l’ideafornisce solo la materia prima. L’anima della poesia è laforma, capricciosa e fatale, in cui si manifesta e siinnesta in modo capillare al corpo, al suono, al passatostorico-letterario delle parole, ai ricordi e alleassociazioni che evocano.» 4 Di qualcosa di simile parlain un’intervista con Imre Barna anche Edith Bruck,persona bilingue e scrittrice in lingua italiana:«Per esempio se dico ’kenyér’, penso a quello di miamadre quello che faceva a casa se invece dico ’pane’,penso a quello che compro dal fornaio e sono due panidifferenti in due case alla quali mi legano ricordi moltodiversi. — Le parole portano con sé memorie, possonosuscitare valanghe di ricordi. Io attraverso una parolaposso ricostruire un mondo mentre questo per mepurtroppo non è permesso in italiano perché non hopassato l’infanzia in Italia. Non ho studiato Leopardi acasa ma Petőfi. Quindi, ho un sentimento diverso, piùridotto, più povero nei confronti delle singole paroleitaliane.» 5A sentire molti linguisti, letterati, poeti, tradurrepoesia sembrerebbe una guerra persa in partenza. Perònel contesto ungherese, per le ragioni ben note, il ruolodella traduzione letteraria ha un significato moltogrande. Per esprimere l’importanza che questa specie dilegame con la letteratura del mondo acquista, sonostate coniate varie espressioni come «causa dellepiccole nazioni» o «il genere letterario piú nazionale».I molteplici problemi della traduzione poeticoletterariain Ungheria vengono studiati soprattuttodall’ottica della traduzione da lingue straniere in linguaungherese. Lo studio di Tibor Szűcs invece, procede insenso inverso a quello usuale, anziché partire dalleversioni in lingua ungherese di poesie scritte in qualchelingua straniera, prende in esame versioni in linguatedesca ed italiana di alcune delle più belle e famosepoesie ungheresi. Il libro si articola in cinque capitoli:Introduzione, Fondamenta linguistiche, L’unità di linguae cultura nel mondo della poesia, Analisi di traduzioni,Conclusione. Tutti i capitoli del libro sono altrettantisaggi che potrebbero esser pubblicati ancheindipendentemente.Nella parte introduttiva l’autore si prefigge gli obiettividella ricerca: individuare i fattori di carattere linguisticoculturaleche determinano la traduzione di quel generein cui ha un ruolo fondamentale la forma, edeterminare in base a quali criteri può esser valutata laqualità di una traduzione. Nella sua ricerca l’autoreintende focalizzare l’analisi su due aspetti fondamentaliper il testo poetico: la costruzione dell’immagine e illivello sonoro. In questa sezione l’autore spiega lamotivazione verso l’argomento e la scelta delle linguestraniere prese in esame. Oltre ai motivi di competenzalinguistica in queste lingue da parte dell’autore del libro,le tre lingue, che costituiscono uno speciale triangolo;<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 25


sono geneticamente diverse, diverse anche nell’aspettomolto importante dal punto di vista dell’analisi, cioè inquello sonoro, però sono tutte appartenenti allo stessospazio linguistico. L’italiano ed il tedesco fra loro, poi,entrambe lingue distanti dall’ungherese, ma vicine l’unaall’altro (essendo, comunque lingue del ceppoindoeuropeo) presentano notevoli differenze perl’aspetto sonoro, per le regole che ne governano laformazione delle immagini, e per il tipo di cultura.Senza dubbio, quando si esprime un parere sul lavorotraduttivo va considerata anche la distanza fra le lingue,quella di partenza e quella di arrivo, come ammonisceDon Chisciotte nel famoso brano di Cervantes: tradurreda lingue facili, a volte sembra un lavoro quasimeccanico, di semplice sostituzione, di copiatura.(Cervantes, 1962: 791) 6Nel capitolo successivo, (Le basi linguistiche) il lettoreha il modo di leggere una breve, ma ricca descrizionedella lingua ungherese in chiave contrastiva con lesuddette due lingue. Nonostante il caratterenecessariamente sintetico, servirà sicuramente damodello per presentazioni simili. La terza sezione(L’unità di lingua e cultura nel testo poetico) è dedicataalla ricezione della letteratura/ poesia ungherese, conparticolar riguardo alle due culture prese in esame,l’italiana e quella germanofona.Alla ricezione della nostra letteratura (e allariflessione che ne fanno i migliori letterati della culturaungherese), sono stati dedicati molti studi. Nellarelazione italo-ungherese ne sono stati esaminati tuttigli aspetti; quando si traduce, cosa si traduce, chi sitraduce, come si traduce, chi traduce, perché sitraduce, quanto si traduce. E, soprattutto; se vale lapena di tradurre la nostra poesia? Fra altri fu Babits adavvertire che fama e conoscenza a volte siano peggioridella non-conoscenza: «Petőfi è tradotto, ma non c’èfigura più fraintesa che Petőfi in traduzione» (Babits,1968: 361). 7 Il fatto, poi, che nascono e vengonopubblicate versioni, non significa che l’opera abbia unadiffusione, un’eco, un’influenza, come dimostrarecentemente anche Sárközy (cfr. Sárközy 2006). (Ilcomplesso rapporto fra la disponibilità di un certonumero di testi tradotti e ricezione, o influenzapotrebbe esser studiato anche nella direzione opposta:fino a quanto è presente la poesia italianacontemporanea in Ungheria?) È stato spesso sollevatoil dibattito anche intorno alla scelta delle opere datradurre e la qualità delle traduzioni, soprattuto perquello che concerne gli anni 30-40. Probabilmente c’èverità in quello che dice Sándor Lénárd nel diarioromano del 1938:«Dopo la cena – una cena da favola– torniamo nellabiblioteca. Rimango sorpreso dal lungo elenco dei nomiungheresi – sì, veramente è stato tradotto tutto. Cioètutti i libri di serie B. – Non li neanche guardare, lamaggior parte è un lavoro fatto con i piedi... Le caseeditrici pagano male e per questo i traduttori lavoranomale. I traduttori lavorano male e per questo le caseeditrici pagano male. È un circolo vizioso: non c’è viad’uscita.» (Lénárd, 1973: 274)Un libro che parla della traduzione della poesia nonpuò non soffermarsi sul fenomeno ben noto a chi sioccupa di rapporti italo-ungheresi: lo squilibrioquantitativo e qualitativo che esiste fra traduzioni dellapoesia italiana in Ungheria e traduzioni della poesiaungherese in Italia. La scarsa conoscenza dellaletteratura/poesia ungherese è stato un argomentomolto spesso sollevato da una schiera di studiosi.Prendendo atto, con rammarico del disinteressegenerale nei confronti dell’Ungheria, che solo in casieccezionali, in momenti particolari (come fu il 1848, il’56 o la caduta del Muro) può abbattere l’altro muro,quello dell’indifferenza. Tale situazione, certamente nonè né troppo specifica, né senza pari; sia «l’italiano» che«l’ungherese» potrebbero esser sostituiti con ladenominazione di qualsiasi grande lingua di culturaeuropea la prima e con il nome di qualsiasi popolo dell’Est-Europeo la seconda.Interrogandosi sui motivi, che sono senz’altromolteplici, pur concordando su quelli generali, ogniletterato mette l’accento sui diversi componenti. C’è chisottolinea il calo della letteratura in generale, specie sesi tratta di poesia, altri vedono il problema più dal latodi politica editoriale e di management culturale. Oltre aquesto elemento va ricordato il fattore linguistico, dauna parte l’ostacolo per chi non lo capisce, dall’altrauna ricchezza. Ne parla anche Mihály Ilia, insigneletterato, che nella prefazione all’antologia delle poesiescelte di Stefano de Bartolo sintetizza i problemi dellatraduzione letteraria in riferimento a quella ungherese:«Tradurre dall’ungherese presenta altri problemiparticolari. Soprattutto linguistici. La nostra lingua ugrofinnicaè lontana per esempio dalle lingue neolatine ogermaniche nel lessico, nella sua mitologia ci sonocaratteristiche orientali, ma allo stesso tempo i miti e leimmagini del cristianesimo sono penetrati nel nostroidioma. Lo straniero forse non sa, che questa poesia haa disposizione un mezzo linguistico capace di esprimereogni forma metrica e suscitare l’idea della ricchezzadella ritmica sia classica che moderna.» La letteraturamagiara non è formata soltanto da opere scritte inungherese, ma anche le traduzioni si inseriscono nellanostra lirica ed alcune traduzioni di opere di letteraturamondiale sono quasi inseparabili dalla nostraproduzione letteraria. Certo, tradurre significa utilizzare,far conoscere i valori degli altri popoli. Anche in ciò sinota la caratteristica della nostra letteratura, di esserassetata di cultura europea, desidera convivere eprogredire con essa dimostrare di essere un degnopartner. A volte ci accorgiamo che non c’è ricompensa,la nostra presenza letteraria in altre nazioni è rara e lavalutazione non sempre vera. 8Un altro fattore con cui si devono fare i conti è ildiverso prestigio di cui «gode» la traduzione nelleculture occidentali e centro-orientali. È noto che latraduzione poetica in Ungheria è un genere prestigioso,coltivato da eccellenti poeti. «Una poesia può esserricreata solo da un poeta» è un’opinione quasiunanimamente condivisa. Allo stesso tempo si ha laconvinzione che si tratti di un «unicum» ungherese,dato che la traduzione in altre parti del mondo godi diminor stima. In questa affermazione c’è evidentementemolta verità: in effetti, molto spesso nelle antologieitaliane di poesie straniere tradotte in italiano, il lettorecurioso invano cercherebbe il nome del traduttore, cosache non succederebbe mai in Ungheria.26<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Dall’altra parte invece il quadro è più complesso. Ipoeti traducono molto anche in Italia, soprattutto imoderni e i contemporanei (Ungaretti, Montale,Quasimodo, Pasolini, Milo de Angelis, Franco Fortini,Giovanni Giudici). Ma lo fanno soprattutto dalle lingueclassiche e da quelle di grande diffusione, in cui hannola competenza linguistica, il resto viene affidato alfilologo. Per quello che concerne la letteraturaungherese, Ruspanti cita due poeti, SalvatoreQuasimodo e Diego Valeri, che lavorando con unatraduzione grezza hanno tradotto poesie ungheresi.(Ruspanti 1997: 370) 9 mentre da noi accade spessoche anche le poesie «minori» hanno trovato le loro vociungheresi in poeti di prim’ordine (come László Nagy perla poesia bulgara). Un’altra differenza è, che latraduzione occidentale, fra cui anche quella italiana, perdiversi motivi ben illustrati anche dallo studioso TiborSzűcs rinuncia alla rima. Già nel lontano 1912 il grandepoeta e letterato ungherese Mihály Babits osservava,recensendo tre volumi di poesia ungherese appenausciti, che le poesie ungheresi sono tradotte in prosa(Babits). 10 Nel citato saggio di Ruspanti troviamo tutti ichiarimenti.La seconda parte del libro, il quarto capitolo (Studiparalleli), comprende un’analisi testuale multidirezionaledelle versioni di diciotto poesie. Testi ben scelti, offrononon solo il fior fiore della poesia ungherese (sistemati inordine cronologico), ma presentano una varietà dicontenuti e linguaggi poetici. Dove la stessa poesia èdisponibile in versioni sia italiana e tedesca (Babits,Csokonai, Kölcsey, Petőfi, Arany, József Attila, Juhász,Radnóti, Szabó, Nagy László) l’autore studia e presentaparallelamente le due varianti. Le complesse analisilinguistico testuali vengono svolte con grandecompetenza e con un simpatico rispetto verso il lavorodel traduttore, fra cui si trovano anche numerosi nomiungheresi. Lénárd, scrittore di origine unghereseemigrato in Brasile ha scritto il suo nome nella storiadella traduzione letteraria con la versione in latino delWinnie the Pooh di Milne, qui si figura come traduttorein tedesco di alcune poesie ungheresi.Nella Conclusione tirando le somme della ricerca,Szűcs osserva che, mentre i traduttori italiani sembranovoler restare fedeli alle immagini ed ai contenuti dellepoesie ungheresi, sfruttano meno lo strato sonoroformale,gli autori delle versioni in tedesco sono inclini aconsiderare quest’ultimo, a scapito magari della fedeltàdei contenuti.Questi risultati andrebbero ricordati anche nelmomento in cui si pongono all’attenzione dei traduttoripoeti da tradurre in italiano. Babits nel già citatoarticolo osserva, che ad esempio Petőfi è la poesia diPetőfi è la poesia delle idee, e come tale è dipendentedalla forma. 11 In ogni poesia si sa, fra gli elementicostituenti (rima, ritmo, figure, ecc.) c’è sempre unofondamentale che dovrebbe esser conservato anchenella traduzione. Se i traduttori in italiano sono più«bravi» a tradurre gli aspetti legati al contenuto,all’immagine dovrebbero tradurre, appunto quellepoesie in cui proprio questo elemento organizzativo èquello dominante.Molte sono le proposte che avanza lo studioso e concui si può pienamente concordare: la pubblicazione divolumi bi-, tri-, plurilingue, la soluzione con il testo afronte, la realizzazione di libri bilingui con commenti,considerati indispensabili, senza cui non vale la penatradurre gran parte della nostra poesia dei secolipassati, come rammentano traduttori ungheresi odall’ungherese.Sarebbe interessante inoltre (chissà se un giorno saràlui a realizzarlo, o qualcun altro) estendere la ricerca adaltre lingue, a quelle geneticamente vicine maarealmente lontane (il finlandese, l’estone, il turco,ecc.) a quelle distanti sia tipologicamente chearealmente (l’inglese e il cinese, ecc.). Un altro studiointeressante potrebbe essere lo studio di diverseversioni della tessa poesia fatta da diversi traduttori escoprirne e interpretarne le differenze, (magari, senzaesprimere giudizi di valutazione).I pensieri dell’autore offrono spunti di riflessioneanche sul versante della didattica delle lingue. Unavolta i libri di testo di italiano per discenti ungheresi,riportavano brani letterari, non solo della letteraturaitaliana ma anche di quella ungherese. I discenti diitaliano hanno potuto leggere molte poesie di Petőfi, diVörösmarty, di Kisfaludy in lingua italiana. Trovarsi difronte ad una poesia ben conosciuta, nella versionedella lingua straniera doveva avere un fascino, cioè unaforza motivante in più. Ai giorni nostri di solito il testoletterario è delegato ai livelli superiori, soprattutto nellatraduzione italiana della didattica dell’italiano all’estero.Chi si occupa di metodologia pensa che bisogna tenereben separate l’educazione linguistica da quellaletteraria, il testo poetico lo si offre al discente che siain grado di coglierne le sfumature ed apprezzarne laspecificità letteraria.Nella didattica dell’inglese la posizione verso il testoletterario è diverso, come forse lo è in quellaungherese. Miklós Hubay, che essendo un letterato eprofondo conoscitore della poesia ungherese, fadell’uso del testo poetico il proprio metodo:«Della lettura di poesia: Invece di scrivere regolegrammaticali sulla lavagna, ogni giorno ho scritto unapoesia. Con i miei alunni abbiamo recitato i versi, parolaper parola, come se fosse un rosario. E lo Spirito Santoscese nell’Aula. I miei alunni non hanno cominciato conle solite frasi: ”Che cosa fa il compagno Kovács? Ilcompagno Kovács guarda la televisione”. A poco a pocovenivano stregati dalla magia della poesia, che rompevala resistenza.» 12Concludendo la ricerca l’autore non può (e non vuole)aggirare la domanda che si solleva non solo fra gliscettici della traduzione, ma fra i traduttori stessi: in findei conti, vale la pena tradurre il testo poetico, pergiunta se esso è scritto in lingua ungherese?Le risposte, come si sa bene, dipendono anche dalconcetto che si dà all’equivalenza e alle aspettativeverso un testo tradotto. Tibor Szűcs risponde di sì,insistendo sul fatto che la traduzione è un genereletterario a sé stante e che va valutata come tale.Un’operazione necessaria, che l’Autore – aderendo aduna tradizione – paragona al lavoro di chi dà una nuovastrumentazione ad una partitura (mentre altriadoperano la metafora della tessitura).Il lavoro è completato da una ricca, preziosa edaggiornata bibliografia, punto di riferimento per ulteriori<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 27


icerche pluridirezionali. (Oltre ai saggi la bibliografiariporta le principali edizioni dei volumi di traduzionedall’ungherese).Un riassunto, in alcune lingue di diffusione mondiale,o almeno nelle lingue coinvolte nello studio, l’italiano edil tedesco, potrebbe contribuire alla diffusione dellavoro che meriterebbe una risonanza più ampia. Allostesso modo sarebbe interessante avere qualcheinformazione in più sui singoli traduttori, magariponendo la domanda se ci sia un atteggiamentotraduttorio differente da parte di chi è ungherese dimadrelingua e da chi invece la lingua l’ha appresa comeseconda /straniera.Un libro, dedicato sia ai linguisti che ai letterati ed aitraduttologi, un lavoro scientifico di grande valore, unalettura stimolante. Ma è allo stesso tempo unaconferma, un atto di incoraggiamento e gratitudine perchi si cimenta in quella operazione che è la traduzionedella poesia ungherese. E non ultimo, è un libro in cuisin dalla prima pagina dedicatoria all’ultima frase sirespira un immenso amore ed ammirazione verso lepossibilità espressive della propria lingua, la linguaungherese._____________________1 Dante A.: Convivio, Libro primo, Capitolo VII. Sonzogno,Miláno, é.n.2 Croce B.: Estetica come scienza d’espressione e linguisticagenerale, Laterza, Bari,1928.3 Terracini B: I problemi della traduzone, Neri Pozza Editore,Venezia, 19574 Kosztolányi: Lenni vagy nem lenni, Kairosz, 1999 e Nyelv éslélek, Szépirodalmi kiadó, Budapest, 1990.5 Edith Bruck- Giovnni Giudici-László Lator: Sul mestiere delpoeta, Istituto Italiano di cultura per l’Ungheria, Budapest,1999.6 Cervantes: Don Chisciotte, cap. 62.7 Babits: Magyar irodalom8 ibidem.9 Ruspanti, R. Dal Tevere al Danubio, Rubbettino, Catanzaro,1997pp. 370.10 Babits: Magyar irodalom Olaszországban, Szépirodalmi,1978, pp. 316-320.11 ivi12 Hubay Talán a lényeg, Littera Nova, Budapest, 1999, p.41.Bibliografia:Babits Mihály: Magyar irodalom Itáliában, in: Babits Mihály:Esszék, tanulmányok, első kötet, Szépirodalmi Könyvkiadó,Budapest, 1978, pp. 316-320.Babits: Magyar irodalom, in: Babits Mihály: «Esszék,tanulmányok», I. kötet, Szépirodalmi Könyvkiadó, Budapest,1978. pp. 359-364.Edith Bruck–Giovanni Giudici–László Lator: Sul mestiere delpoeta, Italiano di Cultura per l’Ungheria, Budapest, 1999Cervantes M.: Don Quijote, 62. fejezet.Magyar Helikon, 1962,Benyhe János átdolgozása. Pp. 791Dante Alighieri: Convivio, Libro primo, Cap. VII., Casa editriceSonzogno, Milano,é.n. p.93.Hubay Miklós: Talán a lényeg, Littera Nova, Budapest, 1999,pp. 41Ilia Mihály: Prefazione al volume «Su questa terra desolata»,Dipartimento di Italianistica dell’Università di Szeged, Szeged,1994, pp.4-5.Kosztolányi Dezső: Nyelv és lélek, Szépirodalmi, Budapest,1999Kosztolányi Dezső: Lenni, vagy nem lenni, Kairos, Budapest,1999, pp. 234Lénárd Sándor: Róma, 1938 in:«Völgy a világ végén és mástörténetek», Magvető Könyvkiadó, Budapest, 1973, p.274.Ruspanti Roberto: La tradizione e la traduzione della poesiaungherese in Italia, in: «Dal Tevere al Danubio», Rubbettino,Catanzaro, 1997, 369-374.Sárközy Péter: A magyar irodalom «helye» Európában – olaszszemszögből in: «Nyelvünk és kultúránk», 2006/4-5. pp. 16-23.Terracini Benvenuto: Il problema della traduzione in:«Conflitti di lingue e culture», Neri Pozza Editore, Venezia,1957Questa recensione è già stata pubblicata sul N. 21/2009,pp.271-276. della «Nuova Corvina».Seconda pubblicazione.Judit JózsaUniversità degli Studi Janus PannoniusDipartimento dell’Italianistica- Pécs (H) -APPENDICENel volume sono state analizzate le traduzioni delle seguenti18 poesie:Kosztolányi Dezső: Halotti beszéd/Prolog/Discorso funebre/(in tedesco: Andreas Kárpáti; in italiano: Stefano de Bartolo)Balázs Béla: A kékszakállú herceg vára – A regösprológusa/Prolog (in tedesco: Wilhelm Ziegler)Balassi Bálint: Hogy Júliára talála, így köszöne néki/Als erseiner Julia begegnet, begrüβt er sie also/Trovatosi Giulia,così la salutò (in tedesco: Heinz Kahlau; in italiano: Marta Dal Zuffo)Csokonai Vitéz Mihály: A reményhez/Alla Speranza/An dieHoffnung (in italiano: Preszler Ágnes; in tedesco: AmmemarieBostroemBerzsenyi Dániel: A közelítő tél/L’inverno che si avvicina (initaliano: Marta Dal Zuffo) Kölcsey Ferenc: Himnusz/Inno/Hymne(in italiano: Paolo Agostini; in tedesco: Annemarie Bostroem)Petőfi Sándor: Szeptember végén/Alla fine disettembre/September-Ausklang, Ende September (initaliano: Preszler Ágnes; in tedesco: Gerhard Steiner / WalterRadetz; Martin Remané)Arany János: A tölgyek alatt (Margitsziget)/UnterEichenbäumen/Sotto le querce (All’Isola Margherita) (intedesco: Martin Remané; in italiano: Marta Dal Zuffo)Ady Endre: Párisban járt az Ősz/Der Herbst war in Paris (intedesco: Heinz Kahlau; Rudolf Inke)József Attila: Betlehemi királyok/Drei Könige in Bethlehem,Könige von Bethlehem/I re magi di Betlemme (in tedesco:Peter Hacks, Christian Polzin; in italiano: Preszler Ágnes)Babits Mihály: Esti kérdés/Frage am Abend, Abendfrage (intedesco: Alfred Gesswein; Rudolf Inke)Babits Mihály: Új leoninusok /Neue Leoniner/Nuovi leonini(in tedesco: Rudolf Inke; in italiano: Melinda Tamás-Tarr)Juhász Gyula: Milyen volt…/Come era, Di che.../Ich weisnicht mehr genau..., Wie ihre Blonheit war... (in italiano: MartaDal Zuffo; Melinda Tamás-Tarr; in tedesco: Günter Kunert; LénárdSándor)Tóth Árpád: Esti sugárkoszorú/Abendlicher Strahlenkranz,Strahlenkranz im Dämmerschein (in tedesco: Günter Kunert /Stephan Hermlin; Ferdinand Klein-Krautheim)Radnóti Miklós: Két karodban/In deinem Arm/ Fra le tuebraccia (in tedesco: Franz Fühmann; olaszul: Stefano de Bartolo)Szabó Lőrinc: Dsuang Dszi álma/Der Traum des Dschuang-Dsi/Il sogno di Zhuang-Zhu (in tedesco: Lénárd Sándor; initaliano: Stefano De Bartolo)Nagy László: Ki viszi át a Szerelmet/Chi porta l’amore/Werbringt due Liebe hinüber? (olaszul: Preszler Ágnes; in tedesco:Annemarie Bostroem)Weöres Sándor: Rongyszőnyeg – 14. Rózsa/Rose 99.Galagonya/Hagedorn (in italiano: Marta Dal Zuffo; in tedesco:Heinz Kahlau)I nomi evidenziati in grassetto segnalano i nomi dellepersone che hanno o avuto rapporto con la ns. rivista.Ora ecco alcune pagine dimostrative:28<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 29


30<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 31


32<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 33


34<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Ecco le principali edizioni dei volumi di traduzione dall’ungherese, tra cui risultano anche le edizioni O.L.F.A. dellans. rivista ed una ns. conoscente di cui nel passato abbiamo anche riportato alcune sue traduzioni:<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 35


A cura diMelinda B. Tamás-Tarr- <strong>Ferrara</strong> -36<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


______Recensioni & Segnalazioni______Giorgio MichelangeliDOLSEUR E ALTRI RACCONTISandro Teti Editore, 2008 € 8,00La Sandro Teti Editore, attraversola collana ZigZag, prediligearmonia linguistica ecoinvolgimento stilistico ampliandoa più generi e prospettive. Unacollana caratterizzata da prezzicontenuti a fronte della cura e della qualità delprodotto. Quella di Giorgio Michelangeli è un’operaprima suffragata da una scrittura giovanile, macompiuta ed interessante nel suo computo di vita e dimorte travolgente e romantico, nondimeno essenziale,ben ritmato nonché spontaneamente visionario. Unascrittura che assume peculiarità da “macchina dapresa”, fintanto da personificarsi in un narratore fuoricampo caratterizzato dal tratto corsivo che non indugianeppure di fronte al verso. Una “prosa poetica” cheespleta drammi attraverso “delitti-liberazione”,prendendo in prestito parole usate da Mario Geymonat,che ne ha curato la prefazione, probabile catarsi padrefigliovista la giovanissima età dell’autore, appenaventiduenne. Avvio evocativo, in un lirico incedere siannuncia la narrazione in prima persona di NestorLorca, che resterà imbrigliato nell’amor cortese, quelloper Blanche, poi fatalmente divenuto tragico e profano.In retaggi con più accertate radici nel noir tardoromantico rimaneggiato col postmoderno, il procederedell’autore si snoda scarno ed altrettanto incisivo neldare dimensioni e corpo al dolore con iperboli lampo. Ilcinema, l’incedere del cambio di scena come lasospensione dei tempi nelle tecniche di fotografia,caratterizzano un background che meglio si palesa inSabbia e vento. Qui torna, preponderante, la figura diSergio Leone. Anche la dialogica del fumetto, di fatto,viene evocata nel narrativo: “Bill ringhia. Vuol dire sì”,“Tallen trema”, “vuol dire ok”. Un mondo di frontiera,quello del selvaggio West, dove comunque c’è sempre“estremo bisogno di poesia“, come ribadito dalprefatore, fenomenologico cadenzare ineluttabilidettagli che coronano eventi, frangere poetico con echidi Spoon river. Jack Cinqueassi e l’odore di whisky conpartite a poker mozzafiato, Partes, Canicos, l’indianoche irrompono, uno dopo l’altro, sulla scena, vengonotutti dal nulla di una distruzione. “Gli eroi maschili”,sempre implicati in qualche vendetta o alla ricerca diriscatto, portano al loro seguito amori recisi, intrighi, lascommessa di sopravvivere. Eroi che spegnendosi siriscattano a nuova vita, mito “inenarrabile” che tornafanciullo. Tempo scandito dalla pregressaspensieratezza all’insito presagio di morte in essacontenuto, fino a contare i secondi e tutte le lunghescene di morte che vi si possono immortalare dentro,propedeutico preludio per la grande esplosioneincombente. Con Vie tracciate invisibili ci spostiamo aShanbala, in un ipotetico altipiano tibetano, ma semprecon tanto di diamanti e rese dei conti imminenti.Nell’atmosfera orientaleggiante vengono meglioevidenziati i simboli “con un nuovo sole”, “un armadiocon dentro un carillon”. Nel sorriso del maestro Shalai,viene infine conservato tutto il tesoro. Dal silenziosussurrante delle lande americane a quello dellemontagne più alte del mondo domina e ricorre,naturalmente, quello del mare con Il cantico di NestorLorca che riconduce a Dolseur, anche questa localitàsperduta, titolo del libro nonché episodio di chiusura deiquattro racconti di cui è costituito. Dolseur è un luogodi “neve sul mare”, col suo “libro chiuso di poesie” eSorben, l’artista. Qui c’è un treno e un’ultima stazione,quella che conduce nelle due locande dirimpettaie diOltremare e Stella Alpina. “Amai una donna che mitradì” è una delle tante epigrafi che scorrono tra idialoghi in un diacronico divenire tra allegorie cheritornano, qualcosa di dissonante che avvinceaccordando un leit motiv atemporale legatoall’immagine dell’orologio. Un congegno che ricorre sinoa sancire un solo tempo certo, quello del finale, dove lostesso tempo torna ad esistere nel ticchettio riavviatosulle lancette.Enrico Pietrangeli- Roma -Karen RussellIL COLLEGIO DI SANTA LUCIAElliot Edizioni, 2008C’è un protratto e strisciante,insito e perverso senso dipossessione di cose e personesedimentato tra le righe dellenuove generazioni, unaconcitazione filtrata attraverso unacultura pulp, fluido e ritmatorepechage nonché epilogo di un Novecento lontano dapersonificazioni a tinte piene. Il collegio di Santa Luciaper giovinette allevate dai lupi, racconto conclusivo chedà il titolo al libro, riporta ad un’umanità come obiettivodi salvezza, prospettiva di futuro, altrettanto capace disnaturare ogni altra presunta natura più o meno irreale,come quella dei licantropi, nell’ipocrisia. Questoepisodio, forse più di altri, dà consistenza all’interaopera unitamente al primo, dove la possessione megliosi palesa nelle amorfe identità di Lussurioso, fantasmadi turno. Libro ricco di atmosfere ed archetipi fiabeschicon antropomorfismo diffuso e strettamente connessoad una circostante e fagocitante natura. Una scritturacaratterizzata da una smaliziata, finanche innocente,giocosa ricerca di parole dove tutto prende forma nelbinomio reale-onirico con ironia irriverente, ma sempreben misurata nel redigere trame che, pagina dopopagina, avvitano il lettore verso un finale che restacomunque aperto, propenso a ricominciare nellatradizione di Sharazade. Compaiono famigliesgangherate, talmente inverosimili da stereotipare iltangibile, possibile parodia contemporanea di un certospaccato di società americana, ma anche tragedia,come quella della sorellina strappata dal mare, ecarenze di riferimenti, che troppo spesso si trovanoaltrove, “a fotografare colonie di sudanesi lebbrosi”.Forse non del tutto a caso, un “cimitero delle barche”diviene metafora per una Ground Zero adolescenziale.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 37


Sono narrazioni strutturate da iperboli fantastiche delreale, dove la figura paterna funge da tracciad’indagine, dal mito alla sua disgregazione. Nonmancano genitori che allevano coccodrilli e soprattuttoisole, quale delimitato e nondimeno evocativo scenarioper molte delle ambientazioni. Ma ci sono spazi ancheper i corrispettivi opposti, con paesaggi glaciali e neviartificiali. A Phil Collins viene demandato il ruolo dellahit song in una discoteca-frigorifero, con tanto ditempeste artificiali a coadiuvare le danze. Un verbaled’incidente, quello del caso n. 00/422, chiude la sagapolare con implicati gli “aeroplani da ghiaccio” e un coroda valanga. Ci si avventura fin dentro ipotizzati centriper “sognatori disturbati”, strutture alimentate daun’enorme lampada-mongolfiera dettagliata neifilamenti, con gerarchie e “post-monizioni” cheaffondano stravaganti radici nella storia. Almanaccoastronomico dei crimini estivi mostra una banda“comico-ironica” col ruolo del bullo in bella mostra,crudeltà adolescenziali e persino contrabbando, quellodi tartarughe. E poi La città delle conchiglie e GrossaRossa che ci finisce dentro, sciogliendo i suoi nodipsicologici attraverso primigeni suoni. Sul Mare c’èDente di Sega con la sua chiatta, personaggio di paludeche tonfa sull’amore e vede Maria Subacquea illuminatadi “compassione dipinta”. Ma c’è anche un libro fatale,quello che risveglierà la febbre dell’Ovest in unMinotauro della middle-class americana; del resto,rimanere, equivale già a respirare un’insopportabile ariadi crisi.E. P.- Roma -Si presenta: il seguente scrittodal capo scout Agesci forlivese:Umberto PasquiDIVENTA GIORNALISTAserie: arte scoutedizione: (1) aprile 2009, pp. 64destinatari: ragazziformato: 14 x 21illustratore: Jean Claudio Vincicollana: Sussidi TecniciLa scrittura è stata inventata per comunicare, così èstato agli inizi della Storia e così è oggi. Lasocietà moderna non potrebbe fare a meno dellascrittura perché la comunicazione è una caratteristicaessenziale del mondo moderno. Fatti e notizieattraversano il mondo da una parte all’altra, superanolunghe distanze in pochi secondi. Alla base dellacomunicazione, che è sempre scritta anche se va intelevisione, vi sono regole per farsi capire meglio daqualsiasi lettore. Regole che cambiano se uno vuolescrivere un romanzo o un articolo. Volete provare anchevoi a scrivere, comunicare… ad essere giornalisti?Vale la pena di dare un occhiata al contenuto di questosussidio.Umberto Pasqui ha già pubblicato altri manuali editidalla Fiordaliso:“Dentro la Terra” (2000) e “Meteomanuale” (2007).“Meteomanuale” e “Diventa giornalista” fanno partedella collana Sussidi Tecnici, diretta da Giorgio Cusma,e che, per il momento, comprende 16 manuali perragazzi dai 12 ai 16 anni su varie tecniche scout.L’autore si è inoltre cimentato nella narrativa,pubblicando racconti o raccolte di racconti. Come “Ilfiore delle idee” (Di Salvo, 2000), “L’Odoacresconosciuto” (Prospettiva, 2002), “Insalata di vento”(Kimerik, 2005), “Un po’ l’ora notturna” (Kimerik,2006), “Gli strani casi del principino Vanostemma”(Maremmi, 2008).Collaborando con l’Osservatorio Letterario <strong>Ferrara</strong>el’Altrove, diretto da Melinda Tamas-Tarr, ha pubblicatoi seguenti quaderni letterari: “Il barone della nebbia”(2002), “Il sogno di Tito” (2002), “Prima la musica, poile parole” (2003), “La serra dei salici parlanti” (2004),“Arrigo ritrovato, ossia uno scherzo del cielo e deldestino” (2005), “L’ombra delle stelle” (2007).Rocco PaternostroLA VITA NUOVA TRA GESTOE MEMORIALithos editrice, 2008 € 14,00Saggio di ampio respiro,nondimeno capace di unasuggestiva linea, quella del“gesto” e della “memoria”, chene contraddistingue il percorso.Scritto covato nella polvere deltempo, quella di un ventennio apreludio delle stampe, dove passato e presentes’interpellano ritrovando una Weltanschauung nell’attod’amore che, solo un archeologo dell’anima, èautenticamente in grado di comunicare nel suo arcaicosplendore. Un’analisi che si articola, anzitutto,attraverso gli altalenanti processi politico-sociali sullosfondo storico che caratterizzò Firenze nella secondametà del Duecento. Nel bipolarismo guelfo-ghibellinocresce, divenendo indipendente e determinante,l’assetto politico borghese, cui farà seguito anche quellodel popolo minuto in precari giochi di alleanze e potere.Tra forti tensioni e carenze d’equilibri in atto, Danteritrova in Dio la “risposta alla crisi istituzionale”, valenzastorico-esistenziale di un “gesto”, o piuttosto scelta,“dovere della scelta ad ogni bivio”, come riportatonell’esergo che rimanda a Kierkegaard. Beatrice è il suovettore, cristocentrica metafora, retaggio di unasincretica e più complessa sintesi ratificante ilpropedeutico genio dell’autore della Vita nova che poi,attraverso la Commedia, si erigerà a sommo. Beatriceinduce il viaggio, quello attraverso la memoria, salvificaesperienza di rivelazione volta a re-significare la vita,virtù e ragione dell’anima, “velo [in terra] dell’eternaverità”, così come viene citato da De Sanctis.Con i nuovi modelli che, in quest’epoca, andavanoaffermandosi, se da una parte traspare un esaltatofervore religioso con radici popolari, di cui SanFrancesco è il suo exemplum migliore, dall’altro sipalesano taluni ideali di nobiltà feudale divenutiborghesi a qualificare i “nuovi poeti” attraverso la Siciliadi Federico II. Esigenze aristocratiche che38<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


iconducevano a spinte verso canoni morali, di stampolaico, distinguendosi da condizioni lascive e da fanaticimoralizzatori, ma le loro “donne-angelo” altro nonerano, tutt’al più, che un primo aspetto materico concui compare Beatrice. Al poverello di Assisi ed alcunecorrispondenze con la vita di Cristo, Dante sirichiamava, come pure ai modelli provenzali, quelli delsentimento predominate sulla sessualità, in unatradizione ricca di addentellati classici dove, nellafattispecie, la forma del prosimetro riconduce al Deconsolatione philosophiae di Boezio. A fianco delpensiero francescano e le “basi agostiniane eplatoniche” emerge, col Duecento, il tomismo e ilbinomio “fede e ragione”, fondato sui retaggi aristotelicidell’Aquinate. La poetica dell’ “amore cortese”, filtratoattraverso l’esperienza teologica, con Dante divieneavamposto escatologico, presupposto di conoscenza efede strutturato sul sistema della scolastica.Nella stratificazione del linguaggio dantesco ci siaddentra nelle trame dei simboli, qui ricorre soprattuttoil nove, che procede da quel numero primo che indica latrinità fino a configurarsi con Beatrice, il miracolo,“l’immagine più compiuta”, forma e sintesi del “suolinguaggio parabolico-cifrato”. Superando dapprima lapoetica del Guinizzelli e del Cavalcanti poi, Dante elevaBeatrice ad allegoria spirituale, fintanto da assimilarla atalune vicende del Cristo. Attraverso ruoli sacramentali,soprattutto quello eucaristico, e procedendo peranalogie, la figura di Beatrice riconduce al primigenioamore cristiano, l’agape-charitas, “l’essere amati el’amare”. Un Dante che, di fatto, si poneva al di sopradegli schemi lirico-cortesi “nell’atteggiamentoesistenziale”, oltrepassando l’eros. Nondimeno assurgea “poeta nazionale” nel distinguo di una propria esteticache, prendendo le distanze da Oltralpe, segnerà anchel’identità letteraria italiana.La reminescenza, aristotelica evocatrice di ricordi, sidistingue dalla memoria, dimora di Dio agostiniana,caratterizzando l’anabasi dantesca in Beatrice, traslatodi un fine ultimo ed anche origine di una medesimaverità circolare. Sono “sigle mnemoniche”, chiavi diaccesso ai “sentieri della rimembranza”, quelle cheDante fruisce in una strutturazione di rubriche eparagrafi tripartiti con prosa, versi e commenti arappresentare un ideale “edificio mnemonico”,conforme “alla pianta di una cattedrale gotica”nell’impronta della croce. Una Vita nova relazionabile aldramma sacro, che formula, per Paternostro, ilpalcoscenico di un “teatro della memoria”. La retorica,nella sua dimensione cristianizzata, pone la “memoriaartificiale” come “habitus morale” attivando un processoprudenziale nell’ineluttabile binomio “salvezza edannazione”, soprattutto attraverso impianti comequello dell’ars memorandi di Tommaso. La scelta,quindi, il “soprastare a le passioni”, giunge e simanifesta, anche per il poeta, nell’apporto dellatragedia, segna il sentimento e la cifra del bene e delmale, elemento, quest’ultimo, funzionale all’iniziazionenel background letterario medievale, nonché metaforaesistenziale. Dulcis in fundo, “il testo del ‘libello’dantesco” reso a tergo del saggio, un evergreen diamorevole impegno e propositiva coerenza.Enr. Pie.- Roma -Vito RivielloSCALA CONDOMINIALELietoColle, 2008 € 10,00Attraverso una Scalacondominiale, la poetica diVito Riviello s’inoltra tra leintercapedini di un palazzo chescandisce una comuneesistenza lasciando filtrareluce per mettere a nudo unsenso relegato, murato nelnon senso omologante. Lo fain modo surreale, con uno stravagante senso dimoderazione, nel retaggio cubista dello scomporre traimmaginazione e presenza (in Paesaggi utilizza il“catasto” per ricostituire un reale oltre “la bruma”), maanche con forme più colloquiali e dirette, come nel casodi Intervista, dove “l’evoluzione è come / un colpo disole, di più, / una colpa”, in un’ironia che rasenta lavena malinconica. Una struttura linguistica elaborataper mezzo di costruzioni fonetiche in cui spesso si faricorso all’allitterazione con rotture semantiche chefuorviano per ricondurre altrove, in un tangibile poeticoche è anche traccia escatologica dispersa nel contesto,ovvero quel microcosmo a lui più prossimo ed infarcitodi luoghi comuni dei media da dove il poeta continua apercepire la presenza del “sole” e delle “stelle”ritrovando spazi per riflessioni su un divenire semprepiù incerto, ma mai avaro di spiragli di “luce”. “Micro emacro”, due dimensioni tra uno scrivere che “supera lavelocità / della luce”, dove la difficoltà a conoscerci,accettarci, è persino più difficoltosa del viaggiare “allaricerca / dell’austero infinito”. Luce che, da Lontanastella, “arriva sempre dopo” e che solo “l’innocenza /pensa di poter vedere” in “lontani fuochi / fiochi lumi distelle”, ma luce e amore sono anche humus “per terreproduttive di puro creato” relazionabile ad uncreazionismo evolutivo. Uno stabile, quello di Riviello,che dalle Feritoie lascia intravedere anche ferite,“escoriazioni lessicali” che oppongono giochi di parole aun’inquietudine impertinente, che vorrebbe prendere ilsopravvento. Qui la “Capsula dell’io” intende “coseavverse, / non nemiche”, che “deviano i percorsi”lasciando l’inquietudine sottesa nello scandire dei giorni,simili l’un l’altro, al di là degli eventi atmosferici, perquella “stessa luce” che li caratterizza per poi,puntualmente, tornare a rinchiudersi in “una capsulacrepuscolare”. Il Destino compare nell’opposizione tracondizione e desiderio, allegoria tra corvi, monti e mariper associate perdute “Marie” ripercorse in altrettanteperdute donne “fra le reti dei miti / di carità cristiana”.Un rammarico, in tutto questo, resta per il Punto evirgola, occultato dai più nel timore di riaprire undiscorso. Il Bacio è l’istanza all’ “eterna madre”, istintoancestrale che si concretizza come diritto sindacale inuna fisicità dell’emozione identificata con la “Lasecrezione urbana”, ne “l’amore visibile”, in una“traspirazione sebacea globale”. “L’ amore invisibile”necessità invece d’introspezione e spessore. Ma l’amorevero, infine, esula entrambe queste visioni e si lasciacogliere soltanto “strada facendo”.La silloge, per la cronaca, si apre nel binomio“dettaglio” “sbadiglio” che, amplificato, conduce a<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 39


“molteplici presenze”. Dettaglio ribadito, con tanto direplica del testo all’interno del libro, e che lasciacomunque subito trapelare “luce” tra le ombrepermeando “realtà plurime e multimediali”, “nuovisegnali” che l’autore, da sempre attento a giovani econtemporaneità, coglie puntualmente. Ma insieme aquesti segnali, emerge anche una sospensione deltempo in un presente vacuo e privo di simboli propri, diquelle che rischiano di lasciare senza memoria eidentità le nuove generazioni. Con Simmetrie, c’è unpiano speculare fotografico e modernista che affiora, undesiderio di conoscenza che passa per la rivelazionedelle forme e, nell’analisi descrittiva del fenomeno,sonda il mistero in esse contenuto, un gioco dell’occhioche, in Vestire gli ignudi, denota volute in rimandi sullenudità dell’io con ulteriori connessioni novecentesche.Muretti ciclopici, a partire dal titolo, manifesta ilparadosso volto a ricomporre dimensioni ed emozioninell’ossimoro generato, insieme a Luglio palesa unluogo d’azione del poeta, nell’ordine la poltrona e lafinestra. Da qui il poeta si rivolge direttamente aicondomini, alla loro conclamata disattenzione per unidillio celeste che il poeta percepisce come “calore” e“sole”. Un sole dettagliato in un “baciointercomunicante”, nel riflesso di un iperrealismocromatico della luminescenza, “quello / che appare aicoltivatori / e ai bagnati” nell’amplesso con la madreterra.In Uno alla volta, tra “scarti cimiteriali”,“fanghiglie” ed altre immagini di più forte impatto,compare un terzo luogo d’azione: i balconi, da dove sipercepiscono artefatti papaveri “colorati all’ingrosso”,ma anche “ascensori della luna”. Noè, in questaplanimetria condominiale, è la constatazione di unprovincialismo reso mondano con un lessico che tornaad essere più discorsivo, mentre con Escamotage ilcolloquiale si fluidifica in una struttura di sovrappostipensieri estetizzanti il comico che, con la poesiadedicata Ad Alberto Savino, divengono memoriadialogica. La tematica famigliare si avverte in più puntie con diverse sfumature, c’è una cugina che insegue un“amore impossibile / scappato da un museo” mentreDaniela, definita “nomenclatura di base” con Lidia, “nelprecariato in corso” è colei che “dentro e fuori”preserva un “posto fisso d’onore” al poeta. Juli,“bisnonna, / bella fragile e danzante”, porta in dote un“nitore”, che è limpidezza lucente, e scavalca il tempoin correlazioni storiche che finiscono per frantumarlo erenderlo “unico” nel suo susseguirsi, quindi “Cartaginebrucia ancora” e, altrove, “il re Borbone” “visitaPotenza” tra nebbie mentali” e “metamorfosi nelpasso”. Ma anche in Sequenze, con “sessi” “mai fissi” e“scissi”, tutto, infine, vira all’unitario riconducibile a piùforme. Un senso nel non senso o piuttosto un “senso /che si dà al non senso”, come precisa l’autore nei suoiversi, dove ogni possibile destrutturazione ericonfigurazione sembrerebbe anche ricondurre adun’unica matrice, forzare le odierne “feritoie” del vivereper tentare ancora varchi arditi ma possibili che,attraverso lo sguardo del poeta, permettano tuttora disondare quell’oltre che ci vincola all’esistenza.En. Pi.- Roma -Nicholas ClaptonMORESCHI, L’ANGELO DIROMAEdizioni Controluce, 2008 € 15,00Esce un’opera di aperturainternazionale per i tipi di EdizioniControluce, in collaborazione conil locale coro intitolato aMoreschi, l’ “angelo”protagonista, e le strutture dellalocale comunità monticiana. Illibro, a dire il vero, vede una prima edizione inglese nel2004 curata dall’autore Nicholas Clapton e, soltanto nelnovembre del 2008, viene alla luce nella sua primastampa in lingua italiana con una puntuale traduzionecurata da Giuliana Gentili. L’entusiasmo dell’autore per“l’angelo di Roma” si estende, in quanto ampiamentetrattati nel saggio, verso i castrati e le loro particolaridoti canore, condivisibile fin dalle prima righe, con lafigura di Elsa Scammell, ed identificato nel finalesull’eco dell’ “evviva il coltello”, gratitudine di un tempopresumibilmente espressa per quante delizie ascoltatein melodie. Moreschi, oltre ad eccellere nella suacategoria in quanto a ottave, versatilità e timbrica,viene qui catalogato come l’ultimo dei “menomati” delcoro della cappella Sistina. Una vita ed una carrierache, dalle vicende risorgimentali, approda all’ascesamussoliniana traversando, a cavallo tra i due secoli,quei profondi mutamenti socio-politico-culturali checaratterizzarono il nostro paese. Un’esistenza spessodecisa, come rimarca l’autore, “da coincidenzestoriche”. Tra le sue tracce più tangibili, restano quellelasciate nel solco in cera lacca, rappresentando, a tuttigli effetti, un raro documento realizzato attraverso leallora neo-acquisite tecniche di registrazione. Aimmortalare la sua voce sarà Owen che, nel 1902, sitrovava a Milano per registrare Caruso ed opta per unavariante recandosi a Roma. All’arrivo di Moreschi nelcoro, c’erano già altri sei “capponi sacri”, cosi come aitempi furono denominati i “menomati” nella Romapapalina. Per i coristi, a fianco di taluni privilegi – comequello di essere esentati dai digiuni – permaneva unostipendio piuttosto contenuto, circa 118 lire nel 1871per un impegno a tempo pieno. Va tuttavia menzionatoun coerente orgoglio vaticano che, allora, rifiutavastanziamenti da parte dello stato italiano. Nel lungoexcursus tra “origini e relazioni”, si affrontano le varietecniche di castrazione. Quella dei più promettentitalenti cantori si era evoluta in un bagno d’acqua caldacon assunzione d’oppio intorno al XVI secolo. Di lì a piùtardi, il fenomeno stesso dei castrati diverrà“esclusivamente italiano”. Col Novecento resterà la solamemoria – definita “archeologica” – dell’ “insegna di unbarbiere di via dei Banchi Vecchi”: “Qui si castranofanciulli per la Cappella papale”. Sul fronte dell’altrosecolo, l’Ottocento, a rimarcare povertà e squalloresociale della Roma pontificia, vengono riportate alcunenote di Mark Twain e il suo The innocents abroad, in uncontesto che vede la popolazione spesso analfabeta el’inserimento della prima scuola d’obbligo solo a partiredal 1877. Una condizione che, certamente, vedeva perMoreschi una concreta speranza d’impiego edinserimento attraverso la procurata preservazione delle40<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


sue capacità vocali. Libro ricco di aneddoti interessanti,come quello su Clemente VIII, che vedeva unadesignazione in onore di Dio quella dei castrati in senoal coro considerando il caffé, in una matriceproibizionista, bevanda di Satana. Ma Leone <strong>XIII</strong>, daquanto si evince dal testo, non indugiò ad approvareuna mistura popolare a base “di vino e cocaina”, assaiin voga ai tempi e denominata Vin Mariani. Unabevanda che, oltremodo, riscosse anche più nobiliconsensi, come quello della regina Victoria d’Inghilterra.Adeguato spazio viene considerato nell’opera pertrattare l’aspetto anatomico, nonché disfunzioni epatologie tipiche della categoria, dalla più scontatatendenza all’obesità a taluni sviluppi anomali assaimeno facilmente relazionabili, come la cifosi.Nell’istituzione ecclesiastica l’autore trova posizioni che,nei stravolgimenti del Novecento, definiscecaratterizzate da “irrequietezza”, ma, da quantoriportato a sintesi di più secoli, si va da Nicea e le sueposizioni proibitive verso l’auto-castrazione, intesa comescelta, all’affermazione del fenomeno dei castrati chesegnerà il corso di oltre tre secoli per la cappellaSistina, un contesto dove l’elemento cromatico edemozionale viene a prevalere sui modelli di “purezza esemplicità”. Ciò nonostante a prevalere, infine, sarannoi cecilianisti e la tradizione polifonica gregorianadesignando l’estinzione dei castrati dal coro. Ad usciredi scena sarà il consolidato direttore e musicistaMustafa, emblematico di un mondo che, con Perosi,assumerà tutt’altri contorni e direzioni. Mustafa è ancheil personaggio cardine della stessa vita di AlessandroMoreschi ed i suoi esiti professionali, caratterialmentedifficile e che, soprattutto negli ultimi tempi, soloattraverso protratte assenze seppe manifestare i suoidissensi. Oltre la vita di Alessandro, resta in sospeso unulteriore presunto e mai accertato “menomato”, ovveroDomenico Mancini, con la certezza di una tomba alcimitero monumentale del Verano, sepolcro peraltronon facilmente identificabile da quanto riportato in unacronaca della visita dello stesso Clapton. Oggigiorno, incui si dibatte tanto di castrazione chimica per pedofili estupratori, non può non restare un briciolo di nostalgiaper il fascino e l’eleganza che contraddistinse unacategoria del tutto onorata nella tradizione vocale.Moreschi, forse, è l’epilogo di questa memoria rispettoquanto viene ormai ordinariamente considerato conriluttanza o, tutt’al più, come estrema ratio percontrastare patologie sessuali. Ma già nell’antichità,come sottomissione od espiazione, e nel dettaglio inCina, dove si praticava come “alternativa alla pena dimorte”, la castrazione assunse connotati punitivi comepure risvolti di prestigio sociale che in India, ma nonsolo, si caratterizzarono persino in valenze di tipoascetico.EPi- Roma -Melinda Tamás-Tarr BonaniDA ANIMA AD ANIMAAntologia di traduzioni: Poesieungheresi, francesi, spagnole,latineEdizione Osservatorio Letterario<strong>Ferrara</strong> e l’Altrove / O.L.F.A. <strong>Ferrara</strong>,febbraio 2009 pp. 150A partire dal titolo, semplice e diretto, privo di ognipretenziosità, si percepisce l’effettivo impegno arendere poesia alla poesia attraverso lo strumento dellatraduzione, cosa mai abbastanza del tutto evidente eche spesso sfugge ai più deviando dall’autenticitàdell’espressione poetica originaria. Un titolo comunquepreso in prestito dai versi di Árpád Tóth, che esploracosmiche distanze alla ricerca di una spontaneacomunicazione. Eventuali imperfezioni linguisticheravvisabili nel testo non degenerano mai latrasmigrazione del sentire, semmai denotano l’assenzadi strutture nel sostenere interessanti iniziative culturalipiuttosto che carenze da parte di chi, coraggiosamente,si cimenta con ottima padronanza verso una linguaacquisita. Va oltremodo precisato che, attraverso larivista Osservatorio Letterario, da molti anni l’autrice siprodiga nell’interscambio culturale tra Italia e Ungheria.Tra quante poesie riportate, ci sono versi che,frequentemente, incorrono nell’anafora, ma ricorronoanche rime e assonanze che la traduttrice ricostituiscescrupolosamente in italiano. L’analessi, soprattuttoquella del “bacio” e delle “labbra”, caratterizza più poetimettendo in rilievo quegli artisti dalle più accertateradici romantiche. Endre Ady testimonia subito tuttoquesto, soggiorna in Francia, dove scrive Autunno aParigi, e qui assorbe talune tendenze tracciate daimaudit, che meglio si palesano nel grottescomanifestato ne L’ultimo sorriso: “ho vissuto molto male/ che bel cadavere sarò”. Più datate, ma nondimenoefficaci, sono le quartine amorose di Mihály CsokonaiVitéz: “Mi tormenta il fuoco ardente / dell’immensoamore rovente”. Amore che si sublima nei versi delgrande Attila József: “ci fonderemo, in color rovente /sull’altare fragrante ardendo / nell’immensofirmamento”. Gyula Juhász, che muore suicida come A.József nello stesso anno (1937) e, al pari diquest’ultimo, presenta evidenti disturbi psichici, è pureun altro illustre poeta lirico che nelle parole dell’amatascorge “il vento di marzo” tra le sepolture. Con FerencKölcsey, autore dell’inno nazionale ungherese, prendecorso un’anamnesi storica del magiaro e la sua “sorteavversa”, popolo che “già espiò / il passato e il futuro”,tra “l’altera reggia di Vienna”, “mongoli rapaci” e turchi.Una sofferenza storica rimarcata da Dezső Kosztolányi:“splende il sol, ma non ti vedo / per il mondo il magiaro/ è orfano”, ma è Sándor Petőfi l’emblema del patriota,nonché eccelso poeta nazionale, immolandosi, poco piùche ventenne [N.d.R. a 26 anni], alla causa: “alzati,magiaro, la patria ti chiama!”. L’Esistere, “ovunqueinvisibile” e “in ogni cosa visibile” volge al metafisicocon Gyögy Rónay, mentre è una kafkiana rinascitaquella di Lőrinc Szabó, che nel baco intravede unangelo e un rifugio. Tematiche religiose ricorrono con<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 41


Jenő Dsida, Emil Ábrányi, Sándor Reményik, Ábel TolnaiBíró e Magdolna Horváth. Scaturiscono, pregevoli, iversi di Mihály Vörösmarty, con le sue invettiveamorose, e quelli di Sándor Weöres nel suo labirinticobosco. Nella sezione dedicata ai contemporanei vasenz’altro menzionata Olga Erdős, un talento sostenuto,a ragion veduta, dall’autrice del testo. Si distingue perle sue immagini penetranti ed originali: “fiore d’unarampicante pianta / sul recinto putrido / coi petali dafarfalla”, “pensiero di cognac impregnato, / puntointerrogativo pietrificato”. Eccellente lo stile prosasticodi Jácint Legéndy, come pure il minimalismo strutturaledel naturalizzato tedesco Alfréd Schneider, cheattraverso gocce di pioggia scorge ovunque noia in una“massa di minuti paracaduti”. Rilevante latestimonianza di Erzsébet Tóth, che attraverso i suoiversi riporta alla memoria una Polonia sbranata danazisti e comunisti. Un poesia che è un dovuto omaggioalle vittime dello sterminio di Katyń, uno sterminio alungo occultato ed operato dalle truppe sovietiche agliordini di uno Stalin che, col patto Molotov-Ribbetrop,caldeggiò il sogno di un’Europa liberale massacrata daHitler. Fortunatamente, poi, quest’ultimo fu abbastanzadissennato da mandare in fumo un simile progetto, maBudapest ci ricorda quanti sacrifici sia costata ancora lalibertà per tutta l’Europa dell’Est. Presente anche unasezione con alcune poesie di Melinda Tamás-Tarrbilingue, rilevante il suo monito alle nuove generazioni(perlopiù scriteriate e prive di valori) affinché onorino ipropri genitori. Estremamente condivisibili sono le sueequidistanti posizioni da monopoli di scienza e religioni,da dogmi ed illusioni, espresse in una poetica fluida,moderna ed incisiva. Una lunga nota biograficasull’autrice conclude il libro mettendo in rilievo come,frequentemente, pur avendo competenze ed impegno,in questo nostro ‘belpaese’ si resti ai margini. L’Italiaresta pur sempre un luogo dove la certezza dellostipendio fisso non è mai sinonimo di professionalità,bensì predestinazione elitaria dovuta a parentele econoscenze. Prima di leggere quest’opera, conoscevosolo qualcosa di Attila József e Sándor Petőfi, eppureavevo già sensore dello spessore poetico di un popolo,ma ora, senza più ombra di dubbio, posso affermareche credo molto nella poesia ungherese: c’è tantosangue nelle vene, senso epico, capacità di scavare nelfondo, perciò rivendico la necessità di un prodotto diqualità, perché manca, perché merita.N.d.R.:Enrico Pietrangeli- Roma -Ecco finalmente un primo italiano che seriamente, conprofondità si interessa della poesia dell’Ungheria, non silimita ai vuoti complimenti ed ha inviato – mentre eglistava preparando la recensione – il seguente brevemessaggio profondo e di valore – con il quale siconclude anche la sua recensione –centrando l’essenza della lirica magiara: «GrazieMelinda… io credo molto nella poesia ungherese… c’ètanto sangue nelle vene, senso epico, capacità discavare nel fondo… e c’è bisogno di un prodotto diqualità perché manca e perché merita.» Questomessaggio per me è fonte di una gioia particolare –assieme ora anche con l’intera recensione di sopra –, èuna sostanziosa critica anche per il mio lavoro ditraduzione e testimonia che, anche se soltantoparzialmente, ma con queste traduzioni sono riuscita atrasmettere l’essenza della lirica ungherese.In questi più di 13 anni le opere ungheresi sono statepubblicate in questa rivista, riscontri non ne ho ricevutisalvo vuoti, insignificanti complimenti, mentre da partedei miei connazionali sia dall’Ungheria che da ogni partedel mondo – anche dai paesi d’oltre oceano – opinionial riguardo sono pervenute. Sicuramente non le hannolette, soltanto le opere italiane. Annoto che non sonopervenuti riscontri approfonditi neanche per le altreopere straniere. Questo fatto certamente non è un loropregio...Un sentito ringraziamento al recensore e poetaEnrico Pietrangeli per il suo serio interessamento perquest’antologia di traduzioni, particolarmente per lepoesie ungheresi che costituiscono la maggior parte diquesta raccolta. (- Mttb -)SEGNALAZIONE:Michele FabbriAPOCALISSE 23Società Editrice «Il Ponte Vecchio»,Cesena, 2005, pp. 64, € 7,00L’impiego della rima insieme aritmi armoniosi riproduce nel testopoetico una serie di equilibri cheagevola la lettura di questi versi,così come equivalenti fomiti dievocazione tradizionale eclassica....La moralità speculare è tanta, e ciò che è unitarioconvoca le parole a farsi senso di una provocazioneinnovativa piuttosto che commento manicheo in un’areadeserta o senza ricordi attivi. È una “melodia dell’aldilà”a conquistare tesi e moniti di cui sono gremiti i versi(non privi di monotonia e tanto meno di ticonomatopeici), ma anche un ludo quotidiano in cui sia ilfluente rigenerarsi della vita, sia l’incubo della perditadell’effimero, segnano contrappunti pensosi non solofragranti (la rima dentro aiuta una lenta solennitàespressionistica) ma drammatici, traumatici, quasifrecce critiche in un contesto di orrenda visualità, efendenti tutt’altro che vaghi o liristici di cui liberarsi conil quattordicesimo verso, o in quartine assidue edopotutto mai controverse o soltanto convenzionali.Al senso di compiutezza (e di tardività del metro) siaggiungono un’adeguata percezione della poesiaromagnola ottocentesca, un’istanza autobiograficacorrispondente all’anelito riflessivo continuo, unarettifica di ciò che Michele Fabbri aveva scorto nellesillogi precedenti: Trobar clus (1999) e Arcadia (2001).Ma indubbiamente non mancano gli “orientamenti” e le“epifanie” capitali di un’amara voluttà d’urtoconcettuale, e ciò che di inquietante si svolge nelproprio progetto poetico. Va quindi elusa una privata edinsistente sintomatologia dell’autopunizione, in cuil’immagine dell’Apocalisse è centro non aforistico delconflitto metafisico, disquisitivo, allucinato, e qui42<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


denuncia totale dell’esistenza tout-court, nella cuipassione riappare una configurazione del primordiale,dove si assestano mostri, eventi del Caos, fra “serenicieli” e altre idre. (Tratto da CentroStudiLaRuna)Ecco un po’ di assaggio per degustare i classici versimetrici oggi raramente presenti nelle liriche odierne:Al lettoreRibatto incandescenza di parolesull’alveo disseccato dei discorsi.Canto un mio requiem per voce distorta:melopea ossessiva per la grandetribolazione di questi tempi ultimi.Parole taglientiCome affilata lama di rasoio,o forse più sottile di lametta,tronca la forbice, nodo scorsoiodella mia vita: infilza baionetta.A fil di spada passano le menti:reciso acume di ragionamenti.AzzeramentoRifiuto ogni ragione della vita,bendata la ferita della tempiaio devo sopravvivere indeciso.Il male è percettibile, costante,lo specchio si è oscurato, non riflette.Vedo lo schifo, la menzogna lunga,confusa all’umanesimo integrale.Ora non penso più: mi sono estinto.che conduceva a mete non sicure.POETI AFRICANI ANTI-APARTHEIDEdizioni dell’Arco, Bologna, 2004,pp. 96 € 6,90Trad. di Marta LuziLe poesie qui raccolte, moltedelle quali composte quandoancora il Sud Africa viveva inregime di piena segregazionerazziale, sono l’espressione piùchiara di , ragioni e sentimentiduri ad essere superati.Qui sta la motivazione della proposta editoriale e quista l’incedere nei testi sulla figura di Nelson Mandela,ancora manifesto vivente di una lotta solo apparentementevinta.L’apartheid resta presente nel perdurare di luoghicomuni, nell’offrire poco spazio nei diversi ambiti delvivere, nel costruire barriere invisibili anche nel quotidiano.Riproporre testi che fanno emergere tensioni maisopite contribuisce a meglio collocare valori e metodi direlazione, propri di ogni identità culturale, compresaquella dei paesi “ospitanti”, favorendo il concetto delrispetto e della validità dello scambio culturale, intesocome arricchimento reciproco.La raccolta di poesie Poeti Africani Antì-Apartheid ècomposta da una serie di volumi che offriranno allettore di lingua italiana l’occasione di venire a contattocon autori in gran parte poco conosciuti, accanto apersonaggi di risonanza internazionale.I paesi africani saranno presenti quasi al completo,offrendo una panoramica di nomi e di produzione artisticadi rilievo.Autori presenti di questo continente sono: AgostinoNeto (Angola), Kinkpe Laurent (Benin), AmadouMoustapha Mbodji, Bado Doulaye (Burkina Faso), JeanPierre Ngendanz, MelchiorNtahonkirize, AdrienNihorimbere (Burundi), Joseph M. Tala, Kum’ aN’Dumbe (Camerun), (Repubblica Centro-Africa),L’ultima condizione umanaVita afflosciata e giorno che scolora,dispersa la foschia della memorianel fondo disperante d’ultima ora:la gente fatta a pezzi, senza storia.Futuro di lusinghe non s’indora,la morte che ti lascia senza gloria,il tempo che si è svolto come a suoradi clausura: ma senza la vittoriadi spirito su carne. Nulla sperail mio futuro, stenta il mio pensieroagonizzante al fondo di paure.Immaginando quello che non c’eraanch’io mi sono perso sul sentieroEcco un brano della lirica di un poeta di Camerun, diBurkina Faso – di quest’ultimo fa venire in mente ilCanto Nazionale del rivoluzionario e patriotta poetamagario, Sándor Petőfi –, della Repubblica Centro-Africa e quella di Ruanda che chiude il volume:Joseph M. Tala — CamerunAI MORTI D’AFRICA(alle vittime della violenza)Dall’alba dei tempiHo camminato a fatica nel fangoHo dormito nel fangoIrrorato col mio sangue una terra ingrataHo faticatoSotto il sole e la pioggia per costruire un mondoUn mondo che mi esilia.Ho camminato sulle ginocchiaLungo sentieri rocciosi<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 43


Al ritmo mortaleDelle pedateAl ritmo sanguinante della frustala testa sempre chinataE gli occhi pudichi di verginiUmiliatiViolati[...]Bado Doulaye — Burkina FasoAFRICA IN PIEDIAfrica in piedi!Per la fine della dipendenza,Perché abbia termineLa discriminazione che gravaSul popolo che ha conosciuto la paceMa oggi sottomesso per la sua veritàChe nuota ogni volta nella calaDel sangue che scorre sulla sua purezza.Africa in piedi!Per la marcia contro l’Apartheid,Per lottare al fianco dei nostri fratelliChe hanno bisogno del nostro appoggioPer vincere altri confratelliChe hanno abusato della nostra ospitalitàE posto l’assedio sulle nostre testeIn contro tendenza al cammino dell’eternità,di un popolo da loro considerato animale.[...]Armand Yampoule— Repubblica Centro-AfricaIL PIANTO DELL’AFRICAPiove nel mio cuorePiove... piove... piovePiove sempre la stessa pioggia...Piove sempre lacrime ben noteLe lacrime degli schiavi dell’AfricaNo è l’Africa degli Antenatiche piange la schiavitù dei suoi figli,Sì, è l’Africa che piangeSotto i colpi dell’ApartheidNel crepitio di questa stessa pioggia Sotto i colpidell’uomo bianco Sento piangere mia nonna Nel crepitiodi questa stessa pioggia Sento dei pianti, delle grida,dei gemitiSento la voce dell’uomo biancoUrlare degli ordini.In questi stessi crepitii,sotto questa stessa pioggiaVedo l’ombra indecisa di mio padreChe mortifica mia madreVedo mia madre svenireMa mio padre nel suo angolo non si muove[...]Durumurali Innocenti — RuandaNOSTALGIA DI UNA TERRACom’è diffIcileVivere questo esilioDentro di séCom’è difficilePiangere di gioiaDifficile morire liberoNella terra dei propri aviO terra amataO AZANIE O MANDELA[...]Péter NádasLA BIBBIARizzoli, 2009, € 10Trad. di Andrea RényiISBN: 17035729“Nádas è uno dei maggioriscrittori al mondo.”— SusanSontag “Nessuno scrittoreeuropeo ha affrontato leresponsabilità e i rovelli moralidella memoria pubblica e privata con incisività pari aquella di Péter Nádas”— Michael Kimmelman The NewYork Times Budapest, primi anni Cinquanta. Una villa incollina, con le sue stanze grandi e un austero giardinod’inverno, è il regno ovattato in cui il piccolo Gyuri,figlio di alti funzionari di partito, trascorre giornateapatiche, con la sola compagnia dei nonni. L’ingresso didue ragazze nella routine familiare sconvolgebruscamente la falsa quiete della casa, portando a gallapulsioni, ipocrisie e crudeltà con cui il giovane non si èancora misurato.La Bibbia è l’intenso racconto diformazione che apre una raccolta incentrata su temicari a Péter Nádas: l’adolescenza, il desiderio e ilricordo. Al centro di tre racconti stilisticamente perfetti,altrettanti adolescenti lottano con un senso dimisteriosa estraneità che li trattiene sulla soglia delmondo dei grandi, divisi tra repulsa e attrazione. Lanarrazione magistrale e potente di Nádas smascherasenza appello una società e un’intera epoca storica.Péter Nádas è uno dei maggiori scrittori ungheresi.Membro della prestigiosa Accademia delle Arti diBerlino, ha ricevuto numerosi riconoscimentiinternazionali, tra i quali il premio Kafka nel 2003. Èconsiderato uno dei più probabili futuri candidati alpremio Nobel per la Letteratura.Questo è il suo primo libro tradottoin italiano.András NyergesNON DAVANTI AI BAMBINIElliot, 2009, pp. 182, € 16Collana RaggiTraduzione di Andrea RényiISBN 978886192059044<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Ambientato nella Budapest a cavallo fra la Secondaguerra mondiale e l’occupazione sovietica, questodelicato e profondo romanzo autobiografico intrecciasapientemente gli eventi storici con le vicende di unafamiglia divisa dall’antisemitismo. Il piccolo Andrástrascorre la sua infanzia in una famiglia in partecattolica praticante, in parte di origine ebraica, maagnostica e massone. I giovanissimi genitori sonocostretti a vivere con la nonna paterna Irén, una donnaanimata da sentimenti apertamente intolleranti eantisemiti, molto protettiva nei confronti del figlio e delnipote, ostile invece con la nuora. Durante ibombardamenti la famiglia ospita anche i nonni maternidi András, ebrei liberati dal ghetto che non possonotornare nella loro casa rasa al suolo. Questo periodo diconvivenza e la vita del caseggiato e della città negliultimi mesi della guerra e negli anni successivi sonovisti con gli occhi di un bambino e raccontati consensibilità ed equilibrio stilistico, fino alla scoperta fattada András, ormai divenuto giovane uomo, di una veritàche svela le origini della sua famiglia, mutando cosìradicalmente la prospettiva. Grazie al suo lirismo mistoa un’ironia indulgente, alla narrazione sempre tesa,sincera e piena di colpi di scena e alla perfettacaratterizzazione dei protagonisti, Non davanti aibambini è un romanzo trascinante e illuminante allostesso tempo, ed è stato uno dei maggiori successiungheresi degli ultimi anni.Márton GerlóczyASSENZA GIUSTIFICATAFazi, 2007, pp. 235, € 14.50Trad. di Andrea Rényi”Assenza giustificata” è il raccontodei primi due decenni sprecatidall’autore e della sua completainadattabilità a qualsiasi forma divita sociale. Acuto e inclementeosservatore, Gerlóczy non assolve nulla e nessuno,tantomeno se stesso; racconta le sue bocciature, icontinui cambi di istituto, gli atti di vandalismo, lecattiverie gratuite, le interminabili sbronze e il suoprecoce rifiuto delle istituzioni. La vita di questogiovanissimo e talentuoso scrittore è singolare fin dalconcepimento: il giorno in cui viene ucciso JohnLennon, la madre tradisce il secondo marito con ilprimo e da questa “scopata dovuta a improvvisoimpeto”, nasce Márton. Quando la madre divorzia per laseconda volta compare K., un critico musicale, che saràla sua unica figura maschile di riferimento. Tra scuolesteineriane, kibbutz israeliani e licei ebraici, Mártonlascerà la scuola senza dare l’esame di maturità,convinto che ci sia “un limite, superato il quale la voce,il richiamo del senso del dovere che grida da dentro,cessa di esistere”. Il racconto sincero, costantementeironico e sempre svergognato di una lunga e decisivaribellione che ha fatto diventare Gerlóczy l’idolo diun’intera generazione di ungheresi, quella nata neglianni Ottanta, la prima che da mezzo secolo a questaparte sia cresciuta in uno Stato libero, senza l’”ombralunga” sovietica.Márton Gerlóczy è nato nel 1981 da una famiglia diorigine ebrea. Ventunenne alla consegna delmanoscritto di Assenza giustificata, si vantava di averecome unico documento il certificato di nascita. Il suoesordio è stato un bestseller in Ungheria, conventicinquemila copie vendute e una tempesta direcensioni.Kossi Komla-EbriVITA E SOGNIRacconti in concerto- Togo -Edizioni dell’Arco, Bologna/Milano,2007, pp. 112 € 6,90Questa nuova antologia di KossiKomla-Ebri raccoglie testi diversifra di loro per tema, protagonisti emodalità narrative.Sono però uniti da un filo di sogno, sospesi fra fantasiae realtà... magistralmente dosate dall’autore inpercentuale variabile pagina dopo pagina.Onorifici e crudi, mentali e reali, fluttuanti e ancoratialla vita, in un concerto di voci sussurri e grida, iracconti di Kossi lasciano al lettore il gusto di scoprirequando lasciarsi cullare dalle parole verso il loro mondodi sogno e quando invece è il momento di svegliarsi efarsi delle domande.Kossi Komla-Ebri è nato inTogo nel 1954. È in Italia dal 1974,si è laureato nel 1982 a Bologna inMedicina e Chirurgia. Vive e lavorain provincia di Como. Membro delcomitato editoriale di “El-Ghibli”(rivista online di letteratura dellamigrazione. Ha pubblicato conEdizioni dell’Arco-Marna Imbarazzismi(2002), Neyla (2002), Jmbarazzismi (2004) e Lasposa degli dèi (2005); con EMI Editrice All’incrocio deisentieri (2003).Per maggiori informazioni visitare il sito intemetdell’autore: www.kossi-komlaebri.netEnzo FortiniFRAMMENTI DEL PASSATORaccontiEdizione Pendragon, Bologna, 2008,pp. 212, € 13,00Illustrazioni all’interno del testo sonodell’Autore.Una raccolta di racconti dedicataalle condizioni di vita di unacomunità contadina nell’Emilia deiprimi decenni del Novecento, testimone e interpretespesso inconsapevole di quel difficile e significativoperiodo della nostra storia che coincide con il tramontodi tutta un’epoca.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 45


Raccontando le vicende dei protagonisti, e spesso i lorodrammi, l’autore si sofferma a descriverne, oltre a usi econsuetudini, anche gli attrezzi utilizzati per i lavoriagricoli o le suppellettili che costituivano il miseroarredo delle abitazioni. L’intenzione è quella di ravvivareil ricordo di un passato – segnato da un rapporto vitaletra l’uomo e la terra – che rischia di essere dimenticatoo relegato in quei “Musei della civiltà contadina”, forsetardivo quanto doveroso omaggio a un mondoconservatesi intatto e quasi immutato fino all’inizio delsecolo scorso.Enzo Fortini nato a Malalbergo, in provincia diBologna, nel 1930, Enzo Fortini si è laureato in Lettereclassiche e per lunghi anni ha insegnato materieletterarie in istituti superiori, per poi concludere lacarriera come preside di un istituto magistrale.Appassionato studioso di storia locale, si interessa delripristino di biblioteche private e pubbliche. Frammentidei passato è il suo primo libro.Un libro in cui l’accurata ricostruzione dell’ambientestorico e sociale si accompagna a una scrittura misurataed efficace, dal respiro classico.Bay MadembaIL MIO VIAGGIO DELLASPERANZADal Senegal all’Italia in cerca difortunaEditori Bandecchi & Vivaldi,Pontedera, 2006, pp. 64, € 8,00Il diario di un giovanesenegalese che deveattraversare la Costa d’Avorio,la Turchia e la Grecia prima di sbarcare ad Ancona.Truffato, derubato, taglieggiato, per due volteimprigionato in Turchia perché privo di documenti,scampato ai pericoli di una traversata su un battello inbalia delle onde, confinato per tre mesi in un campo diprofughi a Rodi, sperso per le vie di Atene, felice inItalia.TRADURRE – TRADIRE – INTERPRETARE – TRAMANDARE- A cura di Meta Tabon -Erdős Olga (1977) — Hódmezővásárhely (H)A NAPPALI KANAPÉJÁNKonzerválnám ezt a percet veled.Befőttes üvegbe raknám, aztána polcra, és csak akkor bontanámfel, ha túl sok a hétköznap. Rájárnánk,mint baracklekvárra a gyermek.Kenyérre kennénk a meghittséget,mely úgy bújna nyelvünkhöz,ahogy most én hozzádaz ősz eleji szürkületbena nappali kanapéján.(2009. 09. 10)Olga Erdős (1977) — Hódmezővásárhely (H)SUL CANAPÈ DEL SOGGIORNOConserverei quest’attimo con te.Lo metterei in un vaso di confetture,poi sulla mensola e lo aprirei soltantose venissero eccessivi soliti giorni.Di esso avremmo la voglia come un bimbodella marmellata di pesca.Spalmeremmo quest’intimità sul paneche alla nostra lingua s’appiccicherebbecome adesso io a te nel grigiore dei primigiorni d’autunno sul canapè del soggiorno.(10. 09. 2009)Traduzione © di Melinda B. Tamás-TarrSharon Olds (1942)THINGS THAT ARE WORSE THAN DEATHYou are speaking of Chile,of the woman who was arrestedwith her husband and their five-year-old son.You tell how the guards tortured the woman, the man,[the child,in front of each other,“as they like to do.”Things that are worse than death.Sharon Olds (1942)COSE PEGGIORI DELLA MORTEParli del Cile,della donna arrestatainsieme al marito e al figlio di cinqueanni.Racconti di come le guardie hanno torturato la donna,[l’uomo, il bambino,l’uno davanti agli ochi degli altri,“come gli piace fare.”Cose peggiori della morte.46<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


I can see myself taking my son’s ash-blond hair in my[fingers,tilting back his head before he knows what is[happening,slitting his throat, slitting my own throatto save us that. Things that are worse than death:this new idea enters my life.The guard enters my life, the sewage of his body,“as they like to do.” The eyes of the five-year-old boy,[Dago,watching them with his mother. The eyes of his[motherwatching them with Dago. And in my living room as a[child,the word, Dago. And nothing I experienced was worse[than death,life was beautiful as our blood on the stone floorto save us that – my son’s eyes on me,my eyes on my son – the ram-boar on our bodiesmaking us look at our old enemy and bow in welcome,gracious and eternal deathwho permits departure.Posso immaginarmi mentre prendo fra le dita i capelli[biondo-cenere di mio figlio,mentre gli piego la testa indietro prima che capisca[cosa sta succedendo,sgozzare lui, tagliarmi la golaper risparmiarci tutto quello. Cose peggiori della morte:questa nuova idea entra la mia vita.La guardia entra la mia vita, la fogna del suo corpo,“come gli piace fare.” Gli occhi del bambino di cinque[anni, Dago,che li guarda mentre lo fanno con la madre. Gli occhi[della madreche li guarda mentre lo fanno con Dago. E nel mio[soggiorno, come un bambino,il mondo, Dago. E niente di quello che ho provato è[stato peggiore della morte,la vita era bella quanto il nostro sangue sul pavimento[di pietraper risparmiarci tutto quello –mio figlio che mi guardai miei occhi su di lui – il montone-cinghiale sopra i no-[stri corpiche ci fa guardare verso i nostri vecchi nemici einchinarci con un saluto,morte gentile ed eternache ci permette di andar via.Traduzione © di Daniela Raimondi- Londra (GB) -Enrico Pietrangeli (1961) — RomaIL PAZZOÈ un lago fondo e chiarod’impeccabile innocenza,nobile e azzurra vi scorrepupilla senza più ragionediritta scorge e solcaremoti labirinti d’animoe ignudi vermi che siamoci voltiamo ignorandolo.Enrico Pietrangeli (1961) — RomaAZ ŐRÜLTA szeplőtelen ártatlanságmély és tiszta folyójanemesen s kéken nektek eredértelem nélküli pupillamereven bámul és ása lélek ódon labirintusában,míg mi csupasz férgekelfordulunk, mintha nem létezne.Tratta da: Enrico Pietrangeli, «Di amore, di morte» - 2000,Teseo EditoreForrás: Enrico Pietrangeli, «Di amore, di morte» [Szerelemről,halálról] – 2000, Teseo KiadóTraduzione in ungherese © di Melinda B. Tamás-TarrEnrico Pietrangeli (1961) — Roma2/3 DI PASSIONE, RESTO MASTURBAZIONEScintille multicoloritornano al mio cielo:spermatozoi morentinell’ancestrale amplesso.E mentre tu decadi,dolce e innocentepubertà di piacere,di tal gioia mi duoleil sol nerbo ferito.Enrico Pietrangeli (1961) — Roma2/3 SZENVEDÉLY, MARADÉK ÖNKIELÉGÍTÉSTarka szikrákfelettem visszatérnek:haldokló ondósejtekősi ölelésben.És míg elillanszédes és ártatlankamasz gyönyör,ez örömtől fájón lüktetegyedül a sérült ideg.Tratta da: Enrico Pietrangeli, «Ad Istambul, tra le pubblicheintimità», Edizioni Il Foglio, Piombino (Li), 2007Traduzione in ungherese © di Melinda B. Tamás-Tarr<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 47


________L’Arcobaleno________Rubrica degli Immigrati Stranieri in ItaliaoppureAutori Stranieri d’altrove che scrivono e traducono in italianoErdős Olga (1977) — Hódmezővásárhely (H)TEMETÉS UTÁNTamTamTamEgyik puffanás a másikután, tompán – így csaka föld tudja, a koporsófedelére hullva – gondoltamazon a borús áprilisi délután.A hang is foszlányokbanért el: „imádkozzunk!”,és „feltámadás” – de csupána szél támadt fela fűz ágai között, sa Tisza felől eső illattalbúcsúztak az ártéri fák.Csak az a hang,a tamtamtamvisszhangzott még avirágdomb és a könnyekmögött hosszasan.Olga Erdős (1977) — Hódmezővásárhely (H)DOPO UN FUNERALETamTamTamUn tonfo dopo l’altrosordo – solo la terrapuò suonare così cadendosul coperchio della bara –questo pensavo quel pomeriggio copertod’aprile. Anche le vocimi raggiungevano in brandelli:“invochiamo” e “risurrezione”ma solo il vento tirava più fortefra i rami del salicee gli alberi nelle golenedicevano addio col profumodi pioggia dalla direzione del Tiszasolo quella voce,il tamtamtamdietro la collina dei fioririsuonava lungamentecon le lacrime.Fonte della traduzione: Blog di Daniela Raimondi, si riportacon il consenso dell’Autrice.Traduzione © della stessa AutriceErdős Olga (1977) — Hódmezővásárhely (H)RÁNK ZÁRULRánk zárul az időa Hanság lankái köztjobbra okker búzamező,balra napraforgó sereg.Mintha száz és százéve lenne így,csak az út változik(föld – aszfalt),a por marada kastélykertek vasrácsos kapuintúl a múlt tanúi csupán az árkokmentén kőkeresztrefeszülő Krisztusok.Olga Erdős (1977) — Hódmezővásárhely (H)CI COPRECi copre il tempofra le colline dell’Hanságda destra un campo di grano d’oroda un’armata di girasoli a sinistra.Come fosse così dacentinaia d’annisolo la strada cambia(sterrato – asfalto)la polvere rimaneoltre i giardini dei castellii testimoni del passato sono soltantoi Cristi tesi sulle croci di pietralungo il fosso.Fonte della traduzione: Blog di Daniela Raimondi, si riportacon il consenso dell’Autrice.Traduzione © della stessa Autrice48<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Erdős Olga (1977) — Hódmezővásárhely (H)NOSZTALGIAEgy tovatűnt nyarat keresekvégtelenül, hogy megosszam veled:a Giulia-i Alpok sziklás vonulatátmagunk mögött hagyva százszőlőtőkétől zöldellő lankát,apró falvak téglaszín harangtornyát,kilométereket az autósztrádán,aztán Lido di Jesolo sárga homokfövenyételérve; a tengert – a nagy víz sós illatát,a hullámok fodrát az esti apálykor, ésa lassan éj-kékké váló horizonton messzeaz évek távlatába veszve,Itália első nekem adott csókját.Olga Erdős (1977) — Hódmezővásárhely (H)NOSTALGIASto cercando infinitamenteun’estate scomparsa da dividere con te:cento colline di viti verdilasciando dietro le linee delle Alpi Giulie;i campanili color mattone dei paeselli;sulle autostrade tanti chilometri;poi arrivati al Lido di Jesolo e alla sua sabbia gialla:il mare – il profumo salato della grande acqua;le onde serali di bassa marea e lontanosull’orizzonte blu scuro, perdutonella lontananza degli anniil primo bacio che l’Italia mi ha dato.Fonte della traduzione: Blog di Daniela Raimondi, si riportacon il consenso dell’Autrice.Traduzione © della stessa AutriceLa direttrice della bibliotecafu soddisfatta che erano riucitia ripristinare l’ordinebibliotecario. Soltanto il capodelle forze dell’ordine fu moltopensieroso: dal suo cellulareprese la notizia che nellalibreria dell’Editrice Feltrinellialcuni libri con i loroprotagonisti non volevanoritornare al loro posto ed il titolare chiesedisperatamente l’aiuto da tutti i personaggi presentinella biblioteca che si impegnarono nel rifare l’ordine.Così Sandy accompagnata da Babbo Historicus e daMater Fabula, insieme con gli altri volontari chefacevano parte all’operazione dell’ordine bibliotecario, siprecipitarono alla libreria Feltrinelli in via Garibaldi. Ilavoratori erano disperati assistendo attraverso levetrine alle scene preoccupanti nell’interno del negozio.Mentre le altre librerie in rivolta si sistemavano subitodopo che la biblioteca si mise a disposizione ai lettori,qui i libri con i loro personaggi non volevano sapereniente di arrendersi.Ovviamente, oltre Historicus e Fabula, soltanto Sandyed alcuni volontari in sua compagnia poterono entrarealla libreria dei rivoltosi ritardatari.Dopo che la strana coppia magica Historicus-Fabula eSandy informarono i rivoltosi rimanenti del fatto chetutti gli altri libri insieme con i loro personaggi eranostati ricollocati al loro posto, i rivoltosi si arresero edobbedirono. Così finalmente ebbe fine la strana rivolta eper fortuna senza alcuna conseguenza grave.«Sei stata molto brava, Sandy» disse Historicus.«Ma come mai sei così esperta nell’organizzazionedella biblioteca? Frequenti spesso la biblioteca?» chieseFabula.«Sì, da un pezzo. Poi adesso anche la nostra ScuolaElementare «G. Leopardi» ha una piccola biblioteca. Ungruppo di genitori l’ha costruita per noi. PrimaMelinda B. Tamás-Tarr (1953) — <strong>Ferrara</strong>LE NUOVE AVVENTURE DI SANDYVI/3 UNA RIVOLTA CAOTICA NELLA BIBLIOTECAdell’apertura spesso ho accompagnato mia mamma edho aiutato anch’io nel sistemare i volumi… Questogruppo di genitori, tra cui c’è anche mia mamma, cihanno tenuto e ci tengono delle lezioni interessantinella biblioteca ed oltre le varie curiose attività,abbiamo anche imparato che cosa è la biblioteca, chefunzione ha, come si devono sistemare i libri,eccetera… Poi, Mater Fabula, da quando ho conosciutosuo marito, il Babbo Historicus, frequento con piùinteresse e frequenza la biblioteca, sia l’Ariostea, che lanostra. Sapete che simpatico motto abbiamo aproposito? “Se leggo… sono LEO…”, questo è il motto;poi abbiamo anche lo stemma di un leopardino chelegge un libro… Il gruppo dei genitori della nostrabiblioteca scolastica, autogestita, ha inventato tuttoquesto che troviamo molto simpatico. Abbiamo anchericevuto un segnalibro con il disegno del leopardino econ il motto…»«È una bella iniziativa, proprio… complimenti…Magari tutte le elementari avessero la loro biblioteca ese l’istruzione pubblica veramente si interessasse efinanziasse veramente anche le vostre scuole!… Ma levostre scuole hanno il trattamento da Cenerentola…»,reagì Fabula.«Anche la mamma me lo dice spesso… Lei mi ha giàraccontato più volte che in Ungheria, nella sua Scuolad’Obbligo «H. Botev», in cui insegnava prima ditrasferirsi in Italia, siano le classi inferiori, dalla primaalla quarta; che quelle superiori, dalla quinta allaottava, ciascuna classe era attrezzata con gli strumentididattici che venivano adoperati tutti i giorni dagliinsegnanti: ogni classe aveva la TV, il giradischi, ilmangianastri, i proiettori di diafilm, il proiettore discrittura (in Italia lo chiamano la lavagna luminosa), lalavagna magnetica accanto a un enorme lavagnanormale. Era tredici anni fa. Lei mi dice sempre: chevergogna che in Italia, in un paese industrializzato, lascuola è maltrattata, mentre in Ungheria molto piùpovera le scuole erano modernamente attrezzate! Noi<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 49


in tutta la scuola abbiamo una Tv per i nostri dueedifici…»«Hai ragione, Sandy, è proprio una situazionevergognosa! Ma almeno nella vostra scuola sta percambiare qualcosa grazie ad alcuni genitori che siimpegnano per questo…», rispose stavolta BabboHistoricus.«Sì, ma purtroppo noi, la quinta, possiamo goderepoco!… Per fortuna nelle medie dove andrò, lì è giàtutt’altra cosa… Mamma mi ha raccontato che lì c’è unabella grande biblioteca, ci sono dei laboratori di chimicae di fisica, il laboratorio linguistico e anche una sala peri computer… Poi per me i libri non sono estranei… Essisono i miei compagni… Avendoli non mi sento maisola… A casa nostra i miei hanno una bella bibliotecadomestica, compresi i miei libri… Anch’io ne hoparecchi… Per ogni occasione di qualche ricorrenza,oppure anche senza particolare motivo, ho semprericevuto dei libri dai miei genitori, e dall’Ungheria dainonni e dagli zii… A proposito, mamma e papà stannocatalogando i nostri libri e sono già arrivati almilleduecentosettantacinquesimo volume e sono ancoralontano dalla conclusione del lavoro: ne sono rimastitanti da inserire al catalogo computerizzato…Scusatemi…, ma quello è… non voglio crederci… è ilGrande Mago Grammat!» Sandy gridò dalla grandesorpresa e gioia, interrompendo improvvisamente ildiscorso: vide il suo anziano, grande amico e corse perraggiungerlo senza dar alcuna spiegazione ai suoiaccompagnatori.«Hahoooo! Grande Mago Grammat!… Mi aspetti-i-ii!…Sono Sandy-y-y-y…» urlò quasi disperatamente,perché le sembrò che egli non sentisse la sua voce edebbe paura di perdere l’occasione del nuovo incontro.Lo volle salutare assolutamente.Finalmente il Grande Mago Grammat si girò e salutòla ragazza con grande gioia:«Mia piccola Sandy! Era ora che ti rivedessi! Comestai?» ed abbracciò la ragazzina.«Caro, Grande Mago Grammat! Che gioia incontrarladi nuovo! Non aspettavo proprio questa grandesorpresa! Come mai si trova da queste parti?»«Ho saputo della rivolta dei libri e dei loroprotagonisti. Così mi sono presentato sperando diincontrarti ancora una volta… Stavo già ritornando almio mondo lasciando dietro le spalle questa grandeconfusione e avevo già perso tutte le mie speranze!Però, eccoti finalmente… come sei cresciuta! Chegrande sei diventata! Sei ormai una vera signorina!»«Oh, Mago Grammat! Finalmente ho la possibilitàringraziarla per le straordinarie avventure vissutenell’Impero di Discorsopolis. Se lei non ci fosse stato,non avrei avuto mai quell’occasione di trovarmi in quelmagico mondo. Ricordo che dopo le tante avventure misono sentita tanto stanca al punto che non sono riuscitaa rimanere sveglia. Poi, quando mi sono svegliata, misono già ritrovata nella mia vera stanza… Mi èdispiaciuto tanto… Adesso per fortuna ho l’occasione direcuperare questa mancanza e ringraziarla di nuovo pertutto! Grazie mille, grazie!»«Bene, bene… Non avresti dovuto angosciarti, so chesei una ragazza ben educata… e so anche se tu nonfossi stata così esausta, l’avresti fatto. Io ero sicuro enon ti consideravo maleducata. Per me era come se cifossimo salutati regolarmente… Ma dimmi, ora con chisei qua? Sei da sola?»«No, sono in compagnia di due altrettantostraordinari personaggi: con Babbo Historicus e con suamoglie Mater Fabula… Anche con Historicus ho vissutostraordinarie avventure nella storia passata! Stavoltanon con l’aiuto della villa del Tempo dell’Isola Verbonell’Impero di Discorsopolis, ma con l’aiuto del “Magicolibro della sapienza” e dei versi d’incantesimo di BabboHistoricus…»«Vedo che sei proprio una ragazza molto fortunata!Non a tutti capitano queste occasioni magiche… Oraperò mi dispiace tanto, ma purtroppo devo salutarti,sono già in ritardo… Salutami anche i miei vecchi amici,li vedo spesso ma ora non ho proprio tempo perfermarmi a parlargli. Prima di ritornare, a casa mia devoancora fare alcune commissioni importantissime… Ciaomia piccola Sandy e fa’ la brava, eh?! Mi raccomando,ricordati delle mie parole!»«D’accordo, glielo prometto. Arrivederci, caro GrandeMago Grammat!» Appena salutò il suo vecchio amico,egli già scomparve.Nel frattempo anche Historicus e Fabula raggiunserola ragazza e si incuriosirono:«Perché ti sei allontanata così velocemente? Che cosaè successo?» le chiesero.«Ho incontrato il mio amico, Grande Mago Grammat!Vi saluta…»«Ah, lui? Il nostro caro amico… ma tu lo conosci?Non me lo hai mai detto…», disse Historicus.«Eh, sì… come no! Un anno fa lui mi accompagnò nelsuo straordinario mondo: nell’Impero diDiscorsopolis…»«Perbacco… Sei proprio fortunata, tu… Però è orache anche noi ci salutiamo. Sarà tardi e tu deviritornare a casa in tempo, altrimenti i tuoi genitori sipreoccuperanno molto…»«D’accordo, Babbo Historicus…; ma prima disalutarci, vorrei chiarire qualcosa…», rispose Sandy.«Di che cosa si tratta?»«Del calcolo del tempo… Proprio ieri ho avuto unadiscussione con la mamma… Lei mi diceva che ilventunesimo secolo inizierà con l’anno 2001, io invecevolevo convincerla che era già iniziato con il 2000…,perché la maestra ci ha detto così… Chi ha ragione?»«Hm… La maestra? Io non credo che la maestraabbia fatto un così grande sbaglio elementare… Forsesei tu che ricordi male… Però, tu hai messo indiscussione la conoscenza di tua mamma che è ancheinsegnante di storia e che lei ha insegnato ai suoi alunnidurante le lezioni di storia anche il calcolo deltempo?…»«Sì…, ma la mamma ha insegnato in Ungheria ed inungherese…»«Quello non c’entra niente, in Ungheria ed inungherese… in un altro paese in un’altra lingua… I fattimatematici non cambiano: i risultati rimangono in tuttoil mondo, in qualsiasi lingua, sempre gli stessi… Ed èanche così la questione del calcolo del tempo… La tuamamma ha ragione, e non tu… Devi chiederle scusa!…Adesso ascoltami bene, ti spiego la questione… Noicristiani calcoliamo il tempo dalla nascita di Gesù chenacque nel trentatreesimo anno di regno di CesareAugusto. Dal momento della sua nascita iniziò subito il50<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


primo giorno dell’anno primo del calendario cristiano.Nel calcolo del tempo si parla dei decenni, dei secoli edi millenni… Vuol dire che dieci anni fanno un decennio,cent’anni un secolo e mille anni un millennio. Quindi,dopo cent’anni viene sempre un altro nuovo secolo, altricent’anni, cioè con il centesimo anno si conclude ilprimo secolo e con il centunesimo anno inizia già ilsecondo secolo. Così, facendo i conti, può essere chiarala questione del calcolo del tempo. Adesso tu vivi nelventesimo secolo ed anche il 31 dicembre 1999 o l’1gennaio 2000 sarai ancora nello stesso secolo, quindinel ventesimo secolo, perché questo secolo dura dall’1gennaio 1901 fino alle ore 24 del 31 dicembre 2000. Ilventunesimo secolo, invece, comincerà con l’ora 0 dell’1gennaio 2001… Così con questo giorno iniziamo ancheun altro, nuovo millennio… Sei convinta ora?… Allorachi ha ragione: tu o tua mamma?»«La mamma, naturalmente…» rispose Sandyinchinando il capo per guardare l’asfalto dalla vergogna.«Allora non dimenticarti di chiedere scusa alla tuamamma…, intesi?… Ora però possiamo veramentesalutarci…», le raccomandò Babbo Historicus.«Sì… allora vi saluto e vi ringrazio di tutto… Grazie,Babbo Historicus, per i meravigliosi viaggi nel tempo,per tutte le interessanti informazioni… Spero diritrovarci anche nel futuro… Grazie anche per questarisposta… Devo riconoscere che ho sbagliato…»«Dai, Sandy, era un gran piacere farti compierequesti viaggi ed aiutarti a chiarire alcune cose… Su dimorale! Prima usa la testolina ed allora puoi evitare difarti fare una brutta figura di fronte a tua mamma! Tuttipossiamo sbagliare, ma non devi dubitare dei tuoigenitori che sono istruiti al massimo e tu invece faisoltanto la quinta elementare… Devi ancora fare tante elunghe strade per arrivare a loro livello!… Coraggio,studia e vedrai che tutto andrà bene! Prima ragiona,ascolta le spiegazioni degli adulti… Usando la testolinapotrai anche tu da sola scoprire chi ha ragione e chi hatorto!… Comunque, non scoraggiarti!… Sappi chequando avrai bisogno, mi farò vivo senz’altro, nonpreoccuparti… Basta che tu frequenti la biblioteca.Qualsiasi biblioteca! Quando sarai già più grande, mipotrai trovare anche nella sezione degli adulti. Non tiabbandonerò mai, se farai la studentessa diligente erimarrai una lettrice quotidiana… Allora ciao, Sandy…arrivederci…»«Arrivederci, Mater Fabula e Babbo Historicus! Apresto!» Li salutò senza tristezza perché sapeva che inqualsiasi momento li avrebbe rivisti. Bastava soltantopresentarsi alla sezione dei ragazzi della BibliotecaAriostea.Dopo il saluto Sandy prese la strada verso casa.Strada facendo, nei suoi pensieri formulò già le paroledelle sue scuse verso la madre; fece anche i progettiper le sue future ricerche bibliotecarie ed infine stavacostruendo in mente il componimento delle suestraordinarie avventure, dato che la maestra d’italianoaveva dato il titolo «Un viaggio nel Pianeta dellaFantasia»… Chissà, forse stavolta avrà il coraggio discrivere le sue avventure straordinarie in compagnia diGrande Mago Grammat e di Babbo Historicus, oppuredella sua testimonianza personale della rivolta deilibri?…Dal libro inedito scritto nel 1997. A quei tempi questo branoè già stato pubblicato sulla nostra rivista.14) FineCOCKTAIL DELLE MUSE GEMELLELirica – Musica –Pittura ed altre MusePAROLA & IMMAGINEIn risposta ad OrazioCronaca illustrata sulla straordinaria vita di PV, fabbricante di ceramichePietro Voltolini, mio primo cugino è nato in unapittoresca valle delle Alpi italiane, nella Val di Sole. Unpaese vicino al suo, Fucine diede i natali ad un pittoreappartenente alla scuola veneziana, Bartolomeo Bezzi.Al suo nome è legato l’idea dell’organizzazione delBiennale di Venezia e l’organizzazione della prima suaedizione, nel 1891.Mio cugino la maggior parte della sua carriera l’hadedicata all’industria chimica. Con il ritrovamento dimateriali più adatti e con le invenzioni tecnologiche èriuscito, non solo a migliorare le proprie condizioni divita, ma ha contribuito anche alla diffusione dellaceramica e della piastrella italiana in tutto il mondo.Durante i suoi viaggi per affari ha girato quasi tutto ilmondo. Come turista, poi da alpinista che era cresciutofra le montagne, ha visitato le cime più alte delle Alpi.Sin dalla sua carriera ha sempre dimostrato grandeinteresse verso l’artigianato, ha cominciato acollezionare dei prodotti materiali della culturacontadina.Successivamente si è ritirato dall’attività industriale. AOssana, suo paese natale, ha messo su una piccolaofficina. In queste condizioni simili a quelle dei tempidella manifattura con l’applicazione della tecnologia piùavanzata ha realizzato diversi prodotti originali. Stufe diispirazione popolare, attingendo molto dall’artepopolare ungherese. Queste stufe sono state alquantomodificate nella forma e nei colori, resi più vari e vivaci,secondo il gusto mediterraneo, di quelli dell’originaleAlcuni anni fa ha abbandonato anche quest’attività.Nel terzo periodo della sua opera mettendo a frutto leconoscenze e le competenze professionali realizzaquadri e creazioni su piastrelle. Modestamente e senzaesagerare, trasporta in una materia da lui preferitatutto ciò che lo ha impressionato e toccato e che pensapossa esser interessante anche per gli altri.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 51


Pietro Voltolini non è un carattere lirico, nel senso chenon gli importa di farsi mostrare, creare ad ogni costoqualcosa di nuovo. Quello che è di personale, legato alsuo io, è la scelta, la selezione.Il gesto con cui, fra i segni del nostro mondo, semprepiù vasto nello spazio e nel tempo sceglie, stupito,quelli che sono importanti per lui.Se si può parlare, nel suo caso di un precursore, lopossiamo identificare in quel nostro antenato chedisegna sulle pareti delle grotte e delle caverne quelloche pensava fosse importante tramandare ai posteri.Che siano pittogrammi, ideogrammi psicogrammi.Realizzando le opere riesce a far sì che possiamoconoscere più a fondo non soltanto il nostro ambiente,ma anche il nostro mondo intero.1) 2)1) Una Natività copta, risalente al primo periodo del cristianesimo africano 2) Scelta da opere di PicassoScelta dai disegni di Miklós Borsos (illustrazioni al volume del Libro di Giona di Mihály Babits)L’idea di ingrandire lo spazio abitabile non era certodettata da esigenze di carattere pratico. Anche segrazie all’arredamento che riesce a sfruttare bene nonsolo lo spazio centrale ma anche gli angoli, è diventatoadatto anche a questa finalità.La maggior parte dei pezzi qui raccolti ha un valoremuseale ed artistico. Ciascuno di questi oggetti è statoraccolto e sistemato secondo il gusto dell’ideatore delnuovo spazio. Sono caratteristici per capire i moltepliciinteressi del proprietario, e dimostrano di esserepassionalmente e fraternamente legati, uno all’altro, siaqui che nel mondo della natura.La mansarda, comunque non è un museo. Gli oggettinon sono schedati.La sala sotto il tetto“Dove gli oggetti si trovano bene e ci interpellano””Sunt lacrimae rerum” dice Mihály Babits, grande poetaungherese. E potremmo aggiungere: non solo hannoorecchie per sentirci, ma anche la facoltà di parlare. Ese per il nostro gusto li troviamo un po’ troppo laconici,possiamo sempre rivolgerci al proprietario disponibile difornirci altre informazioni.In mezzo al locale, una vera e propria sala, ha fattocostruire una stufa. Una copia più grande di quellavecchia, collocata al piano inferiore che negli anniQuaranta la famiglia era stata costretta a vendere, perpoter finanziare gli studi universitari di lui, o quelli disuo fratello. Questa stufa, a cui è molto affezionato,dirige, come un maestro di orchestra il coro deglioggetti sistemati.52<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


A sinistra: Uno dei primi pezzi della collezione, proveniente dai dintorniAngolo nella soffitta in stile magiaro e comòCollezioni“Ho più ricordi che se avessi mille anni”(Ch. Baudelaire)Nel Sotteraneo, nel giardino in altri locali si trovano glialtri oggetti che costituiscono una vera e propriacollezione, essendo, ciascuno di essi resti di secolarimestieri ormai scomparsi o abbandonati. Il più antico ditutte sone due macine poste su una roccia di granito,che rese più facile la vita all’uomo nel Neolitico.Sul lato largo della pietra neolitica, lo scultore MiklósBorsos ha scolpito una figura femminile, come se sitrattasse di un qualsiasi pezzo di marmo proveniente dauna cava qualunque, ignorandone il valorearcheologico. La scultura sistemata nel giardino fa il suoeffetto come monumento.Gli altri oggetti risalgono a tempi a noi più vicini, macomunque con un passato che si misura in secoli.Hanno trovato la loro collocazione in questo degnoposto come frutto di ricerche decennali o ritrovamentidovuti al puro caso, alla fortuna. Della loro esattaprovenienza anche in questo caso possiamo esserilluminati solo dal padrone di casa.1) 2) 3)<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 53


4) 5) 6)1) Un’ascia proveninente dal fango del Balaton 2) Mattonelle provenienti da diverse regioni europee 3-6) Vari utensili edoggettiUna manifattura nuova“Il mondo è un’officina di variazioni fiabeche”(Dániel iel Berzsenyi poeta ungherese)Una cosa nuova, migliore, più bella, una che duri neltempo - un antico desiderio dell’Umanità - che aspiraalla perfezione. Anche Pietro Voltolini è stato spinto daquest’ambizione, quando da pensionato si era messo, inmodo simile alle manifatture di un tempo di produrrestufe originali, con l’utilizzo di una tecnica innovativa,mettendoci tutta la competenza professionale. Il suoprogetto venne reso più difficile dalla circostanza che,come del resto in tutta l’Italia, anche in questa valle dasecoli andava avanti la produzione delle stufe, condecorazioni corrispondenti al gusto dell’uomo moderno.Per il cambiamento dei combustibili anche questaindustria era entrata in crisi. E il futuro è assicurato pergli stufai solo se riescono a lanciare prodotti attraenti,vendibili.Per risolvere il problema gli è venuto in mente a checosa attingere.L’arte popolare ungherese che comprende anche lestufe il suo mondo di forme e colori, a buon diritto hadestato l’interesse di chi è dotato di senso estetico.Le Corbusier, uno dei padri dell’arte moderna inUngheria apprezzò in Ungheria quasi esclusivamente laceramica popolare.Al loro fascino non ha potuto sottrarsi neanche PietroVoltolini. In particolare modo le stufe con ceramiche, ledecorazioni su esse sono state apprezzate da lui. Cosìgli viene l’idea di progettare e realizzare simili prodotti,dotato delle competenze da lui possedute, rendendopiù belle e più resistente il materiale delle stufe.Anche lui, come tutti gli intenditori che sannoapprezzare questi valori, ha ammirato gli elementiornamentali che si vedevano sui tessuti, sui vasi, sullestufe. Ne ha potuto vedere, non solo nei negozi diartigianato popolare, ai mercati e alle fiere, ma anchenella casa di suo cugino. La moglie, Anna, si dedicavanel tempo libero a ricamare sui cuscini e sulle tovaglietali motivi.Nella casa del medico di Pécsely da tempo guardavacon interesse la stufa che era stata sistemata nellastanza più grande, e che serviva, non solo comedecorazione, ma anche per il suo scopo originale,riscaldare la stanza. Il cugino aveva la passione diraccogliere gli oggetti dell’artiganato, della culturacontadina, buttati via, fra cui anche ceramiche perstufa, decorate con motivi floreali o quelli con uccelli.Ne ha anche ricevute, in regalo qualcuna, di quelle dicui esistevano diverse copie. Durante i giri in Ungheriaha avuto il modo di visitare qualche laboratorio pressoqualche artigiano ancora attivo, visitare le raccolteetnografiche dei musei, curiosare al mercato delle pulci,comprare libri sull’argomento.Nel Museo Aperto di Szentendre ha fatto la conoscenzadi un esperto, che ha potuto fornirgli informazioni nonsolo sul patrimonio dei motivi, sullo sviluppo delleforme, sulla struttura e sui trucchi del mestiere.All’innovazione poi ha pensato lui. Pur conservandomotivi, si deve a lui il rinnovamento della tecnologia edelle variazioni. E quella ancora più importante: hacambiato anche i colori, renderli più chiari, più vicini almondo mediterraneo. E le ha fatte preparare nel fornoad un temperamento più elevato.Considerando tutto ciò, sapeva di non rischiare moltose investe parte del suo capitale in quest’impresa. I suoiprogetti sono stati avverrati.In questo lavoro è stato affiancato da suo figlio, cheda vero figlio d’arte ha acquisito competenze edesperienze. Ma la crudele mano della Sorte si èintromessa. Ed a Pietro Voltolini è passata la voglia dicontinuare da solo quello che aveva iniziato, quello chelo aveva sempre interessato. Ha lasciato ad altri aportare avanti l’impresa, passa solo in rare occassioni adare consigli su questo o quello particolare, sulla sceltadi un colore, una forma, o altro.54<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Qui a sinisrta: Una semplice stufa rinnovata con sedie in legno scolpite a PécselyUn capolarovo di stufaPortano, portano la figlia della DanikaTutta porpora,velluto, coroncina di perlaMia figlia non la do, senza carrozza d’oroTirata da sei cavalli, dalla coda d’oro ciascuno!Per coronare l’attività diventata una delle sue passioni,sul posto della vecchia stufa in corridoio fece costruireuna nuova, più bella. In un primo tempo ha pensato difar venire materiale da, Korond, Transilvania, quando inun libro regalatogli ha scoperto le stufe con laraffigurazione di figure vestite in costumi dei ciango,popolazione magiara arcaica, che vive oltre ai Carpazi.Allora ha scelto di prepararne la copia e con un gestosimbolico dedicarla alla moglie.Ha visitato più volte il Museo Kovács Margit aSzentendre. In una delle occassioni ha preso anchedelle misure, e per il massimo stupore del custode, sen’è andato via, senza gettare un’occhiata agli altrioggetti esposti.Il custode che non poteva sapere che non si trattassedella prima visita, rimase stupito non era certo abituatoa vedere persone che non ammirassero l’arte di MargitKovács, che come aveva fatto Béla Bartók con lamusica della popolazione magiara del Bacino deiCarpazi ha creato la sua opera ispirata all’arte popolare.E poi tornato in casa, ne ha preparato una copia, cosìcome vale la pena farla: in modo che diventasse piúbella dell’originale.L’artista, Margit Kovács, l’autrice di molte creazioni chepossono esser ammirate su piazze in molte parti delmondo vivente e operante a Szentendre, ha osservato,ammirando le stufe sulle foto: “Sono più belledell’originale” quella che si vede nel museo aSzentendre. E allora cosa direbbe se vedesse quelcapolavoro collocato nel corridoio nella casa natale,dedicata alla moglie?Non è solo un’opera artigianale. E anche ladimostrazione in che modo un oggetto destinato ad usopratico possa diventare con la messa in rilievo delladecorazione e di elementi artistici una creazione chediletta l’occhio e l’anima. Che presentiamo con il cantopopolare ungherese, in versione italiana, in una formaancora più degna.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 55


Canzone popolare della Transilvania, raccolta da Béla Bartók:Risposta ad Orazio„Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne ne sogni la tua filosofia” (Hamlet)La Terra da un satellite (da foto NASA)Queste ceramichenon sono decorazioni,ma trasmettonoanche creazioniartistiche. Lafabbricazione dellaceramica è ungenere più legataalla materia, diquanto non avvenganel casodella pittura.Le possibilità di un maestro di ceramiche sono piùridotte. Ma in compenso la base è più caldo di una inlegno, in tessuto.Anche una sola delle creazioni attira l’attenzione. Maviste in serie esercitano uno straordinario effetto,diventano stimolanti anche dal punto di vistaintellettuale, comprensibili il loro messaggio.Ha tentato, in questo modo di dare risposta anche persé stesso a domande che da secoli tormentano icervelli dei pensatori e degli artisti. Il fatto che accantoa elementi cupi metta anche quelli ludici, rende ancorapiù interessante la serie.Il nostro pianeta gira da millenni in un orbita che rendepossibile modesti cambiamenti. L’essere evoluto,l’uomo solo da qualche decennio di millennio tenta diesprimere attraverso l’arte i pensieri accumulati nellasua coscienza, cercando di dare qualche risposta agliinterrogativi.I pezzi della collezione ordinati secondo un filoconduttore segnano un tale sforzo. Rispondendotramite opere nate lontane nello spazio e nel tempo.Alle domande poste spessissimo dai bambini:DA DOVE? VERSO DOVE? COME? E soprattuttoPERCHÉ?56<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


1) 2) 3)1) Madonna dei Paesi Baschi (Bilbao) 2) Scoperta dell’America (distruzione civiltà Inca Ruderi di Macchiu Picchu: Cuzco)3) 11 settembre la Grande Mela (New York)4) 5) 6)4) Zebre (Vasarely); 5) Citazione di G. Leopardi: «Che fai tu, luna, in cielo?»; 6) Grande pietra (ammonite o scudo Retico)7) 8)7) Da Buzzatti: Santo mio cuore; 8) Da un telo funebre di Chile;Fammi pure domande, su tutto che vuoi, ma devi sapere che dare delle risposte è molto più difficile che fare domande!(Il medico in prensione e scrittore, poeta György Bodosi alias Dr. Tivadar Józsa, l’artista della ceramica Pietro Voltolini)Testo di © György Bodosi- Pécsely -Traduzione © di Judit Józsa<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 57


Ornella Fiorini — Ostiglia (Mn)«Il bucato» di Ornella FioriniNota: Questa poesia è stata inclusa nella raccolta di poesie, canzoni, oli, disegni e fotografie,intitolata «Fiüma», recentemente pubblicata. Ecco le immagini ricavate dalla locandina dellapresentazione di questo libro-CD:58<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Franco Santamaria (1937) — Poviglio (Re)RISVEGLIOQuando sorge il nuovo giorno,puoi non ritrovare piùi sentieri delle nuvole rossastre, pungenti,che infieriscono su un sole non utile alla terra.Sì che s’aprono sentieri dove l’uomo coglieda un fossileun seme purificato e la lucedolcemente carezza i morbidi seni di Gea.Dipinto ad olio su tela, 50x70Forse, il dolore stesso di ieri di non segnaredefinitivamentel’attimo ultimo della disperazione,ha toccato nella notte le celesti sorgenti.Fonte: http ://www.modulazioni.it/Parola_Immagine/risveglio.htmSAGGISTICA GENERALEL’IMMAGINE DELL’ITALIA NELLA POESIA UNGHERESE DEL PRIMO NOVECENTO *III. 4 Roma, cuore dell’EuropaEndre Ady, il grande poetamagiaro, dedicò una splendidapoesia alla città eterna«Nyárdélutáni hold Rómában».[Luna d’un pomeriggio d’estatea Roma]. La poesia vennepubblicata nella raccolta “Amenekülő élet” [La vita chefugge], a Budapest nel 1912, nell’ambito del ciclo Aszűz Pilátus [Il casto Pilato].Roma come rifugio, per un uomo come Ady, chepur avendo sognato, amato e tratto ispirazioni a Parigi,soltanto a Roma poté dire: «Da tanto e tanto io vivoqui»!:Sandítva száll RómáraFecske-raj-követséggelVigyorog vígan széjjelNyárdélutáni Hold.Nagy kékség és pirosságMost újból-újból hozzákRégből azt, ami volt.Szent mezők pára-fátylat,Hegyek álom-színt váltnak,Diadalok s romok,Nap s Hold közé beszőve,Hanyattan az IdőbeRóma sürög-forog.Óh, gyönyörű örökség,Változó, ős, szent község,Urbs, te feledtető,Az én-élet poklábólLelkem-testem kilábol,Te szent, védő tető.Im, magam idehoztam,Védj és boríts be mostan,Te szép, te bölcs, örök.Örökkön éltem, élek,Csupán hüvelyt cserélek,Mint Ulisszes-görög.Áldom a nyüzsgő Rómát,Mindennek átfogójátPulyásan is nagyot.Ma, hogyha úgy akarnám,Alkonyi álom karjánAkár Remus vagyok.Nézem a mai nőket,A volt és lesz időket:Be régen élek ittS be minden élet mindegyS a Hold már ismer minket,Vigyorog s nem hevít:Sandítva száll Rómára” 1<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 59***


Nei versi le parole: «Róma sürög-forog [Roma neltempo], Te örök, [Tu eterna], örökkön [in eterno]», cispiegano Roma nella sua essenza più vera: L’ eternitàimmutabile, la vita degli uomini che continuamente siriproduce, e intanto la Luna sogghigna, per proseguirepoi il suo inevitabile e reiterato percorso. Per questoRoma è il mondo, Roma è Europa ed è anche Ungheria.Fu questa intuizione a dare a Ady la forza diaffrontare la propria disfatta (la malattia che locondusse alla morte) e quella del suo Paese (lascomparsa della grande Ungheria che il crollodell’Impero asburgico si porterà dietro), sperando cosìin una catarsi redentrice. La profondità della poesia diAdy, la sua visione di Roma come punto d’apprododell’uomo, cittadino del mondo, si capisce meglio seconsideriamo l’anno della sua pubblicazione, e cioè il1912.Non siamo ancora nel 1914, anno dello scoppio delprimo conflitto mondiale: conflitto che avrebbe spazzatovia per sempre il ruolo guida dell’Europa e le certezze dicui si sentivano portatori gli europei e, fra questi, forsepiù di altri, gli ungheresi, che, padroni di un regnomillenario, si sarebbero trovati alla fine della guerra alottare perfino per affermare la loro stessa esistenza.Nel ventennio tra le due guerre mondiali siintensificarono i rapporti politici, economici e culturalitra l’Italia e l’Ungheria. Fu un’alleanza dagli esiti tragici,se si pensa alla disfatta morale e militare delle duenazioni nella seconda guerra mondiale.C’è da dire che non tutti gli intellettuali ungheresi,ad eccezione di pochi (fra questi il poeta Pál Gulyás),seppero cogliere i pericoli che si celarono dietrol’alleanza dell’Ungheria Horthysta col fascismo italiano.Infatti, alcuni grandi poeti ungheresi come MihályBabits, Lőrinc Szabó, fedeli al principio de “l’arte perl’arte”, evitarono del tutto il problema, inneggiandonelle loro opere piuttosto all’Italia ideale del classicismoantico e dell’arte o a quella semplice e popolana delvivere quotidiano.Molto diversa è la visione diRoma che si coglie nella poesia diPál Gulyás. 2Un poeta che nel momentostorico di massimo splendore delfascismo, osò confessare a se stessotutti i suoi dubbi sull’essenzanegativa del totalitarismo fascista.Gulyás espresse i suoi dubbiprima in una poesia del 1936, IstenKövetje [Messaggero di Dio],famosa per il coraggioso atto di denuncia antifascistache vi era contenuto, e poco dopo nella bella odeItáliához [All’Italia], scritta tra il 1936 e il 1938, chepossiamo definire un solenne rifiuto critico del fascismo.In questa ode la tradizione popolare ungherese e lacultura classica latina si fondono, in difesa di quei valoriche entrambe rappresentano contro la barbarie delnazismo e del neoimperialismo romano fascista. Ilpoeta ripercorre in una visione cosmica della storia levarie tappe delle sofferenze dell’umanità, fino aldramma irrisoluto tra le due Rome: la Roma della fedee quella del potere, il dilemma fra la croce e il tartaro(dittatura totalitaria):[…]Két Róma áll most egymás mellett,két Rómát tart most kinyúitott két karom,két Rómát nyújtok ki a levegőbe,válasszatok közöttük szabadon!Ti ismét Rómát akarjátokVisszahívni, a birodalmatFelhívjátok az Alvilágot,amely a füvek alatt hallgat?Felhívjátok Polyphemosnakrettentő barlang-kapujátés felhívjátok Tartarusnakbosszúló véres odúját?Vagy felhívjátok a Keresztet,amely a tengerben pihen,az örök sötétség karjában,a tenger rejtelmeiben?[…]Két Róma hív: válasszatok!Az új Róma-e vagy a régi?Szent Péter vagy Tibériusz?Az antik Róma vagy az égi?[…]Róma, győzd le Rómát! 3[…]***Il poeta vive su di sé, in prima persona, tutte lecontraddizioni, i dilemmi e l’insofferenza della fasestorica posta a cavallo tra le due Guerre mondiali. E diquell’epoca è parte integrante anche l’Italia fascista.L’Italia, patria delle lettere latine e del Rinascimento, èin pericolo perché muore il buon senso e la logica, eprende così il sopravvento la guerra che semina solomorte.C’è un senso di morte che aleggia in tutta l’ode. Adesso fa da contraltare il mistero infinito della vita, lastella luminosa che guida da sempre l’umanità,simboleggiata appunto dalla cultura classica e dalletradizioni di vita dei popoli. E la chiave percomprendere tutta l’ode è proprio nella dicotomia: vitamortee luce-tenebre._________________________________60<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/20101Roberto Ruspanti, in Endre Ady, Coscienza inquietad’Ungheria, Soveria Mannelli-Messina, Rubbettino, 1994, p.214: “Sbirciando su Roma, /con al seguito uno stormo dirondini,/invia ovunque il suo beffardo sorriso/la Luna d’unpomeriggio d’estate./Azzurrità e rosso immensi/oggi recanodal passato/di nuovo e ancora ciò che fu./Mutano I sacricampi il velo opaco,/I colli il loro colore di sogno:/intessuta fratrionfi e rovine,/tra Luna e Sole,/distesa s’affaccenda e s’agita/Roma nel tempo./Oh eternità meravigliosa!/santo, antico,mutabile sito,/Urbs, tu che fai dimenticare,/si traggono fuoridall’inferno della vita/dell’io il mio corpo e la mia anima-/tudivina, tu protettrice sommità!//Ecco, t’ho portato mestesso,/adesso dammi riparo e difendimi,/Tu bella, tuprovvida, tu eterna./In eterno vivo ed ho vissuto,/cambiosembianze soltanto,/come Ulisse il greco./Benedico Roma chebrulica, che stringe/ogni cosa nel suo abbraccio,/grandeanche nelle mollezze./Oggi, se lo volessi,/sull’ala d’in sognovespertino/posso essere Remo./Rimiro le donne attuali,/itempi andati e che verranno:/da tanto e tanto io vivo qui,/edè uguale qui ogni vita./Anche la luna già ciconosce,/sogghigna e non riscalda:/sbirciando passa suRoma”.


2Pál Gulyás nasce a Debrecen nel 1899. Debrecen è l’eruditacittà della puszta nell’Ungheria orientale. Gulyás vive una vitada eremita, sulle orme del pensiero di Spengler, e ritienegiunta al tramonto la civiltà occidentale, e così si rifugia nellamitologia classica e nei miti popolari ungheresi ed europei,come soluzione al problema. Dal 1934 è coredattore, insiemeall’amico poeta László Németh, della rivista «Válasz»[Risposta], che diviene la voce degli scrittori populisti,movimento letterario organizzatosi intorno agli anni Trenta.Muore nel 1944. Cfr. Roberto Ruspanti, E il vento della pusztasoffiò sul Colosseo… L’ode «all’Italia» (1936-1938) di PálGulyás, contenuto in AA.VV., Italia ed Ungheria dagli anniTranta agli anni Ottanta, a cura di Péter Sárközy, EditoreUniversitas, Budapest 1998, pp. 165-166.3Ivi, pp. 171-172: “L’una accanto all’altra stanno ora dueRome,/le mie braccia distese sorreggono due Rome,/nell’ariaio distendo due Rome:/sceglietene una liberamente!//Voivolete richiamare di nuovo in vita /Roma,l’impero?/Richiamare il Mondo degli Inferi/che tace sotto imanti erbosi?/Richiamare lo spaventoso /orifizio-caverna diPolifemo/e richiamare l’antro lordo di sangue/e vendicativodel Tartaro?Oppure richiamare la Croce,/che riposa neifondali,/tra le braccia dell’eterna oscurità,/dentro i misteri delmare?[…] //Due Rome chiamano: a voi la scelta!/La nuovaRoma o quella che fu?/San Pietro o Tiberio?/La Roma antica oquella celeste? Roma, sconfiggi Roma! […]”.5) Continua* Tesi di laurea (testo)MÁRAI SÁNDOR E I GRANDI ITALIANILuigia Guida- Bologna -Lo scrittore ungherese Márai Sándor nei suoi raccontidi viaggio, nei suoi articoli ma soprattutto nelle paginedel suo Diario raccoglie annotazioni di ogni genere:esperienze personali ed eventi pubblici, le relativeprofonde considerazioni, aforismi perfetti, splendideriflessioni sulla letteratura e sul mondo contemporaneo.Soprattutto il suo Diario, scritto per cinquant’anni, èuno scrigno molto speciale: si parla infatti di un diario dilettura (olvasónapló), un diario in cui sono registrate leproprie esperienze di lettura e i relativi pensieri. Quindioltre a raccontare della gente comune, lo scrittoremagiaro rievoca i personaggi famosi italiani delleepoche passate, mentre cita più raramente i suoicontemporanei. Menziona spesso gli artisti, tra lorospecialmente i grandi del Rinascimento, ogni tanto unoscrittore e tra i personaggi della vita pubblicacontemporanea solo Mussolini.Dante è l’unico personaggio prerinascimentalemenzionato ripetutamente da Márai. Di lui dice che, conSan Francesco d’Assisi, Michelangelo e Raffaello, è tra ipochi personaggi di natura sovraumana.(1) Nel libroIspirazione e generazione, Márai immortala la moglie diDante essendo stata immeritevolmente dimenticata dalpoeta.Qualche volta lo scrittore magiaro menziona Tiziano,Tintoretto e Leonardo da Vinci, considerandoquest’ultimo artefice di opere che “illuminarono ilmondo”(2).Tra gli artisti del Rinascimento, così come tra gliartisti di tutti tempi e di tutti i generi, è Michelangelo ilpersonaggio italiano di cui Márai scrive più spesso evolentieri. Scrive con simpatia di lui come “uno deipersonaggi più infelici dell’umanità”, che anche verso lafine della sua vita con “mani deboli”(3) crea operecome l’incompiuta Pietà di Firenze. Per Márai, la Pietà diRoma è uno dei capolavori dell’umanità: “L’umanità nonè niente – scrive – la gente pure conta poco, anche iGrandi Personaggi contano poco, quello che conta èGuerra e Pace, la Divina Commedia, la Pietà, la NonaSinfonia o il Faust.”(4) Rivede la statua di Mosèparecchi anni più tardi, durante il viaggio del 1946 aRoma: “Il marmo della statua di Mosè, le vene delbraccio, i muscoli della gamba, l’intera testa brilla nellaluce d’inverno, in carne, piena, viva. Solo la manodell’uomo rinascimentale era capace di dare vita allamateria così. No, non è vero, neppure loro, soloMichelangelo ci riuscì.”(5) Márai considera Michelangeloil sommo artista tra tutti i generi artistici.Nelle pagine del Diario medita sulle opere incompiute,tra cui la X Sinfonia mai composta. “Probabilmente –dice – neanche uomini della grandezza di Shakespeareo Beethoven sarebbero in grado di comporre la XSinfonia. Forse Michelangelo l’ha terminata, l’ha dipinta.Sospetto che lui sia l’unico ad averla potuta fare.”(6)Sempre nel Diario racconta di un suo progetto: glipiacerebbe scrivere Il Giudizio Universale in esametroma, non sapendo scrivere in esametro e non essendoadatta al tema nessun altra forma, presto ci rinuncia.Con piena approvazione scrive che Michelangelo invececi riuscì: “chinato dalla fatica, col secchio al braccio, siarrampicava sulle impalcature pericolose della CappellaSistina, davanti a quel muro enorme e vedeva tutto. Malui era Michelangelo.”(7)Nel Diario, a proposito del grande Rinascimentoitaliano, Márai accenna all’umanista fiorentino Poggio e,in poche righe, spiega com’è riuscito ad ottenere ilrispetto dei fiorentini.Dei grandi del Rinascimento menziona Marco Poloche, secondo lo scrittore, è l’uomo più “completo”dell’epoca.Márai ricorda qualche volta anche artisti che visseronei secoli successivi al Rinascimento ma raramente econ meno importanza. “Questo popolo ha dato il megliodi sé nel Rinascimento. – dice in Il Ratto d’Europa –Non è possibile mettere al mondo in un unico brevesecolo dozzine di artisti come Raffaello, Leonardo daVinci, e continuare così nei secoli.”(8)<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 61


A cavallo tra il Rinascimento e il Barocco, Márai citaBenvenuto Cellini che lo incanta più come scrittoreinteressante ed universale che come orefice. Loscrittore ungherese trova l’autobiografia di quest’ultimouna lettura elettrizzante e sconvolgente, perché narrauna vita straordinaria: “Vivere, creare, uccidere,incidere linee fini nell’argento o ferire un rivalefinemente fra le costole, per lui è la stessa cosa, la vitaè azione. Questo fiorentino vive il ritmo della vita delCinquecento attraverso le sue opere e la sua vita.”(9)Márai non scrive benevolmente dell’architetto baroccoCarlo Maderno. Passando da Bissone gli torna in menteMaderno, che visse lì, ma di lui scrive che “ha costruitodavanti alla cupola di Michelangelo quel padiglionemalriuscito.”(10)Agli occhi di Márai può sembrare che non ci fosserostati artisti italiani degni di menzione nel periodo traMaderno e gli scrittori italiani del Novecento. L’unico èforse Casanova che appare come protagonista in Larecita di Bolzano ma, come afferma anche AndrásMészáros, qui non si tratta del Casanova storico.È strano che uno scrittore così appassionatamenteinteressato alla letteratura come Márai, che si obbliga aleggere quotidianamente, non menzioni quasi mai gliscrittori italiani. Nel suo Diario, che in gran parte è undiario di lettura, accanto ai nomi di Shakespeare,Goethe, Thomas Mann, André Gide, G.B. Shaw e Wilderl’unico scrittore italiano presente, con una certaregolarità, è Dante.Nell’antologia Scrittori, poeti, letteratura di Márai nontroviamo nemmeno uno scrittore o un poeta italiano.Naturalmente, sappiamo che Márai legge anche opereitaliane – negli anni dopo il 1948 menziona tra gli altriAlessandro Manzoni – ma non sembra colpito danessuno in particolare modo. Secondo lui, gli scrittoriitaliani non reggono il confronto con gli scrittoritedeschi e francesi degli ultimi due/trecento anni.Secondo János Szávai, la letteratura contemporanea“occupa un posto minore nella critica di Márai”(11), chesi limita soprattutto agli inglesi e ai francesi oltre altedesco Thomas Mann. Nel 1946, parlando degliitaliani, Márai dice: “Hanno degli scrittori. Ma nonhanno lo scrittore.”(12)L’unico ad essere presente nel Diario è BenedettoCroce. Durante gli anni trascorsi a Napoli, Márai loincontra ma lo ritiene più interessante come filosofo checome scrittore.Oltre a Croce, menziona altri due contemporanei: ilpoeta D’Annunzio che, fino alla morte, avvenuta nel1938, visse sul Lago di Garda e Luigi Pirandello.Per Márai la vita riservata di D’Annunzio è pocoautentica, la chiama “solitudine isterica” ed“eremitaggio da spacconi”. Nel Diario del 1943 Márairicorda l’abitazione di D’Annunzio e la considera digusto stravagante. “Mattinata di agosto a Gardone.Scendo in riva al lago dal giardino di D’Annunzio, daquesto palcoscenico della pazza ed astuta raffinatezza,del caos nauseante della guitteria, della grandiositàdeclamata, della sublimità che spacca i muri.”(13)L’altro contemporaneo che Márai menziona inIspirazione e generazione pubblicato nel 1946 èappunto il drammaturgo Luigi Pirandello. Ne scrive consimpatia come l’unico genio assoluto delladrammaturgia ma, alla fine, trova più interessante lasua personalità rispetto alla sua drammaturgia ed allesue opere. Ricorda con piacere la figura del professoreche scrive instancabilmente ma che, fino all’età dicinquant’anni non riesce ad avere successo per poidiventare il “vegliardo miracoloso della letteraturamondiale”(14).Márai non si interessa di politica ma, vista l’epoca incui vive, soprattutto gli anni Trenta e Quaranta, nonpuò non prestare attenzione e commentare gliavvenimenti politici europei ed ungheresi. È il Diario atestimoniare che segue gli avvenimenti con laresponsabilità dell’uomo che ragiona e come testimoneannota tutto quello che gli sembra particolare ecaratteristico. Viaggiando nell’Italia degli anni Venti eTrenta naturalmente non tralascia il fenomenoMussolini anche se non menziona molte volte il Duce.In Le confessioni di un borghese, lo scrittore ricordaquando, nella metà degli anni Venti, abitando a Firenze,ha avuto l’occasione di vedere ed ascoltare Mussolini.“Lo rividi alle adunate, dove folle in delirio spiavanoogni suo gesto, prima a Firenze, poi a Bologna e aVenezia. (…) La sua persona, il modo in cui sipresentava ostentavano una sorta di invulnerabilità.Quell’uomo aveva introdotto nell’Italia del dolce farniente una corrente ad alta tensione. (…) E questaforza emanava da un solo uomo: Mussolini. Chi non havissuto i primi tempi del fascismo in Italia non sarà maiin grado di comprendere il segreto del successo diquesto movimento. Che cosa può mai significare unuomo? A quanto pare, tutto.”(15) Pur riconoscendo lecapacità di Mussolini e la forza della sua personalità,Márai non ha mai simpatizzato con quell’uomo e nonlascia dubbi sul fatto che ritiene Mussolini un episodio,neanche tanto importante, della storia italiana.Fino a questo punto abbiamo considerato la primaparte della vita dello scrittore magiaro. Dal 1948 con lascelta dell’emigrazione si apre un nuovo capitolo dellavita di Márai. È interessante leggere sulle pagine delDiario come si sono evoluti i pensieri e i giudizi delloscrittore ungherese nei confronti di famosi italiani e sele sue considerazioni radicali sono rimaste immutate inseguito all’allontanamento dalla sua patria eall’inserimento diretto nella vita e nella cultura italiana.È importante comunque precisare che negli scritti diMárai occupa il posto più importante la gente semplicecome il vicino di casa, l’uomo che pulisce le scarpe,l’orologiaio, un bambino napoletano ed altri.Lo scrittore che già da viaggiatore fece ottimeosservazioni, durante gli anni passati insieme agliitaliani, imparando a parlare la loro lingua, ebbe lapossibilità di conoscere ancora più profondamente ilpopolo italiano. Rispetto a prima, è evidente che Máraipresta più attenzione ai protagonisti della vitaintellettuale contemporanea italiana e scrive anche piùspesso dei grandi personaggi della letteratura italiana dialtri tempi. Oltre a questi, nel pensiero di Márai sonosempre presenti anche i pittori e gli scultori dell’epocad’oro italiana. Questo è naturale perché, girovagandoper Napoli, Roma e Firenze viene sottoposto a continuiimpulsi del genere artistico e deve solo farne tesoro. Lostare in una chiesa di Napoli e l’ammirare gli affreschi diGiotto e dei suoi discepoli diventa per Márai l’occasioneper esporre la sua teoria del genio.(16) Questa è unacaratteristica di Márai: citando scrittori e pittori scelti da62<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


lui stesso, spesso esprime la sua opinione su alcuniaspetti dell’arte che lo interessano.Degli artisti del Rinascimento, oltre ai già citatiLeonardo da Vinci, Tiziano, Tintoretto e Michelangelo,incontriamo anche il nome di Botticelli. Márai puòammirare i suoi dipinti nella Pinacoteca di Roma, diFirenze ed anche al Museo di Napoli, il Capodimonte. Civede una luce misteriosa, proprio quella che, secondoMárai, manca alla Gioconda, uno dei quadri più famosidel Leonardo. “Questa signora rinascimentale benmessa non è affatto misteriosa. Potrebbe essere unasignora benestante, contenta di vivere in campagna.Nel suo sorriso non vedo il mistero, ma piuttosto sirispecchia la luce della sana digestione e dei saniprincipi morali. La luce risplende dal profondo del visodelle donne botticelliane; questo viso invece è soloilluminato dalla luce esterna.”(17) Allo stesso tempo,Márai non ha dubbi, per lui Leonardo è un geniocreatore eccezionale. Oltre a Michelangelo comescultore, in questo periodo Márai cita diverse volteanche Michelangelo come pittore. Seguendo leistruzioni di Károly Tolnay, osserva, con la lented’ingrandimento, i disegni e le macchiette diMichelangelo: “Disegnava con una perizia, spigliatezzae quiete come quella con cui Dio creava e modellava:senza possibilità di sbagliare.”(18)Tra gli artisti barocchi, Márai cita solo il Bernini, di cuiapprezza la superiorità dell’agilità delle sue mani, manon lo ritiene un genio. Considera invece geniali alcunicompositori di musica tra i quali Mozart, Rossini, Bellini,e più tardi Verdi che componevano un’opera asettimana, se ne avevano voglia. Rispettandoprofondamente Verdi si permette di scriverne con unpizzico di malizia a proposito di una rappresentazionedel Rigoletto: “Cantano tutti, il palcoscenico si riempiedi eroi, eroine, cori e cavalli, tutti che cantano. Verdi facantare anche i cavalli.”(19)A differenza dei riferimenti alla letteratura tedesca,francese ed inglese, possiamo incontrare pochi nomiitaliani negli scritti e nel Diario di Márai. Da questopunto di vista il Diario degli anni dell’emigrazione sono,anche se non marcatamente, diversi. Per Márai, chevive ormai in Italia, spesso non sono le opere letterariema l’ambiente stesso, il nome di una via o di una tombaa far menzionare scrittori e poeti italiani, con maggiorfrequenza rispetto al periodo precedente.Márai considera Dante uno dei grandi spiritidell’umanità. In questo periodo, agli occhi dell’esiliatoMárai, una caratteristica di Dante dapprima menoimportante, si accentua. La sua figura e la sua operafanno da esempio: “Dante, nell’emigrazione, - a Lucca oa Pisa, lontano quindi dall’odiata-amata Firenze – ognitanto gettò i suoi conoscenti “meritevoli” nel catramebollente, fumante di putrido zolfo, e guardavacompiaciuto la sofferenza del personaggio, attraversoqualche terzina. Questa è l’unica soddisfazione delloscrittore esiliato.”(20)Dapprima Márai non ha mai scritto di Sannazaro,sonettista del Quattrocento. Durante gli anni trascorsi aNapoli trova la sua tomba a Posillipo e questo loincuriosisce: “Ieri ho visitato la sua tomba, fu sepolto inuna cappella sopra la Mergellina. Visse verso la fine delQuattrocento, quando noi stavamo marcendo nelladisfatta di Mohács, lui stava scrivendo sonetti, imitavasmorfiosamente il Petrarca, faceva finta di essereinnamorato.”(21) I dintorni di Napoli fanno venire inmente a Márai anche il Tasso, che pure nacque inquesta terra. Scrivendo del Sannazaro, del Tasso edell’Ariosto, Márai, senza dirlo esplicitamente, sirammarica per la sorte degli scrittori in esilio, rimastiquindi senza lettori: “Tasso, Ariosto, Sannazaro: ai lorotempi brillarono altre stelle con una luce piùabbagliante. Ma questi tre, che vissero nella stessaepoca e le condizioni del loro destino personale furonosimili, parlavano lo stesso linguaggio, si fecero carichidello stesso spirito dell’epoca: che poeti fortunatifurono! (…) Erano consapevoli dell’esistenza di unmondo dietro a loro che li chiamava. (…) Il pubblicoaspettava, trattenendo il respiro, la Gerusalemmeliberata, la continuazione dell’Orlando Furioso oppureuna nuova manifestazione poetica dell’innamoratoSannazaro, imitatore del Petrarca.”(22)Márai, pur non valorizzando troppo la vita intellettualeitaliana contemporanea, osserva con interesse ifenomeni di quel periodo. Negli anni Settanta costatache gli italiani hanno riscoperto un loro poetadell’Ottocento: Giacomo Leopardi. Lo scrittore visita latomba del Leopardi ancora durante gli anni trascorsi aNapoli e, a proposito della riscoperta del poetaromantico, Márai scrive: “Adesso hanno riscopertoLeopardi, la gioventù italiana sente riecheggiare il“tormento” nella poesia romantica dell’inizio del secoloscorso. (…) È di moda adesso in Italia, la gioventùsente la nostalgia inquieta del poeta della passione edella morte.”(23)Lo scorcio della via Alessandro Manzoni di Napolidurante una passeggiata gli ricorda che il primoromanzo che ha letto è stato proprio I promessi sposiall’età di dieci anni; questo lo fa sorridere un po’ perchéquando iniziò a leggerlo, sperava che fosse un’operaerotica.Di D’Annunzio, di cui aveva già scritto negli anniTrenta, scrive diverse altre volte. Sappiamo dal Diarioche ogni tanto legge qualcosa di lui. In una letterascrive dei boicottati al premio Nobel e nell’elenco citaD’Annunzio insieme a Tolstoj, Strindberg ed ai poetidella generazione ungherese Nyugat (Occidente).(24)Nel 1963, a New York, Márai rievoca D’annunzio inoccasione del centenario della sua nascita: “Hacent’anni. Anche lui era demonico all’inizio del secolo:era il condottiere letterario dalla barbetta caprina. (…) Igiovani conoscono il suo nome ormai solodall’enciclopedia. (…) Riusciva a raccontare con forzaanche il patetico, l’enfatico. (…) Nell’Ottocento, in unatmosfera di soffocante provincialità, lui riuscì a darealla letteratura italiana di nuovo un rango mondiale.(…) D’Annunzio parlava in nome degli italiani (…) cosìcome poteva, facendo l’istrione, ma con credibilità. (…)La figura gracile del piccolo condottiere barbuto ècresciuta nel tempo.”(25)Arrivando in Italia nel 1948, Márai dedica i primi mesia studiare l’Italia: studia la lingua, fa conoscenza dellacittà, osserva le persone, si riempie l’anima nei musei diNapoli con le bellezze ed i valori italiani dei secolipassati. Saziandosi di tutte queste cose, ben presto siriprende e crea l’atmosfera per poter lavorare. Glimanca però lo stimolo proveniente dal mondo che locirconda, lo stimolo di un’atmosfera intellettuale. “In<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 63


Italia c’è la vita italiana, forse c’è la vita di società, c’èla vita turistica, c’è la vita sportiva e c’è anche la vitareligiosa. Solo la vita intellettuale manca. L’ultimoscrittore fu D’Annunzio. Ora la vita intellettuale èpresente solamente intorno a Croce (…) ma Croce haottantatre anni. Del resto hanno solo scrittori, talenti,fenomeni occasionali. Non esiste la vita intellettuale. Edio ogni tanto sento di soffocare in mezzo a tutte questebellezze.”(26)In un’intervista del 1949, accusa di superficialità lacultura italiana dell’era moderna. Menziona di nuovoBenedetto Croce che ritiene un intellettuale eccezionalema capisce che la gente non vuole immedesimarsi congli intellettuali eccellenti, ma si interessa di cinema, disport e di spettacoli. “Hanno solo finto splendore; laloro letteratura, il teatro al massimo è divertente, manon è istruttivo e non sensibilizza sui problemiattuali.”(27)Márai non si pente però di aver scelto tra i paesieuropei proprio l’Italia “per soggiornarvi nel periodoiniziale dell’emigrazione (…). Parigi sicuramente offreuna vita intellettuale più eccitante (…), ma in Italia (lavita) è più umana, più nobile.”(28)Durante gli anni trascorsi a Napoli, Márai visitaBenedetto Croce che abita a Napoli est. Lo scrittoreconserva dei buoni ricordi delle loro conversazioni e piùtardi a New York, quando viene a conoscenza della suamorte, ne scrive commosso.Sappiamo dal Diario che Márai legge anche opereappena pubblicate della letteratura italiana: Ilbell’Antonio di Brancati, i libri di Moravia, Malaparte e litrova giornalistici. Oltre a questo, sostiene che la nuovaletteratura verista è fatta di troppe chiacchiere: “Comese lo scrittore italiano non si esprimesse per iscritto, macon la parola viva, nel parlare. Gli italiani, qui al Sud,parlano con le mani, ma in qualche maniera scrivonocon la bocca.”(29) Legge con interesse Ignazio Siloneperché è deluso dagli ideali del comunismo e lo ritienecomunque uno scrittore migliore di Arthur Koestler. Citaancora tra i contemporanei il nome di Giovanni Papini,di cui ha letto Il libro nero. Quest’ultimo non gliinteressa di per sé ma gli offre l’occasione peresprimere quello che pensa della nuova generazione discrittori italiani. “Questi giovani scrittori italiani sonoimpazienti. Raramente descrivono un paesaggio, unastanza. Hanno sempre fretta di arrivare al dialogo, perdire qualcosa di amaro, lamentoso.”(30)Fra gli scrittori contemporanei scrive in tono diautentico rispetto solo di Giuseppe Lampedusa,apprezzandolo. Il Gattopardo, uscito postumo, ottieneben presto un successo internazionale. Anche Márai lolegge nel 1948. L’autore e il libro verranno menzionatidiverse volte negli anni seguenti. “È un libro latino –scrive Márai del romanzo – aristocratico. Non perché fuscritto da un aristocratico o perché gli eroi del romanzoerano principi, ma perché il paesaggio, il clima, lavegetazione, gli animali, le parole, i costumi, isentimenti e le relative conseguenze sono così comesono – non vogliono sembrare altro. Lo scrisse unamatore, che però non “ama” troppo la sua opera.”(31)Lampedusa rievoca un mondo perduto per Márai, unmondo simpatico a modo suo: “Un gran signore parla intono indifferente di una forma di vita ormai perduta,della vita della Sicilia feudale, racconta com’era la vitadei gran signori, senza una parola blesa, senza unbriciolo di senso di colpa. Era un principe e viveva bene.Non si vanta, ma neanche si discolpa. Intorno a lui cisono i piccoli e i grandi del principato, tutti complici, siconoscono, con maniere cerimoniali e se ne infischianodi tutto.”(32)Oltre alla letteratura, Márai tiene d’occhio anche glialtri generi della vita culturale. In qualche nota riflettesulla pittura contemporanea, sul cinema e sulla musica.Fra i nuovi pittori italiani, pur notando la buonaconoscenza del mestiere e l’influenza di una tradizioneconsapevolmente conservata, non riesce a trovare unafigura di spicco. Gli ultimi grandi pittori italiani erano iromantici della Lombardia, Modigliani e pochi altri.Márai non è un appassionatodella settima arte, ma va avedere i film di Fellini checonsidera il migliore regista delcinema italiano contemporaneo.In una lettera menziona loscrittore e regista Pier PaoloPasolini riferendosi al suofunerale scandaloso: “Qui ilgrande avvenimento è l’ordaliadella bara per la morte di unoscrittore-regista di nomePasolini: il fatto in sé è unbanale incidente tra pederasti (ilmignon e il padron si sono picchiati, il mignon era piùforte e ha ammazzato il fidanzato), ma il funerale che èstato trasmesso in diretta alla televisione è statointeressante: partì dal Campo dei Fiori di Roma, unagrande folla circondava la bara, a destra gliomosessuali, a sinistra gli eterosessuali, un po’ piùlontano i bisessuali. Moravia pronunciò un discorso, lamassa di gente mormorava, fu sepolto come Garibaldi,l’eroe e la vittima della libertà. Mancavano solo imanifesti sui pali: “frocioni del mondo unitevi”, e lasolita voce del coro: “questa sarà l’ultima battaglia”,etc. Viviamo in un mondo strano, a volte ilcontemporaneo non riesce a seguire con attenzione lenotizie, perché quello che è patologico è sempre anchenoioso.”(33)Note:(1) Márai Sándor, Quello che è rimasto escluso dal Diario1948, Toronto, Vörösvári, 1998, pag. 25.(2) Márai Sándor, Quello che è rimasto escluso dal Diario1948, Toronto, Vörösvári, 1998, pag. 28.(3) Márai Sándor, Paesaggi, città, persone, Budapest,Helikon, 2002, pag. 46.(4) Márai Sándor, Quello che è rimasto escluso dal Diario1945-1946, Toronto, Vörösvári, 1992, pag. 19.(5) Márai Sándor, Ratto d’Europa, Budapest, Helikon,1995, pag. 64.(6) Márai Sándor, Quello che è rimasto escluso dal Diario1948, Toronto, Vörösvári, 1998, pag. 27.(7) Márai Sándor, Quello che è rimasto escluso dal Diario1947, Toronto, Vörösvári, 1993, pag. 275-276.(8) Márai Sándor, Ratto d’Europa, Budapest, Helikon,1995, pag. 63-64.(9) Márai Sándor, Diario 1943-1944, Budapest, Helikon,1998, pag. 248-249.(10) Márai Sándor, Ratto d’Europa, Budapest, Helikon,1995, pag. 35.64<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


(11) Szávai János, Márai Sándor es vilagirodalom, In:PILLANATKÉP A HAZAI IRODALOMTUDOMÁNYRÓL.Budapest, Anonymus, 2002, pag. 224.(12) Márai Sándor, Ratto d’Europa, Budapest, Helikon,1995, pag. 38.(13) Márai Sándor, Diario 1943-1944, Budapest, Helikon,1998, pag. 19-20.(14) Márai Sándor, Ispirazione e generazione, Budapest,Helikon, 1992, pag. 198.(15) Márai Sándor, Le confessioni di un borghese, Milano,Adelphi, 2003, pag. 365.(16) Márai Sándor, Diario 1945-1957, Budapest, Helikon,senza anno di pubblicazione, pag. 101.(17) Márai Sándor, Diario 1958-1967, Budapest, Helikon,senza anno di pubblicazione, pag. 137.(18) Márai Sándor, Quello che è rimasto escluso dal Diario1950, Toronto, Vörösvári, 1992, pag. 21.(19) Márai Sándor, Diario 1958-1967, Budapest, Helikon,senza anno di pubblicazione, pag. 92.(20) Márai Sándor, Diario 1968-1975, Budapest, Helikon,senza anno di pubblicazione, pag. 286.(21) Márai Sándor, Quello che è rimasto escluso dal Diario1950, Toronto, Vörösvári, 1998, pag. 28.(22) Márai Sándor, Diario 1945-1957, Budapest, Helikon,senza anno di pubblicazione, pag. 99.(23) Márai Sándor, Diario 1976-1983, Budapest, Helikon,senza anno di pubblicazione, pag. 53.(24) Márai Sándor, Caro Tibor!, Budapest, Helikon, 2003,pag. 40.(25) Márai Sándor, Diario 1958-1967, Budapest, Helikon,senza anno di pubblicazione, pag. 174.(26) Márai Sándor, Quello che è rimasto escluso dal Diario1949, Toronto, Vörösvári, 1999, pag. 103.(27) Szőnyi Zsuzsa, Vagabondo e straniero, Budapest,Kortárs, 2000, pag. 139.(28) Márai Sándor, Quello che è rimasto escluso dal Diario1950, Toronto, 1992, Vörösvári, pag. 131.(29) Márai Sándor, Diario 1958-1967, Budapest, Helikon,senza anno di pubblicazione, pag. 166.(30) Márai Sándor, Diario 1945-1957, Budapest, Helikonsenza anno di pubblicazione, pag.171.(31) Márai Sándor, Diario 1958-1967, Budapest, Helikon,senza anno di pubblicazione, pag. 90.(32) Márai Sándor, Diario 1976-1983, Budapest, Helikon,senza anno di pubblicazione, pag. 117.(33) Márai Sándor, Caro Tibor!, Budapest, Helikon, 2003,pag. 94.Nikoletta Montresor- Verona -N.d.R.: La Dr.ssa Nikoletta Montresor è una signora,madre di due figli, è – come Lei dice nella sua lettera dipresentazione – di madrelingua italiana e ungherese.Sta completando il suo dottorato di ricerca inUngheria all’Università ELTE di Budapest aldipartimento di Italianistica. La sua tesi è su SándorMárai e l’Italia. Per poter terminare il dottorato diricerca all’Elte di Budapest (previsto per dicembre 2009)deve fare due pubblicazioni sull’argomento della suatesi.L’Osservatorio Letterario perciò volentieri le dà unamano pubblicando questo suo saggio inviato – uno tra idue dovuti – che è anche attinente al profilo della ns.Rivista.In bocca al lupo! – come suol dire in questeoccasioni.Le immagini sono state inserite dalla Redazione.EUGENIO MONTALE E LA CRITICA CONTEMPORANEAMontale è stato il poeta cheha occupato il più vastoorizzonte nella letteraturaitaliana contemporanea, e direiche il suo posto è preminenteanche in quella europea emondiale, che la suaimportanza è senz’altroparagonabile a quella dei variEliot, Machado, Pessoa,Thomas, Pound, tanto per farealcuni nomi. In questi ultimidecenni la critica internazionale si è “sbizzarrita”sull’opera omnia montaliana, privilegiando non solo leraccolte più note, ma anche l’ultimo Montale, le edizionipostume e ciò che di ancora inedito ci ha lasciato.L’opera del Poeta genovese è importante non soloper il suo intrinseco e inestimabile valore letterario, maanche per gli spunti di pensiero (filosofici e religiosi)che essa offre. Ad ogni poesia, ad ogni pagina, egliponeva una riflessione totale sulla vita e,indirettamente, sulle proprie capacità artistiche dirappresentarla; voleva sempre andare al di là dellestrade già battute; non faceva una poesia filosoficastricto sensu, per diffondere delle idee, ma avvertiva ilbisogno di ricercare una “verità puntuale”, non unaverità generale e definitiva: e tale verità egli, che nonaveva il conforto della Fede, poteva trovarla solonell’uomo e nelle sue innumerevoli contraddizioni (cfr.G. NOCENTINI, Storia della letteratura italiana del XXsecolo, Edizioni Helicon, Arezzo, s.d., p. 133).Per delineare un quadro generale della criticamontaliana più recente, non sarà inutile riferirsi airisultati del grande convegno internazionale svoltosi aGenova nell’ottobre del 1996, in occasione delcentenario della nascita del Poeta (che, com’è noto,nacque nel capoluogo ligure, in una casa di viaSant’Ugo, il 12 ottobre del 1896, lo stesso giorno dellascoperta dell’America da parte di un altro grandeGenovese). Ci avvaliamo del prospetto riassuntivo cheStefano Verdino, dell’Università di Genova, ha tracciatoper il quotidiano “Il Secolo XIX” (S. VERDINO, OltreMontale, “Il Secolo XIX”, martedì 8 ottobre 1996, p.11), integrandolo con altri riferimenti per quantoriguarda la critica anteriore e precisando ovviamenteche in questi ultimi 13 anni l’esegesi ha continuato ilsuo puntuale e febbrile lavorìo su uno degli autoriindubbiamente più ricchi di spunti che il panoramanovecentesco ci abbia mai offerto.Un interesse critico sempre intenso e “concentrato”,sino a partire dalla prima fatidica raccolta edita daGobetti nel ’25, gli “Ossi di seppia”. Uno dei primissimirecensori degli “Ossi” fu Sergio Solmi, che vi vide unprofondo travaglio di formazione e di scelta critica. E la“corrosione critica dell’esistenza”, che Alfredo Gargiuloriscontrò negli “Ossi”, è rimasta una delle più celebriformule per definire il pessimismo montaliano, unpessimismo peraltro virile e asciutto, che dà vigore epeso al discorso (G. De Robertis) e che a più di uncritico è apparso non inguaribilmente disperato, maincline, a tratti, alla remota prospettiva di unametafisica speranza. Il Pancrazi, ad esempio, definendo<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 65


Montale “poeta fisico e metafisico”, ne sottolineal’accettazione fervida della fisicità della vitaanteponendola all’astrazione e alla negazionemetafisica. Il Contini, invece, afferma che la realtàrimane assolutamente esterna agli interessi del Poeta;ma anch’egli sottolinea che la “vera salute della poesiadi Montale è sempre fuori da questo mondo… nelsospetto di un altro mondo, autentico e interno”.Molti critici hanno salutato “Le occasioni” (1939) comemomento più alto della poesia montaliana, in quantoidentificazione perfetta dei suoi temi: ogni liricacontiene infatti la definizione di un “fantasma” che ha lapossibilità di liberare il mondo nascosto. Il terzo libro,“La bufera e altro” (1956), che lo stesso Autore giudicò“il suo libro forse migliore”, è stato per lo più vistocome una continuazione delle “Occasioni”: secondoArnaldo Bocelli, ritorna in esso il valore della memoriaintesa non come evasione o fuga dall’angoscia delpresente, ma come volontà di proiettare in uno spaziosenza tempo gli episodi contingenti della propriadisadattata e sradicata esistenza (cfr. A. GIUDICE-G.BRUNI, Problemi e scrittori della letteratura italiana,Paravia, Torino, 1973, vol. III, tomo II, pp. 547 ss.)Lo stesso Montale si era accorto dell’interesse quasi“morboso” dei critici nei suoi confronti, e comincia unasua poesia con lo spiritoso verso “I critici da medepistati…”. Non è da dimenticare, inoltre, che moltifamosi critici sono stati i suoi interlocutori privilegiati,come ad esempio Carlo Bo e Gianfranco Contini. Eproprio Bo e Contini, insieme ad Oreste Macrì e a PieroBigongiari, formano il gruppo di critici di matriceermetica che negli Anni ’30 cercarono di definirel’identità della poesia montaliana appunto nella suasostanziale adesione ai moduli della “poesia pura”.CarloBo, in uno studio sulle “Occasioni”, ha notato come glioggetti esterni siano occasioni per un “esame di sé”(procedimento, questo, tipico dell’Ermetismo, cfr. ad es.Quasimodo). Macrì ha cercato di svelare l’aspettoconcettuale dei testi, mentre Contini (che è stato ilcritico prediletto da Montale e curatore della sua operaomnia) ha sempre evidenziato un’incomparabile acribianell’illuminare le prospettive di un Poeta così particolarerispetto ai suoi “colleghi” (“La differenza costitutiva fraMontale e i suoi coetanei sta in ciò: che questi sono inpace con la realtà, mentre Montale non ha certezze delreale”). Piero Bigongiari ha indagato sulla poetica degli“oggetti drammatizzati” degli “Ossi”, con quella lorocarica d’angoscia, sull’”orfismo” di “Arsenio” (l’alter-egodel Poeta nell’omonima lirica degli “Ossi”) e sul“correlativo oggettivo” per cui il “male di vivere” trova ilsuo “correlativo” nell’estrema aridità della natura (il“rivo strozzato che gorgoglia”, “l’incartocciarsi dellafoglia / riarsa”, “il cavallo stramazzato”…); un concetto,questo, tipico di T. S. Eliot (“The waste land”, 1922),sul quale però Montale vantava un “diritto diprimogenitura” di cui in segreto si compiaceva.Con Giorgio Bàrberi Squarotti, Franco Croce e AngeloJacomuzzi siamo ad una “seconda generazione”, la cuianalisi è condotta sulle dinamiche e sull’evoluzioneinterna delle opere, con attenzione particolare allastoricità dei testi (cfr. F. CROCE, Montale, Costa &Nolan, Genova, 1990) e alle loro valenze allegoriche emetamorfiche. Lo Jacomuzzi ha parlato di “teologianegativa”: proprio perché Montale è poeta della crisi, ilsuo introdurre temi e immagini religiose sta ad indicare“ciò che forse manca all’uomo d’oggi non come ciò cheegli ha perduto (secondo la prospettivaprevalentemente conservatrice della poesia religiosa“ufficiale”), ma come ciò con cui non riesce a stabilireun rapporto” (A. JACOMUZZI, La poesia di Montale,Einaudi, Torino, 1978, p. 53).Con Franco Fortini e Romano Luperini siamo di frontead una critica fortemente ideologizzata, di matricemarxista: il primo ha messo in luce l’”esistenzialismostorico” montaliano; il secondo in “Storia di Montale”(Laterza, Bari, 1986) lo proietta in un complicatoscenario evolutivo della poesia novecentesca, dal“simbolo” all’”allegorismo vuoto”: l’originalità ed ilvalore del Nostro starebbero proprio nell’aver liquidatoogni possibilità del simbolo tradizionale e del “privilegiodella forma”.All’opposto sta invece la critica formale-strutturale diD’Arco Silvio Avalle e Stefano Agosti, autori di celebri e“rischiose” letture di testi le quali sono finite con ogniprobabilità molto al di là delle reali intenzionidell’Autore. Per questi critici il testo diventa una speciedi partitura musicale da cui attingere giochi fonici emetrici oppure una sorta di manuale di enigmistica dacui trarre anagrammi e giochi linguistici d’ogni genere.Va comunque dato il merito a D’Arco Silvio Avalled’essere stato tra i primi in Italia (insieme ad AntoninoPagliaro) ad aver applicato i cànoni della criticastrutturalista alla poesia contemporanea.Attenzione al linguaggio, ma più dal punto di vista delleascendenze e delle relazioni, hanno prestato PierVincenzo Mengaldo e Gilberto Lonardi. Il Mengaldo èautore di un fondamentale studio sul nesso tralinguaggio montaliano e linguaggio dannunziano, in cuisottolinea che la lotta del Nostro contro la retorica èstata condotta con materiali rigorosamente letterari,cioè attingendo agli stessi vocaboli magniloquenti di“Alcyone”, di cui gli “Ossi” sono pieni. Alle “ascendenzeculturali” (da Dante a Gozzano) si è invece dedicato ilLonardi, con suggestivi studi che vagliano l’intreccio inMontale tra “istinto “ e “cultura”.Nel campo della critica semiologica fondamentali sonogli apporti di Angelo Marchese, di cui ricordiamo ilsaggio Visiting angel. Interpretazione semiologia dellapoesia di Montale, S.E.I., Torino, 1977, e che hapubblicato per Adelphi un commento ai “Mottetti” e perMondatori una silloge più ampia di poesie. Di Marchesecitiamo infine il volume “L’amico dell’invisibile” (S.E.I.,Torino, 1996), che raccoglie i suoi studi montaliani e lelettere a lui rivolte dal Poeta.Un’altra notevole mole di studi è costituita dai contributifilologici ed eruditi. Nel primo àmbito si collocano glistudi di Rosanna Bettarini, curatrice nel 1980, con G.Contini, dell’edizione di tutta l’opera in versi del Nostro,in cui per la prima volta sono censite le testimonianzemanoscritte e a stampa, è approntato l’apparato dellevarianti ed è fissato il testo critico di un poeta vivente;di Dante Isella, che ha pubblicato, sempre nel 1980,una basilare edizione dei “Mottetti” con commentoanalitico basato su fondamenti filologici rigorosi e conuna ricchissima serie di rinvii interni ed esterni (lostesso Isella ha pubblicato nel ’96 un commento delle“Occasioni” e nel 2003 di “Finisterre”, primo nucleodella “Bufera”); di Maria Antonietta Grignani, attenta66<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


indagatrice della storia interna dei testi e delle lorovarianti; di Tiziana Arvigo, che nel 2001 ci ha dato uncommento degli “Ossi”. Al secondo versante, quelloerudito, appartengono le indagini di Luciano Rebay,della “Columbia University”, che ha delineato nei trattiumani della studiosa israelita Irma Brandeis la figuradell’angelo salvifico della lirica montaliana (Clizia); diFranco Contorbia, dell’ Ateneo genovese, al quale sideve il recupero degli articoli di Montale apparsi suiquotidiani genovesi “Il Lavoro” e “Il Cittadino”, nonchéun’importante volume iconografico: Eugenio Montale.Immagini di una vita, Librex, Milano, 1985; di LauraBarile, alla quale va il merito di aver allestito unafondamentale bibliografia montaliana, di averpubblicato da Mondatori, nel 1983, il Quadernogenovese, appunti e meditazioni scritte dalgiovanissimo Poeta nel 1917, di grande interesse perricostruire la sua preistoria intellettuale, nonché poesiee lettere trovate tra le carte del grande scultoreFrancesco Messina (da Scheiwiller); di Giovanna Ioli, laquale da anni si occupa del legame tra Montale e ilcritico e scrittore francese Valéry Larbaud (nel 2002 hapubblicato una monografia generale sul Poeta); diGiuseppe Marcenaro, curatore di svariate mostre sullacultura ligure del ‘900, che da anni lavora sulle lettere el’amicizia con Lucia Rodocanachi, animatrice col maritoPaolo di un circolo culturale in quel di Arenano.Poiché la poesia di Montale è di ardua lettura e difficileinterpretazione, come quella dantesca, in variericorrenze di anniversari legati al Poeta sono uscitepubblicazioni miscellanee contenenti una sorta diLectura Montalis. Ricordiamo l’Omaggio a Montale, acura di Silvio Ramat, edito da Mondatori nel 1966 per il70° compleanno del Poeta, con interessanti contributi,tra gli altri, di Walter Binni, che riconosce nel poetagenovese la essenziale coscienza drammatica di unlungo arco storico gremito di tragiche vicende; diLuciano Anceschi su Montale come critico, di LanfrancoCaretti sul rapporto con Svevo (di cui, com’è noto, ilgiovane Montale fu in Italia il primo estimatore a livellocritico), di Maria Corti sui rapporti con Dante, di CesareSegre sulla “Farfalla di Dinard”; in occasione dei suoi 80anni, il volume Contributi per Montale, a cura di LuigiCillo (Micella, Lecce, 1976), e quello edito dai FratelliBozzi di Genova nel 1978 col significativo titolo diLetture montaliane, con esegesi di singole liriche, tra lequali citiamo quelle di Italo Calvino su “Forse unmattino andando”, di Franco Croce sulla “Primaverahitleriana”, di Elio Gioanola su “Mediterraneo”, diCesare Federico Goffis su “Arsenio”, di Vittorio Serenisu “Il ritorno”, e inoltre contributi di E. Giachery, E.Sanguineti, L. Barile, F. Chiappelli, G. Lonardi, F.Montanari, U. Carpi, A. Jacomuzzi, M. Guglielminetti, N.Sapegno, L. Greco, S. Guarnirei, G. Bàrberi Squarotti,R. Scrivano, C. Varese, M.A. Grignani, M. Puppo,F.Fortini, L. Sciascia, S. Ramat, L. Caretti, P. Bigongiari,A. Guerrini.Dopo la morte del Poeta, avvenuta a Milano nel 1981,nell’83 compaiono presso la Librex di Milano gli Atti delConvegno Internazionale La poesia di Eugenio Montale,svoltosi a Genova nel settembre del 1982, concontributi di importantissimi critici, tra i quali anche ilfamoso dantista Charles Singleton. Un altro convegno sitiene due mesi dopo, nel novembre dell’82, sempre aGenova, organizzato da S. Campailla e C.F. Goffis, alquale chi scrive ricorda di aver partecipato con grandeemozione (e di aver dedicato al Maestro, a un annodalla scomparsa, una silloge di cinque sonetti intitolata“Nel cerchio di gesso bianco”).Ricordiamo ancora l’opera di altri meritevoli divulgatori,chiosatori ed esegeti, tra i quali Giulio Nascimbeni,autore della miglior “vita” montaliana sinora apparsa(Longanesi, Milano, 1969); Marco Forti, che ha curatoanche un’agevole guida antologica per gli “Oscar”Mondatori; Claudio Scarpati, autore di un chiaro Invitoalla poesia di Montale (Mursia, Milano, 1988, di cui cisiamo avvalsi per il pres. Art.); R. Macchioni Jodi, cheha svolto una storicizzazione della poesia montalianacome espressione della crisi dell’uomo moderno;Bortolo Pento, che ne ha operato una verifica linguisticae stilistica delle componenti sentimentali, psicologiche efilosofiche.Un posto a sé merita il notissimo poeta, critico edocente universitario Edoardo Sanguineti, il quale èintervenuto su Montale sin da un saggio giovanile del1955, Da Gozzano a Montale, poi rifuso nel famoso Traliberty e crepuscolarismo (Mursia, Milano, 1965, pp. 17-39): in esso Sanguineti proponeva d’individuare,all’interno della lirica novecentesca, una “lineacrepuscolare” che andasse da Gozzano sino a Montale.E a sostegno di questa tesi citava il saggio di Montalesu Gozzano, in cui il poeta di Aglié era definito dalGenovese come “il primo che abbia dato scintillefacendo cozzare l’aulico con il prosaico”. Questadefinizione sembrava a Sanguineti applicabile allostesso Montale, il quale, come già Guido Gozzano,aveva fondato la sua poesia sull’urto che nasce da unamateria povera, frusta, adatta ai toni minori, ed unasostanza verbale ricca e ricercata, in cui le innovazioniformali praticamente non esistono. Sanguineti siriferiva, ovviamente, agli “Ossi di seppia”, dove –nessuno potrà negarlo – ad una materia aspra, avara,brulla, rinsecchita e rinserrata in se stessa corrispondeun linguaggio colto e raffinato, mutuato in massimaparte dal D’Annunzio di “Alcyone” e dal Pascoli; questeosservazioni sono interessanti ed in parte condivisibilisino alle “Occasioni”, ma se prendiamo le raccoltesuccessive, il discorso diventa meno sostenibile.Insomma, la poesia di Eugenio Montale, né più némeno che quella del sommo Dante (al quale tante volteè stato comparato) ha sollevato in passato, solleva esolleverà ancora per chissà quanti anni, una marea diinterpretazioni e di questioni esegetiche, filologiche,comparative, formali, erudite, lessicali, metriche e viadicendo che riempiranno senz’altro migliaia di pagine diriviste, saggi, atti di convegni ecc. Dai grandi temimontaliani di sempre (il male di vivere, il fantasma chesalva, la bufera-guerra, la vita e la morte, il giudizio sulpresente) all’indagine sulla sua filosofia e la sua (celatao meno) religiosità; dall’ambiente ligure chiuso e avaroin cui è sbocciato il fiore più bello della sua lirica (ciriferiamo, è chiaro, agli “Ossi”, che restano a nostroavviso – e ad avviso della maggior parte dei lettori,checché ne pensi la critica più “quotata” – il suocapolavoro assoluto) al respiro internazionale della suascrittura (Montale ha avuto una straordinaria fortuna inInghilterra, in Francia, in Germania, in Russia, negliU.S.A.); dallo svolgersi dell’intera esperienza poetica<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 67


montaliana nel suo arco temporale ultracinquantennalealla “centralità” di alcune raccolte (“Ossi”, “Occasioni”,“Bufera”). Senza contare, poi, il Montale prosatore ecritico letterario; il Montale pittore e critico d’arte; ilMontale melòmane e critico musicale (egli intendeva,com’è noto, le varie Arti come un tutt’uno inscindibile);il Montale traduttore (da Shakespeare, Hawthorne,Dickinson, Melville, Yeats, Steinbeck, Parker, O’ Neill,Eliot, Guillén, Kavafis e molti altri); il Montale teorico dipoesia (si pensi al suo famoso discorso in occasione delNobel del ’75) e il Montale visto dai poeti (Sbarbaro,Barile, Grande, Luzi, Sereni, Solmi, Erba, Fortini,Guerrini, Bigongiari, Zanzotto, lo stesso Sanguineti emolti altri), dagli scrittori (Vittorini, Moravia, Calvino,Sciascia ecc.), dai “colleghi” giornalisti (Biagi,Montanelli, Bocca ecc.); per finire con i rapporti – nonsempre “quieti”, per usare un eufemismo (si veda ades. la questione con Quasimodo e Capasso) – con glialtri letterati e poeti.“Nella attuale civiltà consumistica che vede affacciarsinella storia nuove nazioni e nuovi linguaggi, nella civiltàdell’uomo robot, quale può essere la sorte dellapoesia?”: questa domanda più che attuale, anche dopooltre 30 anni, che Montale si poneva e ci poneva inconclusione del suo discorso del ’75 all’Accademia diSvezia può essere un invito ai giovani delle scuoleaffinché si avvicinino alla poesia del grande Genovesee, attraverso e al di là di essa, alla poesia in generale.Le giovani generazioni non sono insensibili alla poesia(si pensi a quanto interesse suscitino oggi, a 10 annidalla scomparsa, i testi delle canzoni di un altro grandepoeta genovese, Fabrizio De André): si tratta di dar lorogli strumenti, d’ infondere in loro la passione,l’entusiasmo per il leggere e il fare poesia, perché lapoesia, questo “prodotto assolutamente inutile maquasi mai nocivo” (come disse Montale da Stoccolmacon il suo tipico stile “minimalista”) non resti unpatrimonio élitario, ma un messaggio universalmenteaccettato, letto e apprezzato.Marco Pennone- Savona -PRINCIPII FONDAMENTALI DELLA TEORIA“OMERICA” DEL DIRITTOMolti cenni alla morale, alla società e al diritto sonocontenuti all’interno della narrazione “omerica” 2 . Piùche come intuizioni creative di un autore solitario,Iliade 2 e Odissea 3 devono oramai essere intese comestraordinario manifesto del c.d. Medioevo Ellenico 4 , eciò – a detta della dottrina moderna- avviene secondodue modalità: l’una (Iliade) sarebbe simbolodell’ellenicità arcaica dei wanax (re) e delle strutturemicenee, l’altra (Odissea) deve essere consideratadescrizione dell’ellenicità aristocratica dellecolonizzazioni 5 . Prima racconto e memoria di un’eramitica e ideale; e successivamente tentativo dicodificazione culturale di una nuova elite amministrativain ascesa. Tuttavia nella teoria “omerica” del diritto (onella teoria “omerica” del pre-diritto 6 ) tale cesurastorica non vale; l’intero Medioevo ellenico ècaratterizzato da una teoria del diritto che si mantienecostante sino al momento della innovazione Presocratica.Giuridicamente non sussistono variazionirivoluzionarie: dal momento dei crolli micenei all’eradelle colonizzazioni domina un diritto tribale,ammantato di sacralità, basato sui tre cardini teoreticidella teoria teocentrica della norma, della derivazionesacrale di diritto obiettivo e subiettivo (themis) e dellateoria retributiva della sanzione. Tre sono i concettichiave di tale teoria del diritto: volontà, themis evendetta, avvolti dall’aura validativa della sacralità. Lanorma “omerica” è comando divino; l’ordinamentoomerico è rivelazione divina; la sanzione omerica èvendetta divina. Questa tradizione ostenta unaccentuato ius-teismo. Primo tratto della teoria“omerica” del diritto è l’abbinamento ad una teoriavolontaristica della norma, ove, nei due scritti “omerici”,norma sia sinonimo di comando (divino): tale visionevolontaristica, connettendosi all’attributo della sacralità,conduce all’attestazione di un volontarismo teisticonormativo. Norma è in tutti i casi comando, volontà odesiderio della divinità. Nell’Iliade è scritto:Noi obbediremo alla volontà del maestoso Zeusche su mortali e immortali comanda 7 ;la volontà divina è normativa nei confronti dell’interaumanità. Benché nella teoria “omerica” del diritto sianocentrali termine e concetto di “comando”, non èattribuito medesimo valore a comando umano ecomando divino. Prevale il comando divino[…] Più forte il desiderio di Zeus del desideriodell’uomo […] 8 .Pur non essendo sciolta (ab-soluta) dalla necessitànaturale, la norma divina è intrisa d’arbitrarietà;sintomatici sono i versi:Zeus accresce o diminuisce all’uomo la forzasecondo arbitrio. Più forte è di tutti costoro […] 9 .Norma è volontà divina, è arbitrio divino, è comandoscaturente dalla divinità e limitato in via eccezionaledalla necessità naturale (moira) 10 . Il riconoscimentodella natura divina e costrittiva della norma sembracaratterizzare la visione micenea e arcaica della teoriadel diritto 11 . È momento di corroborare attraverso testie documenti la tesi della derivazione sacrale dell’interodiritto “omerico”. Per la narrazione “omerica” dirittoobiettivo e subiettivo sono considerati come themis 12 ;ordinamenti costituzionale e civile derivano in toto dadecreti divini. Nell’Odissea c’è intuizione che tuttol’umano sia derivazione divina. È infatti scritto:[…] Zeus è causa (di tutto) attribuendo sorte ad uominiindustria ciascuno secondo suo arbitrio […] 13 ;e successivamente lo stesso concetto è ribadito neiversi[…] Mai uomo dovrebbe essere contro diritto,ma accettare in silenzio i doni concessi dalle divinità[…] 14 .68<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


L’intero universo deriva dalla divinità; Zeus è causa/norma universale e artefice dell’esistenza individuale.Per l’Iliade il divino è norma morale, norma sociale enorma del diritto, e nella tradizione “omerica” menorecente l’onore – massimo valore delle morali arcaicheèdono e concessione della divinitàGrande è l’ira dei nobili re,il loro onore da Zeus; Zeus li ama 15 ;e – come la morale- anche il diritto è attribuzionedivina. È scritto infatti:[…] Non è bene che molti comandino; comandi uno,uno sia re, a cui il cronide astuto concesse dominioe diritto a che si curi di tutti […] 16 .Fonte unica di morale e diritto sono considerati i decretidivini. Questa intuizione è riassunta in manieraesaustiva all’interno di un interessante brano dell’Iliade[…] Metà doni ti concesse l’astuto cronidea causa del dominio ti diede d’esser da tutti onorato;ma non ti diede valore, ch’è massima forza […] 17 .L’ermeneutica dei testi conferma una indubitabilerilevanza della sacralità di morale e diritto all’internodella narrazione “omerica”. Norma morale e norma didiritto sono attribuzioni divine; e a tutto ciò che nonderiva dalla divinità è ascritta validità ridotta.L’enunciazione “omerica”:[…] Zeus infuria, irato con l’umanità,che emette senza diritto sentenze contorte, e[scaccia Giustizia,incurante dell’occhio dei numi […] 18è riassunto di tale ermeneutica; la relazione tra dirittodivino e diritto umano è univocamente normativa. Perla tradizione “omerica” esiste una connessione tradiritto divino e diritto umano tale che la norma umananon conforme all’ordinamento divino sia non-diritto(emettono sentenze scorrette) e la norma conformeall’ordinamento divino sia diritto. Gettate le basi di uncoerente ius-naturalismo, la tradizione “omerica”l’ammanta di vesti teistiche. È infine necessarioavvalorare sui documenti la tesi “omerica” dellaretributività della sanzione. Nella narrazione “omerica”norme ed ordinamento divini, ed umani, sonocaratterizzati con una certa continuità dalla nozione disanzione. Ma mentre nell’Iliade è un modello arcaico diretribuzione ad essere raccontato, con l’Odissea ne èconcessa una visione meno disarticolata 19 . Da entrambii nostri documenti è ammessa l’esistenza di una strettaconnessione tra azione umana e reazione divina. Ladivinità retribuisce male con male e bene con bene,sanzionando chi violi l’ordinamento sacrale o chi vi siconformi minuziosamente. Promozionale e coercitivo èl’intervento divino nei confronti di chi, umano, si accostia sacro e a mistero. Promozionale è l’interventodescritto da Achille[…] ciò è bene,chi obbedisce alla divinità, assai essa l’ascolta […] 20 ;dietro all’azione conforme dell’uomo c’è il rinforzo delsoccorso divino. Di contro[…] non sente ora nel cuore il tidideche non vive assai chi i numi contrasta 21 ;non è tollerata disobbedienza. La devianza è sanzionatada morte e sventura. Più articolata e meno immatura èla visione odissaica, mutando stile, vocabolario edelaborazione. Più diretta e moderna è l’asserzione diOdisseoMa si vendichi di costoro Zeus, chetutto osserva dall’alto e retribuisce chi erra 22 ,dove sanzione divina è vendetta contro chi non siconformi ai comandi divini. Poco oltre è Eumeo adosservare:I numi beati non amano le male azioni,ma retribuiscono Giustizia e le buone azioni[umane 23 .Questo brano mette in chiaro la stretta connessione traazione umana e reazione divina. La vendetta divinasottende come antecedente l’azione umana deviante;fondamento dell’intervento/ retribuzione divini rimanel’azione umana. Questa reazione deriva – come asseritoda Odisseo- da una attenta osservazione divina dellacondotta umana; così i versi “omerici”Gli dei a volte simili a stranierimascherati, camminano nelle cittàosservando rette condotte e dissolutezze umane 24 .Nel diritto criminale “omerico” si mostra centrale latriade osservazione- azione- reazione. Quale nessoesiste tra diritto divino e diritto umano all’interno dellanarrazione “omerica”? Se – come è stato detto- tra idue ordinamenti normativi sussiste una relazionemimetico-validativa, tra i due istituti sanzionatori(sanzione divina e sanzione umana) esiste un nessomeramente mimetico. In entrambi i casi il divino èmodello dell’umano, e simbolo dell’umano 25 . Perchiudere tale analisi su morale e teoria del dirittoantecedenti alla Pre-socratica, riassumiamo:innanzitutto, nella tradizione “omerica”, è viva unateoria della norma come comando divino (teovolontarismonormativo: norma è comando divinovolontario, arbitrario e limitato unicamente dallanecessità naturale); v’è una teoria dell’ordinamentocome rivelazione divina (teo-ius-naturalismo: dirittoobiettivo è themis idonea ad attribuire validità al dirittoumano); e, infine, v’è una teoria della sanzione comevendetta divina (teo-ius-retributivismo: sanzione èreazione divina ad una azione umana deviante). Ilnucleo della teoria del diritto della tradizione “omerica”orbita attorno a tre nozioni (comando, rivelazione eretribuzione) e attorno a tre dottrine (teo-volontarismonormativo, teo-ius-naturalismo e teo-iusretributivismo).___________________1 General studies moderni sulla tradizione “omerica” sono I.DE JONG (a cura di), Homer: critical assessment, London,<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 69


Routledge, 1998, J. LATACZ (a cura di), Homer: die Dichtungund ihre Deutung, Darmstadt, WissenschaftlicheBuchgesellschaft, 1991 e F. MONTANARI, Introduzione adOmero, Sansoni, Firenze, 1990.2 Cfr. Iliade, Torino, Einaudi, 1990. Il testo usato in taleedizione è mutuato da T.W. ALLEN, Homeri opera, Oxford,Clarendon Press, 1912.3 Cfr. Odissea, Torino, Einaudi, 1989. Il testo usato in taleedizione è mutuato da T.W. ALLEN, Homeri opera, Oxford,Clarendon Press, 1912.4 Medioevo ellenico è – a detta di Mele- «passaggio dall’etàdel bronzo all’età del ferro» o «passaggio dall’età submiceneaall’età arcaica» (A. MELE, Legislatori e tiranni, inAA.VV., Manuale di Storia Greca, , Bologna, Monduzzi, 2003,19) e si estende tra l’XI e l’VIII secolo. Più corretto – secondoun altro autore- definire tale momento storico col termine«alto arcaismo» (D. MUSTI, Introduzione alla storia greca,Roma-Bari, Laterza, 2003, 29). Per una esaustiva visione diciò che Finley considera come «mondo omerico» o «mondoodissaico» si consulti M.I. FINLEY, The world of Odysseus,trad.it. Il mondo di Odisseo, Roma-Bari, Laterza, 1978.5Molti autori moderni – da Parry a Fausto Codinoriconoscononella costruzione “omerica” la descrizione di unavarietà di momenti storici adiacenti. Per Parry – sulle orme diautori ottocenteschi – come Lachmann e Kirchhoff- latraduzione omerica è costruzione collettiva e «alluvionale» (A.PARRY, The making of homeric verse. The collected papers ofMilman Parry, Oxford, Clarendon Press, 1971); ilriconoscimento della suddivisione dei racconti “omerici” ineinzellieder (nuclei narrativi) e della loro costruzionealluvionale (Parry/Lord) conduce l’italiano Codino, in F.CODINO, Introduzione ad Omero, Torino, Einaudi, 1965, adattribuire momenti storici diversi a tematiche comuni(materiali; costumi; istituzioni). Eva Cantarella arriva allemedesime conclusioni (E. CANTARELLA, Norma e sanzione inOmero, Milano, Giuffrè, 1979, 44-45).6 Per alcuni storici moderni il mondo ellenico arcaico maiarriva a evolvere un diritto obiettivo (L. GERNET, Droit etsocieté dans La Gréce ancienne, Paris, Sirey, 1955). Lareazione delle scienze sociali non tarda a manifestarsiattraverso un intervento di Hoebel (E.A. HOEBEL, The law ofprimitive man, trad.it. Il diritto nelle società primitive,Bologna, Il Mulino, 1973) e di un classico della modernateoria del diritto come Hart (H.L.A. HART, The concept of law,trad.it. Il concetto del diritto, Torino, Einaudi, 1965, 183).7 Cfr. Iliade, cit., XII 241-242. Nella narrazione “omerica” ladivinità si mostra sovrana su uomini e dei attraverso una«boule dios». La radice del verbo anasso è comune all’etimodella titolatura micenea del wanax; come il wanax (re) ènorma all’interno del mondo miceneo, così la divinità è norma(anasso) nei confronti dell’intera umanità.8 Cfr. ivi, XVI 688. Possiamo tradurre il termine ellenico noostanto con termine italiano “mente” che con una serie ditermini connessi al contesto del volere (“desiderio”;“intenzione”; “volontà”). L’intera narrazione “omerica” insistesulla necessità umana – successivamente esaltata daNietzsche- d’una obbediente accettazione del destino.9 Cfr. ivi, XX 242-243. La norma è oppos ken ezelesin(arbitrio) divino. Tuttavia l’ordinamento divino non ètotalmente ab-solutus dalla natura dell’universo, rimanendocome limite la nozione di moira. L’evoluzione di tale intuizioneè conquista teoretica di Eraclito.10 Per una efficace conferma di tale tesi si consulti A.W.H.ADKINS, Merit and responsibility. A study in Greek Values(1960) trad.it. La morale dei Greci, Bari, Laterza, 1964, 50-58;la tesi contraria è invece difesa strenuamente da Grube inM.E. WHITE (a cura di), Studies in honour of Gilbert Norwood,Toronto, University of Toronto Press, 1952, 4 e in manieramoderata da Rose in H.J. ROSE, Primitive Culture in Italy,London, Methuen & Co, 1926, 41. La storia della nozioneomerica di moira ha inizio nell’ottocento coi due studi P.BOHSE, Die Moira bei Homer, Berlin, Hayn, 1893 e A.BERTHELOT, L’idée de la Moira dans les épopées homériques,Paris, [s.i.e.], 1896 e trova conclusione nel recente volumecollettivo italiano P. COSENZA (a cura di), Esistenza e destinonel pensiero greco arcaico, Napoli, Edizioni scientificheitaliane, 1985.11 Perché nella narrazione “omerica” si assiste alla traduzionedella realtà costituzionale/ istituzionale arcaica ad un livellosovra-storico? Proiettare la realtà istituzionale oltre a ciò chesia concreto e storico è modalità idonea ad assicurarnememorizzazione e ricezione, non dimenticando che – a dettadi tutta la letteratura metaomerica- la narrazione aedica siaconsiderata strumento di acculturazione essenziale all’internodi una cultura aurale (E.A. HAVELOCK, The Greek concept ofJustice, Justice from its shadow in Homer to its substance inPlato (1978), trad.it. Dike. La nascita della coscienza, Roma-Bari, Laterza, 2003, 62-63). Platone stesso, in vari scritti,critica la dimensione didattica dell’aedica.12 Per Fassò si deve considerare themis come «decreto dicarattere sacrale rivelato ai re dagli dèi per mezzo di sogni odi oracoli, trasmesso di padre in figlio come norma sacra delgruppo gentilizio» (G. FASSÒ, Storia della filosofia del diritto,Roma-Bari, Laterza, 2001, 12). All’interno della culturamicenea la radice di tale termine è ricordata in due documentidi una certa rilevanza: nella tavoletta KN V 280 si trova inmodo ricorrente il termine o-u-[ki]-te-mi che richiamal’asserzione italiana “non si deve”; sulla tavoletta PY An 218 amolti studiosi è sembrato di rinvenire il termine di-we-si-po-uti-mi-to-qo-[ro,sinonimo della locuzione italiana“amministratore del diritto”. Eva Cantarella sostiene: «[…]themis è una regola di comportamento che coincide con lavolontà divina […] è termine che, se ha mantenuto ilsignificato di “regola” che aveva già nel miceneo […] indica,ora, la regola di formazione spontanea, coincidente conl’ordine delle cose e il volere divino, ma tuttavia prodotta dallacollettività» (E. CANTARELLA, Norma e sanzione in Omero, cit.,302-303). Per un’analisi esaustiva del termine si consulti A.LESKY, Grundzüge griechischen Rechtsdenkens: themis unddike, in “Wiener Studien”, 98, 1985, 5-40.13 Cfr. Odissea, cit., I 348-349. Per la tradizione “omerica”recente Zeus diviene causa di tutto (divinità normativa). Èintrodotta in maniera disarticolata un’intuizione che nei milesiie coi milesii troverà enorme fortuna: volontà divina inizia adessere considerata come ordine / ordinamento. Per Havelock«Il dio ha [..] un ruolo speciale. Le sue azioni e le suedecisioni sono usate come un equivalente simbolico deifenomeni naturali […]» (E.A. HAVELOCK, The Greek concept ofJustice, cit., 63).14 Cfr. ivi, XVIII 141-142. È sintomatico il termine ellenicoathemistios – senza themis- con cui è identificato l’individuoreo di non abbandonarsi ai doni della divinità. Tutto ciò che èsenza themis, è contrario all’ordinamento divino.15 Cfr. Iliade, cit., II 196-197. Questi brevi versi mostranochiaramente come l’intera virtù umana derivi dalla divinità,essendo time (onore) concessione/ decreto divino.16 Cfr. ivi, II 204-206. Il discorso di Odisseo in assembleasottolinea l’attribuzione divina di dominio (metonimicoskeptron) e diritto (themistas). Due motivi riconducono lateocraticità dell’ordinamento “omerico” a unità del comando:identificazione tra re e divinità e indeterminatezza semanticadel termine miceneo wanax, sostenuta da Adrados nel 1970all’incontro internazionale di studi micenei di Salamanca (F.R.ADRADOS, Les institutions religieuses mycéniennes, inG.Maddoli (a cura di), La civiltà micenea, Bari, Laterza, 1972,102-103). Contro i «discorsi sensati» di Odisseo si innalzanosenza buona sorte i discorsi democratizzanti dell’anti-eroeTersite.17 Cfr. ivi, IX 37-39. Due osservazioni sono stimolate dalbrano: morale e diritto sono nuovamente descritti come70<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


concessioni divine; rimane come cornice una sorta didistinzione tra ruolo di diritto e ruolo morale dell’individuo.Non è detto – sebbene entrambi i ruoli abbiano derivazionedivina- che morale e diritto coabitino all’interno dell’esistenzaindividuale concreta.18 Cfr. ivi, XVI 386-388. Ci si trova davanti ad una delle menorecenti attestazioni di ius-naturalismo della storia. Per talebrano due sono i livelli del diritto, l’uno (diritto divino) idoneoad assicurare convalida all’altro (diritto umano). L’assenza diconformità tra diritto convalidante e diritto convalidatoconduce ad una rischiosa svalutazione del secondo.19 Cfr. A.W.H. ADKINS, Merit and responsibility. A study inGreek Values (1960) trad.it. La morale dei Greci, cit., 105,nt.3. L’autore scrive: «L’Odissea sembra più progredita, inquanto le virtù “minori” sono sostenute dalla minaccia disanzioni divine più evidentemente che nell’Iliade. I terminidiscussi vi subiscono ben pochi cambiamenti […]».20Cfr. Iliade, cit., I 217-218. Positiva è la sanzioneall’obbedienza verso l’ordinamento divino; chi si conforma allenorme sacre riceve aiuto e interesse dalla divinità.21 Cfr. ivi, V 406-407. Mentre chi si conforma all’ordinamentodivino riceve – come detto- aiuto e interesse, chi lo contrasta(machetai) è ostacolato nella salute e nella vita. È chiara lavalenza retributiva della sanzione “omerica”; la “lotta” nonconduce all’armonizzazione dei contrari.22 Cfr. Odissea , cit., <strong>XIII</strong> 213-214.23 Cfr. ivi, <strong>XIV</strong> 83-84. Il termine dike – abbastanza recente nelvocabolario ellenico- sostituisce il termine arcaico themis.24 Cfr. ivi, XVII 485-487. Questi versi descrivono in manieraarticolata la struttura dell’istituto sanzionatorio, dovedall’osservazione si evolve una reazione alla condottaindividuale.25 Per testimoniare come la teoria “omerica” del diritto siasimbolo del diritto vivente della società omerica si abbininodue asserzioni della Cantarella: l’autrice scrive: «Le regole dicomportamento fra dèi altro non erano, a ben vedere, cheuna proiezione delle regole che dovevano informare ilcomportamento umano […]; le regole uomo-dio, a loro volta,avevano una ben precisa funzione sociale […]: separareregole di comportamento fra uomini, fra dèi, e fra uomini edèi, quindi, non avrebbe alcun senso» (E. CANTARELLA, Normae sanzione in Omero, cit., 107); e successivamente – comevisto- testimonia una derivazione totalmente sociale di normae ordinamento “omerici”. Questo mio excursus non è direttotuttavia a mettere in chiaro la storia del diritto miceneo o“omerico”, ma si limita a considerare la concezione “omerica”del diritto e sul diritto.Ivan Pozzoni- Villasanta (M) -LA NASCITA DEL REALISMO ANALITICOBRITANNICO DI BERTRAND RUSSELLDalla ricostruzione storica dello stesso BertrandRussell si evince come l’ottocento mondiale si chiuda suuna serrata critica nei confronti del Positivismo, nelnome di tre tradizioni di ricerca rivali: a] filosofiaclassica tedesca (kantismo e idealismo), b] attivismi(Pragmatismi e Bergson) e c] realismi scientistici: «Lafilosofia accademica nel XX secolo può essere, a grandilinee, divisa in tre gruppi. Il primo consiste degliaderenti alla filosofia classica tedesca, generalmenteKant, ma a volte Hegel. Il secondo consiste deiPragmatisti e Bergson. Il terzo consiste di coloro che sirichiamano alle scienze ritenendo che la filosofia non hané un tipo speciale di verità né un metodo particolareper ottenerla». L’idealismo britannico - introdotto inInghilterra da F.H. Bradley, con lo scritto Appearanceand Reality del 1893- ha estesi tratti comuni conl’idealismo tedesco, nella tendenza allasistematicizzazione del reale come costruzionededuttiva di un universo coerente e all’unificazionedialettica del reale, nei concetti essenziali di «idea» e«realtà» assolute, nell’indistinzione tra soggetto /oggetto 1 . Prescindendo dal Pragmaticism di Peirce, ilPragmatism è identificato con le dottrine di W.James, F.Schiller e J. Dewey. La teoria jamesiana del will tobelieve è considerata norma fondamentale: Jamesintende il criterio di validazione delle credenze comemeccanismo individuale (in date circostanze eccezionali,sono vere le credenze che ci servono, non sono vere lecredenze che non ci servono), sembrando invertiredrasticamente l’assunto di Peirce «sono utili le credenzeche sono vere, sono inutili le credenze che non sonovere»; da ciò i meriti e i demeriti del Pragmatism: imeriti di aver ricondotto verità a dimensione umana(fallibilità ed emendabilità delle dottrine); i demeriti diavere introdotto strumenti «accessori» di verificazione 2 .Russell ritiene l’evoluzionismo francese di Bergson starein relazione di antitesi teoretica col Pragmatismamericano 3 , sebbene essa tradizione sia stataconsiderata dal Pragmatism medesimo un concretoalleato contro il Positivismo, nelle comuni istanzed’esaltazione dell’azione / attività umana e delriconoscimento dell’incoerenza della vita e del mondo(creatività assoluta dell’élan vital). Il realismoscientistico, nei limiti della sostituzione al vecchioscientismo metafisico di un innovativo scientismotecnicistico, nasce come continuazione critica delPositivismo, senza mai concretizzarsi in coesa tradizionedi ricerca. Gli accomunanti teorici di autori come Frege,Husserl, Moore, Couturat, Mach, sono: a] assimilazionetra scienza e filosofia 4 , b] uso dell’analisi, c] rifiuto dellemetafisiche, d] riconoscimento dell’atomismo (vs.5dottrine dell’adaequatio rei) , e] centralità dellematematiche 6 . Nella incerta situazione diframmentazione culturale causata dalla crisi delPositivismo, Russell e G.E. Moore iniziano a muoversi aCambridge sotto l’influsso del neoidealista britannicoBradley («a Cambridge mi fu inculcata la filosofia diKant e di Hegel, ma G. E. Moore ed io finimmo perrifiutare insieme questa filosofia»), allontanandosenesolo successivamente a severi contrasti in merito allateoria classica delle relazioni e all’incontro con l’analiticamatematica di Peano. L’avvicinamento al simbolismomatematico e a Whitehead conduce il nostro autoreall’adozione del metodo analitico delle scienze 7 ,all’accettazione, nella discussione sullo statuto dellafilosofia, della distinzione brentaniana tra sein e sollen 8 ,all’intuizione della dimensione meta-scientifica dellafilosofia 9 ; la ri-definizione russelliana del concetto diconoscenza motiva l’ulteriore adesione, in reazione almonismo idealistico e sulla scia del Tractatuswittgensteiniano, ad un atomismo semiotico 10 , basatosulle nozioni di «fact» 11 e «proposition» 12 . L’assunzionedi un metodo filosofico analitico e scientifico, ilriconoscimento della funzione chiarificatrice dellafilosofia, l’interesse verso matematiche e atomismosemiotico marcano la riflessione culturale di BertrandRussell come realismo analitico.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 71


NOTE :1 Russell - in The Problems of Philosophy- descrive l’idealismohegeliano: «La filosofia di Hegel è molto difficile […] la suatesi è che ogni cosa avulsa dal tutto è frammentaria, eovviamente incapace di esistere senza il complementorappresentato dal resto del mondo […] Ogni pezzoapparentemente isolato in realtà ha, diciamo così, degli unciniche lo uniscono strettamente al pezzo accanto, e questo, asua volta, ha nuovi uncini, e così via, fino a ricostruire tuttol’universo […] Nel mondo del pensiero, se prendiamo un’ideaastratta incompleta, scopriamo, esaminandola, che sedimentichiamo la sua incompletezza ci troviamo avvolti incontraddizioni; queste contraddizioni tramutano l’idea inquestione nel suo opposto, o antitesi; e per uscire da questodualismo dobbiamo trovare una nuova idea, menoincompleta, che è la sintesi dell’idea originale e della suaantitesi. Questa nuova idea, benché meno incompleta diquella da cui siamo partiti, ci si scoprirà tuttavia nonperfettamente completa, ma tale che passeremo alla suaantitesi, combinandole poi entrambe in una nuova sintesi. Inquesto modo Hegel procede fino a raggiungere l’Idea assolutache non è incompleta, non ha opposto, né bisogno di essereulteriormente sviluppata. L’Idea Assoluta è dunque adeguataa descrivere l’Assoluta Realtà […] Così Hegel giunge allaconclusione che l’Assoluta Realtà forma un singolo armoniososistema».2 Russell, in Sceptical Essays, scrive: «Supponiamo di vedereun lampo. Possiamo aspettarci di sentire un tuono, opossiamo pensare che il lampo era troppo distante perché sipossa udire il tuono, o possiamo disinteressarci dellaquestione. Quest’ultima è generalmente la soluzione del buonsenso. Ma supponiamo di adottare le altre due soluzioni.Quando udiamo il tuono, la nostra opinione è verificata odimostrata falsa non a causa di un qualche vantaggio osvantaggio che vi ha portato ma per un fatto: la sensazione diudire il tuono. I pragmatisti si occupano soprattutto diopinioni impossibili da verificare mediante un fatto di cuipossiamo avere esperienza. La maggior parte delle opinioni diogni giorno sugli affari di questo mondo […] possono essereverificate con la nostra esperienza, e in questi casi il criteriopragmatico non è necessario». Trascurando la correntemetodologica del Peirce e riducendo il Pragmatismunicamente alla corrente metafisica jamesiana, il nostroautore rischia di attribuire all’una i demeriti dell’altra.3 Per Russell, in Sceptical Essays: «L’utilità è per Bergson, lasorgente dell’errore, mentre si arriva alla verità per mezzodella contemplazione mistica da cui sia assente ogni pensierodi vantaggio pratico».4 Il nostro autore, in Sceptical Essays, rileva: «La nuovafilosofia ritiene che la filosofia sia la stessa cosa che la scienza[…] La nuova filosofia ritiene che tutto il sapere è conoscenzascientifica che può venir ritrovata e provata con i metodi dellascienza».5 Russell continua «La nuova logica sostiene che il carattereintrinseco di una cosa non ci rende logicamente capaci didedurre le sue relazioni con altre cose. Un esempio chiariràquesto punto. Leibniz sostiene in un passo delle sue opere (inaccordo, riguardo a questo, con l’idealismo moderno) che seun uomo è in Europa e sua moglie muore in India, unmutamento intrinseco avviene nell’uomo al momento dellamorte della moglie. Il senso comune direbbe invece che nonc’è mutamento intrinseco dell’uomo finché egli non riceve lanotizia del suo lutto. Questo punto di vista è adottato dallanuova filosofia […]».6 Russell, in History of western Philosophy, da buono storicodella cultura: «Fin dai tempi di Pitagora, è esistita, in filosofia,una distinzione tra coloro il cui pensiero era soprattuttoispirato dalla matematica e quelli influenzati piuttosto dallescienze empiriche. Platone, Tommaso, Spinoza e Kantappartengono a quello che potremmo chiamare il partitomatematico; Democrito, Aristotele e gli empiristi moderni daLocke in poi appartengono al partito opposto […] L’empirismoanalitico moderno è differente dall’empirismo di Locke,Berkeley e Hume perché incorpora la matematica e sviluppaun’efficace tecnica logica […] Ha inoltre il vantaggio, se lo siparagona alle filosofie dei costruttori di sistemi, di potereaffrontare i propri problemi uno alla volta invece di dovereinventare, tutta in una volta, una teoria completa dell’interouniverso […] I suoi metodi rassomigliano a quelli dellascienza».7In My Philosophical Development scrive: «Da quandoabbandonai la filosofia di Kant e di Hegel, ho sempre cercatosoluzioni ai problemi filosofici mediante l’analisi; e rimangopersuaso che malgrado qualche tendenza moderna in sensocontrario, soltanto mediante l’analisi sia possibile ilprogresso».8 Russell, in History of western Philosophy, scrive: «Lafilosofia ha consistito di due parti disarmonicamentemescolate insieme: da un lato una teoria sulla natura delmondo, dall’altro una dottrina etica e politica sul miglior mododi vivere. L’incapacità di separare queste due cose consufficiente chiarezza è stata l’origine di grandi confusioniintellettuali. I filosofi, a partire da Platone fino a WilliamJames, hanno lasciato che le loro opinioni sulla costituzionedell’universo fossero influenzate dal desiderio di essereedificanti […] Per parte mia, io condanno questa tendenza perragioni sia morali che intellettuali. Dal punto di vista moraleun filosofo che si serve della sua competenza professionaleper fini che non siano la ricerca disinteressata della verità ècolpevole di una sorta di tradimento».9 Russell continua: «Tutto questo (verificabilità/ falsificabilitàfilosofica di assiomi della religione) è respinto dai filosofi cheritengono che la funzione più importante della filosofia sial’analisi logica. Essi confessano francamente che l’intellettoumano è incapace di trovare delle risposte conclusive a moltedomande di importanza grandissima per l’umanità, ma sirifiutano di credere che ci sia un altro modo più elevato diconoscere, mediante il quale si possano scoprire verità chesono nascoste alla scienza e all’intelletto. Per questa rinunciaessi sono stati premiati con la scoperta che si può dare unarisposta precisa, raggiunta con metodi oggettivi che nonintroducono i caratteri particolari della personalità del filosofo,eccetto il suo desiderio di capire, a molti problemi cheanticamente la nebbia della metafisica rendeva oscuri […] Nelcaos di fanatismi contrastanti, una delle poche forzeunificatrici è la verità scientifica, con la quale voglio direl’abitudine di basare le nostre opinioni su osservazioni edinferenze quanto più possibile, entro i limiti umani,impersonali e prive di pregiudizi geografici e ditemperamento. Uno dei meriti principali della scuola filosoficaalla quale appartengo è di avere inventato un metodo efficacemediante il quale questa virtù possa dar frutto».10Russell con Fatti e proposizioni, uscito su The monist,asserisce: «La logica che voglio introdurre è atomistica,contrapposta dunque alla logica monistica di coloro cheseguono, più o meno, Hegel. Quando dico che la mia logica èatomistica voglio dire che sono d’accordo con l’opinione delsenso comune che ritiene che esistono numerose cose edistinte tra loro».11 Il nostro autore continua scrivendo «Quando parlo di unfatto voglio dire il genere di cosa che rende vera o falsaun’affermazione. Se dico – sta piovendo – quello che dico èvero in certe condizioni del tempo e falso in altre condizionidel tempo. La condizione del tempo che fa vera la miadichiarazione (o falsa nel caso che sia falsa) è quello chechiamo un fatto […]. Esprimiamo un fatto quando diciamo cheuna certa cosa ha una certa proprietà o che ha una certarelazione con un’altra cosa; ma la cosa che ha la proprietà ola relazione non è quello che chiamo un fatto»; i «facts» –com’è asserito in Human Knowledge- non sono suscettibili diverità / falsità («La maggior parte dei fatti è indipendente72<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


dalle nostre volizioni; questa è la ragione per la qualevengono chiamati solidi, ostinati, ineluttabili. I fatti fisici, perla maggior parte, sono indipendenti non solo dalle nostrevolizioni ma persino dalla nostra esistenza»).12 Per Russell: «[…] il tipo più semplice di opinione,specialmente quando agisce come una spinta all’azione,può essere del tutto non verbalizzata. Quando siete inviaggio con un amico potrete dire – Dobbiamo correre;il treno sta proprio per partire -. Ma se siete soli potreteavere la stessa opinione e potete correre ugualmente infretta senza che tuttavia neanche una parola vi passiper la mente». «Propositions» sono metasimboli di«facts», suscettibili a verità / falsità, essendostrettamente connesse all’attività umana del «credere».LIBRETTIIvan Pozzoni- Villasanta (M) -Storie dimenticate, scritte per essere cantate. Ungenere letterario trascurato, quello del “libretto” merita,invece, attenzione. Per secoli chi ci ha preceduto traevadalle opere in musica lezioni di vita, o parole dacanticchiare, o si appassionava a personaggi e storie.Con la morte del melodramma popolare, specialmentequello del Settecento, tutto ciò è finito. In questarubrica si mira a riscoprire un patrimonio culturaletipicamente italiano (ignorato dalla maggioranza degliitaliani) e a stimolare a un approfondimento sul genereletterario dei libretti d’opera.L’Isola disabitataDue nomi due garanzie: Pietro Trapassi detto ilMetastasio (1698-1782), grande, forse il più grandelibrettista in assoluto, o per lo meno quello più sfruttatodai compositori del tempo, e Joseph Haydn (1732-1809), uno dei grandi classici, autore di oltre centosinfonie. Il libretto del Metastasio risale al 1752 e fumusicato dapprima da Giuseppe Bonno, quindi daHolzbauer, Jommelli, Traetta, Naumann, Schuster,Boroni. Negli ultimi mesi del 1779, Haydn, più noto peri suoi quartetti d’archi che per la sua produzioneoperistica, si cimentò in questa “azione teatrale”. Lamusicò per il principe Nicola Esterházy [N.d.R./Mttb:Miklós Esterházy], suo grande sponsor. Andò in scenasolo due volte nel teatro di corte ungherese: il 6dicembre 1779 e il 12 marzo 1780. Evidentemente nonpiacque. Il suo manoscritto fu persino vittima di unincendio, tanto che si credette una musica perduta persempre. Eppure Haydn puntava molto su questo lavoro,da lui definito come “operetta” per l’esigua durata. Latrama è romanzesca e, nella sua ambientazione esotica,si presta a richiami suggestivi. La struttura musicale èoriginale e strizza l’occhio alle correnti riformatrici delmelodramma senza, però, risultare una provaconvincente. Anzi, pecca proprio di mancanza dicarattere, i personaggi hanno una personalità scialba ele situazioni sono ardite. C’è un antefatto: due sposi euna bambina fanno naufragio mentre sono diretti nelleIndie Occidentali. Gernando e Costanza, questi i nomidei due innamorati, e la piccola Silvia, sorella di lei.Raggiunta un’isola deserta, pensano di trovare rifugio inuna grotta. Durante il sonno delle due, però, Gernandoe altri vengono rapiti dai pirati. Costanza, rimasta daallora sull’isola con Silvia, è convinta di essere stataabbandonata. Il sipario si apre qui, in un momentopatetico, quando la triste Costanza, vestita con pelli efronde, è accanto a una roccia. Sopra la dura pietra staripassando con una spada: “Dal traditor GernandoCostanza abbandonata, i giorni suoi in questo terminòlido straniero. Amico passeggero, se una tigre non sei,o vendica, o compiangi…”. E scrive, per completare lafrase “i casi miei”. L’iscrizione è forse la protagonista diquesta strana azione teatrale. La malinconia diCostanza non è placata dalla sorella minore, che cantacontenta: “La mia amabile cervetta, / in van per tanti dìpianta e cercata, / da se stessa è tornata”. Un presagioche non turba la maggiore che, anzi, pare che faccia ditutto per intristire Silvia, che sbotta: “E ho da vedertisempre in pianti, o germana?”. Ma Costanza rispondeche “già sette volte e sei / l’anno si rinnovò / da chelasciata / in sì barbara guisa / da’ viventi divisa, / ditutto priva e senza speme, oh Dio! Da viventi divisa, /di tutto priva e senza speme, oh Dio! / Di mai tornar sula paterna arena, / vivo morendo: e tu mi vuoiserena?”. Silvia ce la mette tutta, ma proprio non riescea far cessare la tristezza alla sorella: “Qui siam sovrane./ È questa isoletta ridente il nostro regno, / sono isudditi nostri le mansuete fiere. / A noi produce terra, ilmar / … Né forza né legge / qui col nostro desio mainon contrasta. / Or dì, che basterà, se ciò non basta?”.Costanza biasima l’ingenuità della sorella, dicendole chenon può sapere com’è la vita al di fuori di quell’isola.Ma Silvia ha le idee chiare: “Spesso esaltar t’intesi / lericchezze, il saper, l’arti i costumi, / le delizie europee;ma con tua pace, / questa assai più tranquillità mipiace”. E poi la minore tocca il tasto dolente: gli uomini.“Ma pur belle / contrade che tu vanti / d’uomini sonfeconde; e questi sono / le specie de’ viventi / nemica anoi. / Tu mille volte e mille mi dicesti…”. Insomma,Costanza, convinta di essere stata abbandonata,ribadisce il concetto “Empii, crudeli / perfidi,ingannatori, / d’ogni fiera peggiori, che sia pietà nonsanno…”. E si sfoga in un’aria languida e romantica, mapropria di una donna forte, benché oramai senzasperanza: “Se non piange un’infelice / da’ viventiseparata, / dallo sposo abbandonata, / dimmi, oh Dio,chi piangerà? / Chi può dir ch’io pianga a torto, / se némen sperar mi lice / questo misero conforto / d’ottenerl’altrui pietà”. Fatto sta che Silvia la semplice nota levele di una barca, e a poco a poco si avvicina all’isola,su un “palischermo” due uomini “in abito indiano”.Condizionata dalla misantropia della sorella, la giovaneè spaventata da questo arrivo e si nasconde dietro icespugli. Quei due uomini sono Gernando ed Enrico, dilui amico. Affinità elettive: anche Gernando è disperato,tragico e pessimista come la sua sposa. Pensa subitoche sia morta: “Poca speranza / ho di trovar Costanza;ma l’istesso terreno / ch’è tomba a lei, sarà mia tombaalmeno”. Silvia spia i due, non capisce molto quello chedicono, ma si lascia attrarre dal “dolce aspetto” diEnrico, e continua a osservarli di nascosto. Colpo difulmine: la giovane è cotta. Dapprima non capisce: “Unuom non è: / gli si vedrebbe in volto / la ferociadell’alma”. Ebbene, ecco l’eccezione alle norme di vitaimpartite dalla sorella. Silvia si avvicina al Cherubinomozartiano in un’aria in cui confida ciò che prova: “Fraun dolce deliro / son lieta e sospiro: / quel volto mipiace / ma pace non ho. / Di belle speranze / ho pieno<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 73


il pensiero. / E pur quel ch’io spero / conoscer non so”.Gernando, nel frattempo, si accorge dell’iscrizione: e ciòconferma i suoi pensieri funesti. Non è completa, quindiCostanza è morta: “Non le bastò la vita” e l’iscrizioneresta con i puntini di sospensione. Il pessimismo tragicodi Gernando contagia anche il mite Enrico, che sembraragionare poco con la sua testa: “Ah piangi amico: / lelagrime son giuste. Io t’accompagno, / t’accompagnanoi sassi”. La scena si sviluppa in un modo che fasorridere tanto è esasperata, però il fido Enrico glipropone di “abbandonar questa cruel contrada”. Non sene parla: Gernando vuole morire nel luogo in cui morì lasua sposa: “Questo è il soggiorno / che il ciel midestinò”. Lo sposo pare irritarsi alle timidecontroproposte di Enrico, e fa di tutto per mandarlo via,cantando un’aria molto interessante: “Non turbarquand’io mi lagno, / caro amico, il mio cordoglio: / ionon voglio altro compagno / che il mio barbaro dolor. /Qual conforto in quest’arena / un amico a me sarìa? /Ah la mia, nella sua pena / renderebbesi maggior”.Insomma: Enrico avrebbe avuto di che mandare a quelpaese quell’amico ingrato e musone, invece inizia adusare la testa. Progetta un piano: “Conviene, amici,rapir Gernando. / Ei, di dolore insano, non vuol con noipartir”. Finalmente, ed è un incontro fortuito, Silvia edEnrico si vedono. Lui l’apostrofa “bella ninfa”. Ed èfacile capire come andrà a finire. Vinte le remore diSilvia, ancora imbevuta di misantropia, l’uomo dà ilcolpo di grazia: “Ed io teco vivrei tutti i miei giorni”. Laragazza è veramente ingenua, cosa comprensibile vistala situazione, e non capisce l’amore che sta nascendo inlei, esperienza mai provata: “Perché tanto affannarmi?Io non m’intendo”. A questo punto la coppia“simpatica” è a posto. Mancano i due disperati. Vaganonell’isola, e si lasciano andare, trascinandosi verso ilfamoso sasso dell’iscrizione. Lui la riconosce e vuoleabbracciarla, ma lei si scosta: “Ah, traditore! Io moro”.A questa risposta, Gernando torna confuso: la sposasviene e lui va a cercare dell’acqua. Ci pensa il buonEnrico a spiegare a Costanza del rapimento dei pirati. Ilfinale è lieto, con una doppia coppia di sposi e dinubendi.L’AmericanoUn nome caduto nell’oblio, Angelo Longi, è l’autore diun libretto decisamente a la page. Che cosa raffinataparodiare il mito del buon selvaggio, proprio quando gliamericani stavano pensando di ribellarsi alla coronainglese. Era il 1772 e Niccolò Piccinni (1728-1800) portòin scena in un teatro romano “L’Americano”, quattropersonaggi: due maschi e due femmine, interpretatinella prima da quattro uomini. Uno spettacoloeccezionale, pieno di vita, con la musica solare e tonda,vivace e forte secondo lo stile del compositore pugliese,allora famosissimo per la sua Cecchina o sia la buonafigliola. “L’Americano”, talora chiamato ancheL’Americano ingentilito, è un intermezzo a quattro vociche allora ebbe un successo copioso e un numero diriprese impressionante. Sarà stato l’argomentod’attualità, sarà stata la musica avvincente, ma leperipezie di Villotto, originario della California e portatoa Livorno da Lisandro, hanno appassionato generazioni.È proprio in un porto che si apre la prima scena: ilcavalier Lisandro, dopo un viaggio lungo tre anni tornadall’America e ha con sé un bel giovane. È, appunto,Villotto. Il cavaliere è accolto da donna Aurora, la suafidanzata e una pastorella, Silvia. Aurora e Lisandro, dinuovo insieme, iniziano a bisticciare: è stato via troppotempo, e come se non bastasse ammicca alla sempliceSilvia. Dopo una tregua, Lisandro spiega che “Trovainella penisola di California / un uom, che sotto unalbero dolcemente dormìa. / Mi piacque, ed io bel bello/ lo feci trasportar nel mio vascello”. Scopo di Lisandroè “vestirlo all’europea”: Aurora è contrariata “Riportaralla patria un barbaro, / un selvaggio americano, /perché ci mangi tutti…”. Mentre lui canta un’ariadeliziosa, con la tipica misoginia del caso: “Si grida, sistrepita / si ciarla, si mormora / che donne rabbiose! /Si vedon le cose / Non hanno viaggiato, / non hannoprovato, / e voglion decidere, / e voglion ciarlar”.Rivolgendosi a Silvia le assicura che non sta parlando dilei. E continua “Ah, femmine, femmine, / non fanno mainulla, / e sempre imprudenti, / e sempre insolenti, /con quella linguetta / saputa, fraschetta, / vi fandisperar”. Come se non bastasse, Silvia, nella scenasuccessiva, spiega ad Aurora che “fra noi pastori / sigode ognor la pace, / sapete voi perché? Perché sitace”. La lezione della semplice pastorella è tutta qui, inun’aria tutt’altro che semplice: “Se mai qualcuno è incollera, / per me non parlo mai, / ma gli rispondo assai/ coi sguardi e col tacer. / Figlia, silenzio e onore / midice il genitore: / ed io sto zitta zitta, / ascolto, vedo etaccio, / non fiato e non m’impaccio. / Gli altri fra lors’infuriano. / Io sola sto a goder”. Vestito all’europea,Villotto, dopo una breve ondata di nostalgia per la suaterra, fa colpo su Aurora e s’innamora di Silvia. Aurorevuole l’americano in dono perché “vorreiammaestrarlo”: ma Lisandro non concede questofavore. Silvia ricambia i sentimenti del selvaggio: “Piùdelle agnelle care / mi preme il vostro cor. / Avete duepupille / Fatte per man d’amor”. Corteggiato daentrambe le donne, Villotto risponde senza peli sullalingua ad Aurora “Mi parete una brutta creatura. / Sefoste ai miei paesi / non trovereste marito”. Così lasituazione si annoda: Aurora (chiamata “signora Moda”dall’americano) ordina al forestiero di partire con lei ese lo porta via; Silvia chiede aiuto a Lisandro, che fa ditutto per sostenerla anche per entrare nelle grazie dellagiovane. Il finale del primo atto è un nascondiglio tra lecoppie scombinate, che poi sfocerà nel capovolgimentodella situazione che sembra senza speranza. Nelsecondo atto il clima sembra più disteso: ma Auroramormora a Villotto che Silvia lo ritiene brutto. Ilselvaggio va in crisi, e Lisandro gli suggerisce di imitarele donne, entrando nel loro regno (la toeletta): “Questoè il regno delle femmine / qui s’acquista ogni beltà. /Qui la vecchia si fa giovane / a dispetto dell’età. / Quid’intorno i cavalieri / van spiegando i lor pensieri. / Chisospira, chi delira, / uno canta qualche arietta, / l’altrolegge la gazzetta; / e frattanto madamina / qual reginase ne sta. / Maledette, menzognere, / non di peggionon si dà”. Villotto si trucca veramente, e diventaorribile. Tanto che Silvia rimane perplessa: davanti aipianti del giovane gli confessa il suo amore. Lisandrooffre la sua protezione alla coppia, vessata dallaprepotenza di Aurora, e si sfoga in un’aria che potrebbeessere tranquillamente inserita nelle Nozze di Figaro,riferendosi al genere femminile, dice: “Sono un castigo,74<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


ma necessario; / sono un veleno che alletta e piace. /Ah, cari amanti, soffriamo in pace; / tocca a noi soli disosprirar”. La trama prosegue in colpi di scena e inprese di posizione di questo o quel personaggio. Allafine va tutto a posto: Silvia e Villotto sposi, Lisandro eAurora sposi, ma costei accetta “sol per farvi disperar”.A parte il nome improbabile per un americano: Villotto,il ragionamento di fondo che sostiene l’opera è una fineironia. Se Voltaire, infatti, denunciava la schiavitù dallacorrotta corte francese, Longi sorride pensando allaschiavitù della moda. È il trionfo dell’innocenza.1) ContinuaUmberto Pasqui- Forlì -Derek BoothmanTRADUCIBILITÀ E PROCESSI TRADUTTIVI. UNCASO: A. GRAMSCI LINGUISTAGuerra Edizioni, Perugia, (2004) pp. 197.I titoli dei libri sono come richiami pubblicitari.Boothman tuttavia sembra non avere tenutopropriamente conto di questo principio, e il titolo delsuo lavoro potrebbe così finire per scoraggiare chi, purnutrendo interesse per Gramsci, non si occupa diquestioni legate alla linguistica e alla traduzione, se nonmarginalmente. Lungi dal rivolgersi ai soli specialisti inmaterie linguistiche, quest’opera affronta invece lequestioni più rilevanti della riflessione teoricagramsciana, nei paradigmi scientifici e concettiattraverso i quali essa si articola e “traduce” le teoriepolitiche del suo tempo secondo un processo dialetticoche eleva elementi di contraddizione a principi diconoscenza.Cinque dei sei capitoli del libro sono dedicati allaricostruzione dell’approccio di Gramsci alla linguistica ealla traduzione sulla base di studi già pubblicati, cosache giustifica un certo numero di ripetizioni esovrapposizioni. L’ultimo capitolo offre infine una sintesidegli argomenti sviluppati. In apertura si ripropone unaquestione che già alcuni, come Franco Lo Piparo oppureUtz Maas, avevano sollevato in passato. Boothman, aragione, evidenzia come la ricezione di Gramsci,influenzata dalla critica agli approcci “scientisti”espressa da Togliatti, non abbia tenuto inconsiderazione il ruolo della linguistica come fattoredeterminante nell’elaborazione del pensierogramsciano. (Gramsci studiò Lettere a Torino perquattro anni e fu allievo di Matteo Bartoli, dal quale fuinoltre incaricato della stesura delle sue lezioni dilinguistica generale e romanza). Non è certamented’obbligo condividere l’opinione di Franco Lo Piparo(Lingua, intellettuali, egemonia in Gramsci, Laterza,Bari, 1979), secondo cui Gramsci nacque linguista emorì come tale, per quanto anche l’ultimo dei suoiQuaderni del carcere sia esclusivamente dedicato aquestioni linguistiche. E nemmeno ci si devenecessariamente trovare d’accordo con la sua idea, poicorretta da Boothman, che il concetto gramsciano diegemonia abbia una matrice essenzialmente linguistica.Ciò che a Boothman riesce con particolare efficacia inquesto libro, tuttavia, è dimostrare che lo sviluppo delpensiero di Gramsci ha senz’altro subito forti influenzeda parte di specifiche prospettive di natura linguisticofilologica.Inscrivere l’approccio linguistico di Gramsci entro loscenario della linguistica europea a lui contemporaneo èinvece un’operazione assai più complessa. Gramsci nonha conosciuto de Saussure ed è tuttavia piuttostoimprobabile che rigide dicotomie saussuriane comequelle, ad esempio, di sincronia \ diacronia, langue \parole, linguistica esterna \ linguistica interna,potessero destare in lui particolare interesse, poichécome conseguenza ultima avrebbero condotto aricadute positivistiche e dunque ad atteggiamentimetodologici tipici del 19 secolo. Gramsci risentepiuttosto dell’influenza di Bartoli, il cauto innovatoredella linguistica storico-comparativa; di Croce,attraverso il quale il soggetto creativo riacquista unruolo nell’ambito del processo di evoluzione linguistica;e di Michel Bréal, fondatore della semantica linguistica.La sua concezione della lingua come fenomenoprofondamente radicato nella pratica sociale rendeGramsci paragonabile non solo ad Antoine Meillet, e adaltri rappresentanti della scuola sociologica francese,ma anche e soprattutto a Vološinov, allievo di Bachtin,che nel 1929 pubblicò Marxismo e filosofia dellinguaggio. L’interpretazione della lingua in sensosociale che caratterizza il pensiero di Gramsci vienespesso definita come in controtendenza rispetto allecorrenti allora predominanti in Italia e in particolare inGermania. Se tale definizione è corretta per quantoriguarda l’Italia, seppure limitatamente a certi aspetti,non lo è altrettanto nel caso della Germania, dove giànegli anni Venti era maturato un linguistic turn, unasvolta linguistica, che – con Hugo Schuchardt, TheodorFrings, lo stesso Walter v. Wartburg e l’ingiustamentebistrattato “idealista” Karl Vossler – collocava lalinguistica su solide basi socioculturali. Le effettiveinnovazioni introdotte da Gramsci sul pianostrettamente linguistico sono da riconoscersinell’impiego del concetto di egemonia come chiaveesplicativa del mutamento e del prestito linguistico,nell’interpretazione dialettica dei processi dimetaforizzazione e nella declinazione socioculturale deiprocessi traduttivi. Di ben più ampia portata rispettoalla sfera meramente linguistica, dato il loro valore intermini di teoria e pratica politica, sono tuttavia leosservazioni che Gramsci offre sul significato dellalingua come strumento per conseguire e mantenerel’egemonia.A partire dal secondo capitolo Boothman affronta lenumerose note di Gramsci dedicate alla questione dellatraduzione. Ciò che a livello puramente tecnico vieneconsiderato come un trasferimento testuale da unalingua ad un’altra acquisisce, con Gramsci, una nuovaprofondità interculturale, poiché – come egli stessoafferma in una lettera alla moglie Julia – la traduzione èda concepirsi come una trasmissione di termini propri diuna specifica cultura nazionale a termini propri diun’altra cultura nazionale. Un discorso tradotto che sitraspone in un diverso contesto sociale non è piùassimilabile al discorso d’origine. Il significato ditraduzione – com’è possibile dedurre anche dallacronologia dei Quaderni del carcere e dal passaggio daitesti A ai testi C nell’edizione rivista – scivola così,<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 75


progressivamente, sul piano della ricezione nell’ambitodel contesto storico-sociale di arrivo, in virtù di unprocesso dialettico che implica un “rovesciamento” delledeterminazioni nei loro opposti e si risolve in una sintesiconciliante (Aufhebung) [1]. Per Gramsci unatraduzione adeguata è dunque possibile solo nel caso incui la cultura di partenza e quella di arrivo siano inseritein strutture socioeconomiche (“Basis”, secondo i terminidi Marx) di livello paragonabile. La piena traducibilità èinvece una condizione che si verifica soltanto in alcunicasi, nello specifico quelli in cui la traduzione ha origineda un sistema culturale meno evoluto e si rivolge ad unsistema culturale più evoluto. In base a questo principiosolo la “filosofia della praxis”, secondo Gramsci, è ingrado di permettere una traduzione compiuta deifilosofemi finora discussi, facendoli propri edefinendone dialetticamente i contorni e i contenuti.Da queste considerazioni prendono avvio le indaginiche Boothman presenta nel terzo capitolo, dove siesaminano i possibili contesti da cui Gramsci stesso haricavato una “traduzione” dei concetti centrali allapropria riflessione. È possibile constatare come lanozione di egemonia, ad esempio, pur dimostrandoinfluenze sostanziali dovute alla vicinanza concettualecon linguisti quali Ascoli, Saussure, Meillet e certamentegià con Cattaneo – abbia trovato pieno sviluppo inGramsci soltanto a seguito della sua partecipazione aicongressi del Komintern e della sua lettura del concettodi egemonia formulato da Lenin. La novità importanteintrodotta da Gramsci è l’avere riconcepito l’idea diegemonia come direzione intellettuale e morale che sicontrappone al principio di direzione/dominio politico,contrapposizione che in Lenin è invece contenuta alivello solamente implicito. Se al concetto dimaterialismo storico si è sostituito quello di filosofiadella praxis, definizione che non rimanda né amaterialismi volgari, né al dogmatismo della Teoria delmaterialismo storico[i] di Bucharin, inoltre, occorrericonoscere il merito al contributo di pragmatisti italianitra cui, in particolare, Vailati, che osserva comedeterminate forme lessicali possano favorire o ancheostacolare i processi di comprensione. Per contro,[i]blocco storico, termine inizialmente adottato daGeorges Sorel e riferito ad altri contesti, sarebbe daconcepirsi come mediatore più stretto delleinterrelazioni tra la struttura e le superstrutture, terminiche Gramsci sostituisce a Basis e Überbau, legati, nellatradizione “marxista-leninista”, da una relazioneconsiderata principalmente di tipo univoco.Assumendo ad esempio Etica e politica di Croce, cheGramsci inscrive nella storia dei rapporti di egemonia,Boothman dimostra come la definizione dialettica(Aufhebung) di certi concetti possa condurre allariorganizzazione del loro ordine gerarchico. La visione diCroce, secondo cui la storia è da definirsiesclusivamente in termini etici e politici, è per Gramsciuna visione parziale, poiché accanto a questi termini –che pure rappresentano una dimensione importante e,partendo dall’approccio all’etica di Croce, centrale perspiegare le dinamiche di consenso e coercizione –occorre considerare come elemento cruciale anche lerelazioni di tipo socioeconomico.Con riferimento a La struttura delle rivoluzioniscientifiche di Thomas Kuhn, Boothman individua unparadigma di Gramsci e ne identifica la rete di concettianalitici, al cui vertice stanno egemonia e bloccostorico, seguite, a loro volta, da dicotomie concettualisubordinate come struttura / superstrutture, societàcivile / società politica, dominio / direzione, intellettualiorganici / intellettuali tradizionali e come anche singoliconcetti quali riforma intellettuale e morale, oppurefilosofia della praxis.Si tratta quindi di un sistema aperto, poiché se è veroche i concetti gramsciani, come emergedall’elaborazione dei Quaderni del carcere, vengonoapplicati, modificati e articolati secondo circostanzediverse, occorre considerarli aperti e modulabili anchein virtù di possibili sviluppi futuri.Questo libro, in conclusione, è il frutto del lavoro diun filologo che ha studiato l’opera di un altro filologo.Tuttavia l’originalità e il significato di tale lavoro non siesaurisce affatto nella materia filologica. Attraversol’analisi dei principi che Gramsci riferisce alla sferalinguistica, e in particolare a quella della traduzione,Boothman ha aperto un accesso al paradigma siateoretico, sia di ricerca pratica, che incoraggia i lettoriad una più chiara comprensione della genesi e dellafunzione del pensiero gramsciano.[1] Il termine tedesco Aufhebungviene qui utilizzato inriferimento al processo dialettico di determinazione dellarealtà teorizzato dal filosofo Georg W. F. Hegel. Si tratta diuna concezione complessa e non univoca della dialettica chesi è prestata a molteplici interpretazioni e che vienegeneralmente descritta come processo costituito da tremomenti principali: la definizione di ogni aspetto della realtàcome caratterizzato da un movimento interno ad ogni suadeterminazione dato da un principio di negazione; il“rovesciamento” di tale determinazione nella determinazioneopposta e, infine, il momento della sintesi in cui si cogliel’unità delle determinazioni che si contraddicono e si giungead una soluzione positiva del processo dialettico attraverso ilsuperamento delle opposizioni e la conservazione, nello stessotempo, della verità di entrambe e della loro precedenteopposizione (cfr. Valerio Verra, Introduzione a Hegel, Bari,Laterza, 1988).© Klaus Bochmann e inTRAlinea 2009.inTRAlinea 2009 [online] www.intralinea.itOSSERVAZIONI SULLA PREVENZIONE ALDISAGIO IN ETÀ ADOLESCENZIALEOccorre affrontare i problemi del disagio là dovenascono, e precisamente vanno tenuti presenti isoggetti a rischio (in questo caso i pre-adolescenti e gliadolescenti), le famiglie e gli esperti che ci possonodare un valido aiuto. I ragazzi vanno pertanto aiutati avivere in famiglia, nella scuola e in società con gli altricittadini, non isolati in comunità in cui non possonomettersi alla prova.Non può esistere prevenzione alle tossicodipendenzein senso stretto, in quanto la tossicodipendenza è unsintomo interno, sviluppatosi nel tempo, è uncomportamento autodistruttivo lento di cui il soggettodiventa schiavo (alcool, droga, anabolizzanti etc.). Èdunque il disagio l’oggetto della prevenzione, cioèquella situazione che rischia di far cadere o fa cadere ilgiovane nella tossicodipendenza. Maggiore è il disagio e76<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


più viene sottovalutato il contesto in cui esso simanifesta, più evidente diviene la manifestazioneviolenta (che forse può culminare nel suicidio). Laprevenzione non è pertanto opportuna solo per igiovani, poiché il disagio è presente in altre fasce d’età:ricordiamo che il massimo di suicidi si ha tra i 60 e i 65anni, cioè già alle soglie della terza età. La prevenzioneva fatta comunque, a prescindere dallo stato sociale,economico e culturale dei soggetti.Secondo l’O.M.S. (Organizzazione Mondiale dellaSanità) il concetto di salute implica lo stato dibenessere psico-fisico in rapporto dinamico con ilcontesto ambientale e sociale. Lo stato di benessere èuna sorta di eden artificiale (laico o religioso) al qualetutti dovrebbero tendere; è uno stato di tranquillitàottimale e di equilibrio che in natura non esiste. Lasalute è dunque la capacità che il soggetto ha di saperrapportare la propria idea di raggiungere delle mète conle difficoltà che lo circondano e che si frappongono,nonché con le mète degli altri. La prevenzione èl’attività che offre le competenze ai soggetti affinché,tramite alcune abilità, essi riescano a mantenere unamultidipendenza dal contesto socio-culturale-affettivosenza sviluppare una monodipendenza che rende ilsoggetto schiavo di un qualcosa (ad esempio, dellesostanze stupefacenti).Dobbiamo dunque fornire ai ragazzi le competenze egli strumenti per gestire la realtà capendo che cosaavviene, dandosi degli obiettivi, sopportando la faticanecessaria per raggiungerli. Il ragazzo, così, impara adesistere, a vivere, nella misura in cui si rende conto diincidere sul contesto dell’altro.La scuola deve insegnare ai ragazzi a fabbricare deivalori; non può trasmetterli. Un valore fabbricatoimplica sempre l’assunzione di responsabilità e portaalla dilatazione del sistema cognitivo, cioè delcomplesso delle nostre conoscenze. Questo è unsistema autopoietico (cioè che il soggetto si fabbrica dasolo) complesso, che soffre e risente delle perturbazioniche possono venirsi a creare. Un percorso preventivonon è solo un tragitto valoriale, ma è un cammino cherisente di tutte le sintomatologie di un disagio e cherichiede un intervento lavorativo specifico. I docentidovrebbero pertanto acquisire una competenzaprevisionale,il che implica: 1) capire il contesto; 2)elaborare strategie in vista di obiettivi; 3)far capire airagazzi che per perseguire le mète prefissate (che sipossono raggiungere o no) si è tutti e sempresottoposti ad una fatica che però rappresenta la verafonte dell’apprendimento; 4) evitare le semplificazioni;5) mettere i ragazzi in grado di intervenire sul contestoe manipolarlo.Non bisogna solo far partecipare il ragazzo: sel’intervento educativo è corretto, egli dovrà essere ingrado di agire sul contesto, di agire sull’altro,superando così la sindrome dell’utente passivo. Eglidovrà imparare ad imparare, e si renderà conto diesistere in quanto da destinatario diverrà egli stessodestinatore, cioè colui che fa partire l’azione neiconfronti di un altro.Bisogna lavorare con i ragazzi facendo cose utili,perché per prevenire bisogna davvero che i giovani sitrasformino da spettatori in attori dell’azione didattica.Se l’adulto, per definizione, è in grado di decidere e difare, occorre comportarsi in modo che il ragazzo,crescendo, abbia la possibilità di esercitare delleresponsabilità per apprendere e non solo per doverimparare (S. ROSSETTI).Si parla di prevenzione primaria quando la “malattia”non è presente e se ne evita l’insorgenza; si parla diprevenzione secondaria quando la “malattia” è presentema non è sintomatizzata; si parla di prevenzioneterziaria quando la “malattia” si manifesta in sintomi dacurare o da contenere.Per poter svolgere un’adeguata opera dìinformazione e dunque di prevenzione, occorre agire intre direzioni: 1) teorico-metodologica, in quanto perpoter fare informazione bisogna capire il funzionamentodel linguaggio; 2) mass-mediologica; 3) didattica.Una regola-base per l’efficace funzionamento dellinguaggio è tener presente che tutte le attività diimpedimento sono di difficile realizzazione: è più facileconvincere a fare che a non fare.I linguaggi visuali sono poco manipolabili ma ad altacredibilità, in quanto vicini al mondo reale e con menopossibilità di mentire; si realizzano comunicazioni aforte impatto con rappresentazioni figurative vicine almondo tridimensionale.I linguaggi digitali hanno minore credibilità: si mentepiù facilmente per iscritto che con l’immagine; inoltre èun tipo di linguaggio su cui grava il peso del dissuadere.Chi parla della campagna preventiva contro la droga?L’istituzione, e còmpito dei docenti è quello diidentificare le contraddizioni dei messaggi, mettendo inevidenza l’effetto-boomerang che molti “spot” hannosui ragazzi e in genere sull’utenza. Ad esempio, uno"slogan” come “Non bruciate la vita!” può richiamarel’immagine della vita che brucia ed essere un implicitoinvito a bruciarla; il racconto di una storia vissuta sumodelli “horror-rock-trasgressivo” può creare il mito diun eroe negativo e il relativo “effetto-mostro”.Può, insomma, passare il messaggio che “le devianzesono così interessanti ed hanno uno spazio che lanormalità non trova”. Occorre pertanto evidenziare ipericoli che la devianza comporta, al fine di evitare cheil “diverso” sia il solo protagonista-eroe.Importante, nella scuola secondaria di primo grado enel biennio delle superiori, impostare la letturacommentodi brani antologici. Le storie di vita chepartono da una interpretazione intellettualistica avrannouna minore incidenza emotiva; più efficaci quelledescritte per autopartecipazione, in quanto dotate diun’esperienza sociale partecipativa più forte e pertantodi un maggiore impatto emotivo. L’introduzione albrano antologico dovrà decodificare il mondo diriferimento che il ragazzo conosce o che il docentedovrà spiegare. A volte gli allievi richiedono leinformazioni “sul campo” ai compagni che già “sanno”.Per alcuni di loro già direttamente coinvolti nelproblema può avvenire una “partecipazione interna”,secondo le modalità dei microgruppi o dellemicroculture che utilizzano tecniche normative interne ecodici linguistici specifici. Il motivo per cui certi branifalliscono a livello di prevenzione è lo stesso per cuialcune pubblicità producono effetti-boomerang:l’informazione non è prevenzione; non servono divieti odissuasioni, poiché il cervello non è un meccanismo<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 77


combinatorio, ma autopoietico, che si autogoverna,autogenera delle regole e le trasforma.Possono essere utili anche dei questionari. Quelli adomanda chiusa hanno un apprendimento zero: è unlavoro mnemonico, più adatto ad indagini di mercato.Quelli a domanda aperta hanno come obiettivoprendere informazioni dall’altro, operare un confrontofra ipotesi che i soggetti fanno su di sé, ed è pertantosenz’altro preferibile.Come strategie globali per la prevenzione, occorrerà: 1)destrutturare il contesto per vedere il caso particolare;2) individuare strutture a livello di comunicazione, digioco/sfida, per obbligare i ragazzi a scoprirsi: 3) tenerconto dell’estrema turbolenza della fascia d’età (11-14anni o poco oltre). Qualunque strategia deve partire daquesto principio: il destinatore (cioè colui che conducel’azione) deve far star bene gli altri.In quanto docenti, dobbiamo costruire un circuito e,come stimolatori di progettualità, occorre cheaccettiamo l’idea che il lavoro cambierà (se svoltocorrettamente) sia i destinatari che il destinatore,evitando così anche la sclerotizzazione dei ruoli.Se la comunicazione è a senso unico sempre, esisteevidentemente una patologia; se la comunicazione è adue sensi, è corretta: in prevenzione deve attivarsiquesto circuito; più i “ritorni” (“feedback”) sarannoimprevedibili, più il progetto sarà positivo (G.MAURELLI).Gabriella Tessitore †- Savona -Emilio Spedicato (1945)― MilanoL’EDEN RISCOPERTO: GEO-GRAFIA ED ALTRE STORIE9. Sull’uscita di Adamo dalGiardino dell’ EdenFaremo ora delle ipotesi sulla viapresa da Adamo dopo essere stato scacciato dall’Eden,sempre presupponendo il racconto della Genesi comebasato su eventi realmente accaduto. Un’analisi dellageografia della regione della valle di Hunza suggeriscequanto segue:• Il tragitto verso sud, per esempio seguendo i fiumiGilgit e Indo, era troppo difficile, in quanto fino adun secolo fa richiedeva l’uso di sentierifaticosamente costruiti su pendii scoscesi, chegarantivano agli abitanti della valle di Hunza unadifesa naturale dagli invasori• Il tragitto verso est od ovest avrebbe dovutosuperare altissime montagne, e non è mai statouna via commerciale.Pertanto rimangono le tre naturali uscite da nord,ovvero attraverso i passi Kilik, Mintaka o Khunjerab.Ora la Genesi afferma che due Cherubim (in accadicoKaribo) muniti di spade fiammeggianti erano di guardiaall’uscita orientale del Giardino per fermare tentativid’entrata. Ciò suggerisce nel passo di Khunjerab la viad’uscita, poichè giace ad est dei passi Kilik e Mintaka edè attualmente raggiungibile seguendo un ramoorientale del fiume Hunza. Questa tesi può essereulteriormente rafforzata mendiante considerazionifilologiche, esaminando l’analogia tra la parolaCHERUBIM = KRB e le consonanti JRB = GRB = KRBnel nome del passo, dove abbiamo tolto la prima sillabakhun. Tali argomentazioni potrebbero essereulteriormente rinforzate se KHUN, che in turco anticosignifica Sole anche come divinità, potesse esserelegato a tale nome. Alcune tradizioni locali degli Hunzaaffermano che la valle fu colonizzata da disertoridell’esercito di Alessandro il Grande. L’armata diAlessandro era arricchita da genti di varia nazionalità,provenienti dalle terre da lui conquistate o visitate. Ildominio di Alessandro si estendeva sino al fiumeJaxarte (Syr Darya, Fiume del Leone), che confina conterre abitate da popolazioni del ceppo turco. Per giuntail passo di Khunjerab porta ad una parte dell’Asia(Sarikol) dove popolazioni di lingua turca esistono damolto tempo. Pertanto potrebbe essere verosimile l’ usodel turco per interpretare Khunjerab come (il passo dei)Cherubini splendenti come il sole.Se la nostra interpretazione della parola Khunjerab eAmu Darya è corretta, avremmo il seguente scenariosulla via presa da Adamo ed Eva dopo la cacciata dalGiardino:• Prima verso il passo Khunjerab in direzione nordest(altezza circa 4900 metri), seguendo il ramoKhunjerab dell’alto fiume di Hunza; si noti chequesta è la strada seguita dalla modernasuperstrada del Karakorum• Poi vicino agli attuali Pisali e Ajekobai, circa a 4000m d’altezza, in direzione ovest seguendo il fiumeMinteke, entrando quindi nel Wakhan attraversol’odierno passo di Vahir Lo, 4827 m, anch’ esso suuna delle diramazioni della Via Meridionale dellaSeta, probabilmente quella usata da Marco Polo• Poi seguendo il fiume Gihon, fino ad entrare nellapianura turanica. Alla fine, stabilendosi pressol’attuale Amu/Amol.Quindi Adamo muove dall’ Eden verso occidente,fermandosi vicino al grande mare interno checomprendeva il Caspio e l’Aral, lasciando l’ormaidistante Eden a levante. Guardare il Sole che sorgequindi significava guardare verso l’Eden perduto. Inebraico, Qadim significa “di fronte”, Qedem significa“est”, con edem curiosamente simile ad eden. Pertantosi può inferire che la “positività” della direzione dovesorge il Sole avrebbe una giustificazione nella memoriache in quella direzione giaceva l’ Eden. Quindi la parola“orientarsi” potrebbe significare trovare la direzionedove l’Eden si trova. Fare atti speciali, tipo pregare,rivolgendosi verso una direzione speciale, è unacaratteristica ben diffusa nella cultura umana, inparticolare modo il rivolgersi verso la Mecca deimusulmani (decisione presa da Maometto dopo unperiodo di incertezza, se rivolgersi verso la Mecca overso Gerusalemme, sacra città dove Abramo era statobenedetto da Melchisedek).78<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Varie tradizioni affermano che Adamo ebbe una lunga(930 anni) ed attiva vita dopo essere uscito dall’ Eden.Oltre ad aver generato dopo Caino e Abele altri 33 figlie 23 figlie, come afferma Giuseppe Flavio, avrebbeviaggiato a lungo, raggiungendo in particolare laPalestina, l’Arabia e lo Sri Lanka. È inoltre affermatoche fondò i primi luoghi di culto: a Gerusalemme,vedasi Grierson e Munro-Hay [37], e alla Mecca, vedasiBoubakeur [38]. È naturale, quindi, che i popoli delmedioriente prendessero quelle località a loro vicinecome punti verso cui “rivolgere il volto”, quando laconoscenza della precisa collocazione dell’Eden fu persacon il passare dei millenni.Concludiamo questo paragrafo con due ulterioriconsiderazioni, che possono spiegare alcune specificitàdell’induismo, la religione che più di tutte le altre hamantenuto elementi arcaici: il vegetarianismo e lasacralità delle mucche.Abbiamo già osservato che leggende ebraicheaffermano di una legge nel Giardino dell’ Eden control’uccisione degli animali, contro lo spargimento disangue. Dal racconto della Genesi, osserviamo cheCaino osservava tale legge, al contrario di Abele, cheaveva addomesticato la pecora e violato il divieto diuccidere animali, forse reinterpretando la medesimalegge: sarebbe stato lecito uccidere se l’ animale eraprivato del sangue, essenza della vita, da cui il ritualepraticato da Ebrei ed Arabi ancora oggi. Ci si potrebbechiedere se l’uccisione di Abele non potesse esserestato un “esperimento” di Caino per verificare la validitàdi sacrifici umani, e dove quindi potrebbe vedersi l’origine della tradizione di sacrificare il primo nato,applicata da molti popoli e chiaramente riscontrabile neisacrifici che Abramo era disposto a compiere di Ismaeleprima ed Isacco poi. In conclusione, si può vedere lastoria di Abele come il tentativo di reinterpretare unalegge al di là del suo significato letterale. Legge la cuiosservazione letterale è stata mantenuta per millennidagli indù.Il ruolo sacro delle mucche in India è sempre stato unenigma per persone d’altre culture. In un suo librosull’induismo Gandi afferma che la ragione del rispettoparticolare per le mucche deriva dal fatto che esseaiutarono l’uomo durante un tempo difficile, benchénon specifichi né dove né quando. Qui offriamo unaspiegazione nel contesto dell’espulsione di Adamo dalGiardino dell’ Eden. La presenza di un tipo speciale dimucche nella valle di Hunza, abili a salire per ripididirupi e a portare pesi, suggerisce che Adamo ne portòalcune con sè quando fu espulso. Esse forse furonousate per trasportare frutta, noci e semi. PertantoAdamo ed Eva dovettero essere riconoscenti con talibovini per un aiuto, forse rivelatosi indispensabile,durante il difficile viaggio verso la pianura turanica.Inoltre forse semi del Giardino furono piantati nelnuovo territorio, spiegando quindi anche la grandericchezza di frutta delle valli del Turan e zone vicine, inparticolare del Fergana (Fertile Giardino o, in cinese, DaYuan, Grande Giardino).10. La terra di NodLa Genesi afferma che, dopo l’uccisione di Abele, Cainodovette migrare verso la terra di Nod, ad est dell’Eden.Sul corpo aveva un segno speciale, che fupresumibilmente trasmesso ai discendenti, i quali, neitempi prima del diluvio, svilupparono per primi lacostruzione di città, la metallurgia, e l’agricoltura.La terra di Nod è interpretata nei testi talmudici come “terra di vagabondaggio, di nomadismo”. Ora, ad estdell’Eden, o meglio a nord-est, abbiamo gli immensipascoli dell’altopiano tibetano, della Mongolia e delXinjang. È quindi una interessante supposizione cheCaino sia entrato nel bacino del Tarim e che i suoidiscendenti si spargessero attorno a questa vasta area.La maggior parte di loro diventarono allevatori dipecore, addomesticando yaks, cavalli e cammelli oltrealle pecore, altri praticarono l’agricultura,avvantaggiandosi della presenza molto probabile di ungrande lago dolce nel Takla Makan e nella depressionedel Lob Nor, la cui esistenza, abbiamo primaacccennato, è stata scoperta assai di recente. Il fattoche questo lago fosse soggetto ad un processo dievaporazione, quindi ad una diminuzione della suasuperficie, molto probabilmete si rivelò uno stimoloall’innovazione tecnologica, portando a quella civiltàavanzata prima del diluvio di cui parla la Bibbia, le cuitracce cominciano solo ora ad apparire in quel desertotuttora sostanzialmente inesplorato.Se possiamo considerare i Mongoli i più vicinidiscendenti di Caino, allora forse il “segno” dato a Cainopuò essere identificato con la cosiddetta macchiamongolica con la quale molti Mongoli nascono. È unamacchia blu collocata sulla schiena, di solito alla basedella colonna vertebrale, e che scompare dopo pochimesi (ma Gengis Khan la ebbe sulla mano e la portòper tutta la vita). Curiosamente, blu è il colore deilapislazzuli, la pietra sacra proveniente dal Badakshan,la prima terra assegnata a Caino.Infine l’ abitudine dei Mongoli di uccidere le pecoreeffettuando un taglio nel ventre dove immergono lamano per strappare il cuore senza fare uscire il sangue,potrebbe intendersi come un gesto rituale deidiscendenti di Caino in contrapposizione a quello diAbele e quindi degli Ebrei ed degli Arabi visti comediscendenti di Abele….Bibliografia[1] K. Salibi, Secrets of the Bible people, Saqi Books, London,1988[2] K. Salibi, The Bible came from Arabia, Naufal, 1996[3] K. Salibi, The historicity of Biblical Israel. Studies inSamuel I e II, Nabu, London, 1998[4] I. Velikovsky, Ages in Chaos, Sidgwick e Jackson, 1953[5] J. Rohl, A Test of Time. The Bible from Myth to History,Century, 1995[6] P. James et al., Centuries of Darkness, London, 1991[7] J. Bimson, Redating the Exodus and Conquest, PhDDissertation, Sheffield, 1978[8] D. Patten, Catastrophism and the Old Testament, PacificMeridian Publishing, 1988<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 79


[9] G. Hancock, The Sign and the Seal, a Quest for the LostArk of the Covenant, Heinemann, 1992[10] G. Borgonovo, The Archaic Elements in Genesis: aCatholic Interpretation, abstract, Communication at the FirstInternational Conference on New Scenarios on Evolution ofSolar System: Consequences on History of Earth e Man,Bergamo, June 1999, University of Bergamo, 2001[11] J. Rohl, Legend, The Genesis of Civilization, Butler andTanner, 1998[12] A. Y. Samuel, Treasure of Qumram, Westminster Press,1966[13] E. Spedicato, Numerics of Hebrews WorldwideDistribution Around 1170 AD According to Binyamin ofTudela, Migration and Diffusion 3, 6-16, 2000[14] C. Ò Brien and B. Ò Brien, The Genius of the Few,Dianthus, Cirencester, 1999[15] E. Spedicato, Numerics and geography of Gilgameshtravels, Report DMSIA Miscellanea 1/2000, University ofBergamo, 2000[16] M. Baillie, From Exodus to Arthur: catastrophicencounters with comets, Batsford, 1999[17] C. Ginzberg, The Legends of the Jews, The JewishPublication Society of America, 1925[18] W. Ryan and W. Pitman, Noah’s Flood,. The newscientific discoveries on the event that changed history,Simon and Schuster, 1998[19] Z. Sitchin, The Cosmic Code, Avon Press, 1988[20] Z. Sitchin, Il Dodicesimo Pianeta, Edizioni Mediterranee,1996[21] T. Heyerdahl, The Tigris Expedition, Allen and Unwin,1980[22] H. Philby, Arabian High Lands, Ithaca, 1952[23] F. Vinci, Omero nel Baltico, Palombi, 1998[24] R.A. Walker, The Garden of Eden, Newsletter of Ancientand Medieval History, Book Club, 11, 1986[25] S. Oppenheimer, Eden in the East, Phoenix,1998[26] E. Spedicato, Who were the Hyksos, Chronology &Catastrophism Review, 1, 55, 1997[27] J.P. Mallory and V.H. Mair, The Tarim mummies,Thames and Hudson, 2000[28] S. Hummel, Tracce di Eurasia in Asia Centrale, Ananke,1998[29] O. Lattimore, The desert road to Turkestan, KodanshaInternational, 1995[30] S. Hedin, Il lago errante, Einaudi, 1943[31] R. Bauval e A. Gilbert, The Orion Mystery, Heinemann,1994[32] S. Hummel, On Zhang-Zhung, Library of Tibetan Worksand Archives, Dharamsala, 2000[34] L. Deshayes, Histoire du Tibet, Fayard, 1997[35] W. Thesiger, Among the Mountains: Travels throughAsia, Flamingo, 2000[36] R. Bircher, Gli Hunza, un popolo che ignora le malattie,Editrice Fiorentina, 1980[37] R. Grierson e S. Munro-Hay, The Ark of the Covenant,1999[38] D. Boubakeur, La Mècque, la Kaaba et les origines de l’Islam, Proceedings of the First International Conference onNew Scenarios on Evolution of Solar System: Consequenceson History of Earth e Man, Bergamo, June 1999, University ofBergamo, 2001[39] A. Sami, Persepolis, Musavi Printing Office, Shiraz, 1977[40] Z. Sitchin, Genesis Revisited, Avon Books, 1990[41] A. Stein, Serindia, Clarendon Press, 1921[42] S. Harris, private email communications (monograph inpreparation)[43] E. Spedicato, Galactic encounters, Apollo objects andAtlantis: a catastrophical scenario for discontinuities in humanhistory, Report DMSIA Miscellanea 3/99, University ofBergamo, 1999[44] F. Barbiero, On the possibility of very rapid shifts of theterrestrial poles, Report DMSIA 7/97, University of Bergamo,19975) ContinuaANTICHE TRACCE MAGIARE IN ITALIA IV/1ALTRI INTRECCI ITALO-UNGHERESI NEL 500- A cura di Melinda B. Tamás-Tarr -Il re Mátyás Corvin (Mátyás Corvino, 1440-1490), red’Ungheria dal 1458, riuscì a fare dell’Ungheria, unagrande potenza, instaurando all’interno una monarchiaassoluta di tipo occidentale (fondò tra l’altro,l’Università di Buda e la famosa Biblioteca Corviniana) econducendo all’esterno una serie di guerre contro laBoemia (che deposto il Podiebrad, occupò per qualchetempo), contro gli Asburgo d’Austria (che privò deidomini ereditari, occupando la stessa Vienna), e controi Turchi. Ma la grande potenza da lui fondata vennemeno con la sua morte, avvenuta a soli 47 anni. LaBoemia e l’Ungheria passarono sotto i Jagelloni diPolonia, mentre gli Asburgo rientrarono in possesso deiloro domini ereditari. Massimiliano I (1493-1519),successore di Federico III, riprese il grande disegnounificatore degli Asburgo, reso più che mai necessariodalla minacciosa avanzata dei Turchi nella penisolabalcanica.Egli era da poco diventato signore delle Fiandre(Belgio e Olanda) in seguito al matrimonio con Maria diBorgogna, unica figlia di Carlo il Temerario, e riuscì, inparte con le armi e in parte con un'accorta politica dimatrimoni, a far convergere i diritti della Casad'Asburgo sulle corone di Ungheria e di Boemia.In tal modo l'unificazione politica dei popolidell'Europa sud-orientale si poteva, fin dall'epoca diMassimiliano, considerare un fatto compiuto.L’Impero turco andato in decadenza durante i secoliXII/<strong>XIII</strong> sotto la dinastia dei Selgiucidi si rissoleva80<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


durante i secoli <strong>XIV</strong>/XV, per opera della nuova dinastiadegli Otmani o Ottomani. Maometto II (1451-1481)dopo l’assedio Costantinopoli (1453) volle poi spingersicontro l’Ungheria e pose l’assedio a Nándorfehérvár(odierna Belgrado); ma János (Giovanni) Hunyadi c’eraad aspettarlo: l'assedio si trasformò in una battaglia digrandi dimensioni che Hunyadi terminò con unimprovviso contrattacco che conquistò il campo turco,costringendo il sultano, già ferito, a togliere l'assedio eritirarsi. L’Hunyadi riuscì a liberare la città. Si dice chel'assedio di Belgrado decise la sorte della cristianità. Lacampana di mezzogiorno fu ordinata durante l'assedioda Papa Callisto III per invitare i credenti a pregare perla vittoria e ancora oggi ricorda la vittoria in tutto ilmondo.Negli anni seguenti Maometto II, nonostante l'eroicaresistenza di Mátyás Corvin, re d'Ungheria e di GiorgioCastriota, detto Scanderbeg, principe di Albania, estesela sua dominazione fino alla Bosnia e all'Adriatico,minacciando il Friuli e l'Italia meridionale (assalto diOtranto, 1480).I maggiori Stati cristiani assistettero inerti ai progressisimilitudine de Sibilla, qual, facto signo de silentio, cumgran legiadria, dixe certe parole latine, exponendo dictaprofectia in persona di questa M tà che li stava presente.Ultra di questo era congiegnata in megio del piazaleuna fontana molto pulita, che tuto il giorno e la noctesequente gietò uno optimo vino. Dio volesse che alacapsa del iubileo fusse stata la frequentia de le personeche era a quello vino, qual cum pinte, qual cumpignate, chi cum lo proprio capello et chi cum la bochaaperta, beato chi ne poteva haver meglior parte. Nonse vedeva se non spingere, urtarse et gietarse peradesso bochali e pentule. Non fu mai la magior festa.Molti ebrii stravachanti li dormevano acerchia, insimilitudine de quelli custodi del monumento de Christo,multi, presi per mane e pedi, erane portati ale case lor.E cossa stupenda il piacere se detono tuto quellogiorno. Agiungeva ale lor rixe, che dale fenestre nostretutavia, quando li era mai magior calcha, erane gitatigiu caponi, papari, et pizoni dove li concorreva tanti apigliarli che erane discerpti in cente parte, uno non sene haveva integro. Et questo basti pur tropo de lapredicta festa». [Lettera dell’8 agosto 1501 Modenai ésdella conquista turca.velencei követek jelentései Magyarország földrajzi ésLe stesse Repubbliche di Genova e di Venezia, che kultúrális állapotáról a XV. és XVI. Században (Relazioni didalla conquista turca dovevano ricevere danni ambasciatori modenesi e veneziani sulle condizionigeografiche e culturali dell’Ungheria nei secoli XV e XVI) inirreparabili, non si mossero per il timore di esporre leMiscellanae geografiche, Budapest 1881]proprie relazioni commerciali alla vendetta del sultano.Questa relazione sulle allegrezze fu mandata dalSoltanto in un secondo tempo l'Austria e Venezia,medico modenese Tommaso Daineri, giunto a Buda inminacciate direttamente nei loro domini, assunsero sugennaio nel seguito del legato, al suo signore Ercoledi sé il peso della guerra contro l'Impero turco.duca di <strong>Ferrara</strong>. Non poteva certo prevedere che laOra tralasciando le lotte di predominio in Italia cilega, salutata con tanto giubilo, sarebbe rimastacontcentriamo alla questione turca che riguardainefficace, e che appena un quarto di secolo dopo, nellal’Ungheria e di conseguenza i legami con italiani apiazza dove la folla arrabbiata distruggeva le figure colquell’epoca come testimonianze della rovina d’Ungheriaturbante, il fumo degli edifici incendiati dai Turchid’allora.avrebbe indicato la rovina precipitata sul paese.Nel 1501, nella festa del Corpus Domini, il castello diAll'inizio il piano della lega era lungimirante eBuda era il teatro di un trattenimento spettacoloso. Erapromettente: prevedeva un attacco contemporaneo suluna sorpresa preparata da Pietro Isuali cardinalemare delle flotte papale, francese, spagnola earcivescovo di Reggio per il re, per la corte e per laveneziana; una campagna di truppe tedesche,cittadinanza di Buda, onde manifestare la gioia per laungheresi e polacche in terraferma; sovvenzionirecente conclusione dell'alleanza contro il Turco. Nellafinanziarie dell'Inghilterra, Scozia, Danimarca,piazza davanti alla Chiesa dell'Incoronazione, dovePortogallo, Firenze e Siena. Ma per quando ladoveva passare la processione, di fronte alla suastipulazione effettiva del trattato ebbe luogo nel maggioresidenza, il legato pontifìcio fece costruire una copia1501, il numero delle parti contraenti si era ridotto adella moschea di Maometto, con dentro sospesa la baratre, e lo stesso papa e Venezia non promettevanodel profeta. Davanti alla bara si vedeva inginocchiata laall'Ungheria che sovvenzioni per mettere in piedi il suofigura del sultano a capo dei suoi pascià, circondato daesercito.Turchi col turbante. Quando la processione guidata dalL'invio dei contributi finanziari annuali ebbere Ulászló (Ulászló) giunse vicino alla costruzione, unaeffettivamente inizio, ma il popolo esultante di Budafiamma simile al lampo scese sulla bara e l'incendiòsperava invano che la lega l'avrebbe liberato dallainsieme con le figure che l'attorniavano. Lo spettacolominaccia dell'offensiva turca che come nuvolone neroera un riferimento alla profezia secondo cui las'addensava sul suo orizzonte. L'Ungheria non era piùdistruzione della bara di Maometto significava la fine deicapace di mettere in piedi un esercito adatto ad unaMussulmani.grande campagna. L'indebolimento del potere centraleIl pubblico si rendeva pienamente conto dele i continui dissidi tra i baroni e la media nobiltàsignificato simbolico dello spettacolo: la folla si precipitòprodussero un rilassamento generale; il governosu quanto restava risparmiato dal fuoco e «come caniimpotente non era più in grado di riscuotere le imposte;arrabbiati, e chi li bateva cum legni, chi li gietavale entrate statali si esaurivano; i redditi delle minierepietre, chi cum mane, chi cum denti li stradava, tal chevenivano ipotecati, cosicché il tesoro vuoto era appenade la Moschea, archa e Turchi, non li restò peccio delacapace di provvedere al sostentamento del re. La cortequantità de uno palmo. Era cossa incredibile et de grandoveva spesso acquistare a credito, e Ulászló dopo lapiacere vedere cum quanto impeto irruerano in quelli,morte venne sepolto a spese dei baroni. Mancava ilquasi come facessene una lor gran vendicta. Di poi uscìdenaro per la manutenzione del grandioso palazzo disu un tabernaculo, molto bene ornato, uno vestito inMátyás Corvin, ed i forestieri venuti a Buda non81<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


parlavano più con ammirazione dello splendore dellacorte reale. Al tempo del figlio di Ulászló l'edifìciolasciato in abbandono faceva mostra di finestre con levetrate rotte, ed i tesori della famosa bibliotecavenivano saccheggiati da collezionisti avidi osemplicemente da visitatori a caccia di denaro.Ulászló non rassomigliava al predecessore neppurenell'interesse alla scienza e all'arte. Gli umanisti stranieridi Mátyás scomparivano l'uno dopo l'altro da Buda:anche Bonfini era in procinto di ritornare in patriaquando una morte improvvisa lo colse nel 1502.Neppure Giulio Milio medico di corte e poeta restò alungo presso il re. Un solo umanista italiano, GirolamoBalbi, dalla vita avventurosa rimaneva a vivere nellacorte, prima come istitutore del piccolo principe Lajos(Ludovico), quindi come segretario del cancelliereGyörgy Szatmári; la sua esperienza e la sua eloquenzavenivano utilizzate anche in missioni diplomatiche,come era il caso del segretario di Bakócz, il fiorentinoFrancesco Marsupino. Che cosa avrebbe potuto attrarrea Buda i poeti di corte, gli scrittori ed artisti che sinutrivano dei bricioli raccolti dalle tavole principesche?La capitale ungherese non era più un centro dellacultura: solo alcuni alti prelati portavano con sé nelleloro sedi provinciali i ricordi della loro educazioneumanistica in Italia, mantenendoli vivi con la lorobiblioteca, con la corrispondenza e con i viaggi nellapenisola. Così Zsigmond (Sigismondo) Thurzó vescovodi Várad, al quale il famoso stampatore veneziano AldoManuzio dedicò la sua edizione di Cicerone, o FülöpMóré prevosto di Pécs, con frequentemente richiamatoa Venezia in qualità di oratore del re d'Ungheria.Per qualche tempo anche il palazzo deserto delvescovo di Eger si rianimò, quando il titolare Ippolitod'Este dopo lunga assenza ricomparve in Ungheria. Ilprelato divenuto un uomo di mondo si era nelfrattempo arricchito in patria con una serie di alti titoliecclesiastici, diventando arcivescovo di Milano e diCapua, vescovo di <strong>Ferrara</strong>, poi di Modena e cardinale;tutto ciò non lo impediva però di aspirare nella corteferrarese del fratello alle grazie della dama di cortedella cognata Lucrezia Borgia, causando con la suarivalità e gelosia una tragedia familiare: la condanna alcarcere a vita di due suoi fratelli. La sua diocesiungherese era governata dai suoi fiduciari italiani:Ippolito non si tratteneva volentieri in questo regnodove l'antipatia verso sua zia si estendeva anche sullasua persona.Ma finalmente, invitato dal re, fece atto di presenzanel 1513 per non perdere il titolo episcopale di Eger checomportava larghi benefizi.Non si fermò che per breve tempo, perché la morte dipapa Giulio lo richiamò in patria, ma qualche annodopo, nel 1517 partì di nuovo per l'Ungheria. Il suoviaggio era collegato con le nozze della nipote BonaSforza principessa di Milano e di Zsigmond, re diPolonia, fratello di Ulászló. La famiglia ducale di <strong>Ferrara</strong>era rappresentata da Ippolito: egli giunse a Buda neldicembre 1517 per proseguire nella primavera seguentecon adeguato seguito per Cracovia, luogo della festanuziale.Portava con sé da <strong>Ferrara</strong> la sua corte: i familiarinobili, il medico, il cuoco, il contabile, e una schiera diservi e di addestratori di cani: doveva trattarsi di unavera e propria folla, perché il cardinale, cacciatoreappassionato, trasferendosi da Buda nella sua sede,«portava con sé duecentocinquanta cani, quarantarotoli di rete da caccia, cento sparvieri e falconi e dueghepardi», con molta altra roba. Dunque, Ippolitoaveva provveduto a rendere piacevole il più possibile lasua permanenza forzata: in mancanza dei divertimentiferraresi indulgeva all'altra sua passione: la caccia. Idintorni di Eger ne offrivano ampia occasione: comeIppolito scriveva al nipote mantovano, vi si trovavano lemigliori possibilità della caccia in tutto il mondocristiano. Dalla caccia col falcone a quella con i cani, sipoteva praticare ogni genere di tale passatempo: ne fupreda perfino un orso, in un caso nel quale - cosìriferisce la lettera di uno dei nobili italiani - il cardinalestesso corse a salvare la vita di uno dei battitoriaggredito dalla fiera. La comitiva ferrarese cercava diadattarsi a quel mondo estraneo: il cardinale imparò unpo' d'ungherese, fece venire dei libri dall'Italia, e perdivertire il suo ambiente organizzò perfino una giostraburlesca, in cui i campioni si battevano imbottiti dicuscini, con berretti di pelle d'agnello in capo.Ci fu però qualcuno dei familiari ferraresi di Ippolitoche non aveva sufficiente spirito d'avventura peraccompagnare il suo signore nel paese stranieroritenuto barbaro. Ludovico Ariosto, poeta degli Este,aveva passato la vita nel servizio della casa ducale eapparteneva da anni al seguito del cardinale, ma nonera disposto ad accompagnarlo a Eger; preferì farsisostituire dal fratello Alessandro, anche col rischio diattirare il rancore del signore impetuoso. Si giustificavain una sua satira diretta al fratello e all'amico,spiegando che era troppo anziano - aveva già passatola quarantina! - e di salute troppo cagionevole persopportare quel freddo, vicino al circolo polare;d'altronde, lo renderebbe malato anche l'aria tropporiscaldata delle stanze, dove gli abitanti locali passano82<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


in inverno tutta la loro vita: dove mangiano, bevono,dormono, giocano e fanno tutto il resto. Certamente -assicurava - sarebbe rimasto soffocato una notte dalvapore, se non l'avrebbero invece fatto morire i viniforti che secondo l'usanza locale dovevano esseretracannati d'un solo fiato tutte le volte che si brindava,per non offendere le regole di convenienza. Ed i cibipoi? Costì tutto era pieno di pepe, di zafferano e di altricondimenti che i medici gli proibivano tassativamente.Doveva mantenersi una cucina particolare o nutrirsi disolo pane ed acqua? Eh no - mandava a dire al suosignore - se fosse stato di vent'anni più giovane, loavrebbe seguito non solo fino al Danubio, ma fino aiTanai, ma così preferiva rimanere a casa, modesto, maal sicuro. [Ludovico Ariosto, Opere minori, Satira I, Milano1954, pp. 499-510]Ciò nonostante Ippolito non doveva essere privodella compagnia di persone colte. Era con lui, tra altri,l'umanista Celio Calcagnini, autore di trattati scientificilatini, il quale, rientrato a <strong>Ferrara</strong>, divenne professoredi letteratura di quella scuola superiore. Lo stato dicose di Ungheria dopo la morte di Ulászló lo lasciòprofondamente costernato, e poco dopo il suo arrivodiresse agli Ungheresi un monito intitolato «Deconcardia». Era indotto a ciò fare - spiegava - perchécome cristiano non si sentiva un estraneo in un paesecristiano.«Perciò a nessuno deve parere strano che io, natosotto il cielo italico e venuto in Pannonia solo pochigiorni or sono, commiserando i dissidi ed i conflitti diuna gente bellissima, dei baroni prestanti e dei ducifortissimi, ritenessi di dover scrivere della concordia,onde, se c'è ancora chi ha le orecchie aperte al vero,possa rinsavire e rivolgere la mente a idee migliori».Esponeva che i Magiari erano circondati da tanti nemici,in primo luogo dai Turchi, le cui spade si tenevanocontinuamente sospese sopra le loro teste e le cuiincursioni molestavano giornalmente il loro regno;eppure il suo popolo era destinato da Dio a esserepropugnatore e difensore della vera fede. Essidovevano perciò eliminare ogni pur minima occasioneche poteva indebolire la loro situazione. «E lo dovetefare con tanto maggiore cura e impegno in quanto daivostri presidi dipende la salute e l'incolumità comune ditutti i cristiani». Era pertanto dovere di ciascuno di loro«dimenticare le offese personali e dedicare tutti glisforzi e tutti gli affetti alla salute della patria ed a quellapubblica; che finalmente gli animi siano ammansiti eche ritorni la vecchia armonia...» E ciò cheraccomandava la ragione, che esigeva la conservazionedelle condizioni pubbliche e private, la religione, e lagrandezza del pericolo imminente; era il voto comunenon solo delle loro famiglie supplicanti, ma anchedell'Italia, della Germania, della Francia, della Spagna edegli altri paesi di Cristo. Terminava con l'esortazione acambiare il loro comportamento ed a prendere decisionisalutari a loro stessi, al re e al regno. [Caelii CalcagniniFerrariensis, Protonotarii apostolici, opera aliquot, Basilese,1544, pp. 409-415.]Fu lo stesso Calcagnini ad annotare gli eventi delsoggiorno in Ungheria del vescovo di Eger, tra cui ilbreve intermezzo del suo ruolo politico, e fu lui chenell'orazione funebre pronunciata alla morte del suopadrone cercava di mettere in rilievo l'influenza chedurante la sua presenza aveva esercitato sullosvolgimento degli affari pubblici. L'acuto Estense nonaveva bisogno di molto tempo per orientarsi nellasituazione ungherese. Appena qualche giorno dopo ilsuo arrivo a Buda, scrisse al nipote, marchese diMantova: «In questo regno s'è grande timore de'Turchi, li quali a giorni passati piglioro certi castelli alleconfine et parecchie ville; e tanto maggiormente seteme, per essere questi Signori e Baroni in grandissimadiscordia: Iddio gli ponghi la soa mano: perché n'è granbisogno!» [Florio Banfi, Il cardinale Ippolito d’Este nella vitapolitica dell’Ungheria, L’Europa oprientale, 1938.]Di ritorno dalle nozze a Cracovia, nel giugno 1518Ippolito comparve di nuovo nella capitale ungherese: loaccompagnava dalla Polonia il suo ospite ProsperoColonna, condottiere di Carlo V re di Spagna, perrendere omaggio al nuovo re. Ivi si stava riunendo ladieta per decidere la scelta di una consulta governativadi otto membri addetta al minorenne Lajos II. Ippolitovenne incluso nella consulta: il prelato italiano giuntopoco prima dall'estero, estraneo alle aspre lotte dipartito in corso da decenni tra i grandi dignitari el'ordine della media nobiltà, e distante anche dalleconsorterie occasionali formate tra i potenti percoadiuvarsi, poteva sostenere un ruolo di mediatore edi equilibratore in mezzo ai contrasti prossimi allacollisione, che paralizzavano la direzione politicacoerente e precipitavano il paese sull'orlo dell'anarchia.Ma pare che Ippolito abbia ispirato confidenza perfinoalla classe contadina oppressa, condannata a servitùperpetua dalla legge che dopo la rivolta dei seguaci diDózsa nel 1514 la puniva con la privazione del diritto dimigrazione. Nato in uno degli stati nord-italiani piùprogrediti nell'evoluzione sociale, il vescovo di Eger sidistingueva non solo per il trattamento più umano deipropri servi della gleba, ma era anche aspro oppositoredel potente vaivoda di Transilvania János Szapolyai cheJános Szapolyai (1491-1542)si era reso particolarmente odioso alle classi alla mercèdel dispotismo con la crudele repressione della rivolta.83<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


La sua posizione privilegiata aliena alle passioni diparte diede efficacia all'intervento di Ippolito nella dietatenuta a Bács nell'autunno 1518, quando, secondoCalcagnini, egli riuscì a sedarela ribellione armata dellanobiltà, e nell'elezione delpalatino l'anno successivo,quando promosse la scelta diIstván Báthory (v. a sinistra)contro Szapolyai appoggiatoda un grande partito. «Mentrea Buda la nobiltà dissidente edivisa in fazioni - scriveCalcagnini - voleva eleggere ilpalatino (così si chiama ilsommo dignitario dopo la maestà regia) e la discordiastava degenerando quasi in una collisione armata,essendo gli altri costernati, e avendo lo stesso reinutilmente cercato decisioni, il mio principe con la suaorazione efficace e con i suoi consigli salutari sollevò glianimi di tutti; e mandati emissari a nome del re, oraammonendo, ora punendo, ricondusse la nobiltàfluttuante alla concordia e al dovere». [Calcagnini, op.cit., p- 511.]Oltre all'elezione del palatino, Ippolito fece valere lasua influenza anche nella contesa per l'attribuzione deltitolo imperiale. Dopo la morte di Massimiliano nel1519, si trattava di decidere sulla rivalità tra suo nipoteCarlo V e Francesco I re di Francia. Entrambimandarono i loro oratori da Lajos II, il quale come re diBoemia possedeva il diritto elettorale. Gli inviati di Carloandarono a trovare anche il cardinale estense, il qualecontribuì a far trionfare la causa del candidatoasburgico; qualche anno dopo questi sarebbe riuscitovincitore dell'avversario anche sul fronte italiano. MaIppolito non arrivò a vivere tanto: nel febbraio 1520tornò a <strong>Ferrara</strong> e morì nello stesso anno, quasi agiustificare i timori dell'Ariosto circa l'effetto deleteriodelle condizioni della regione danubiana.Il grande poeta non era il solo a sentire riluttanzaper il soggiorno in Ungheria. Non vi si trattenevanomolto volentieri neppure gli ambasciatori veneri che laSignoria manteneva permanentemente presso la corteungherese dopo la conclusione della lega antiturca. Airapporti tesi nel periodo di Mátyás, quando la leggeproibiva ai sudditi ungheresi di vendere o donare aVeneziani qualsiasi castello, città o proprietà terriera,erano subentrati legami d'amicizia. Il pacifico Ulászlórinunciò alle pretese in Dalmazia e cercava l'appoggio diVenezia presso il papa, e questi tendeva ad assicurare ilcontributo armato delle forze militari ungheresi controla minaccia ottomana. Anche se la triplice alleanzastipulata nel 1501 non aveva un seguito efficace,Venezia continuava a contribuire alla comune difesa conun sussidio di 30.000 ducati annuali, versandone unaparte direttamente per il mantenimento delleguarnigioni ungheresi dei baluardi confinanti con ilterritorio sotto dominio turco. E la milizia delle fortezzeavvertiva i territori vicini del pericolo di scorrerie turcheinviando messaggeri o tirando cannonate.Era interesse fondamentale della repubblicaadriatica che l'Ungheria ponesse freno all'espansioneottomana che minacciava anche i suoi possessi. Venezianon disponeva di forze armate terrestri sufficienti adaffrontare le grandi masse della soldatesca bene istruitadel sultano. La resistenza del regno ungherese era utilea dividere le forze dell'aggressore e nel caso dioperazioni militari comuni le sue armi potevanofelicemente integrare le operazioni della flottaveneziana dall'attrezzatura aggiornata. Inoltre anchedurante la pace coatta col Turco era importantemantenere contatti continui con l'Ungheria, dato chetutti si rendevano conto che l'impero islamico nonaveva rinunciato ai suoi piani di conquista e che potevasolo rimandare la tregua, ma non impedire lo scontrodecisivo. La repubblica seguiva pertanto con vivaattenzione gli avvenimenti e la situazione politica delregno danubiano; i suoi rappresentanti cercavano diinfluenzare favorevolmente le decisioni del governo,come nel caso della lega di Cambrai; trasmettevano imessaggi della Signoria e la informavano regolarmentemediante i loro corrieri rapidi degli eventi piùimportanti. Gli addetti al servizio d'informazioniveneziano bene organizzato facevano il viaggio tra ledue capitali in due settimane.Inoltre i suoi ambasciatori dopo il loro rientro inpatria redigevano un'ampia relazione sulle loroesperienze in Ungheria, e questi rendiconti riservatirivelavano con crudo realismo i mali e le difficoltà enon mancavano talvolta di esprimere giudizi severi suipersonaggi dirigenti del paese.L'attività degli ambasciatori in Ungheria ebbe iniziosotto cattivi auspici; uno dei primi due: Vettor Soranzo,moriva di febbre poco dopo il suo arrivo. In seguito altriquattro caddero vittime della malaria, trovandosi comeospiti in un castello di campagna; un'altroambasciatore, Alvise Bon era costretto a letto ammalatoa Buda per tre mesi senza cura medica, perché l'unicomedico del re era assente. Il suo governo non potevaperciò dagli torto se, dopo vari anni di servizio, chiesedi essere sostituito, «per non dover più restare inquesto esilio». Ma la sua scontentezza aveva anchealtre ragioni più profonde. Nel paese sedeva già sultrono il minorenne Lajos II e la labilità della situazionepolitica interna, la disorganizzazione e la prevalenzadegli interessi personali si rivelava chiaramente agliocchi acuti dei Veneziani, in contrasto stridente conl'ordinamento statale della loro città incrollabile,cristallizzato da secoli. In quell'atmosfera il feliceadempimento della loro missione sembrava unproblema insolubile, e la sensazione dell'insuccesso eraresa più forte dalla diffidenza e dal sospetto suscitati inuna parte dei circoli dirigenti e nell'opinione pubblicadalla politica turca di Venezia. La Signoria infatti, purcontinuando a sostenere la necessità della difesacomune, cercava di conservare il più lungamentepossibile la pace esistente, e teneva ambasciatoripresso la Porta. Lorenzo Orio, successore di Alvise Bona Buda, nel 1520 deplorava già l'attitudine sospettosa epermalosa degli Ungheresi, e faceva notare la difficoltàdi trattare con loro.Tre anni dopo Francesco Massaro, segretario di Orio,esprimeva un giudizio ancora più severo nella sua lungalettera al doge, che offre un'analisi esauriente e crudadelle condizioni dell'Ungheria, poco prima dellacatastrofe di Mohács. Come premessa egli informa nellasua interpretazione sul retroscena degli ultimiavvenimenti. I Magiari - scrive - volevano la pace col84<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Turco, ma tenevano nascosta questa intenzione;cercavano prima per mezzo del loro ambasciatore FülöpMóré di farsi dare da Venezia un sussidio di guerra di80.000 ducati. Quando, ciò nonostante, il sultano sidecise per la guerra, rimasero molto allarmati perchénon erano preparati, date «le grandi discordie fra nobilie signori». Invano il re chiamava tutti in armi, non loseguirono, e il Turco occupò Nándorfehérvár (N.d.R.Belgrado). Esortati dal legato pontifìcio il re e i baronioffrirono somme cospicue per l'armamento, ma lepromesse non furono mantenute, e non si riuscì amettere in piedi che un esercito di 12.000 armati, nonvolendo nessuno fare sacrifizi.Massaro continua dando una serie di descrizioni delcarattere dei personaggi dirigenti del regno: è paleseche nella sua valutazione conta soprattutto la lorosimpatia o antipatia per Venezia, Al re diciassettenneegli attribuisce tutta una sequela di buona qualità:bontà, pietà, clemenza, liberalità e tolleranza; ascrive asuo merito che perdona sempre, e non si lasciaabbattere da avversità alcuna; nello stesso tempoosserva che finché era «gubernato da Hongari, lera deoptimi costumi instituito; ma dapui maridato, et chel'sta governo de Alemanni, il hanno instituito a cossemolto dissimile; perlo che li hanno insegnato amangiare 6 et 7 volte al giorno, et meglio bevere etsolazare, e ben lusuriar et ballar tutta la notte, emangiar ancora di mezza notte». A dare il cattivoesempio è la regina, piccola, brutta, altezzosa e nemicadi Venezia. Non fa altro tutto il giorno che cavalcare,sollazzare e mangiare; ha continue indigestioni, ma nonda un figlio al marito. Del palatino Massaro da unpessimo giudizio: trova che è ubriacone, odiato da tutti,ha connivenza col Turco e per di più è nemico diVenezia. Non così János Szapolyai vaivoda diTransilvania, che è «savio, prudente e de optimoinzegno, bon amico di questo Stato, ben amato datutti». E nemico del palatino e dei Tedeschi, ciònonostante mangia e beve tutti i giorni con loro. E ilVeneziano insinua maliziosamente che «saria contentoche quel Regno si perdesse, et poi lui con il favor deTransilvani recuperarlo e farsi Re» — accusa, questa,che si sarebbe diffusa dopo la sconfitta di Mohács. ElekThurzó, il tesoriere ricchissimo - egli continua - ènemico di Venezia; si dice che abbia fatto coniaremoneta falsa dell'ammontare di più di un milione, di cui15 valgono un vecchio ducato d'argento. E interessantela sottile definizione della personalità dell'arcivescovoGyörgy Szatmári: secondo Massaro è un uomointelligente e di grande influenza: nessuno può ottenerequalche cosa senza il suo consenso. E anche generosoe benefico, se spera di trame fama e gloria. Prima eraostile a Venezia, ma ne è diventato amicissimo dopoche il legato pontificio gli aveva spiegato la gratitudinedella Signoria per i servizi resi da Bakócz, fino a fargliottenere il patriarcato di Costantinopoli. Dell'intelligenzae della cultura degli altri prelati ha generalmenteun'opinione favorevole, ma più d'una volta, soprattuttose non nutrono simpatia per Venezia, fa notare la lorocupidigia e falsità, specialmente nel caso di Fülöp Móréprevosto, poi vescovo di Pécs, il quale - a quanto glirisulta - approfittava delle sue frequenti missioni aVenezia per combinare affari lucrativi comprandotessuti d'oro e di seta e vendendoli poi nel suo paesecon grosso guadagno. Molto positivo invece il parere sulvescovo Pál Tomori, «homo molto da ben, et nele armestranuissimo».A coronare tutto ciò segue il giudizio sommario deiMagiari in genere: «Hongari in universali sono la pegiorgeneration dil mondo. Non amano ne extimano nationedel mondo, nepur se amano tra loro. Ogniuno atende alproprio comodo, et robano el publico et poco se curanode quello; hanno uno odio e simultà tra loro occulta chenon si potria credere, et tamen alternatim ogni giornomangiano insieme, che pareno fratelli. Ne una iustitiafanno; non è si grande iniustizia ne iniquitate, chetributando tre o quattro di loro non se obtenisse; nonc'è obedientia alcuna; sono superbi et arroganti, et nonsciano ne reger, ne gubernar, ne voleno consiglio da cuisa, avantadori de le cose sue, assai ben prompti addeterminar, ma ad exeguir tardissimi, et poche cose semandano ad executione, salvo che il crapular et robar ilpublico: a queste cose sono diligentissimi. Li signorisono causa de ogni male, et li nobili, quali sono 43 mila,tieneno le raxon del regno, però sempre sonodiscordanti, procedono sempre cum arte, deceptione etinganni. E bisogna esser ben cauti ad negotiar cum loroet, ut multa in unum colligam, hongari sono la fece delmondo, e se non fosse tanta bontà et innocentia di quelRe, la Divina iustitia non poria tardar tanto alladestrutione de questi hungari».La sorte dei Magiari (incisione sul legno, 1543)In netto contrasto con l'aspro giudizio espresso sulconto della sua popolazione, l'Ungheria stessa èpresentata nella descrizione di Massaro come un veroparadiso terrestre, ricco di tutti i beni del mondo: hagrande abbondanza di prodotti alimentari come grano evino, una quantità di animali quadrupedi, acquatici evolatili; le montagne contengono metalli d'oro, argento,rame e ferro. Annota che nella Transilvania ci sonoperfino fiumi dove si trovano conglomerati d'oro dellagrandezza di pisello o di nocciola e anche palline, il cuipeso è valutato da 100 a 200 ducati. E non basta: loscrivente asserisce di aver visto egli stesso nelle vignetralci d'oro fino che si arrampicavano sulle piante. Larappresentazione della terra ungherese come unaspecie di paese Cuccagna si trova già negli scritti diautori del Quattrocento come Callimaco, Ranzano oGaleotto, ivi compresi i tralci d'oro delle vigne; è daritenere che anche le descrizioni posteriori abbianoderivato da loro i motivi ricorrenti reperibili ancora nellerelazioni di duecento anni dopo - senonché il segretarioveneziano che ha passato qualche anno in Ungheria, si<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 85


ichiama anche alle proprie esperienze. E dopo le moltelodi non manca la conclusione amara: se tutti questitesori fossero connessi con l'unità e la concordia, il repotrebbe vincere il nemico, ma non c'è rimedio: mancail denaro pubblico; ci sono bensì molti beni privati, manon si pensa di offrirli. Se il Turco lanciasse l'offensiva,forse non si difenderebbero neppure, per il grandedissidio esistente.Nel fondo della lunga requisitoria esasperata delVeneziano agisce il clima di ostilità manifestata esempre più forte verso la sua città, risultato dellapropaganda imperiale attivata in tutta Europa. Nelconflitto delle due potenze rivali in corso in Italia dadiversi anni la Repubblica di San Marco cercava invanodi assicurare la propria inviolabilità con una circospettapolitica di equilibrio: l'Impero l'accusava di tendenzefilofrancesi. E dopo aver preso conoscenza che il re diFrancia cercava di guadagnare la Turchia contro i paesidell'imperatore, incolpava anche Venezia di connivenzacon la Porta. Era effettivamente interesse vitale dellacittà mercantile di assicurare la possibilità dei suoitrasporti marittimi nell'Egeo, e perciò cercava dimantenere buoni rapporti con la potenza turca, manello stesso tempo non respingeva l'ideaperiodicamente ricorrente di una comune guerracristiana. Ma fino alla realizzazione di tale impresavoleva evitare ad ogni costo il rischio di un conflitto colnuovo sultano turco che aveva ripreso la politica diconquista. Perciò anche il compito degli ambasciatoriungheresi inviati per sollecitare sussidi finanziaridiventava più diffìcile, ed i fomentatori degli umoriantiveneziani trovavano buona esca alle loro accuse. Lalettera di Massaro rivela le ragioni dell'atmosfera ostilevenutasi a creare nei confronti dell'ex-alleata.I Tedeschi - egli scrive - hanno diffuso molte falseaccuse sul conto della Repubblica; sostengono adesempio che sia stata Venezia a spingere il Turcocontro l'Ungheria, offrendogli addirittura navi a talescopo, e per di più, che la Signoria abbia dato veleno alsuo ambasciatore per sopprimere il re ungherese ed ibaroni. Gli Ungheresi sdegnati reagirono minacciando dimorte l'ambasciatore e lo scrivente, suo segretario. Malui, come dice, è andato a vedere ad uno ad uno iprincipali dignitari, esponendo i danni di tali calunnieche turbavano la fiducia reciproca; nella consulta regiapoi ha reclamato un'inchiesta per scoprire la verità.Finalmente il legato papale con la sua grande autoritàriuscì ad eliminare il sospetto, ma a quanto pare nondefinitivamente. Infatti, nella dieta di Rákos del 1525 fudeciso che gli inviati e gli uomini di corte stranieridovessero lasciare il paese. Il decreto era diretto inprimo luogo contro i Tedeschi e contro Venezia, la solache teneva rappresentanti permanenti nella capitaleungherese. Questa misura sembrava giustificarel'asserzione di Massaro:«Questi Alemanni, Signori et popoli, sono odiati et daHongari... Hongari sono inimici nostri, come quelli cheodiano tute le natione del mundo...».L'unica eccezione fatta dalla dieta riguardava l'inviatopapale, il cui zelo, dedicato a scongiurare il pericoloturco era generalmente riconosciuto e apprezzato. Ilpapa Clemente VII, il quale, ancora cardinale, era statodesignato dallo zio Leone X «difensore dell'Ungheria»,nella prospettiva della crescente minaccia turcaraddoppiò gli sforzi per organizzare la difesa. I suoilegati, i cardinali Vio e Campeggio erano continuamentein viaggio tra l'Ungheria, la Polonia e i territoridell'imperatore, per esortare alla comune azione armatae pel versare sussidi finanziari, in primo luogo al regnod'Ungheria più direttamente minacciato. Vio nel 1523portò con sé anche un collaboratore: il nobile sicilianoAntonio Burgio in servizio papale, affidandogli il compitodiretto di mobilitare presso la corte ungherese le forzedel paese per respingere l'offensiva imminente. Burgiosi diede con grande devozione ad assolvere il suoufficio, e nei più di tre anni del suo incarico faceva ditutto per renderlo efficace, ma dovette constatare findall'inizio che la sua impresa, era quasi interamentecondannata al fallimento. In lui non c'era la minimatraccia dall'animosità e della diffidenza degli inviativeneziani, anzi partecipava con simpatia e apprensionealle preoccupazioni, tanto che - come egli stesso ebbe averificare - la sua compassione lo faceva considerare datutti come un vero ungherese; ciò nonostante sirendeva ben conto dei mali: delle mancanze e dellecolpe del passato come anche della confusione edell'impotenza del presente che trascinava il paese conimpeto inarrestabile verso la catastrofe. Le sue letterescritte a Roma al segretario pontifìcio Sadoleto rivelanola verità con semplicità priva di esagerazioni e consincerità obiettiva, e analizzano le cause della situazionedisperata del paese.Incolpa il re, la cui noncuranza e pigrizia gli ha fattoperdere tutta l'autorità: cede il potere al primateSzalkai, e non pensa che a divertirsi. La media nobiltà èdivisa in partiti e si raggruppa in genere attorno aqualche barone. Nelle diete tenute sul campo di Rákosparlano a vanvera, seguendo in genere le istruzioni deipotenti. Il denaro si sta continuamente svalutando,tanto che i soldati non vogliono più accettarlo. PálTomori arcivescovo di Kalocsa, incaricato della difesadel confine meridionale, sempre segnalato da Burgioper la sua onestà puritana e per la sua dedizionedisinteressata, manda invano i suoi messaggeri a Budaper mendicare denaro, onde sostenere le guarnigionidelle fortezze di confine: il tesoro è vuoto, il re hamesso in pegno la sua argenteria per poter pagare lespese della sua cucina.All'inizio dell'anno 1526, poi, notizie allarmantigiungono sui preparativi bellici del sultano: i suoigenerali stanno già studiando gli itinerari dellacampagna ed i fiumi che li percorrono; aNándorfehérvár arrivano spedizioni turche con materialiper la costruzione di ponti; le autorità turche hannoproibito l'esportazione di viveri dalle province ottomaneconfinanti con l'Ungheria. Intanto a Buda, nellaconsulta regia i grandi e il re si accusanoreciprocamente: ognuno incolpa l'altro. I signori il re,per non aver dato retta ai loro consigli; il re a sua voltagli altri per averlo mal consigliato; li rende responsabilidi ritrovarsi nullatenente per aver donato a loro tutte lesue proprietà. La sola cosa di cui non si parla - osserval'inviato scoraggiato - è il rimedio da trovare ai mali.Quanto a lui, egli cerca di far pervenire a Tomori ilsussidio papale di cui dispone e di reclutare nuovamilizia; in aprile è riuscito ad armare 500 fanti e 200cavalli; gli ha anche mandato cannoni e armi, insiemecon 20.000 ducati d'oro.86<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Si rende però conto quanto ciò sia inadeguato allagrandezza del pericolo imminente, visto che gliinformatori valutano a 300.000 uomini l'entitàdell'esercito del sultano. Egli scrive, tutto sconsolato:«Sua Santità deve considerare l'Ungheria ormaiperduta». Oltre all'impreparazione militare e alladepressione economica, egli riconosce l'altra causafondamentale della debolezza del regno: la tensione socialeestremamente inasprita. Trova che tra le diverseclassi sociali l'odio e l'invidia sono così grandi chequalora il Turco promettesse libertà ai contadini servi,sarebbe da temere una loro ribellione contro la nobiltà.Ribellione che sarebbe molto più crudele della rivolta diDózsa, poiché quella volta mancava ai rurali l'appoggioche ora sarebbe dato dal Turco. Se invece il reconcedesse libertà alla servitù della gleba, è da temereche la nobiltà lo abbandoni. [Mohács Magyarországa. BáróBurgio pápai követ jelentései, ford. Bartoniek Emma(L’Ungheria di Mohács. Relazioni del barone Burgio inviatopontificio. Trad. Emma Bartoniek), Budapest, 1926., pp. 71.,Lettera del 25 aprile 1526] L'inviato italiano non scorgeuna rapida via d'uscita dal vicolo cieco politico in cuidurante il regno dei due Jagelloni la disintegrazione delpotere centrale ha condotto il paese: non ne verificache l'effetto paralizzante in un periodo critico, quando sitratta di decidere circa gli interessi vitali del regno.Burgio, regolarmente presente alle sedute dellaconsulta regia, cerca di scuotere i dirigenti del paese eindurli a prendere una risoluzione decisiva. In maggio,quando il sultano, partito dalla sua sede, ha giàraggiunto Adrianopoli con la sua armata, egli leggenella riunione i brevi papali, promette nuovi sussidi edesorta il re a condurre personalmente alla lotta il suoesercito; nello stesso tempo ammonisce i prelati ed ibaroni di fare il loro dovere nella difesa del paese.L'azione non rimane senza effetto: i baroni ungheresi,facili ai trasporti entusiastici, promettono solennementedi sacrificare all'occorrenza la vita stessa in difesa dellafede e di offrire perfino tutti i loro beni e di seguiretutti, con la nobiltà intera e con i loro servi, il loro renella guerra.I turchi trasportani le teste decapitate dei magiari sul carro(incisione di bronzo, 1604)«Questi signori ungheresi - osserva l'inviato pontifìcio -sono pronti, se occorre, di andare in guerra tutti fervidie di scontrarsi col nemico. Ci sarebbe dunque l'ardorebellicoso e il coraggio, ma - Dio li aiuti - non hannoartiglieria, generali, navi, vettovaglie e armi; non sannoche cosa devono in realtà affrontare, come difendersi, enon pensano neppure di preoccuparsene». [MohácsMagyarországa. Báró Burgio pápai követ jelentései, ford.Bartoniek Emma (L’Ungheria di Mohács. Relazioni del baroneBurgio inviato pontificio. Trad. Emma Bartoniek), Budapest,1926., pp. 56., Lettera del 25 aprile 1526] E un'altra voltaBurgio che tenta di tradurre in fatti la risolutezza e didare una direttiva nel caos. Nella seduta della consultapropone di imporre una particolare contribuzione diguerra, e per dare il buon esempio offre subito 500 fiorinidel suo. L'iniziativa è seguita dai presenti: le offerteammontano a 30.000 fiorini d'oro. Ma l'inviato èdubbioso e si domanda angosciato se non sia troppotardi tentare qualunque cosa, visto che il sultano si staavvicinando: si trova già a Sofia. Ma egli continua glisforzi: con il nuovo sussidio papale mette in armi 5.000uomini. Nella consulta è stato deciso che il re si recheràa Tolna, nella regione meridionale, e vi si radunerannoanche i signori con i loro reparti armati: la nobiltà infattiè disposta ad andare in guerra solo se condotta dal rein persona.L'approssimarsi dello scontro inevitabile sembrascuotere finalmente la gente dalla titubanza e dallaconfusione: si fanno sforzi per organizzare la difesa, mail lavoro è ostacolato dalla mancanza di denaro.Preoccupato, Burgio scrive: «Se si considera la forzache il Turco mena, e la forza che noi opponiamo, temoche il paese e noi tutti qui periremo. L'unica cosa chemi consola alquanto è che i Magiari, piccoli e grandi concui parlo, sono tutti decisi alla guerra e marciano cosìcoraggiosamente alla difesa loro e del paese che, fosseaccompagnata questa volontà decisa dalla necessariaattrezzatura bellica, potrei veramente sperare la nostravittoria».Alla fine di giugno le truppe turche hanno traversatoil fiume Sava e preso d'assedio i baluardi: Pétervárad,Újlak, Titel. Burgio ha fatto di tutto per mandare aiuto:ha messo in moto 2.000 mercenari moravi, quindi altri2.000; ha fatto riparare 18 cannoni rotti. Il re, in via perTolna, lo supplicava per avere denaro, ma egli sisentiva incapace, dati i suoi mezzi limitati. Si lamentavadicendo che talvolta sarebbe stato bene per un inviatostraniero di poter restare insensibile. Ma volevaadempiere fino all'ultimo il suo ufficio, e quando il papavolle mandarlo in Polonia per ottenere aiuto, protestòche dalla Polonia non c'era nulla da sperare, dato cheaveva recentemente concluso con la Porta una treguadi cinque anni. D'altronde egli non poteva lasciare Budanel tempo presente: avrebbe dato l'impressione di volersalvare la propria vita - e Giovanni Verselio, giunto conun nuovo sussidio papale, lo sosteneva con la suarelazione mandata a Roma, facendo presente che ilbarone Burgio godeva di molta autorità in Ungheria, einfatti non tralasciava nulla per salvare quello statoinfelice, e avrebbe continuato a ricorrere a tutti i mezzinell'interesse dell'Ungheria. Perciò il pontefice nondoveva allontanarlo, essendo egli un uomo moltosaggio, di onestà ammirevole, ben versato nellecondizioni locali e attivo, se necessario, anche in luogodi altri. E conclude: «Se non ci fosse stato il baroneBurgio, il Turco si troverebbe già a Buda».In effetti, all'infuori dei sussidi papali, l'Ungheria nonriceveva altre sovvenzioni dall'estero. Le truppe boemee morave non giunsero in tempo: la dieta imperiale diSpeyer (Spira) rimandava la decisione fino a quando fusuperata dagli eventi, e invano re Ludovico insistevapresso il doge di Venezia: «Ogni nostra speranza - egliscriveva nella sua ultima lettera del 21 giugno - è posta<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 87


nell'aiuto di V.S. Illustrissima e degli altri PrincipiCristiani, ma soprattutto nel vostro. Se non arrivaprestissimo, riteniamo essere la fine nostra e del nostroregno. Preghiamo e supplichiamo pertanto V.S.Illustrissima per Dio immortale e per la salute dellaRepubblica Cristiana di volerci soccorrere senza indugiocon il sussidio e l'aiuto che può dare nel travaglio delpresente pericolo. Perché sarà inutile mandarcisoccorso quando la potenza del nemico sarà giàpenetrata nel cuore del nostro regno».L'aiuto non venne, e nella capitale ungherese lospirito pubblico mosse accusa alla repubblica di fareuna doppia politica. «Se dogliono molto de Venetiani -riferiva l'agente veneziano Lodovico Morello da Buda il7 agosto - con dire che danno favore et dinari al Turcosegrretamente, et che tutti li inzegneri sono Venitiani.Per questo non mi manca mai noia con loro...».alquanto i dati, onde non offuscare la gloria con lasproporzione delle forze: parlava di 300 cannoni e150.000 soldati dei Magiari, i quali - come diceva -vennero fino all'ultimo trucidati dalla sua armata; oraera diretto a Buda. Il governo ducale rispose almessaggio amichevole con liete felicitazioni, e mandòdal Gran Signore un suo ambasciatore con regaliadeguati all'occasione. Nel servizio degli interessi vitalidella sua città la diplomazia della Signoria dovettepassare sopra l'effetto sconcertante delle notizieterrificanti che le giungevano giorno per giorno da partedei mercanti veneziani e altri Italiani fuggiti dall'Ungheria.I primi rapporti, di seconda mano soltanto,comunicavano notizie incerte e contrastanti avuta dafamiglie terrorizzate fuggenti con carri e da corrierispediti frettolosamente, ma rivelavano il panicosuscitato dalla sconfitta anche nella popolazione delleprovince vicine, e l’immediata percezione in larghi stratidelle sue gravi conseguenze. Le voci riportavano inprincipio trenta-quarantamila caduti e la scomparsa delre, ma senza alcuna informazione sicura. Per un po’ ditempo sussisteva ancora l’ultima speranza che isopravvissuti sarebbero stati capaci di organizzare laresistenza ed arrestare l’avanzamento vittoriosodell’armata turca.Bibliografia consultata:Comunque il sultano Solimano trattò la repubblicacome potenza amica: richiamandosi alla buona amiciziae pace esistente tra loro, fu sollecito a mandare allaSignoria con corriere speciale la fausta novella del suotrionfo a Mohács. Ritenne tuttavia opportuno modificare«Magyarország rövid története» di Hanák Péter, Gondolat,Budapest, 1986.Magyar történelmi kronológia az őstörténettől 1970-ig,Tankönyvkiadó, Budapest, 1979;Jászay Magda: Párhuzamok és kereszteződések. A magyarolaszkapcsolatok történetéből; Gondolat, Budapest, 1982.Magyarország története képekben (Szerk. Kosáry Domokos),Gondolat, Budapest, 1985.Magda Jászay: Incontri e scontri nella storia dei rapporti italoungheresi,Rubettino Editore, Soveria Mannelli (Catanzaro),2003.4) ContinuaCINEMA CINEMA CINEMA CINEMA CINEMAIL CINEMA È CINEMADal nostro inviato cinematografico Enzo Vignoli:BEIJINGCINEMA CINEMA CINEMA CINEMA CINEMA________Servizi cinematografici ________Parte integrante di una duplice mostra curata dalMuseo d’Arte Moderna di Bologna, dedicata a SarahMorris e a Seth Price, il 25 maggio scorso è statopresentato in anteprima mondiale il film documentarioBeijing.Entrambe le personali mettevano in luce una realtàvissuta come minacciosa e che gli ampli spazi di cui siserve l’arte stessa tendono ad aumentare nel visitatore,inducendo una voluta sensazione alienante.Sotto questo profilo, il momento più chiaro ecoinvolgente dell’intera manifestazione si è vissuto nelfilm di 86 minuti in 35 mm, che Sarah Morris ha giratoin occasione o, riteniamo meglio, col pretesto dei giochiolimpici dell’anno scorso. Se gli altri aspetti delle mostrenon erano forse riusciti appieno a fare luce sui lorointenti, qui la sensazione di vuoto, quasi di nauseafisica, di contraddizione e di martellante incedereesistenziale non possono essere evitati.Il film è totalmente privo non solo di sceneggiatura maanche di ogni riferimento ai rumori e ai suoni degliambienti che sfilano incessantemente davanti agli occhidella cinepresa. La sensazione potrebbe essere quella di88<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


un vuoto pneumatico, di una macchina del tempo cheva a ritroso a ritrovare immagini del passato.Ma ecco l’intervento del demiurgo che introduce uncommento esterno, che non ci lascia mai e che finiamoinevitabilmente col fare nostro. Si tratta di unanarrazione musicale molto eloquente che, implacabile esenza soluzione di continuità, si fonde a poco a pocofino a diventare tutt’uno con le immagini e ad indurreuna sensazione ipnotica. Nella tecnica d’inquadraturaviene ripresa la stessa logica compositiva dei quadri cheerano ospitati nella mostra del MAMbo. La cinepresascorre orizzontalmente in un continuum mai spezzato,quasi che stessimo penetrando nel grande librodell’esistenza.Le prime immagini ritraggono un allevamento di oche, acentinaia, a migliaia, ovviamente tutte uguali. Solo inapparenza si verifica il troppo facile automatismo diconsiderare quelle scene come un preludio a quello cheviene dopo. In realtà, gl’innumerevoli esempi di variaumanità che si susseguono incessantemente, senza unaparola e senza un ascolto, più che l’impressione distupidità, evocano quella di stordimento, diottundimento provocato dal moto esterno dell’esistenza,che l’uomo sembra subire più che provocare.L’incombenza inesorabile e ossessiva della musica –scritta da Liam Gillick – è appunto la metafora di unavita che si compie senza riposo e senza un attimo direspiro. Vediamo adolescenti uguali nella loro invisibilitàa tutti gli adolescenti del mondo, luci sfolgoranti egiochi luminescenti a cui il ritmo della musica sembraadattarsi e che introducono la grande kermesse deigiochi olimpici, masse immense e come denudate cheaffollano gli stadi e i palazzi dello sport, ma anche ilvolto doloroso di una giovane che si attarda implorantesugli occhi di un ragazzo che le sta a fianco. Poi atleti,politici, militari in parata ripresi in un tipicoatteggiamento meccanico, persone che danzano,strade, negozi, automobili, immagini di miseria e diricchezza tutte offerte all’occhio morboso e quasiviolentatore di chi guarda. Il film, però, si chiude conl’occhio della regista su una donna in bicicletta chemette al sicuro la propria intimità aiutandosi con unavisiera che le consente di guardare senza essere“indagata”.L’effetto all’interno di una saletta del MAMbo eraparticolarmente suggestivo. L’immagine a tutta pareteavvolgeva completamente lo spettatore che si sentivatrasportato quasi in una visione tridimensionale.A partire dal giorno seguente, 26 maggio, Beijing èstato proiettato anche in Germania, a Francoforte,all’interno di una mostra parallela a quella di Bologna esupponiamo che Sarah Morris vorrà presentarlo, piùspecificamente, in qualche importante festivalcinematografico.Enzo Vignoli- Conselice (Ra) -L’ECO & RIFLESSIONI ossia FORUM AUCTORISLA SCRITTRICE UNGHERESE PROSCRITTA, CÉCILE TORMAY/CECILIA DE TORMAY (1876-1937)E LO SFONDO STORICO-POLITICO DELL’EPOCA NELLO SPECCHIO DELLE PUBBLICAZIONI- A cura di Melinda B. Tamás-Tarr -I. LA SCRITTRICEPROSCRITTAI.1 Della scrittrice unghereseproscritta CécileTormay o CeciliaDe Tormay come lachiamavano in Italia all’epoca(Budapest 1876[in alcuni luoghi riportanol’anno 1875] Mátraháza1937), soltanto dall’iniziodegli anni ’90 si puòsentire nuovamente trapolemiche pro e contro con sentimenti misti di elogio edi odio.Cécile Tormay tramite del ramo materno del nonnopaterno è discendente dalla famiglia De Brieuc o DeBrieux: il nonno della scrittrice, Károly Tormay sposòAntónia Huber, discendente una famiglia franceseUgonotta profuga soprannominata: Antónia Huber,proveniente da Hannover, la futura “Piccina Nonna” cheera una spiritosa, gentile, piccola signora. Ella parlavain maggior parte in tedesco, ma i nipoti conscevanomeglio il francese e soltanto all’età maggioreimpararono la lingua della nonna. La madre del nonnodi Cécile Tormay, Borbála Bottyán è discendente diBottyán Vak. Suo nonno il 6 maggio 1829 partì per ungiro in Europa e in un semestre visitò i paesi come laGermania, Belgio, Svizzera, Italia. All’Università diHygieia frequentò lezioni di botanica e medicina.Tornando a casa procurò pazienti e ricevetteun’ospedale. Ebbe commissioni anche in Turchia. Nellasua carriera professionale sempre crescente fecemedico, nel 1840 fu medico primario ed assessore allatavola regia, con il rango di maggiore nelle città diVeszprém e Székesfehérvár fece direttore e primariocastrense, a Pest ebbe ruoli di direttore degli ospedali,di primario. Pubblicò più saggi scientifici per la sanitàpubblica.Il padre della scrittrice, Béla Tormay studiòagronomia al Weihenstephan in Baviera dall’agronomoarrivò al ruolo di professore universitario a Keszthely(1861) e da qui arrivò alla poltrona di direttoredell’Istituto Superiore Agrario. Nel 1873 sull’ordine delministro dell’agraria organizzò la facoltà della zootecniadell’Istituto Veterinario. Nell’anno 1875 l’istituto divenneAccademia Agraria di cui poi fece direttore.La madre di Cécile Tormay si chiamava HerminBarkassy. La sua parentela risale ai famosi Barkassydella guerra d’Indipendeza di Ferenc Rákóczi e Tüköry.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 89


Di uno dei Tüköry più conosciuto, il prode di Garibaldi edi Türr, nominarono un viale a Palermo. I nonni maternisi ciamavano: il proprietario terriero Imre Barkassy edHermin Tüköry. Gli architetti Tüköry costruironol’edificio del Via Fürdő, in cui nacque la scrittrice l’8ottobre 1876. [N.d.R.: In alcune fonti riportano l’anno 1875come l’anno di nascita.] Il suo romanzo storico, La vecchiacasa narra la costruzione di proporio questo edificio.Digitando il nome della scrittrice sul motore di ricercagoogle, in lingua ungherese troviamo notevoli quantitàdi materiali. Di lei si può trovare informazioniabbondanti anche sulla Biblioteca Elettronica Ungherese(MEK) della Biblioteca Nazionale Széchenyi(http://mek.oszk.hu/), basta digitare il suo nome e civiene indicato una notevole bibliografia. Pure sul sitodel Circolo Cécile Tormay (Tormay Cécile Kör) dedicatoalla scrittrice: http://www.tormayc.webs.com/tckor.htmlsi leggono saggi attuali e quelli dello storico dellaletteratura János Hankiss, ed i romanzi della Tormay,riportate dalle versioni originali, così gli italianiconoscenti della lingua ungherese possono ampiamentedocumentarsi sull’argomento. In altre lingue accantoall’italiano (in inglese, francese, tedesco, spagnolo)troviamo indicazioni dei collocamenti bibliotecari, alcunevecchie copie e usate in vendita, oppure qualche brevecitazione tratta dal Libro proscritto, ma nulla cheriguardasse la sua totale produzione letteraria, nécritiche dei suoi romanzi. In italiano ho soltanto trovatoun unico sito dell’Associazione Olokaustos di Veneziache si dedica all’olocausto in cui possiamo leggere labiografia della Tormay e tratta la scrittrice al suo solosvantaggio e si citano alcuni brevi brani perdocumentare e sottolineare il suo antisemitismo,antimodernismo, razzismo, anticlericalismo e la suaxenofobia (v. http://www.olokaustos.org/).Per lo scopo comparativo riporto alcuneconsiderazioni fatte da vari punti di vista, a partire daltesto di questo sito sopraccitato e da quello del saggiodi Bruno Ventavoli pubblicato nel secondo volume dellaStoria della letteratura ungherese di ed. 2002-2004 eristampato nel 2008, concludendo questo saggio conalcuni periodi dello sfondo storico e politico dell’epoca.I.2 Biografia di Cécile Tormay«Nacque a Budapest l'8 ottobre 1876. Nel 1922 fondòla rivista letteraria Napkelet (Oriente) orientata in sensotradizionalista, cattolico e idealista. Poco tempo dopo futra fondatrici e presidente della Associazione Nazionaledelle Donne Ungheresi (A magyar asszonyok nemzetiszövetsége). La sua attività principale fu quella diromanziera. Il suo primo successo fu nel 1911 conUomini, cuori fra le pietre (Emberek a kövek közt)seguito nel 1915 da La vecchia casa (A régi ház).Seguirono poi il Libro proscritto (Bujdosó Könyv) del1921-22. Del 1937 è Il messaggero avito (Az ősiküldött). Scrisse poi numerosi racconti.Cécile Tormay non fu direttamente interessata dagliavvenimenti della distruzione degli Ebrei ungheresi mail suo ruolo nella crescita dello sciovinismo e delrazzismo ungherese è centrale.Il suo orientamento conservatore differisce in modopiuttosto netto rispetto al tradizionale conservatorismotipico di uno statista come István Bethlen. CécileTormay non aveva alcuna percezione dei rapportisecolari che legavano gli Ebrei all'Ungheria. Il suoantisemitismo totalmente emotivo la rese una vera epropria avvelenatrice della società ungherese.Vi è da dire che gli Ebrei non furono gli unici obiettividella Tormay. La sua fobia di base riguardavaessenzialmente l'incontro tra diverse etnicità. I risultatiche derivano dai rapporti tra popoli differenti hanno,per la Tormay, invariabilmente esiti disastrosi. Il puntofocale della mentalità della Tormay è che un rapportointenso e fruttuoso tra tradizioni differenti non puòesistere.Questa visione tra il pessimistico e il paranoico simanifesta sin dal 1911 con Uomini, cuori fra le pietre. Iltema del libro è la storia d'amore tra Jella, una donnacroata sposata infelicemente, e André Réz un ferroviereungherese. L'amore della donna rappresenta una rivoltacontro la legge di natura che stabilisce l'incompatibilitàtra genti di diverse nazioni. Ovviamente questa rivoltacontro la natura costerà la vita alla protagonista.Naturalmente se non può esistere una intesa profondatra diverse nazionalità possono comunque esistere deirapporti nei quali un popolo è padrone e l'altroservitore. In pratica la Tormay non riesce adimmaginare un altro modo di confronto tra popolidiversi, In tale rapporto gli Ungheresi invariabilmenterisultano essere buoni e saggi mentre tutte le altrenazionalità circostanti appaiono animate da una sorta dibestiale inclinazione all'odio. A proposito dei Romeniche abitavano aree sottoposte all'Ungheria scrisse:"Parlavano la loro lingua, nessuno li molestava". Inrealtà l'oppressione ungherese e il tentativo disradicamento della minoranza romena fu intollerabile.Una sorta di perversione della realtà, non si sa fino aquanto autoinganno o malafede, anima le pagine dellaTormay.In un altro passo viene espresso il senso disuperiorità della Tormay verso i Serbi. Confrontando lasede del Parlamento ungherese e quella del Parlamentoserbo così si esprimeva: "Quando lo vidi [il Parlamentoserbo] , non potrei impedirmi di pensare alla Cameradel Parlamento ungherese. Le due costruzioniaffermano sia il passato che la cultura dei due popoli.Uno è un fiore gotico con le radici nel Danubio. Quandovidi il Parlamento di Serbia, trovai una costruzionesimile ad una scuderia con al'interno banchi di legno ele pareti coperte di stracci di colore bianco, blu e rosso.L'aria all'interno era piena del profumo di cipolle epecore, mentre le finestre erano ormai oscurate dalcontrassegno delle mosche".É inutile commentare lo spirito razzista e sciovinista diun simile confronto. Esso evidenzia bene il modo dipensare dell'autrice.Alla tematica razzista la Tormay aggiunge un'altracostante: l'idea della corruzione della modernità.L'esempio principale è dato da un altro libro disuccesso: La vecchia casa. Si tratta di un romanzo chetenta di seguire la linea tracciata da Thomas Mann ne IBuddenbrock. Al centro della narrazione vi è unafamiglia di origine tedesca (come la stessa Tormay), gliUlwing. Si tratta della storia della decadenza provocatadallo spostamento della famiglia dalla campagna allacittà. La protagonista, Anna, è l'unica che avverte il90<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


apporto 'senza tempo' tra il suolo natio e l'animaumana. Ed è lei che raggiunge la consapevolezza che"sono soltanto le famiglie che hanno le loro radici nellaterra che sopravvivono. Invano la pioggia bagna imarciapedi delle città: nessun albero vi crescerà. Lefamiglie cittadine vivono in case che vedranno almassimo soltanto tre generazioni". La città - comesimbolo di modernità corruttrice - con il suocosmopolitismo fa parte di quell'armamentario fascistae nazista che valorizzando un passato idealizzato e falsosi difende da un presente che non riesce acomprendere. In questo senso la Tormay fa propria unatematica che è già oltre il conservatorismo ed entrapienamente nella mentalità fascista.Non può allora stupire che il più importante bersagliodel razzismo della scrittrice siano proprio gli Ebrei.Durante il sanguinoso periodo della rivoluzionebolscevica guidata da Béla Kun, Cécile Tormay sitrovava a Budapest. Questo la rese osservatrice dei fattiche vi si svolgevano. I ricordi di quei giorni venneroutilizzati per l'opera di maggior diffusione: il Libroproscritto che venne tradotto in numerose lingue tra lequali l'inglese nella cui traduzione divenne An Outlaw'sDiary (Diario di una fuorilegge).La tesi della Tormay è abbastanza semplice: lamaggioranza della dirigenza bolscevica rivoluzionariaera composta da Ebrei, dunque i perturbatori dell'ordinecivile sono gli Ebrei. D'altro canto per la Tormay dietroogni rivolgimento sociale dalla Rivoluzione Francese inpoi, sta un complotto organizzato dagli Ebrei e daiMassoni. Il socialismo ed il radicalismo per la Tormaynon sono parte dello "spirito ungherese". Gli Ungheresisono un "popolo contemplativo dedito allapreservazione dei valori tradizionali". La rivoluzionebolscevica dunque è il frutto di una "mano aliena",ovviamente la mano degli Ebrei.Ovviamente la scrittrice non prende neppure inconsiderazione che una delle principali vittimedell'ondata comunista di Béla Kun fu proprio laComunità Ebraica costituita da commercianti e liberiprofessionisti che per primi entrarono nel mirinorivoluzionario. Né ricorda il sacrificio sui campi dibattaglia della Prima Guerra Mondiale dell'elevatissmonumero di Ebrei ungheresi. Gli Ebrei nelle parole diCécile Tormay sono nemici dell'Ungheria o perchébolscevichi o perché capitalisti. In ogni caso la loropresenza è sempre e comunque il germe primo delladissoluzione del Paese.Il razzismo, l'antisemitismo e il sostanziale fascismodella Tormay non si manifestò soltanto all'interno dellasua produzione letteraria. Anche nella sua attività dipresidente della Associazione Nazionale delle DonneUngheresi ebbe modo di manifestare le sue tendenze.La piattaforma politica dell'Associazione eraesplicitamente antiliberale e xenofoba, nel 1925 CécileTormay dichiarava: "la nostra organizzazione non hanulla in comune con il femminismo internazionale. Nonè qualcosa che trae origine da un movimento straniero... esso nasce dal suolo ungherese è nativo come ilfrumento ungherese". Poco tempo dopo a questaretorica di basso conio univa un appena velatoantisemitismo. In occasione dell'introduzione delnumerus clausus che impediva l'accesso all'istruzioneagli Ebrei dichiarava: "Chiediamo che la legge sulnumerus clausus sia resa più rigida non per opprimereuna razza aliena ma per favorire la nostra stessa razza.Perché noi siamo convinte che sarebbe insano e suicidada parte della nazione non voler reclutare la propriaclasse dirigente tra i propri membri, dalla sua razzanativa".La distinzione agghiacciante tra "razza aliena" e"razza nativa" introduceva esplicitamente l'idea che unaparte di cittadini ungheresi erano "alieni" rispetto allanazione per cui avevano versato il sangue in guerra eche sostenevano con il loro lavoro. Negli ultimi tempidella sua vita Cécile Tormay introdusse un’ulterioretematica cara al nazismo: la polemica contro la Chiesa.Dedicatasi nei primi anni Trenta al romanzo storicoprodusse nel 1934 i primi due volumi di quella chedoveva essere una trilogia storica ambientata neltredicesimo secolo. L'opera, pubblcata postuma nel1937 con il titolo Il messaggero avito, proponeva loscontro tra valori cristiani e valori pagani. Secondo laTormay la responsabilità della perdita dei valori virili emilitari dell'Ungheria era dovuta alla influenza delCristianesimo.Xenofobia, antimodernismo, razzismo, antisemitismoe anticlericalismo oltre a fondersi nell'opera dellaTormay, segnalano il crescere progressivo einarrestabile del pensiero intollerante e il progressivoavvelenamento della società ungherese.Cécile Tormay morì il 2 aprile 1937 a Mátraházasenza poter vedere i frutti della intossicazione moraleche contribuì a diffondere. »Fonte: Il sito dell’Associazione Olocaustos(http://www.olocaustos.org)[N.d.R. Cécile Tormay nella sua rivista offrì opportunitàanche ai talenti ebrei, come ad es. allo storico e critico dellaletteratura, scrittore Antal Szerb... Apprezzò la capacitàletteraria dell’ebrea scrittrice e giornalista Margit Kaffka,vittima assieme al figliotetto dell’influenza spagnola, disdegnòinvece di quella Renée Erdős (v. pp. 123/124 del fascicoloprecedente della ns. rivista)...Durante la dittatura proletaria fino al crollo del 1989 ilpotere comunista del partito stato comunista cercava con tuttii mezzi ed in tutti i modi di escludere i discendenti degliintellettuali, cosiddetta dell’intellighenzia, delle famigliearistocratiche e borghesi sostituendoli, in ogni costo, dalproletariato in massa, anche se non erano adatti a certi ruoli emansioni nelle svariate sfere della società... I numeri limitatiper accedere ai licei, gli esami di selezione alle universitàservivano per limitare l’accesso di non origine contadina edoperaia... Né questa pratica era diverso dal numero clausus...I contadini più agiati, i cosiddetti kulak erano pure inbersaglio... L’elenco è lungo...]I.3 Cécile Tormay, la scrittrice proscrittaUn personaggio del tutto originale nella scenaletteraria d'inizio secolo è Cécile Tormay (Budapest1876 (?) - Mátraháza 1937), scrittrice di grande talentocapace di offrire raffinati squarci psicologici sull'animofemminile, che riflettono le contraddizioni dell'epoca, edi veementi prese di posizione politiche nel solco di unconservatorismo ultraradicale. Nata da una famiglia diorigine tedesca (il nonno si chiamava Krenmüller) chericevette il titolo nobiliare nel 1896, nell'anno del giu-<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 91


ileo millenario, cresce e si forma in un ambientearistocratico e cosmopolita. Durante i suoi viaggi inItalia, conosce D'Annunzio, che traduce due suenovelle. In Francia, conquista la stima e l'amicizia diAnatole France, che celebra la sua capacità di dar vitaalle «cose semplici e inerti». Dotata di un raffinatotalento linguistico, debutta in sordina, pubblcando versi,resoconti di viaggio, e una raccolta di novelle. Apróbűnök ([Piccole colpe], 1905) che non ottengono l'ecomeritata. La Tormay è infatti considerata un'outsider,una dilettante brava e marginale rispetto ai circoliintellettuali della capitale. Per educazione e indole siritrae dalla bohème degli scrittori, e dal laboratorioprogressista della «Nyugat». Non bazzica caffè,compone isolata in uno studio elegante, in mezzoall'arte di antichi pittori e preziosi ricordi familiari.Edizioni Alpes, Milano 1928; Edizione Statunitense d’epoca,Edizione Lazi, Szeged 2006Il suo primo romanzo Cuori fra le pietre(Emberek a kövek között, 1911), ottienemaggiore successo all'estero che in patria. InUngheria, lo recensisce una donna, la poetessa epittrice Anna Lesznai, con attenzione ma anchecon una certa freddezza. Perché all'analisiprofonda e mirabile della protagonista, secondola critica, non corrisponde una strutturanarrativa sufficientemente solida. La vicenda èambientata ai limiti della Grande Ungheria, sulconfine italiano. Una terra aspra, ferita daicrepacci, spazzata dalla bora, dove i cuoripossono naufragare tra le pietre e gli istintivirare in brutalità. La protagonista, Jella, è unacreatura passionale. Sua madre, Giacinta, natasul mare, un tempo donna di rude bellezza, vivesola tessendo reti per i pescatori. Nel villaggio èchiacchierata, odiata dalle mogli, per la sualeggerezza. Il padre è un carbonaio che abitaaltrove e picchia le amanti occasionali. Quando ilrude Davorin, spalleggiato dagli amici, cerca diviolentarla, Jella vuole fuggire altrove, lontanoda quelle montagne che rendono la gentecattiva. E trova, dopo aver attraversato a piedivalli e foreste, un mondo più pacato, ordinato,gentile, incarnato dal vecchio cantoniereungherese Péter Balog, che da ventidue annicustodisce i binari della ferrovia, fuma la pipa,cura alberi e piante. Dopo la morte di sua madre,Jella sposa Péter. Vive due anni con lui. Senzamai sentirsi felice, anzi provando una certapaura verso quell'uomo che ha diritto diavvicinarla nel buio della notte. Per sfogare lagiovinezza che si agita talvolta nel sangue, s'arrampicasui monti a pascolare le capre. Ungiorno arriva alla ferrovia un altro ungherese,giovane, bello, gentile. András Réz, figlio dicontadini, ha dovuto migrare perché il campo eratroppo piccolo per nutrire quattro figli. Giungeda quella «puszta» lontana che Jella ha sempresoltanto sentito nominare. Un luogo così diversodalle rocce carsiche sulle quali è cresciuta. Lapianura sterminata, dove l'occhio si perdeall'orizzonte, è quasi magico: laggiù le ragazzecantano e gli uomini parlano adagio conponderazione. E il nostalgico András, rispecchianel carattere la quiete lontana della sua terra, sacontrollare le passioni, ha la flemma millenariadel contadino che ara la terra «con lo stessoinfaticabile gesto», caratteristica moltocelebrata dalla letteratura populista, che laconsidera un tratto distintivo dell'autenticomagiaro. Di fronte alla selvaggia bellezza diJella, András non resiste. Per qualche tempo idue si amano, nascosti nei boschi, lontano dallosguardo del marito. Ma pur essendo forte edolce, la loro passione è condannata alfallimento. Per ché il temperamento slavo diJella non può accordarsi con l'animo tranquillo diAndrás. E così l'uomo preferisce cercarsi unamoglie del suo paese, laboriosa, silenziosa,desiderosa di famiglia. Il finale è tragico. Laragazza si suicida, gettandosi sotto il treno chetrasporta i due sposi novelli. Nella dolente e lucidaanalisi dell'animo femminile, straziato dall'amore, laTormay tratteggia una sua visione del mondo più ampiae più tragica: lo scontro tra culture radicalmentediverse. Il piccolo dramma tra Jella e András diventasimbolo della crisi vibrante nella duplice monarchia allavigilia della prima guerra mondiale. Perché la civiltàmagiara, portatrice di valori millenari, non è più ingrado di assimilare le altre etnie, che aspiranoall'indipendenza nazionale. [N.d.R.: È evidenziata dame qui ed anche successivamente. Fonte: Ventavoli,Bruno: L’umiliazione di Trianon in Storia della letteratura ungherese(A cura di Bruno Ventavoli), II. vol., Lindau, Torino, ristampa 2008. ]Nella presentazione dell’edizione di 81 anni fa silegge: «Cuori fra le pietre [Emberek a kövek között:letteralmente: «Uomini/Gente fra le pietre»] è il primoromanzo che ha scritto la de Tormay, ed è il primo deiromanzi dell'illustre scrittrice ungherese che sia statotradotto in italiano.I cuori fra le pietre sono quelli di Jella, la piccolaselvaggia deliziosa e quello di Andrea, il figlio dellapuszta ungherese, l'irregolare e il regolare pereccellenza, la figlia del caso e il discendente di unastirpe di lavoratori che da millenni lavorano la terracollo stesso infaticabile gesto.Ma il protagonista vero del romanzo è l'ambiente: leselvagge e petrose montagne che segnano il confine trala terra degli slavi e quella dei magiari e guardandodalle quali si scorge da una parte l’Adriatico e dall'altrail grande mare di terra degli ungheresi: la puszta.La Casa Editrice Alpes inizia con questo romanzouna nuova collezione di scrittori ungheresi; la scelta perl’inizio non poteva essere migliore. Di Cecilia de TormayAnatole France disse in un suo lusinghiero giudizio cheella sapeva dar vita alle cose semplici ed alle coseinerti, come pochissimi uomini e come nessuna donnaha saputo mai.92<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Leggendo i primi capitoli di questo interessanteromanzo ci si renderà pienamente conto dell'esattezzadell'asserto del grande scrittore francese.Pochi romanzi esprimono come questo la presenzavivente della natura, l'influenza su anime semplici eprimitive del paesaggio, del mezzo.La de Tormay narra le vicende della sua finzione inmaniera piana, diretta, immediata, intramezzata soloqua e la da riposi, da soste liriche di grande bellezza,spiegando per tutto uno stile d'una personalità e di unaoriginalità commoventi.»Nella Prefazione la Traduttrice presenta l’autrice CécileTormay e la situazione politico-sociale dell’Ungheria aglilettori italiani e veniamo sapere che Silvia Rho conobbepersonalmente l’allora celebre scrittrice magiara «che fuaddolorata per il suo paese, che si sacrificò per essooffrendo, offrendo tutta se stessa alla Patria, può enconsiderarsi come la vera palpitante animadell’Ungheria, come l’espressione più pura dellacoscienza nazionale. [...] La Tormay «imparòperfettamente la nostra lingua di cui poté servirsi conpadronanza assoluta tutte le volte che venne in Italia[...] che le è diventata cara, come una seconda patria.Nell’arte Cecilia De Tormay esordì giovanissima conalcuni tentativi teatrali cui arrise la fortuna.» Ma la famalarga incontrastata, le derivò da questo primo romanzoe ben presto venne tradotto in molte lingue europee.Nelle novelle Viaszfigurák ([Figurine di cera], 1918)la Tormay modella piccoli destini in una lingua intensaed espressiva. Poche frasi bastano a illustrarel'ambiente, il paesaggio, l'animo ardente dei personaggi.A far emergere contrasti e scelte fatali. InIdőtlen bolt [La bottega senza tempo], per esempio, unmercante soprannaturale vende a caro prezzo desideria uomini e donne, e una mamma sacrifica il proprioamante per ottenere la felicità del figlio. Fehér halàl[Morte bianca] è ambientato sulle montagne del Carso,povere, spaventose, violente. E durante una tempestadi neve, un vecchio brucia la croce di legno per riscaldarela capanna. La furia della natura si placa, lepersone raccolte nel tugurio scampano al congelamentoma si allontanano dal loro sacrilego salvatore.Viaszfigurák, il racconto che offre il titolo alla raccolta dinovelle, è quasi una riflessione autobiografica sullamissione ardua dell'artista, e sul peso titanicodell'estetica. Il protagonista è uno scultore di statue incera. Solitario, silenzioso, quasi paganamente devoto alculto della bellezza, gira i boschi per raccogliere la ceradelle api selvatiche. Con quella materia grezza,malleabile, il demiurgo ha un rapporto sensuale. Labacia, la plasma, la carezza. Le consegna sogni ericordi, in modo che l'informe complessità della vitatrovi senso nella limpidezza della forma. Crede che lesue opere possano giovare all'umanità. Ma s'illude.Perché la gente volgare e ordinaria è insensibile allabellezza. I passanti snobbano le sue creazioni,preferiscono accalcarsi presso i banchetti di undozzinale urlatore che vende figurine di zucchero ecandele colorate. D'un tratto qualcosa cambia. Per casogli uomini scoprono e comprano le sue statuette difanciulle e divinità. Non per contemplarle come opered'arte. Bensì per bruciarle, come fossero candele,originali addobbi di serate conviviali o cene galanti.Contesse, aristocratici annoiati, accademici supponenti,borghesi involgariti, pagano fior di quattrini peracquistare i bizzarri oggetti «alla moda». Il successo e ildenaro, per la Tormay, non sono segno di vittoria. Anzi,di una cocente disfatta. Il vecchio avrebbe volutoilluminare l'umanità con la purezza del Bello.Amaramente, constata, che il pubblico si ferma a unuso strumentale delle cose. Non riesce a capire il valoreideale dell'arte, la pensa piuttosto come una semplicemerce decorativa. Lo scultore sa che la sua missione di«insegnare» è fallita. Accanto al letto s'ammucchianomonete d'argento, ma le mani inquiete non creano più.E quando le statue sono finite, abbandona la folla.Sibilando a bassa voce che mentre le sue fanciulle dicera illuminavano le serate della gente ilare, lui ardevain una solitaria delusione. Come gli artisti cheperseguono un ideale aristocratico della creazione.Refrattari al successo, disgustati dalla viltà del denaro,distanti dalla volgarità delle masse.L'attrito tra ideali e stili di vita diversi è al centroanche di La vecchia casa (A régi ház, 1914), unromanzo storico [si tratta di un’edificio realmente esistito,il quale era la seconda casa vecchia situata nell’angolo dellaVia Fürdő e Mérleg: qui nacque la scrittrice] che, nel solcodei Buddenbrook, segue l'ascesa e il declino dellafamiglia Ulwing attraverso tre generazioni. Gliantenati erano poveri, facevano i taglialegna nellaForesta Nera, sentirono il richiamo imperioso delEdizioni del 1936, del 1914 ed una recente: Lazi, Szeged 2008Danubio e migrarono nell'Ungheria, ricca di opportunità,scendendo a Oriente lungo il fiume (una direzionesimbolicamente contraria a quella invocata da moltioccidentalisti liberal-borghesi). Erano uomini forti,onesti, laboriosi. E nella frizzante Pest Biedermeier, dicui la Tormay offre un affresco delizioso eappassionato, fecero fortuna. L'impresa di KristófUlwing si sfalda, però, nel corso delle generazionisuccessive. Perché la modernità rimette in discussione ipatrimoni, i ruoli, l'ordine sociale. Il lavoro materiale emanuale, viene affiancato da una potente e devastanteforza economica, la finanza, con le speculazioni diborsa, che permette, senza fatica fisica, di creareimmense ricchezze e di distruggerle nel giro di pocotempo. E quando la famiglia Ulwing fallisce, anche lavecchia casa patriarcale, simbolo di solidità e stabilità,viene abbattuta. L'ultima discendente degli Ulwingsposa Tamás Illey, esponente della gentry in declino,avviandosi verso un matrimonio malinconico e infelice,che culmina con la morte di lui. Nelle ultime pagine,rimasta sola, nella stanza del lutto, piena di fiori, Annasente da lontano la voce del Danubio. Lo stessorichiamo che avevano ascoltato i suoi antenati. Quelfiume e quella terra furono il destino degli Ulwing. Ora<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 93


che tutto è perduto, sembra che sia rimasto solo ilpassato. Fatto di memorie, di rovine, di antichi oggetti epatenti cartacee. Ma udendo i passi forti dei figlioletti,che camminano sul sentiero di ghiaia nella casa dicampagna, Anna rialza simbolicamente la testa. Prontadi nuovo alla speranza. La vita può ricominciare da loro.A llle, nel villaggio natale del marito, dove la bara èstata sepolta. Circondata dall'amore dei contadini, suquei campi che da secoli nutrono gli alberi, il grano, lavite. Perché anche gli esseri umani hanno radici,che avvincono il destino al suolo avito. E cosìcome una casa abbisogna di fondamentaprofonde e di travi massicce, un uomo deveritrovare il legame con la propria terra, unicagaranzia di serena autenticità in mezzo alletempeste del destino. Dove la piccola comunitàorganica rinnova il millenario patto sociale tra leclassi e tra gli individui che la modernità hafrantumato.Nella deliziosa narrativa della Tormay sirispecchia dunque il dibattito letterario eideologico della crisi della monarchia.(N.d.R.: Le osservazioni da me sottolineate soprasuonano notevolmente diverse di quelle del sito venetoebreo che riporto anche qua a proposito: «[...] Laprotagonista, Anna, è l'unica che avverte il rapporto'senza tempo' tra il suolo natio e l'anima umana. Ed èlei che raggiunge la consapevolezza che "sono soltantole famiglie che hanno le loro radici nella terra chesopravvivono. Invano la pioggia bagna i marciapedidelle città: nessun albero vi crescerà. Le famigliecittadine vivono in case che vedranno al massimosoltanto tre generazioni". La città - come simbolo dimodernità corruttrice - con il suo cosmopolitismo faparte di quell'armamentario fascista e nazista chevalorizzando un passato idealizzato e falso si difende daun presente che non riesce a comprendere. In questosenso la Tormay fa propria una tematica che è già oltreil conservatorismo ed entra pienamente nella mentalitàfascista.Non può allora stupire che il più importante bersagliodel razzismo della scrittrice siano proprio gli Ebrei.[...]»)Con lo scoppio della guerra e la dissoluzione del vecchioordine, il suo impegno diventa sempre meno letterarioe sempre più politico. Le metafore poetiche, letravagliate storie d'amore cedono il passo a unaprosa vieppiù virulenta e ideologica. Vere eproprie arringhe per la salvezza del paese, deivalori tradizionali della magiarità e dellacristianità. Nel 1918-19 la Tormay esce alloscoperto. Organizza riunioni. Tiene conferenze.Aderisce al gruppo di conservatori che cerca diresistere alla confusione seguita all'assassinio diIstvàn Tisza. Attacca violentemente il conteKárolyi, fautore della rivoluzione liberalborghese,che considera incapace, debole,traditore. E soprattutto si scaglia control'intellighenzia comunista che sta prendendo ilpotere, e vuole traghettare il Paese versol'anarchia bolscevica. Durante il regime di Béla Kun,[N.d.R. ebreo, il suo nome originario è: Berele Kohn] laTormay viene condannata a morte, vive clandestina incasa di amici, e salva le pagine di un diario che da allestampe nel 1920. Si intitola Bujdosó könyv [Il libroproscritto] e racconta gli eventi dall'ottobre 1918 almarzo del 1919. [N.d.R. Questo è sbagliato. Correttamenteè: dall’ottobre 1918 all’agosto 1919. Cfr. più avanti.]I toni del libro sono estremi. Veementi. Maindiscutibilmente efficaci. La testimonianzascritta a caldo restituisce il senso della disfatta,della paura, dell'apocalisse che Budapest el'Ungheria vivono dopo la sconfitta. Nelle straderegna il caos. Si sentono sparatorie, scoppianodisordini e manifestazioni. Soldati e marinai,sfuggiti a ogni controllo, girano armati,spadroneggiano, rubano, seminano violenza. LaTormay è testimone oculare di contadinederubate da ceffi armati e di ufficiali mutilati,malmenati solo perché portano con orgogliodecorazioni e galloni del glorioso esercito. Nellecase aristocratiche si tengono riunioni concitateper mettere insieme un fronte di salvezzanazionale. La Tormay organizza l'Associazionepatriottica delle Donne Ungheresi, che raccogliemogli e vedove della vecchia classe dirigente.Parla in pubblico. Arringa. Si rivolge agliungheresi autentici perché resistano contro ilpericolo rosso, e chiede aiuto ai politici stranieriperché l'onore e i confini storici dell'Ungheriasiano salvaguardati. Perché sul suolo di quelpaese distrutto e abbandonato si stacombattendo una battaglia universale, tra ivalori della civiltà occidentale e la violenzabolscevica. È spiata da agenti segreti, pedinata,controllata. Si sente braccata e insicura macontinua a resistere. Raccoglie fondi, scriveconferenze. Giorno dopo giorno aumental'insicurezza, le case vengono violate, laproprietà privata è una colpa, mancano i generialimentari, il carbone per riscaldarsi, il denaronon ha più valore. Dalle regioni estreme delpaese giungono notizie terribili. I cechi occupanoil Felvidék, i serbi le zone meridionali, i rumenidilagano in Transilvania. Il governo insipiente èimpotente. Non riesce più a proteggere il propriopopolo. Le truppe straniere rapinano e uccidono,massacrando bambini, donne, vecchi. Mentre irappresentanti dell'Intesa, e soprattutto gli altiufficiali francesi, sono complici sprezzanti dellamutilazione ungherese. La descrizione dell'incontro aBelgrado tra la delegazione ungherese e Franchetd'Esperay è emblematica per discutere le condizionidell'armistizio. Il generale in alta uniforme accoglie ilconte Károlyi e i suoi consiglieri, vestiti con abiti sportivi«come se fossero andati a un match di football alNépliget». Il francese non tende loro neanche la mano.Li guarda dall'alto in basso. Ascolta ironico il discorso«impacciato» di Károlyi, guarda sprezzante ilmemorandum compilato da Jászi [N.d.R.: Oszkár Jászi(Jakobovics), ebreo, sociologo, professore universitario,redattore, politico membro del Consiglio Nazionale Ungherese,ministro senza portafoglio delle minoranze etniche delGoverno Károlyi]. Quando gli vengono presentati «comeuna conquista della rivoluzione» i due rappresentantidei consigli dei lavoratori e dei soldati, commenta:94<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


«Vous étes tombés si bas?». E soprattutto chiededisdegnoso: «Vous étes juifs?». Dopo aver «trattatocome cani», gira i tacchi, se ne va a mangiare con glialtri ufficiali francesi, senza discutere nulla.Il Libro proscritto è pervaso da un fastidiosodisprezzo verso gli ebrei. Ma i toni sonoindicativi per comprendere le origini delrisentimento antisemita che esplode virulentotra le due guerre, che infetta altri scrittori delconservatorismo radicale come Dezső Szabó, eche cancella di colpo la felice integrazione deldualismo. I «giudei» sono ritenuti i maggioriresponsabili della rivoluzione. Béla Kun, il cuipadre arrivava dalla Galizia, durante la guerra siè arreso subito ai russi, è stato indottrinato daicomunisti, ha fatto l'agitatore tra i soldatiprigionieri, ed è tornato in Ungheria con valigiedi denaro per finanziare la rivoluzione. Lamaggior parte degli intellettuali progressistiappartengono alle fila dell'ebraismo assimilato.E sono responsabili dello scardinamento delvecchio Stato. Negli uffici della pubblicaamministrazione e ai vertici dell'esercito ci sonoora «quelli che prima stavano dietro il banconedei negozi o dietro le scrivanie delle banche, oche lavoravano nelle redazioni dei giornali ederidevano l'inetta classe di intellettualiungheresi, che campavano con salari da famenegli uffici statali». Gli ungheresi vengonoallontanati, scippati, esautorati. Il potere ora ènelle mani di chi «ha fatto i milioni speculandosulla guerra e si è arricchito con la rivoluzione».I teatri più eleganti della capitale si riempiono diebree ortodosse, imparruccate, ingrassate dallacarne d'oca, che chiacchierano in yiddish egettano in terra pezzi di carta unta.L'ultima pagina [N.d.R. del primo volume] è datata 21marzo. Una giornata di intensa pioggia primaverilecarica di presagi funesti. Le gocce sulle impostesembrano dita di scheletro che battono per entrare incasa. Il governo si è dimesso. Il colonnello Vyx halanciato un ennesimo ultimatum per arretrareulteriormente la linea di demarcazione. Károlyi hadeciso di dare il potere a comunisti e socialisti. Un'autostatale va a prelevare Béla Kun in carcere per portarloal seggio di primo ministro. Cécile Tormay riceve visitedi amiche e colleghe dell'associazione. Incontri edialoghi concitati. La fine è vicina. Volti pallidi, sguardiche scrutano spaventati in giro, come se la poliziadovesse arrivare da un momento all'altro. Un giovanegiornalista dice alla scrittrice di scappare, perché moltisaranno arrestati quella notte stessa. E lei non deveconsegnarsi come preda alla loro vendetta. Mentreparlano si sentono spari nelle strade. E la Tormayimmagina la scena notturna. La sua grande casa vuota,la maniglia della porta che gira. Intanto una voceterribile urla nella strada «Viva la dittatura delproletariato». Sono le ultime parole [N.d.R. del primovolume] del Libro proscritto. Prologo ai giorni del terrorerosso.Il libro riscuote successo nell'Ungheria horthysta eall'estero. Dopo i mesi della proscrizione Cécile Tormaytorna a essere personaggio pubblico. Dedica gran partedelle energie alla rigenerazione morale del paese.Ricostituisce e presiede l'associazione nazionale delledonne ungheresi. Nel 1922 fonda la rivista letterariaconservatrice «Napkelet» [Oriente], che nel titolo evocale radici ancestrali dei magiari, cavalieri nomadi arrivatidall'Asia estrema, e nello stesso tempo si opponeidealmente alla «Nyugat», tradizionale tribuna degliintellettuali progressisti. Si parla della Tormay per ilpremio Nobel, e per importanti cariche in associazoniinternazionali. Nel 1934 concepisce un ambiziosoromanzo storico, secondo il gusto dei tempi, che aspiraa rinfrancare la coscienza nazionale dell'Ungheriamonca, raccontando le antiche gesta eroiche. Az ősiküldött [II messo avito] è una trilogia, di cui esconosolo i primi due volumi. Il terzo rimasto incompiuto perla morte dell'autrice, viene concluso da Miklós Kállay. Lavicenda è ambientata nell'Ungheria medioevale dellelotte tra pagani e cristiani, dello scontro tra Occidente eOriente, che non s'è mai concluso, e di cui la primaguerra mondiale e il precario ordine susseguente, nonsono che un tragico epilogo.I.4 L’eco italiano, francese della più grandescrittrice magiara d’Ungheria dei primi trent’annidel 900 nell’epocaI.4.1 CECILIA DE TORMAYLa copertina e lo stemma dellaGrande Ungheria/Ungheria storicariportato sul retro della copertinadell’edizione italiana del romanzo«Cuori fra le pietre» nel 1928.Cecilia De Tormay, questa celebre scrittriceungherese che ha dolorato pel suo paese, che si èsacrificata per esso, offrendo tutta se stessa alla Patria,può ben considerarsi come la vera palpitante animadell'Ungheria, come l'espressione più pura dellacoscienza nazionale.La sua vita si deve distinguere in due periodi. Nelprimo si forma l'artista in un fortunato ambiente coltoed eletto; fra la pace prospera del suo ricco paese ellalavora, scrive, si perfeziona, provando appieno la felicitàdi creare. Ma nel secondo periodo l'arte, che le fu sinoallora suprema ragione di vita, è sacrificata allepreoccupazioni patriottiche e sociali, alla difesadell'infelice Ungheria, spezzata, dilaniata, mutilata dallerivoluzioni interne e dagli smodati appetiti dei popoliconfinanti.Nacque a Budapest, ma la sua famiglia possedevadelle terre a Nádudvar, nella parte più orientale diquella sconfinata, solitaria pianura magiara, dove «la agente parla poco e la voce e i gesti hanno un più largosignificato, e tutto si ode, tutto si vede da lontano». Èla Puszta sterminata che le mandre di cavalli, ebbri di<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 95


spazio, attraversano di galoppo rombando nel vento,dove il senso della vita sotto tanta immensità di cielo siaffina, e la misteriosa Délibáb — la giovinetta fata dellavasta pianura magiara — culla i sogni e dà ali allafantasia.La famiglia di questa scrittrice era nobile per titoli,nè lo era meno per elevatezza di sentimento, peraltezza di coltura, e la tradizione patriottica virappresentava, di generazione in generazione, la mollapotente su cui ogni azione era imperniata.In quell'ambiente Cecilia De Tormay ricevetteun'educazione schiettamente magiara; ma i suoi studifurono vasti e multiformi, indirizzati tanto allanuovissima cultura germanica (il tedesco è lingua usatacorrentemente dagli ungheresi) quanto a quella classicalatina, che nella vita intellettuale magiara tenne sempreun posto grandissimo, sin dai tempi più remoti, e checulminò col regno del gran re Mattia Corvino, — periodoaureo della latinità in Ungheria.Così Cecilia imparò perfettamente anche la nostralingua di cui potè servirsi con padronanza assoluta tuttele volte che venne in Italia, pellegrinandoamorosamente non solo attraverso le nostre metropoli,ma anche per le piccole città del silenzio, per glisperduti villaggi, e le remote campagne, di cui conobbei cantucci più reconditi, le più riposte bellezze, tanto chel'Italia le è diventata cara — ella dice —- «come unaseconda patria».Nell'arte Cecilia De Tormay esordì giovanissima conalcuni tentativi teatrali cui arrise la fortuna. Ma la famalarga incontrastata, le derivò dal suo primo romanzo«Cuori fra le pietre» (Emberek a kövek között) benpresto tradotto in molte lingue [...].Il suo secondo libro «La vecchia casa» (A régi ház) èun romanzo prettamente ungherese. È il racconto delletre generazioni di una famiglia che si svolge d'accordocolla storia della nuova capitale: l'antica cittadella diBuda, così tranquilla e solitaria al di là del Danubio, chesi congiunge alla moderna Pest attraverso vicendestoriche nella quale emergono fatti e scorci di figurenotevoli dell'epoca. Premiato all'Accademia di Ungheria,questo libro dall'arte discreta e vigorosa ad un tempo,che fa pensare a una serie di bellissime acqueforti, hacollocato Cecilia De Tormay fra le più eminenti scrittricinazionali.A questo romanzo seguì «Figurine di cera»(Viasfigurák) volume di novelle di una varietàstraordinaria, di un'originalità assoluta, con scorcid'ambiente tracciati da mano maestra.Ed ecco il 1914, ecco la guerra Europea, la guerranon desiderata dagli Ungheresi costretti a combatterla afianco dell'Austria contro l'Italia, colla qualesimpatizzavano da tanto tempo, con la certezza chedall'immane conflitto non poteva derivare loro alcunbene.Difatti la fine della guerra col crollo della monarchiaAustro-Ungarica, segnò per l'Ungheria l'inizio di unaserie di tragici eventi.La propaganda comunista che già aveva accelerato ladisfatta delle armi e inquinato l'esercito e le masse,andava spargendo nel paese il disordine e ladisorganizzazione. Già la rivoluzione Károlyiana era alleporte; l'assassinio di Tisza, Presidente del Consiglio,atterrì la popolazione; la perplessità, la sfiducia, ladisperazione era in tutti gli animi. In quella tragica oradi disordine, di tenebre e di minaccia, nessuno osavapiù nulla. Ma Cecilia De Tormay fu dei pochi cheosarono. Scrivendo nei giornali, organizzando associazioni,parlando alle folle, tutto fece perché la sua patrianon cadesse in preda all'anarchia, non venisse travoltanei prevedibili orrori della rivoluzione bolscevica; e,instancabile, eroica, additando giorno per giorno ilsovrastante pericolo, lanciò un supremo appello agliAlleati vincitori perché i confini dell'Ungheria, che ilgoverno non proteggeva più, fossero rispettati.Per questa sua pericolosa attività, invisa al ConteKárolyi, temuta dai comunisti soverchianti, la scrittricefu iscritta sulla lista dei condannati alla pena capitale,pena che Béla Kun, col suo avvento al potere, sipropose di mettere in immediata esecuzione.Ella fece appena in tempo a fuggire dalla capitale.La sua odissea attraverso gli infelici paesidell'Ungheria straziati dal terrore rosso e dallaguerriglia, dove in ogni angolo era celato un traditore,per le case donde — appena ospitata, appena ellaassapora il benefico ristoro di un rifugio — deve tostoripartire per non compromettere gli amici, ella l'hanarrato nel «Libro Proscritto» (Bujdosó Könyv), il diarioin cui giorno per giorno, ella annotava gli avvenimentiche si seguivano nella capitale e nel paese, fogli che eracostretta a nascondere cautamente alle continueperquisizioni, perché la scoperta di essi le avrebbecostato la vita. Il «Libro Proscritto» fu pubblicatoappena l'ordine si ristabilì nel paese e suscitò inUngheria una vera ondata di passione. Su questodrammatico documento di uno dei periodi più tragiciche registri la millenaria storia del popolo ungherese, glistorici potranno fare più tardi serene ricerche, analisi,confronti.Il «Libro Proscritto» ebbe grande influenzaammonitrice in tutti i paesi in cui fu tradotto e letto, e sideve alla larga diffusione che la magnifica edizioneinglese trovò negli Stati Uniti, se a Károlyi fu impedital'opera di propaganda comunista che egli contava, coisuoi accoliti, di esplicare colà.Basterà leggere quest'opera per conoscere appieno lasventura della nazione alla quale l'Italia si èrecentemente tornata ad avvicinare per tradizione disimpatia e per analogia di cultura e di vicende storiche,che non è qui il caso di ricordare ma che tutti gli italianidovrebbero conoscere; sventure delle quali un nobileinglese si sta occupando in una campagna giornalistica,che fa onore all'Inghilterra e che ha per iscopo larevisione dell'iniquo trattato di Trianon.L'attività che Cecilia De Tormay esplicò in questosecondo periodo della sua vita, è un'opera sociale epolitica di alto valore, tutta dedita alla ricostruzione ealla rigenerazione del suo paese. Giacché ella ha unagrande fede, e riesce a comunicarla a quantil'ascoltano, che la sua patria tornerà pienamente arifiorire e le terre usurpate a congiungersi al corpomutilato dell'Ungheria, ma sa che per giungere a questoè ancora necessario molto lavoro, molto sacrificio, e dilavoro e di sacrificio ha dato e da mirabile esempio.Quando io la conobbi, alcuni anni fa a Budapest, lanazione era ancora assai lontana dall'aver riacquistatol'odierno benessere economico; Cecilia De Tormayaveva quasi disertato il suo studio tranquillo, il delizioso96<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


angolo di pace, dove tra l'arte di antichi pittori e ipreziosi ricordi famigliari, ella aveva scritto, ispirata, lepagine dei suoi romanzi. L'arte era un lusso di tempi piùsereni ed ella allora non poteva concederselo che benraramente.In quelle fortunate soste ella riuscì ad ogni modo ascrivere poche ma stupende novelle che sono tra le suemigliori, e per il giubileo frascescano ha dato allestampe la traduzione dei Fioretti di San Francesco in unungherese arcaico, che conserva tutto il profumodugentesco dell'originale.Ora che la calma e un discreto benessere economicosono tornati nel paese, Cecilia De Tormay riprende alavorare al romanzo a cui pensa da tempo: «A fehérbarát» (II Monaco bianco), che sarà forse il suocapolavoro, poiché ella lo avrà martoriato dei suoidolori, delle sue penose esperienze, della lotta chesostiene da anni contro i suoi nemici — che sono anchei nemici della sua patria — lotte che hanno fattosanguinare il suo cuore e affralito la sua persona, mareso più salda la sua anima, più fulgido il suo ingegno.Dell'opera di questa scrittrice, tradotta e nota comegià dissi, in Europa e in America, poco comparve sinorain veste italiana. Due novelle tradusse il D'Annunzio,che ha per questa grande ungherese una schietta eaffettuosa amicizia, ma esse non furono ancorapubblicate. Altre novelle, tradotte da me, apparverosulla Stampa, sul Minerva, sulla Nuova Antologia, e laGazzetta di Puglia. «Cuori fra le pietre» è quindi il primoromanzo dell'autrice ungherese che si pubblica in Italia.In questo libro l'Autrice mette di fronte due creatureche l'amore avvince, ma disgiunge irreparabilmentel'istinto di attaccamento alla terra diversa a cui esseappartengono. Jella è la deliziosa, selvaggia «piccolaanima errante della montagna» che sente fremere in sélo spirito dei suoi monti solenni e solitari, mentreAndrea è il figlio della puszta, dell'immensa pianuramagiara dove i suoi avi da un millennio arano la stessaterra «collo stesso infaticabile gesto». Il bel romanzo,oltre a questo appassionante conflitto d'anime checonduce alla tragedia, rende, con maestria di artista, lasublime poesia del paesaggio e delle cose. Delle cosesemplici, delle cose inerti «a cui ella (disse in un suoben lusinghiero giudizio Anatole France) è riuscita a darvita, come pochissimi uomini e mai nessuna donna hasaputo».SILVIA RHOFonte: «Prefazione» in Cecilia De Tormay, «Cuori fra lepietre», Edizioni Alpes, Milano 1928, collana Scrittoriungheresi. Traduzione di SilviaRho.I.2. CÉCILE DE TORMAYI.2.1L’edizione francese delLibro proscritto nel 1925 èarrivata alla ottavaedizione. Però questaedizione non offre il librointegro, è soltanto unadattamento essenziale deltesto originale fatto dai traduttori Marcelle Tinayre ePaul-Eugène Régnier.L’Introduzione s’inizia con la presentazione fisicadella circa 35enne scrittrice magiara, con unafemminilità da energia virile, con l’anima orgogliosa edaffettusoa, dotata della passione, dell’intelligenza, digrande sensibilità. Poi, s’annota tra le altre cose chetradurre un libro è di vivere in intimità di uno scrittore,di penetrare la sua anima, per assimilarlo, riproducendoi movimenti e le sfumature del suo pensiero. S’affermainoltre che l’arte e lo stile della composizione dellaTormay - di striatura ungherese bionda un po' disangue germanico e un po' di sangue francese - non èuna vuota retorica, non è un falso lirismo. Poi leggiamoin generale alcune brevi osservazioni sulla letteraturamaschile e femminile con citazioni di nomi di SelmaLagerlof, Grazia Deledda, George Eliot, le sorelleBrontë, Humphrey Ward, Edith Wharton, MatildeSerao, George Sand, Walter Scott, Waverley. Diseguito si passa ai cenni biografici ed alcune opere dellaTormay.Non possiamo non essere d’accordo con leaffermazioni come: «Le donne sono le vittime innocentidella guerra che infuria e gli uomini sono i soliresponsabili. Esse possono solo piangere, pregare,aiutare coloro che soffrono e sostituire coloro chevanno a fare il loro terribile dovere. Lasciate ogni cuorepieno di amore per il loro paese, e resti libero da ogniodio! Le madri non odino le madri e le vedovepiangenti abbiano pietà per le vedove. Questa non èuna forma di vigliaccheria che si maschera come i beinomi: è l'espressione più umana della femminilità.»Poi si citano le vicissitudini dell’ardente patriota CécileTormay che aveva servito il suo paese durante laguerra, in ambulanze e negli ospedali. Ha continuatoquesto servizio di carità sotto il governo del conteMihály [Michele] Károlyi, ma la disorganizzazione delleforze armate, gli eventi organizzati dai bolscevichi edagli ebrei nell’Ungheria hanno portato Cécile Tormay auna vita di azione e di lotta, eccitante ma pericoloso.Questa bella donna giovane, questo sogno biondo,divenne apertamente e segretamente, l'anima dellaresistenza. Per difendere il pensiero «nazionale ecristiana», ha fondato l'Associazione delle donneungheresi. Mihály Károlyi voleva arrestarla. Avvertita daamici, la scrittrice si rifugiò nelle province(Balassagyarmat, Ipoly) sotto il nome di Erzsébet[Elisabetta] Földváry, preso in prestito.Durante l'anno terribile di esilio non ha mai cessatodi scrivere, ogni giorno, nelle condizioni più difficili l’hacontinuato. Ha scritto sotto la dettatura di vitaquotidiana e le pagine disgiunte, sparsi, hanno formatopiù tardi, i due volumi del Libro proscritto. «Il titolo diquesto libro, lei scrive, è stato dato dal destino.Progettato in esilio, sotto la minaccia di morte chesoffocava tutte le voci che gridavano il dolore magiaro.Scappava da casa, si nascondeva in un castello, in unavilletta di una piccola città, in una tenuta di campagna.Le pagine del diario si nascondevano divise inframmenti, tra i fogli di altri libri, sul crinale dei tetti,sulla canna fumaria dei camini, nelle cantine profonde,dietro i mobili, e sepolto sotto la terra. La mano dellapolizia segreta, gli stivali dei soldati rossi l’hannosfiorato. Tuttavia, il diario è miracolosamente<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 97


sopravvissuto, per commemorare le vittime, dopo chele loro tombe saranno già ammaccate, dopo che i buchidelle forche saranno già coperte dall’erba... Questo nonè solo la storia della rivoluzione... Volevo che il mio libroparlasse di queste cose di cui gli ignari storici del futuronon avranno conocenza perché, si doveva viverle...» ...Régnier aggiunge ancora tra le altre cose: «QuandoMarcelle Tinayre mi ha chiesto di tradurre il Libroposcritto insieme con lui, io l’accettai non soltantoperché consocevo l’alto valore di tutte le opereletterarie di Cécile Tormay, ma anche perché ho lettol'originale e sentivo che il Libro proscritto ha evidenziatoed ha reso lo stato d'animo della stragrandemaggioranza degli ungheresi in modo accurato ... e chenon era nostro interesse di ignorare questo statod'animo... Dalla sanguinosa repressione dellarivoluzione ungherese del 1848-49, la voce d’Ungheriaci è pervenuta soltanto distorta da parte della stampa edella diplomazia austriaca. Nelle pagine seguenti, arrivadi nuovo direttamente, come quando Lajos [Luigi]Kossuth viaggiava per il mondo in cerca di conforto peril suo paese oppresso... Nella prima parte del Libroproscritto, la signora De Tormay ci racconta, in terminidrammatici, la disperazione dei patrioti ungheresi...»Dato che ho soltanto accennato alcune cose tratante altre informazioni dell’Introduzione ed a causadella mancanza del tempo non ho potuto tradurla initaliano, perciò di seguito riporto il testo francese informa integrale:I.2.2Une jeune femme pas très grande, au clair visagecouronné de cheveux cendrés; le teint pâle et commetransparent des vraies blondes, coloré aux joues, auxlèvres, d'un rose léger que la moindre émotion avive; lenez fin, la bouche gracieuse sans mollesse, les yeuxlarges, purs, du bleu-gris de certaines fleurs — desyeux qui voient plus loin et plus profond que les yeuxdes autres femmes, et qu'on ne peut oublier quand ona croisé leur regard. Trente-cinq ans peut-étre, maisune jeunesse encore intacte: toute la féminité avec uneénergie virile, la passion sans le désordre, l'intelligenceaccordée à la sensibilité, une áme fière et tendre, quicontenait, déjà, en puissance, l'héroïsme futur — telleétait, lorsque je la vis, en 1914, Mme Cécile de Tormay.Je venais de traduire, avec Jean Guerrier, sonadmirable roman, Au -pays des pierres.Traduire un livre, c'est vivre dans l'intimité d'unécrivain, pénétrer son âme, s'assimiler à lui, enreproduisant les mouvements et les nuances de sapensée. Tâche difficile, quand une sympathie spirituellen'existe pas entre l'auteur et le traducteur. Pourexprimer le sens, pour conserver, en la transposant, laforme d'une œuvre, il faut l'intelligence que donnel'amour. Une mauvaise traduction est, avant tout, unmalentendu, comme les malentendus qui séparentcertains êtres sont des interprétations erronées de telsou tels actes, de tels ou tels sentiments. On necomprend bien que ce qu'on aime.Parce que j'avais beaucoup aimé son œuvre, Mme deTormay ne me semblait plus une étrangère. Je la vis,quotidiennement, pendant quelques jours, et cela suffitpour que notre curiosité réciproque devînt une hauteamitié.Cette Hongroise blonde a dans les veines un peu desang germanique et un peu de sang français. «L'amourde la forme élégante, me disait-elle, le goût de laphrase simple, souple, musclée, c'est mon aïeulefrançaise qui me l'a laissé en héritage, — une petitedame gracieuse dont les yeux ont vu la cour de votreroi Louis XV...» C'est un héritage latin que ce sens dustyle et cet art de la composition par quoi les romansde Mme de Tormay, maigre leur ample développement,ne font jamais «longueur» et gardent le mouvement dela vie. Pas de vaine rhétorique, pas de faux lyrisme.Dans une atmosphère poétique, l'ouvrage conserve lecaractère du roman, du récit conçu objectivement,miroir où la vie se reflète, plus vraie que dans saréalité. Depuis qu'on a inventé qu'il existe une«littérature féminine», considérée comme une régionparticulière, isolée, inférieure, de la littérature moderne,on s'évertue à trouver entre les femmes écrivains desressemblances qui permet traient de les comparer,entre elles, et de les classer... dans une sorte de«petite classe». Pour justifier cet arrangementarbitraire, on a prétendu que toutes les œuvres defemmes ont au moins un trait commun: leursubjectivité; que, poèmes ou romans, elles ne sontjamais que des effusions et des confessionspersonnelles, et le plus souvent des autobiographiesdéguisées. Cela est vrai pour les poètes et pour laplupart des romans de poètes, cela est vrai aussi debeaucoup d'ouvrages masculins, car les hommes denotre temps se racontent volontiers, abondamment. Sil'imagination créatrice manque à la femme qui refaittoujours le même roman — son roman — combien y a-t-il, sur ce point, d'hommes qui sont femmes?... Mais la«littérature féminine» a compté et compte encore desromancières véritables, capables de concevoir un sujet,de créer un milieu, de peindre des êtres observés dansla vie, et qui ne sont pas seulement des prolongementsde l'auteur ou l'auteur lui-même sous différentsmasques. J'ai nommé Selma Lagerlof et GraziaDeledda; je pense à George Eliot, aux sœurs Brontë, àMrs Humphrey Ward, à Mrs Edith Wharton, à MatildeSerao, sans prétendre les comparer l'une à l'autre.Inégales, elles ont toutes ce don de la créationobjective qui est l'apanage propre et la marquesignificative du romancier, et qui n'a pas manqué àGeorge Sand, quoi qu'en disent ses détracteurs actuels— qui ne l'ont pas lue. Cécile de Tormay a reçu ce donde la nature, et elle l'a développé, par le travail.La vocation de ces romanciers prédestinés se révèledès l'enfance. George Sand, toute petite, se racontait àelle-même d'interminables histoires, pleines dedigressions et qui finissaient toujours bien. A huit ans,George Eliot, enthousiasmée par le roman de WalterScott, Waverley, en fit une transcription à son usagepour se consoler de n'avoir plus l'original quiappartenait à un voisin. Les trois sœurs Brontëécrivaient des contes et des drames, et elles avaientfondé, avec leur frère Branwell, un magazine oùCharlotte, âgée de treize ans, tenait gravement larubrique de la politique, et commentait les discours de98<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


M. Peel!.... Cécile de Tormay, instruite dans unpensionnat anglais de Budapest, se divertissait àrédiger un journal pour ses compagnes d'études, etfaisait ainsi l'apprentissage naïf d'une forme littérairequi exerce toutes les facultés de l'écrivain, en l'obligeantà varier sans cesse l'expression de ses idées. Elleécrivit même une pièce de théâtre où elle joua le rôleprincipal.Ses parents ne contrarièrent pas ce goût de lalittérature qu'ils avaient transmis à leur fille. Béla deTormay de Nádudvar, secrétaire d'État, membre del'Académie des sciences de Budapest, était, à la fois, ungrand agronome et un excellent écrivain.. Il aimaitpassionnément la terre hongroise, il connaissait bien lespaysans. On lui doit toute une série de travaux sur lascience de l'agriculture, très supérieurs à la plupart desouvrages du même ordre. Mme Béla de Tormay étaitdigne de son mari, aussi remarquable par les qualitésde l'intelligence que par les vertus du cœur. Ensemble,le père et la mère firent l'éducation de leurs enfants. Lepère leur enseigna l'amour de l'étude, le respect de laterre, le devoir de l'effort. La mère cultiva en eux lafierté d'une noble race et le plus chaud sentimentnational. Cette double influence se retrouve, en traitsinoubliables, dans la personne et dans l'oeuvre deCécile.Jeunesse rêveuse et studieuse, lectures, songeries,essais timides, longs séjours à la campagne, dans lesmonts boisés, tout sonores de torrents, dans la plaineinfinie où déferle la houle dorée des moissons, où laligne de l'horizon apparaît, comme en haute mer,exactement régulière et ronde sous la coupole ardentedu ciel. Séjours dans les villages aux maisons peintes,qu'habitent, — dans les chambres fraîches et bariolées,parmi les meubles rustiques décorés d'oeillets styliséset d'éclatantes tulipes, — les laboureurs en vestecourte, et les filles aux jupes superposées, auxchemises blanches, aux tresses mêlées de rubans. C'estun peuple robuste, amoureux du sillon, de la meule,des chevaux à demi sauvages, de la musique et de ladanse; un peuple fier de ses annales et de sestraditions, et qui n'a pas la moindre disposition àdiminuer la valeur de son rôle historique... Ce peupleque Béla de Tormay avait tant aimé et si bien servi, lajeune fille lui donna tout son cœur. Elle avait débuté, àdix-huit ans, par un volume de nouvelles, suivi bientôtd'un autre volume et de deux pièces, jouées au théâtreUrania, la Maison des sirènes et la Ville des fleurs. En1911, elle publie Au pays desserres — littéralement :les Hommes parmi les pierres — qui fut immédiatementtraduit en allemand, en anglais et en français. Succèsretentissant 1 Cécile de Tormay est maintenant unécrivain célèbre, et l'une des jeunes gloires de laHongrie.La beauté de ce livre, c'est la vie qui l'anime, la viequi déborde les personnages et qui palpite, énorme,confuse, effrayante, autour de l'amoureuse tragédie.Parmi les forêts et les rocheuses étendues désertiques,dans le pli noir des vallées où glissent des cascades, oùpenchent sur l'abîme les pauvres maisons deshameaux; sur les cimes calcinées, devant l'immenseprofondeur de la puszta qui se déroule, tout en bas,«comme une plaque d'acier bleui forgée dans la courbedes montagnes», deux forces élémentaires s'attirent etse combattent : André Réz, le Hongrois de la plaine,Yella, la fille des monts. On se rappelle le début siémouvant, la mort de la mère, — étrangère honnie,venue du rivage adriatique au morne «Pays despierres»; la douleur farouche de l'innocente, le mariagede l'orpheline avec un homme mûr, sage et triste, quicroit tenir cet oiseau des libres espaces dans samaisonnette de garde-voie puis l'arrivée d'André Réz, lasaison d'amour parmi les complicités de la forêt et de lamontagne, le départ de l'amant, l'attente silencieuse etdésespérée ; et cette mort d'Yella qui fait songer, par lasimplicité tragique du détail, à la fin d'Anna Karénine.En 1914, à la veille de la guerre, parut un roman d'uncaractère tout différent et peut-être supérieur au Paysdes pierres. C'est la Vieille maison, qui reçut le grandprix de l'Académie hongroise, et qui a été traduit danspresque toutes les langues d'Europe. La Vieille maisonest la première partie d'un triptyque qui doit — oudevait — composer une sorte d'histoire de la Hongriemoderne, un peu selon la formule balzacienne. Troisgénérations, depuis Christophe Ulwing, le grandancêtre, se succèdent dans la vieille maison construiteau bord du Danube, en un faubourg de la petite ville dePest; et toute une famille s'élève, s'étend, décline,reflétant dans ses âmes multiples les transformationssociales et politiques d'un demi-siècle de vie magyare.Mais la guerre vint...* * *Je n'ai jamais revu Cécile de Tornay depuis ce soir dejuin 1914 où je lui dis un adieu fraternel. Bien souvent,pendant les sombres années, j'ai pensé à elle qui étaitde l'autre côté de la mêlée. Que d'amitiés se brisèrentainsi! Mais comment aurais-je retiré la mienne à cegrand esprit, à ce cœur si noble? Ici, nous n'avons pasde haine contre le peuple hongrois.Les femmes sont les victimes innocentes de la guerreque déchaînent les hommes et dont les hommes seulsportent la responsabilité. Elles ne peuvent que pleurer,prier, secourir tous ceux qui souffrent et remplacer, deleur mieux, ceux qui vont à leur terrible devoir. Quetout leur cœur soit plein d'amour pour leur pays, et qu'ilreste pur de toute haine!Les mères ne haïssent pas les mères en pleurs, et lesveuves ont pitié des veuves. Ce n'est pas là une formede cette lâcheté qui se déguise sous de beaux noms:c'est l'expression la plus humaine de la féminité.Enfin, après l'armistice, je reçus des nouvelles deCécile de Tormay. Un petit volume, les Figures de cire,venait de paraître. C'est un recueil de nouvelles déjàanciennes. Gabriele d'Annunzio avait voulu traduire luimêmeen italien l'une des plus parfaites : Notre-Dameen Arcadie.Mais c'était là une œuvre du passé. Un autre livre, untrès grand livre, suivit bientôt les Figures de cire, ettoute la Hongrie, douloureuse encore de sa défaite,tressaillit quand parut le Livre proscrit.Patriote ardente, Cécile de Tormay avait servi sonpays, pendant la guerre, dans les ambulances et dansles hôpitaux. Elle continua ce service charitable, sous legouvernement du comte Michel Károlyi, mais ladésorganisation de l'armée, l'encouragement donné auxpartis juifs et révolutionnaires, toute cette préparationau bolchevisme qui montrait dans Károlyi le fourrier deBéla Kun, amenèrent Cécile de Tormay à une vie<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 99


d'action et de lutte, passionnante mais dangereuse.Cette fine jeune femme, cette rêveuse aux cheveuxblonds, devint, secrètement, puis ouvertement, l'âmede la résistance. Pour défendre «la pensée chrétienneet nationale», elle fonda l'Association des Dameshongroises. Michel Károlyi voulut la faire arrêter.Avertie par des amis, Mme de Tormay quitta Budapestet se réfugia en province. Béla Kun, qui remplaçaKárolyi, mit à prix la tête de la jeune femme. Alors,commença le drame de l'exil au sein même de la patrie,la fuite perpétuelle, sous des noms et des masquesdivers, dans la fatigue, l'angoisse, l'insomnie, parmi desinconnus, dans l'ombre de la main crochue quis'étendait partout, et sur tous. Cécile de Tormay tintlongtemps le personnage très humble d'une institutrice,pauvre et malade, sous le nom d'Elisabeth Földváry.Des gens courageux et bons devinèrent la romancière àtravers l'institutrice. Ils accueillirent l'errante à leurfoyer. Deux fois, elle dut les quitter pour ne pas lescompromettre. Revenue chez eux, dans la petite villede Balassagyarmat, sous le feu des Tchèques quioccupaient la rive opposée de l'Ipoly, elle vit enfinparaître le jour de la libération. Triste libération pourune âme magyare. Béla Kun était tombé, mais lestroupes étrangères — l'armée roumaine — occupaientBudapest.Pendant cette terrible année, la vagabonde ne cessajamais d'écrire, au jour le jour, dans les conditions lesplus difficiles. Elle écrivait, sous la dictée de la vie, etpour l'avenir, les pages décousues, dispersées, quiformèrent, plus tard, les deux volumes du Livreproscrit. «Le titre de ce livre, écrit-elle, lui a été donnépar le destin. Conçu dans la proscription, sous lamenace de la mort étouffant toutes les voix quiclamaient les douleurs magyares, il a suivi la fugitive,de son foyer interdit au château provincial, du châteauà la petite ville, de la petite ville au village. Divisé enfragments, il s'est caché parmi les feuillets d'autreslivres, sur le faîte d'un toit, dans un tuyau de cheminée,dans la profondeur des caves. Il s'est dissimulé derrièreles meubles et s'est enfoui sous la terre. La main de lapolice fouillant la maison, la botte des soldats rougisont pesé sur lui. Cependant, il a subsisté, par miracle,afin de commémorer le souvenir des victimes dont letombeau fermé s'efface déjà... Ce n'est pas seulementune histoire de la révolution... J'ai voulu que mon livreparlât de ces choses qu'ignoreront les historiens futurs,car, pour les connaître, il faut les vivre.»II nous a paru que ce livre ne devait pas être ignorédu public français. Il constitue un document historiquede premier ordre, et il unit l'intérêt d'un témoignagepersonnel à de rares beautés littéraires.Assurément, nous ne pouvons partager toutes lesidées de l'auteur et souscrire sans réserve à tous sesjugements, particulièrement dans ce qui concernel'application des traités et les rapports de la Hongrieavec ses voisins. Il nous faut tenir compte d'un étatd'âme qui n'est pas le nôtre, mais qui est celui debeaucoup de Hongrois et qu'il nous est utile decomprendre. L'écrivain passionné, qui a souffert, mériteentièrement notre admiration et notre respect, parl'émouvante sincérité de ses sentiments, l'ardeur de sonpatriotisme prêt à tous les sacrifices, et la noblesse deson âme à la fois virile et féminine.Le Livre proscrit est un ouvrage si vaste qu'il seraitdifficile de le publier intégralement dans les conditionsactuelles de la librairie. Nous avons, d'accord avecl'auteur, fait une traduction qui respecte l'esprit du livreen conservant les parties principales et caractéristiques.Dans une œuvre écrite au jour le jour, il y a forcémentbeaucoup de longueurs et de redites. En choisissant,en.resserrant le texte, nous nous sommes appliqués àne pas le trahir.M. Paul-Eugène Régnier, qui connaît si bien laHongrie, la langue hongroise et la politique hongroise, afait ce choix délicat, et j'ai travaillé, en me plaçant auseul point de vue littéraire, sur le texte qu'il m'a soumis.Marcelle TINAYRE100<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010I.2.3Lorsque Marcelle Tinayre me proposa de traduire le-Livre proscrit en collaboration avec elle, j'acceptai avecempressement, non seulement parce que je connaissaisla haute valeur littéraire de toutes les œuvres de Cécilede Tormay que j'avais lues dans l'original, mais aussiparce que j'estimais que le Livre, proscrit rendait avecjustesse et relief l'état d'esprit de la grande majoritédes Hongrois, au lendemain de la défaite des Empirescentraux et qu'il était de notre intérêt de ne pas ignorercet état d'esprit. Depuis la répression sanglante de larévolution hongroise de 1848-49, la voix de la Hongriene nous parvenait plus que déformée par la presse et ladiplomatie autrichiennes. Dans les pages qui suivent,elle nous arrive de nouveau directement, comme autemps où Louis Kossuth parcourait le monde en quêtede réconfort pour sa patrie opprimée.Aux yeux des Hongrois, la guerre de 1914-1918 étaitune guerre de défense nationale. Ils n'ont pascombattu, disent-ils, par sympathie pour les Allemandsou les Autrichiens, ni pour faire des conquêtes, maisafin de défendre les frontières historiques de leur payscontre l'expansion menaçante des Slaves. Pour ne paspérir, il leur fallait lutter aux côtés des ennemis de laRussie et de ses satellites balkaniques et arrêterl'avance russe sur le col des Carpathes. Aussi, necomprennent-ils pas pourquoi l'Entente, dontl'adversaire principal était l'Allemagne, leur a imposédes conditions de paix bien plus dures que celles desautres vaincus de la guerre.Dans la première partie du Livre proscrit, Mme deTormay nous dit, en termes poignants, le désespoir despatriotes hongrois qui assistent impuissants àl'envahissement progressif des marches millénaires deleur pays et décrit la mentalité créée en Hongrie parl'annonce des conditions de paix qui enlevaient à lacouronne de Saint Étienne les deux tiers de sespossessions anciennes.Si nous avons cru devoir traduire des extraits assezétendus dépeignant ces sentiments, ce n'est pas pourprendre partie pour ou contre les revendicationsnationales de la Hongrie indépendante, mais poursignaler ceux-ci à l'attention de nos compatriotes. Dansl'ordre nouveau qui s'est constitué en Europe, il est denotre intérêt bien compris d'être renseignés sur lamentalité des peuples que le remaniement de la carteeuropéenne a plus ou moins directement affectés. En


effet, si l'ordre nouveau doit être maintenu, commenous le croyons, il est bon que nous n'ignorions pas lesmécontentements qu'il suscite et les dangers qui lemenacent ; si, au contraire, il devait être modifié, laconnaissance exacte des raisons de mécontentementpeut suggérer des solutions nouvelles au difficileproblème de l'équilibre politique et économique del'Europe danubienne.Quant à l'intérêt documentaire de la seconde partiedu Livre proscrit (le récit de la révolution communisteen Hongrie), nous croyons qu'il est indiscutable. Lasituation de la France en 1925 ne ressemble certesnullement à celle de la Russie ou de la Hongrie à laveille de la révolution bolcheviste; mais il n'en est pasmoins vrai que nous trouvons dans les notes de Mmede Tormay des détails caractéristiques sur le travailsouterrain de la propagande communiste et lesméthodes employées par les émissaires de Moscoudans les pays jugés «mûrs pour la bolchevisation»,détails qui rappellent d'une façon étrange les phénomènesobservés en France depuis un certaintemps.Étudier — dans les pays qui en ont fait la douloureuseexpérience comme la Hongrie — lessymptômes précurseurs de la révolution communiste etles méthodes tyranniques des bolchevistes arrivés aupouvoir, est aussi nécessaire que d'observer lessymptômes de maladie sur les corps malades pourpréserver du mal les corps encore indemnes.Paris, le 18 mars 1925.PAUL- EUGENE RÉGNIERFonte: «Introduction» in Cécile De Tormay, «Le Livreproscrit», Scènes de la révolution communiste en Hongrie,Traduit et adapté par Marcelle Tinayre et Paul-EugèneRégnier, Paris, Librarie Plon, 8 e édition, Paris, 1925)I.2.4 In compagnia di Gabriele D’Annunzio eCécile Tormay(Ricordi della contessa Francesca De Villarosa D’Orsay)Anche la contessa D’Orsay è un ponte tra Sicilia edUngheria: è discendente di un’atica famiglia siciliana.Tramite suo primo marito, il marchese Gondi –prematuramente defunto –, arrivò a Firenze a quelPalazzo Gondi di cui copia la contessa rivedeva a Pesttra gli edifici della Via Andrássy nel tetro PalazzoBatthyány. Poi conobbe Max de Grimaud d’Orsay,discendente del ramo ungherese dell’antica famigliafrancese giunta a Pozsony – l’attuale Bratislava, daltrattato del Trianon appartenente alla Slovacchia) –, dicui madre era figlia di un conte Festetics, della notafamiglia aristocratica ungherese. Nonostante al grandeamore, il matrimonio non era felice a causa delmisterioso e geloso conte ungherese, perciò visseròseparati, ma Francesca sentendo perole ungheresi nonrimaneva indifferente. Così fu, quando in spiaggia diRimini incontrava con la moglie di Alajos Tüköry eCécile Tormay: la loro tenda di bagno era accanto allasua...Ora ecco un brano, una documentazione dellaconoscenza di D’annunzio e della Tormay. Purtroppo,sempre a causa dell’avaria del tempo, invece ditrascrivere il racconto in italiano, sono costretta diriportare la scansione dell’originale testo francese. (N.b.:nel momento della preparazione e redazione di questo branoin questa rubrica ne abbiamo 29 settembre ’09 e il resto èancora non soltanto da redigere, ma anche da scrivere (!!!),nonostante che sto lavorando senza sosta giorno e notte,comprese le ferie estive passate.)Gabriele d'Annunzio à la « Capponcia» de SettignanoA Brescia la vidi sparire e non poteipiù raggiungerla: ma portai con medurevolmente il bagliore del suo visocome se mi fosai rotolato nel fosforo.La sua amicizia costante e franca èuno dei più freschi sapori che gusti lamia vita insensata.Che fa Cecilia?Perché le due sirocchie non abitanola piccola stanza verde, che è cosìodorosa di santità?Au mois de mai, Gabriele d'Annunzio arriva àFlorence; il s'installa à la villa «Capponcina» de Settignano,à quelques kilomètres de la ville. J'étaisheureuse d'avoir ainsi la possibilité de voir souvent leplus grand poète du monde.D'Annunzio se prit d'une véritable amitié pour masœur, la Duchesse Massari, et moi, et je puis dire sansexagération qu'il passait avec nous tous ses momentsde loisir.La joie de Cécile de Tormay fut à son comble lorsque,à son arrivée à Florence vers le mois de juin, elle trouvad'Annunzio dans notre intimité. Il apprécia tout de suiteson talent, s'intéressa beaucoup à lui entendre raconterses nouvelles, et lui en traduisit même deux dans cettemerveilleuse langue italienne que personne ne saitexprimer et illustrer comme lui: II traduisit NostraDonna in Arcadia et Layde o la Dramma, et fit cadeau àCécile des deux manuscrits.Il travaillait alors à Phèdre et, le soir, il venait chezmoi où je l'attendais toujours avec Cécile. Il nous lisait,avec cette voix mélodieuse qui est à elle seule un chantet une musique, les beaux vers d'Hippolyte de Phèdre<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 101


et d'autres personnages de cette grande tragédie qu'ilpréparait.Cécile et moi nous restions dans mon petit salon. Onn'entendait aucun bruit au dehors, car la place desZouaves est très solitaire, le soir. Pendant que nouscausions ensemble un léger son de grelot s'approchait;c'était d'Annunzio qui arrivait avec son coupé atteléd'un cheval. Il l'appelait en plaisantant sa «troïka».D'un bond, il entrait au salon, toujours très gai,s'asseyait près de nous, nous narrant tout ce qu'ilfaisait.Nous nous intéressions beaucoup à sa Phèdre et ilnous racontait qu'il y travaillait avec ardeur toute lanuit, toujours debout, ses papiers posés sur un hautlutrin. C'est un homme d'une force et d'une résistancephysique tout à fait exceptionnelles.Que si, parfois, à la dernière minute, quelque chosel'empêchait de descendre en ville, alors c'était une jolielettre d'excuses qui arrivait, accompagnée d'un grosbouquet de fleurs.Il appelait mon petit pied-à-terre «II bel cofano cheserve di casa alla sua preziosità» (le joli coffre qui sertde maison à votre précieuse personne).D'Annunzio a l'habitude de donner des surnoms à sesamis, ainsi, moi j'étais «la Basilissa Irene»: il metrouvait le type byzantin; ma sœur, qui était trèsbrune, devenait «la Reginetta Carbonilla» (la petitereine Carbonille); Cécile, «la Sirocchia» (la sœur).Un matin, il nous donna rendez-vous à toutes lestrois au musée Étrusque, là où se trouvent aussi lesplus beaux Gobelins de Florence.Il nous attendait devant la porte. Je me rappellequ'il y avait dans le jardin une grande statue d'Arianeet il dit à Cécile : «Regardez-la bien et inspirez-vous enpour une nouvelle.» Et Cécile lui répondit selonl'inspiration qu'elle ressentait à ce moment.Ce fut une matinée inoubliable; chaque sarcophageétait décrit par lui d'une façon poétique et touteparticulière et de l'écouter parler avec ce merveilleuxtimbre de voix qui est unique au monde, on avaitenvie de fermer les yeux pour en jouir davantage, enfaisant abstraction de toute autre chose.Quand nous eûmes tout vu, il nous accompagna àl'auto; elle était complètement recouverte de rosesrouges et ce fut avec beaucoup de difficultés que nouspûmes trouver une place pour nous asseoir : délicateet poétique pensée de notre ami!Avec Cécile, nous passions des après-midi entiers àla «Capponcina».D'Annunzio a la passion des fleurs, sa maison étaittoujours fleurie comme un jardin. Sa chambre àcoucher était en broché rouge avec un grand lit àquatre colonnes, face à son lit, le regardant, la statuede l'Aurige de Delphes. La chambre de la Clarisse (nomqu'il donnait à l'amie qui partageait avec lui sa solitude)était en broché vert, au lit très bas et à colonnes,surmonté d'un immense dais. Ce lit nous servait decanapé et c'est là qu'il nous faisait toujours asseoir; ilprenait place dans un grand fauteuil en face, et laconversation la plus intéressante, la plus brillante, oneût dit des feux d'artifice, s'engageait entre nous. Pournous faire plaisir, il nous lisait des vers. A ce momentlà,c'étaient surtout ceux de Phèdre. Il nous donnait unepreuve d'amitié bien précieuse à nous en faire ainsiconnaître les prémices. Il nous fit même cadeau dequelques autographes du rôle d'Hippolyte. Chaque foisque nous le quittions, il nous donnait un petit souvenir,soit un livre, soit un joli objet, mais invariablement desfleurs.Je ne connais pas d'homme plus généreux qued'Annunzio.Il nous faisait aussi visiter ses écuries; il avait alorsune jument pour laquelle il marquait une prédilection:elle s'appelait «Amaranta»; elle était capricieuse,fantasque, et en nous la montrant il nous dit: «Elle estvraiment femme, avec tous ses caprices et sesfantaisies. On ne peut jamais compter sur elle. Quandnous sortons ensemble, quelquefois c'est la douceurmême, un petit agneau; soudain, sans aucune raison,tout comme les femmes, elle se cabre, elle s'emporte,alors je m'amuse à la dompter; nous luttons, et si jeréussis à la vaincre, j'en éprouve de la satisfaction. Jeveux acheter un cheval que j'appellerai Hippolyte, je lecherche; il doit être digne de porter ce nom de beautéet de jeunesse.»Puis c'était son chenil qui était d'une tellesomptuosité qu'on l'aurait pu croire construit pour yloger des princes du sang qui, trop vifs, auraient eubesoin d'une espèce de retraite pour calmer pendantquelques heures leur trop bruyant tempérament. Il yavait là ses magnifiques lévriers, les tout noirs et lestout blancs. Il les regardait avec fierté, parce qu'ilsétaient comme tout chez lui, près de lui, autour de lui,choisis avec ce goût d'un raffinement tel qu'on peut lecomparer seulement à la beauté de son art. Chezd'Annunzio tout est poésie! Le moindre détail quil'entoure, l'objet le plus banal nécessaire à la vie detous les jours, il changera toujours tout en œuvre d'arten y mettant sa note personnelle, son goût original,accompagné d'un nom mélodieux qu'il crée pourl'occasion et ces mots deviennent du beau langageitalien.Ainsi plus tard, lorsqu'il fut pris par la passion devoler, l'aéroplane, il l'appela Velivolo. Toutes ces bellesexpressions dont il se sert pour rendre la pensée, luiviennent pendant qu'il parle, tout naturellement; dansl'intimité il n'y a pas d'homme plus simple que lui, etcette simplicité presque enfantine parfois, qui donnemême une expression de naïveté à son regard, fait uncontraste si violent avec la grandeur de son génie,102<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


qu'on reste stupéfait à le regarder, tout pleind'étonnement!Le temps fuyait chez lui sans que l'on s'en aperçut.Plusieurs sabliers continuaient à laisser lentementtomber leur sable. Il avait des mots tout poétiques pournous expliquer que le sable s'épanchait suivant unevieille habitude, mais il ne marquait pas le temps pournous... Le nôtre devait être infini: il fallait rester, nejamais partir, et il nous faisait monter tout en haut dela villa, où il avait aménagé en bibliothèque un vieuxcolombier. Et ceci était un très grand privilège. Cetendroit lui était sacré et il ne permettait à personned'en gravir les marches. Nous entrions dans cesanctuaire avec une véritable émotion que ses parolestenaient éveillée en nous... Il nous montrait alors tousses livres aux reliures précieuses, nous expliquait sespréférences, jouissait autant que nous de la joie qu'ilnous inspirait et tout ce qu'il disait, c'était toujours ensouriant, heureux de notre bonheur, et désireux de leprolonger le plus longtemps possible. Je me rappelleque là où finissait l'escalier il y avait une sorte de bancde pierre formé par l'escalier même; nous aimions ànous y asseoir: il nous apportait des coussins, s'asseyaità nos pieds et nous l'écoutions en silence, presque enextase.Un frammento d’una lettera di D’Annunzio scritta allacontessa D’Orsay.Puis il riait et disait: «Je veux entendre la voix de laBasilissa» et alors c'était moi qui commençais à parler,puis c'était la «sirocchia» c'est-à-dire la «sœur» Cécile.Oh! les journées d'allégresse passées à la«Capponcina»! Elles comptent parmi les plus beauxsouvenirs de ma vie. Et la nuit arrivait, sans que nousnous en doutions; elle nous surprenait sans pitié làhautdans ce paradis tout à l'heure encoreresplendissant de sublime lumière, et alors il voulaitnous garder à dîner avec lui. Il me faisait toujourstrouver des «loukum» à la pistache et à la rose qu'ilfaisait venir du Caire parce que je les aimais; il posait laboîte à la place où je m'asseyais, j'étais très tentée; jen'aurais pu m'en rassasier, mais je voulais résister à latentation, j'avais peur d'engraisser et alors il riait etm'assurait qu'en apportant le parfum de mon pays, lapistache, et moi la rose, tout cela s'alliait si bien, qu'iln'y avait rien à craindre. Et nous restions dîner. [...]Fonte: Comtesse D’Orsay, Ce que je peux écrire ; XIXcapitoloI.2.5 Cécile Tormay nell’Ungheria d’oggiNel sito veneto l’autore del testo considera lascrittrice ungherese xenofoba, antimoderna, razzista,antisemita e anticlericale. Come è la situazionenell’Ungheria odierna?Il suo personaggio, la sua attività letteraria e politicafa ancora discutere animatamente. In una parte ci sonoalcuni ricercatori che si sono mossi per la suariabilitazione e per ridare la considerazione più giusta alei spettante, in altra parte invece troviamo quellepersone che continuano a disprezzarla e diffamarla. Traqueste ultime in maggior parte fanno tutto ciò senzaaver letto una sua opera, basandosi soltanto sulleinformazioni reperibili nei pochissimi testi della storiadella letteratura ungherese ufficiale, dettata dalladittatura comunista fino a non tanto tempo fa. È veroche in alcuni questi testi critici hanno indubbiamentericonosciuto il suo talento narrativo e la sua elevatacultura, ma piuttosto si aggrappano al suo diario, ilLibro proscritto, etichettandola con esageratoantisemitismo, dicendo che in quel libro con odio scrivedelle bugie. A causa di questo libro lei è diventata lapecora nera della letteratura ungherese. In una criticadi Judit Kádár l’autrice addirittura considera il librofascista accennado che la stessa Tormay si vantava «diaver scoperto il fascismo prima di Mussolini». Però, nonindica la fonte di questa dichiarazione della Tormay,dimentica di documentarla. Nell’anno dell’edizione dellibro – nel mese di dicembre 1920 - la presentazionedel libro scritta dall’autrice stessa riporta la data delNatale 1920), il diario fu scritto giorno per giorno dal 31ottobre 1918 all’8 agosto 1919, poi più tardi redatto inlibro qua e là con qualche aggiunta ulteriore.Considerando anche le eventuali aggiunte successiveeffettuate anche nel 1920, a quei tempi, prima dellapubblicazione del Libro proscritto in Ungheria non c’eraancora fascismo.Anche oggi da parte di alcuni personaggi – come hogià accennato sora – continuano le diffamazioni perscreditarla moralmente, insinuando la sua presuntaomosessualità. La scrittrice ha anche portato altribunale questa diffamazione e vinse la causa. (Oggialcune voci trovate sull’internet reagiscono con malafede dicendo: «grazie alla sua posizione sociale hapotuto vincere la causa».) Anche questo episodio dellasua vita ha contributo alla sua morte avvenuta nel1937. In quest’anno – come l’ho accennato nel mioeditoriale – l’Accademia delle Scienze d’Ungheria volleassegnarle il Premio Nobel... Alle sofferenze causate<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 103


dalle persecuzioni, dalle diffamazioni suo cuore non haretto.Qui devo sottolineare che trovo disgustoso questoatteggiamento: invece di leggere tutte le sue opere – sipuò acquistare anche tramite internet sui siti delle varielibrerie, inoltre tutte le sue opere possono essereraggiungibili sul sito a lei dedicato ed alcune sue operein pdf. anche sulla prima segnalata BibliotecaElettronica Ungherese e di conseguente mettere la suaattività letteraria, sociale e politica sotto una obiettivaanalisi critica. No, non succede questo, ma tirano inballo le chiacchiere maligne e calunniose, riguardanti lasua inclinazione sessuale lesbica. Ma, anche se fossestata così, questo fatto riguarda la sfera privata chenon c’entra nulla con la produzione letterariadell’autrice. Anche in Italia c’erano e ci sono scrittori,poeti, artisti, etc. omosessuali ritenuti/e bravi/e evengono giudicati/e per il loro valore letterario e nonper la loro inclinazione sessuale. Purtroppo questo è unvecchio e storico metodo: se non si trova nulla per nonriconoscere il loro valore, allora fanno di tutto perscreditarli moralmente, rovinarli, annullarli tramite gliscandali sessuali da loro creati. Questo accadeva allaTormay a seguito dell’uscita di questo diario e dopo 90anni la caccia alla strega si è risvegliata, continua, glianimi si surriscaldano.volumi pubblicati nel 1920 di cui titoli sono: I. vol.Appunti degli anni 1918-1919, II. vol. La dittaturaproletaria. L’ultima pagina si chiude coll’8 agosto e noncol 21 marzo come dice Bruno Ventavoli nel suo saggio.La data del 21 marzo è l’ultimo giorno del primo volumedel diario.Il saggio di Ventavoli, ritengo, è molto più obiettivodi quelle critiche appartenenti ai nemici nel passato enel presente della Tormay.Cécile Tormay ha realmente tramandato l’orrore deigiorni della rivoluzione del 1918 detta rivoluzione deicrisantemi d’autunno e della dittatura proletaria, è unacronaca della testimonianza diretta: è una radiografiapanoramica di questi avvenimenti, al contrario allastoria falsificata, che noi l’abbiamo studiato e l’abbiamoinsegnato ai nostri studenti. I giorni della Repubblicadell’Ungheria sovietica o Repubblica del Consiglio eranotutt’altra cosa che i 133 giorni gloriosi, propagandati daibolscevichi e loro futuri seguaci. Tormay in questodiario - che può essere considerato anche un saggiostorico e documentario - mostra il vero volto dellarivoluzione e della terrorista dittatura rossa. Non perniente era proibito questo libro: altrimenti in un’attimosi sarebbero scoperte la verità e la bugia dei comunist.Quest’ultima durava fino a pochi anni fa.I-II. vol. de «Il libro proscritto», un’edizione ungherese del1920, Edizione Lazi di Szeged 2009,Edizione Fr.lli Gede, 2003.; 8^ edizione francese,adattamento ridotto, «Le livre proscrit - Scènes de larévolution communiste en Hongrie, Lubrairis Plon, Paris 1925Quest’estate ho letto il grosso volume – stampatocon caratteri abbastanza piccoli – di 496 pagine de Illibro proscritto il quale – in ungherese si trovainteramente sul sito del Circolo Cécile Tormay (v.http://www.tormayc.webs.com/tc_bujdoso1.html) esulla Biblioteca Elettronica Ungherese in inglese:(http://mek.oszk.hu/07200/07270/pdf/index.html) informato pdf col titolo An outlaw's diary con fotod’epoca. Il diario che racconta gli avvenimenti dal 31ottobre 1918 all’8 agosto 1919 che include tutti i dueLa scrittrice Cécile Tormay nel suo studioIl titolo del libro si riferisce prima di tutto al calvariodelle pagine del manoscritto che dovevano esserenascoste, poi al nascondiglio dell’autrice ricercata amorte dai terroristi rossi per giustiziarla. L’edizione inlingua inglese d’epoca attribuisce il titolo soltanto aquest’ultimo fatto.È vero che la scrittrice non risparmia i suoi giudizinegativi e il disprezzo nei confronti degli ebreiprotagonisti in quel periodo della storia ungherese. Nonaccusa gli Ebrei – come si legge sul sito veneto, ma i500 ebrei protagonisti ritenuti da lei responsabili perinfluenzare le vicende dell’Ungheria d’epoca. C’è unagrande differenza. Ecco – senza la pretesa di essereesauriente – alcuni nomi riportati dei personaggi dichiave secondo della Tormay coinvolti e responsabilinegli eventi ungheresi:- Ungheria: 1) 11 ebrei e 8 ungheresi membri delConsiglio: conte Mihály Károlyi, Róza Schwimmer,Márton Lovászy, barone Hatvany-Deutsch Lajos(giornalista, mecenate del periodico letterario Nyugat),János Hock, Kunfi-Kunstätter Zsigmond (giornalista),László Fényes, Vilmos Böhm, conte Tivadar Batthyány,Lajos Biró-Blau (giornalista), Dezső Ábrahám, Sándor104<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Garbai, Garami-Grünfeld Ernő (giornalista), Jászi-Jakobovics Oszkár (giornalista), Szende-Schwarz Pál(giornalista), Müller Ernőné [la moglie di Müller Ernő],Zoltán Jánosi, Lajos Purjesz, Weltner Jakab. 2) Altriresponsabili: ebrei massoni, femministe, redazioni,galileisti (membri dell’ebreo Circolo Galilei), cafféclandestini, , il branco della borsa, il ghetto della viaDob, Pál Kéri-Krammer (giornalista), Ferenc Göndöralias Náthán Krausz (giornalista), Heltai figlio di AdolfHoffer (comandante della città), József Pogány-Schwarz, Lajos Magyar-Ungar, László Lewy, LajosPurjesz (giornalista) Tibor Samuely Samuel (giornalista)ed i suo gruppo di terroristi nominato “Ragazzi diLenin”, Béla Kun-Khon (alias Berele Kohn, in altri luoghiindicano per nome originale anche come Ábel Khon,giornalista), Gábor Greiner (giornalista) Andor Adorján(giornalista), Backernbach Mochem (giornalista) ÖdönPauker (giornalista) e centinaia e centinaia di giornalistiancora; Lékai-Leitner, gli arrestati sospettatidell’attentato contro István Tisza: Duczynska Ilona,Sugár-Singer Tivadar, Helfgott Ármin, Csillag-Stern,Kelen-Klein, Fried, Weiss, Sisa, Ignác Bellér; tre ebreirussi tra cui uno si chiama Solom, il prigioniero diguerra; 3) I componenti del governo ( ufficialmente contre, ma in realtà con 5 ministri ebrei): Garami, Jászi,Kunfi, Szende, Diener-Dénes con il portafoglio delcommercio, delle etnie e dell’alimentare Il capo deimarinai: l’ebreo Heltai-Hoffer Viktor; il filosofo LukácsGyörgy alias Georg Löwinger, il pubblicista, critico,caporedattore del Pester Llyod, uno dei fondatori delNyugat Ignotus nato Veigelberger Hugó, ecc. Russia:in cui i dirigenti bolscevichi più noti della «sporcaguerra» del 1917 in Russia furono in buona parte ebrei:Trockij-Bronstein, Krassin-Goldgelb, Litwinow-Finkelstein, Radek, (elenco di Tormay) Zinov’ev,Kamenev, Rykov, Joffe ecc. (elenco de Il libro nero delcomunismo).. Lenin da padre ebreo ortodosso (fonte:internet); Germania: Kurt Eiser (Monaco), Beerfeld eHirsch (Berlino), nel 900: Karl Marx alias Mardochajebreo; (elenco di Tormay); ecc. [N.d.R.: Engels ebreoe massone (fonte: internet)], Austria: Renner, Adler,Deutsch, Bauer (Vienna) [elenco di Tormay]... ecc.visti, assistiti personalmente sia durante i suoi impegnipresso la Croce Rossa che al di fuori ad essidescrivendo un quadro completo della situazione dellasua amata Patria. (Tutti questi eventi vissuti in primapersona dalla scrittrice magiara sono esatamentedocumentati ne Il libro nero del comunismo.)Tramite le pagine del Libro proscritto conosciamoanche alcune informazioni reali e preoccupanti prese inprima persona dai personaggi degli ambienti autentici,raggiungibili a pochi privilegiati. Esiste ancora un altrofatto non trascurabile: le osservazioni, le previsioni dellavasta visione dell’autrice sono sostenuti anchedall’andamento della futura storia ungherese epossiamo dichiarare che – come anche in una recentetrasmissione radiofonica sulla Radio Rai1 si sentivapronunciare da una scienziata storica di Polonia –:«Il comunismo ha lasciato macerie materiali espirituali in tutti i paesi ove l’ideologia comunistatrionfava fino a un decennio fa.»Non si dimentichi: l’odio, l’odio di classe controi nemici di classe era scritta sulla bandiera deibolscevichi/comuinisti contro l’aristocrazia eborghesia...P.S. Lo scrittore Dostoevskij preannunciò larivoluzione ebraico-bolscevica in Russia:“l'internazionale hadeciso che la rivoluzioneebrea inizi in Russia... ecomincerà...”“e non c'è per noi unabuona opposizione peressa...”“la rivolta inizierà con l'ateismo e la depredazione ditutte le richezze, si comincerà a contraddire la religioneed a distruggere le chiese e trasformarle in depositi”...“Riempiranno il mondo di sangue, gli ebrei cambierannola Russia nell'anarchia, l'ebreo e il suo collaboratore e lamaledizione contro il russo, si prevede una spaventosae colossale rivoluzione, che farà tremare tutte lemonarchie sul pianeta, ma per questo serviranno 100milioni di teste....in tutto il mondo sarà versatosangue”... *Fëdor Michajlovič DostoevskijGli ebrei di Budapest convocano una riunione dove decidonodi fondare la Armata Rossa d’Ungheria per il bolscevismo.La Tormay riporta fatti reali su cui i suoi giudizi, lesue conclusioni si basano. Essi sono sostenuti dallastoria autentica e non falsificata. La scrittrice narra igiorni vissuti nell’angoscia, nel terrore a causa degli atticriminali dei rivoluzionari bolscevichi. Racconta i fatti* Dal "Diario di uno scrittore" (1873-1881)...[...] Il fatto che i dirigenti bolscevichi più noti fosseroin buona parte ebrei (Trockij, Zinov’ev, Kamenev,Rykov, Radek... ecc.) giudicava agli occhi delle massequesta associazione bolscevichi-ebrei.(Cfr. p. 80, IV cap. La «sporca guerra» IN Il libro nero delcomunismo courtois-Werth-Panné-Paczkowski-Bartosek-Margolin, Mondadori, Milano 1997, pp. 770.)Per avere un po’ di panorama più completo dellasituazione della prima metà del 900 – ecco unaselezione dello sfondo storico:<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 105


II. LO SFONDO STORICO-POLITICO DEI PRIMITRE-QUATTRO DECENNI DEL 900II. 1 Lenin e la rivoluzione in Europa – Azioni delComintern – che si racconta e si fannoriferimenti a proposito anche nel Libro proscrittodi Cécile TormayVladimir Iljič Uljanov LeninВладимир Ильич Ульянов ЛeнинAppena salito al potereLenin [N.d.R. figlio di padreebreo ortodosso] sognava dipropagare l'incendiorivoluzionario all'Europa e atutto il resto del mondo.Questo sogno, cherispondeva innanzi tutto alcelebre slogan del Manifesto del Partito comunista diMarx [N.d.R. alias Mardochaj ebreo, figlio del rabbi] del1848, «Proletari di tutto il mondo, unitevi!», vennetutt'a un tratto a corrispondere anche a una necessitàimpellente: la rivoluzione bolscevica sarebbe rimasta alpotere e si sarebbe sviluppata solo con la protezione, ilsostegno e l'avvicendamento di altre rivoluzioni neipaesi più avanzati. Lenin pensava soprattutto allaGermania, con il suo proletariato ben organizzato e lesue enormi potenzialità industriali. Questa necessitàcongiunturale si trasformò ben presto in un vero eproprio progetto politico: la rivoluzione mondiale.In un primo tempo gli avvenimenti parvero dareragione al leader bolscevico. La disgregazione degliimperi di Germania e di Austria-Ungheria, seguita allasconfitta militare che essi avevano subito nel 1918,provocò in Europa un terremoto politico accompagnatoda un grande movimento rivoluzionario. Prima ancorache i bolscevichi prendessero qualsiasi iniziativa chenon fosse solo verbale o propagandistica, la rivoluzioneparve sorgere spontaneamente sulla scia della sconfittatedesca e austro-ungarica.La Germania fu il primo paese a essere colpito, conun ammutinamento della sua flotta da guerra avvenutoancora prima della capitolazione. La Sconfitta del Reiche la creazione di una repubblica guidata dai socialdemocraticinon bastarono a impedire violenti contraccolpi daparte sia dell'esercito, della polizia e di alcuni corpifranchi ultranazionalisti sia dei rivoluzionari entusiastidella dittatura dei bolscevichi.A Berlino già nel dicembre 1918 Rosa Luxemburg[N.d.R. ebrea] e Karl Liebknecht [N.d.r. ebreo] pubblicaronoil programma della Lega Spartaco che, pochigiorni dopo, si staccò dal Partito socialdemocraticoindipendente per fondare insieme ad altre organizzazioniil KPD, il Partito comunista tedesco. Ai primi digennaio del 1919 gli spartachisti, guidati da KarlLiebknecht - che era molto più estremista di Rosa,Luxemburg e che, seguendo l'esempio leninista, eracontrario all'elezione di un'Assemblea costituente -,tentarono un'insurrezione a Berlino, che fu pressa daimilitari agli ordini del governo socialdemocratico.Arrestati, i di leader furono assassinati il 15 gennaio. Lostesso avvenne in Baviera dove il 11 aprile 1919 unresponsabile del KPD, Eugen Leviné [N.d.R. ebreo], simise a capo di una Repubblica dei consigli, nazionalizzòle banche e cominciò a formare un'armata rossa. LaComune di Monaco fu schiacciata militarmente il 30aprile e Leviné arrestato il 13 maggio, fu giudicato dauna corte marziale, condannato a morte e fucilato il 5giugno.Ma l'esempio più famoso di questa ondata rivoluzionariaè l'Ungheria un paese sconfitto che a stento sirassegnava alla cessione della Transilvania impostadagli Alleati vincitori. Quello ungherese è il primo casoin cui i bolscevichi riuscirono a esportare la lororivoluzione. Fin dall'inizio del 1918 il partito bolscevicoaveva raggruppato al proprio interno tutti isimpatizzanti non russi in una Federazione dei gruppicomunisti stranieri. Esisteva, quindi, a Mosca un gruppoungherese, formato prevalentemente da ex prigionieridi guerra, che a partire dall'ottobre 1918 inviò unaventina di suoi rappresentanti in Ungheria. Il 4novembre a Budapest fu fondato il Partito comunistaungherese, alla cui testa benpresto si mise Béla Kun[N.d.R. alias Berele/Ábel Khon, v.sinistra]. Fatto prigioniero durantela guerra, Kun avevaaderito entusiasticamente allaRivoluzione bolscevica, tantoda diventare presidente dellaFederazione dei gruppistranieri nell'aprile 1918.Giunto in Ungheria innovembre insieme a 80 militanti, fu eletto alla guida delPartito. Si calcola che tra la fine del 1918 e l'inizio del1919 siano arrivati in Ungheria da 250 a 300 «agitatori»ed emissari. Grazie all'appoggio finanziario deibolscevichi, i comunisti ungheresi furono in grado difare propaganda e acquistare maggiore influenza.Zsigmond Kunfi (Kunstätter),mandatario di LeninIl 18 febbraio 1919 lasede del giornale ufficialedei socialdemocratici, la«Népszava» (La voce delpopolo), decisamenteostile ai bolscevichi, fupresa d'assalto da unafolla di disoccupati esoldati mobilitati daicomunisti intenzionati a impadronirsene o a distruggerela tipografia. Intervenne la polizia e ci furono otto mortie un centinaio di feriti. Quella notte Béla Kun e il suoBéla (Goldstein) Juhász, capodella polizia segretaestablishment furono arrestati.Al carcere centrale i prigionierifurono picchiati dagli agenti dipolizia che volevano vendicarei colleghi uccisi durante l'assaltoalla «Népszava». Ilpresidente ungherese, MihályKárolyi, mandò il suo segretarioa informarsi sulle106<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


condizioni di salute del leader comunista il quale, daquel momento in poi, beneficiò di un regime assailiberale che gli permise di continuare la propria attivitàe ben presto di capovolgere la situazione. Il 21 marzo,mentre era ancora in prigione, egli conseguìun'importante vittoria: la fusione del Partito comunistaungherese con il Partito socialdemocratico.Contemporaneamente le dimissioni del presidenteKárolyi aprirono la strada alla proclamazione di unaRepubblica dei consigli, alla scarcerazione dei comunistidetenuti e all'organizza-zione, sull'esempio bolscevico,di un Consiglio di Stato rivoluzionario composto dacommissario del popolo. La repubblica durò 133 giorni,dal 21 marzo al 1° agosto 1919.Fin dalla prima riunione i commissari decisero diistituire dei tribunali rivoluzionari giudici scelti tra ilpopolo. In collegamento telegrafico regolare conBudapest dal 22 marzo (per un totale di 218 messaggiscambiati), Lenin, che Béla Kun aveva salutato comecapo del proletariato mondiale, consigliò di fucilarealcuni socialdemocratici e piccolo borghesi. Nel messaggiodi saluto agli operai ungheresi del 27 maggio 1919giustificava così il ricorso al terrore: «Questa dittatura[del proletariato] presuppone l'uso implacabilmenteduro, rapido e deciso della violenza per schiacciare laresistenza degli sfruttatori, dei capitalisti, dei grandiproprietari fondiari e dei loro tirapiedi. Chi non l'hacapito non è un rivoluzionario». Il commissario per ilCommercio, Mátyás Rákosi [N.d.R. ebreo], quello per gliAffari economici, Evgenij Varga, e i responsabili deitribunali popolari si alienarono ben presto le simpatie dicommercianti, impiegati e avvocati. Un proclama affissosui muri riassumeva lo stato d'animo del momento:«Nello Stato dei proletari solo chi lavora ha il diritto divivere». Il lavoro divenne obbligatorio e furonoespropriate prima le imprese con più di 20 operai e poiquelle con 10 o meno.L'esercito e la polizia furono sciolti e fu istituito unnuovo esercito di volontari di provata federivoluzionaria. Ben presto fu organizzata una truppa delterrore del Consiglio rivoluzionario del governo notaanche con il nome di «Ragazzi di Lenin».Costoro uccisero una decina di persone, fra cui ungiovane ufficiale di marina, Ladislas Dobsa, un ex primosottosegretario di Stato, il figlio di questi, dirigente delleferrovie, e tre ufficiali di gendarmeria. I Ragazzi diLenin erano agli ordini di un ex marinaio, József Czerny,che reclutava i suoi adepti tra i comunisti più radicali esoprattutto tra gli ex prigionieri di guerra che avevanopreso parte alla Rivoluzione russa.Tibor Szamuely (Samuel)Czerny si avvicinò aSzamuely [N.d.R. alias Samuel,ebreo], il leader comunistapiù radicale, in contrasto conBéla Kun; quest'ultimo arrivòa proporre lo scioglimentodei Ragazzi di Lenin. Pertutta risposta Czerny chiamòa raccolta i suoi uomini e lifece marciare sulla Gasa deisoviet, dove Béla Kun ebbel'appoggio del socialdemocratico József Haubrich,commissario del popolo per la Guerra. Alla fine fuintavolata una trattativa e gli uomini di Czernyaccettarono di entrare nel commissariato del popolo pergli Interni o di arruolarsi nell'esercito. La maggior partedi loro optò per questa seconda soluzione.Alla testa di una ventina di Ragazzi di Lenin, TiborSzamuely si recò a Szolnok, la prima città occupatadall'Armata rossa ungherese, e fece giustiziarenumerosi notabili accusati di collaborare con i romeni,considerati nemici dal punto di vista sia nazionale (acausa della questione della Transilvania) sia politico (inquanto il regime romeno osteggiava il bolscevismo). Unliceale israelita presentatesi a chiedere la grazia per ilpadre fu messo a morte per avere definito SzamuelyJózsef Czerny ed i «Ragazzi di Lenin», giustiziati (impiccati) il18 dicembre 1919una «bestia feroce». Il capo dell'Armata rossa tentòinvano di frenare l'entusiasmo terroristico di Szamuelyche, a bordo di un treno che aveva requisito, viaggiavaper l'Ungheria facendo impiccare i contadinirecalcitranti di fronte alla collettivizzazione. Accusato di150 omicidi, il suo vice József [N.d.R. Errata corrige:Árpád e non József, cioé ÁrpádKhon-Kerekes, ebreo (v. sinistra: ilboia preferito di Szamuely)]Kerekes avrebbe poiconfessato di avere fucilato 5persone e di averne impiccatecon le proprie mani altre 13. Ilnumero preciso delle esecuzioninon è mai stato accertato.Arthur Koestler sostiene chefurono meno di 500, maosserva: «Non dubitominimamente che anche il comunismo in Ungheriasarebbe a un certo punto degenerato in uno Statototalitario di polizia/ seguendo necessariamentel'esempio russo.... Ma questa conoscenza a posteriorinon toglie nulla alle grandi speranze dei primi giorni dirivoluzione...». Gli storici attribuiscono ai Ragazzi diLenin 80 delle 129 esecuzioni documentate, ma èprobabile che il numero delle vittime ammonti a variecentinaia.Con il crescere dell'opposizione e il deteriorarsi dellasituazione militare nei confronti delle truppe romene ilgoverno rivoluzionario giunse persino a sfruttarel'antisemitismo. Fu affisso un manifesto che denunciavagli ebrei perché si rifiutavano di partire per il fronte:<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 107


«Se non vogliono dare la vita per la santa causa delladittatura del proletariato, sterminateli!».Tibor Szamuely-Samuel ed i boia del «Treno della morte»József Peczkai, una faccia deicomponenti del «Treno della morte»di Samuely.Béla Kun fece arrestare 5000ebrei venuti dalla Polonia in cercadi provviste: i loro beni furonoconfiscati, ed essi poi furonoespulsi dal paese. L'ala radicaledel Partito comunista ungheresechiese che Szamuely assumesse ilcontrollo della situazione;invocava, inoltre, una notte di San Bartolomeo rossacome se fosse l'unico mezzo per fermare il degradodella situazione della Repubblica dei consigli. Czernytentò di riorganizzare i suoi Ragazzi di Lenin. A metàluglio sulla «Népszava» comparve un appello:«Chiediamo agli ex membri della milizia terrorista e atutti coloro che all'epoca del suo scioglimento sono statismobilitati di presentarsi a József Czerny per il rinnovodella ferma...»Il giorno dopo fu pubblicata una smentita ufficiale:«Si avverte la cittadinanza che non si può prenderein alcuna considerazione un'eventuale ripresadell'attività degli ex Ragazzi di Lenin: si sono resiresponsabili di azioni talmente lesive dell'onore delproletariato che è escluso un loro nuovo arruolamentoal servizio della Repubblica dei consigli.»Le ultime settimane della Comune di Budapest furonocaotiche. Béla Kun dovette far fronte a un tentativo digolpe, probabilmente ispirato da Szamuely. Il 1° agosto1919 lasciò Budapest sotto la protezione della missionemilitare italiana; nell'estate 1920 si rifugiò nell'URSS e,al suo arrivo, fu nominato commissario politicodell'Armata rossa sul fronte meridionale, dove si mise inluce facendo giustiziare gli ufficiali di Vrangel' che sierano arresi per aver salva la vita. Szamuely tentò difuggire in Austria, ma fu arrestato il 2 agosto e sisuicidò.Mentre Béla Kun e i suoi compagni cercavano difondare una seconda Repubblica sovietica, Lenin presel'iniziativa di creare un'organizzazione internazionalecapace di diffondere la rivoluzione in tutto il mondo.L'Internazionale comunista, detta anche Comintern oTerza Internazionale, fu fondata a Mosca nel marzo1919 e si pose subito come rivale dell'Internazionaleoperaia socialista (la Seconda Internazionale, creata nel1889). Tuttavia il Congresso di fondazione delComintern rispondeva, più che a una reale capacità diorganizzazione, a urgenti esigenze di propaganda e altentativo di canalizzare i movimenti spontanei chescuotevano l'Europa. La vera fondazione del Cominternva identificata, piuttosto, con il II Congresso, nell'estate1920, e con l'adozione delle Ventuno condizioni diammissione cui dovevano conformarsi i socialistidesiderosi di entrare in un'organizzazioneestremamente centralizzata - «lo Stato maggiore dellarivoluzione mondiale» - nella quale il partito bolscevicoesercitava già il notevole peso derivante dal suo prestigio,dalla sua esperienza e dal suo potere statale (inparticolare dal punto di vista finanziario, militare ediplomatico).Il Comintern fu subito concepito da Lenin come unodegli strumenti della rivoluzione internazionale -insieme con l'Armata rossa, la diplomazia, lo spionaggioecc. - e la sua dottrina politica fu, quindi, ricalcatafedelmente su quella bolscevica: era giunto il momentodi sostituire all'arma della critica la critica delle armi. Ilmanifesto adottato in occasione del II Congressoproclamava con orgoglio l'Internazionale comunistacome il partito internazionale dell'insurrezione e delladittatura del proletariato. Di conseguenza la terza delleVentuno condizioni diceva: «In quasi tutti i paesid'Europa e d'America la lotta di classe sta entrandonella fase della guerra civile. In tali condizioni, icomunisti sono tenuti a creare ovunque un apparatoorganizzativo clandestino parallelo, che al momentodecisivo aiuterà il partito a compiere il suo dovere versola rivoluzione». Si trattava di eufemismi: il «momentodecisivo» era l'insurrezione rivoluzionaria e il «dovereverso la rivoluzione» l'obbligo di lanciarsi nella guerracivile, politica che non era riservata ai paesi con unregime dittatoriale, ma destinata anche a quellidemocratici, monarchie costituzionali o repubbliche chefossero.La dodicesima condizione precisava le esigenzeorganizzative legate alla preparazione della guerracivile: «Nella fase attuale di guerra civile acutizzata, ilPartito comunista sarà in grado di compiere il propriodovere soltanto se sarà organizzato il più possibilecentralisticamente, se in esso dominerà una disciplinaferrea e se la direzione del Partito, sostenuta dallafiducia di tutti i membri, godrà di tutto il potere, di tuttal'autorità e delle più ampie facoltà». La tredicesimacondizione affrontava il problema di eventuali militantinon unanimi: «I partiti comunisti ... debbonointraprendere di quando; in quando epurazioni... deimembri delle loro organizzazioni, per epurare il Partitosistematicamente dagli elementi piccolo borghesi che visi sono insinuati».Al III Congresso, che si tenne a Mosca nel giugno1921 con la partecipazione di numerosi partiticomunisti già costituiti, gli orientamenti furono ancorapiù precisi. Nella Tesi sulla tattica si affermava: «IIPartito comunista con la parola e l'azione devepersuadere i più ampi strati del proletariato che ogni108<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


conflitto economico o politico - quando si crei unasituazione adatta - può trasformarsi in una guerracivile; nel corso di questa guerra sarà compito delproletariato impadronirsi del potere statale». E le Tesisulla struttura organizzativa dei partiti comunisti, suimetodi e il contenuto del loro lavoro illustravanoampiamente le questioni della «sollevazionerivoluzionaria aperta» e dell’«organizzazione di lotta»che ogni Partito comunista doveva segretamentecreare al proprio interno. Le tesi precisavano chequesto lavoro preparatorio era indispensabile, essendoimpensabile in quella fase la formazione di un'armatarossa regolare.Dalla teoria alla pratica c'era solo un passo, che fucompiuto nel marzo 1921 in Germania, dove ilComintern aveva architettato un'azione rivoluzionaria digrande portata, diretta nientemeno che da Béla Kun, ilquale nel frattempo era stato eletto membro delpresidium del Comintern. Avviata mentre i bolscevichireprimevano la Comune di Kronstadt, l'«azione dimarzo» in Sassonia, un vero e proprio tentativoinsurrezionale, fallì nonostante la violenza dei mezziimpiegati, fra cui l'attentato con la dinamite contro ilrapido Halle-Lipsia. Il suo esito negativo ebbe comeconseguenza una prima epurazione nelle file delComintern. Paul Levi, membro fondatore e presidentedel KPD, fu estromesso a causa delle critiche rivolte aun simile avventurismo. Già fortemente influenzati dalmodello bolscevico, i partiti comunisti, che dal punto divista istituzionale non erano altro che sezioni nazionalidell'Internazionale, sprofondavano sempre più nellasubordinazione (immediatamente precedente allasottomissione) politica e organizzativa al Comintern: eraquest'ultimo a dirimere i conflitti e a decidere, in ultimaistanza, la linea politica di ciascuno di essi. La tendenzainsurrezionalista, che doveva molto a Grigorij Zinov'ev[N.d.R. ebreo], fu criticata dallo stesso Lenin, il quale,pur dando fondamentalmente ragione a Paul Levi[N.d.R. ebreo], affidò comunque la direzione del KPD aisuoi avversari, con il risultato che l'apparato delComintern acquisì un peso ancora maggiore.Nel gennaio del 1923 le truppe francesi e belgheoccuparono la Ruhr per imporre alla Germania ilpagamento delle riparazioni di guerra previste dal trattatodi Versailles. Uno degli effetti concreti di questaoccupazione militare fu il riavvicinamento tranazionalisti e comunisti, uniti contro l'imperialismo francese;un altro fu il ricorso della popolazione allaresistenza passiva, appoggiata dal governo. La giàinstabile situazione economica si aggravò ulteriormente:la valuta crollò al punto che in agosto 1 dollaro venivascambiato con 13 milioni di marchi. Scioperi,manifestazioni e sommosse si moltiplicavano. In questoclima rivoluzionario, il governo di Wilhelm Cuno cadde il13 agosto.A Mosca i dirigenti del Comintern si accorsero che sipoteva pensare a un nuovo ottobre. Una volta placati idissidi tra i dirigenti su chi dovesse prendere le redini diquesta seconda rivoluzione tra Trockij [N.d.R. ebreo],Zinov'ev e Stalin, il Comintern procedette a organizzareseriamente l'insurrezione armata. In Germania furonoinviati degli emissari (August Gurai'skij, Mátyás Rákosi)accompagnati da esperti di guerra civile (fra cui ilgenerale Aleksandr Skoblevskij, alias Gorev). Eraprevisto che ci si sarebbe appoggiati ai governi operaiin fase di formazione, composti da socialdemocratici disinistra e comunisti, per procurarsi armi in grandignatità. Inviato in Sassonia, Rákosi aveva intenzione difar saltare un ponte della ferrovia che collegava laprovincia alla Cecoslovacchia, per provocare l'interventodi quest'ultima e accrescere così la confusione.L'inizio dell'operazione doveva coincidere conl'anniversario del colpo di Stato bolscevico. L'eccitazionecontagiò anche Mosca che, credendo che la vittoriafosse assicurata, mobilitò l'Armata rossa sulla frontieraoccidentale, pronta ad andare in aiuto degli insorti. Ametà ottobre i dirigenti comunisti entrarono nei governidi Sassonia e Turingia con l'incarico di rinforzare lemilizie proletarie (parecchie centinaia), composte per il25 per cento da operai socialdemocratici e per il 50 percento da comunisti. Ma il 13 ottobre il governo diGustav Stresemann dichiarò lo stato di emergenza nellaregione, ormai sotto il suo diretto controllo, con ilsostegno della Reichswehr. Ciò nonostante Moscachiamò alle armi gli operai e, al suo ritorno da Mosca,Heinrich Brandler decise di fare proclamare lo scioperogenerale in occasione di una conferenza delleorganizzazioni operaie a Chemnitz. La manovra fallìperché i socialdemocratici di sinistra rifiutarono diseguire i comunisti. Questi decisero allora di fare marciaindietro ma, per problemi di trasmissione, la notizia nonarrivò ai comunisti di Amburgo e la mattina del 23scoppiò l'insurrezione. Le unità di combattimentocomuniste (200-300 uomini) attaccarono i posti dipolizia ma, svanito l'effetto della sorpresa, gli insortinon riuscirono a raggiungere i loro obiettivi. La polizia,insieme con la Reichswehr, passò al contrattacco e,dopo 31 ore di scontri, la rivolta dei comunisti diAmburgo, completamente isolata, fu soffocata. Ilsecondo ottobre in cui Mosca aveva tanto sperato nonsi era verificato. L'importanza del Militar Apparat (M-Apparat) non fu per questo sminuita e fino agli anniTrenta esso rimase una struttura importante del K.P.D.,come descritto accuratamente da uno dei suoi capi, JanValtin, pseudonimo di Richard Krebs.Dopo la Germania anche l'Estonia fu teatro di untentativo di insurrezione. Si trattava del secondoattacco subito da questa piccola repubblica. Il 27ottobre 1917, infatti, un consiglio dei soviet avevapreso il potere a Tallinn (Reval), sciolto l'assemblea eannullato le elezioni da cui i comunisti erano uscitisconfitti. Davanti al corpo di spedizione tedesco icomunisti batterono in ritirata. Poco prima dell'arrivodei tedeschi, il 24 febbraio 1918, gli estoniproclamarono l'indipendenza. L'occupazione tedescadurò fino al novembre del 1918. In seguito allasconfitta del kaiser, le truppe tedesche furono costrettea ritirarsi e i comunisti tornarono subito all'attacco: il 18novembre a Pietrogrado fu costituito un governo e duedivisioni dell'Armata rossa invasero l'Estonia. L'obiettivodi questa offensiva fu spiegato in modo chiaro sulgiornale «Severnaja Kommuna» (La Comune del Nord):"Dobbiamo costruire un ponte che unisca la Russia deisoviet alla Germania e all'Austria proletarie ... La nostravittoria unirà le forze rivoluzionarie dell'Europaoccidentale a quelle della Russia e conferirà una forzairresistibile alla rivoluzione sociale universale".<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 109


Nel gennaio 1919, a 30 chilometri dalla capitale, letruppe sovietiche furono fermate dalla controffensivaestone. Anche il secondo attacco fallì. Il 2 febbraio1920 i comunisti russi riconobbero l'indipendenzadell'Estonia con il trattato di Tartu. Nelle localitàoccupate i bolscevichi si abbandonarono ai massacri: il14 gennaio 1920, nell'imminenza della ritirata,ammazzarono 250 persone a Tartu e più di 1000 neldistretto di Rakvere. Al momento della liberazione diWesenberg, il 17 gennaio, furono scoperte tre fossecomuni contenenti 86 cadaveri. A Dorpad, agli ostaggifucilati il 26 dicembre 1919 erano state inflitte torture,fratturati gli arti e in alcuni casi strappati gli occhi. Il 14gennaio, poco prima della fuga, i bolscevichi fecero intempo a giustiziare solo 20 delle 200 persone chetenevano prigioniere, fra cui l'arcivescovo Platon. Icadaveri delle vittime, massacrate a colpi d'ascia e dicalcio di fucile, erano difficilmente identificabili; unufficiale fu addirittura trovato con le spalline inchiodateaddosso.I sovietici sconfitti non rinunciarono però ad attrarrenella propria orbita il piccolo Stato estone. Nell'aprile1924, durante alcuni colloqui segreti avuti a Mosca conZinov'ev, il Partito comunista estone decise di preparareun'insurrezione armata. I suoi membri organizzaronodelle unità di lotta strutturate in compagnie (in autunnopotevano contare su un migliaio di uomini) e diederoinizio a un'opera di demoralizzazione dell'esercito. Eraprevisto che l'insurrezione, una volta scoppiata, sarebbestata sostenuta da uno sciopero. Il primo dicembre1924 il Partito comunista estone, che contava circa3000 iscritti ed era oggetto di forte repressione, cercòdi impadronirsi del potere a Tallinn per proclamare unaRepubblica sovietica il cui compito fondamentaledoveva essere quello di chiedere l'immediata adesionealla Russia sovietica in modo da giustificare l'inviodell'Armata rossa. Il piano fallì il giorno stesso. «Lemasse operaie ... non sostennero attivamente gli insorticontro la controrivoluzione. La classe operaia di Reval,nel suo complesso, rimase spettatrice disinteressata». Ilcapo dell'operazione, Jan Anvelt, riuscì a fuggirenell'URSS e, prima di sparire nell'epoca delle purghe, fuper anni funzionario del Comintern.Dall'Estonia l'azione si spostò in Bulgaria. Nel 1923c'erano stati gravi disordini nel paese. Nel giugno diquell'anno Aleksander Stambolijski, leader dellacoalizione formata dai comunisti e dal suo stessopartito, l'Unione agraria, era stato assassinato esostituito a capo del governo da Aleksander Cankov,che ebbe l'appoggio dell'esercito e della polizia. Asettembre i comunisti diedero vita a un'insurrezione chesi protrasse per una settimana e fu poi repressaduramente. A partire dall'aprile 1924 cambiaronotattica, ricorrendo all'azione diretta e agli assassinii. L'8febbraio 1925 ci furono quattro morti durante unassalto alla sottoprefettura di Godetch. L'11 febbraio aSofia fu assassinato il deputato Nicola Milev, direttoredel giornale «Slovet» e presidente del sindacato deigiornalisti bulgari. Il 24 marzo un manifesto del Partitocomunista bulgaro annunciò anzitempo l'inevitabilecaduta di Cankov, rivelando così il legame tra il gestoterrorista e gli obiettivi politici dei comunisti. All'inizio diaprile fallì per un soffio un attentato contro il re BorisTerzo; il giorno 15 fu ucciso uno dei personaggi a luivicini, il generale Kosta Georgiev.Quello che seguì fu l'episodio più impressionante diquegli anni di violenza politica in Bulgaria. Il 17 aprile,durante le esequie del generale Georgiev nellacattedrale di Santa Sofia, una terribile esplosioneprovocò il crollo della cupola: si contarono 140 morti,tra cui 14 generali, 16 ufficiali superiori e 3 deputati.Secondo Victor Serge l'attentato era stato organizzatodalla sezione militare del Partito comunista. I suoipresunti autori, Kosta Iankov e Ivan Minkov, dirigentidella sezione, furono uccisi con le armi in pugno almomento dell'arresto.L'attentato servì da pretesto per una repressionespietata: furono arrestati 3000 comunisti, tre dei qualifurono impiccati sulla pubblica piazza. Alcuni membridell'apparato del Comintern attribuirono laresponsabilità dell'attentato al capo dei comunistibulgari, Georgi Dimitrov, che guidava clandestinamenteil Partito da Vienna. Nel dicembre 1948, davanti aidelegati del Quinto Congresso del Partito comunistabulgaro, egli ne rivendicò la responsabilità a sé eall'organizzazione militare. Secondo altre fonti, ilmandante dell'attentato della cattedrale era MeirTrilisser, capo della sezione straniera della Ceka e poivicepresidente della G.P.U., insignito nel 1927dell'ordine della Bandiera rossa per i servizi resi. Neglianni Trenta Trilisser fu uno dei dieci segretari delComintern, di cui assicurò il controllo permanente perconto dell'N.K.V.D.Dopo queste brucianti sconfitte in Europa ilComintern, spinto da Stalin, scoprì un nuovo campo dibattaglia, la Cina, e vi concentrò i propri sforzi. In pienaanarchia, lacerato da guerre intestine e da conflittisociali ma animato da un formidabile slancionazionalista, questo immenso paese sembrava maturoper una rivoluzione antimperialista. Un segno dei tempi:nell'autunno 1925, gli studenti cinesi dell'Universitàcomunista dei lavoratori dell'Oriente (K.U.T.V.), fondatanell'aprile 1921, furono riuniti in un'università Sun Yatsen.Debitamente controllato da responsabili delComintern e dei servizi sovietici, il Partito comunistacinese, non ancora diretto da Mao Zedong, negli anni1925-1926 fu spinto ad allearsi saldamente con ilPartito nazionalista, il Guomindang, e con il suo capo, ilgiovane generale Chiang Kai-shek. La tattica scelta daicomunisti consisteva nel fare del Guomindang unaspecie di cavallo di Troia della rivoluzione. L'inviato delComintern, Mihail Borodin, arrivò a occupare il posto diconsigliere presso il Guomindang. Nel 1925 l'ala sinistradel Partito nazionalista, del tutto favorevole alla politicadi cooperazione con l'Unione Sovietica, riuscì aimpadronirsi della direzione. I comunisti intensificarono,allora, la propaganda e alimentarono i fermenti socialifino a dominare il Secondo Congresso del Guomindang.Ben presto tuttavia si trovarono di fronte un ostacolo:Chiang Kai-shek, preoccupato per la sempre maggioreinfluenza comunista, sospettava, a ragione, che icomunisti volessero emarginarlo. Giocando d'anticipo, il12 marzo 1926 proclamò la legge marziale, fecearrestare i comunisti presenti nel Guomindang e iconsiglieri militari sovietici (furono rilasciati tutti dopopochi giorni), estromise il leader dell'ala sinistra del suo110<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


partito e impose un patto in otto punti volto a limitarele prerogative e il potere dei comunisti al suo interno.Chiang era ormai il capo incontrastato dell'esercitonazionalista. Prendendo atto del nuovo equilibrio diforze, Borodin ratificò il suo operato.Il 7 luglio 1926 Chiang Kai-shek, che riceveva notevoliaiuti materiali dai sovietici, lanciò le armate nazionalistealla conquista della parte settentrionale della Cina,ancora dominata dai «signori della guerra». Il 29proclamò nuovamente la legge marziale a Canton. Nellecampagne delle regioni di Hunan e Hubei era in corsouna sorta di rivoluzione agraria che, per la sua stessadinamica, rimetteva in discussione l'alleanza tracomunisti e nazionalisti. In quella grande metropoliindustriale che era Shanghai già a quell'epoca i sindacatiindissero uno sciopero generale all'avvicinarsi delletruppe. I comunisti, tra cui Zhou Enlai, incitarono lapopolazione alla rivolta in previsione di un imminentearrivo dell'esercito nazionalista in città, che invece nonci fu. La sollevazione del 22-24 febbraio 1927 fallì e larepressione del generale Li Baozhang fu inesorabile. Il21 marzo un nuovo sciopero generale, ancora piùesteso, e una nuova insurrezione rovesciarono il poterecostituito. Una divisione dell'esercito nazionalista il cuigenerale era stato convinto a intervenire entrò aShanghai, seguita poco dopo da Chiang, deciso ariprendere il controllo della situazione. Nelraggiungimento del suo obiettivo fu facilitato dal fattoche Stalin, tratto in inganno dalla dimensioneantimperialista della politica di Chiang e del suoesercito, alla fine di marzo ordinò di deporre le armi e difare fronte comune con il Guomindang. Il 12 aprile 1927Chiang ripeté a Canton la strategia adottata a Shanghai,facendo perseguitare e uccidere i comunisti.Ma il momento scelto da Stalin per cambiare politica fuil peggiore: in agosto, per non perdere la faccia davantialle critiche dell'opposizione, mandò due inviati«personali», Vissarion Lominadze e Heinz Neumann,con l'incarico di rilanciare un movimento insurrezionaledopo aver rotto l'alleanza con il Guomindang.Nonostante il fallimento della «rivolta delle messid'autunno» da loro orchestrata, i due inviati siostinarono fino a scatenare un'insurrezione a Canton,«per procurare al loro capo un bollettino di vittoria»(Boris Suvarin) proprio nel momento in cui si riuniva ilQuindicesimo Congresso del partito bolscevico, cheavrebbe estromesso i rappresentanti dell'opposizione.Questa manovra fu indicativa del grado di disprezzodella vita umana cui erano giunti molti bolscevichi,anche quando si trattava dei loro stessi sostenitori, cosache all'epoca era una novità. Lo testimonia l'assurdavicenda della Comune di Canton, che pure in fondo nonè molto diversa dalle azioni terroristiche condotte inBulgaria qualche anno prima. Parecchie migliaia diinsorti si scontrarono per quarantotto ore con truppenumericamente cinque o sei volte superiori. La Comunecinese era stata preparata male: a parte l'insufficienzadegli armamenti, il contesto politico era sfavorevole,poiché gli operai di Canton si tenevano su posizioni dicauta aspettativa. La sera del 10 dicembre 1927 letruppe lealiste presero posizione nei previsti punti diraccolta delle Guardie rosse. Come ad Amburgo, gliinsorti ebbero il vantaggio della sorpresa, che però siesaurì ben presto. La mattina del 12 dicembre laproclamazione di una Repubblica sovietica non suscitòreazione alcuna da parte della popolazione. Nelpomeriggio le forze nazionaliste passarono alcontrattacco. Due giorni dopo la bandiera rossa chesventolava sulla questura fu rimossa dalle truppevincitrici. Seguì una repressione spietata, che fecemigliaia di morti.Il Comintern avrebbe dovuto trarre delle lezioni daquesta esperienza, ma non era in grado di affrontare lequestioni politiche di fondo. Ancora una volta l'uso dellaviolenza fu giustificato a dispetto di ogni logica, intermini che dimostrano fino a che punto fosse radicatatra i funzionari comunisti la cultura della guerra civile.Nell'"Insurrezione armata" si legge questo brano dispaventosa autocritica, le cui conclusioni sono fin troppochiare:"Non ci si è preoccupati abbastanza di mettere icontrorivoluzionari in condizioni di non nuocere.Nell'intero periodo in cui Canton è rimasta nelle manidegli insorti sono state uccise solo cento persone. Èstato possibile uccidere i detenuti soltanto doporegolare giudizio della commissione per la lotta contro ireazionari. In guerra, nel corso di un'insurrezione,questa è una procedura troppo lenta".Questa lezione non fu dimenticata.Dopo un tale disastro, i comunisti si ritirarono dalle cittàe si riorganizzarono nelle lontane zone di campagnafino a creare nel 1931, nello Hunan e nel Kiangsi, una«zona liberata» difesa da un'armata rossa. Fu, quindi,in fase molto precoce che, fra i comunisti cinesi,prevalse l'idea che la rivoluzione fosse prima di tuttouna questione militare e fu istituzionalizzata la funzionepolitica dell'apparato militare, che sarebbe poi statariassunta nella celebre massima di Mao: «Il poterepolitico sta in fondo alla canna del fucile». Gli eventisuccessivi hanno dimostrato in che modo i comunisticoncepivano la conquista e il mantenimento del potere.Tuttavia, né gli insuccessi europei dei primi anni Ventiné il disastro cinese scoraggiarono il Comintern dalproseguire sulla medesima strada. Tutti i partiticomunisti, compresi quelli legali e quelli dellerepubbliche democratiche, conservarono al propriointerno un apparato militare segreto pronto, senecessario, a manifestarsi in pubblico. L'esempio fudato dal K.P.D. che in Germania, e sotto l'attentocontrollo dei dirigenti militari sovietici, creò unimportante M-Apparat con il compito di eliminaremilitanti di parte avversa (in particolare di estremadestra) e spie infiltrate nel Partito, e inoltre diinquadrare i gruppi paramilitari nel famoso Rote Front(Fronte rosso), che contava migliaia di membri. Vadetto però che nella Repubblica di Weimar la violenzapolitica era un fenomeno generale e che, secombattevano l'estrema destra e il nazismo nascente, icomunisti non esitavano neppure ad attaccare i comizidei socialisti, definiti «socialtraditori» e «socialfascisti»,e la polizia di una repubblica considerata reazionaria senon addirittura fascista. Il futuro avrebbe dimostrato,già a partire dal 1933, che cos'era il vero fascismo,ossia il nazionalsocialismo, e che sarebbe stato meglioallearsi con i socialisti per difendere la democrazia«borghese», ma i comunisti rifiutavano radicalmentequesto tipo di democrazia.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 111


In Francia il clima politico era più sereno, ma il Partitocomunista francese (P.C.F.) ebbe anch'esso i suoigruppi armati, organizzati da Albert Treint, uno deisegretari del Partito, che vantava qualche competenzain merito grazie al grado di capitano assegnatoglidurante la guerra. La prima comparsa pubblica deigruppi armati ebbe luogo l'11 gennaio 1924 inoccasione di un comizio comunista in cui, contestato daun gruppo di anarchici, Treint fece entrare in azione ilservizio d'ordine. Una decina di uomini armati dirivoltella salirono sul palco e spararono a bruciapelo suicontestatori, uccidendo due persone e ferendone altre.In mancanza di prove, nessuno degli assassini fuperseguito. Un episodio analogo avvenne circa un annodopo. Giovedì 23 aprile 1925, a qualche settimana dalleelezioni comunali, il servizio d'ordine del P.C.F. andò aintralciare l'uscita da un comizio elettorale delleJeunesses patriotes (J.P.), un'organizzazione di estremadestra, in rue Damrémont, nel diciottesimoarrondissement di Parigi. Alcuni militanti erano armati enon esitarono a usare la pistola. Ci furono tre morti trale J.P. e uno dei feriti morì due giorni dopo. JeanTaittinger, il leader delle Jeunesses patriotes, fuinterrogato e la polizia effettuò a più riprese varieperquisizioni in casa di militanti comunisti.Nonostante queste difficoltà il Partito proseguì sullastessa strada. Nel 1926 Jacques Duclos, da poco elettodeputato e quindi protetto dall'immunità parlamentare,fu incaricato di organizzare dei Groupes de défenseantifascistes (costituiti da ex combattenti della guerra1914-1918) e delle Jeunes gardes antifascistes(reclutate fra i membri della gioventò comunista); questigruppi paramilitari, ispirati al modello del Rote Fronttedesco, sfilarono in uniforme l'11 novembre 1926. Nelfrattempo Duclos si occupava anche di propagandaantimilitarista e pubblicava una rivista, «Le combattantrouge», che insegnava l'arte della guerra civile,descrivendo e analizzando combattimenti di piazza esimili.Nel 1931 il Comintern pubblicò in varie lingue un librointitolato "L'insurrezione armata", che era firmato con lopseudonimo di A. Neuberg, dietro cui si nascondevanovari funzionari sovietici, e che illustrava le varieesperienze insurrezionali dal 1920 in poi. In Francia illibro ebbe una seconda edizione all'inizio del 1934. Lalinea insurrezionale passò in secondo piano solo con lasvolta politica del Fronte popolare nell'estate-autunnodel 1934, ma in ultima analisi ciò non ridusse affatto lafunzione fondamentale della violenza nella prassicomunista. Le ripetute giustificazioni della violenza, laquotidianità dell'odio di classe, la teorizzazione dellaguerra civile e del terrore trovarono applicazione dal1936 in poi in Spagna, dove il Comintern mandò moltidei suoi dirigenti che si distinsero nelle attività direpressione.Questo lavoro di selezione, formazione e preparazionedei quadri autoctoni della futura insurrezione armataavveniva in stretto contatto con i servizi segreti sovieticio, per essere più precisi, con uno di essi, il G.R.U.("Glavnoe Razvedatel'noe Upravlenie", Direzionegenerale inquirente). Fondato sotto l'egida di Trotskycome quarto Bjuro dell'Armata rossa, il G.R.U. nonabbandonò mai del tutto questa funzione «educativa»,anche se le circostanze lo costrinsero a poco a poco aun notevole ridimensionamento. Per quanto possarisultare sorprendente, nei primi anni Settanta alcunigiovani dirigenti del Partito comunista franceseseguivano ancora corsi di addestramento nell'URSS(tiro, montaggio e smontaggio delle armi più comuni,fabbricazione di armi artigianali, comunicazioni, tecnichedi sabotaggio) presso gli Specnaz, i reparti speciali delletruppe sovietiche messi a disposizione dei servizisegreti. Inoltre, il G.R.U. disponeva di esperti militariche poteva inviare ai partiti fratelli in caso di necessità.Manfred Stern, per esempio, un austro- ungaricodistaccato presso l'M-Apparat del K.P.D.nell'insurrezione di Amburgo del 1923, lavorò poi in Cinae in Manciuria prima di diventare il «generale Kléber»delle Brigate internazionali in Spagna. Questi apparatimilitari clandestini non erano certo composti da «braviragazzi». I loro membri erano spesso al limite delbanditismo e a volte certi gruppi si trasformavano invere e proprie associazioni a delinquere. Uno degliesempi più impressionanti è quello della Guardia rossa odegli squadroni rossi del Partito comunista cinese ametà degli anni Venti. Entrarono in azione a Shanghai,allora considerata ufficialmente l'epicentro dell'azionedel Partito. Sotto la guida di Gu Shunzhang, un exgangster affiliato alla società segreta della Banda verde,la più potente delle due organizzazioni mafiose diShanghai, questi sicari fanatici affrontarono i loroequivalenti nazionalisti, in particolare le Camicie blu diispirazione fascista, in loschi combattimenti, fatti diazioni terroristiche, imboscate, omicidi e vendette. Iltutto con l'appoggio stranamente attivo del consolatodell'URSS a Shanghai, che disponeva a sua volta sia diesperti in questioni militari come Gorbatjuk, sia di bassamanovalanza.Nel 1928 gli uomini di Gu Shunzhang liquidarono unacoppia di militanti restituiti dalla polizia: He Jaixing e HeJihua morirono crivellati di colpi durante il sonno. Percoprire il rumore delle detonazioni, alcuni complicifecero esplodere dei petardi all'esterno della casa.Metodi altrettanto sbrigativi furono adoperati pocotempo dopo per sconfiggere gli oppositori all'interno delPartito stesso. A volte bastava una semplice denuncia. Il17 gennaio 1931, stanchi di essere manovrati daldelegato del Comintern, Pavel Mif, e dai dirigentiasserviti a Mosca, He Meng-xiong e una ventina di suoicompagni della frazione operaia si riunirono in una saladell'hotel Oriental di Shanghai. Avevano appenacominciato a discutere quando alcuni poliziotti e agentidel Diaocha tongzhi, l'Ufficio investigativo centrale delGuomindang, fecero irruzione con le armi in pugno e liarrestarono. I nazionalisti erano stati informati dellariunione da una fonte «anonima».Dopo la defezione di Gu Shunzhang nell'aprile del 1931,il suo immediato ritorno sotto le ali della Banda verde ela sua sottomissione al Guomindang (era passato alleCamicie blu), un Comitato speciale di cinque membrisubentrò a Shanghai. Era composto da Kang Sheng,Guang Huian, Pan Hannian, Chen Yun e Ke Qingshi. Nel1934, anno del crollo quasi definitivo dell'apparatourbano del P.C.C., gli ultimi due capi dei gruppi armaticomunisti della città, Ding Mocun e Li Shiqun, cadderonelle mani del Guomindang e fecero atto disottomissione, passando poi al servizio dei giapponesi eandando incontro a un tragico destino. Il primo fu112<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


fucilato dai nazionalisti nel 1947 per tradimento e ilsecondo avvelenato dal suo contatto nel serviziosegreto giapponese. Quanto a Kang Sheng, dal 1949fino alla morte, avvenuta nel 1975, fu a capo dellapolizia segreta maoista e figura quindi tra i principaliaguzzini del popolo cinese durante il regime comunista.Accadde anche che rappresentanti dell'apparato dell'unoo dell'altro dei vari partiti comunisti venissero utilizzatiin operazioni dei servizi speciali sovietici, per esempionell'affare Kutepov. Nel 1924 il generale AleksandrKutepov era stato chiamato a Parigi dal granduca Nicolaa dirigere l'Unione militare generale (R.O.V.S.). Nel1928 la G.P.U. decise di provocarne il disgregamento. Il26 gennaio il generale scomparve. Le voci checircolarono furono molte, alcune diffusedeliberatamente dagli stessi sovietici. L'identità deimandanti del rapimento fu appurata da due inchiesteseparate, una condotta dal vecchio socialista russoVladimir Burcev, famoso per aver smascherato EvnoAzev, l'agente dell'Ohrana infiltratosi ai verticidell'Organizzazione di combattimento dei socialistirivoluzionari,e l'altra da Jean Delage, giornalista de«L'Echo de Paris». Secondo Delage, il generale Kutepovsarebbe stato condotto a Houlgate e imbarcato su unpiroscafo sovietico, lo "Spartak", che salpò da Le Havreil 19 febbraio. Nessuno lo rivide mai più vivo. Il 22settembre 1965, il generale sovietico Simanov rivendicòl'operazione sul giornale dell'Armata rossa e fece ilnome del responsabile:"Sergej Puzickij ... che non solo ha partecipato allacattura del bandito Savinkov ... ma ha anchemagistralmente condotto l'operazione dell'arresto diKutepov e di molti altri capi delle Guardie bianche".Oggi abbiamo informazioni più precise sulle circostanzedel rapimento dello sventurato Kutepov. Nella suaorganizzazione di emigrati c'erano degli infiltrati dellaG.P.U.: nel 1929 l'ex ministro del governo biancodell'ammiraglio Kolciak, Sergej Nikolaevic Tret'jakov, erapassato segretamente ai sovietici cui fornivainformazioni con la sigla UJ/1 e il nome in codice diIvanov. Grazie alle informazioni particolareggiate checostui forniva al suo contatto «Vecinkin», Mosca sapevatutto o quasi sugli spostamenti del generale zarista. Lasua auto fu fermata in mezzo alla strada con il pretestodi un controllo di polizia. Travestito da agente dellastradale, un francese di nome Honel, che faceva ilmeccanico a Levallois-Perret, invitò Kutepov a seguirlo.Nell'operazione era coinvolto il fratello di Honel,Maurice, che era in contatto con i servizi sovietici e chefu poi eletto deputato per il Partito comunista nel 1936.Rifiutatosi di seguire Honel, Kutepov sarebbe statoucciso con una pugnalata e, quindi, sepolto nelloscantinato del garage di Honel.Il successore di Kutepov, il generale Miller, aveva comebraccio destro il generale Nikolaj Skoblin, che in realtàera un agente dei sovietici. Insieme alla moglie, lacantante lirica Nadejzda Plevitskaja, Skoblin organizzò aParigi il rapimento di Miller, che scomparve il 22settembre 1937. Il 23 settembre il piroscafo "MarijaUl'janovna" partì da Le Havre. Anche il generale Skoblinscomparve, mentre i sospetti su di lui si facevanosempre più precisi. Il generale Miller era sul "MarijaUl'janovna", che le autorità francesi non vollerointercettare. Giunto a Mosca, fu interrogato e poi ucciso.II.1.1 Dittatura, criminalizzazione deglioppositori e repressione all'interno del CominternIl Comintern, se sotto la spinta di Mosca mantenevagruppi armati in tutti i partiti comunisti esteri epreparava insurrezioni e guerre civili contro il poterecostituito dei rispettivi paesi, non trascurò di introdurreanche al proprio interno i metodi di polizia e di terrorein uso nell'URSS. Durante il Decimo Congresso delpartito bolscevico, che si tenne dall'8 al 16 marzo 1921mentre le autorità erano alle prese con la ribellione diKronstadt, furono gettate le basi di un regimedittatoriale all'interno dello stesso Partito. Durante lafase di preparazione del congresso erano state propostee discusse non meno di otto piattaforme diverse. Questidibattiti rappresentavano in un certo senso le ultimevestigia della democrazia mancata della Russia. Soloall'interno del Partito rimaneva un surrogato di libertà diparola, destinato a non durare a lungo. Il secondogiorno dei lavori Lenin diede il la:"Adesso non ci vuole opposizione, compagni, non è ilmomento! O da questa parte, o dall'altra [a Kronstadt],con un fucile, e non con l'opposizione. Ciò dipende dallasituazione oggettiva, non prendetevela con nessuno.Adesso non abbiamo bisogno d'opposizione, compagni!E io penso che il congresso del Partito dovrà giungere aquesta conclusione, dovrà concludere che adessol'opposizione è finita, che delle opposizioni non nevogliamo più sapere!".Si riferiva in particolare a coloro che, senza costituire ungruppo nel senso proprio del termine né avere unorgano di stampa, si erano riuniti intorno allapiattaforma detta dell'Opposizione operaia (AleksandrShljapnikov, Aleksandra Kollontaj, Lutovinov) e a quelladetta del Centralismo democratico (Timofej Sapronov,Gavriil Mjasnikov).Il congresso stava per concludersi quando, il 16 marzo,Lenin presentò in extremis due risoluzioni: la primariguardante l'«unità del Partito» e la seconda la«deviazione sindacalista e anarchica nel nostro Partito»con cui attaccava l'Opposizione operaia. Nella primarisoluzione chiedeva l'immediato scioglimento di tutti igruppi costituiti intorno a piattaforme particolari, penal'espulsione immediata dal Partito. Un articolo nonpubblicato di questa risoluzione, che rimase segreto finoall'ottobre 1923, attribuiva al Comitato centrale il poteredi emettere tale sanzione. La polizia di Feliks Dzerzinskijsi vide, così, offrire un nuovo terreno di indagine: daallora in poi qualsiasi gruppo di opposizione all'internodel Partito comunista fu oggetto di sorveglianza e, senecessario, di sanzione sotto forma di espulsione che,per i veri militanti, equivaleva praticamente alla mortepolitica.Le due risoluzioni che, in contrasto con gli statuti delPartito, sancivano il divieto di libera discussione furonocomunque messe ai voti. Riguardo alla prima, Radekavanzò una giustificazione che suona quasi come unapremonizione:"Penso che possa benissimo essere usata contro di noi,tuttavia la appoggio ... Che nel momento del pericolo ilComitato centrale prenda pure le misure più severecontro i migliori compagni ... A costo di sbagliare! Saràsempre meno pericoloso dello sbandamento attuale".Questa scelta, fatta sotto l'impulso delle circostanze marispondente alle tendenze profonde del bolscevismo,<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 113


ebbe un peso decisivo nel futuro del partito sovietico edi conseguenza nelle sezioni del Comintern.Il Decimo Congresso procedette inoltre allariorganizzazione della Commissione di controllo, il cuiruolo era per definizione quello di sorvegliare ilconsolidamento dell'unità e dell'autorità nel Partito. Daquel momento la commissione cominciò a costituire eraccogliere dossier personali sui militanti che,all'occorrenza, servirono da base per futuri capid'accusa: atteggiamento nei confronti della poliziapolitica, adesione a gruppi di opposizione, e così via.Subito dopo il congresso, i sostenitori dell'Opposizioneoperaia subirono vessazioni e persecuzioni. In seguitoAleksandr Shljapnikov spiegò che"la lotta non continuava sul terreno ideologico, mamediante... l'allontanamento (degli interessati) dai loroposti, i trasferimenti sistematici da un distretto all'altro epersino l'espulsione dal Partito".Nell'agosto successivo ebbe inizio una verifica che duròvari mesi. Circa un quarto dei militanti comunisti furonoespulsi. Il ricorso alla "cistka" (epurazione) era ormaiparte integrante della vita del Partito. A‹no Kuusinen halasciato una testimonianza su questo processo ciclico:"La riunione di 'cistka' si svolgeva così: l'imputato venivachiamato per nome e invitato a salire sul palco; imembri della Commissione di epurazione e gli altripresenti gli rivolgevano delle domande. Alcuniriuscivano a discolparsi facilmente, mentre per altriquesta prova temibile durava a lungo. Se uno aveva deinemici, questi potevano influenzare in maniera decisivalo svolgimento della seduta. L'espulsione dal Partitotuttavia poteva essere decretata solo dalla Commissionedi controllo. Se l'accusato non era riconosciuto colpevoledi atti che comportassero l'esclusione dal Partito, laprocedura veniva sospesa senza ricorrere al voto. Incaso contrario, nessuno interveniva in favoredell'«imputato». Il presidente domandavasemplicemente: «Kto protiv? [Chi si oppone?]» e, dalmomento che nessuno osava opporsi, la sentenzaveniva emessa «all'unanimità»".Gli effetti delle decisioni del Decimo Congresso nontardarono a farsi sentire: nel febbraio 1922 GavriilMjasnikov fu espulso per un anno dopo avere difeso,contro il parere di Lenin, la necessità della libertà distampa. L'Opposizione operaia, nell'impossibilità di farsentire la propria voce, fece appello al Comintern("Dichiarazione dei Ventidue"). Stalin, Dzerzinskij eZinov'ev chiesero allora l'espulsione di Shljapnikov, dellaKollontaj e di Medved, che l'Undicesimo Congressorifiutò. Sempre più influenzato dal potere sovietico, ilComintern fu ben presto costretto a adottare lo stessoregime interno del partito bolscevico: una conseguenzalogica e, tutto sommato, poco sorprendente.Nel 1923 Dzerzinskij pretese una decisione ufficiale delPolitbjuro che costringesse i membri del Partito adenunciare alla G.P.U. qualsiasi attività di opposizione.Da questa proposta nacque una nuova crisi in seno alpartito bolscevico: l'8 ottobre Trotsky indirizzò unalettera al Comitato centrale, seguita il 15 ottobre dalla"Dichiarazione dei Quarantasei". Il dibattito che nesorse si concentrò principalmente sul nuovo corso delPartito russo ed ebbe degli strascichi in tutte le sezionidel Comintern.Contemporaneamente, alla fine del 1923, la parolad'ordine nella vita delle sezioni diventò bolscevizzazione;tutte dovettero riorganizzare la propria strutturafondandola sulle cellule di impresa e ribadire la propriafedeltà al centro moscovita. La reticenza con cui furonoaccolti questi cambiamenti ebbe come conseguenza unconsiderevole aumento del ruolo e del potere dei "missidominici" dell'Internazionale, mentre i dibattitisull'evoluzione del potere nella Russia sovieticacontinuavano.In Francia uno dei leader del P.C.F., Boris Suvarin, sioppose alla nuova linea e denunciò i vili metodi di cui siserviva la trojka (Kamenev, Zinov'ev, Stalin) contro ilsuo avversario Lev Trotsky. Il 12 giugno 1924, inoccasione del Tredicesimo Congresso del P.C.U.S., BorisSuvarin fu convocato per dare spiegazioni e fu messo instato d'accusa come avveniva nelle sedute obbligatoriedi autocritica. Una commissione riunita appositamenteper occuparsi del caso Suvarin decretò la suasospensione. Dalle reazioni della direzione del P.C.F.emerge chiaramente l'atteggiamento ormai prevalentenelle file del Partito in tutto il mondo:"Nel nostro Partito [il P.C.F.], che la battagliarivoluzionaria non ha completamente liberato delvecchio fondo socialdemocratico, l'influsso dellepersonalità individuali ha ancora un ruolo troppoimportante ... È nella misura in cui verranno eliminatitutti i residui piccolo borghesi dell'«Io» individualistache si formerà l'anonima schiera di ferro dei bolscevichifrancesi ... Se vuole essere degno dell'Internazionalecomunista cui appartiene, se vuole seguire le ormegloriose del Partito dell'Unione Sovietica, il Partitocomunista francese non deve esitare a spezzare chi, alsuo interno, dovesse rifiutare di piegarsi alla sua legge!"(«L'Humanité», 19 luglio 1924).L'anonimo redattore non sapeva di aver appenaenunciato la legge che avrebbe regolato la vita delP.C.F. per decine di anni. Il sindacalista Pierre Monatteriassunse questa evoluzione in una sola parola: la«caporalizzazione» del P.C.F.Sempre durante il Quinto Congresso del Comintern,nell'estate del 1924, Zinov'ev diede un esempio deicomportamenti politici che si stavano diffondendo amacchia d'olio nel movimento comunista minacciando di«spezzare le ossa» agli oppositori. Ma la cosa gli siritorse contro: fu a lui che Stalin spezzò le ossa,destituendolo nel 1925 dalle sue funzioni di presidentedel Comintern. Zinov'ev fu sostituito da Buharin, che inbreve tempo andò incontro allo stesso destino. L'11luglio 1928, alla vigilia del Sesto Congresso delComintern (17 luglio - primo settembre) Kamenev siincontrò segretamente con Buharin e scrisse un verbaledel colloquio. Vittima del regime di polizia, Buharin glispiegò che aveva il telefono sotto controllo ed erapedinato dalla G.P.U.; in due occasioni dimostrò diavere paura: «Ci strozzerà... Non vogliamo intervenirecome scissionisti, perché altrimenti ci strozzerebbe!». Ilsoggetto naturalmente era Stalin.Il primo che Stalin cercò di «strozzare» fu Lev Trotsky.La sua lotta contro il trotzkismo ebbe un'eccezionaleportata. Cominciò nel 1927, ma già in precedenza vierano stati avvertimenti sinistri durante una conferenzadel partito bolscevico nell'ottobre del 1926: «Ol'estromissione e l'annientamento legale114<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


dell'Opposizione, o la soluzione del problema acannonate nelle strade, come con i socialistirivoluzionaridi sinistra nel luglio 1918 a Mosca»,raccomandava Larin sulla «Pravda». L'Opposizione disinistra (era questa la sua denominazione ufficiale),isolata e sempre più debole, era bersaglio diprovocazioni da parte della G.P.U., che inventò di sanapianta l'esistenza di una tipografia clandestina diretta daun ex ufficiale di Vrangel' (che in realtà era uno dei suoiagenti), in cui sarebbero stati stampati dei documentidell'Opposizione. In occasione del decimo anniversariodella Rivoluzione d'ottobre, l'Opposizione aveva decisodi manifestare con le proprie parole d'ordine. Un brutaleintervento della polizia glielo impedì e il 14 novembreTrotsky e Zinov'ev furono espulsi dal partito bolscevico.Il passo successivo, a cominciare dal gennaio 1928, fula relegazione dei militanti più in vista in regionidecentrate oppure all'estero: Hristian Rakovskij, exambasciatore sovietico in Francia, fu esiliato dapprimaad Astrakhan sul Volga e poi a Barnaul in Siberia; VictorSerge fu mandato nel 1933 a Orenburg negli Urali.Quanto a Trotsky, fu trasferito di forza ad Alma Ata nelTurkestan, a 4000 chilometri da Mosca. Un anno dopo,nel gennaio 1929, fu esiliato e mandato in Turchia,sfuggendo così alla prigione toccata ai suoi sostenitori.Aumentava, infatti, il numero di coloro che, anche fra imilitanti dell'ex Opposizione operaia o del gruppo delCentralismo democratico, venivano arrestati e inviati inprigioni speciali dette "politizoliator".A partire da questo momento alcuni comunisti stranieri,membri dell'apparato del Comintern o residentinell'URSS, furono arrestati e internati come i militantirussi del Partito; la loro situazione era assimilata aquella dei russi in quanto qualsiasi comunista stranieroche soggiornasse per un periodo prolungato nell'URSSera costretto a iscriversi al partito bolscevico e quindi adaccettarne la disciplina. Fu il caso, ben noto, delcomunista iugoslavo Ante Ciliga, membro dell'Ufficiopolitico del K.P.J., il Partito comunista iugoslavo, inviatoa Mosca nel 1926 in qualità di rappresentante del K.P.J.al Comintern. Ebbe alcuni contatti con l'opposizioneradunata intorno a Trotsky, quindi si allontanò sempredi più da un Comintern in cui non era possibile un veroconfronto di idee e i dirigenti non esitavano a usaremetodi intimidatori verso chi non la pensava come loro,con quello che Ciliga definì il «sistema di servilismo» delmovimento comunista internazionale. Nel febbraio del1929, durante l'assemblea generale degli iugoslavi aMosca, fu adottata una risoluzione che condannava lapolitica della direzione del K.P.J. e, quindi,indirettamente la direzione del Comintern. In seguito glioppositori della linea ufficiale, che erano in contatto conalcuni sovietici, organizzarono un gruppo illegale(rispetto ai canoni della disciplina del Partito). Pocodopo una commissione cominciò a indagare su Ciliga,che fu sospeso per un anno, ma non per questo posefine alle sue attività illegali, stabilendosi a Leningrado. Ilprimo maggio 1930 si recò a Mosca per incontrare glialtri membri del gruppo russo- iugoslavo che, assunteposizioni molto critiche riguardo al modo in cui venivagestita l'industrializzazione, raccomandava la formazionedi un nuovo partito. Il 21 maggio Ciliga fu arrestatoinsieme con i suoi compagni e quindi spedito nel"politizoliator" di Verhneural'sk ai sensi dell'articolo 59.Per tre anni, detenuto in isolamento, con la sola armadello sciopero della fame continuò a rivendicare il dirittodi lasciare la Russia. Liberato per un breve periodo,tentò di suicidarsi. La G.P.U. cercò di costringerlo arinunciare alla nazionalità italiana. Esiliato in Siberia, il 3dicembre 1935 fu definitivamente espulso, il che costituìun caso eccezionale. Grazie a Ciliga, abbiamo unatestimonianza sui "politizoliator":"I compagni ci consegnarono i giornali che circolavanonella prigione. Che varietà di opinioni, quanta libertà inognuno degli articoli! Quanta passione e quantafranchezza nella presentazione di questioni non soloastratte e teoriche, ma riguardanti anche l'attualità piùscottante! ... Ma la nostra libertà non si limitava aquesto. Durante l'ora d'aria, in cui si riunivano iprigionieri di varie celle, i detenuti avevano l'abitudine ditenere in un angolo del cortile delle vere e proprieriunioni, con presidente, segretario e oratori cheprendevano la parola a turno".Le condizioni materiali erano queste:"L'alimentazione consisteva nel menò tradizionale del'muzik' povero: pane e zuppa mattina e sera, per tuttol'anno ... Inoltre a pranzo ci davano una zuppa fatta dipesce cattivo, conserve e carne mezza marcia. La stessazuppa, ma senza né carne né pesce, veniva servitaanche a cena ... La razione quotidiana di pane era di700 grammi, quella mensile di zucchero di un chilo, ericevevamo anche una razione di tabacco, di sigarette,di tè e di sapone. Oltre che monotona, questa dieta eradi quantità insufficiente. Tuttavia dovemmo lottare conaccanimento perché non ci riducessero ulteriormentequesti magri pasti, per non parlare delle lotte che cicostarono anche i più piccoli miglioramenti! Eppure,rispetto al regime delle prigioni per i delinquenticomuni, in cui marcivano centinaia di migliaia didetenuti, e soprattutto a quello dei milioni di personerinchiuse nei campi di lavoro del Nord, in un certo sensola nostra era una situazione privilegiata!".Si trattava, comunque, di privilegi molto relativi. AVerhneural'sk i detenuti fecero tre scioperi della fame,nell'aprile e nell'estate del 1931 e poi nel dicembre1933, in difesa dei propri diritti e, in particolare, perottenere la soppressione del rinnovo delle pene. Apartire dal 1934 il regime politico fu eliminato quasidappertutto (a Verhneural'sk restò in vigore fino al1937), benché le condizioni di detenzione si fossero giàinasprite: alcuni prigionieri morirono durante i pestaggi,altri furono fucilati, altri ancora tenuti nell'isolamentopiù totale, come Vladimir Smirnov a Suzdal' nel 1933.Questa criminalizzazione degli oppositori interni, reali opresunti che fossero, si estese ben presto a responsabilicomunisti di alto livello. Il dirigente del Partitocomunista spagnolo José Bullejos e molti suoicompagni, convocati a Mosca nell'autunno del 1932,videro la loro linea politica sottoposta a dura critica.Avendo rifiutato di arrendersi ai diktat del Comintern, nefurono espulsi tutti insieme il primo novembre e da quelgiorno si trovarono praticamente agli arresti domiciliariall'hotel Lux, la residenza riservata ai dirigenti delComintern. Il francese Jacques Duclos, ex delegato delComintern in Spagna, andò a notificare loro l'espulsioneprecisando che qualsiasi tentativo di ribellione sarebbestato represso «con il massimo rigore previsto dal diritto<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 115


penale sovietico». Bullejos e i suoi compagni riuscironocon difficoltà a lasciare l'URSS dopo due mesi di faticosetrattative per ricuperare i passaporti.Quello stesso anno aveva visto l'epilogo di una vicendaincredibile riguardante il Partito comunista francese.All'inizio del 1931 il Comintern aveva mandato unproprio rappresentante e alcuni istruttori presso il P.C.F.con il compito di riprenderne le redini. In luglio il verocapo del Comintern, Dmitrij Manuil'skij, sbarcòclandestinamente a Parigi e rivelò a uno sbalorditoUfficio politico che al suo interno c'era un gruppo cheperseguiva obiettivi frazionistici. Si trattava, in realtà, diuna messinscena destinata a provocare una crisi da cuila direzione del P.C.F. uscisse con minore autonomia,tanto da diventare del tutto dipendente da Mosca e daisuoi uomini. Fra i capi del presunto «gruppo» fuindicato Pierre Celor, uno dei più importanti dirigenti delPartito fin dal 1928, che fu convocato a Mosca con ilpretesto di rappresentare il P.C.F. presso il Comintern.Appena arrivato, però, Celor fu trattato come unprovocatore. Ostracizzato, privato dello stipendio,sopravvisse al duro inverno russo soltanto grazie allatessera annonaria della moglie, che l'avevaaccompagnato e che lavorava al Comintern. L'8 marzo1932 fu convocato a una riunione a cui assistevanoalcuni membri dell'N.K.V.D. i quali, durante uninterrogatorio durato dodici ore, cercarono di fargliconfessare di essere un agente della polizia infiltrato nelPartito. Celor non confessò nulla e, dopo innumerevolipressioni e vessazioni, riuscì a rientrare in Francia l'8ottobre 1932, dove fu subito denunciato pubblicamentecome «sbirro».Sempre nel 1932, sull'esempio del partito bolscevico, inmolti partiti comunisti furono create delle sezioni diquadri che dipendevano dalla sezione centrale deiquadri del Comintern e avevano l'incarico di predisporreuna documentazione completa sui militanti e diraccogliere questionari biografici e autobiografiedettagliate su tutti i dirigenti. Solo per il Partito franceseprima della guerra furono trasmessi a Mosca più di 5000dossier. Il questionario biografico comprendeva oltre 70domande raggruppate in cinque grandi categorie: 1)origini e condizione sociale; 2) funzione nel Partito; 3)istruzione e livello culturale; 4) partecipazione alla vitasociale; 5) fedina penale e provvedimenti disciplinari.Tutto questo materiale, destinato alla selezione deimilitanti, era conservato a Mosca da Anton Kraevskij,Cernomordik o Gevork Alihanov, che si succedettero acapo del servizio dei quadri del Comintern, a sua voltalegato alla sezione esteri dell'N.K.V.D. Nel 1935 MejrTrilisser, uno dei massimi responsabili dell'N.K.V.D., funominato segretario del Comitato esecutivo delComintern con l'incarico di controllare i quadri. Con lopseudonimo di Mihail Moskvin, raccoglieva informazionie denunce e decideva chi doveva cadere in disgrazia,primo passo verso una pronta eliminazione. Questiservizi dei quadri furono incaricati, inoltre, di redigereliste nere di nemici del comunismo e dell'URSS. Moltopresto, se non proprio fin dall'inizio, le sezioni delComintern diventarono il vivaio in cui venivano reclutatigli agenti segreti che lavoravano per l'URSS. In alcunicasi i militanti che accettavano di svolgere questaattività illegale e pertanto clandestina non sapevano dilavorare in realtà per uno dei servizi sovietici: il G.R.U. oQuarto Bjuro, cioè il Servizio segreto dell'Armata rossa,il dipartimento Affari esteri della Ceka-G.P.U.("Inostrannij Otdel", INO), l'N.K.V.D. eccetera. Tuttiquesti apparati costituivano un intreccio inestricabilelacerato da feroci rivalità, per cui ognuno cercava dispingere alla defezione gli agenti dell'altro. Nei suoiricordi Elsa Porecki cita moltissimi esempi di questaconcorrenza.La complessa questione dei servizi fu subito messa insecondo piano da un fattore decisivo: sia il Cominternsia i servizi speciali dovettero rispondere all'autoritàsuprema del direttivo del P.C.U.S., rendendo conto delproprio operato addirittura a Stalin. Nel 1932Martemiam Rjutin, che aveva condotto con zelo e senzascrupoli la repressione contro l'opposizione, entrò a suavolta in contrasto con Stalin. Redasse una piattaformain cui si legge:"Oggi Stalin nel Comintern ha la statura di un papainfallibile.... Grazie a una dipendenza materiale diretta eindiretta, Stalin tiene saldamente in pugno tutti i quadridirigenti del Comintern, non solo a Mosca ma anchenelle sedi decentrate, ed è questo l'argomento decisivoche ne conferma l'invincibilità in campo teorico".Già alla fine degli anni Venti il Comintern, chedipendeva finanziariamente dallo Stato sovietico, avevaperso qualsiasi possibilità di essere autonomo. Ma aquesta dipendenza materiale, che aggravava quellapolitica, si aggiunse la dipendenza indotta dal regime dipolizia.La pressione sempre maggiore dei servizi di polizia suimilitanti del Comintern fece sì che tra loro sidiffondessero paura e diffidenza. La delazione rovinava irapporti interpersonali e il sospetto invadeva le menti.C'erano due tipi di delazione: le denunce volontarie equelle estorte con la tortura, fisica e psicologica. A volteil fattore scatenante era semplicemente la paura, maalcuni militanti consideravano un onore denunciare ipropri compagni. Il caso del comunista francese AndréMarty è tipico di questa furia paranoica, di questo zelosfrenato di dimostrarsi il più vigile dei comunisti. In unalettera «strettamente riservata» indirizzata al segretariogenerale in carica del Comintern, Georgi Dimitrov, il 23giugno 1937, Marty sporse una lunga denuncia contro ilrappresentante dell'Internazionale in Francia, EvzenFried, dichiarandosi stupito che non fosse ancora statoarrestato dalla polizia francese, cosa che gli pareva a dirpoco sospetta....Ecco un brano di una delle lettere indirizzate al«compagno L. P. Berija» (commissario per gli Affariinterni dell'URSS) dalla bulgara Stella Blagoeva,un'oscura impiegata della sezione quadri del Comitatoesecutivo del Comintern:"Il Comitato esecutivo dell'Internazionale comunistadispone di informazioni provenienti da tutta una serie dicompagni, militanti di partiti fratelli, che riteniamonecessario sottoporvi perché possiate verificarle eprendere le misure del caso ... Uno dei segretari delComitato centrale del Partito comunista d'Ungheria,Karakach, fa discorsi che dimostrano la sua insufficientedevozione al Partito di Lenin e Stalin ... I compagnisollevano inoltre una questione molto seria: perché nel1932 il tribunale ungherese l'ha condannato a soli treanni di prigione, mentre durante la dittatura delproletariato in Ungheria Karakach ha fatto eseguire116<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


alcune condanne a morte decise dal tribunalerivoluzionario? ... Da molti discorsi di compagnitedeschi, austriaci, lettoni, polacchi e di altri paesiemerge che l'emigrazione politica è particolarmentesporca. Bisogna estirpare il tutto con determinazione".Arkadij Vaksberg precisa che gli archivi del Cominterncontengono decine (o addirittura centinaia) di denunce,fenomeno che dimostra la decadenza morale degliuomini del Comintern o dei funzionari del P.C.U.S.Questa decadenza divenne del tutto evidente inoccasione dei grandi processi contro la vecchia guardiabolscevica, che aveva dato il suo contributoall'instaurazione di un potere basato sulla menzognaassoluta.II.1.2 Il Grande terrore colpisce il CominternL'assassinio di Kirov, il primo dicembre 1934, offrì aStalin un ottimo pretesto per passare da unarepressione severa a un vero e proprio regime diterrore, sia nel Comintern sia nel partito russo. La storiadel P.C.U.S., e quindi quella del Comintern, eranoentrate in una fase nuova. Il terrore, fino a quelmomento esercitato contro la popolazione, fu esteso aiprotagonisti del potere assoluto gestito dal P.C.U.S. edal suo onnipotente segretario generale. Le primevittime furono i membri dell'opposizione russa già incarcere. Alla fine del 1935 i detenuti liberati allo scaderedella pena furono ricondotti in prigione. Parecchiemigliaia di militanti trotzkisti furono radunati nellaregione di Vorkuta. Circa 500 erano in miniera, unmigliaio nel campo di Uhta-Peciora, per un totale diparecchie migliaia nel raggio di Peciora. Il 27 ottobre1936 1000 di loro cominciarono uno sciopero della fameche durò 132 giorni.Chiedevano di essere separati dai delinquenti comuni edi poter vivere con le famiglie. Il primo detenuto morìdopo quattro settimane. Altri lo seguirono, finchél'amministrazione non annunciò che le lororivendicazioni sarebbero state accolte. Nell'autunnosuccessivo 1200 prigionieri (circa metà dei quali eranotrotzkisti) furono raggruppati nei pressi di una vecchiafornace. Alla fine di marzo l'amministrazione neselezionò 25 che ricevettero un chilo di pane e l'ordinedi prepararsi a partire. Qualche minuto dopo si udironodegli spari. L'ipotesi più pessimistica trovò confermaquando poco dopo gli altri videro tornare la scorta delconvoglio. Dopo due giorni ci furono un nuovo appello enuovi spari. E avanti così fino alla fine di maggio. Leguardie cospargevano di benzina i cadaveri per poibruciarli e farli sparire. L'N.K.V.D. trasmetteva alla radioi nomi dei fucilati «per agitazione controrivoluzionaria,sabotaggio, banditismo, rifiuto del lavoro, tentataevasione». Non furono risparmiate nemmeno le donne:la moglie di un militante giustiziato rischiavaautomaticamente la pena capitale, e così i figli di unoppositore che avessero compiuto i 12 anni.Circa 200 trotzkisti di Magadan, «capitale» dellaKolyma, ricorsero anch'essi allo sciopero della fame perottenere il riconoscimento dello status di prigionieripolitici. Nel loro proclama denunciavano i «boiagangster»e il «fascismo di Stalin, molto peggiore diquello di Hitler». L'11 ottobre 1937 furono condannati amorte e 74 di loro furono fucilati il 26 e il 27 ottobre e il4 novembre. Le esecuzioni continuarono nel 1937-1938.In tutti i paesi in cui esistevano dei comunisti ortodossila consegna era di combattere l'influenza dellaminoranza di militanti sostenitori di Lev Trotsky. Conl'inizio della guerra di Spagna l'operazione prese unnuovo corso, che consisteva nell'associare nella manierapiù falsa trotzkismo e nazismo, proprio mentre Stalinpreparava il proprio riavvicinamento a Hitler.Ben presto il terrore di massa scatenato da Stalin siabbatté sull'apparato centrale del Comintern. Nel 1965Branko Lazic tentò una prima analisi dello sterminiodegli uomini del Comintern, significativamente intitolata"Martyrologe du Comintern". Boris Suvarin concluse isuoi "Commentaires sur le «martyrologe»", cheseguivano l'articolo di Lazic, con una considerazione suimodesti collaboratori del Comintern, vittime anonimedella Grande purga. Non è fuori luogo ricordare le sueparole prima di affrontare questo capitolo della storiadel comunismo sovietico: «I più sono scomparsi inquesto massacro del Comintern, che è stato "soloun'infima parte di un massacro immenso, quello dimilioni di operai e contadini laboriosi", immolati senzamotivo da una tirannide mostruosa che si autodefinivaproletaria».Tanto i funzionari dell'apparato centrale quanto quellidelle sezioni nazionali furono stritolati nell'ingranaggiodella repressione, al pari dei cittadini più umili. Con laGrande purga (1937-1938) non solo gli oppositoricaddero vittime degli organi repressivi, ma anche ifunzionari dell'apparato del Comintern e dei suoiannessi: l'Internazionale comunista giovanile (K.I.M.),l'Internazionale sindacale rossa (Profintern), il Soccorsorosso (M.O.P.R.), l'Università comunista delle minoranzenazionali occidentali (K.U.M.N.Z.) eccetera. Figlia di unvecchio amico di Lenin, Wanda Pampuch-Bronska sottouno pseudonimo raccontò che nel 1936 la K.U.M.N.Z. fusciolta e tutto il personale e quasi tutti gli studentifurono arrestati.Lo storico Mihail Panteleev, esaminando gli archivi divari servizi e sezioni del Comintern, ha contato finora133 vittime su un effettivo di 492 persone (pari al 27per cento). Tra il primo gennaio e il 17 settembre 1937la Commissione della segreteria del Comitato esecutivo,composta da Mihail Moskvin (Mejr Trilisser), WilhelmFlorin e Jan Anvelt, e poi la Commissione speciale diControllo istituita nel maggio 1937 e composta daDimitrov, Moskvin e Manuil'skij, decisero 256licenziamenti. In generale il licenziamento precedeval'arresto di un periodo di tempo variabile: Elena Walter,licenziata dalla segreteria di Dimitrov il 16 ottobre 1938,fu arrestata due giorni dopo, mentre Jan Borowski(Ludwik Komorowski), licenziato il 17 luglio dal Comitatoesecutivo del Comintern, fu arrestato il 7 ottobresuccessivo. Nel 1937 furono arrestati 88 impiegati delComintern e 19 nel 1938. Altri furono arrestati alla loroscrivania, come Anton Krajewski (Wladyslaw Stein),all'epoca responsabile del servizio stampa epropaganda, incarcerato il 26 maggio 1937. Molti furonoarrestati al ritorno da missioni all'estero.Tutti i servizi ebbero le loro vittime, dalla segreteria allerappresentanze dei Partiti comunisti. Tra il 1937 e il1938 furono arrestate 41 persone della segreteria delComitato esecutivo. All'interno del Servizio dicollegamento (O.M.S. fino al 1936) si contarono 34arresti. Lo stesso Moskvin fu travolto dalla macchina<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 117


della repressione il 23 novembre 1938 e condannatoalla fucilazione il primo febbraio 1940. Jan Anvelt morìsotto tortura e il danese A. Munch-Petersen si spensenell'ospedale di un carcere per i postumi di unatubercolosi cronica. Cinquanta funzionari, tra cui 9donne, furono fucilati. La svizzera Lydia Dìbi,responsabile della rete clandestina del Comintern aParigi, fu convocata a Mosca ai primi di agosto del1937. Appena vi giunse, fu arrestata insieme aicollaboratori Brichman e Wolf. Accusata di appartenenzaall'«organizzazione trotzkista antisovietica» e dispionaggio per conto della Germania, della Francia, delGiappone e persino della Svizzera, fu condannata amorte dal Collegio militare del tribunale supremodell'URSS il 3 novembre e fucilata pochi giorni dopo. Lacittadinanza svizzera non le valse alcuna protezione e lafamiglia venne brutalmente avvertita del verdetto senzaalcuna spiegazione. La polacca L. Jankoska fucondannata a otto anni di reclusione in quantoappartenente alla famiglia di un traditore della patria, ilmarito Stanislaw Skulski (Mertens), a sua volta arrestatonell'agosto del 1937 e fucilato il 21 settembre. Ilprincipio della corresponsabilità familiare, già applicatocontro i semplici cittadini, fu esteso così ai membridell'apparato.Osip Pjatnickij (Tarscis) era stato fino al 1934 ilnumero due del Comintern dopo Manuil'skij,responsabile di tutta l'organizzazione (in particolare delfinanziamento dei partiti comunisti stranieri e deicollegamenti clandestini del Comintern in tutto ilmondo), e in seguito della sezione politica eamministrativa del Comitato centrale del P.C.U.S. Il 24giugno 1937 intervenne al plenum del Comitato centraleper criticare l'inasprimento della repressione el'attribuzione di poteri straordinari al capo dell'N.K.V.D.,Ezov. Furioso, Stalin interruppe la seduta e ordinò chevenisse esercitata la massima pressione su Pjatnickijperché si ravvedesse, ma invano. Il giorno dopo, allaripresa dei lavori, Ezov accusò Pjatnickij di essere unvecchio agente della polizia zarista. Quest'ultimo fuarrestato il 7 luglio. Ezov costrinse Boris Mìller(Melnikov) a testimoniare contro di lui e, l'indomanistesso dell'esecuzione di Mìller, il 29 luglio 1938, ilCollegio militare della Corte suprema processòPjatnickij, che si rifiutò di dichiararsi colpevole dispionaggio a favore del Giappone. Condannato a morte,venne fucilato nella notte tra il 29 e il 30 luglio.Molti dei funzionari del Comintern giustiziati eranostati accusati di appartenere all'organizzazione anti-Comintern diretta da Pjatnickij, Knorin (Wilhelm Hugo) eBéla Kun. Altri furono semplicemente consideratitrotzkisti e controrivoluzionari. L'ex capo della Comuneungherese, Béla Kun, che all'inizio del 1937 si eraopposto a Manuil'skij, fu accusato da quest'ultimo(probabilmente dietro istruzioni di Stalin), il qualepresentò le critiche di Kun come rivolte direttamente aStalin. Kun protestò la propria buona fede e indicò dinuovo in Manuil'skij e Moskvin i responsabili dellecritiche rivolte al P.C.U.S. che, a suo parere, era lacausa dell'inefficienza del Comintern. Nessuno deipresenti - Palmiro Togliatti, Otto Kuusinen, WilhelmPieck, Klement Gottwald e Arvo Tuominen - prese le suedifese. Alla fine della riunione Georgi Dimitrov feceadottare una risoluzione che rimandava l'esame dellavicenda Kun a una commissione speciale. Ma invece diessere esaminato da quest'ultima, Béla Kun vennearrestato all'uscita dalla riunione. Fu giustiziato neisotterranei della Lubjanka in data sconosciuta.Secondo Panteleev lo scopo ultimo delle epurazioniera quello di annientare qualsiasi forma di opposizionealla dittatura stalinista. La repressione prese di mirasoprattutto coloro che in passato erano statisimpatizzanti dell'Opposizione o che intrattenevanorapporti con militanti che erano stati vicini a Trotsky.Alla stessa stregua furono trattati i militanti tedeschi cheavevano fatto parte della frazione diretta da HeinzNeumann (a sua volta liquidato nel 1937) o gli exmilitanti del gruppo del Centralismo democratico.All'epoca, secondo la testimonianza di Jakov Matuzov,vicecapo del primo dipartimento della Sezione politicasegreta del G.U.G.B.- N.K.V.D., su ogni dirigente di altolivello dell'apparato statale esisteva un dossiercontenente documenti che al momento opportuno sisarebbero potuti usare contro di lui. Così, a loroinsaputa, ne avevano uno Kliment Voroscilov, AndrejVyscinskij, Lazar' Kaganovic, Mihail Kalinin, NikitaHrusciov. È del tutto probabile che anche sui dirigentidel Comintern pesassero gli stessi sospetti.A questo va aggiunto che partecipavano attivamentealla repressione anche i massimi responsabili non russidel Comintern. Uno dei casi più sintomatici è quello diPalmiro Togliatti, uno dei segretari del Comintern,presentato dopo la morte di Stalin come un uomoaperto e contrario ai metodi terroristici. Ora, duranteuna riunione, Togliatti rivolse delle accuse a HermannSchubert, un funzionario del Soccorso rossointernazionale, e gli impedì di spiegarsi. Arrestato pocotempo dopo, Schubert fu fucilato. I Petermann, unacoppia di comunisti tedeschi giunti nell'URSS dopo il1933, furono accusati da Togliatti durante una riunionedi essere agenti hitleriani perché erano incorrispondenza con la loro famiglia in Germania efurono arrestati qualche settimana dopo. Togliatti erapresente all'attacco contro Béla Kun e firmò larisoluzione che lo avrebbe portato alla morte. Fu inoltrecoinvolto da vicino nell'eliminazione del Partitocomunista polacco nel 1938. In tale occasione, approvòil terzo processo di Mosca e concluse: «Morte aiguerrafondai, morte alle spie e morte agli agenti delfascismo! Viva il partito di Lenin e di Stalin, custodevigile delle conquiste della Rivoluzione d'ottobre,garante sicuro del trionfo della rivoluzione mondiale!Viva colui che continua l'opera di Feliks Dzerzinskij:Nikolaj Ezov!».II.1.3 Il terrore all'interno dei partiti comunistiDopo avere ripulito l'apparato centrale del Comintern,Stalin passò alle varie sezioni dell'Internazionalecomunista. La prima a subirne le conseguenze fu quellatedesca. Oltre ai discendenti dei coloni del Volga,militanti del Partito comunista tedesco, il K.P.D., lacomunità tedesca nella Russia sovietica comprendevaantifascisti rifugiatisi nell'URSS e operai che avevanolasciato la Repubblica di Weimar per partecipareall'«edificazione del socialismo». Di ciò non si tenne ilminimo conto quando cominciarono gli arresti, nel 1933.In totale, due terzi degli antifascisti tedeschi in esilionell'URSS furono vittime della repressione.118<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Per quanto riguarda i militanti comunisti, il lorodestino ci è noto attraverso le "Kaderlisten", listecompilate sotto la responsabilità dei dirigenti del Partitocomunista tedesco, Wilhelm Pieck, Wilhelm Florin eHerbert Wehner, che le utilizzarono per espellere icomunisti colpiti dalle sanzioni e/o vittime dellarepressione. La prima di queste liste è datata 3settembre 1936, l'ultima 21 giugno 1938. Un altrodocumento della fine degli anni Cinquanta, redatto dallaCommissione di controllo del SED ("SozialistischeEinheitspartei Deutschlands": è sotto il nome di partitosocialista unitario di Germania che, dopo la guerra, siricostituì il Partito comunista nella futura R.D.T.),contiene 1136 nomi. Gli arresti raggiunsero il massimonel 1937 (619) e continuarono fino al 1941. La sorte dimetà di queste persone (666) è sconosciuta:presumibilmente, esse morirono durante la prigionia.Per contro è certo che 82 furono giustiziate, 197morirono nelle carceri o nei campi di lavoro e 132furono consegnate ai nazisti. Le altre 150 circa, chesopravvissero alle dure condanne, riuscirono a lasciarel'URSS dopo avere scontato la pena. Uno dei motiviideologici addotti a giustificazione dell'arresto di questimilitanti fu che non erano riusciti a impedire l'ascesa alpotere di Hitler, come se Mosca non vi avesse avutouna grossa parte di responsabilità.Ma l'episodio più tragico, in cui Stalin diede prova ditutto il suo cinismo, fu quello della consegna a Hitlerdegli antifascisti tedeschi. Nel 1937 le autoritàsovietiche decisero di espellere i cittadini tedeschi. Il 16febbraio 10 di loro furono condannati all'espulsionedall'O.S.O., l'Associazione di cooperazione per la difesadell'URSS. Alcuni sono noti: Emil Larisch, un tecnico cheviveva nell'URSS dal 1921; Arthur Thilo, un ingegnerearrivato nel 1931; Wilhelm Pfeiffer, un comunista diAmburgo; Kurt Nixdorf, un universitario che lavoravaall'Istituto Marx e Engels. Erano stati arrestati nel 1936con l'accusa di spionaggio o di attività fasciste el'ambasciatore tedesco von Schulenburg era intervenutoin loro difesa presso Maksim Litvinov, il ministrosovietico degli Affari esteri. Pfeiffer tentò di farsimandare in Inghilterra, sapendo che se fosse tornato inGermania sarebbe stato immediatamente arrestato inquanto comunista. Diciotto mesi dopo, il 18 agosto1938, fu accompagnato alla frontiera polacca, dove lesue tracce si perdono. Arthur Thilo riuscì a recarsiall'ambasciata britannica a Varsavia. Molti non furonoaltrettanto fortunati. Otto Walther, che faceva illitografo a Leningrado e viveva in Russia dal 1908,arrivò a Berlino il 4 marzo 1937; si suicidò buttandosidalla finestra della casa in cui era ospite.Alla fine di maggio del 1937 von Schulenburgtrasmise due nuove liste di tedeschi in stato di arrestodi cui si auspicava l'espulsione. Fra i 67 nomi figuranoquelli di vari antifascisti, tra cui Kurt Nixdorf.Nell'autunno 1937 le trattative con le autorità tedeschepresero una piega nuova e i sovietici accettarono diaccelerare le espulsioni, come era stato loro richiesto(circa trenta erano già state effettuate). Tra il novembree il dicembre del 1937 furono espulsi 148 tedeschi ealtri 445 nel corso del 1938. Accompagnati alla frontierapolacca o lettone, talvolta a quella finlandese, gli espulsi- tra cui alcuni membri dello Schutzbund, la Lega diprotezione repubblicana del Partito socialista austriaco -venivano immediatamente controllati dalle autoritàtedesche. In alcuni casi, come quello del comunistaaustriaco Paul Meisel nel maggio del 1938, l'espulsoveniva portato fino alla frontiera austriaca passando perla Polonia e consegnato alla Gestapo. Paul Meisel,ebreo, scomparve ad Auschwitz.Questa intesa perfetta tra la Germania nazista e laRussia sovietica prefigurava il patto russo-tedesco del1939 «in cui si manifesta la vera natura convergente deisistemi totalitari» (Jorge Semprun). Dopo la firma degliaccordi le espulsioni continuarono in condizioni assai piùdrammatiche. Quando Stalin e Hitler ebbero sconfitto laPolonia, la Germania e l'URSS si trovarono ad avere unafrontiera comune che permetteva di trasferire gli espulsidirettamente dalle prigioni sovietiche a quelle tedesche.Dal 1939 al 1941 furono consegnati così alla Gestapo da200 a 300 comunisti tedeschi, come segno della buonavolontà sovietica verso il nuovo alleato. Il 27 novembre1939 fu sottoscritto un accordo bilaterale. In seguito,tra il novembre del 1939 e il maggio del 1941, furonoespulse circa 350 persone, tra cui 85 austriaci. Uno diessi era Franz Koritschoner, uno dei fondatori del Partitocomunista austriaco, diventato poi funzionariodell'Internazionale sindacale rossa. Dopo un periodo dideportazione nelle regioni settentrionali dell'UnioneSovietica, fu consegnato alla Gestapo di Lublino,trasferito a Vienna e quindi torturato e giustiziato adAuschwitz il 7 giugno 1941.Le autorità sovietiche non tennero in alcunaconsiderazione il fatto che molti degli espulsi erano diorigine ebraica. Hans Walter David, compositore edirettore d'orchestra, ebreo e iscritto al K.P.D., fuconsegnato alla Gestapo e morì in una camera a gas aMajdanek nel 1942. Si conoscono anche molti altri casi,come quello del fisico Alexander Weissberg, chesopravvisse e scrisse le sue memorie. Anche MargaretBuber Neumann, la compagna di Heinz Neumann,estromesso dalla direzione del K.P.D. e poi emigratonell'URSS, offre una testimonianza dell'incredibile intesatra nazisti e sovietici. Dopo essere stata deportata aKaraganda, in Siberia, fu consegnata alla Gestapoinsieme con molte altre compagne di sventura nelfebbraio del 1940 e fu internata a Ravensbrìck.Contemporaneamente ai comunisti tedeschi finirononell'ingranaggio del terrore i quadri del Partitocomunista di Palestina, molti dei quali erano emigrati inPolonia. Joseph Berger (1904-1978), ex segretario delP.C.P. dal 1929 al 1931, fu arrestato il 27 febbraio 1935e liberato solo dopo il Ventesimo Congresso, nel 1956. Ilsuo è un caso eccezionale: molti altri militanti furonogiustiziati o scomparvero nei campi di sterminio. WolfAverbuch, che dirigeva una fabbrica di trattori a Rostovsul Don, fu arrestato nel 1936 e giustiziato nel 1941. Lapolitica di eliminazione sistematica dei membri delP.C.P. o dei gruppi sionisti socialisti nell'URSS vacollegata alla politica sovietica nei confronti dellaminoranza ebraica, esemplificata dalla costituzione diBirobidzan (il capoluogo della provincia autonoma degliebrei nella Siberia sudorientale), i cui responsabilifurono messi in stato di accusa. Il professor JosifLiberberg, presidente del Comitato esecutivo diBirobidzan, fu denunciato in quanto nemico del popolo.Dopo di lui furono eliminati gli altri quadri della regioneautonoma con funzioni istituzionali. Samuil Augurskij<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 119


(1884-1947) fu accusato di appartenere a un presuntoCentro giudeo-fascista. L'intera sezione ebraica delpartito russo (la «Evsekcija») fu smantellata. L'obiettivoera l'abbattimento delle istituzioni ebraiche propriomentre fuori dell'URSS lo Stato sovietico cercava diprocurarsi il sostegno di ebrei eminenti.Uno dei gruppi più duramente colpiti fu quello deicomunisti polacchi. Nelle statistiche della repressionevengono al secondo posto, subito dopo i russi. È veroche, contrariamente alle abitudini, il Partito comunistapolacco (K.P.P.) era stato sciolto in maniera ufficiale inseguito a una frettolosa votazione del Comitatoesecutivo del Comintern il 16 agosto 1938. Stalin avevasempre giudicato con sospetto il K.P.P., ritenutocolpevole di molte e varie deviazioni. Numerosi dirigenticomunisti polacchi avevano fatto parte dell'entourage diLenin prima del 1917 e vivevano privi di tutela giuridicanell'URSS. Nel 1923 il K.P.P. aveva preso posizione afavore di Trotsky e, alla vigilia della morte di Lenin, ladirezione aveva adottato una risoluzione a favoredell'Opposizione. In seguito fu criticata per il suo«luxemburghismo». Durante il Quinto Congresso delComintern, nel giugno-luglio del 1924, Stalin estromise ileader storici del K.P.P. - Adolf Warski, MaksimilianWalecki e Wera Kostrzewa - compiendo così un primopasso verso l'assunzione del controllo da parte delComintern. In seguito il K.P.P. fu denunciato comefocolaio di trotzkismo. Questa breve sintesi dei fatti nonbasta a spiegare la purga radicale che colpì il Partito,molti dirigenti del quale erano di origine ebraica. Ci fuanche la questione dell'Organizzazione militare polacca(P.O.W.) nel 1933 (si veda il contributo di AndrzejPaczkowski). Bisogna tenere presente, inoltre, che lapolitica del Comintern tendeva a imporre alla sezionepolacca un orientamento interamente volto a indebolirelo Stato polacco a vantaggio dell'URSS e dellaGermania. L'ipotesi secondo cui l'eliminazione del K.P.P.sarebbe stata motivata prima di tutto dalla necessità dipreparare la firma degli accordi russo-tedeschi merita,quindi, di essere presa in seria considerazione. Anche ilmodo in cui Stalin la affrontò è indicativo: con l'aiutodell'apparato del Comintern fece in modo che tutte lesue vittime tornassero a Mosca, stando attento a nonfarsi sfuggire nessuno. Sopravvisse solo chi eradetenuto in Polonia, come Wladyslaw Gomulka.Nel febbraio 1938 l'«Internationale PresseKorrespondenz», quindicinale ufficiale del Comintern,con un articolo firmato da J. Swiecicki, mise sottoaccusa tutto il K.P.P. Durante la purga iniziata nelgiugno del 1937 (il segretario generale Julian Lenski,convocato a Mosca, scomparve in questo periodo)furono eliminati 12 membri del Comitato centrale,numerosi dirigenti di secondo piano e diverse centinaiadi militanti. La purga si estese anche ai polacchiarruolati nelle Brigate internazionali: i responsabilipolitici della brigata Dombrowski, Kazimierz Cichowski eGustav Reicher, furono arrestati non appena rientraronoa Mosca. Solo nel 1942 Stalin si rese conto dellanecessità di ricostituire un Partito comunista polacco, ilPartito operaio polacco (P.P.R.), per farne il fulcro di unfuturo governo ai suoi ordini, in contrapposizione con ilgoverno legale in esilio a Londra.Anche i comunisti iugoslavi dovettero subire i pesantieffetti del terrore stalinista. Dichiarato fuori legge nel1921, il Partito comunista iugoslavo era stato costrettoa ripiegare all'estero, a Vienna dal 1921 al 1936 e,quindi, a Parigi dal 1936 al 1939; ma il suo nucleoprincipale si costituì soprattutto a Mosca dopo il 1925.Intorno agli studenti dell'Università comunista delleminoranze nazionali, dell'Università comunista Sverdlove della Scuola leninista internazionale si formò un primonucleo di emigrati iugoslavi, poi rafforzato da una nuovaondata giunta in seguito all'instaurazione, nel 1929,della dittatura del re Alessandro. Negli anni Trentarisiedevano nell'URSS da 200 a 300 comunisti iugoslavi,molto presenti nelle amministrazioni internazionali, delComintern e dell'Internazionale comunista giovanile inparticolare. Per questo motivo erano evidentementecollegati al P.C.U.S.Si fecero una cattiva reputazione per via dellenumerose lotte tra le fazioni che si disputavano ladirezione del K.P.J. In queste circostanze l'interventodella direzione del Comintern divenne sempre piùfrequente e vincolante. Verso la metà del 1925 ci fu una"cistka", un accertamento-epurazione, alla K.U.M.N.Z.,dove gli studenti iugoslavi, piuttosto favorevoliall'Opposizione, osteggiavano il rettore Maria J. Frukina.Alcuni studenti furono espulsi con una nota di biasimo equattro (Ante Ciliga, Dedic, Dragiced Eberling) arrestatie mandati in Siberia. Nel 1932 ci fu una nuovaepurazione all'interno del K.P.J., che portò all'esclusionedi 16 militanti.Dopo l'assassinio di Kirov il controllo sugli emigratipolitici si intensificò e nell'autunno 1936 tutti i militantidel K.P.J. furono sottoposti a un accertamento primadell'inizio del terrore. Per quanto riguarda gli emigratipolitici, il cui destino è più noto di quello dei lavoratorianonimi, abbiamo notizia dell'arresto e della scomparsadi 8 segretari e di altri 15 membri del Comitato centraledel K.P.J. e di 21 segretari delle direzioni regionali olocali. Uno dei segretari del K.P.J., Sima Markovic, cheera stato costretto a rifugiarsi nell'URSS, lavoravaall'Accademia delle scienze; fu arrestato nel luglio 1939e condannato a dieci anni di lavori forzati senza il dirittodi corrispondenza. Morì in prigione. Altri furonogiustiziati seduta stante, come i fratelli Vujovic, Radomir(membro del Comitato centrale del K.P.J.) e Gregor(membro del Comitato centrale della gioventò); VojaVujovic, ex responsabile dell'Internazionale comunistagiovanile, che aveva solidarizzato con Trotsky nel 1927,era stato il primo a scomparire e al suo arresto feceseguito quello dei fratelli. Milan Gorkic, segretario delComitato centrale del Partito comunista della Iugoslaviadal 1932 al 1937, fu accusato di avere creatoun'organizzazione antisovietica all'interno delComintern, diretta da Knorin e Pjatnickij.A metà degli anni Sessanta il K.P.J. riabilitò uncentinaio di vittime della repressione, ma non fu maiaperta un'inchiesta sull'accaduto. È vero, però, cheun'indagine del genere avrebbe indirettamente sollevatola questione delle vittime della repressione condottacontro i sostenitori dell'URSS in Iugoslavia dopo loscisma del 1948 e, soprattutto, avrebbe sottolineato ilfatto che l'ascesa di Tito (Josip Broz) ai vertici delPartito nel 1938 era seguita a una purgaparticolarmente sanguinosa. Il fatto che Tito nel 1948 sifosse messo contro Stalin non diminuiva affatto la suaresponsabilità nella purga degli anni Trenta.120<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


II.1.4 La caccia ai trotzkistiDopo aver decimato i ranghi dei comunisti stranieri chevivevano nell'URSS, Stalin passò ai dissidenti cherisiedevano all'estero. L'N.K.V.D. ebbe così l'occasione dimostrare la propria potenza a livello mondiale.Uno dei casi più spettacolari è quello di Ignaz Reiss, chein realtà si chiamava Nathan Porecki. Reiss era uno diquei giovani rivoluzionari ebrei dell'Europa centraleusciti dalla guerra del 1914- 1918 fra cui spesso ilComintern aveva reclutato seguaci. Agitatoreprofessionista, lavorava nella rete clandestinainternazionale e aveva portato a termine le sue missionitanto bene da essere insignito nel 1928 dell'ordine dellaBandiera rossa. Dopo il 1935 fu ricuperato dall'N.K.V.D.,che stava assumendo il controllo di tutte le retiall'estero, e fece dello spionaggio in Germania.Sconvolto dal primo dei grandi processi di Mosca, Reissdecise di prendere le distanze da Stalin. Conoscendo leabitudini sovietiche, preparò con cura la propriadefezione e, il 17 luglio 1937, rese pubblica una letteraal Comitato centrale del P.C.U.S. in cui spiegava leproprie ragioni e attaccava in particolare Stalin e lostalinismo, «questa mescolanza del peggioreopportunismo - un opportunismo privo di principi - disangue e di menzogne [che] minaccia di avvelenare ilmondo intero e di annientare quel che resta delmovimento operaio». Reiss annunciava, inoltre, di avereaderito alla causa di Lev Trotsky. Senza saperlo, avevafirmato così la propria condanna a morte. L'N.K.V.D.mobilitò immediatamente la propria rete in Francia eriuscì a localizzare Reiss in Svizzera, dove gli fu tesa unatrappola. La sera del 4 settembre a Losanna fu crivellatodi colpi da due comunisti francesi, mentre una donnache in realtà era un'agente dell'N.K.V.D. tentava diuccidere sua moglie e suo figlio con una scatola dicioccolatini avvelenati. Nonostante le indagini svolte inSvizzera, gli assassini e i loro complici non furono maitrovati né condannati. Trotsky si rivolseimmediatamente a Jacques Duclos, uno dei segretari delP.C.F., chiedendo al suo segretario Jan van Heijenoortdi mandare il telegramma seguente al capo del governofrancese:"Chautemps Presidente del Consiglio Parigi / Nellavicenda assassinio Ignaz Reiss / Furto dei miei archivi ereati analoghi / Mi permetto insistere necessità diinterrogare almeno come testimone Jacques Duclosvicepresidente Camera dei deputati vecchio agenteG.P.U.".Duclos era vicepresidente della Camera dei deputati dalgiugno 1936 e il telegramma non ebbe alcun seguito.L'assassinio di Reiss fu senza dubbio impressionante,ma rientrava in un vasto piano di eliminazione deitrotzkisti. Non stupisce che nell'URSS i sostenitori diTrotsky siano stati massacrati come molti altri avversaridel regime. Quel che può sorprendere semmai è l'astiocon cui i servizi speciali liquidarono fisicamente glioppositori all'estero o i gruppi trotzkisti costituitisi in varipaesi. Alla base di questa operazione ci fu un pazientelavoro di infiltrazione. Nel luglio 1937 scomparve ilresponsabile della segreteria internazionaledell'opposizione trotzkista, Rudolf Klement. Il 26 agostofu ripescato nella Senna un corpo senza testa e senzagambe, che fu poi riconosciuto come quello di Klement.Anche il figlio di Trotsky, Lev Sedov, morì a Parigi il 16febbraio 1938 dopo un intervento chirurgico; lecircostanze sospette del suo decesso indussero lepersone a lui vicine a pensare che in realtà fosse statoassassinato dai servizi sovietici.Nei suoi ricordi Pavel Sudoplatov assicura invece chequesto non è affatto vero. Ciò non toglie che Lev Sedovfosse sorvegliato dall'N.K.V.D. Una delle persone che glierano vicine, Mark Zborowski, era un agente infiltratonel movimento trotzkista.[...]Sudoplatov ha ammesso invece di essere statoincaricato nel marzo 1939 da Berija e Stalin in personadi assassinare Trotsky. Stalin gli disse: «Trotskydovrebbe essere eliminato entro un anno, prima chescoppi la guerra che è inevitabile», aggiungendo poi:«Riferisca direttamente al compagno Berija e a nessunaltro, ma ricordi che la responsabilità di compiere lamissione con successo ricade su di Lei e solo su di Lei».Ebbe inizio così una caccia spietata al capo della QuartaInternazionale, passando per Parigi, Bruxelles, gli StatiUniti, fino a Città del Messico, dove risiedeva. Con lacomplicità del Partito comunista messicano, gli agenti diSudoplatov prepararono un primo attentato, a cuiTrotsky sfuggì per miracolo il 24 maggio. Grazie aRamòn Mercader, infiltrato sotto falso nome, Sudoplatovriuscì a sbarazzarsi di Trotsky. Mercader, conquistatosila fiducia di una militante Trotskysta, riuscì a entrare incontatto con il «vecchio». Trotsky, poco sospettoso,accettò di incontrarlo per comunicargli la sua opinionesu un articolo scritto in difesa della sua figura dirivoluzionario. Mercader lo colpì alla testa con unapiccozza. Ferito, Trotsky lanciò un grido. La moglie e leguardie del corpo si precipitarono su Mercader che,compiuto il suo gesto, era rimasto come paralizzato.Trotsky morì il giorno dopo.Lev Trotsky aveva denunciato la commistione tra ipartiti comunisti, le sezioni del Comintern e i servizidell'N.K.V.D., ben consapevole del fatto che ilComintern era sotto il dominio prima della G.P.U. e poidell'N.K.V.D. In una lettera del 27 maggio 1940indirizzata al procuratore generale del Messico, tregiorni dopo il primo attentato di cui era stato vittima,scriveva:"L'organizzazione della G.P.U. ha tradizioni e metodi benstabiliti fuori dall'Unione Sovietica. La G.P.U. ha bisognodi una copertura legale o semilegale per la sua attività edi un ambiente favorevole per il reclutamento dei suoiagenti; trova questo ambiente e questa protezione neicosiddetti «partiti comunisti»".Nel suo ultimo scritto, sempre a proposito del 24maggio, tornò con dovizia di particolari sull'attentato dicui per un soffio non era rimasto vittima. Ai suoi occhi laG.P.U. (Trotsky usa sempre il nome adottato nel 1922,quando aveva rapporti con essa) era «l'organoprincipale del potere di Stalin», era «lo strumento deldominio totalitario» nell'URSS, da cui «uno spirito diservilismo e cinismo [che] si è diffuso in tutto ilComintern e avvelena il movimento operaio fino almidollo». Insistette a lungo su questa dimensioneparticolare che era determinante sotto molti aspettinell'ambito dei partiti comunisti:"In quanto organizzazioni, la G.P.U. e il Comintern nonsono identici, ma sono indissolubilmente legati. Sonosubordinati reciprocamente e non è il Comintern che dà<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 121


gli ordini alla G.P.U., ma al contrario la G.P.U. chedomina completamente il Comintern".Quest'analisi, sostenuta da numerosi argomenti, era ilfrutto della duplice esperienza di Trotsky: quellaacquisita quando era dirigente del nascente Statosovietico e quella del proscritto inseguito in tutto ilmondo dagli assassini dell'N.K.V.D., di cui oggi siconoscono con certezza i nomi. In particolare si trattavadi dirigenti del dipartimento Incarichi speciali, istituitonel dicembre del 1936 da Nikolaj Ezov: SergejSpigel'glas, che fallì; Pavel Sudoplatov (morto nel 1996)e Naum Ejtingon (morto nel 1981) che invece, grazie anumerose complicità, riuscirono nel loro intento.Gran parte di quello che si sa sull'uccisione di Trotskyin Messico il 20 agosto 1940 deriva dalle varie indaginicondotte immediatamente sul posto e poi riprese inseguito da Julièn Gorkin. Sul mandante dell'omicidio nonsussistevano dubbi e il responsabile diretto era noto; taliinformazioni sono state confermate di recente daSudoplatov. Jaime Ramòn Mercader del Rio era figlio diCaridad Mercader, una comunista che lavorava datempo per i servizi segreti e che divenne l'amante diEjtingon. Mercader aveva avvicinato Trotsky usando ilnome di Jacques Mornard, personaggio realmenteesistito e morto nel 1967 in Belgio. Mornard avevacombattuto in Spagna, dove il suo passaportoprobabilmente fu preso «in prestito» dai servizi sovietici.Mercader usò anche il nome e il passaporto di un certoJacson, un canadese arruolato nelle Brigateinternazionali e caduto al fronte. Ramòn Mercader morìnel 1978 all'Avana, dove Fidel Castro l'aveva invitatocome consulente del ministero degli Interni. Insignitodell'ordine di Lenin per la sua azione delittuosa, fusepolto con discrezione a Mosca.Stalin si era sbarazzato, così, del suo ultimoavversario politico, ma non per questo la caccia aitrotzkisti ebbe fine. L'esempio francese è moltoindicativo dell'atteggiamento acquisito dai militanticomunisti contro i membri delle piccole organizzazionitrotzkiste. Non è escluso che nella Francia occupataalcuni trotzkisti siano stati denunciati alla poliziafrancese o tedesca dai comunisti.Nelle carceri e nei campi di prigionia francesi di Vichy,i trotzkisti furono sistematicamente emarginati. ANontron (Dordogna) Gérard Bloch fu vittimadell'ostracismo del collettivo comunista diretto da MichelBloch, figlio dello scrittore Jean-Richard Bloch. Detenutonella prigione di Eysses, Gérard Bloch fu avvertito da uninsegnante cattolico che il collettivo comunista delcarcere aveva deciso di giustiziarlo, strangolandolo nelsonno.In quest'atmosfera di odio indiscriminato la vicendadella «scomparsa» di quattro trotzkisti, tra cui PietroTresso, uno dei fondatori del Partito comunista italianoe membro del gruppo di partigiani «Wodli» nell'AltaLoira, assume un significato importante. Evasi dallaprigione di Le Puys-en-Velay insieme con alcunicompagni comunisti il primo ottobre 1943, cinquemilitanti trotzkisti furono «presi in carico» dal gruppo diresistenza comunista. Uno dei cinque, Albert Demazière,fu separato per caso dai compagni e fu l'unicosuperstite: Tresso, Pierre Salini, Jean Reboul e AbrahamSadek furono giustiziati alla fine di ottobre, dopo unprocesso farsa molto significativo. I testimoni e iprotagonisti ancora vivi hanno riferito, infatti, che imilitanti furono accusati di voler «avvelenare l'acqua delcampo», un'accusa di sapore medievale che rimandaalle origini ebraiche di Trotsky (il cui figlio Sergej fuaccusato della stessa cosa nell'URSS) e di almeno unodei prigionieri dei partigiani (Abraham Sadek). Ilmovimento comunista dimostrava, così, di non essereesente dal peggior antisemitismo. Prima di essere uccisi,i quattro trotzkisti furono fotografati, probabilmenteperché i ranghi superiori del P.C.F. potesseroidentificarli, e costretti a scrivere la propria biografia.Persino nei campi di concentramento i comunisticercavano di eliminare fisicamente gli avversari piùprossimi sfruttando la propria posizione gerarchica.Marcel Beaufrère, responsabile per la regione bretonedel Partito operaio internazionalista, arrestatonell'ottobre del 1943 e deportato a Buchenwald nelgennaio dell'anno successivo, era sospettato di esseretrotzkista dal coordinatore capo dei blocchi (uncomunista). Dieci giorni dopo un amico lo avvertì che lacellula comunista del blocco di cui faceva parte, il 39,l'aveva condannato a morte e voleva mandarlo al bloccodelle cavie, dove ai prigionieri veniva inoculato il tifo.Beaufrère fu salvato in extremis dall'intervento di alcunimilitanti tedeschi. Per sbarazzarsi di avversari politici,che pure erano vittime degli stessi uomini della Gestapoo delle S.S., bastava ricorrere al sistemaconcentrazionario nazista assegnandoli ai reparti piùseveri. Marcel Hic e Roland Filiƒtre, entrambi deportati aBuchenwald, furono mandati nel terribile campo diDora, «con il consenso dei quadri del K.P.D. chesvolgevano le funzioni amministrative nel campo»,secondo quanto scritto da Rudolph Prager. Marcel Hicnon resistette. Ancora nel 1948 Roland Filiƒtre sfuggì aun attentato sul posto di lavoro. Altre eliminazioni dimilitanti trotzkisti avvennero col favore dellaLiberazione. Mathieu Buchholz, un giovane operaioparigino del gruppo «La lutte de classe», scomparvel'11 settembre 1944. Nel 1947 il giornale del suo gruppochiamò in causa gli stalinisti.In Grecia il movimento trotzkista non era irrilevante.Un segretario del K.K.E., il Partito comunista greco,Pandelis Pouliopoulos, che venne fucilato dagli italiani,vi aveva aderito ancora prima della guerra. Durante ilconflitto i trotzkisti entrarono individualmente nelle filedel Fronte di liberazione nazionale (EthnikòApelevtherikò Métopo, EAM) fondato nel 1941 daicomunisti. Il generale dell'Esercito popolare diliberazione (Ellinikòs Laikòs Apelevtherikòs Str tos,ELAS), Aris Velouchiotis, fece giustiziare una ventina didirigenti trotzkisti. Dopo la Liberazione i rapimenti dimilitanti trotzkisti si moltiplicarono; spesso essi venivanotorturati perché rivelassero gli indirizzi dei lorocompagni. Nel 1946, in un rapporto al Comitato centraledel Partito comunista, Vassilis Bartziotas parlava di 600trotzkisti giustiziati dall'Organizzazione di tutela dellelotte popolari, l'OPLA, una cifra che verosimilmentecomprende anche anarchici o socialisti dissidenti. Anchegli archeomarxisti, militanti che si erano datiun'organizzazione al di fuori del Partito comunista grecofin dal 1924, furono perseguitati e uccisi.I comunisti albanesi non furono da meno. Dopo lafusione dei gruppi di sinistra, compresi i trotzkisti riunitiintorno ad Anastaste Loula, avvenuta nel novembre122<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


1941, si riaccesero le divergenze fra trotzkisti eortodossi (Enver Hoxha, Memet Chehu), sostenuti dagliiugoslavi. Nel 1943 Loula fu giustiziato in modosommario. Dopo vari attentati alla sua vita SadikPremtaj, un altro leader trotzkista particolarmentepopolare, riuscì a raggiungere la Francia; nel maggio1951 fu vittima di un nuovo tentativo di omicidiocompiuto da Djemal Chami, un veterano delle Brigateinternazionali al servizio della legazione albanese aParigi.In Cina era nato un embrione di movimento nel 1928,sotto la guida di Chen Duxiu, fondatore ed ex segretariodel Partito comunista cinese. Nel 1935 aveva solo pochecentinaia di iscritti, una parte dei quali durante la guerracontro il Giappone riuscì a entrare nell'Ottava Armatadell'Esercito popolare di liberazione. Mao Zedong li fecegiustiziare e abolì i battaglioni da loro comandati. Allafine della guerra civile furono ricercati e uccisisistematicamente. Di molti di loro non si seppe mai piùnulla.In Indocina inizialmente la situazione era diversa. Apartire dal 1933 i trotzkisti del gruppo «Tranh Dau» (lalotta) e i comunisti si allearono. L'influenza dei trotzkistiera particolarmente forte nel sud della penisola. Nel1937 una direttiva di Jacques Duclos vietò al Partitocomunista indocinese di continuare a collaborare con imilitanti della Tranh Dau. Nei mesi successivi allasconfitta giapponese un altro gruppo trotzkista, la Legacomunista internazionale (L.C.I.), acquisì un'influenzatale da preoccupare i dirigenti comunisti. Nel settembre1945, all'arrivo delle truppe inglesi, l'L.C.I. criticòaspramente l'accoglienza pacifica che era stata lororiservata dal Vietminh, il Fronte democratico perl'indipendenza fondato nel maggio del 1941 da Ho ChiMinh. Il 14 settembre il Vietminh diede inizio a unavasta operazione contro i dirigenti trotzkisti, che nonreagirono. La maggior parte di loro fu catturata e poigiustiziata. In seguito, dopo avere combattuto contro letruppe anglofrancesi, ritiratesi nella pianura dei Giunchi,furono annientati dalle truppe del Vietminh.Quest'ultimo attaccò poi i militanti della Tranh Dau.Imprigionati a Ben Suc, essi furono giustiziati quando letruppe francesi erano ormai vicine. Ta Thu Tau, il capostorico del movimento, fu poi arrestato e giustiziato nelfebbraio 1946. Ho Chi Minh non aveva forse scritto che itrotzkisti «sono i traditori e le spie più infami»?.In Cecoslovacchia il destino di Zavis Kalandra èemblematico di quello di tutti i suoi compagni. Nel 1936egli era stato escluso dal Partito comunista cecoslovaccoper avere scritto un opuscolo in cui denunciava iprocessi di Mosca. Entrato nella Resistenza, fudeportato dai tedeschi a Oranienburg. Arrestato nel1949 con l'accusa di aver diretto un complotto contro larepubblica, fu sottoposto a tortura. Il processo nel qualepronunciò la sua autocritica ebbe inizio nel giugno del1950. L'8 giugno fu condannato a morte. Su «Combat»del 14 giugno 1950 André Breton chiese a Paul Eluard diintervenire in favore di un uomo che tutti e dueconoscevano da prima della guerra. Eluard rispose: «Hotroppo da fare con gli innocenti che proclamano lapropria innocenza per occuparmi dei colpevoli cheproclamano la propria colpevolezza». Zavis Kalandra fugiustiziato il 27 giugno successivo insieme con altri trecompagni.II.1.5 Antifascisti e rivoluzionari stranieri vittimedel terrore nell'URSSLa decimazione del Comintern, dei trotzkisti e di altridissidenti comunisti costituì sì un aspetto importante delterrore comunista, ma non fu l'unico. A metà degli anniTrenta, infatti, nell'URSS vivevano moltissimi stranieriche, pur non essendo comunisti, erano stati attratti dalmiraggio sovietico. Molti di loro pagarono con la libertàe spesso con la vita il loro amore per il paese dei soviet.All'inizio degli anni Trenta i sovietici condussero unacampagna di propaganda sulla Carelia, giocata tantosulle opportunità offerte da questa regione di frontieratra l'URSS e la Finlandia quanto sul fascino esercitatodalla «costruzione del socialismo». Dalla Finlandiaemigrarono quasi 12 mila persone, cui si aggiunserocirca 5000 finlandesi provenienti dagli Stati Uniti,prevalentemente iscritti all'Associazione (americana) deilavoratori finlandesi, che si trovavano in forte difficoltà acausa della disoccupazione che era seguita alla crisi del1929. La «febbre della Carelia» fu accentuata dal fattoche l'Amtorg (l'agenzia commerciale sovietica)prometteva un lavoro ben retribuito, un alloggio e ilviaggio gratuito da New York a Leningrado. Agliemigranti veniva consigliato di portare con sé tutto ciòche possedevano.La «corsa all'utopia», per usare l'espressione di A‹noKuusinen, si trasformò in un incubo. All'arrivo in Careliagli emigranti si videro confiscare macchinari, attrezzi erisparmi. Dovettero consegnare il passaporto e sitrovarono prigionieri in una regione sottosviluppata eprevalentemente boscosa, in condizioni di vitadurissime. Secondo Arvo Tuominen, che diresse ilPartito comunista finlandese e ricoprì la carica dimembro supplente al presidium del Comitato esecutivodel Comintern fino alla fine del 1939, quando fucondannato a morte (anche se la pena gli fu poicommutata in 10 anni di reclusione), furono rinchiusi incampo di concentramento almeno 20 mila finlandesi.Costretta a stabilirsi a Kirovakan, A‹no Kuusinenassistette, dopo la seconda guerra mondiale, all'arrivodegli armeni che, ingannati anch'essi da un'abilepropaganda, avevano deciso di trasferirsi nellaRepubblica sovietica di Armenia. Rispondendo all'appellodi Stalin che chiedeva ai residenti di origine russaall'estero di rientrare nell'URSS, gli armeni, pur essendoin realtà esuli della Turchia, si mobilitarono pertrasferirsi in una Repubblica di Armenia che, nella loroimmaginazione, si sostituì alla terra dei loro padri. Nelsettembre del 1947 si radunarono a migliaia a Marsigliae in 3500 si imbarcarono sul "Rossija" alla voltadell'URSS. Non appena il piroscafo entrò nelle acqueterritoriali sovietiche nel Mar Nero, l'atteggiamento delleautorità sovietiche cambiò. Molti capirono allora diessere caduti in un'orrenda trappola. Nel 1948arrivarono dagli Stati Uniti 200 armeni. Accolti congrandi festeggiamenti, subirono la stessa sorte:all'arrivo si videro confiscare il passaporto. Nel maggio1956 alcune centinaia di armeni giunti dalla Franciamanifestarono in occasione della visita a Erevan delministro degli Affari esteri, Christian Pineau. Solo 60famiglie riuscirono a lasciare l'URSS, mentre sulle altresi abbatté la repressione. Quasi tutte, poi, un po' allavolta sono rientrate.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 123


Il terrore colpì non soltanto chi si era trasferitonell'URSS di propria spontanea volontà, ma anche chi viera stato costretto dalla repressione di regimidittatoriali. Secondo l'articolo 129 della Costituzionesovietica del 1936 «l'URSS concede il diritto di asilo aicittadini stranieri perseguitati per aver difeso gliinteressi dei lavoratori o a causa della loro attivitàscientifica o della lotta intrapresa per la liberazionenazionale». Nel romanzo "Vita e destino" VasilijGrossman mette a confronto un S.S. e un vecchiomilitante bolscevico suo prigioniero. Durante un lungomonologo l'S.S. pronuncia una frase che illustra allaperfezione il destino di migliaia di uomini, donne ebambini rifugiatisi in Unione Sovietica:"Chi starebbe nei nostri lager se non ci fosse la guerra,se non ci fossero dentro prigionieri di guerra? I nemicidel Partito, i nemici del popolo. È una specie che leiconosce, l'avete anche nei vostri lager. E nel tranquillotempo di pace le S.S. del Reich includerebbero nelsistema i vostri detenuti, non li lascerebbero andare, 'ivostri internati sarebbero i nostri internati'."Che fossero venuti dall'estero rispondendo a un appellodegli stessi sovietici o in cerca di una sicurezza che nelpaese d'origine non avevano più a causa del loroimpegno politico, tutti questi emigrati furono consideratipotenziali spie. È questa, infatti, l'accusa più frequentesulle loro notifiche di condanna.Una delle prime ondate migratorie fu quella degliantifascisti italiani, che cominciò intorno alla metà deglianni Venti. Molti di loro, credendo di trovare nel paesedel socialismo il rifugio dei propri sogni, andaronoincontro a una grave delusione e caddero vittime delterrore. A metà degli anni Trenta gli italiani nell'URSS,comunisti o simpatizzanti, erano circa 600:approssimativamente 250 dirigenti politici emigrati e350 studenti che frequentavano le tre scuole diformazione politica. Molti degli studenti lasciaronol'URSS al termine dei corsi e circa cento militantiandarono a combattere in Spagna nel 1936-1937, masui rimanenti si abbatté il terrore. Ne furono arrestaticirca 200, generalmente per spionaggio; unaquarantina, di cui 25 identificati, furono fucilati e gli altrifurono mandati nei gulag, o nelle miniere d'oro dellaKolyma o nel Kazakistan. Romolo Caccavale hapubblicato un libro commovente, in cui ripercorrel'itinerario e il tragico destino di tanti di questi militanti.Un esempio fra i molti è quello di Nazareno Scarioli,un antifascista che fuggì dall'Italia nel 1925 pertrasferirsi prima a Berlino e poi a Mosca. Accolto dallasezione italiana del Soccorso rosso, lavorò in unacolonia agricola nei dintorni di Mosca per un anno,quindi fu trasferito a Jalta in un'altra colonia dovelavorava una ventina di anarchici italiani guidati da TitoScarselli. Nel 1933 la colonia fu sciolta. Scarioli tornò aMosca, dove fu assunto in una fabbrica di biscotti epartecipò alle attività della colonia italiana. Vennero glianni della Grande purga. Paura e terrore divisero lacomunità italiana: tutti nutrivano sospetti su tutti. Ilresponsabile comunista Paolo Robotti annunciò algruppo italiano l'arresto, in quanto nemici del popolo, di36 emigrati che lavoravano in una fabbrica di cuscinettia sfere. Robotti costrinse i presenti ad approvarel'arresto di questi operai conosciuti da tutti. Durante lavotazione per alzata di mano, Scarioli votò contro. Fuarrestato la sera del giorno dopo. Torturato allaLubjanka, firmò una confessione. Deportato nellaKolyma, fu messo a lavorare in una miniera d'oro. Moltialtri italiani conobbero la sua stessa sorte: lo scultoreArnaldo Silva; l'ingegner Renato Cerquetti; il dirigentecomunista Aldo Gorelli, la cui sorella aveva sposato ilfuturo deputato comunista Siloto; l'ex segretario dellasezione romana del P.C.I., Vincenzo Baccalà; il toscanoOtello Gaggi, che a Mosca faceva il portiere; LuigiCaligaris, operaio a Mosca; il sindacalista venezianoCarlo Costa, operaio a Odessa; Edmondo Peluso, che aZurigo aveva frequentato Lenin. Nel 1950 Scarioli, chepesava 36 chili, lasciò la Kolyma, ma rimase a lavorarein Siberia, schiavo dei sovietici. Solo nel 1954 fuamnistiato e riabilitato. Aspettò altri sei anni il visto pertornare in Italia con una misera pensione.Questi rifugiati non erano solo comunisti, iscritti osimpatizzanti del P.C.I. Ci furono anche degli anarchiciche, perseguitati in patria, scelsero di andare nell'URSS.Il caso più noto è quello di Francesco Ghezzi,sindacalista libertario che nel giugno del 1921 arrivò inRussia per rappresentare l'Unione sindacale italianapresso l'Internazionale sindacale rossa. Nel 1922 erastato in Germania, dove era stato arrestato, e il governoitaliano, che lo accusava di terrorismo, ne aveva chiestol'estradizione. Una massiccia campagna di solidarietà gliaveva evitato di finire nelle galere italiane, ma era statocostretto a tornare nell'URSS. Nell'autunno del 1924Ghezzi, che era diventato amico di Pierre Pascal esoprattutto di Nikolaj Lazarevic, ebbe i primi guai con laG.P.U. Nel 1929 fu arrestato, condannato a tre anni diprigione e internato a Suzdal', in condizioni mortali perun ammalato di tubercolosi. I suoi amici ecorrispondenti organizzarono una campagna in suofavore in Francia e in Svizzera. Fra gli altri ancheRomain Rolland (in un primo tempo) firmò unapetizione. Le autorità sovietiche risposero diffondendo lavoce che Ghezzi era un agente dell'ambasciata fascista.Liberato nel 1931, Ghezzi riprese a lavorare in fabbrica.Alla fine del 1937 fu di nuovo arrestato, ma questa voltai suoi amici all'estero non riuscirono più ad avere suenotizie. Fu dato per morto a Vorkuta alla fine dell'agostodel 1941.Quando l'11 febbraio 1934 a Linz i responsabili delloSchutzbund decisero di resistere a qualsiasi attacco daparte degli "Heimwehren" (gli uomini della Guardiapatriottica) che miravano a mettere fuori legge il Partitosocialista, non potevano certo immaginare il destino deiloro compagni.L'aggressione degli "Heimwehren" a Linz costrinse isocialdemocratici a indire a Vienna prima uno scioperogenerale e poi una rivolta. Poiché dopo quattro giorni diaccaniti combattimenti Dollfuss ebbe la meglio, imilitanti socialisti che erano scampati alla prigione o alcampo di internamento entrarono in clandestinitàoppure fuggirono in Cecoslovacchia, in alcuni casiproseguendo poi la lotta in Spagna. Molti di essidecisero di rifugiarsi in Unione Sovietica, invogliati daun'intensa propaganda che riuscì ad aizzarli contro ladirezione socialdemocratica. 1l 23 aprile 1934 nearrivarono a Mosca 300, seguiti da altri gruppi menonumerosi fino a dicembre. L'ambasciata tedesca contò807 "Schutzbìndler" emigrati nell'URSS. Vi trovaronorifugio circa 1400 persone, insieme con i loro familiari. Il124<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


primo convoglio giunto a Mosca fu accolto dairesponsabili del Partito comunista austriaco (K.P.O.) e icombattenti sfilarono nelle strade della capitale. Furonoaffidati al Consiglio centrale dei sindacati. Centoventibambini, i cui padri erano caduti sulle barricate o eranostati condannati a morte, furono raccolti, mandati perun certo periodo in Crimea e poi sistemati a Mosca, nelpensionato per bambini n. 6, aperto appositamente perloro.Dopo qualche settimana di riposo gli operai austriacifurono smistati nelle fabbriche di Mosca, Har'kov,Leningrado, Gorky o Rostov. Ben presto cominciarono aperdere l'entusiasmo a causa delle condizioni di vita chevenivano loro imposte, tanto che i dirigenti comunistiaustriaci dovettero intervenire. Le autorità facevanopressione perché prendessero la nazionalità sovietica;nel 1938 l'avevano presa in 300, ma molti"Schutzbìndler" si erano rivolti invece all'ambasciataaustriaca nella speranza di essere rimpatriati. Sembrache nel 1936 fossero riusciti a ritornare in Austria in 77,mentre secondo l'ambasciata tedesca fino allaprimavera del 1938 sarebbero ripartite in tutto 400persone (dopo l'Anschluss nel marzo 1938 gli austriacidivennero sudditi del Reich tedesco). In 160 andaronoin Spagna a combattere a fianco dei repubblicani.Molti non ebbero la possibilità di lasciare l'URSS. Oggisi calcola che tra la fine del 1934 e il 1938 siano statiarrestati 278 austriaci. Nel 1939 Karlo Stajner incontrò aNorilsk un viennese, Fritz Koppensteiner, di cui non siebbero mai più notizie. Alcuni furono giustiziati, comeGustl Deutch, ex responsabile del quartiere di Florisdorfed ex combattente del reggimento Karl Marx, di cui isovietici avevano pubblicato un opuscolo.Nemmeno il pensionato per bambini n. 6 furisparmiato. Nell'autunno del 1936 cominciarono gliarresti tra i genitori superstiti; i figli passaronoautomaticamente nella giurisdizione dell'N.K.V.D., che limise in un orfanotrofio. La madre di Wolfgang Leonhardfu arrestata e scomparve nell'ottobre 1936, ma lacartolina dalla Repubblica dei Komi gli arrivò solonell'estate dell'anno successivo: era stata condannata acinque anni di campo per attività controrivoluzionariatrotzkista.Nel 1924 erano tra 2600 e 3750 gli iugoslavi che,trovandosi in Russia nel 1917, avevano deciso dirimanervi. A loro si erano aggiunti alcuni operai semplicie specializzati venuti dall'America e dal Canada con iloro strumenti di lavoro per partecipare all'edificazionedel socialismo. Vivevano in colonie distribuite in tutto ilterritorio sovietico, da Leninsk a Saratov e fino aMagnitogorsk. Alcuni di loro (da 50 a 100)parteciparono ai lavori di costruzione dellametropolitana di Mosca. Anche l'emigrazione iugoslavafu colpita dalla repressione. Bozidar Maslaric affermòche agli iugoslavi toccò «il destino più crudele»,aggiungendo: «La maggior parte fu arrestata nel 1937-1938 e di loro non si seppe più nulla...». Era unaconsiderazione soggettiva, basata sulla scomparsa diparecchie centinaia di emigrati. A tutt'oggi, non esistonodati definitivi sugli iugoslavi che lavorarono nell'URSS ein particolare su quelli che parteciparono allacostruzione della metropolitana moscovita e che,avendo protestato per le condizioni di lavoro, furonovittime di una dura repressione.La spartizione della Polonia tra la Germania nazista ela Russia sovietica, decisa in segreto il 23 agosto 1939,divenne effettiva alla fine di settembre dello stessoanno. I due paesi invasori coordinarono gli interventiper assicurarsi il pieno controllo della situazione e dellapopolazione: Gestapo e N.K.V.D. collaboravano. Lecomunità ebraiche furono divise e circa 2 milioni dipersone, su un totale di 3 milioni 300 mila, si trovaronoa vivere sotto il regime tedesco. Alle persecuzioni(incendio delle sinagoghe) e ai massacri fece seguito lasegregazione nei ghetti: quello di Lòdz fu istituito il 30aprile 1940 e quello di Varsavia, organizzato in ottobre,fu chiuso il 15 novembre.Molti ebrei polacchi erano fuggiti verso est spintidall'avanzata dell'esercito tedesco. Durante l'inverno del1939-1940 i tedeschi non impedivano sistematicamentedi varcare la nuova frontiera, ma chi ci provava dovevasuperare un ostacolo inatteso,"i russi custodi del «mito di classe», vestiti con lunghicappotti di pelliccia, coi berretti a visiera e con lebaionette inastate, andarono incontro ai profughi chevolavano verso la «terra promessa» con cani poliziotti econ colpi di fucile mitragliatore".Dal dicembre 1939 al marzo 1940 questi ebrei sitrovarono bloccati in una specie di "no man's land" largaun chilometro e mezzo sulla riva orientale del Bug,costretti a dormire all'addiaccio. La maggior parteritornò nella zona tedesca.Entrato nell'esercito polacco del generale Anders, ilsoldato L. C. (matricola 15015) lasciò una testimonianzadi questa incredibile situazione:"Era una zona di 600-700 metri in cui erano ammassatecirca 700-800 persone ormai da qualche settimana, peril 90 per cento ebrei sfuggiti alla sorveglianza tedesca ...Eravamo malati, fradici su questa terra bagnata dallepiogge d'autunno, e ci stringevamo gli uni agli altrisenza che i soviet «umanitari» si degnassero di darci untozzo di pane o un po' di acqua calda. Non lasciavanopassare nemmeno i contadini delle campagnecircostanti che volevano fare qualcosa per mantenerci invita. Di conseguenza, lasciammo molte tombe in quelterritorio ... Posso affermare che coloro che tornarono acasa dalla parte tedesca fecero bene, perché l'N.K.V.D.non era migliore della Gestapo tedesca da nessun puntodi vista, con la differenza che la Gestapo accorcia itempi ammazzando la gente, mentre l'N.K.V.D. uccide etortura in maniera molto più terribile della morte stessa,sicché chi riesce per miracolo a sfuggire alle sue grinfieresta invalido per tutta la vita...".Simbolicamente, Israel Joshua Singer fa morire inquesta terra di nessuno il suo eroe che, diventato unnemico del popolo, è fuggito dall'URSS.Nel marzo 1940 parecchie centinaia di migliaia diprofughi - alcuni parlano di 600 mila - si videro imporreun passaporto sovietico. Il patto russo-tedescoprevedeva uno scambio di profughi. Dal momento chela situazione delle famiglie smembrate, la povertà e ilterrore voluto dal regime di polizia dell'N.K.V.D.peggioravano, alcuni decisero di tornare nella partedella ex Polonia occupata dai tedeschi. Julius Margolin,che si trovava a Leopoli nell'Ucraina occidentale,riferisce che nella primavera del 1940 gli «ebreipreferivano il ghetto tedesco all'uguaglianza sovietica».A quell'epoca sembrava loro più facile lasciare il<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 125


Governo generale per arrivare in un paese neutralepiuttosto che tentare la fuga passando per l'UnioneSovietica. All'inizio del 1940 cominciarono ledeportazioni dei cittadini polacchi (si veda il contributodi Andrzej Paczkowski), che continuarono fino a giugno.I polacchi di tutte le confessioni furono deportati intreno verso il Nord o il Kazakistan. Il convoglio di JuliusMargolin impiegò dieci giorni per arrivare a Murmansk.Da fine osservatore dell'universo concentrazionario qualera, egli scrisse:"Ciò che differenzia i campi di lavoro sovietici da tutti glialtri luoghi di detenzione del mondo non sono solo leproporzioni immense, inimmaginabili, né le micidialicondizioni di vita. È la necessità di mentirecontinuamente per salvarsi la vita, di mentire sempre, diportare per anni una maschera senza poter mai direquello che si pensa. Nella Russia sovietica, anche icittadini «liberi» sono costretti a mentire ...Dissimulazione e menzogna diventano così l'unicostrumento di autodifesa. I raduni, le riunioni, gliincontri, le conversazioni, i manifesti affissi ai muri sonocaratterizzati da un linguaggio ufficiale melenso, chenon contiene una sola parola di verità. Difficilmente unoccidentale può capire che cosa significhi essere privatidel diritto di esprimersi liberamente e non poterlo fareper cinque o sei anni, nella maniera più totale, esserecostretti a rimuovere anche il minimo pensiero«illegale» e restare muti come tombe. Sotto questapressione incredibile tutto ciò che un individuo hadentro si deforma e si disgrega".Nell'inverno 1945-1946 il dottor Jacques Pat,segretario del Comitato operaio ebraico degli Stati Uniti,si recò in missione in Polonia per indagare sui crimininazisti. Al suo ritorno pubblicò una serie di articoli sugliebrei rifugiati nell'URSS sul «Jewish Daily Forwards». Inbase ai suoi calcoli 400 mila ebrei polacchi erano mortideportati nei campi o nelle colonie di lavoro. Alla finedella guerra in 150 mila decisero di riprendere lacittadinanza polacca per fuggire dall'URSS. Jacques Patscrisse, dopo averne intervistati centinaia:"I 150 mila ebrei che oggi varcano la frontiera tra URSSe Polonia non parlano più dell'Unione Sovietica, dellapatria socialista, della dittatura e della democrazia. Perloro queste discussioni si sono chiuse e l'ultima parola èstata la fuga dall'Unione Sovietica".[...]Da «Il Comintern in azione» di Stéphane Courtois e Jean-Louis Panné IN Courtois-Werth-Panné-Paczkowski-Margolin:Libro nero del comunismo. Crimini – Terrore – Repressione,Mondadori, Milano 1997II.1.6 Umanesimo e Antiumanesimo nei seguacidi MarxIl rapporto tra umanesimo e marxismo ècaratterizzato dall'ambiguità. Viene prima larealizzazione di un ideale di società o il rispetto per idiritti della persona? A questa domanda di fondo gliintellettuali marxisti hanno risposto in manieracontraddittoria.La dottrina marxista è sempre stata caratterizzata dauna finalità eminentemente sociale. Suo obiettivo èstato, in linea di massima, la ricerca di una via per ilsuperamento delle ingiustizie e delle disuguaglianzesociali, ma anche il superamento dall'alienazione. Perquesto senza dubbio encomiabile scopo (da molticoncepito in perfetta buona fede), i vari seguaci di Marxhanno seguito dottrine diverse per quel che riguarda imezzi necessari ad un suo conseguimento. Inoltre iteorici marxisti hanno concepito visioni diverse e incontraddizione tra loro sul concetto di uomo e sulrapporto tra uomo, mondo e società. Questi sono, agrandi linee, i temi che hanno di volta in voltaavvicinato e allontanato le teorie marxiste da quella chepossiamo definire una sensibilità umanista.Per quanto sia semplicistico suddividere i pensatorimarxisti in umanisti e antiumanisti, seguiremo, pernecessità e dovere di sintesi, questa procedura.Cominciamo con il campo del pensiero antiumanistanel quale ci soffermeremo sul materialismodialettico sovietico (i cui sostenitori furono Lenin eStalin), e sul pensiero marxista-strutturalistadi LuisAlthusser.V.I.U. LeninPer quel che riguarda ilpensiero sovietico, i suoicapisaldi sono: un concettodella storia come diun'evoluzione che portanaturalmente e necessariamenteall'affermazione delcomunismo, la funzioneguida del Partito bolsceviconel raggiungimento politico e sociale di tale scopo (e,con ciò, la contrarietà a ogni forma di democrazia), unafilosofia rigorosamente realistica, che afferma che lecose esistono indipendentemente da una coscienza chele rappresenti. È chiaro che un apparato teorico cosìdogmatico e contrapposto a qualsiasi filosofia cheponga l'accento sull'importanza di ogni irripetibileesperienza singolare umana, è ben lontano da unasensibilità umanistica. Inoltre ciò che più allontanal'ideologia leninista dall'Umanesimo (e dal NuovoUmanesimo) è la convinzione che la rivoluzione vadafatta ad ogni costo (Lenin diceva: per fare una frittatabisogna rompere le uova), giustificando in questo modol'uso della violenza. Se è vero che il Nuovo Umanesimoè sostenitore di una rivoluzione in seno ad una societàche si disumanizza sempre più, è altrettantoindubitabile che non si deve fare una rivoluzioneutilizzando mezzi antiumanisti.L'interpretazione di Marx compiuta da LuisAlthusser (1918-1990) ha una grande importanzaepistemologica (cioè di filosofia della scienza e teoriadella conoscenza). Althusser afferma che il pensiero diMarx si fa scientifico quando, nella sua fase più matura,abbandona il feticcio dell'uomo. Si ha così una visioneche considera l'antropocentrismo degli scritti giovanili diMarx come una fase immatura che è stata superata dauna teoria scientifica della storia spiegata attraverso ladialettica materialistica della lotta di classe. È moltostrano, a nostro modo di vedere la questione, che laliberazione del proletariato possa giungere con una126<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


sensibilità così poco attenta alla peculiarità di ognisingola persona umana.Fortunatamente, non vi sono state solointerpretazioni antiumaniste del pensiero di Marx.Quella che possiamo chiamare la corrente di pensierodel marxismo occidentale, è caratterizzata da unamaggiore attenzione alla centralità della persona, sia insenso individuale sia sociale. Questa corrente è difficileda racchiudere in un pensiero monolitico, in quanto vihanno partecipato anche personalità non rigorosamentemarxiste (basti pensare a Sartre, a Marcuse, a Fromm,ad Adorno, solo per citarne alcuni). In questa sedeesporremo il pensiero di due filosofi marxisti in sensostretto: György Lukács (1885-1971) ed Ernst Bloch(1885-1977).György Lukács (Georg Löwinger)L'interesse dell'opera diLukács sta nella critica allascienza positivista eall'ideologia borghese ecapitalista di considerare glieventi storici e sociali comedati, cioè come fatti sottopostia leggi naturali immodificabili.Secondo Lukács, la scienzapositivista è reificante(reificazione = riduzione a cosa) appunto perché ignoraErnst Blochche gli eventi sono prodottidalle forze sociali e non fattinaturali. Con Lukács abbiamoun ritorno al temadell'alienazione che era statoignorato dal materialismodialettico sovietico, quindi unospiccato interesse a studiare ilprocesso di liberazionedall'alienazione. Va infinedetto che l'opera di Lukács fucondannata dai dirigenti dell'ortodossia sovietica (laTerza Internazionale).Simile destino fu quello di Bloch, la cui teoria dellasperanza e dell'utopia, non fu ben accolta dai marxistisovietici. La teoria blochiana dell'utopia, ricorda un po'quella dell'eros platonico .Secondo Bloch, caratteristicafondamentale (al punto che la sua filosofia può esserechiamata ontologia del non-ancora) di tutto l'Universo edel processo cosmico e la sua incompiutezza e latendenza continua alla compiutezza. Questo processo èvissuto dall'uomo come desiderio e speranza. Nederiva la tensione umana verso il futuro e la missionedell'uomo sulla terra come di un trasformatore dicondizioni date - la radice della storia è l'uomo chelavora e crea, che trasforma e supera le condizionidate. Quando l'uomo si sia afferrato ed abbia fondatociò che è suo, senza alienazione né estraniazione, inuna democrazia reale, allora nasce nel mondo qualchecosa che rifulge a tutti nella fanciullezza e in nessuno èancora stato: la patria (intesa da Bloch come mondosenza alienazione).A proposito di Lukács sulla rete s’è trovato uninteressante saggio col titolo Il Vangelo secondoLukács, scritto da Claudio Mutti ossia Omar Amin,* incui si leggono le seguenti informazioni attinenti alnostro tema:György Lukács alias Georg Löwinger (1885-1971)ebbe responsabilità di governo in due brevi e distintimomenti della sua esistenza: nel 1919, all’epoca dellacosiddetta “Repubblica dei Consigli” presieduta da BélaKun, quando fu commissario del popolo per l’Istruzione,oltre che commissario politico della Quinta Divisionerossa; poi, nel 1956, quando, membro del Circolo Petőfie del Comitato Centrale del Partito Comunista, fuministro della Pubblica Istruzione nel primo governoNagy.Ma il suo intervento più incisivo, più violento e piùdevastante nella vita culturale ungherese ebbe luogonel biennio democratico 1945-1946, allorché, ritornatoin Ungheria, fu membro del Parlamento e delladirezione dell’Accademia delle Scienze, nonchéprofessore di estetica e di filosofia della culturaall’Università di Budapest. Il rampollo del banchiereJózsef Löwinger diventò allora “un vero e propriodirettore di coscienze, un dittatore spirituale, undittatore d’altronde relativamente liberale, ma di cuiogni parola era legge. (…) Egli era la prova viventedella tolleranza del regime verso le menti più sottili”(1). In questi termini pressoché idilliaci lo dipinge unaltro celebre “ebreo errante” (2) nato in Ungheria(prima marxista, poi cattolico e infine, ovviamente,liberale): Ferenc Fischel alias François [N.d.R. Ferenc]Fejtő, fondatore con Raymond Aron del Comitato degliintellettuali per l’Europa delle libertà. Quale sia ilconcetto di libertà di Fischel-Fejtö, lo si deduce daquanto egli scrive circa l’azione politico-culturale diGyörgy Löwinger-Lukács; questi, secondo lui, “volevafare del Partito Comunista il mecenate e il protettore ditutte le attività culturali, un centro di raccolta perrealizzare le grandi riforme: democratizzazione emodernizzazione dell’insegnamento, allargamento dellebasi della cultura, emancipazione dello spirito. Era ilmomento del pluralismo e del ‘dialogo’” (3).Davanti a una così commossa apologia c’èsemplicemente da rimanere allibiti, se solo si pensa cheil “pluralista” Lukács fu il più autorevole consulentedella commissione incaricata di compilare il Catalogodella stampa fascista e antidemocratica, un vero eproprio Index librorum prohibitorum che si articolò intre fascicoli, pubblicati tra il 1945 e il 1946 in piùedizioni dal Dipartimento stampa della Presidenza deiMinistri. Era allora al governo una coalizione amaggioranza centrista, presieduta da un uomo di chiesaaderente al Partito dei Piccoli Proprietari.Il Catalogo nasceva dallo stesso spirito inquisitorioche qualche anno più tardi avrebbe prodotto ilfamigerato libro di Lukács Die Zerstörung der Vernunft,ma aveva una funzione eminentemente pratica:segnalava alle autorità di polizia i testi da requisire nellelibrerie e nelle biblioteche private per mandarli almacero, e ciò in applicazione del decreto 530 emanatoil 28 aprile 1945 dal governo del generale fellone BélaMiklós (il badoglio ungherese), decreto concernente la“stampa di ispirazione fascista e antidemocratica”. Nellebiblioteche pubbliche, i libri messi all’indice sarebbero<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 127


stati trasferiti in reparti speciali, non accessibili al volgodei lettori ordinari.Nel Catalogo (oltre 160 pagine in totale) vengonoelencati in ordine alfabetico libri e riviste, opuscoli espartiti musicali, perfino manifesti e volantini dipropaganda stampati nell’ultimo ventennio. Non sitratta solamente di testi in ungherese, ma anche diedizioni tedesche, italiane, francesi, inglesi, spagnole,che avevano avuto una certa circolazione nell’Ungheriatra le due guerre.Tra le opere all’indice, oltre naturalmente ai Protocollidei Savi di Sion e a tutta la letteratura sulla questioneebraica, vi sono gli scritti di Hitler e Mussolini, di JosephGoebbels e Alfred Rosenberg, di Pavolini e Farinacci,nonché del capo crocefrecciato Ferenc Szálasi. Ma visono anche i libri di celebri letterati ungheresi comeJózsef Erdélyi (il poeta nazionalpopolare giàcondannato in epoca horthysta) o come CécileTormay (la narratrice che in Italia fu tradotta daGabriele d’Annunzio). Tra gli autori non ungheresifigurano: Berdjaev, Céline, Chesterton, Gide, PanaitIstrati, Keyserling, Malynski, Maurras, Moeller van denBruck, Ossendowski,Carl Schmitt, Werner Sombart, Othmar Spann. Tra gliitaliani, in particolare, possiamo citare Giuseppe Bottai,Armando Carlini, Ernesto Codignola, Enrico Corradini,Carlo Costamagna, Julius Evola, Arnaldo Fraccaroli,Giovanni Gentile, Balbino Giuliano, Salvator Gotta,Guido Manacorda, Mario Missiroli, Romolo Murri, AlfredoOriani, Sergio Panunzio, Giovanni Papini, ConcettoPettinato, Giorgio Pini, Giovanni Preziosi, CarloScarfoglio, Nino Tripodi, Gioacchino Volpe.Nel lukácsiano “piano per l’allargamento delle basidella cultura” rientra anche la compilazione dellatristemente nota Lista B, un elenco di intellettuali non“politicamente corretti”, condannati al silenzio e allamorte civile.Tra le vittime più illustri della lista di proscrizioneideata da Lukács vogliamo ricordare Béla Hamvas(1897-1968). Sándor Weöres, il Rimbaud magiaro,lo chiamò “il mio maestro”; il filosofo BotondSzathmári lo ha definito “continuatore della tradizioneplatonica”. Di Béla Hamvas, il primo a far conoscere inUngheria le opere di Guénon e di Evola, è stata piùvolte segnalata la parentela spirituale coi maestri del“tradizionalismo integrale”; in tale indirizzo si inscrivedegnamente il suo capolavoro, Scientia Sacra, unagrande opera di sintesi che potrebbe essere benissimoparagonata a libri come La Crise du Monde moderne oRivolta contro il mondo moderno. Autore fecondo emultiforme, Béla Hamvas riprese nel dopoguerral’attività culturale pubblicando un florilegio dellaletteratura mondiale, Anthologia Humana, che arrivòalla terza edizione. Quindi curò la pubblicazione di unacollana di tascabili (i “Piccoli Quaderni della TipografiaUniversitaria”) che resero noti al pubblico ungheresenon solo i presocratici e i neoplatonici, ma anche autoricome Heidegger e Heisenberg, fino allora praticamentesconosciuti nel paese danubiano. Ma la collana direttada Hamvas venne messa al bando per disposizione diLukács, il quale fece mandare al macero i volumi giàstampati e ordinò la distruzione dei piombi. Conscrupolo diligente, Lukács fece fondere i piombi anchedi un volume su Heidegger non ancora andato instampa, dopo aver bollato ex cathedra l’autore di Seinund Zeit come “capofila del tenebroso esistenzialismofascista”. Sommariamente (e falsamente) etichettato daLukács come “il più torbido cultore del neomisticismoungherese”, Béla Hamvas fu licenziato dalla Bibliotecadella Capitale, della quale era funzionario, e fu costrettoa guadagnarsi da vivere come bracciante agricolo, poicome magazziniere presso un’impresa che costruivacentrali elettriche. Ma ciò non dovette avere unsignificato essenziale per un uomo che era solito dire:“Dappertutto c’è un Asse”.Tornando a Lukács, riteniamo interessante unsuggerimento di Róbert Horváth, il quale collocal’origine della spiccata vocazione lukácsiana al sadismopersecutorio in una sorta di devozione religiosa(”subreligiosa“) invertita e permeata di “spirito”parodistico. Da parte nostra, abbiamo reperito in unoscritto giovanile di Lukács un’espressione che sembraquasi anticipare, come una lucida dichiarazioneprogrammatica, l’ascetismo criminale del futuroinquisitore: “Per salvare l’anima, – scrive Lukács – deveessere sacrificata proprio l’anima: si deve diventare,muovendo da un’etica mistica, un feroce Realpolitiker eviolare non una costrizione artificiale, ma ilcomandamento assoluto, il ‘Non uccidere’” (4). Sic.In effetti, elementi che confermino l’indicazione diRóbert Horváth non mancano certamente nell’opera diLukács. Anzi, in essa è possibile avvertire quelcontenuto “negativamente spiritualista e (…)maleficamente religioso” (5) che secondo EmmanuelMalynski caratterizza “il cosiddetto materialismo storico”(6); ovvero, quel marchio che Guénon riteneva tipicodella “controiniziazione”: un marchio ben visibileladdove viene sfigurata l’immagine del sacro e doveviene snaturato o contraffatto il senso delle dottrinespirituali. Róbert Horváth si sofferma sul caso specificodella lettura lukácsiana di Meister Eckhart, ma l’indaginepotrebbe essere sviluppata anche in rapporto ad altrimaestri spirituali, come ad esempio Plotino e Proclo,che Lukács ha cercato di strumentalizzare assieme adEckhart: e non solo in tutta la fase “giovanile” della suaattività (7), fino a Geschichte und Klassenbewusstsein(8), ma anche negli anni della cosiddetta “ortodossia”(9).D’altronde è più che esplicita in Lukács unaconcezione del marxismo che Guénon avrebbe definita“controiniziatica”: “Sembra essenziale al socialismo –scrive Lukács – quella forza religiosa capace di riempirel’anima che distingueva il cristianesimo delle origini”(10). Né mancano, in questa caricatura delcristianesimo, gli aspetti escatologico e messianico,tant’è vero che, se già Marianne Weber riconobbe nelgiovane Lukács il “messaggero escatologico” di un’eranuova (11), Paolo Manganaro ha potuto piùdiffusamente soffermarsi su tali caratteri del marxismolukácsiano: “Lukács aderisce a un modello di socialismochiliastico, mitico e religioso (…) Per Lukács è decisivoche la classe messianica (la Messiasklasse) abbia fatto ilsuo ingresso nella storia: il presente è così l’inizio, laporta d’ingresso dell’utopia. (…) in Lukács la Kultur ècarica di un elemento mistico facilmente individuabile.(…) La prima redazione di Che cos’è il marxismoortodosso? sviluppa una dialettica messianica dell’’atteso compimento’ della rivoluzione” (12).128<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Da quando Paul Vulliaud, lo studioso della Cabalaebraica, pubblicò nel 1938 il suo studio sulla“propaganda mistica dei comunisti”, ben poco è statofatto per approfondire questo argomento. A parte ilavori di Richard Wurmbrand, di Jacques Bergier, diJean Robin e di pochi altri, nonché alcuni nostri articolia carattere divulgativo, le ricerche più serie edorganiche sulla subreligione comunista accessibili allettore italiano sono senz’altro quelle di AleksandrDughin (13) e di Nicola Fumagalli (14). Il primo hamesso in luce l’influenza esercitata da quella dottrinaneospiritualista che in Russia ha avuto il nome di“cosmismo”, mentre il secondo, sulla scorta dei lavori diGiorgio Galli, ha cercato di rintracciare elementid’origine esoterica nel pensiero politico della sinistrarussa prima del 1917. Un’esplorazione del pensiero diGeorg Löwinger-Lukács alla luce dei dati e delleindicazioni di cui sopra potrebbe validamente integrarele scarse nozioni che finora sono state raccolte circa le“radici occulte” del marxismo e i risvolti pseudoreligiosidel bolscevismo.1. F. Fejtő, Ungheria 1945-1957, Torino 1957, pp. 122-123.2. Fejtő Ebreo errante è il titolo sotto il quale “Il Giornale”(Milano) del 26 giugno 1997 ha pubblicato una lungaintervista a François Fejtö, che del medesimo quotidiano èd’altronde collaboratore.3. F. Fejtö, op. cit., pp. 30-31.4. Gy. Lukács, Lettera a Paul Ernst, 4 maggio 1915, rip. in:Gy. Lukács, Schriften zur Ideologie und Politik, Neuwied undBerlin 1967, pp. 10-11 nota. La lettera è stata poi tradotta in:Gy. Lukács, Epistolario 1902-1917, Roma 1983, pp. 359-363.5. E. Malynski, La guerra occulta, Padova 1989, p. 153.6. Ibidem.7. Cfr., ad esempio: Gy. Lukács, Epistolario 1902-1917, cit.,pp. 159, 188, 202, 204, 230, 247.8. Gy. Lukács, Storia e coscienza di classe, Milano 1967, p.272.9. Cfr., ad esempio: Gy. Lukács, Megjegyzések egy irodalmivitához. Az Uj Magyar kultúráért, Budapest 1948; rist. in: Gy.Lukács, Magyar irodalom – Magyar kultúra, Budapest 1970, p.453.10. Gy. Lukács, Esztétikai kultúra, cit. in: István Mészáros,Philosophie des Tertium datur und Coexistenzdialogs, inFestschrift zum 80. Geburstag von Georg Lukács, Neuwiedund Berlin 1965.11. M. Weber, Max Weber. Ein Lebensbild, Tübingen 1925, p.509.12. P. Manganaro, Introduzione a: Gy. Lukács, Scritti politicigiovanili 1919-1928, Bari 1972, pp. XI-XIX.13. A. Dughin, Continente Russia, Parma 1991.14. N. Fumagalli, Cultura politica e cultura esoterica nellasinistra russa (1880-1917), Milano 1996.* Claudio Mutti (1946) è un saggistaitaliano, è laureato in FilologiaUgrofinnica all’Università di Bologna. Si èoccupato dell’area carpatico-danubianasotto il profilo storico (A oriente di Romae di Berlino, Effepi, Genova 2003),etnografico (Storie e leggende dellaTransilvania, Oscar Mondadori, Milano1997) e culturale (Le pennedell’Arcangelo. Intellettuali e Guardia di Ferro, Società EditriceBarbarossa, Milano 1994; Eliade, Vâlsan, Geticus e gli altri. Lafortuna di Guénon tra i Romeni, Edizioni all’insegna del Veltro,Parma 1999). Tra i suoi saggi si possono ricordare ancora:Simbolismo e arte sacra, Pittura e alchimia, Mystica Vannus,L'Antelami e il mito dell'Impero, L'asino e le reliquie, Aviumvoces, L’unità dell’Eurasia, L'estetica al potere. Pittura,scultura e architettura nel III Reich, Imperium. Epifaniedell'idea di Impero, Julius Evola sul fronte dell'Est.Il suo interesse per il revisionismo risale agli anni Ottanta,quando pubblica per i tipi dell’editrice La Sfinge (Parma) unadecina di studi di Carlo Mattogno e di altri storici revisionisti.Per le Edizioni all’insegna del Veltro (da lui fondate nel 1978)ha curato la pubblicazione del Rapporto Leuchter e di due libridi Robert Faurisson. Insegna lettere in un liceo classico diParma.Si interessa di questioni riguardanti l'esoterismo, ilsimbolismo e le religioni. Egli ha dedicato vari studi a filosofi epensatori come Mircea Eliade, Emil Cioran, FriedrichNietzsche, René Guénon e Julius Evola. Autore di unaintroduzione ai lavori del sociologo tedesco Werner Sombart,si è interessato anche all'estetica del nazismo e alla suainfluenza.Dirigente nazionale di Giovane Europa, direttore dellapubblicazione La Nazione Europea, partecipa attivamente allafondazione di Lotta di Popolo. Dopo il 1972 militerà in diverseorganizzazioni maoiste. Al momento del suo arresto nelgiugno del 1974, è in possesso della tessera di un circoloculturale di estrema sinistra. Dopo il 1976 ed una campagnadiffamatoria organizzata dalla polizia di regime, Mutti finiràper raggiungere la corrente politica animata da Franco Freda(Edizioni di Ar).Convertitosi all'Islam con il nome di Omar Amin, si èdedicato per molti anni alla filologia delle lingue ugro finniche(è stato assistente presso l'Università di Bologna), è autore diuna trentina di articoli e saggi sul folklore magiaro e sullaletteratura ungherese.Ottimo conoscitore della lingua e della cultura dellaRomania (fu titolare di una cattedra presso l'Istituto Italianodi Cultura di Bucarest, che gli è stata revocata in seguito adun'interrogazione parlamentare dell'on. AntonelloTrombadori),[senza fonte] ha tradotto e presentato numerosidocumenti della Guardia di Ferro. Interessato alle questionimusulmane, ha lavorato presso la rivista Jihad e tradottonumerosi testi sull'Islam.Ha fondato le Edizioni all'Insegna del Veltro, in cui hapubblicato studi sul simbolismo tradizionale e traduzionicommentate di filosofi greci.(Per ulteriori dati bibliografici, si veda il sito informaticowww.claudiomutti.com).Fonte: http://web.tiscalinet.it/umanesimo/Marxismo.htmlImmagine di GyörgyLukács: «An outlaw's diary/Bujdosókönyv» di Cécile Tormay: http://mek.oszk.hu/07200/07270/pdf/indexNota: Nel testo di C. Mutti col grassetto io ho evidenziatoalcuni nomi ed affermazioni. (Mtt)II.2 L’umiliazione di Trianon è la borghesia, daimiraggi alla pauraIl conte István TiszaII 17 ottobre del 1918 ilconte István Tisza, primoministro, capisce che latemuta catastrofe èarrivata. Annuncia inParlamento che la guerra èpersa. La disfattadell'esercito imperial-regiosul fronte italiano, lacapitolazione della Bulgariache ha aperto la strada allearmate dell'Intesa sul fianco sud orientale, e soprattutto<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 129


la disastrosa situazione sociale, lasciano pochesperanze. Il paese è alla fame, la produzione di granocopre appena la metà del fabbisogno nazionale.L'industria è in ginocchio, privata di forza lavoro dallacoscrizione sempre più massiccia di uomini giovanispediti al fronte, I partiti di sinistra, che guardano alleconquiste dell'Unione Sovietica, aumentano potere econsenso, organizzano scioperi, incitano a sommosse intutto il Paese, che vengono represse nel sangue. Soldatie marinai si ribellano agli ordini, provocando clamoroseinsurrezioni, come nel porto di Cattaro o nella città diPécs.Alla fine d'ottobre l'esercito viene richiamato dalfronte per difendere i confini meridionali del paese.Perché non è più in gioco la sopravvivenza della DupliceMonarchia, bensì l'esistenza stessa dell'Ungheriastorica. A Praga è stata proclamata la Repubblica ceca,immediatamente seguita da quella slovacca; la Croaziasi stacca per aderire a quella che sarà la futuraJugoslavia. Il 25 ottobre il conte Mihály Károlyi (1875-1955), moderato e sinceramente democratico, forma ilConsiglio Nazionale Ungherese, che si propone unampio progetto di riforme per salvare lo Stato,dall'indipendenza dell'Ungheria all'istituzione del suffragiouniversale, alla riforma agraria che frazioni gliimmensi latifondi. Nonostante l'ampio consenso di cuigode Károlyi negli ambienti moderati del Paese, il 28ottobre re Carlo IV incarica il conte János Hadik diformare un nuovo governo. La missione del premier èimpossibile, perché la situazione è ormai ingestibile.Nelle città scoppiano rivolte. Il 31 ottobre István Tisza,simbolo del vecchio ordine, è assassinato nella sua abitazionea Budapest da un gruppo di soldati e operai. Aquesto punto il sovrano è costretto a cedere, e spera disalvare le cose nominando Károlyi. Il nuovo capo digoverno, che è stato dispensato dal giuramento difedeltà alla monarchia, firma il 3 novembre l'armistiziodi Villa Giusti con l'Italia e pone fine alla guerra, con iltragico bilancio di 660.000 morti, 743.000 feriti emutilati, 734.000 prigionieri, un tessuto sociale irrimediabilmentefrantumato.L'America, inizialmente, non è affatto propensa alladissoluzione dell'Austria-Ungheria. Il famoso documentodei «quattordici punti», stilato dal presidente Wilson,auspica una riorganizzazione per garantire il libero eautonomo sviluppo dei popoli mitteleuropei in armoniacon il vecchio ordine, temendo che una deriva verso ilnazionalismo esasperato avrebbe posto le basi per unanuova instabilità nella regione. Gran Bretagna e Italiasono caute nel ridisegnare gli equilibri, sospettose di uneccessivo rafforzamento del mondo slavo. Nelle manovrediplomatiche finisce, però, col prevalere la lineafrancese del «cordone sanitario» che prevede lacreazione di piccoli, nuovi, stati cuscinetto per arginarel'espansionismo tedesco a oriente, e il contagio delcomunismo russo in Occidente. La Francia lascia cosìmano libera a cechi, rumeni, serbi, che ne approfittanoper effettuare sortite militari, occupando fette diterritori confinanti, abitate da popolazioni miste, oggettodi secolari contese. Il 13 novembre Károlyi firma aBelgrado, con il generale francese Franchet d'Experey,una convenzione che fissa linee di demarcazione nelsud e sud est del Paese. I nuovi confini corrono all'internodell'Ungheria storica e di fatto l'obbligano acedere la sovranità su gran parte del proprio territorio.Città storiche come Temesvár, in Transilvania, o Pécs,nel sud, si trovavano ormai oltre frontiera. Sonocondizioni durissime, ma Károlyi le accetta, sperando diprendere tempo, di riuscire a trattare con le altrepotenze vincitrici, Italia compresa, per ottenere clausolepiù onorevoli.Carlo IV, spinto dalle pressioni popolari, abdica e il 12novembre l'Austria diventa una repubblica. Quattrogiorni dopo, il 16 novembre, viene proclamata laRepubblica d'Ungheria, autonoma e indipendente. È iltrionfo pacifico della «Rivoluzione delle rose d'autunno»(così detta dall'usanza dei soldati al ritorno dal fronte diinfilare rose nelle canne dei fucili come simbolo dipace), che spera di imprimere una svolta democratica alpaese e risolvere la spinosa questione delle nazionalità,concedendo maggiori autonomie e diritti ai popoli dellaCorona di santo Stefano. Ma il mosaico multietnico dellaDuplice Monarchia è destinato a essere scompaginatoper sempre. Le speranze di costruire una federazione dipopoli balcanico-danubiana si rivelano ben prestoillusioni. Perché slavi e rumeni vogliono approfittare almassimo della debolezza dell'Ungheria sconfitta. Il 1°dicembre 1918 i rumeni della Transilvania proclamano aGyulafehérvár l'unione dei territori subcarpatici al regnodi Romania. Marosvásárhely, Beszterce, Brasso,vengono occupate dalle truppe. Il 3 dicembre il tenentecolonnello francese Ferdinand Vyx, capo della legazionealleata a Budapest, intima l'evacuazione dell'Ungheriasettentrionale, il Felvidék, destinata a diventare partedella nuova Cecoslovacchia. Il 23 dicembre il generalePhilippe Berthelot consente ai rumeni di varcare la lineadi demarcazione fissata con i patti di Belgrado.La crisi economica unita alla preoccupazione per ildestino degli ungheresi rimasti oltre confine rendono lasituazione interna del Paese particolarmente difficile.Károlyi, diventato presidente l'11 gennaio del 1919, e ilsuo primo ministro Dénes Berinkey, accelerano leriforme interne per abbassare la tensione. Vengonointrodotti il suffragio universale, la libertà di stampa ed'associazione. Alcune fabbriche di importanzanazionale sono nazionalizzate. Il 16 febbraio vieneapprovata la riforma agraria. Ma scioperi, imponentimanifestazioni di piazza organizzate dai partiti disinistra, occupazioni violente e illegali di terre, scontricon polizia ed esercito, mancanza di generi alimentari,rischiano di far precipitare il paese nell'anarchia. Ilpartito comunista, nato il 24 novembre 1914, fautore diuna linea rivoluzionaria, poco propenso al compromesso,prende l'egemonia tra i partiti della sinistra,sottraendo consensi e militanti alle file dellasocialdemocrazia. Béla Kun, capo del partito, enumerosi dirigenti comunisti vengono arrestati infebbraio. Ma Károlyi e il suo governo sono ormaiincapaci di gestire la situazione, stretti tra le pressionimilitari straniere e il disordine interno.Il 20 marzo 1919 Vyx intima l'ennesimo arretramentosulla linea di demarcazione. È il colpo decisivo al debolegoverno di Berinkey. Il conte si dimette e il poterepassa alla coalizione dei partiti di sinistra. Il 21 marzoviene proclamata la Repubblica dei Consigli, con a capoil commissario del popolo Béla Kun. L'Ungheria rossasceglie l'alleanza con l'Unione Sovietica, vengononazionalizzate tutte le attività produttive e commerciali,130<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


la pubblica amministrazione finisce sotto il controllo deiconsigli dei lavoratori, viene istituita una guardia rossaper l'ordine pubblico e un'armata rossa per la difesa delterritorio. Inizia il terrore rosso, con arresti e processipolitici. Sebbene il programma socio-politico sia quellodi realizzare la dittatura del proletariato, il comunismoungherese ha forti connotazioni nazionalistiche.L'Armata rossa sembra a molti l'ultimo baluardo persalvare il paese dall'invasione straniera. E in questachiave, forse, può essere compresa l'adesione al regimedi gran parte degli intellettuali borghesi, tutt'altro cherivoluzionari. Il governo comunista non accetta infatti lerichieste di arretrare l'esercito dalle linee didemarcazione. E dopo le prime disfatte, l'armataraccogliticcia, male equipaggiata, decapitata nei vecchiquadri di comando, riesce a impostare una parzialecontroffensiva in maggio che porta alla liberazione dellaSlovacchia, con la proclamazione della Repubblica popolareanche in quella zona.L'Occidente, preoccupato dalla propagazione delcomunismo nel centro dell'Europa, cerca di intervenire.Georges Clemenceau, premier francese e presidentedella Conferenza di pace di Parigi, invia a Budapest unadelegazione per rassicurare sui nuovi confini, intimandoil ritiro delle truppe. Béla Kun accetta. Ma i romeni nonsi fermano. Il 4 agosto occupano Budapest,sconfiggono il regime di Béla Kun, che fugge in UnioneSovietica. Per il popolo ungherese l'arrivo dei romeninella capitale è un'umiliazione pesantissima. Il paeseviolato, stremato, indebolito nelle sue struttureistituzionali, spaventato, cerca il riscatto. Il fallimentodella riforma liberaldemocratica, prima, e dellarivoluzione comunista, poi, apre la strada alla destra. Il7 agosto 1919 va al governo il lealista István Friedrich,d'accordo con l'arciduca Giuseppe Augusto d'Asburgo,che dopo la fine della Duplice Monarchia hamagiarizzato il proprio nome in József Alcsút, conl'aristocrazia e i grandi industriali. I primi attidell'esecutivo sono la restituzione ai legittimi proprietaridelle terre collettivizzate, delle industrie e delle attivitàcommerciali nazionalizzate durante la Rivoluzione. Intutto il paese, intanto, si scatena il terrore bianco. Idirigenti comunisti vengono arrestati, molti condannatia morte dopo brevi processi. Mentre bande illegalidanno la caccia a presunti bolscevichi, semplici operai,ebrei, perché molti commissari del popolo lo erano.L'Intesa teme la ricostituzione dell'asse asburgico, inviapropri rappresentanti diplomatici per controllare lasituazione e nel giro di pochi mesi si succedonofrequenti rimpasti di governo. Nel frattempo avviacolloqui con il controgoverno costituito prima ad Arad,poi trasferito a Szeged e Siófok, presieduto da PálTeleki e sostenuto militarmente dall'ammiraglio MiklósHorthy, che cerca di riorganizzare quel che restadell'esercito, restituendo potere ai vecchi ufficiali, arruolandosoldati e contadini allo sbando. L'Armatanazionale intende restaurare l'antico ordine.All'inizio di novembre il diplomatico inglese sir GeorgeClark, dopo aver ottenuto la promessa che non saràinstaurata una dittatura militare, concede a Horthy ilpermesso di arrivare a Budapest. L'Intesa impone airomeni di evacuare la capitale. E il «Generalissimo»,alla testa dell'armata nazionale, entra nella città il 16novembre. Viene introdotto per la prima volta ilsuffragio universale segreto. Possono votare tutti gliungheresi che abbiano compiuto i 24 anni e cheabbiano la cittadinanza da almeno sei anni, e le donneche sappiano leggere e scrivere. Il 24 novembre KárolyHuszár forma un governo di coalizione con i partiti borghesi,cristiano democratici e socialdemocratici. Leprime vere elezioni a suffragio universale nella storiaungherese si svolgono alla fine del gennaio 1920 (conl'esclusione dei comunisti e il boicottaggio dei socialisti).Vince il Partito dei piccoli proprietari, costituito dagliscampoli della gentry decaduta e impoverita esoprattutto dai nuovi contadini-proprietari beneficiatidalla distribuzione delle terre, dimostrando che il nucleoforte e storico del paese continuava a essere quelloagrario provinciale.La nuova maggioranza reintroduce la costituzionemonarchica che assegna ampi poteri all'esecutivo. E supressione di inglesi e francesi viene approvato unarticolo che vieta l'elezione di qualunque discendente dicasa Asburgo. Il 1° marzo Horthy viene nominatoreggente, e capo dello stato. Carlo d'Asburgo, l'ultimoimperatore, che non ha mai accettato la dissoluzionedell'Austria-Ungheria e che vive in esilio sul lago diGinevra, effettua maldestri tentativi di ritornare inpossesso del proprio trono. Dopo vane pressioni sulreggente, ci prova con un colpo di mano armato.Giunto in aereo a Sopron, punta sulla capitale con untreno corazzato e un manipolo di soldati comandati dalgenerale Antal Lehár, fratello del più famoso efortunato compositore di operette. Il tentativo falliscedopo una risibile sparatoria alla periferia della capitale.Horthy fa arrestare Carlo, lo consegna all'Intesa, che lomanda in esilio sull'isola di Madera.La spinosa questione dei confini viene definitivamenterisolta dal trattato di Trianon, firmato a Versailles il 4giugno del 1920. Le condizioni per l'Ungheria sconfittasono pesantissime. Il 67,3% del territorio nazionale èceduto a Romania, Cecoslovacchia, Jugoslavia. IlBurgenland passa addirittura all'Austria. L'unico sboccoal mare, il porto di Fiume, va all'Italia. Il 58,4% dellapopolazione, ovvero sette milioni e mezzo di ungheresi,si ritrovano all'improvviso oltre confine, con dirittipolitici e culturali poco rispettati dai nuovi stati, spessocostretti a diventare profughi se non vogliono essereassimilati alle culture straniere. L'esercito viene ridottoad appena 35.000 effettivi, non possono esseremantenute né flotta né aviazione. Viene imposto unoneroso risarcimento dei danni di guerra.Il regime di Horthy, che gode dell'appoggiooccidentale e della Chiesa, istituisce una sorta didittatura parlamentare. Basato sull'alleanza con i cetipiù potenti, con la borghesia cittadina e i contadiniproprietari, mette fuorilegge solo i partiti dell'estremasinistra e tollera l'opposizione simbolica deisocialdemocratici. All'interno di una politica conservatricemira a riportare stabilità, legalità, prosperità nelpaese sconvolto. E questo programma viene svoltosoprattutto dal governo di István Bethlen, che duracirca un decennio, dal 1921 al 1931. Bethlen, dotato digrande personalità, calvinista, discende dai principi diTransilvania che hanno svolto sempre un ruolo centralee orgoglioso nella storia della patria. Pur garantendosostanziali libertà di stampa ed espressione, ridimensionale conquiste democratiche, ripristinando il suffragio<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 131


istretto con voto palese per alzata di mano in granparte del paese (solo le città ne sono escluse), conl'obiettivo di mantenere il controllo governativo sullavita politica. Nelle campagne il regime mira asalvaguardare gli interessi dell'aristocrazia, e attua unariforma agraria molto blanda, che tiene conto in minimaparte delle proposte radicali di István Szabó. Ma con lasua morte, il Partito dei piccoli proprietari si scioglie econfluisce nel Partito Unitario che ha la maggioranzaassoluta in parlamento ed è espressione dell'ideologiahorthysta. Bethlen cambia il sistema monetariointroducendo il pengő al posto della corona, perbloccare il disastroso tasso di inflazione. Ricorre aprestiti internazionali, attira capitali stranieri, e con unaccorto sistema di protezioni tariffarie riesce a ridarefiato all'industria nazionale. Realizza riforme nel campodell'assistenza e della previdenza sociale per aiutare ilavoratori più poveri. Mette fine al terrore bianco erestaura l'ordine sociale, il prestigio delle istituzioni, lasicurezza. Oltre al risanamento dell'economia, Bethlensi impegna sul piano internazionale per restituire dignitàal paese umiliato dalla guerra e da un ingiusto trattatodi pace. Rompe i legami con l'Unione Sovietica estabilisce intensi rapporti diplomatico-commerciali conl'Italia, sperando di trovare in Mussolini una spondacompiacente per la revisione di Trianon. L'Ungheriariottiene la sovranità su Pécs e Sopron. Ma la questionedella Transilvania resta aperta. Perché le modifiche deltrattato di pace non sono possibili senza una totalerevisione dell'ordine europeo instaurato alla fine delconflitto. Nonostante le stabili relazioni avviate con laPiccola Intesa (alleanza tra Romania, Cecoslovacchia,Jugoslavia), i motivi di attrito sono costanti. Eparticolarmente spinoso è il contenzioso con il governoromeno per la questione delle indennità da versare agliungheresi di Transilvania penalizzati dalla riformaagraria locale.Quando i contraccolpi della crisi americana del '29 sifanno sentire anche in Ungheria, con aumentovertiginoso della disoccupazione, impoverimento delleclassi medie e piccole, il governo moderato di Bethlennon è più in grado di sostenere la situazione. I partiti diestrema destra guadagnano consensi nell'elettorato dicentro, spaventato dalla nuova bufera economica. Gliscioperi e l'attività dell'estrema sinistra riprendonoforza. Il conte Gyula Károlyi [N.d.R. cugino di MihályKárolyi], succeduto a Bethlen, impone una svoltaautoritaria, istituendo un tribunale speciale per i reatid'opinione e per affrontare una situazione socialesempre più deteriorata. Il programma reazionario vieneproseguito con maggiore vigore dal generale GyulaGömbös, antico commilitone di Horthy, nominato primoministro nel settembre 1932. Gömbös è un apertosimpatizzante di Mussolini, usa un linguaggio violentoed esplicitamente fascista. Cessa di tener contodell'opinione occidentale e spinge l'Ungheria sempre piùverso l'Italia e la Germania dove, nel frattempo, èandato al potere Hitler. E cerca di creare uno statototalitario sul modello fascista. Sebbene Gömbös nonvolti le spalle agli industriali ebrei, favorisce nei discorsila rinascita dell'antisemitismo, alimentato dal conflitto diinteressi sempre più acuto tra imprenditori magiari,aristocrazia terriera, e finanza ebraica.I successori di Gömbös, morto nel 1936, proseguonosulla linea del totalitarismo, dell'avvicinamento alregime hitleriano e alle sue ideologie razziali. Anche sel'Ungheria (a differenza di quanto avviene in Germania)continua a garantire piccoli margini di libertà e didissenso nel dibattito culturale e politico. I programmihitleriani ottengono consensi sempre maggiorinell'opinione pubblica. Tant'è che nelle elezioni del 1938il partito della volontà nazionale, fondato dal nazistaSzálasi, conquista un clamoroso successo portando 28deputati in parlamento. L'ascesa della Germania vieneosservata da Horthy con un misto di diffidenza esperanza. Nell'anima magiara da secoli esisteva unsentimento antitedesco. Nello stesso tempo, l'Anschlusse la politica revisionista attuata con aggressiva efficaciadal Führer apre spiragli per le tanto attese modifiche altrattato di Trianon. Nel 1938, dopo la conferenza di Monaco,l'Ungheria ottiene una fetta di territorio slovacco(con la città di Kassa [N.d.R. l’attuale Košice in Slovacchiaodierna]), in seguito allargato anche alla Ruteniasubcarpatica. Nell'agosto del 1940, con una risoluzionea Vienna, ritorna in possesso di gran parte dellaTransilvania.Il destino ungherese è ormai segnato. Vengonopromulgate leggi razziali antisemite sul modellotedesco. La politica estera è legata a doppio filo con laGermania di Hitler e l'Italia di Mussolini. Nel 1940,l'Ungheria aderisce al Patto d'acciaio con Germania,Italia, Giappone. Il primo ministro conte Pál Teleki,ritornato al governo nei tempi più difficili, cerca invanodi tenere il paese fuori dalla guerra: capisce che èimpossibile e si suicida, il 3 aprile 1941. Tre giorni dopola Germania invade la Jugoslavia e truppe ungheresi siaffiancano alla Wehrmacht. In giugno partono per latragica campagna di Russia. Né Horthy né il primoministro Miklós Kállay sono convinti della terribileimpresa. E quando le sorti del conflitto cominciano adelinearsi, dopo la sconfitta di El Alamein e diStalingrado, Kállay prova a stabilire contatti con glialleati per firmare una pace separata. Preoccupato dellafedeltà dell'alleato, Hitler ordina nel marzo del 1944l'occupazione del paese. I filonazisti prendono il potere,reprimendo tutte le forze d'opposizione, sterminando edeportando gli ebrei. L'11 ottobre 1944 Horthy firma unarmistizio con i sovietici entrati in Romania. Quattrogiorni dopo entra in vigore il cessate il fuoco. Il figlio diHorthy viene deportato in Germania, il reggente ècostretto a dimettersi e cedere il potere nelle mani diSzálasi. Alla vigilia di Natale l'Armata rossa arriva aBudapest, che cade dopo due mesi d'assedio.La perdita dei territori dopo la prima guerra mondiale,oltre all'orgoglio nazionale arreca ferite anche alsistema economico. L'apparato industriale, privato dellematerie prime, concepito per servire le esigenze dellaDuplice Monarchia, si ritrova d'un tratto ampiamentesovradimensionato per il mercato della piccolaUngheria. Ma dopo la grande crisi degli anni '20, e lafine dell'isolamento internazionale, la produzione tornaa crescere con tassi di sviluppo sostenuti, superiori allamedia europea, trainati soprattutto dalle esportazioniverso il mercato tedesco. L'agricoltura, tradizionalericchezza dell'Ungheria integrata nell'impero, subisce unconsistente rallentamento. Le riforme agrarie riescono132<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


solo in parte a modernizzare il sistema e adeguarlo aglistandard occidentali. Il 70% della terra è saldamente inmano ai latifondisti, mentre il resto è parcellizzato trapiccoli proprietari e contadini.Il divario sociale nel Paese tra le due guerre èenorme. Le famiglie tradizionali dell'alta aristocrazia chedetengono gran parte del potere e delle ricchezze sono526, dagli Esterházy agli Zichy ai Pallavicini. Trascorronoun'esistenza dorata e cosmopolita, tra Viennae Budapest, Monte Carlo e Biarritz. Una cinquantina difamiglie, molte delle quali appartenenti all'ebraismoassimilato, hanno in mano le redini del sistemabancario. Tra i diecimila del ceto alto, i «felső tízezer»,come viene definita l'elite dirigente, ci sono poiindustriali e finanzieri che hanno accumulato enormifortune e hanno cercato di comprare titoli nobiliari allasvolta del secolo. Il proletariato cittadino e i contadinisenza terra, che vivono in condizioni durissime, sullasoglia della povertà, sono circa due milioni, quasi unquarto della popolazione. Il resto costituisce lavariegata fascia del ceto medio che comprende lagentry provinciale, piccoli e medi proprietari terrieri,artigiani e commercianti, funzionari e impiegati statali,ufficiali dell'esercito, rappresentanti delle libere professioni.Altrettanto sfumata è la composizione etnicoreligiosadella classe media, che comprende leminoranze dell'impero e soprattutto gli ebrei, inmaggioranza assimilati e cristianizzati. I valori, leinquietudini, le aspirazioni, le incertezze della classeborghese sono però simili. Perché l'omologazioneriguarda gli stili di vita e l'adesione entusiasta al climaprospero della Duplice Monarchia nato con ilCompromesso del 1867. Le differenze economiche inseno alla classe media sono naturalmente enormi, si vadalla decorosa frugalità, alla ricchezza esuberante edesibita. Per migliaia di borghesi mantenere lo standarddi vita «moderno» è una dolorosa fatica. Margit Kaffka,con la sua raffinata analisi psicologica, ha raccontatonei romanzi i problemi di sopravvivenza e diinserimento delle donne nella nuova società, che haconcesso maggiori libertà femminili; mentre ImreFöldes, scrittore e drammaturgo, ha messo a nudo leansie della piccola borghesia, civile e militare, ai livellipiù infimi della piramide burocratica. Nel drammaHivatalnok urak ([Signori impiegati], 1908), tratteggia atinte fosche il destino miserabile degli impiegaticostretti a spendere ben oltre i loro mezzi permantenere il decoro che la comunità si aspetta da loro.La borghesia è relativamente giovane. Nell'Ungheriasostanzialmente feudale, agricola, più lenta nellarivoluzione industriale, si è sviluppata in ritardo rispettoalle altre nazioni europee. Ma a partire dalla secondametà dell'800, contribuisce allo sviluppo economico, allamodernizzazione dello stato, alla trasformazione diBudapest in una capitale pienamente occidentale. Epartecipa entusiasta al clima della Duplice Monarchiacreatesi dopo il Compromesso del 1867. Crede neivalori egemonici della magiarità, pur essendogeneticamente cosmopolita, tollerante,occidentaleggiante. È orgogliosa di appartenere allagrande famiglia dello Stato, dove ogni cosa ha un postopreciso e riconosciuto. E dove l'ordine, che ha compiutoil millennio e appare eterno, è garantito dal vecchioimperatore, lontano e presente, severo e paternalistico,potente e frugale. Le immagini d'inizio secolo, lefotografie in posa delle famiglie, gli echi della grandeesposizione del Millenario nel 1896, i giornali, le riviste,rappresentano un mondo felice e uniforme. Caffèaffollati, chiese maestose, passeggiate nei parchipubblici, carrozze, bande militari che suonano gli ottoni,si ritrovano in ogni cittadina dell'impero, da Vienna aBudapest, alle contee di provincia. Nel 1905 FrancescoGiuseppe celebra a Vienna il 75° compleanno con unagrande festa. «Sulla Ringstrasse - ricorda il pittoreKokoschka in La mia vita - gruppi di tutte le nazioni checomponevano l'impero, slavi, italiani, magiari eaustriaci, sfilavano gioiosi nei loro costumi coloratissimicantando e danzando al suono della musica. Era statauna festa dei popoli...». La gioia, i colori, la festa,l'ottimismo sono elementi ricorrenti in ognimanifestazione artistica, privata, pubblica. Nelle sueConfessioni - Le confessioni di un borghese (Egy polgárvallomásai, 1935) -, Márai, il più nostalgico degli scrittoriborghesi, racconta che nella natia Kassa esisteva unaLega per l'Abbellimento della Città e la madrepartecipava entusiasta al nobile proposito. Ogni estateappendeva ghirlande di gerani al balcone, convinta difare la propria parte per rendere il mondo piùarmonioso.Il primo '800 era stato culla di conflitti. Nel mitodell'indipendenza Kossuth e Petőfi avevano arringato imagiari. I guerrieri col tricolore erano morti in battagliaper rimarcare un'irriducibile alterità. Dopo ilCompromesso le cose cambiano. Non si esalta più ilconflitto, si cerca piuttosto di ottenere sintonie. Unbudapestino si sente a proprio agio a Vienna. Eviceversa. Trova gli stessi kifli da intingere nel caffelattela mattina mentre sfoglia i giornali. Il Prater somiglia alVárosliget, la Ringstrasse all'Andrássy út, la cupola dellaKariskirche al profilo della Basilica di santo Stefano[István]. Certo, i viennesi rivendicano la superiorità imperialenelle forme che contano. I ministri piùimportanti del duplice stato sono in comune. E spessoappannaggio della nobiltà austriaca. Nell'esercito sidevono impartire ordini solo in tedesco, e quando gliungheresi rivendicano parità linguistica scoppianodisordini, con morti. Ma nella vita di tutti i giorni, nellecase borghesi dove si parlano tutte le lingue dellamonarchia e dove i rampolli di buona famiglia vengonoallevati da severe «Tante», si celebra un'avvenutafusione culturale, una globalizzazione di modi e stili.A partire da queste premesse, dal benessere diffusodel ceto medio, diventa più comprensibile il disagiodopo la sconfitta, quando la grande Cacania crolla,viene smembrata, porta in superficie tutte le contraddizionisopite. Il disastro della guerra colpiscesoprattutto i borghesi. Le loro certezze, la loro fiducianel futuro, la loro fiducia in un mondo dinamico e nellostesso tempo stabile. Sono morti a migliaia sui campi dibattaglia, i sopravvissuti sono tornati a casa mutilati,hanno perso figli e parenti. Hanno visto crollare da ungiorno all'altro un impero millenario consideratoinvincibile. Hanno fatto esperienza della rivoluzionebolscevica, ferocemente antiborghese, che ha seminatoodio, paura, vendette (Anna Édes di Dezső Kosztolányiracconta molto bene questo clima). Provano sullapropria pelle la sensazione dell'impoverimento. Perchéla crisi economica mondiale colpisce i loro commerci, il<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 133


demone dell'inflazione spazza la certezza nel valore deldenaro, i prestiti di guerra sottoscritti con spiritopatriottico sono carta straccia. Gli ebrei assimilatirivedono emergere il fantasma dell'antisemitismo,alimentato dal revanscismo della patria umiliata, e dallafrettolosa equazione che li accomuna ai comunisti,perché molti rivoluzionari nei mesi rossi di Béla Kunavevano cognomi giudaici.Per strada i segni terribili del conflitto si vedonoancora per molto tempo. Ex soldati mutilati sitrascinano su tavole munite di rotelle, chiedonoelemosine, vendono giornali e fiammiferi, come cidocumentano le foto del giovane André Kertész(Budapest, 2 luglio 1894 – New York, 28 settembre1985) o le immagini degli espressionisti. Vedove diguerra si prostituiscono agli incroci portando i clientinelle povere case, dove occhieggia ancora la foto delconsorte decorato. Ma quando, negli anni '30 lecondizioni economiche del Paese migliorano, esplode ildesiderio di normalità. Il bisogno di recuperare laserena sicurezza provata da padri e nonni è forte. Ilregime di Horthy sembra garantire ordine e stabilità.L'Ungheria, dopo l'isolamento bellico, si riapreall'occidente. Budapest toma a essere capitale deldivertimento e della produzione culturale. È vero che ilreggente limita alcune libertà, tollera poco le devianzedalla linea ideologica che la patria deve seguire. Magran parte della borghesia crede che questo sia unprezzo accettabile per ritrovare la normalità, perdimenticare il terrore e la penuria.Il salario minimo per condurre una vita «signorile»negli anni '30 è di duecento pengő all'anno, checonsentono di formare una famiglia, mantenere unacasa di almeno tre stanze, avere una domestica alleproprie dipendenze, condurre una normale vita disocietà. Tra risparmi e sperperi, tutti aspirano albenessere, a un tenore di vita occidentale modellatosulla società dei consumi americana. L'automobilefabbricata in serie è un bene alla portata solo dei ricchi.Ma gli altri oggetti industriali sono ormai d'uso comune,attirano l'attenzione del design, gli investimenti dellapubblicità. Sul piano sociale e culturale si impongonomodelli occidentali di comportamento. Le riviste e i libriparlano di uomini superattivi, sportivi, eleganti, formatida studi di ingegneria, senza pregiudizi politici. Allasvolta del secolo, nella divisione dei ruoli interna allafamiglia borghese, la donna gestiva la casa. Governavala servitù, gestiva con attenzione il budget perl'acquisto del cibo, presiedeva con grazia a pasti ottimie abbondanti. E soprattutto conduceva una guerrasenza quartiere allo sporco. La casalinga mitteleuropeaseguiva religiosamente i vademecum di HermineKienhie che insegnava ricette, buone maniere, consigliper piegare salviette e mantenere una casa immacolata.«Ordine e pulizia devono regnare ovunque e sempre:questo è il primo requisito di una brava donna di casa».Con le invenzioni di nuovi elettrodomestici il compito èmeno gravoso. Le donne possono pensare più a séstesse. Devono essere vivaci e disinvolte, tagliano i capellicome le dive del cinema, seguono la moda pariginae italiana, giocano a tennis, frequentano le piscine. Lecase si riempiono di mobili funzionali, invece delBiedermeier arriva il pratico Bauhaus, i bagni modernicon l'acqua calda e il wc, nei solidi palazzi di pietrasferragliano gli ascensori. I borghesi conquistano ilpiacere del tempo libero. Nasce l'usanza del weekend:non più lunghe visite ai parenti di campagna, bensìveloci incursioni di fine settimana nelle località turisticheattrezzate allo scopo sul Balaton o nel Dunakanyar[Ansa del Danubio]. Cresce il bisogno di divertimentoper seppellire i tempi bui. Il cinema, la radio (a metàdegli anni '30 gli abbonamenti sono 340.000), ilgrammofono, promettono una relativa uguaglianza nelconsumo della cultura. Dall'altra parte dell'oceanoarrivano musiche povere e sbrigliate. Il jazz, ilcharleston, la rumba, sono balli basatisull'improvvisazione e su movimenti del tutto liberi chedanno l'impressione di partecipare, anche nello svago, auna modernità sfrenata.Fonte: «L’umiliazione di Trianon in Storia della letteraturaungherese» IN La storia della letteratura ungherese, II. Vol.(A cura di Bruno Ventavoli), II. vol., Lindau, Torino, ristampa2008.II.3 Budapest/Giudapest e scrittori ungheresiall’inizio degli anni TrentaBudapest all’inizio degli anni Trenta, nessuna capitaleeuropea presentava contrasti tanto numerosi e stridenticome quelli che affioravano da Budapest. Da un latoc'era infatti la piacevolezza della città. La sua stupendaposizione sul Danubio, i fasti della gastronomia celebratial ristorante di Károly Gundel o alla pasticceriaGerbeaud, le orchestre tzigane che suonavano sotto leacacie dei caffè all'aperto. L'Opera e l'Operetta, unaventina di teatri, un "tabarin" famoso come l' "Arizona"(adorato da Galeazzo Ciano, e il primo in Europa con unpalcoscenico girevole), i balli dell' aristocrazia al CasinoNazionale. Per non parlare dell'Eros e delle donne: diquel "culto delle donne" che secondo Gyula Krúdy, unodei più popolari tra gli scrittori ungheresi del primoNovecento, costituiva un tratto essenziale della vita aBudapest. Dall'altra parte, c' era una nazione malata. Itraumi, la depressione psicologica, i veleni politiciscaturiti con la fine della Prima guerra mondiale, le cuiconseguenze perduravano ancora verso i Trenta. In solitre anni, tra il '18 e il '20, gli ungheresi avevano infattivissuto non soltanto il crollo dell' impero asburgico e losmembramento del paese imposto dalle potenzevincitrici con il trattato del Trianon: ma anche icentotrentatre giorni caotici e sanguinosi dellarepubblica bolscevica di Béla Kun, e poi il "terrorebianco" instaurato dalle truppe controrivoluzionariedell'ammiraglio Horthy. Insomma, il dopoguerra forsepiù convulso - anche a tener conto dei sussulti tedeschio turchi - di tutte le nazioni sconfitte. Avendolestrappato nel 1920 due terzi del territorio e quasi lametà della popolazione, il trattato del Trianonrappresentò per l'Ungheria una ferita inguaribile.Disperse le famiglie e le loro memorie, diffuse in tutti glistrati sociali un senso di naufragio, esulcerò ilpessimismo che aveva sempre covato al fondo dellapersonalità ungherese. La spinta a recuperare i territoriperduti, che prese il nome di "revisionismo", divennecosì l'ossessione nazionale. Per anni, folle enormi siradunarono nelle piazze a gridare sempre lo stessoslogan: "No, no, mai", contro le decisioni del Trianon.134<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Ne nacque un nazionalismo acrimonioso,"querulomane" (come lo definì István Bibó in un suocelebre saggio), che avrebbe condotto l'Ungheria adaccodarsi ai fascismi europei: a Mussolini prima, cuivenne intitolata la piazza più elegante della capitale, epoi a Hitler. Ma intanto dal nazionalismo avevacominciato a colare, in una Budapest dove la presenzaebraica s'era fatta tra Otto e Novecento assai vasta einfluente, la morchia dell'antisemitismo. Naturalmente,la malattia della nazione marcò la letteratura di queglianni. Un'atmosfera gonfia di disillusionie nevrastenie avvolse già nei Venti ipersonaggi dei romanzi di DezsőKosztolányi, Lajos Zilahy [v. sotto sinistra],Dezső Szabó[v. sinistra], CécileTormay, [v. destra],e si trasferìpoco più tardi inquelli dei giovanissimiFerenc Körmendie SándorMárai. Erano tutti, più o meno, buoniromanzi, usciti dalla buona tradizionepost-ottocentesca: e comunque tra i piùconvincenti, insieme a quelli tedeschi eaustriaci dello stesso periodo, nella descrizione dellacrisi morale che era seguita alla carneficina dellaGrande guerra: le angosce d'una gioventù senzasperanze, i primi segni di dissoluzione del mondoborghese, le penombre autunnali di quella lunga vigiliadella "finis Europae". In Italia questo tipo di romanzomancava, ed è forse perciò che gli scrittori ungheresiebbero da noi - sullo sfondo della retorica virilista delfascismo - una sorprendente fortuna. A cavallo del1940, erano infatti pochi gli scaffali delle case borghesiin cui non figurassero il Körmendi di Avventura aBudapest e La generazione felice, lo Zilahy delDisertore, il Földi di Sposi amanti, il Márai di L'amantedel sogno. E fu infatti su quelle pagine che moltiadolescenti della mia generazione(essendosi già lasciato alle spalle unaltro ungherese: il Ferenc Molnár [aliasFerenc Neumann, di origine ebrea N.d.R.;v. a destra] dei Ragazzi della via Pál)fecero alcune delle loro prime e quindiindimenticabili esperienze di lettori. Manon fu solo per il talento dei suoiscrittori che la letteratura ungherese conobbe neiTrenta una stagione felice, tanto feconda che i suoistorici ne parlano oggi come di un' "età dell' argento". Ilfatto è che poche volte il rapporto tra letteratura esocietà era apparso così intonato come nella Budapestdel tempo. Attorno agli scrittori c'era in effetti unpubblico vasto, vorace, insaziabile. E quel che piùconta, portato a riconoscersi nel pessimismo dei suoiautori. Quel pubblico era costituito da una borghesiaestremamente sfaccettata: piccola, media e alta,progressista o conservatrice, cattolica o protestante, ein buona parte d'origini ebraiche, sassoni e germaniche.Ma ciò che la rendeva omogenea come gruppo socialeerano poi i suoi costumi urbani, l'atteggiamento civile.La passione per l'Opera e il teatro, l'abitudine allalettura, le lunghe ore che uomini e donne trascorrevanoconversando al caffè. Quella cultura che chiamiamoappunto borghese, da cui il periodo dell' "entre-deuxguerres"avrebbe tratto, specialmente nellaMitteleuropa, uno dei connotati più precisi della suafisionomia. È su questo fondale che vanno collocati ilpersonaggio di Sándor Márai e il suo successo. [...] Funegli anni Trenta il più letto di tutti gli scrittoriungheresi. Uno strano incrocio, per quanto riguarda larisposta del pubblico, tra D'Annunzio, Thomas Mann,Paul Morand e Lucio d'Ambra. Per oltre un decennio,infatti, dattilografe e cantanti liriche, studenti e maturiprofessionisti, ufficiali dell'esercito, madri di famiglia e"grandes horizontales" si disputarono nelle librerie diBudapest i titoli di Márai appena usciti nelle edizioniRévai. Romanzi soprattutto, ma anche moralità, paginedi viaggio e ricordi autobiografici. Sulle orme degli dei, Iribelli, Stranieri, Il mercato delle pulci, Confessioni d'unborghese, Isola, Divorzio a Buda, Gelosi, Cabala, Ventodel sud; ai quali negli anni seguenti se ne sarebberoaggiunti molti altri ancora, sino a toccare la cifradumasiana d'una cinquantina di volumi. Il giovaneMárai (che era nato nel 1900) non scriveva soltantolibri, ma anche commedie, e inondava con una messed'articoli politici e letterari l'Újság e il Pesti Hírlap, i duegrandi quotidiani conservatori della capitale. Attorno al'33-' 34 era già un uomo ricco, e andò ad abitare in unacasa all'inizio della piccola via Tábor, ancor oggi uno deiposti più belli della città: sui contrafforti del palazzoreale, con alle spalle il verde della collina di Buda e suldavanti, oltre il Danubio, la distesa di Pest. Aicontemporanei il personaggio appariva sfuggente. Erapoco loquace, i modi privi della calorosità ungherese,sicché qualcuno sostiene adesso che fosse uno snob:ma più probabilmente il suo modello di vita era quellodel "grande borghese" alla Thomas Mann: contattimisurati, sereno (almeno all'apparenza) distacco,tessuti inglesi e vino francese. La cosa certa - sentoripetere a Budapest dai miei interlocutori - è chefrequentava poco o nulla il mondo letterario. E infattis'era tenuto accuratamente fuori dallo scontroclamoroso tra scrittori "populisti" e "borghesi". Quelloscontro, che spaccò in due la letteratura ungherese,aveva la sua origine in un'altra delle patologie nazionali:vale a dire la frattura tra la Budapest in gran parteborghese, urbana, cosmopolita, e il resto dell' Ungheriadove i rapporti di classe e molti modi di vita eranorimasti sostanzialmente feudali. L'edificio dello Stato, laprovincia e soprattutto le campagne erano infattiancora in mano delle due aristocrazie. La grandearistocrazia, che aveva avuto un ruolo rilevante già congli Asburgo, dalla quale uscivano i primi ministri dellaReggenza Horthy; e la piccola, arrogante aristocrazia dicampagna (chiamata "dzsentri", dall' inglese "gentry"),cui erano riservati i gradi alti della burocrazia edell'esercito. Ma di contro a questo mondo checonservava lineamenti e maniere da "ancien régime",maniaco nell'esibire ad ogni caccia o festa le anticheuniformi con sciabole ed alamari, il potere economicoera poi concentrato a Budapest negli uffici d'unatrentina tra industriali e finanzieri ebrei. La cui influenzanon poggiava certo sul vuoto: nella capitale, il 40 percento dell'elettorato, il 50 dei giornalisti e degliavvocati, il 60 dei medici e buona parte degli artisti,attori, registi di cinema e di teatro, erano d'origine<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 135


ebraica. Tutto un versante della politica e della cultura -il versante nazionalista - tendeva perciò a distinguerepolemicamente la capitale dal resto del paese. Qui laBudapest del danaro e degli affari, "moderna", corrotta,che i nazionalisti chiamavano con intonazione ormaibrutalmente antisemita, Giudapest: là l'Ungheriaaristocratica e contadina della campagna e dei villaggi,sobria, sana, e soprattutto "nazionale". Una sorta discisma con i suoi teorici e lirici, che avrebbe contribuitoad infiammare gli umori antisemiti e a saldare i legamidel regime di Horthy con la Germania nazista. Da unaparte stavano infatti gli scrittori detti "populisti", intentialla rappresentazione - quando non era l'agiografia - delGyula Illyés, László Németh, János Kodolányimondo rurale, con le sue virtù e il suo folklore: DezsőSzabó, Gyula Illyés, László Németh, János Kodolányi.Dall'altra gli scrittori "borghesi" di cui s'è detto prima,con i loro romanzi psicologici centrati suldisorientamento morale del dopoguerra, gli spasmisegreti della vita familiare, i preannunci della nuovatragedia che stava per investire l'Europa. Ognuno deidue gruppi con i suoi caffè (Budapest era ancor più diVienna e Parigi una città di caffè letterari, uno dei quali- il "New York" - restava aperto ventiquattr'ore suventiquattro), i suoi giornali e le sue riviste. La materiadei romanzi che scriveva, e le letture che li avevanoinfluenzati (tedesche soprattutto: Keyserling, i dueMann, Wiechert, Thiess), collocavano Márai nel gruppodei "borghesi". Ma egli ostentava un assolutodisinteresse per le risse letterarie e le battaglieideologiche. Benché nel '19, poco più che adolescente,si fosse sentito attirato dalla rivoluzione di Béla Kun, neiTrenta era ormai un liberal-conservatore. Neutrale(almeno sino alle leggi razziali del '38) nei confronti delregime, e poi in contatto con i pochi uomini politici chetentavano d'ostacolare l'adesione dell'Ungheria all'AsseRoma-Berlino. Ma il distacco con cui aveva seguito lafuribonda polemica tra "populisti" e "borghesi", avevaanche un'altra ragione. Non gli piacevano i caffèletterari, dove quella polemicaera divampata, né l'aria"bohemienne", alla Krúdy [v.sinistra], che ancora circolavanell'ambiente artistico. Il po'di vita sociale che conduceva,era semmai orientataverso l'alta borghesia: ipranzi nelle grandi case della via Andrássy, le cenedopo il teatro al ristorante Gundel (dove veniva accoltocol rispetto dovuto alla sua fama, e la gente si voltava aguardarlo), i palchi all'Opera di alcune preminentifamiglie ebraiche. Parlando di Márai, adesso, aBudapest, qualcuno si chiede se gli pesò e quanto lafreddezza della critica verso i suoi romanzi: e inparticolare la freddezza di Nyugat (Occidente) - [N.d.R.:di cui è mecenate ebreo, barone Lajos Hatvany - barone diHatvan, fino al 1897 Deutsch, fino al 1917 Hatvany-Deutsch -(Budapest, 28 ottobre 1880 – Budapest, 12 gennaio) scrittore,critico, storico della letteratura, di Premio Kossuth (1959),membro dell’Accademia Ungherese delle Scienze; "l’ultimomecenate"] -, la raffinata e prestigiosa rivista pilotata perun trentennio da [Endre] Ady,[Mihály] Babits [v. sinistra],[Zsigmond] Móricz [v. sottosinistra] e Kosztolányi, i numidella società letteraria di queltempo. Così fluviale, ediseguale, la sua produzioneera in effetti destinata a farstorcere il naso dei letterati.Ma è probabile che a farne ilbersaglio di qualche antipatiafosse poi il suo successo. Ilfatto che di Márai, a Budapest,si parlasse davvero ovunque. Durante i pranzidomenicali che riunivano nei ristoranti sulle colline diBuda le famiglie piccolo-borghesi, nei salottini dellacelebre casa di tolleranza della via Magyar, nelle villedella nobiltà terriera e negli "entractes" dell'Operetta. Afrugare nell'immenso repertorio delle esistenze chevennero sradicate e disperse dalla Seconda guerramondiale, la vicenda di Sándor Márai risulta tra le piùpatetiche. Quasi la trama d'un triste romanzo allaKörmendi. La casa affacciata sul Danubio, la fama, ilpubblico fedele, l'agiatezza, tutto scomparve infatti inun paio d'anni: tra la fine del conflitto, la presa delpotere da parte dei comunisti e la partenza per l'esilio.Poi furono quarant'anni di penurie materiali, dianonimato o quasi, di nostalgie dolorose: sino alsuicidio dell'89, vecchissimo e solo, in California. Iltracollo aveva avuto inizio una gelida mattina delfebbraio '45, quando Márai trovò la sua casadisintegrata dagli obici che la Wermacht e l'Armatarossa s'erano scambiati durante l'assedio di Budapest.Dall'ammasso di rovine raccolse soltanto poche cose:qualche fotografia della giovinezza, un candelabro diporcellana francese restato intatto, e il cappello acilindro che portava col frac. Come avrebbe scritto nelsuo diario, quelle macerie erano il simbolo della "fined'un modo di vivere" che non sarebbe mai piùresuscitato. Ma a quel modo di vivere, ai tempi in cuiesso era stato possibile, non smise mai di pensare. E fuper questo che non volle mai tornare a Budapest: pernon vedere la città della sua giovinezza, del successo,delle piccole eleganze degli anni Trenta, inghiottita dalferrigno squallore che gravava sull'Europa comunista.Tratto da «A Budapest in cerca di Márai» di Sandro Viola,Repubblica, 26 giugno 1999Nota: Testo riveduto, dato che parecchi nomi ungheresi sonostati erroneamente riprodotti.II.4 L’Ungheria e l’Italia nello specchio delladiplomazia culturale e della propaganda (1918-1943)II.4.1L'Ungheria, paese sconfitto nella guerra mondiale eamputato, in seguito al trattato postbellico del Trianon,di grandi parti del proprio territorio a vantaggio degli136<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


stati confinanti, perseguì fra le due guerre una politicarevisionistica, con l'obiettivo di riconquistare una partedei propri territori di anteguerra. A tal fine, il governoreazionario di István Bethlen mirò fin dal primo dopoguerraa riavvicinarsi alle potenze occidentali, sia dalpunto di vista politico che economico e culturale,guardando in particolare alle potenze anglosassoni, ilcui capitale dai primi anni Venti in poi svolse un ruoloimportante nell'economia del paese. I prestiti inglesi eamericani, inoltre, non riguardavano soltanto il campoeconomico, ma avevano delle conseguenze politiche: cisi aspettava infatti che, per difendere i propriinvestimenti, gli anglo-americani avrebbero sostenutogli interessi ungheresi soprattutto contro la Francia ela Piccola Intesa. Nel 1924 la Società delle Nazioniconcesse un prestito per la stabilizzazione valutariaungherese, grazie soprattutto all'appoggio britannico: leriserve in oro e valuta straniera della Banca nazionaleungherese, creata quello stesso anno, furono costituitecon un prestito di 4 milioni di sterline della Banca diInghilterra, che si assunse il compito di mettere adisposizione della Banca nazionale ungherese sterline incambio di corone ungheresi per qualsiasi ammontarerichiesto. Metà del prestito del 1924 era statosottoscritto dalla Gran Bretagna, il resto da altri seipaesi, in primo luogo Stati Uniti, Italia e Svizzera.Un primo strumento per facilitare il reinserimento delpaese nel consenso intemazionale fu la Società per lerelazioni estere, fondata nel 1920 da Aloys Paikert, delMinistero dell'agricoltura ungherese, e presieduta dalconte Albert Apponyi, allo scopo di stimolare all'esterola conoscenza dell'Ungheria. All'interno di questasocietà vennero sviluppate una serie di associazioni, laprima delle quali fu la Hungarian-American Society,presieduta anch'essa dal conte Apponyi e fondata nelluglio 1921, sotto gli auspici di importanti esponenti delgoverno ungherese. Nel novembre dello stesso anno, laHungarian-American Society fondò una HungarianChamber for American Trade, presieduta dal baroneFrederick Korányi, ex ministro delle Finanze.Gli Stati Uniti furono presenti in modo significativo inUngheria nel campo finanziario, spesso in associazionecon gli interessi britannici, particolarmente per mezzodell'acquisto di titoli azionar! e attraverso i grandiprestiti degli anni Venti. Ciò si verifìcò soprattutto inalcuni nuovi settori industriali, come l'industriaelettromeccanica: a sostegno della penetrazionefinanziaria anglo-americana in Ungheria, venne fondatada un gruppo di finanzieri la Banca anglo-magiara,sotto gli auspici della Marconi Wireless Telegraph Co.Ltd.Il governo francese di Millerand inizialmenteappoggiò il revisionismo magiaro. Nel marzo 1920, ilsegretario generale del Ministero degli esteri, MauricePaléologue, propose al conte Csáky, diplomaticoungherese, appoggio francese per il recupero deiterritori «decisamente ungheresi»; in cambio, la Sociétédu Creusot avrebbe ottenuto dei vantaggi economicinelle ferrovie ungheresi e nella Banca di creditogenerale ungherese. Questo tentativo fu tuttaviaabbandonato quando si seppe che l'ammiraglio Horthytrattava segretamente con Ludendorff per organizzareun colpo di mano militare tedesco-ungheresesull'Austria e la Cecoslovacchia. Come reazione aqueste notizie, il 14 agosto 1920 la Cecoslovacchia e laJugoslavia firmarono un trattato di alleanza militarecontro un'aggressione non provocata da partedell'Ungheria, a cui aderì anche la Romania il 19agosto: il ministro degli Esteri cecoslovacco Benesindicò allora per la prima volta l'intesa fra questi trepaesi con il nome di «Piccola Intesa».Anche nel 1921 la Francia proseguì nel suo appoggioai tentativi revisionistici ungheresi: il nuovo governo diBriand, con Philippe Berthelot come segretario generaledegli Esteri, aveva incoraggiato l'ex imperatore Carlo,rifugiatesi in Svizzera, a tornare sul trono. Il 27 marzo1921, Carlo arrivò a Szombathely, ma non ottennel'appoggio del reggente Horthy e fu costretto a tornarein Svizzera, in quanto la Cecoslovacchia e la Jugoslaviaavevano immediatamente minacciato l'Ungheria diun'azione militare. Qualche settimana dopo, la Romaniasi alleò apertamente con la Cecoslovacchia,completando l'intesa con un trattato rumeno-jugoslavoil 7 giugno 1921.Il 20 ottobre 1921 ci fu un ultimo tentativo di Carlodi marciare su Budapest: arrivato a Sopron in aereo conla moglie, fu fatto prigioniero da Horthy ed esiliato aMadera, dove morì cinque anni dopo. In occasione diquesto secondo tentativo, la Jugoslavia e laCecoslovacchia avevano cominciato la mobilitazionemilitare, temendo una restaurazione degli Asburgo e lacreazione di una confederazione danubiana a guidaaustro-ungherese, ritenuta incompatibile con la loroindipendenza. La solidarietà fra i membri della PiccolaIntesa fu rafforzata nel 1922 dal matrimonio diAlessandro di Jugoslavia con la principessa Maria diRomania e da un nuovo trattato ceco-jugoslavo, firmatoil 31 agosto 1921; inoltre, la Romania aveva stipulatonel marzo 1921 un trattato di alleanza con la Polonia.Come conseguenza di questi avvenimenti, la Franciaabbandonò la sua politica di appoggio all'Ungheria,decidendo definitivamente di sostenere la Piccola Intesae sottoscrivendo negli anni successivi dei trattati dialleanza con i suoi membri.Risultato della collocazione internazionale dellaFrancia, fu che la presenza culturale francese inUngheria non fu molto consistente fra le due guerremondiali: i legami accademici franco-ungheresi venneromantenuti tramite il College Eötvös, un istituto di studisuperiori che ospitava importanti studiosi francesi, e laSocietà ungaro-francese, che nel 1920 aveva ripreso apubblicare la «Revue de Hongrie», nata nel 1908 comestrumento di avvicinamento alla Francia, questa voltaperò in chiave di proiezione culturale delle istanze delrevisionismo ungherese. Un'altra rivista francoungherese,la «Revue des Études Hongroises et Finno-Ougriennes» fu invece fondata nel 1923, sotto gliauspici dell'Accademia ungherese.Tramite lo strumento della diplomazia culturale,l'Ungheria tentò in definitiva di diffondere in Europa unaserie di categorie di carattere storico-letterario, centratesul tema della civiltà magiara, che le potesseropermettere di integrare stabilmente il paese sconfìtto inguerra all'interno della cultura occidentale.Incentivando la fondazione di istituti e societàscientifìco-culturali, sia in patria che all'estero,l'Ungheria cercò gradualmente così di legittimare la<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 137


propria politica revisionistica presso i circoli culturali ediplomatici occidentali.Il principale fautore di questodisegno di tipo storico-politico fu ilconte Kunó Klebelsberg [v. destra],ministro dell'Istruzione dal 1922 al1931, il quale realizzò un'imponenteopera di centralizzazionestatale di tutti gli istituti culturalimagiari, compresa l'Accademiadelle scienze ungherese, ponendolisotto il diretto controllo del suoministero.Fin da quando fu eletto nel 1916 alla presidenzadella Società storica ungherese, Klebelsberg [N.d.R. inalcune fonti riportano il cognome come ‘Klebeisberg’] iniziò aprendere i primi provvedimenti per stabilire su nuovebasi le istituzioni della storiografìa ungherese: attorno alui e al suo ministero si formarono poi,nel corso degli anni Venti, i più celebristorici ungheresi, fra cui Dezső Csánki[v. destra], direttore degli archivinazionali, e Bálint Hóman [v. sottodestra], noto medievista e direttore delmuseo nazionale. Inoltre, vicini alpotente ministro dell'Istruzione vierano Árpád Károlyi, ex direttore dellaHaus-Hofund Staatsarchiv di Vienna, uno dei piùrispettati archivisti dell'Europacontemporanea,considerato allora ilpiù grande storicomagiaro, e SándorDomanovszky [v. sinistra],fondatoredella scuola dellastoria dell'agricoltu-ra ungherese.Klebeisberg concepì il progetto diuna rete di istituti storici ungheresi da stabilirsi in tuttaEuropa, collegati ad un istituto centrale in patria:mentre quest'ultimo sarebbe stato dedicato allaformazione professionale dei giovani ricercatori, leistituzioni all'estero sarebbero state fondate nelle città icui archivi locali avessero contenuto fonti rilevanti per lastoria ungherese.L'Istituto storico ungherese di Budapest fu realizzatoappena nel 1942, ma numerosi istituti all'estero furonocreati nel corso degli anni Venti: nel 1920 un Istitutostorico ungherese venne fondato a Vienna, fra il 1923 eil 1924 il già esistente Istituto di Roma riprese lapropria attività, mentre altri istituti vennero stabiliti aBerlino, Parigi, Stoccolma, Madrid, Varsavia e Dorpat,anche se il più importante rimase quello di Vienna. Intal modo, la scienza storica ungherese si sviluppòconsiderevolmente - l'idea di pubblicare le fonti modernedell'Ungheria nacque nell'«era Klebeisberg» -,pagando tuttavia il prezzo di essere utilizzata ai finidella politica di potenza e revisionistica ungherese.L'Italia prestò attenzione fin dal primo dopoguerra altentativo ungherese di riallacciare i legami con lepotenze occidentali e il Ministero degli esteri italianonon tardò a sollecitare l'alto commissario italiano inUngheria Vittorio Cerniti affinchè fosse costituito aBudapest un circolo «in cui si riunissero italiani edungheresi amici dell'Italia». Cerruti interessò quindi atal fine alcune influenti personalità magiare: osservandoinfatti che sarebbe stato «più conveniente pensare adun’Associazione di carattere culturale che servisseefficacemente allo sviluppo delle relazioni intellettualifra i due paesi», Cerruti decise di muoversi in modo che«l'iniziativa partisse da un gruppo di Signori Ungheresi iquali rappresentassero realmente l'intellettualità delpaese». Fu così coinvolto ilpresidente dell'Accademia dellescienze d'Ungheria, Albert Berzeviczy[v. sinistra], che riunì il 3 maggio1920 una seduta di costituzione dellaSocietà Mattia Corvino nella sededella stessa Accademia, a cuiparteciparono, fra gli altri, il conteAlbert Apponyi, il barone Sztérényi, ilsottosegretario di stato al Ministerodella pubblica istruzione Gyula Pekáre numerosi docenti, uomini di stato e di finanza,diplomatici. La Mattia Corvino, presieduta da AlbertBerzeviczy, pubblicò dal giugno 1921 la rivista«Corvina», fondata dallo stessoBerzeviczy e diretta da Tibor Gerevich[v. sinistra] e Luigi Zambra. La Società sipropose di «curare e sviluppare lerelazioni scientifiche, letterarie, artistichee sociali fra l'Ungheria e l'Italia» e,specialmente, di «diffondere laconoscenza della lingua, della letteraturae dell'arte italiana in Ungheria, e contemporaneamentediffondere in Italia la conoscenza delle condizionid'Ungheria e della lingua ungherese»; inoltre, dichiaròdi impegnarsi per una non meglio precisata«cooperazione sociale, specie nel campo dellabeneficenza», prevedendo la possibilità di istituiresezioni sia nella provincia ungherese che in Italia.Il fondatore della Mattia Corvino Berzeviczy, storicoed uomo politico magiaro, legato all’Italia da molti anniper i suoi interessi di studioso, era considerato«l'antesignano della ripresa dei contatti culturali italoungheresi»dopo la guerra, avendo posto alla base delproprio pensiero l'idea che «la Magiarità trasse dallacultura di Roma le linfe di sviluppo della suaindividualità, e alla cultura di Roma deve perciò tornarea collegarsi, per restituire pieno vigore alla missione chele è affidata nel bacino danubiano». Come molti italofilidell'Europa orientale, egli, inizialmente seguace dellecorrenti "liberal-nazionali", fu dopo la marcia su Romaun ammiratore di Mussolini e del suo regime, convinto -tra l'altro - che solo una stretta collaborazione fra il suopaese e l'Italia fascista avrebbe potuto condurre ad unarevisione della situazione imposta dal trattato delTrianon. Berzeviczy fu inoltre presidente dell'Associazioneungherese degli affari esteri, la più autorevole emeglio organizzata delle società ungheresi impegnate inpolitica estera, che esplicava la sua attività principalmenteorganizzando conferenze su problemiintemazionali di attualità e sugli ordinamenti e le ideepolitiche degli altri paesi.Che lo scopo della neonata Società Mattia Corvinofosse di operare per una riconciliazione fra Italia edUngheria, Berzeviczy l'aveva affermato chiaramentenella seduta preliminare del 2 maggio 1920:138<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Io sono convinto che i grandi e santi ricordi comuni chehanno congiunto i nostri paesi per tanti secoli, non sono, nonpossono esser cancellati dalla mente delle due nazioni dallasfortunata guerra, che ci tenne separati contro la nostravolontà.Lo vediamo palesato pel fatto, che l'Italia fu la prima deipaesi finora nemici, che colle sue missioni protesse i nostricompatriotti contro le durezze dell'occupazione nemica e dellatirannide bolscevica. Ella fu la prima ad aprire i suoi confini alcommercio col nostro paese, a ridarci i nostri prigionieri diguerra ed a sviluppare una attività caritatevole pelmitigamento della penuria sopravvenuta da noi. La vedemmopure interporre la sua voce valorosa per la prevalenza delpensiero conciliativo nei trattati della pace.Anche in questo caso, all'attività di propagandaculturale e politica, si collegò strettamente il tentativodei circoli commerciali e finanziari italiani per sostituirsinei primi anni del dopoguerra all'egemonia austrotedescanell'area balcanico-danubiana. Significativo intal senso era stato l'appoggio dato dallo stessoMussolini ad un viaggio di alcuni deputati, commerciantie giornalisti italiani, «per intensificare [le] relazionicommerciali fra Ungheria e Italia», promosso nelnovembre 1922 dall'attivo Circolo di studi economici diTrieste, presieduto dal professor Livi, console diUngheria a Trieste, e dalla Società ungherese per gliaffari esteri, in collaborazione con la Mattia Corvino diBudapest.Questi interessi politico-economici e culturali furonosviluppati in modo parallelo, testimoniando l'intrecciofra i diversi aspetti dell'espansione italiana in atto nelprimo dopoguerra in direzione dell'Europa orientale.Seguendo questa linea, fu ridato impulso all'Istitutostorico ungherese di Roma, quale organo centrale percoordinare i rapporti culturali fra i due paesi in Italia. Leorigini dell'Istituto risalivano al 1895, quando il vescovodi Arbe Guglielmo [Vilmos, v. destra(N.d.R.)] Fraknói, storico appassionatodell'Italia, lo fondò a propriespese donandolo poi al governoungherese nel 1913. La palazzinadell'Istituto, sequestrata durante laguerra dal governo italiano, furestituita all'Ungheria nel 1923 el'Istituto storico poté così riprenderela propria attività l'anno seguente, con fondistanziati sul bilancio ordinario dello stato, sotto ladirezione del professor Tibor Gerevich dell'Università diBudapest. Scopo principale dell'Istituto era «di farricerche negli archivi, nelle biblioteche e nei musei diRoma e degli altri centri dell'Italia nel campo dellerelazioni storiche, artistiche e letterarie dei due paesi».Inoltre, «di far conoscere in Italia i risultati delle scienzestoriche ed artistiche ungheresi e, viceversa, di farvalere in Ungheria il lavoro della scienza italiana,insomma di promuovere la reciproca conoscenza e diintensificare i rapporti intellettuali». L'Istituto storicoungherese creò poi, assieme alla Legazione di Ungheriaa Roma, una sezione della Mattia Corvino nella capitaleitaliana, che puntò a trovare aderenti anche in altrecittà quali Bologna, Venezia, Trieste e Milano,appoggiandosi specialmente alle Camere di commercioitalo-ungheresi di Milano e Trieste.Nel 1927, anno della firma del patto di amicizia italoungherese,il governo di Budapest acquistò perl'istituenda Accademia di Ungheria il Palazzo Falconieri,trasferendovi anche l'Istituto storico ungherese.L'Accademia di Ungheria comprendeva, oltre all'Istitutostorico, anche un pensionato per artisti, una «Domuspia» destinata al perfezionamento di sacerdotiungheresi romano-cattolici e un internato, il Collegiumhungaricum, per aspiranti docenti e studenti universitariche avessero voluto perfezionarsi nello studio dellaletteratura e della lingua italiana. L'Accademia diUngheria cominciò a funzionare regolarmente nell'annoaccademico 1928-29.Il filo conduttore della collaborazione italo-magiara fusempre basato sul revisionismo dei trattati di Parigi,anche quando l'Italia, nei primi anni Venti, perseguì unapolitica di prudente collaborazione con i paesidanubiano-balcanici usciti vincitori dalla guerramondiale. E la Società Mattia Corvino rimase,perlomeno fino alla fondazione nel 1935 dell'Istituto dicultura italiana di Budapest, il tramite principale dellacollaborazione culturale italiana ed ungherese inUngheria, costituendo quindi un interessante strumentoper studiare come si svolse l'azione di diplomaziaculturale e penetrazione politica italiana verso quelpaese.Fin dalla fondazione, l'impronta data alla MattiaCorvino dal suo presidente Berzeviczy fu caratterizzatain senso decisamente revisionistico, per cui l'amiciziaitalo-ungherese presupponeva un futuro appoggioitaliano all'Ungheria contro l’«ingiustizia» imposta daltrattato del Trianon. Così infatti si era espressoBerzeviczy in occasione dell'inaugurazione della primasene di conferenze della Mattia Corvino nel dicembre1920:«Noi ungheresi [...] formavamo prima della guerra unanazione di diciotto milioni di anime, di cui più di dieci milioniappartenevano alla razza magiara. Ora causa la pace crudeleche ci fu imposta, noi perdiamo due terzi del nostro territorioe quasi altrettanto della popolazione. Più di tre milioni dimagiari sono passati sotto il regime dei paesi vicininuovamente ingranditi o formati, e i fatti lo mostrano emostreranno di giorno in giorno di più (ed io sono sicuro chela nazione italiana colla sua sagacità ed imparzialità sarà laprima a riconoscere questi fatti), che questo laceramentodella nostra nazione è non solo un'ingiuria fatta ad uno statomillenario, ma inoltre un danno della cultura umana, perché ilcambiamento nei trritori strappatici è dappertutto sinonimo diuna deplorabile decadenza della cultura finora fiorente. »Salutando il ministro d'Italia principe GaetanoCaracciolo di Castagneto, eletto vicepresidente dellaSocietà, Berzeviczy rimarcò la correlazione fra collaborazioneculturale e collaborazione politica fra i duepaesi: dopo aver affermato che «noi non facciamo lapolitica, noi lavoriamo nel campo letterario, artistico esociale, riunendo ungheresi ed italiani a scopi comuni»,il presidente della Mattia Corvino ricordò che, «s'intendeda sé», «una tale cooperazione non sarebbe efficace sela divergenza d'importanti interessi politici ci rendessereciprocamente diffidenti e sospettosi».«Nonostante i volgimenti momentanei della politicaattuale, di quella politica, che secondo l'espressione del granpatriotta ungherese - ben conosciuto in Italia, - Luigi Kossuth,è “la scienza delle esigenze”, io sono convinto, che i grandi edurevoli interessi vitali dell'Italia e dell'Ungheria correranno<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 139


sempre paralleli. Separata una volta per sempre dall'Austria,che nel senso antico non esiste più, l'Ungheria non avrà maicagione d'aspirare a scopi contrari all'interesse dell'Italia, el'Italia troverà in un'Ungheria salda, forte, provvista dellecondizioni elementari per la sua esistenza e prosperità,sempre un appoggio naturale per le sue tendenze politiche,come pure una collaboratrice volonterosa alla sua storicavocazione culturale.»In risposta a Berzeviczy, dopo aver rievocato ilegami di antica data fra Italia ed Ungheria, a partiredal Rinascimento, il ministro Castagneto ricordò che ledue nazioni, finita la guerra, si stavano nuovamenteavvicinando:«II Governo italiano, attraverso i vari Gabinetti che si sonosucceduti, è rimasto sempre fedele alla sua linea liberale siain politica interna, che estera; in questa s'ispira a ristabilire lecorrenti culturali e spirituali, lo sviluppo commerciale ed economicocon quei popoli da cui ieri per fatalità storica enecessità nazionali fu diviso. Alla demobilitazione [sic] dellearmi noi desideriamo anche che succeda la smobilitazionedegli spiriti, ai residui di odi e rancori desideriamo sostituire ilconcetto della collaborazione.»Nel giugno del 1921, i soci della Mattia Corvinoerano più di duecentocinquanta, tutti appartenentiall'aristocrazia o all'alta borghesia ungherese e dellacolonia italiana. Vi facevano parte ministri ed esponentigovernativi - come Kunó Klebelsberg -, cardinali,medici, professionisti vari, docenti ed esponenti dellafinanza, quali il direttore della Banca ungaro-italiana, ilsegretario della Camera di commercio ungaro-italiana eil direttore della Banca di credito di Budapest.Un ulteriore passo nella costruzione di un apparato dipenetrazione culturale italiano in Ungheria venne fattocon la costituzione, il 29 maggio 1924, del comitatodella Dante Alighieri di Budapest, ad opera di ItaloSiciliano, direttore delle scuole italiane della capitalemagiara, su incarico del ministro d'Italia Castagneto ealla presenza dei consiglieri centrali della Società EnricoScodnik e Riccardo Gigante. Siciliano volle fin dall'iniziochiarire che i rapporti fra la Dante Alighieri, la MattiaCorvino e il fascio locale sarebbero stati improntati aduna completa collaborazione: a tal fine, richiesel'adesione all'iniziativa sia del presidente della MattiaCorvino Berzeviczy, sia di Riccardo Pignatelli, presidenteprima della Lega italiana, poi del fascio. La DanteAlighieri di Budapest fu in effetti ospitata proprio nellasede del fascio. Tuttavia, per mancanza di una sedepropria e, probabilmente, per scarsità di finanziamenti,questo comitato della Dante svolse una modesta attivitàe scomparve poi nel nulla, per essere successivamenterifondato nel 1934.In occasione della costituzione della Dante diBudapest, il consigliere centrale della Società EnricoScodnik sottolineò la completa collaborazione esistentefra la Dante Alighieri e i fasci all'estero nell'azione didiplomazia culturale e di propaganda italiana fuori daiconfini nazionali. Il fatto che il fascio ospitasse lasezione della Dante locale, significava che «a Budapest,come altrove, le due istituzioni patriottiche,rispondendo alle intenzioni degli organi centrali dirigentied in piena unione di spirito col Capo che regge i destinid'Italia, potranno svolgere nei loro rispettivi campiun'opera di alta e pura italianità».Una svolta decisiva nei rapporti fraItalia e Ungheria si ebbe con la firma,da parte di Mussolini [v. sinistra] e delprimo ministro ungherese [il conte(N.d.R.), v. sotto sinistra] István Bethlen,del patto di conciliazione, amicizia edarbitrato del 5 aprile 1927, che era ilprimo trattato di questo genere stipulatodall'Ungheria con una potenza vincitricedella guerra mondiale. Il pattorappresentò inoltre il primo passo perl'intensificazione dei rapporti culturali frai due paesi, prevedendo in particolarescambi di docenti e borse di studio. Lafirma del patto del 1927 rientrava in uncomplessivo disegno concepito daMussolini allo scopo di legare all'Italia le potenze«revisioniste» rispetto allo status quo dell'Europaorientale: l'Ungheria, ma anche l'Austria, la Bulgaria e,in una prospettiva più lontana, la Romania, benchéquesta fosse una potenza «antirevisionista». L'obiettivodel duce era di scalzare, appoggiando le istanzerevisioniste danubiano-balcaniche, l'influenza francesein quel settore e di scardinare la Piccola Intesa,aprendo quindi la via ad una nuova politica di potenzaitaliana nei Balcani. Fu dalla fine degli anni Venti, esimbolicamente dal suo discorso del 5 giugno 1928 alsenato in cui sostenne la politica revisionista, cheMussolini divenne il più acceso sostenitore delrevisionismo ungherese, non solo a parole ma ancherifornendo di armi il governo di Budapest.Meno di un mese prima della stipulazione del patto,il 16 marzo 1927, il ministro dell'Istruzione unghereseKlebelsberg, su invito del suo omologo italiano Fedele,tenne a Roma una conferenza sulla cooperazioneintellettuale fra l'Italia e l'Ungheria, nel corso dellaquale spiegò che il suo governo aveva recentementeapprovato una legge per disporre che la lingua e laletteratura italiana fossero materie obbligatoried'insegnamento nelle scuole medie. Inoltre, erano stateistituite presso le Università di Budapest e Pécs dellecattedre ordinarie di lingua e letteratura italiana. Per laformazione dei docenti di italiano, come di architetti,scultori, pittori e musicisti, giuristi, sociologi ed economistiungheresi, sarebbe poi stata istituita a Romal'Accademia d'Ungheria - di cui si è già parlato -, per laquale i relativi crediti erano già stati stanziati nelbilancio del 1927-28:«Sono dunque pronto ad agire - concludeva Klebelsberg -,che altrimenti non avrei osato presentarmi a voi. Vi guida unuomo provvidenziale, per il quale la parola ha importanzasecondaria, e che è il fanatico dell'azione. Il vostro regimenon tollera la parola, vuole l'azione. Ed io mi inchino a questonuovo spirito: non sono venuto tra voi solamente per parlarvidella cooperazione intellettuale tra l'Ungheria e l'Italia, masoprattutto per agire, per realizzare questo bell'ideale,coll'istituzione dell'Accademia ungherese di Roma.»La firma del patto italo-ungherese aprì in tal modo lastrada ad una collaborazione politico-culturale che duròper tutti gli anni Trenta, e nel cui contesto gli ambienticulturali ed accademici di entrambi i paesi cooperarono140<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


strettamente con le rispettive diplomazie con l'obiettivodi avvalorare, per mezzo di argomentazioni di caratterestorico, letterario e geografico, le direttrici politicherevisionistiche. Molto attivo fu in questo senso ilpresidente dell'Accademia delle scienze d'UngheriaBerzeviczy, che tenne numerose conferenze in Italiaallo scopo di sostenere la causa ungherese. Diparticolare importanza fu la conferenza tenuta daBerzeviczy all'Università La Sapienza di Roma per invitodell'Istituto per l'Europa orientale il 17 maggio 1927,poiché seguì di poco la firma del patto di amicizia: lostorico magiaro poté in tale occasione «ribattere econtestare brillantemente certe considerazioni quantomai arbitrarie e tendenziose sul passato dell'Ungheria esulla sua situazione attuale, diffuse specialmente negliambienti scientifìco-politici della Piccola Intesa».Allo stesso modo, numerosi studiosi italiani edesponenti politici del regime fascista, quali EmilioBodrero, Gioacchino Volpe, Giuseppe Bottai ed ArrigoSolmi, si recarono a Budapest presso la Mattia Corvinoper tenere conferenze dove il tema ricorrente fu semprel'amicizia italo-magiara e la vicinanza spirituale fra ledue nazioni nel corso della storia.Allo stesso tempo, venne impressa un'accelerazionenel campo delle traduzioni delle opere ungheresi inItalia. Negli anni Venti, infatti, era sorta un'autenticascuola di traduzione, composta in gran parte da giovanistudiosi dell'Ungheria: fra questi vi erano AntonioWidmar, Oscar di Franco, Silvino Gigante, EduardoSusmel, Gino Sirola (autore del volume di traduzioni dipoeti Accordi Magiari), Amato Chioggia, Franco Vellani-Dionisi (traduttore di romanzi, commedie e autore diun’Antologia Petőfiana), Aldo Borgomaneri e Silvia Rho.La prima collana di romanzi ungheresi era stata lanciatadalla casa editrice «Alpes», presieduta da ArnaldoMussolini, seguita dalla casa editrice «Corbaccio»,diretta da Enrico Dall'Oglio, che, puntando ad unpubblico più vasto, privilegiò la traduzione di romanziameni, raccolti nella collezione «Hungaria». Anche aquest'opera di traduzione non si mancò di riconoscereuna rilevanza politica: «Gli, editori hanno scelto ivessilliferi delle tendenze nazionaliste, perché essi [...]considerano il libro come il migliore diplomatico».Inoltre, «questi libri non hanno solo un solito, banalescopo di diletto, ma debbono fare avvicinare le animedei due popoli, e dall'amicizia far nascere una vera epropria fratellanza»: «tutti i [...] volumi propugneranno,mediante il genio magiaro trionfante, la sacra veritàmagiara...».Di grande importanza, sul piano della divulgazionescientifica, fu la pubblicazione in Italia di due volumi: ilprimo, di Rodolfo Mosca, intitolato L'Ungheriacontemporanea, uscito nel 1928, e il secondo, uscitol'anno seguente, intitolato L'Ungheria, a curadell'Istituto per l'Europa orientale, con diversi contributidi studiosi e politici magiari, oltre che degli italianiAmedeo Giannini e Carlo Tagliavini.Rodolfo Mosca, formatosi alla scuola di Arrigo Solminella facoltà di scienze politiche dell'Università di Pavia,dopo essersi laureato con una tesi sull'Ungheria,partecipò al comitato promotore dell'Associazione amicidell'Ungheria, costituita a Milano il 14 novembre 1928 epresieduta da Dino Alfieri. Successivamente fece parte,assieme a Renzo Sertoli Salis, Mario Toscano e altri, delgruppo di giovani studiosi di politica estera chiamatonel 1934 da Gianfranco Gaslini a collaborare all'attivitàdell'Istituto per lo studio della politica internazionale(Ispi), appena fondato, e nel 1936 fu designato titolaredella neoistituita cattedra di civiltà italianadell'Università di Budapest, nonché direttore dell'Istitutodi cultura italiana della stessa città.Studioso di grande competenza, perfettamenteintegrato nel regime fascista, Mosca rappresentava latipica figura del docente universitario operanteall'estero fra le due guerre su incarico del governo,intento a presentare "scientificamente" il fascismo comesbocco naturale del processo di formazione nazionaleiniziato con il Risorgimento.Nella prefazione al libro di Mosca del 1928, ArrigoSolmi aveva immediatamente chiarito il filo conduttoredel saggio - che spaziava da Ottocento a Novecento,concentrandosi tuttavia sulle conseguenze del trattatodel Trianon -, affermando che «la questione unghereseè, senza dubbio, la questione più ardente e più gravedella nuova Europa, uscita quasi di sorpresa dallatragica e ingiusta pace Wilsoniana».Nelle conclusioni del suo studio, Mosca avevautilizzato il tema della «funzione storica» dell'Ungheria,largamente sfruttato dalla pubblicistica nel corso delventennio fascista. Secondo tale linea interpretativa,l'Ungheria aveva «servito, dopo averla abbracciata, lacausa dell'Occidente, impedendo che la barbarie turcaminacciasse le nazioni dell'Europa mediterranea e occidentale[...] e conservando alla causa dell'Occidenteuna regione della più grande importanza per il futuro,posta al punto d'incrocio delle strade che dall'ovestconducono al lontano Oriente, sulla linea di traffico tral'Europa e l'Asia». La successiva funzione di argine delloslavismo rappresentava uno «dei titoli di merito degliungheresi», in quanto, «sostituendo alla difesa diOccidente contro i turchi la difesa contro gli slavi, essa[l'Ungheria] ha dato la prova più alta e luminosa dellasua importantissima funzione storica nel quadroeuropeo, e ha dimostrato in tal modo di partecipare aipiù vitali interessi delle nazioni latino-occidentali».Mosca metteva quindi in guardia sul «pericolo enormeper tutta la civiltà nostra, costituito dall'infiltrazione finnel cuore dell'Europa dell'elemento slavo»,caratterizzato culturalmente da un «misticismoambiguo», da una «predilezione per l'irrazionale», daun «nikilismo fondamentale», per cui, in definitiva,«tutti i frutti della civiltà occidentale si trasformano e simaturano nelle loro mani: da strumenti per costruiresono fatti strumenti di distruzione». La «funzionestorica» esercitata dall'Ungheria nei secoli qualebastione dell'Occidente verso l'Oriente, in passato turco,ora slavo, imponeva quindi una revisione dei trattati dipace, in modo da permetterle di «riprendereinteramente la sua missione civile».Il volume intitolato L'Ungheria aveva visto la lucegrazie all'iniziativa dell'Istituto per l'Europa orientale diRoma, che si era giovato della collaborazione dellaSocietà Mattia Corvino e del professor Luigi Zambradell'Università di Budapest, coordinatore del lavoro. Laraccolta di studi, introdotta dal presidente del consiglioungherese Bethlen si avvaleva - fra gli altri - dicontributi di Berzeviczy, dell'ex presidente del consiglio[conte (N.d.R.) v. sotto] Pál Teleki, del ministro del<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 141


Commercio Szterényi, del direttore generale dellaBanca ungaro-italiana di Budapest Éber, di CarloTagliavini - dell'Università diBudapest, nonché direttore dellasezione rumena dell'Ipeo - diTibor Gerevich, dell'Università diBudapest e presidente dell'Accademiad'Ungheria di Roma. Anchein questo caso, non appenal'argomento trattato dai singolistudi lo permetteva, il motivo delrevisionismo si manifestava conchiarezza: secondo il principio che «l'Ungheria non eraresponsabile della guerra. E se non siamo colpevoli nonmeritiamo la punizione», si concludeva - con Mussolini -che «le disposizioni del trattato del Trianon che ci fuimposto, appunto per ciò prima o dopo dovrannoessere sottoposte a revisione», in quanto «la prigionedel Trianon per i Magiari significa solamenteconsunzione, distruzione, malattia e morte. Noiabbiamo bisogno di tutta l'aria ungherese».Fonte: Il paese di Mattia Corvino: l’Ungheria di StefanoSantoro IN Santoro, Stefano: L’Italia e l’Europa orientale –diplomazia culturale e propaganda 1918-1943, Franco Angeli,Milano 2005.II.4.2 L’Istituto Italiano di Cultura per l’UngeriaIl 18 febbraio 1935, l'Italia e la nuova Ungheria uscitadalla prima guerra mondiale, quasi a coronamento deltrattato d'amicizia che le legava fin dal 1927, concluseroil primo accordo culturale che prevedeva, tra le altreiniziative intese a promuovere la conoscenza reciprocadelle due civiltà, la creazione a Budapest diun'istituzione italiana destinata a diventare strumentoessenziale di questo programma.L'accordo culturale italo-ungherese, se da una parteera ispirato dalla linea politica seguita dai due governi,sanzionava dall'altra un orientamento già in attodell'interesse dei ceti colti: interesse fiorito nel clima dirediviva simpatia del primo dopoguerra, quandol'Ungheria, dopo la dissoluzione della monarchiaasburgica, aveva cessato di essere partecipe delle fatalidivergenze, che avevano scavato l'abisso della guerratra la potenza multinazionale e l'Italia. Tornavano alloraalla memoria le tradizioni della solidarietàquarantottesca tra le due nazioni, e si riesumavano lecomuni vicende storiche e i molteplici contatti di lunghisecoli: nasceva – nel precedente capitolo giàaccennata assieme agli altri istituti – la Società MattiaCorvino e il suo organo, la rivista «Corvina», che uscivanella capitale ungherese in lingua italiana, ospitava icontributi di insigni studiosi dei due Paesi, intesi adarricchire di nuovi risultati le nozioni dei legami plurisecolariintrecciati nel campo politico, artistico,scientifico tra la popolazione della penisola e quella delbacino danubiano. A Roma, fin dagli anni Venti,l'Istituto Storico Ungherese, fondato dall'eminenteprelato-studioso Guglielmo [Vilmos (N.d.R.)] Fraknói,promuoveva le ricerche di giovani esperti magiari negliarchivi italiani per completare la documentazione diimportanti periodi del passato: l'Istituto suddetto,costituitesi in seguito in Accademia d'Ungheria conl'acquisto dello storico Palazzo Falconieri, venne adospitare artisti e cultori ungheresi di varie discipline ead essere centro di attività culturale magiara in Italia.Ad esso si aggiunse più tardi l'Istituto di CulturaUngherese aperto nel febbraio 1942 a Milano.E nel 1937, dopo le visite del Reggente d'Ungheria,Nicola [Miklós (N.d.R.) .v. sinistra,immagine del 1919] Horthy, aRoma nel 1936 e dei sovranid'Italia a Budapest nel '37, voltea cementare la stretta intesa tra idue Paesi, ebbe luogo nellacapitale ungherese l'inaugurazionedell'Istituto Italiano diCultura, chiamato ad esserecentro d'irradiazione della presenzaculturale italiana in Ungheria.Oltre alla sede principale, infatti, sistemata provvisoriamentenel piano superiore di un palazzo del centro,filiali dell'ente funzionavano in altre due città: a Debrecen e a Pécs, con biblioteche proprie e una propriaattività culturale e didattica. I corsi di lingua italianaorganizzati dall'Istituto a Budapest, per la grandeaffluenza di allievi e la limitata capacità ricettiva dellasede, erano dislocati in varie scuole della capitale,mentre le sale stesse dell'Istituto accoglievano, oltrealla biblioteca e all'emeroteca, i corsi di alta cultura,tenuti da docenti italiani, e le manifestazioni:conferenze, concerti, proiezioni, incontri, con lapartecipazione di numerosi esponenti della vita artisticae intellettuale italiana.Per ovviare alle difficoltà derivanti dalla ristrettezza dispazio disponibile e per dotare l'ente italiano di unasede adeguata all'importanza attribuita alla suafunzione, il Comune di Budapest, il 3 febbraio 1942,fece dono al Paese amico di uno storico palazzo.L'edifìcio, di stile neorinascimentale, affacciato sulgiardino del Museo Nazionale e doppiamenteprestigioso per essere opera del maggiore architettomagiaro del secondo Ottocento, Miklós Ybl, e per avereospitato dal 1867 al 1902 la Camera dei Deputatiungherese, era stato costruito con grande rapidità nel1865, alla vigilia del compromesso austro-ungarico del1867, ed è qualificato monumento nazionale.Il governo italiano provvide immediatamente alrestauro completo del palazzo, apportando opportuniabbellimenti e adattamenti agli ambienti principali eattrezzando i vari locali in modo da assicurarne lafunzionalità ai fini delle diverse attività dell'Istituto. Il 21giugno 1943 la nuova sede aprì le porte con unasolenne cerimonia d'inaugurazione, alla presenza delReggente d'Ungheria, NicolaHorthy, del Presidente delConsiglio, Nicola Kállay [v.destra], del Ministro dellapubblica istruzione e di numerosialtri ministri e sottosegretari, delPresidente della Camera, delSindaco di Budapest, dei Rettoridelle Università e del Corpodiplomatico, con a capo il NunzioApostolico. L'Italia erarappresentata dal Ministro dell'educazione, C. A. Biggini,dal Direttore Generale degli Italiani all'Estero, A. De142<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Cicco, e dal sen. prof. B. Giuliano, Presidentedell'Istituto di Cultura. Alla cerimonia assistette lanumerosa colonia dei connazionali residenti inUngheria.II grande rilievo dato all'avvenimento dimostrava chelo scoppio della seconda guerra mondiale non avevarallentato l'intensità degli scambi culturali tra i duePaesi alleati; anzi, la rottura dei rapporti con gli statibelligeranti schierati contro le potenze dell'Asse,restringendo la sfera d'azione della politica italianaanche nel campo culturale, aveva portato ad una maggioreconcentrazione dell'interesse alle nazioni cheaffiancavano l'Italia nella guerra. I governi di Roma e diBudapest incoraggiavano le iniziative che tendevano adincrementare la reciproca conoscenza dei due popoli: ladiffusione dei valori artistico-letterari e delle conquistescientifiche poteva diventare strumento utile anche aifini politici per avvicinare ulteriormente italiani eungheresi impegnati in un comune sforzo. Mentredisposizioni governative promuovevano l'insegnamentodell'italiano nei licei magiari, e una nuova cattedra distoria della civiltà italiana presso l'Università diBudapest, affidata al prof. Rodolfo Mosca, davamaggiore impulso alla formazione degli italianisti,gruppi di studenti e studiosi compivano scambievolmenteviaggi d'istruzione nell'altro Paese a scopo dispecializzazione, moltiplicando i legami che stringevanole due nazioni. A Roma, l'Annuario dell'Accademiad'Ungheria pubblicava i risultati dei recenti studi;analoga funzione svolgeva a Budapest, accanto alla«Corvina», il periodico «Olasz Szemle» (RassegnaItaliana), organo dell'Istituto di Cultura a cura del direttoreprof. Aldo Bizzarri, mentre la «Rassegnad'Ungheria», diretta da Rodolfo Mosca, informava inlingua italiana i lettori della penisola sugli avvenimentidella vita ungherese. L'Istituto di Cultura, nella suafunzione di centro e tramite degli scambi culturali italoungheresi,continuava ad attirare tutto quel pubblico diintellettuali i quali, limitati nei loro movimenti a causadella guerra, trovavano in esso un canale aperto peravere accesso ad orizzonti spirituali più larghi.Senonché gli sviluppi decisivi della guerra nontardarono a ripercuotersi gravemente anche sulla vitadell'Istituto. L'armistizio Badoglio dell'8 settembre 1943vide la colonia italiana di Budapest divisa in due parti:di fronte a coloro che riconoscevano la legittimità delgoverno del re, elementi fascisti si schierarono conMussolini e col regime di Salò. Il governo ungherese,ancora legato dal suo patto d'alleanza alla Germania,ma in cerca a sua volta di una soluzione per uscire dallaguerra, venne a trovarsi in una situazione delicata: nonpotendo non riconoscere il nuovo governo fascistaappoggiato dai tedeschi, non volle d'altro canto opporsiin alcun modo al funzionamento della Legazione d'Italiain Ungheria, il cui personale nella sua maggioranza,insieme con quello dell'Istituto di Cultura, aveva optatoper il governo Badoglio. L'Ungheria vide pertanto lacoesistenza — non sempre pacifica — di duerappresentanze diplomatiche italiane: l'una pro-Badoglio, l'altra accreditata dal governo di Salò, le qualimantenevano entrambe rapporti ufficiali col governoungherese, con la garanzia delle immunitàdiplomatiche. Infatti, quando in un momento di crisi,elementi fascisti fecero un violento tentativo diimpadronirsi con la forza dell'Istituto, il cui direttore,prof. Bizzarri, restava fermo nel suo atteggiamento dirifiuto nei riguardi del regime mussoliniano filo-tedesco,la polizia magiara intervenne prontamente allontanandogli aggressori; in seguito le autorità locali assicuraronouna guardia permanente al palazzo per prevenireulteriori incidenti. L'Istituto potè continuare per qualchetempo la sua attività anche se in maniera ridotta, datol'aggravarsi della situazione bellica.Il 19 marzo 1944 l'improvvisa occupazione militaredell'Ungheria da parte delle forze armate tedeschecapovolse bruscamente la situazione di precarioequilibrio. Il governo ungherese, che aveva cercato diseguire l'esempio italiano per distanziarsi dalla fatalepolitica hitleriana e districarsi dai disastrosi sviluppidella guerra, fu rovesciato da un colpo di stato e sostituitoda ministri che godevano della fiducia deidirigenti germanici; la Gestapo procedette senzaindugio all'arresto delle persone note per il loroatteggiamento anti-tedesco, e fu dato l'avvio allepersecuzioni contro gli elementi ebraici dellapopolazione. Fra molti altri, venne immediatamentearrestato e deportato in un campo di concentramentotedesco il direttore dell'Istituto, prof. Bizzarri, mentre icomponenti "badogliani" della colonia italiana, tra cui ilprof. Mosca, vennero internati in un castello signoriledella provincia. Fu ovviamente soppressa larappresentanza diplomatica del governo regio.Immediatamente dopo questo massiccio interventotedesco, incominciarono in Ungheria i bombardamentida parte degli alleati anglosassoni e dei russi. Il paese,sottoposto ormai ad un rigoroso controllo militare epoliziesco del Reich hitleriano, doveva condividere conesso i disagi ed i sacrifìci della guerra. Chiuse le scuole,evacuati vari enti dalla capitale in attesa della previstaoffensiva russa e chiamata sotto le armi la parte preponderantedella popolazione maschile, anche l'Istituto,senza più dirczione e in una situazione giuridica incerta,dovette necessariamente cessare ogni funzione.Rimasto sotto la vigilanza di un segretario-economo,subì, come il resto della capitale, l'assedio delle trupperusse le quali, penetrate in Ungheria nell'autunno 1944,avevano circondato Budapest, accanitamente difesadalle forze tedesche. Il tentativo del Reggente, il 15ottobre 1944, di denunciare l'alleanza con la Germaniae ottenere l'armistizio dagli alleati, era stato frustratodal rapido contraccolpo dei tedeschi: il suo arresto el'instaurazione di un regime ultranazista avevanodeterminato la continuazione ad oltranza delleoperazioni belliche.L'assedio di Budapest nell'inverno 1944-45, duratocinquanta giorni, con i continui bombardamenti aerei eterrestri, recò gravi danni alla sede dell'Istituto. Colpitada tre bombe e 43 mine, incendiata in tre parti, essavide non solo lesionata la facciata e distrutte tutte levetrate delle porte e delle finestre, ma anche abbattutala parte centrale del tetto, lasciando. scoperta edesposta alle intemperie la grande aula giàdell'assemblea parlamentare. Si potè salvare labiblioteca, tempestivamente trasferita nei locali delsottosuolo.Nel 1945, mentre la città mezza distrutta, senza piùponti sul Danubio, senza illuminazione, senzariscaldamento e senza viveri, cercava di riprendersi e<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 143


itornare a stento alla normalità, l'Istituto, senza mezzie in attesa di provvedimenti dall'Italia, restava chiuso.Potè tuttavia assolvere una. funzione utile: darericovero a militari italiani reduci dai campi di prigioniatedeschi e dirottati in Ungheria, essendo ancoraimpraticabili le vie e i mezzi di comunicazione versol'Italia. In attesa di poter essere rimpatriati, eranoospitati alla meglio nei locali rimasti relativamente illesidell’Istituto, in parte adibiti ad infermeria, dato che uncerto numero dei reduci soffriva di malattie contrattedurante la prigionia. È perciò che dopo la loro partenzaparve necessario procedere alla disinfezione dell'interopalazzo, provvedimento che avrebbe causato graviinconvenienti negli anni successivi. Per l'operazione,infatti, venne usato l'unico prodotto chimico alloradisponibile, il «cresolfenolo», reperito nei depositimilitari dell'esercito tedesco, la cui efficacia simanifestava anche nel forte odore penetrante, cheinvadeva non solo l'interno del palazzo, impregnandotutto il materiale di legno e di carta: pavimenti, porte,libri e scaffali della biblioteca, e perfino gli indumenti dichi metteva piede nello stabile, ma anche il tratto distrada antistante, perdurando ancora per una diecinad'anni dopo l'applicazione del prodotto. Nel 1958,finalmente, il direttore in carica, professor Perselli, dopoaver fatto cambiare la pavimentazione e l'intonaco deilocali più maleodoranti, credette opportuno di fartrasportare tutti i volumi della biblioteca nel laboratoriodi restauro dell'Archivio di Stato, dove vennerosottoposti ad accurato trattamento di disodorazione.Il resto dei necessari lavori di riparazione e diriattamento dello stabile gravemente danneggiato potèessere effettuato solo gradualmente, con unapianificazione di lungo respiro, dati i disagi dellasituazione postbellica, la mole e l'alto costo delcomplesso dell'opera. Cionondimeno, il palazzo potèintanto accogliere provvisoriamente in alcuni suoi localigli uffici della Legazione d'Italia, la cui sede era statadurante l'assedio completamente rovinata da unincendio.Con la ripresa dei normali rapporti diplomatici tral'Italia e l'Ungheria fu deciso di riattivare anche irispettivi centri culturali nelle due capitali. L'Accademiad'Ungheria in Roma cominciò ad accogliere studiosi eborsisti magiari fin dall'inizio del 1947, e nello stessoanno, un nuovo protocollo culturale firmato a Roma,stabiliva anche di rimettere in funzione l'Istituto diBudapest, il quale, sotto la direzione del prof. Mosca,riconfermato anche nella sua cattedra universitaria,potè riprendere il suo lavoro, anche se, ovviamente, suscala ridotta, date le condizioni difficili del primodopoguerra in entrambi i Paesi, impegnati nell'opera diricostruzione postbellica. Vennero comunqueriorganizzati i corsi di lingua italiana, si potè provvedereall'installazione di un proiettore cinematografico, si tenneroconferenze, tra cui un ciclo di storia della musicaitaliana accompagnato da presentazioni di branimusicali e con la collaborazione dei più insignimusicologi ungheresi. Fu dato particolare rilievo allacelebrazione della ricorrenza del centenario delle guerred'indipendenza del 1848-49 in Italia e in Ungheria, concommemorazioni e con la pubblicazione di una serie discritti relativi ai legami italo-ungheresi in quel periodo;si costituì a Budapest l'Associazione Italo-Ungherese,che diede vita ad una propria rivista: l’«ltalia», redattain lingua magiara.Il regime pluripartitico uscito dalle prime elezioni inUngheria intendeva seguire una politica di apertura e dibuona intesa anche nei confronti dei paesi nonappartenenti alla sfera d'influenza sovietica, e ciòimplicava in primo luogo la continuazione degli scambiculturali con l'Italia, che potevano ormai vantare unatradizione di simpatie reciproche e una schiera di validisostenitori nel mondo intellettuale ungherese. Suqueste basi, anche l'Istituto aveva buone prospettive disviluppo per la sua futura attività.Furono un'altra volta gli eventi politici a compromettereseriamente i suoi destini. Parallelamenteall'accrescersi della tensione fra l'URSS e il mondooccidentale, ed all'inasprirsi del clima della guerrafredda, l'Ungheria dovette subire il passaggio dalregime democratico a quello totalitario, con tutti glieccessi di violenza e di intransigenza che il partitodominante adottava nella sua ascesa al potere. Lapolitica di assoluto asservimento alle direttive sovietichecomportava anche un atteggiamento di sospetto, senon di avversione, nei confronti di ogni manifestazione,non conforme all'ideologia ufficiale ortodossa, delpensiero e della cultura delle nazioni estranee al bloccocomunista; onde l'opposizione alla loro diffusione,facilmente interpretata come propaganda anticomunista.Insieme alla severa censura della stampa e delleposte, venne pertanto praticamente sospeso il rilasciodi passaporti per viaggi all'estero, salvo che permissioni ufficiali, ostacolato ogni movimento turistico elimitata all'estremo ogni forma di scambi personali conl'estero, il che spiega anche il rigoroso controllo deicontatti con le rappresentanze straniere residenti nelpaese. Le misure restrittive comprendevano perfino, nelquadro della riforma scolastica, l'esclusione delle lingue«occidentali», tra cui l'italiano, dall'insegnamentomedio.Ciononostante, nella rigorosa esecuzione di tuttequeste misure restrittive che portarono tra l'altro allachiusura del British Council, l'Istituto Italiano, insiemecon quello francese, fu risparmiato. Giocava indubbiamentein loro favore il rapporto di reciprocità, datal'esistenza di istituzioni ungheresi consimili a Roma e,rispettivamente, a Parigi; ma alla sua conservazionecontribuì certamente anche la considerazione dell'opportunitàdi mantenere tra i due Paesi già strettamentelegati e in una posizione in un certo qual sensomarginale nei due blocchi, un ponte suscettibile di servireda base per futuri sviluppi.Il particolare trattamento riservato all'Istituto nonsignificava ovviamente serene condizioni di lavoro emancanza di controllo. Nella programmazionedell'attività, pur lasciata a discrezione della direzione,occorreva contenersi in una sfera scrupolosamenteapolitica; era permessa la lettura di qualsiasi quotidianoo periodico italiano dell'emeroteca, ma era da evitare illoro prestito a domicilio; la collaborazione di conferenzierio musicisti ungheresi era condizionata a specialipermessi delle autorità competenti; così pure l'attivitàdidattica degli insegnanti ungheresi dei corsi di linguaitaliana nella sede dell'Istituto. Non solo: sebbene inlinea di massima nessuna disposizione restrittivaufficiale vietasse la libera frequenza delle manifestazioni144<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


o dei corsi, in realtà direttive riservate impartite aisingoli enti statali sconsigliavano ai dipendenti l'accessoall'istituzione italiana, pena una nota di demerito nellascheda personale.Eppure, stranamente, nonostante le condizioni pocopropizie e l'atmosfera scoraggiante di intimidazioni e disospetti, l'affluenza dei frequentatori all'Istituto nonregistrava affatto una diminuizione. Anzi, si direbbe chepiù il cordone sanitario che separava i due mondi siserrava, più le nostalgie di una vita e di uno spiritodiverso attiravano gli insofferenti del regime nell'orbitadi quel centro, che poteva pur sempre aprire uno spiraglioverso altri orizzonti e offrire un'evasione in quantotramite di un'alta civiltà di valore e fascinointramontabili. Novità librarie e riviste erano lette conavidità, e un pubblico attento e sensibile seguiva eaccoglieva con trasporti di simpatia conferenze elezioni, concerti e proiezioni. L'organizzazione dellemanifestazioni era assicurata grazie all'arrivo sporadicodi invitati dall'Italia — il cui ingresso nel paese dovevadi volta in volta essere richiesto alle autoritàdiplomatiche magiare — e alla collaborazione — comead esempio nel caso della rappresentazione integraledella Serva padrona del Pergolesi — di elementi localivolonterosi, disposti a sfidare i rischi delladisapprovazione ufficiale. Così, mentre la vita culturaleungherese languiva, canalizzata nel solco tracciatodall'ideologia dominante, continuava pur sempre asussistere un filone sottile ma tenace che, traendovigore essenzialmente dalla presenza dell'Istituto,legava gli elementi più indipendenti dell'intellighenziamagiara alla civiltà italiana e, con essa, a quellaeuropea.Qui ci fermiamo, fino a questo punto ci interessa lastoria dell’Istituto Italiano di cultura per l’Ungheriacome sfondo storico e culturale dell’argomento delpresente studio comparativo. Le drammatiche giornatedel decennio successivo, di quella della rivoluzione del1956 recarono nuovi danni alla sede dell’Istituto, sitonella vicinanza della Radio ungherese, fulcro dei rimimoti... Di ciò si parlerà magari un’altra volta, in un’altraoccasione attinente.Da Magda Jászay: L’Istituto Italiano di Cultura perl’Ungheria/A magyarországi Olasz Kultúrintézet, Il VeltroEditrice, Roma, 1991BibiliografiaComtesse D’Orsay: Ce que je peux écrireCourtois, Stephane e Panné Jean-Louis: Il Comintern inazione IN Courtois-Werth-Panné-Paczkowski-Margolin: Libronero del comunismo. Crimini – Terrore – Repressione,Mondadori, Milano 1997Hankiss, János: Tormay Cécile, Kairosz Kiadó, Győr 2009Jászay, Magda: L’Istituto Italiano di Cultura per l’Ungheria/Amagyarországi Olasz Kultúrintézet, Il Veltro Editrice, Roma,1991Santoro, Stefano: L’Italia e l’Europa orientale – diplomaziaculturale e propaganda 1918-1943, Franco Angeli, Milano2005.Sito dell’Associazione Olocaustos: http://www.olokaustos.org/Tormay, Cécile: Bujdosókönyv, Lazi Könyvkiadó, Szeged2009Sito del Tormay Cécile Kör/Circolo di Cécile Tormayhttp://www.tormayc.webs.com/tckor.html: Saggi e tutte leopere di Cécile Tormay e di János HankisssVentavoli, Bruno: L’umiliazione di Trianon in Storia dellaletteratura ungherese (A cura di Bruno Ventavoli), II. vol.,Lindau, Torino, ristampa 2008.Viola, Sandro: A Budapest in cerca di Márai, Repubblica, 26giugno 1999Fonti delle immagini: «An outlaw's diary/Bujdosó könyv» diCécile Tormay: http://mek.oszk.hu/07200/07270/pdf/index,http://www.tormayc.webs.com/index.html , internet.NOTA:In nessuna fonte si accenna il nome del professorePaolo Calabrò – e non sono riuscita a trovare nulla di luisull’internet – di cui posseggo un libro edito nel 1930 aBudapest – ricevuto dai miei genitori – col titolo:Compendio di letteratura italiana ad uso degli stranieri,dedicato «alla nobile nazione magiara»:La prefazione è stata scritta in due lingue, inungherese ed in italiano, dicendo di aver raccolto inquesto volume una serie di monografie dei più grandiscrittori italiani, desunte dal corso delle sue lezioni,tenute agli adulti ungheresi, perciò – come lo scrive – illibro è particolarmente dedicato agli stranieri, affinché<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 145


essi possano avere una cognizione precisa delle glorieitaliane nel campo della letteratura. Ecco la Prefazionein bilingue:III. APPENDICE: ARGOMENTI CORRELATIA cura di MttbIII.1 POPOLO EBREO(Testo del sito della Scuola Ebraica di Torino)A cura diMelinda B. Tamás-Tarr- <strong>Ferrara</strong> -«Brevi cenni di storia ebraicaLa storia del popolo ebraico inizia con Abramo. Ilprimo Ebreo (infatti è chiamato nella Torah: AvrahamHaYvrih, Abramo l'Ebreo). Il primo patriarca nacquecirca nel 1813 a. e. v. nella città di Ur Kassdim, inCaldea. Conscio che l'idolatria era frutto della mente edella fantasia umana, fin dalla piu' tenera eta' si diedealla ricerca di un dio vero. Secondo la tradizioneAbramo scoprì l'esistenza di Dio, cioè di una divinitàultraterrena unica e inscindibile, all'età di tre anni. Perordine del Creatore, all'età di settantacinque anniAbramo lasciò la casa paterna per trasferirsi in unaterra lontana, la Terra Promessa, la Terra Santa diIsraele.Questo evento segna una svolta decisiva nella vitadel patriarca e nella storia della religione ebraica:mentre prima era solamente una persona che sidistingueva dalle altre per la sua visione del mondo edella divinità ora, con questa prima rivelazione, Abramoinizia ad avere un contatto con Dio: non solo perchéper lui è ovvio e logico, ma perché Dio ha voluto cheAbramo diventasse il suo rappresentante in questomondo per combattere l'idolatria. Si può dire che nel1738 a.e.v., quando Dio invita Abramo a seguire il suocomandamento, nasce la prima religione monoteistica,la religione ebraica.Questo legame viene rinforzato con il "Patto delleParti", col quale Dio promette ad Abramo e ai suoidiscendenti la Terra d'Israel. All'età di novant'anni, suamoglie Sara mette al mondo un figlio, Isacco. È il primoebreo a cui viene effettuata la circoncisione all'etàa' diotto giorni. Abramo si era infatti circonciso anovantanove anni e il fratellastro di Isacco, Ismaele(figlio di Abramo e della sua concubina Agar), a tredici.Isacco è dunque il primo, ma non l'ultimo. Verrà infattiimitato da tutti i suoi discendenti, i membri del popoloebraico.Isacco è il padre di Giacobbe, il terzo e ultimopatriarca. Egli è il padre di dodici figli, che darannoorigine alle Dodici Tribù che compongono il popoloebraico. Giacobbe viene chiamato da Dio anche con ilnome di Israele, il principe di Dio. I suoi discendenti,trasferitisi in Egitto a causa di una terribile carestia cheaveva colpito la loro terra, diventano presto schiavi delloro ospite, il Faraone. Questi li sottopone a lavoridurissimi e a ogni tipo di sevizie. Le grida dei figlid'Israele vengono ascoltate da Dio, il quale affida aMoshe il compito di far uscire il popolo dall'Egitto.L'Esodo è caratterizzato da grandi miracoli. Cinquantagiorni dopo l'uscita dall'Egitto, il popolo riceve la Torahsul monte Sinay.Questo importantissimo evento segna l'alleanza fraDio e il suo popolo come un contratto che li unisceeternamente, alleanza stretta attraverso il dono di tuttala Torah.Dopo quarant'anni di peregrinazioni il popolo ebraico,guidato da Giosuè, entra nella Terra Promessa, la Terradi Israele. Il suolo viene spartito fra le Dodici Tribù. Nonesiste ancora un vero e proprio Santuario. Perquattrocento anni, i pellegrinaggi avranno luogo al146<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Tabernacolo, un santuario provvisorio e facilmentetrasportabile.Spetta a re Salomone, figlio di re Davide, la costruzionedel vero e proprio Tempio, punto d'incontro fra ilCreatore e il suo popolo.La scissione del regno in due parti - il regno di Giuda, icui sovrani discendono tutti dalla casa di Davide, e ilregno d'Israele, composto dalle altre dieci tribù - segnal'inizio di un periodo difficile e critico. La malvagità dellamaggior parte dei re d'Israele trascina il popolo versol'idolatria e l'immoralità. Dio invia i profeti ad ammonirei peccatori e a incitarli al pentimento, ma questi nonprestano ascolto alle loro parole. La distruzione delTempio è imminente. L'Assiria invade il regno d'Israelee ne deporta gli abitanti. Meno di duecento anni dopoanche la popolazione del regno di Giuda è vittima diun'invasione nemica. Nabucodonosor, sovrano delregno babilonese, è responsabile della distruzione delregno e dell'esilio del popolo ebraico.Il Secondo Tempio viene ricostruito dopo 70 annidalla sua distruzione, nel 340 a. e. v., grazie all'editto diCiro, sovrano dell'Impero persiano e medio. La suadistruzione, che avviene per mano delle legioni romanedi Tito, risale al 70 e.v. e segna l'inizio dell'esilio in cui ilpopolo ebraico si trova tuttora. Nonostante l'ultimoesilio sia proporzionalmente più lungo degli altri tre,secondo la Cabalà e la tradizione ebraica l'arrivo delmessia è imminente, e siamo già entrati nellacosiddetta fase dell' "era messianica". Speriamo chepresto potremo assistere aquesto evento e vivere inpace e armonia.Circa duemila anni fa inIsraele, a Betlemme, nacqueun bambino ebreo di nomeYeshu, Gesù. Egli predicavavalori ebraici: valori di amore,uguaglianza tra gli uomini...Gesù fu tradito da un talGiuda, ebreo anche lui, come la maggioranza degliabitanti di quella terra all'epoca, e crocifisso daiRomani. Gesù era un maestro, ma alcuni lo ritenneroaddirittura il Messia. Così si formarono le primecomunità Giudeo-Cristiane dalle quali discese lareligione Cristiana.Il Tempio fu distrutto (70 e.v.). Allora nacque laDiaspora, cioè gli ebrei vagarono per il mondo per unpaio di millenni circa. Nel corso degli anni ci furonoinnumerevoli persecuzioni ai danni degli ebrei, culminaticon la Shoà, l'assassinio di 6 milioni di ebrei nellecamere a gas.Circa 50 anni fa il Popolo di Israele riuscì a tornarenella sua Terra Promessa, la Terra Santa di Israel, nel1948, nacque lo Stato di Israele, a cui si opposero e sioppongono alcuni Stati Arabi. Lo Stato di Israele èl'unico Stato che hanno gli ebrei al mondo, e qualcunodice che esso è l'unico baluardo possibile control'antisemitismo. Lo Stato di Israele è uno statodemocratico, dove tutti hanno il diritto di voto,indipendentemente dalla loro religione, sesso ecc.Israele è l'unico Stato democratico di tutto il mediooriente. La Capitale dello Stato di Israele èGerusalemme.A Gerusalemme vi è un muro, chiamato in Italiano"Muro del Pianto", che è l'unico frammento del Tempiorimasto in piedi dopo la sua distruzione. È il luogo piùsacro al mondo per gli ebrei. Dal 1948 al 1967 il Murodel Pianto era in mano araba e non era permesso agliebrei di accedervi. Nel 1967 Israele liberò il Muro delPianto, rendendo così possibile a tutti andare a visitareed a pregare nel luogo più sacro al popolo ebraico.Nel mondo vivono circa 15milioni di ebrei, di cui il 40% inIsraele, il 40% in USA ed il restoin altri paesi. In Italia vi sonocirca 35 mila ebrei.Gli ebrei sono chiamati anche "Ilpopolo del Libro" perché dannoestrema importanza in quello chec'è scritto nella Torah. Da millennistudiano, interpretano etramandano ai propri figli la Torah, intesa come laLegge. La Torah è scritta in Ebraico.La storia del popolo ebraico si svolge, attraverso isecoli, scandita da eventi il cui comune denominatoresembra essere, di volta in volta, la tragedia, il trionfo, ladisperazione. L'esilio in Egitto e la ricerca, sotto la guidadi Mosè, della Terra Promessa; i regni gloriosi di Davidee di Salomone; l'esilio di Babilonia; la rivolta deiMaccabei contro i successori di Alessandro;Gerusalemme conquistata e rasa al suolo dalle legioniromane; la disperata resistenza di Massada; i lunghisecoli della diaspora; i ghetti e i pogrom; l'olocaustonazista e la nascita di Israele; le guerre contro gli statiarabi...Ma accanto a queste pagine esiste una storia chel'Occidente ha cercato, sino ad oggi, di esorcizzare; unastoria che lega strettamente un piccolo popolo -sopravvissuto miracolosamente a guerre e distruzioni -al pensiero e alla civiltà occidentali. La cultura cristiana,la cultura islamica, la cultura occidentale come quellaorientale, infatti, sono debitrici in larga misura a quelladel popolo ebraico. Il credo in un unico Dio, il liberoarbitrio dell'uomo, la sua responsabilità di fronte a sestesso e a una giustizia superiore: ecco soltanto alcunidei beni lasciati in eredità - un'eredità viva ancor oggi -dalla cultura del popolo d'Israele.In che cosa consiste l'enigma ebraico? È quello di unpiccolo popolo con una vasta esperienza che copreun'enorme estensione temporale e spaziale: 4000 annidi storia svoltasi in tutti i continenti del mondo.Abbiamo visto come oltre tremila anni fa gli israeliti,fuggiti dalla schiavitù d'Egitto, stettero riverenti ai piedidel monte a ricevere un messaggio di divina unità, discelta morale e di imperativo etico, di punizione ecompassione. Vennero poi gli inquieti anni dei regniebraici, durante i quali i profeti fecero della Legge diMosè una concezione universale di giustizia e pace. Epoi ci fu la dispersione, la diaspora.A partire da questo momento, due impulsi sono statiattivi: da un lato, l'aspirazione degli ebrei a vivere in unproprio contesto, nella propria terra, con la loro lingua,la loro fede, la loro peculiarità dall'altro quello dirinnovare le condizioni dell'indipendenza originaria, unaprospettiva che ha avuto attuazione ed espressionenella rinascita di Israele.Ma per gran parte della loro storia, e in moltissimiluoghi, gli ebrei non si sono accontentati di essere un<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 147


popolo che vive per conto suo e non è annoverato tra lenazioni; al contrario sono stati un popolo che hapersistito nel trasmettere a tutto il mondo gli echi dellapropria storia, come parte integrante della culturauniversale. Sicchè in pratica non c'è civiltà che nonabbia una componente ebraica.Ma una volta che tutto sia stato detto, scritto,registrato, questa resta una storia inconclusa e irrisolta.Impossibile dare una risposta esauriente a moltedomande che vengono a noi attraverso i secoli, avvoltenel mistero.In primo luogo, c'è l'enigma della conservazione.Come ha fatto questo popolo a conservare la propriaidentità nella diaspora e nell'esilio senza una baseterritoriale né istituzioni politiche, in condizioni in cuinessun altro popolo è mai sopravvissuto? In secondoluogo, c'è il mistero della risonanza. Come si spiega cheun popolo così piccolo abbia suscitato echi così vasti,tali per cui ovunque ci siano uomini che agiscano,pensino e parlino, a tutt'oggi sono profondamenteinfluenzati dall'esperienza ebraica? Religione, filosofia,giurisprudenza, teatro, scienze, arti, sistemi politici,istituzioni sociali, idee morali: in tutte sono stateall'opera, a condizionarle in misura non indifferente,correnti del pensiero ebraico.In terzo luogo, c'è il mistero della sopportazione, unenigma che sfugge alla comprensione, che non trovaparallelismi di sorta. E infine c'è il mistero delrinnovamento, la capacità di riunire gente separata persecoli, in ambiti linguistici e fisici diversi, fondendola inuna rinascita di vita indipendente.Ora, all'inizio del III millennio, è difficile dire qualesarà il futuro degli ebrei: non ci sono certezze di frontea noi. Ma un popolo che immette il proprio passato nelproprio futuro con tanta fedeltà alla memoria, dopotante sofferenze e con tanta vitalità creativa, nonrinuncerà facilmente a piantare il proprio seme in civiltàfuture, raccogliendo la propria parte della messecomune. E così, dopo migliaia di anni, gli ebrei siritrovano nelle condizioni in cui tanto spesso si sonotrovati: quelle di un piccolo popolo disperso,vulnerabile, ma tuttora mosso da una grande, elevataambizione, ancora pieno di speranza di concepiregrandi visioni e grandi sogni, un popolo la cui voce noncesserà mai di echeggiare.Gli ebrei: chi sono?Ancor oggi nelle pagine di storia dei testi scolasticitroviamo scritto "Gli Ebrei erano...", ma l’uso del verboal passato, esatto per altri popoli quali i Fenici, gliAssiri, i Babilonesi.., non lo è per gli ebrei in quantoancora "sono": e questo è il mistero del popolo ebraico.Più facile è rispondere alla domanda "chi è Ebreo?": perl’Halakhà (la legislazione rabbinica) è ebreo chi nasceda madre ebrea o chi si converte all’ebraismo.Ma chi sono dunque gli ebrei? Una religione? Unacultura? Un popolo? Una razza?Certo la vita quotidiana è scandita da pratichereligiose, ma anche chi, nel corso degli anni, si fosseallontanato da queste, resta ugualmente ebreo.Certamente hanno dato origine ad una forte spintaculturale, il loro testo sacro la Bibbia è il libro più lettonel mondo, ma altre antiche civiltà scomparse nonfurono da meno.In quanto ad essere un popolo è certamente restatoidealmente unito dalla comune fede e dalle stessepratiche ritualistiche, ma sparso, spesso in gruppiesigui, in ogni parte del mondo, ha sempre contribuitoallo sviluppo sociale, artistico, culturale, economico esoprattutto scientifico della nazione in cui vive al pari diqualsiasi altro cittadino, ciascuno secondo le propriepossibilità e capacità.Nello stesso stato di Israele poi, ricostituito solo nel1948 dopo essere stato annientato dai romani nel 70d.C., la popolazione israeliana è composta da cittadinidi tutte le religioni, compresi musulmani e cristiani.In quanto alla razza, premesso che all’interno dellaspecie umana il concetto di razza è di difficile econtroversa applicazione, poiché non esistono criterifisiologici, morfologici né psicologici in grado di daresolida base ad una suddivisione, gli ebrei presentanocaratteristiche somatiche così diverse tra loro che èimpossibile inquadrarli in qualche modo.Pertanto se proprio si vuole dare una risposta alladomanda Chi sono gli ebrei? potremmo dire che sono idiscendenti di quelle famiglie patriarcali, incontratenella Bibbia, che continuano a vivere secondo regoleche lo stesso popolo ebraico si è dato derivandoledirettamente dalla Torà. Essa è composta dalPentateuco cioè i primi cinque libri della Bibbia: Genesi,Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio.La TorahMoshe ricevette la Torah (Scritta e Orale) sul Sinay ela trasmise a Yehoshua; Yehoshua la trasmise agliAnziani e gli Anziani ai Profeti; e i Profeti la trasmiseroai membri della Grande Assemblea. Questi ultimisolevano dire tre cose: "Siate cauti nel giudicare,educate molti discepoli e fate una siepe intorno allaTorah". (Pirkeh Avot, 1,1)La Bibbia è il Libro per eccellenza, è il volume cheraccoglie i capolavori dell'antica letteratura ebraica ed èl'insieme delle leggi del popolo ebraico e, in parte,dell'umanità. Iddio ha ispirato ai profeti la Sua parola ei suoi insegnamenti e i nostri avi ce li hanno tramandati.La Bibbia, o Scrittura, (Mikrà) si divide in tre partiprincipali: il Pentateuco (Torà), i Profeti (Neviìm), gliAgiografi (Ketuvìm). La Bibbia si chiama in ebraico "Ta.Nà.Kh, che è la parola composta dalle iniziali diqueste tre parti.La Torà è formata da 5 libri e per questo essa èanche chiamata Pentateuco. Fu scritta da Mosè suispirazione divina e contiene le leggi del popolo ebraicoe la sua storia fino alla morte di Mosè. I 5 libri sono:Genesi (Bereshìth); Esodo (Shemòth); Levitico(Vaikrà); Numeri (Bemidbàr); Deuteronomio(Devarìm).Il primo libro della Torà contiene la storia dellacreazione del mondo, che è la storia di tutta l'umanità,la storia di Abramo, primo patriarca, da cui discende ilpopolo ebraico e così via, fino a terminare con la mortedi Giuseppe.Il secondo libro narra il soggiorno degli ebrei in Egittoe la loro uscita da questa terra, divenuta per loro terradi schiavitù.Nel Levitico si parla soprattutto del culto affidato aiSacerdoti appartenenti alla tribù di Levì.148<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Nel quarto libro, dopo aver fatto il censimento degliebrei, si passa al resoconto di vari importanti episodiavvenuti durante la loro permanenza nel deserto.Il Deuteronomio contiene una serie di importantidiscorsi tenuti da Mosè al popolo, tra cui i primi duebrani dello Shemà. Termina con la narrazione dellamorte di Mosè.La seconda parte della Bibbia, o Neviìm, si divide in:Profeti Anteriori, di contenuto storico, con i libri diGiosuè, Giudici, Samuele, i Re;Profeti Posteriori, che comprendono le profezie diIsaia, Geremia, Ezechiele, e i Terè Asàr (Osea, Amos,Ovadià, Giona, ecc.).La terza parte, Ketuvìm, contiene: i Salmi di Davide;i Proverbi di Salomone; il libro di Giobbe; le così dette 5meghillòth (rotoli), che sono: il Cantico dei Cantici, illibro di Ruth, le Lamentazioni di Geremia, l'Ecclesiaste,il libro di Ester; i libri storici aggiunti che comprendono:Daniele, Ezrà, Nehemià e le Cronache.Alla Torà è accompagnata la Mishnà (ripetizione), cheraccoglie gli insegnamenti della Torà orale. La Mishnà èseguita dalla Ghemarà che contiene i commenti allaMishnà eseguiti dai nostri saggi. Mishnà e Ghemaràfurono poi riunite in un'unica opera, il Talmùd (studio).In tutti i loro pellegrinaggi gli ebrei hanno sempreportato con sé il Talmùd, accanto alla Torà, come lacosa più sacra. Il Talmùd risolve i problemi più vari ediversi di vita religiosa, sociale, familiare ed individuale.Nelle lunghe epoche in cui gli ebrei vissero chiusi neighetti, il Talmùd fu per loro un grande nutrimentospirituale.Lo Shabbat"E furono compiuti i cieli, la terra e tutte le lorocreature. E terminò il Signore nel giorno settimo l'operaSua e si riposò, il settimo giorno, da tutta l'opera cheaveva fatto. E Dio benedisse il settimo giorno e losantificò, perché in esso cessò (shavàth) tutta l'operaSua che aveva compiuto" (Bereshìth 31).Il sabato, che è la più importante delle ricorrenzeebraiche, si celebra dunque per ricordare l'opera dellacreazione, è perciò un giorno di grande festa ed èprescritta anche dal IV° Comandamento. Già il popolodi Israele, uscito dall'Egitto, ubbidì all'ordine diosservare lo Shabbàth e dovette raccogliere, di venerdì,la doppia razione di manna!Shabbàth è un dono prezioso datoci dal Signore, undono che unisce, ancora di più, tutti i figli di Israele, inqualsiasi parte del mondo essi siano. L'accensione dellalampada, le challòt (pane intrecciato) fragranti sullatavola ben apparecchiata, la recita del Kiddùsh, sannodare alla famiglia ebraica tutta riunita, la vera serenitàdi questa festa. Di Shabbàth ogni occupazione deveessere sospesa: lavori agricoli, lavori di scrittura, dicucitura, lavori domestici, accensione del fuoco,trasporti di oggetti, viaggi, commercio. Ci si può, però,dedicare allo studio ed è bene leggere la Torà.Comunque dobbiamo godere questa pace spirituale e laserenità d'animo, che ci offre questo giorno, edimenticare gli affanni della vita quotidiana. Questogiorno è per Israele giorno di luce e di gioia.Anno SabbaticoCome ogni sette giorni si consacra un giorno alSignore, Shabbàth, così ogni sette anni si consacra aLui un anno, detto shenàt hashemità (anno sabbatico).In questo anno ci si astiene dal lavorare la terra inIsraele, la terra che appartiene al Signore. In questoanno non possiamo neppure chiedere ai nostri debitoridi pagarci i loro debiti. La Torà, poi, prescrive che allafine di ogni settimo periodo di sette anni (50° anno) siaconsacrato un anno chiamato Yovèl (giubileo).La KasherutPer kashèruth si intende l'insieme delle norme che liinsegnano quali sono i cibi permessi ( kashèr) e il mododi prepararli, seguendo gli insegnamenti della Torah.Queste norme, che limitano la libertà dell'uomo nellascelta fra animali puri (kashèr) e impuri ( tarèf), hannola precisa importanza di ricordarci: 1) che è il Signore ilPadrone dell'universo; 2) di avere pietà anche verso glianimali.Sono animali puri i quadrupedi ruminanti, con l'unghiaspaccata (bovini, ovini, caprini).Non basta però, una sola di queste due condizioni(maiale, cavallo…) perché l'animale sia kashèr. Sonokashèr molti gallinacei, oche, anatre; proibiti i volatilirapaci e notturni.Possono nutrirci di quei pesci forniti di squame epinne.Le altre specie di animali sono impuri, per esempio leapi, di cui però possiamo mangiare il miele.Un'altra importantissima norma è quella di non cibarsidel sangue degli animali, in quanto esso è il simbolodella vita. Ecco perché, per prima cosa, l'animale deveessere ucciso con un sistema speciale ( shechità) attonon solo a non farlo soffrire, ma anche ad eliminare piùsangue possibile.Quando poi comprano la carne, debbono immergerlanell'acqua per mezz'ora, lasciarla ben cosparsa di saleper circa un'altra ora e dopo averla rilavata bene,possono metterla a cuocere.Il fegato però, non può essere immerso nell'acqua esalato ma aperta la pellicola che lo ricopre, deve esserepassato direttamente sul fuoco, prima di venirecucinato.Non si può mangiare il grasso, chiamato chèlev, di unanimale, e non possiamo cibarci della parte dove sitrova il nervo sciatico in ricordo della ferita infertadall'Angelo a Giacobbe, durante la loro lotta: questeparti vengono tolte prima che la carne sia consegnata almacellaio kashèr."Non cuocere il capretto nel latte di sua madre"leggiamo in Esodo e Deuteronomio. È un divieto moltosevero a cui dobbono attenersi.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 149


Non possono cibarci di carne e latte, (o latticini)insieme. Dopo la carne, devono passare almeno sei oreprima di mangiare dei latticini; dopo i latticini prima dimangiare la carne bisogna lavarsi bene la bocca.Bisogna avere recipienti e stoviglie separate per cibi dicarne e di latte.Poiché il pasto ha, inoltre, un carattere sacro, primadi mangiare debbono recitare la benedizione: …'alnetilàth yadàim (di lavarci le mani) e …hammotzìléchem min haàretz (che fai uscire il pane dalla terra).Un pezzo di pane va quindi intinto nel sale, che liricorda i sacrifici nel Santuario.annunciando che la mira del Sionismo è di dare agliebrei una patria. Dopo la I Guerra Mondiale e variaccordi col governo inglese, nel 1917 si arriva allafamosa "Dichiarazione Balfour" con cui l’Inghilterra sidichiara favorevole alla nascita di un nuovo Statoebraico nell’allora Palestina. Aumenta così l’’alià in ÈretzIsraèl, sorgono belle città tra cui Tel Avìv, le paludivengono bonificate, i campi coltivati. Viene creatal’Haganà, organo di difesa e nucleo del futuro esercitoisraeliano.I loro pionieri, provenienti da tutte le parti d’Europacreano nuove colonie che difendono valorosamente,anche a costo della vita. Lo stesso fondatoredell’Haganà, Yosèf Trumpeldor, cade nel difendere lacolonia di Tel Chài, assalita dagli arabi. Dopo la IIGuerra Mondiale migliaia di superstiti dei campi disterminio vedono, come unico posto di salvezza, lalontana terra di Israele. L’Organizzazione Sionisticachiede che venga riconosciuto definitivamente lo Statodi Israele. Gli ’olìm continuano a recarsi in Israelenonostante i molti ostacoli, decisi a tutto pur di riaverela patria. Gli arabi attaccano da ogni parte con grandiforze, ma gli ebrei sono decisi a tutto; e la vittoria non liabbandona. Dopo 20 secoli, il 14 maggio 1948, 5 Iyàr5708 risorge lo Stato diIsraele.Yom ha AtzmautIl 5 Iyàr 5708, 14 maggio 1948, Davìd Ben Guriònproclamava solennemente l’indipendenza dello StatoEbraico, coronando l’opera meravigliosa di TeodoroHerzl che per primo aveva detto "Im tirtzù en zoaggadà" (se lo vorrete, non rimarrà un sogno)."Padre nostro che sei nel cielo, rocca di Israele,benedici lo Stato di Israele che rappresenta ilrisorgimento della nostra libertà" Dopo tanti anni diesilio, dopo secoli di persecuzioni, di lotte e di sacrifici,il sogno di Israele si avverava: aveva di nuovo la suaterra, la terra promessa da Dio ai suoi padri.Gli inizi del sionismo. Il Sionismo è da sempre parteintegrante del Giudaismo e del Pensiero Ebraico. Nasce,all’interno dell’Ebraismo, da Avraham Avinu. Nasce dallaIl giorno della dichiarazionedi indipendenzasperanza del Popolo di Israele di ritornare nella suaTerra Promessa, Eretz Israel. Questa speranza hadello Stato di Israele.origini lontanissime nel tempo e la Torah ne è la prova.Ovunque questo giorno èSi pensi ad Abramo che segui il comando di Dio difesteggiato con gioia e cantiandare nella Terra che avrebbe dato al suo Popolo. Sida tutti gli ebrei. Il giorno 4 Iyàr è considerato Yompensi ai Patriarchi e alle speranze di Israele di ritornarehazikkaròn (giorno del ricordo), e si commemorano iin Eretz Israel durante la schiavitu’ in Egitto; per nonnostri fratelli, morti eroicamente nella difesa del nuovoparlare poi della deportazione in Babilonia, fino adStato di Israele. Dobbiamo sempre ricordare che più diarrivare alla Diaspora del 70 e.v. e la distruzione del6 milioni di ebrei sono morti nei campi di sterminioSecondo Tempio. Il Sionismo è prima di tutto religiosonazisti, dopo essere stati deportati da tutti i paesisolo alla fine del XIX secolo diventerà anche politico. Ineuropei, invasi dalle truppe di Hitler. Anche dall’Italia,sostanza direttamente o indirettamente la matrice delgovernata da Mussolini, alleato della Germania, sonoSionismo politico è sempre stato il Sionismo religioso.stati deportati molti ebrei che hanno perso la vita neiIn pratica il Sionismo politico non è altro che lacampi di sterminio.trasposizione pratica di una speranza plurimillenaria,collegata all’idea di redenzione messianica, che è alla Shalòm ‘al Israèlbase dell’Ebraismo. La Divina provvidenza e l’iniziativa In questo giorno rivolgono al Signore questaumana combinate insieme (come avviene per ogni preghiera:Mitzva compiuta da un Ebreo) hanno dato origine allo "Padre nostro Che sei nel cielo, Rocca di Israele e suoStato Ebraico di Israele, che è appunto il principio della Redentore, benedici lo Stato di Israele che rappresentafioritura della loro Redenzione.il risorgimento della nostra libertà. Stabilisci la pace nelIl seme del movimento sionista è gettato quando gli paese e grande felicità per i suoi abitanti". »ebrei partono da Gerusalemme per la Babilonia nel 586a. E.V. Da allora i loro pensieri e le loro preghiereterminano con le parole: "L’anno prossimo aGerusalemme!" E sono proprio le continue persecuzionie lo stato di avvilimento in cui vivono gli ebrei, adestare in molti grandi uomini il pensiero della necessitàdi ridare una patria al popolo ebraico. Già molti ebreinell’800 si dirigono dalla Russia e dalla Romania inPalestina. Vi si reca anche Elièzer Ben Yehùda cheinsiste sulla convinzione che l’ebraico deve essere lalingua parlata dagli ebrei e rinnova così il vocabolario diquesta lingua.Il fondatore del Sionismo Mondiale è Teodoro Herzlche nel 1897 convoca il I congresso a Basilea,Fonte: http://www.scuola-ebraica-torino.it/150<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


III.2 STORIA DEL MOVIMENTO SIONISTACRONOLOGIA1839 La prima proposta della Costituzione di uno Statoebraico viene avanzata da Sir Moses Montefiore, unfinanziere ebreo inglese di origine italiana1840 Israele fa parte dell’impero ottomano. Lecondizioni di vita degli ebrei che sono rimasti nella loroterra di origine ( sono poche migliaia), miglioranolentamente e la situazione favorisce l’immigrazionedall’Europa. Con l’aiuto degli ebrei sparsi in tutto ilmondo vengono acquistati diversi terreni agricoliappartenenti agli effendi arabi che vivono al Cairo aDamasco o a Beitut. Non sono terre pregiate sono solodune e paludi. Quei fondi con il duro lavoro sitrasformano in terre fertili.Tra il 1870 e il 1880 in Russia e in Romania si formanoi gruppi di Hovevè Zion ovvero gli amanti di Sioncostoro promuovono insediamenti agricoli in Terrad’Israele. Sempre nello stesso anno viene fondata aNord di Giaffa la scuola agricola “ Mikevè Istrael”.Tra il 1882 e il 1903 inizia la prima immigrazione suvasta scala (Prima Alia’ = salita ); molti provengonodalla Russia.La popolazione ebraica aumenta sensibilmente. Sonocoloro che fuggono dai grandi pogrom scatenati inRussia e in Romania contro le comunità “giudee”. IPogrom vengono presentati come “furia spontanea dipopolo, ma che in realtà sono ispirati dalle autorità perscaricare i malumori di una popolazione vessata dallaspietata tirannide dello zar . Queste “furie spontanee”si lasciano dietro negozi distrutti, case bruciate,sinagoghe devastate e saccheggiate, donne violentate,morti e feriti. Dal 1881 al 1921 si contano oltre duemilapogrom. Le comunità ebraiche fuggite dalla Russia edalla Romania si insediano nei villaggi agricoli esistentiin Palestina e ne fondano nuovi.Si inizia a lavorare per la ricostruzione dell’identitànazionale e personale e saranno proprio questiprofughi, provati nel corpo, ma non nello spirito aritrovare la propria origine. Nei loro ghetti hannosempre tenuta accesa la fiamma della cultura nazionale,della religione, hanno continuato ad insegnare ai lorofigli la lingua ebraica, la storia dell’antica terra d’Israele.Nello stesso periodo viene pubblicato il libro “ Autoemancipazione” di Leo Pinsker. Questo libro proponela formazione di un centro nazionale ebraico.Intanto i membri del movimento “Bilu” invocano larinascita del popolo ebraico attraverso l’insediamentonella Terra d’Israele.Iniziano ad arrivare i primi gruppi di pionieri organizzati.Nathan Bimbau conia il termine Sionismo in una rivistaperiodica, che propaga le idee del movimento Hovev’Zion .Nel 1890 Eliezer Ben Yehuda fa rivivere l’antica linguaebraica che diventa elemento unificante, è lariscoperta dell’ebraicitàNel 1892 un’assemblea di insegnanti fissa i terminiebraici da usare nella matematica e nelle scienzenaturali e progetta un piano di studi scolastici unificato.Dopo circa dieci anni l’ebraico diventa la principalelingua di una comunità che prima comunicavafaticosamente attraverso i vari dialetti che era uncocktail di ebraico e tedesco nato dalla diaspora. L’annosuccessivo viene creato un centro culturale ebraicoLa popolazione in Palestina è ancora scarsa e dispersa,le comunicazioni e i trasporti carenti e insicuri.Gran parte del suolo è ancora in un profondo stato diabbandono, la malaria è endemica per la presenza dimolte paludi, l’atteggiamento dell’amministrazione turcaè ostile e oppressivo.All’inizio del 1882 viene emessa una legge che vietal’insediamento degli ebrei dell’Europa orientale.L’acquisto delle terre viene sottoposto a restrizioni,diventa impossibile la costruzione di edifici senza unospeciale permesso che deve essere richiesto aCostantinopoli.Importante per la storia del Sionismo è la pubblicazionenel 1896 del libro di Teodoro Hezl “ Lo Stato Ebraico”.L’autore del libro sarà considerato il Padre del Sionismopolitico.Nel 1897 Teodoro Herzl organizza il primo Congressosionista.Il Congresso si tiene a Basilea e avrà come obiettivo lacreazione di uno stato ebraico in Terra di Israele.L’organizzatore, ebbe a scrivere nel suo giornale, “ aBasilea ho fondato lo Stato Ebraico… tutti se nerenderanno conto tra cinquanta anni”. Durante ilCongresso viene fondata l’Organizzazione Sionista dicui Teodoro sarà il Presidente.Il sionismo (movimento di liberazione nazionale )diventa la risposta moderna a secoli di discriminazionee ostracismo, di oppressione e persecuzione omicida ealla crescente coscienza che il popolo ebraico puòliberarsi soltanto con l’autodeterminazione.Gli scopi del sionismo sono precisi: ritorno degli ebreialla terra d’Israele; rinascita, sul suolo patrio, della vitanazionale ebraica; raggiungimento di una dimorariconosciuta e legalmente assicurata agli ebrei nella loropatria storicaNel secondo Congresso sionista tenutosi l’annosuccessivo vengono poste le basi per la Formazione delFondo Ebraico Coloniale che diventerà in seguito labanca Anglo Palestinese. Nello stesso anno l’imperatoredi Germania Guglielmo secondo si reca il Palestina eincontra durante quella visita il presidentedell’Organizzazione sionista.Il Terzo e quarto Congresso che si terrannorispettivamente nel 1899 e 1900 elaborano uno statutoe discutono sulle persecuzioni dell’ebraismo rumeno edei problemi dei lavoratori ebrei in Palestina.Il quinto Congresso sionista tenutosi nel 1901 istituisceil Fondo Nazionale Ebraico con lo scopo di acquistareterreni in Terra d’Israele: queste terre dovranno essere“ eterno possesso del popolo ebraico”.L’anno successivo viene aperto a Gerusalemmel’ambulatorio Shàarè Zedek (oggi è un modernoospedale ) per fornire servizi sanitari gratuiti allapopolazione della città. Con il sesto Congresso sionistaviene discussa l’offerta del governo britannico di unterritorio in Uganda per l’insediamento ebraico. Laproposta provoca una grande divisione nel movimentoe nonostante fosse stata approvata dalla maggioranzadei delegati più tardi verrà abbandonata.Nel 1903 vengono fondate l’Associazione degliInsegnanti della lingua ebraica, e la Banca Anglo-<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 151


Palestinese che diviene il principale istituto finanziariodella Comunità ebraica della Palestina.Dal 1904 al 1914 abbiamo la Seconda Alia’ . Gliimmigrati fuggono dalla Russia (a causa dellarivoluzione Russa) e dalla Polonia in seguito ai continuiPogrom, e danno vita a nuovi insediamenti agricoli.Socialisti e sionisti puntano a dar vita a una classeoperaia ebraica, a riscattare la terra con “ il sudoredella fronte” e a impegnarsi in ogni tipo di lavoromanuale al fine di edificare una società pienamenteproduttiva e auto sufficiente. L’influenza dei gruppisocialisti è determinante: la comunità ebraica cominciaa darsi una organizzazione politica.Nel 1904 muore il padre politico del Sionismo TeodoroHerzl.Il settimo congresso si terrà nel 1905: verrà nominato ilnuovo presidente dell’Organizzazione Sionista : DavidWolfson.L’anno successivo a Gerusalemme verrà creatal’Accademia delle Arti di Bezalel: lo scopodell’Accademia è quello di incoraggiare i giovani ebreiad avvicinarsi all’arte e a studiarla.Nel 1907 si terrà l’ottavo Congresso che avrà comeobiettivi di continuare a promuovere il Sionismo politicoe il sionismo pratico. L’obiettivo politico prevede unriconoscimento internazionale del movimento sionista ela richiesta di un documento (con valore internazionale)che riconosca il diritto degli ebrei in Palestina.L’obiettivo pratico mira ad un insediamento sempre piùmassiccio di ebrei nella “Terra Promessa”. Nel 1908viene aperta a Giaffa un ufficio della Organizzazionesionista e inizia a Gerusalemme la pubblicazione delprimo quotidiano in ebraico “Hazvi’”.Il 1909 è un anno importante perché nelle vicinanze diGiaffa viene fondata la prima città completamenteebraica dell’era moderna: Tel-Aviv. A Degania ( sul lagoTiberiade) viene fondato dai giovani pionieri ebrei ilprimo Kibbutz, combinando l’insediamento agricolo conun regime di vita collettivo. Il Kibbutz è una coloniaagricola collettiva di grandi proporzioni. Quasicontemporaneamente viene fondato il primo gruppoebraico di autodifesa, l’Hashomer (il guardiano) che siassume la responsabilità della sicurezza dei nuovivillaggi ebraici dagli attacchi degli arabi. La vita deipionieri è dura. Molti dei nuovi arrivati ripartono allaricerca di una condizione meno dura, ma lamaggioranza rimane.Nello stesso anno si tiene il nono Congresso. Per laprima volta vi partecipano i rappresentanti deilavoratori Ebrei in Palestina.Il decimo e undicesimo Congresso si terrannorispettivamente nel 1911 e nel 1913. L a decisione piùimportante che verrà presa sarà quella di Fondarel’Università ebraica di Gerusalemme.Il periodo che va dal 1914 al 1917 è caratterizzato daglieventi della prima guerra mondiale. Nel 1914 in EretzIsrael vivono 85.000 ebrei. Nel 1800 erano appena10.000. Il 1914 è un hanno nefasto scoppia la primaguerra mondiale che investe anche il Medio Oriente,dove sono in gioco grossi interessi europei: uno dei piùimportanti è rappresentato dal Canale di Suez . Lasituazione d’emergenza fa scattare i primiprovvedimenti. Nel dicembre del 1914 il governo turcodà ordine di deportare gli ebrei stranieri, nellaprimavera successiva il sionismo viene messo fuorilegge e i suoi sostenitori condannati all’esilio. Fra coloroche vengono cacciati vi sono David ben Gurion e YtzhakBen –Zvi, futuro presidente della repubblica.Alla fine del 1915 circa 12.000 ebrei sono costretti adabbandonare Eretz Israel . La maggioranza finisceammassata nei campi profughi dell’Egitto, 500 siarruolano nel Corpo sionista mulattieri che combattecon gli alleati a GallipoliDurante questo periodo si può ricordare l’impegnoebraico a favore degli inglesi. Gli ebrei sono impegnatiin azioni di spionaggio.1917 anno importante per il popolo ebraico: vienepubblicata il 2 novembre la Dichiarazione Balfour, daparte del governo inglese, che riconosce il diritto delpopolo ebraico di creare un “Focolare Nazionale ebraicoin Palestina”. La dichiarazione spinge molti giovani ebreia creare una unità militare volontaria e combattereaccanto all’esercito inglese per la liberazione di “ErezIsrael” dalla dominazione ottomana.I punti della Dichiarazione verranno approvati nel 1922dal Congresso degli Stati Uniti. Nello stesso anno LaSocietà delle Nazioni conferirà ufficialmente alla GranBretagna un mandato del quale la Dichiarazione Balfourfa parte integrante.Anche se costantemente in stato di allarme per lecontinua encursioni e le azioni di disturbo degli arabi,l’Yshuv, ossia l’insediamento ebraico organizzato ,continuaDopo la conclusione della guerra, infatti, inizianuovamente l’immigrazione dalla Russia: sono giovanicon idee sioniste e socialiste. L’immigrazione ècontestata con forza dalla popolazione araba. Gli scontrisi faranno sempre più violenti e costringeranno ilgoverno britannico ad intervenire a volte anche con imilitari.Tra il 1919 e ’29 la popolazione ebraica quasiraddoppia raggiungendo la quota dei 160.000 abitanti.Sono stati acquistati 120.000 ettari di terra è unastriscia continua di territorio, che popolata di ebrei,costituisce già un vero e proprio territorio nazionale,anche se di ridotte dimensioni. E a poco a pocol’insediamento prende i connotati di un piccolo Statoorganizzato. La cultura classica (che gli ebrei delladiaspora hanno sempre considerato come valoreprimario, un valore che è stato un prezioso strumentodi sopravvivenza morale e materiale) viene coltivatafebbrilmente e con la stessa cura con la quale vengonocoltivati i campi strappati al deserto.Nel 1920 La Gran Bretagna, nella conferenza di pace diSan Remo, riceve ufficialmente il Mandato per laPalestina.La comunità ebraica tiene le elezioni per l’Assembleadegli Eletti (Asefat Hanivchorim ): è la suprema autoritàper la conduzione dei propri affari interni: L’Assembleaelegge il Consiglio Nazionale, che a sua volta sceglieun esecutivo che si occupa degli affari relativi allapolitica, alla educazione, alla sanità e al benesseresociale..La Gran Bretagna nominerà Sir. Herbert Samuel primoAlto Commissario Britannico. Chaim Weizmann vieneeletto presidente della Organizzazione Sionista.152<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Sempre nello stesso anno viene fondato il bracciofinanziario della Organizzazione Sionista Mondiale,responsabile dei contributi in tutto il mondo.L’ebraico diventa lingua ufficiale del paese. Vienefondata La Federazione generale del Lavoro che uniscetutti i lavoratori del paese. Nel 1921 si terrà ildodicesimo Congresso.!922 La Lega delle Nazioni conferma il MandatoBritannico per la Palestina, e approva la DichiarazioneBalfour.Nello stesso anno viene pubblicato, in seguito alleproteste della popolazione araba palestinese, il LibroBianco di Cherchill, il quale dà una interpretazionerestrittiva della Dichiarazione Balfour e viene a porre unlimite all’immigrazione.Per le contraddittorie posizioni assunte dagli inglesi nelcorso del mandato, gli ebrei di Eretz Israel prendonocoscienza che per conquistare l’indipendenza debbonodifendersi su due fronti: la contestazione araba ai nuoviinsediamenti e dal governo britannico che cede dinnanzialle richieste arabeLe autorità britanniche promulgano il Palesatine Orderin Council ( un ordinamento che rappresenta di fattouna Costituzione).Tra il 1924 e il 1934 abbiamo la quarta Aliyà . Sonopersone che provengono principalmente dalla Poloniaappartengono alla classe sociale media: si insediano incittà.Viene aperta la Biblioteca presso l’Università ebraica diGerusalemmeSi terranno il quattordicesimo, quindicesimo esedicesimo Congresso. Con quest’ultimo Congressoviene costituita l’agenzia ebraica, come previsto dalmandato britannico, per dare alla comunità ebraica diPalestina una rappresentanza di fronte alle autoritàbritanniche, ai governi stranieri e ad organizzazioniinternazionali.Intanto i tumulti degli arabi in tutto il paese continuano.Vi saranno numerosi morti tra ebrei e arabi palestinesi.Per difendersi da eventuali attacchi nel 1931 vienefondata la Ezel : una organizzazione di difesa e diresistenza clandestina composta da elementirevisionisti.Il diciassettesimo congresso sionista si tiene nel 1931 .Vi sono contrasti sulla cooperazione con il governobritannico. Si crea una scissione tra Revisionisti e glialtri partiti che sono presenti nell’Organizzazionesionista.1933 1939 . – Quinta Aliya’ . Gli immigrati provengonoper lo più dalla Germania dove il movimentoantisemitista comincia ad affermarsi. Sono accademici,liberi professionisti; costoro si stabiliscono in città eportano con sé grandi capitali.Viene formata la compagnia cooperativa per i trasporti.Nel 1933 si tiene il diciottesimo Congressocaratterizzato dai contrasti tra revisionisti e laburisti.. Ildiciannovesimo congresso si terrà due anni dopo.Tra il 1936 e 39 vi sono disordini dovuti allapopolazione araba che protesta per l’immigrazioneebraica e per l’acquisto di terreni. Vi saranno numerosimorti da entrambi le parti.Nel 1936 vengono fondati circa cinquanta insediamentiin zone periferiche, eretti in un solo giorno e pronti giàa difendersi da eventuali attacchi notturni ( sonoconosciuti come insediamenti delle palizzate e delletorrette di guardia) . Nello stesso anno viene fondatal’Orchestra Filarmonica d’Israele.La Commissione Peel, nel 1937, propone la spartizionedella Palestina in due stati, uno ebraico e l’altro arabopalestinese. Tra i due stati vi sarà un corridoio checomprende Gerusalemme e arriva fino al mare essodovrà rimanere sotto il controllo dell’amministrazionebritannica.Il ventesimo Congresso discuterà la proposta e decidedi negoziare con il governo britannico per unaspartizione della Palestina a loro più favorevole.Dal 1938 continuerà l’immigrazione massiccia e illegalecontestata dalle popolazioni arabe.Nel 1939 sarà pubblicato un secondo Libro Bianco perfrenare l’immigrazione e l’acquisto di terrei.Il ventunesimo congresso Contesta il Libro Bianco.Nello stesso anno scoppia la seconda guerra mondiale.La Germania mette in atto un piano per liquidare lacomunità ebraica europea Tra il 1939 e il 1945verranno uccisi circa sei milioni di ebrei di cui unmilione e mezzo sono bambini.( è la Shoà: l’olocausto )1945 finisce la seconda guerra mondiale. Il generale SirAlan Cunningham viene nominato come ultimo AltoCommissario.1946 Le organizzazioni di difesa ebraiche uniscono leloro forze per compiere azioni di sabotaggio neiconfronti degli inglesi. Vengono colpite strade, pontiferroviari.26 giugno 1946 Sabato Nero. Il governo inglese arrestamolti ebrei, tra questi anche membri dell’esecutivodell’Agenzia ebraica, esiliandone molti a Cipro, effettuaricerche per scoprire membri di organizzazioniclandestine e depositi di armi. Intensifica altresì icontrolli sull’emigrazione illegale.La Lega araba reagisce agli insediamenti boicottando iprodotti della comunità ebraica..1947 A 4500 profughi, reduci dai campi di sterminionazisti, approdati davanti alla costa palestinese sullanave Exodus non viene concesso, da parte degli imglesiil permesso di sbarcare in Palestina e vengono rispeditiad Amburgo sotto scorta.Questo fatto lascia esterrefatti gli stessi tedeschi. Unepisodio che porta l’Yshuv alla decisione inevitabile:organizzare la resistenza per liberare il territorio daldominio inglese. È l’unico modo per conquistarel’indipendenza definitiva e per dar modo agli ebrei delladiaspora, ai vari profughi , di tornare in Israele. Laresistenza è condotta dalla Organizzazione militarenazionale e dai Combattenti di Israele per la libertà. Leorganizzazioni agiscono indipendentemente, maognuna di loro conduce con maestria una guerrigliache, per la fulminea mobilità dei commandos, perl’intelligenza tattico-strategica mette in ginocchio letruppe inglesi e porta a quel gran giorno del 14 maggio1948Sempre nel 1947 L’Inghilterra Porta il problema ebraicopalestinese davanti all’Organizzazione delle NazioniUnite. Una Commissione composta di rappresentanti deipaesi membri, dopo aver visitato la Palestina econsultate le parti, propone una spartizione delterritorio in due Stati: uno ebraico e uno arabopalestinese, ciascuno indipendente e sovrano, con unostatuto internazionale per Gerusalemme.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 153


Il 29 novembre 1947 L’Assemblea Generale dell’ONUdà la sua approvazione con 33 voti favorevoli, 13contrari, 10 astenuti: tra gli astenuti la Gran Bretagna.Gli ebrei della Palestina accettarono con gioia larisoluzione dell’ONU, gli ebrei di tutto il mondoesultano.La decisione dell’ONU fu respinta dai governi arabi cheanzi annunciarono la distruzione di Israele se fossestata messa in atto.14 Maggio 1948 viene proclamato lo Stato di Israele daDavid Ben Gurion, poche ore prima che il MandatoBritannico giungesse al termine.Gli ebrei sono tornati in quella terra che, anche se eradei Padri, avevano dovuto pagare palmo a palmo primaal governo turco, poi ai grandi latifondisti arabiIl giorno successivo gli eserciti di Egitto, Siria,Giordania, Libano e Irak e Arabia Saudita attaccano ilnuovo Stato.La guerra dura 15 mesi: Israele respinge gli invasori.La Terra dei Padri, Israele, che i romani avevanochiamato Palestina, non era mai stata abbandonata deltutto: c’erano villaggi e città con quartieri abitati daebrei durante l’occupazione romana, poi nel periodobizantino, con la dominazione islamica da Maomettosino al 1099 quando giunsero i crociati. Questi ultimifurono sconfitti dai mamelucchi finché l’intera Palestinapasserà sotto il governo ottomano dal 1517 al 1917.Theodor Herzl, inungherese Tivadar (Pest, 2maggio 1860 – Edlach, 3luglio 1904), è stato ungiornalista e scrittoreungherese.Ebreo ungherese di linguatedesca, fu il fondatore delmovimento politico delsionismo.Nato in via Dohány nel postodove oggi sorge il MuseoEbraico di Budapest e laSinagoga di Budapest.Conclusi gli studi al Ginnasio Evangelico di Budapest, sitrasferì a Vienna per studiare diritto e letteratura,prendendo il dottorato in legge nel 1884.Dal 1891 divenne corrispondente da Parigi del giornaleNeue Freie Presse.A Parigi ebbe modo di seguire l'affare Dreyfus econoscere quanto radicato fosse nella società europeal'antisemitismo.Nel 1896 pubblicò Der Judenstaat (Lo stato Ebraico)dove propugnava ai governi europei l'idea che sicreasse lo stato Ebraico in Palestina dove gli ebreisarebbero stati l'avamposto della civiltà europea controla barbarie musulmana.Insieme a Max Nordau, Herzl è il padre del sionismo e ilfondatore del Movimento sionista al congresso di BaselBasilea del 1897, in cui venne eletto presidente.Sostenne il diritto degli ebrei di fondare uno statoebraico, in Palestina o in Uganda,( come proposto dagliInglesi). Questa patria sarebbe dovuta servire peraccogliere gli ebrei che avessero voluto o non avesseropotuto vivere serenamente nel paese in cui abitavano.La sua salma fu in un primo momento sepolta accantoa quella del padre a Döbling per poi essere trasferita -in ottemperanza alle sue volontà testamentarie – nel1950 a Gerusalemme.A cura di MttbFonte: http://www.liceoluino.it/ , Wikipedia____________Profilo d’Autore____________Fernando Sorrentino, György BodosiIL PROFESSORE DEL FANTASTICO 1(El profesor de lo fantástico)Intervista di Juan Pablo BertazzaPer molti lettori Fernando Sorrentino èl’affettuoso nome di qualcuno deditoall’insegnamento della letteratura e realizzatoredi alcune antologie di racconti che hannoformato varie generazioni. Dovrei peròaggiungere che è autore di oltre quindici volumidi racconti in cui l’umorismo, l’assurdo ed ilfantastico si danno appuntamento una volta el’altra pure. Con la recente apparizione di Elcrimen de san Alberto (Losada), Sorrentinocorona una carriera letteraria non esente dastranezze, eventi favorevoli e aneddoti curiosi.Ritratto d’un uomo cui quasi ogni settimanacapita qualcosa di piacevole.—State traslocando?—No —risponde egli senza per contro darealcuna spiegazione.L’assai strano dialogo ha luogo quandoSorrentino chiede ad una ragazza assai affrettata discattarci non una ma quattro foto in distinte posizionidella hall d’ingresso, subito dopo un’intervista in cui loscrittore termina di raccontare che “in quasi tutti i mieiracconti accade qualche fatto insolito, ma è per meimportantissimo creare prima la scenografia condettagli verosimili per poi, celatamente, andarvi amettere il fantastico, l’insolito”. Questo esimio novellierenato nel 1942 di cui non è facile precisare se notooppure no, l’anno passato ha pubblicato due libri nellostesso mese, El centro de la telaraña (Longseller),un’antologia contenente un nuovo racconto scritto incollaborazione con Cristian Mitelman, ed El crimen desan Alberto (Losada) in cui brillano la tragicomica storiad’un mediocre che decide di vendicarsi del suo amico disuccesso ed una parodia per le analisi semiologiche.Questo volume, oltre a riunire racconti inediti opubblicati soltanto su delle riviste, contrassegna ilconsolidamento della tecnica novellistica di Sorrentino.Ogni risultato cela però una storia di complicazioni: “Elcrimen de san Alberto l’ho scritto da vent’anni, era unracconto maledetto perché non riuscivo mai apubblicarlo. M’è occorso molte volte di riporreaspettative in qualcosa e non la si edita, mentre di altrecose mi disinteresso e mi chiamano per pubblicarle.Juan José Delaney, che è intimissimo amico mio, avevala rivista di racconti polizieschi El Gato Negro (Il GattoNero) per cui nulla v’era di più facile che pubblicarlo154<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


con lui. Proprio quando accettò di includerlo restò senzasoldi e non poté più far uscire la rivista”.L’apprendistato fatto da Sorrentino in El crimende san Alberto lo si potrebbe definire come la capacitàd’incentrarsi in un’unica vicenda fantastica in mezzo aduna situazione realista, meccanismo che già avevaanticipato in un trittico di storie su dei falliti: El rigor delas desdichas (Ediciones del Dock, 1994). I precedentilibri di racconti, che raggiungono i quindici volumi, sicaratterizzano per un assurdo più o meno generalizzatoche gli procurò alti risultati in alcuni racconti di Endefensa propria (Editorial de Belgrano, 1982), unaspecie di, se non bestiario, almeno “animalario” in cuiad un uomo, invece di venirgli ad esempio una verruca,gli spunta un elefante; in altri racconti di El mejor delos mundos posibles (Plus Ultra, 1976, vincitore delsecondo Premio Municipal de Literatura) e, in specialmodo, non in un libro di racconti, bensì nel suo unicoeccellente romanzo Sanitarios centenarios (Plus Ultra,1979) che inizia quando l’ineffabile impresa SanitariSpettanza incarica l’agenzia pubblicitaria ConvinzioneSuasoria di indire una speciale campagna in occasionedel suo centesimo anniversario. Tra i punti debolis’affretta egli stesso a collocare La regresión zoológica(Editores Dos, 1969), il suo detestato primo libro di cui,curiosamente, parla sempre al passato: “Era pieno didifetti. Erano racconti schematici, senza volume,dettaglio né finale. Avevano inoltre un errore digioventù di cui mi sono liberato per sempre:atteggiarmi ad esperto, come a dire guardate quanto ègrande chi ha scritto qua. Quei racconti li scrissi tra iventidue ed i ventiquattro anni e li pubblicai ai ventisei.Nel ’68 la rivista Nuestros Hijos che non esiste piùaveva indetto un concorso di racconti per giovani ed ione scrissi uno che si chiama “Cosas de vieja” poco dopoquelli de La regresión zoológica anche se fu pubblicatoprima: il cambiamento è lì. Quello era un racconto benfatto, si ebbe lì il momento di maturità o lucidità ch’eranecessaria”.Quella lucidità si raggiunge una volta e persempre o credi che vi sia sempre il rischio diregredire allo stato precedente?—No, indietro non si torna, è impossibile. C’eranodue racconti de La regresión zoológica che, benchéfossero scritti assai male, li riscattai e li rifeci dalmomento che avevano un buon nucleo sotto l’aspettoargomentale: “Mi amigo Lucas” e “Métodos de laregresión zoológica”. Gli altri, come direbbe Borges,non ammettono redenzione senza distruzione.Umorismo senza volontarismo 2Il taglientissimo umorismo che Sorrentino sfoggiain quasi tutti i suoi libri è solito chiedere una manoall’assurdo quantunque mai gli prenda il braccio. Èpartendo da situazioni normali, quotidiane e persinoprobabili che spesso ricava verosimili aliquote di delirio.Una delle forme più ricorrenti che assumono questoumorismo è quella del dialogo, come quando nella suanovella Costumbres de los muertos (Colihue, 1996) unazia, invece di consolare il suo nipotino malato, gli dice:—Quando morirai pregherai Dio per tutti noi,non è vero tesoro?O un dialogo del romanzo Sanitarios Centenarios chetratteggia da capo a piedi la personalità di uno deifratelli della bizzarra ditta:—Tutte le parole hanno sinonimi e vannousati tutti. Ad esempio, per non ripetere “via”io direi: “Tizio uscì in strada, camminò per larua fino alla strada seguente e prese infinel’altra via che lo avrebbe portato alla casa diCaio”: Che le sembra?—Non è per discutere, ma ciò è perderetempo.—Questione di stili —concluse, alquantorisentito—. A me piace la ricchezza di lessicoo vocabolario.Dello stesso umorismo Sorrentino fa uso nel parlare.Quando gli si chiede se qualcuno dei ridicoli personaggidi El crimen de san Alberto sia realmente esistito,risponde che si trattava di una professoressa dimatematica che era tanto magra da essere un’illusione;quando gli si chiede del suo lavoro alla casa editricePlus Ultra risponde garbatamente, pur non ricordandoquel tempo precisamente con allegria: “Vi sono statocinque anni. Svolgevo mansioni amministrativenonostante avessi il pomposo titolo di direttore distampa e la paga del tipo che spazza i gabinetti dellastazione González Catán del Ferrocaril Belgrano Sur. Lacosa positiva è che ero capo di me stesso poiché nonavevo nessun sottoposto ed in genere io stesso miobbedivo. Perlomeno ho conosciuto lì la persona piùtaccagna del mondo intero”.Nel tuo libro di conversazioni con Borges honotato che non eravate d’accordo su un punto,l’umorismo. Egli dice che “l’umorismo scritto èun errore”.—Certo, egli vedeva l’umorismo come un fioreorale, benché sapesse che ciò voleva dire rendere nullagran parte dell’opera di Mark Twain. D’altronde, moltocontribuì egli stesso alla causa con Bustos Domecq 3 eda solo con le ridicolaggini di Carlos Argentino Daneri 4 .Io ritengo che non si debba scrivere con umorismopensando di fare racconti comici. Il Chisciotte ha moltoumorismo e non è qualcosa di umoristico, lo stessoavviene con Dickens. Io non sono umorista. Credo chel’errore sia nella volontarietà di essere spiritoso.E come riesci con un libro a far ridere acrepapelle senza fare abuso dell’assurdo?—Le cose buffe ci sono. Mi richiamano adesempio molto l’attenzione i ragionamenti irrazionali.Stavo una volta con gente amica e sullo schermotelevisivo sono comparse quattro persone. Qualcunodisse: “C’è qui Tal dei Tali”. Siccome non lo conoscevo,chiedo qual è e mi risponde: “Quello di mezzo”. Qual èquello di mezzo in un gruppo di quattro persone?Tema: la primaveraTutto quanto ha relazione con lo scolastico suoleesser visto in maniera peggiorativa sul terrenoletterario. L’opera di Fernando Sorrentino è tuttaviamarcata per molti aspetti a fuoco dalla pedagogia.Quasi tutto quello ch’egli ricorda ha essenzialmente omarginalmente a che vedere con l’ambito della scuolache, in ripetute occasioni, è per la sua opera ciò chesono gli uffici per Kafka od il Melville di Bartleby.Sorrentino giunse anche a dire, in una intervistarilasciata a Carla Pravisani, che “quaranta minuti —giusto la durata d’una lezione alla secondaria— èquanto riesco a dedicare alla scrittura”..<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 155


Molti lettori, d’altro lato, hanno avuto il loro primocontatto con Sorrentino proprio alla secondaria,iniziando da qualcuno di quei racconti d’antologiacostituenti una specie di fuga fra le ora di matematica,contabilità e chimica. Ancora oggi i suoi racconti classici—che giorno dopo giorno continuano ad essere richiestiper nuove antologie scolastiche— ci ricorda quell’epocain cui la lettura d’un racconto poteva arrivare ad influireper una vita intera.Qualcosa di scolastico c’è anche nella suaassenza di pregiudizio. Sorrentino dice che legge soloquello che gli piace e, a sua volta, sempre dice che glipiace quel che riesce a ricordare; del che ci si accorgedalle foto degli idoli che popolano le pareti del suostudio: Borges, Kafka, Marco Denevi ed un disegnoesclusivo fattogli appositamente da Fontanarrosa 5 per ilsuo racconto “Lectura y comprensión de textos”. La suaidolatria non termina comunque qui: “La persona checonsidero più intelligente, più saggia, e più colta l’hoconosciuta alla cattedra di Letteratura del MarianoAcosta, dove mi laureai, ed è quella del professor JulioBalderrama, un tipo meraviglioso che tutti noi suoiallievi adoravamo. Don Julio sapeva tutto e faceva coseche potrebbero sembrare infantili, ma non lo erano. Ungiorno ci chiede di fare un tema sulla primavera. Pensaiche si stesse burlando di noi. Lo feci ed egli poi vennecon tutti i difetti che vi avevo commesso: chi narradeve, soprattutto, trasmettere sensazioni. Se io dunquedico che ho paura non serve a niente, tu devitrasmettere tali sensazioni senza dirle.Hai a lungo lavorato come professore diletteratura, no?—Quarant’anni. Ora sono in attesa d’avvalermidei benefici della pensione, le pratiche sono già stateespletate, cosicché sto aspettando che il signor Anses 6mi chiami ad incassare. Ho lavorato in tante scuole:quasi sempre in private e moltissimi anni alla Pellegrini,dal ’78 al ’99. Da giovane, fino ai 28, 30 anni, facevoanche uso d’un espediente cui poi mi sono stancato diricorrere: leggevo i miei racconti ai ragazzi. Leggevo econ la coda dell’occhio scrutavo le reazioni. Se io alloravedevo che in una certa parte non provocava effettoalcuno, occorreva che lo correggessi. Alcuni dicevanoche era una porcheria, di dedicarsi ad altro, tu l’haivisto come sono i ragazzi.Quell’ambiente ti ispirava a scrivere?—Si. Uno era abituato a star lì, io mi trovavobene con i professori, era bello, stavi nella salainsegnanti, facevi delle chiacchiere, c’erano belleprofessoresse, era una cosa piacevole. I ragazzi mivolevano un gran bene, a tal punto che allapresentazione di El crimen de san Alberto v’erano mieialunni non di diciotto bensì ragazze di cinquantadueanni che mi ebbero come professore nella decade del’70. Dal passato emergono di continuo, specie perposta elettronica, persone che ho dimenticato e midicono cose assai belle come: “tu mi hai insegnato aleggere”, “tu mi hai aperto la testa”. Come professoredi letteratura io non ero ortodosso, davo unicamente itesti che piacevano a me. In letteratura spagnola, adesempio, dedicavo molte lezioni a Jorge Manrique 7 , mail Cid 8 lo passavo a tutta velocità, altrettanto dedicavomolto tempo a Garcilaso 9 , Góngora 10 e non tanto aQuevedo 11 perché, in quelle contrapposizioni sul genereFord-Chevrolet, Independiente-Racing, sono più tifosodi Góngora che di Quevedo. Arrivava il secolo XVIII, esiccome non mi piaceva niente, non esisteva. Del secoloXIX mi stava assai in simpatia Larra 12 , allora lo davocon molto dettaglio. Ti ricordi di “El castellano viejo”?“In una delle cariche fece scivolare la forchettasull’animale come se avesse squame ed il pollo,violentemente scagliato, sembrò voler prendere il volocome ai suoi tempi più felici”. Ciò è geniale.Che opinione hai di Bioy Casares, l’altro scrittorecon cui hai realizzato il libro di conversazioni?—Era un tipo simpatico, ma bon vivant… io chene so? La sua letteratura non ha sangue, mi risultatroppo matematica. Ugualmente ha tre racconti a cui iodarei dieci: “En memoria de Paulina”, “El calamar optapor su tinta” ed “Encrucijada”. Ad ogni modo per meMarco Denevi è infinitamente superiore a Bioy Casares.È Il mio idolo, non in tutto, i suoi ultimi libri sonoalquanto peggiori perché si vede che scriveva perobbligo, costretto. Ma Rosaura a las diez, Un pequeñocafé, Ceremonia secreta, Los asesinos de los días defiesta… ore meravigliose ho passato leggendo quei libri.Nei tuoi racconti nomini così tanto il quartierePalermo da sorprendermi che tu abiti a VillaUrquiza.—Assolutamente, io qui mi considero unespatriato. Sono nato in calle Costa Rica, tra Bonplande Fitz Roy, dove ho vissuto fino a quando mi sonosposato. Lì ho giocato a pallone, con le palline, con lefigurine, era il decennio del ’50, la gente viveva instrada. Per quel quartiere io conservo un affetto totalenonostante sia ora una porcheria poiché è divenutoPalermo Hollywood, proprio il contrario di quello che mipiacerebbe che continuasse ad essere. In Palermo hoabitato in diversi posti, l’ultimo è stato Las Cañitas nel1984, vale a dire che se mi ci lasci con una benda agliocchi io non mi perdo. Mia madre continua ad abitarvied ogni volta che le vado a far visita trovo giapponesi enordamericani che mangiano assieme sul marciapiede.Il migliore dei mondi possibiliI racconti di Fernando Sorrentino circolano millevolte più nelle aule scolastiche che in quelle di facoltà, ilche lo rende uno scrittore un tanto strano. Non ènemmeno molto menzionato nei quotidiani e neisupplementi pur se, giorno dopo giorno, messaggi diposta elettronica gli giungono da tutto il mondo aringraziarlo dei suoi libri, molti dei quali sono statitradotti in diverse lingue quali catalano, serbo-croato,balochi (lingua minoritaria dell’Iran), bulgaro e cabilio(idioma minoritario dell’Algeria); oltre a considerare unbellissimo libro, Existe un hombre que tiene lacostumbre de pegarme con un paraguas en la cabeza(2005) che compila suoi racconti pubblicati sino a quelladata e solo ottenibile a Barcellona.Tanta stranezza porta a chiedersi se le curiosetrame di Fernando Sorrentino siano conseguenza delfatto che gli accadono cose strane o se cose strane glisono iniziate a capitare a partire dalle sue strane trame.Certo è che Sorrentino non cessa di ricordare momentidavvero fausti: “Quand’ero ragazzo leggevo quantopotevo: Salgari, Verne, tutti tipi meritori. Quando vi ful’epidemia di polio del 1955 nessuno poteva frequentarela strada perché erano state sospese le lezioni. Uno deiprimi giorni che di nuovo cominciammo ad uscire, un156<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


mio amico stava seduto sulla soglia di casa a leggereun librone e mi dice: ‘Me l’hanno regalato per il miocompleanno e non mi piace, lo vuoi?’. Era DavidCopperfield, io avevo dodici anni, lo iniziai a leggere erimasi affascinato. Mi resi conto che fra Dickens e glialtri v’erano cinque, sei gradini di differenza persottigliezza, contraddizioni, spessore dei personaggi…fu quella una prima tappa di discernimento. Poi, nellasecondaria, ebbi al secondo anno di lingua comeprofessore Rubén Benítez, vincitore del premio Emecénel 1959 con un romanzo intitolato Ladrones de luz. Eraper di più reggente agli studi e non c’era mai cosìsuppongo che prendesse lo stipendio senza lavorare. Ilfatto è però che ci fece comprare due libri di Losada,della Colección Contemporánea : Don SegundoSombra 13 e Pago Chico 14 . In classe non facemmo mainulla con i libri, il tipo se ne disinteressò, ma io li lessi emi resi conto che Don Sgundo Sombra era infinitamentesuperiore a Pago Chico.Raccontami tre momenti della tua carriera cheabbiano fatto di questo mondo il migliore deimondi possibili.Nel ’72, oltre ad essere in miseria e con un figliopiccolo cui dovevo dare da mangiare, volevo pubblicareImperios y servidumbres, il mio secondo libro diracconti. A quell’epoca non mi azzardavo ad andare daEmecé, Sudamericana o Losada perché era comeandare dal River, dal Boca, o dall’Independiente (nonvoglio dire Racing), provai quindi con Ferrocarril Oeste,Platense, e Chacarita, varrebbe a dire case editriciminori e tutte e tre me lo bocciarono. Feci allora unacosa puerile, mandare i racconti alla casa editrice piùimportante, a Seix Barral, alla fin fine m’avrebberodetto di no ed io mi sarei consolato pensando che me lorifiutavano perché loro erano troppo importanti per me.Il 19 giugno del 1972 —lo ricordo perché mi stavopreparando per andare alla scuola ove ero incaricato didirigere l’atto del Giorno della Bandiera—, compare unabusta sotto la porta e mi avvisano che mi avrebberomandato un acconto di trecento dollari per lapubblicazione del mio libro. Sono momenti magici.Dopo, nel ’75, io ero del tutto disinteressato (alla vitaletteraria), e mi venne in mente d’inviare quello stessolibro al mio idolo, Marco Denevi. Dopo una diecina digiorni egli mi manda una lettera con una specie dicritica in cui mi diceva che il libro gli era in generepiaciuto molto, che lo vedeva come un harem in cui cisono delle more, delle rosse e delle bionde; che alcuneci piacciono più di altre, ma che in genere ci piaccionotutte. Questo mi commosse, continuammo a scriverci emi invitò a prendere un espresso dove andava sempre,al caffè Saint James, all’angolo di Córdoba e Maipú. Egliera vestito di tutto punto, di completo, di cravatta ed iomi dicevo per tutto il tempo: “Sto sognando, stodisinvoltamente conversando con il tipo che ha creatoCamilo Canegato e la signorina Eufrasia”.Hai paragonato le case editrici a delle squadre dicalcio ed io non vorrei tralasciare di chiederti delRacing che io penso sia la squadra piùassurdamente letteraria d’Argentina poiché,oltre ad essere tornata campione giusto nel 2001dopo 35 anni, mi viene in mente che è la piùmenzionata nella nostra letteratura, più del Bocacompreso, benché non sia un club grande.—Non venirtene con delle burle, come che non ègrande! Come puoi aver mai ragione, eh? Ti farò unesempio. In Los premios Cortázar dice, riferendosi alPelusa: “Essi non sospettano che il mondo continua aldi là del Racing e di non so che” e poi, in Bestiario, nelracconto “Las puertas del cielo” parla di un ricevimentodopo una vittoria del Racing per 4 a 1. Per questo sidice, io non lo so, che Cortázar era del Racing. C’era ininternet un sito che ora non c’è più che si chiamavaFamosos Racinguistas: io avevo l’onore di figurarvi afianco di Porcel 15 , di Renán 16 , di Francella 17 , di Perón 18(pur se è un caso dubbio poiché molti dicono che fossedel Boca) ed anche di Cortázar.Ti manca di dirmi dell’ultimo momento che hatrasformato la tua carriera.—Si, uno assai recente. Donald Yates, che èprofessore in pensione di spagnolo e specialista diletteratura gialla negli Stati Uniti, un certo giorno miscrive e mi dice che se gli mando un racconto poliziescoegli mi da l’opportunità di pubblicarlo in Ellery Queen’sMystery Magazune, la cattedrale del racconto giallo. Glidissi che non ne avevo e che non potevo scrivered’ufficio, così mi disse che m’avrebbe atteso. Un giornovado a sbrigare una formalità al collegio Pio IX dove hoinsegnato dal 1999 al 2005 e vi incontro CristianMitelman. Gli racconto tutto, mi dice che ha sì unargomento e, infine, lo abbiamo elaborato via postaelettronica. Yates ci ha fatto un paio di osservazioni, malo ha tradotto e pubblicato in una testata cosìprestigiosa. Non passa in pratica settimana senza chemi capiti qualcosa di piacevole._________________Note1. Ringrazio Juan Pablo Bertazza, estensore dellapresente intervista a Fernando Sorrentino apparsa suPágina 12 il primo febbraio 2009, per l’autorizzazioneaccordatami ad effettuarne una traduzione initaliano.2. Qui sarebbe forse stato meglio l’uso di“volontarietà”, ma ho preferito tradurre in modospeculare il termine originale per mantenere il giocofonico che ha con “umorismo” anche se nella nostralingua “volontarismo” è termine in pratica usato soloin ambito filosofico. Ricordo a tale proposito leconcezioni volontaristiche del filosofo e teologo DunsScoto (1266-1308) riprese e portate alle estremeconseguenze dall’insegnante di teologia ad Oxford, ilfrancescano Guglielmo di Ockam (1280-1349).3. Usato per la prima volta nel 1942 per la raccolta diracconti Sei problemi per Don Isidro Parodi, HonorioBustos Domecq è lo pseudonimo con cui Jorge LuisBorges ed Adolfo Bioy Casares firmarono libri da loroscritti a quattro mani.4. Personaggio dalla grande ricercatezza linguistica delracconto “El Aleph”, i tratti e le maniere ne denotanole origini italiane. Così ve lo descrive Borges: “CarlosArgentino è roseo, corpulento, canuto, di lineamentifini. Esercita non so quali funzioni subalterne in unabiblioteca dei quartieri sud… A due generazioni didistanza, la esse italiana e la copiosa gesticolazionesopravvivono in lui.”5. Roberto Fontanarrosa (1944-2007), considerato unodei maggiori disegnatori umoristici, è stato autore divignette, tavole singole, o serie complete tra cui siricordano due personaggi di grande successo da luicreati: Boogie ed Inodoro Pereyra.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 157


6. ANSES è l’acronimo di Administración Nacional de laSeguritad Social, qualcosa di equivalente all’italianaINPS. Nell’espressione “Signor Anses” lapersonificazione dell’ente ha un ovvio intentoscherzoso.7. Jorge Manrique (1440-1479) è generalmenteconsiderato come il sommo poeta medievale dilingua castigliana.8. Il riferimento è al Cantar de mio Cid, poema epico diautore incerto fatto comunemente risalire alla finedel XII o all’inizio del <strong>XIII</strong> secolo, ma di probabileepoca anteriore.9. Garcilaso de la Vega (1501-1536), uno dei maggioripoeti di Spagna cui va tra l’altro il merito d’avercontribuito a diffondere in patria la poesia e lametrica italiana.10. Luis de Góngora y Argote (1561-1627), sacerdotespagnolo poeta e drammaturgo, massimo esponentedell’espressione letteraria tramandataci comeculteranesimo o gongorismo. Tra le numerose sueopere, tutte assai discusse, grande scalpore fecero lesue Soledades per l’audacia estetica e l’oscuritàipercolta, ma la lirica castigliana si arricchì con essedi nuovi poderosi strumenti espressivi e di una piùsciolta sintassi.11. Francisco de Quevedo y Villegas (1580-1645),scrittore e poeta spagnolo di nobile famiglia e dialtissime qualità intellettuali, considerato una dellemaggiori figure del barocco europeorappresentandone l’ala concettista che sicontrapponeva a quella gongorista.12. Mariano José de Larra (1809-1837), articolista,critico satirico e letterario spagnolo autore, anchesotto vari pseudonimi, di articoli aventi per oggetto ilcostume, la politica e la letteratura.13. Don Segundo Sombra di Ricardo Güiraldes (1886-1927) fu pubblicato nel 1926. Il romanzo ènarrativamente scritto in prima persona da unimmaginario e giovanissimo Fabio Cáceres in cuil’autore si immedesima ispirandosi idealmente per ilprotagonista ad un umile personaggio realmenteesistito, Segundo Ramírez.14. Pubblicato nel 1908, Pago Chico è un libro di raccontidi Roberto Jorge Payró (1867-1928) attivissimogiornalista e fecondo romanziere che durante laprima guerra mondiale fu anche corrispondentedall’Europa per il quotidiano La Nación.15. Jorge Raú Porcel de Peralta (1936-2006), attore,cantante e comico argentino del cinema e dellatelevisione protagonista o coprotagonista d’unacinquantina di film ed innumerevoli trasmissionitelevisive soprannominato anche “El gordo deAmérica”.16. Sergio Renán (1939), violinista, attore, regista diteatro, di cinema e d’opera argentino assai rinomatointernazionalmente tra l’altro insignito dal Governoitaliano del titolo di “Benemerito dell’arte e dellacultura”.17. Guillermo Francella (1955), noto attore ecommediante argentino.18. Juan Domingo Perón (1895-1974) militare e politicoargentino eletto alla presidenza della repubblica il 24febbraio 1946. Fu presidente dal 1946 al 1955 e dinuovo, successivamente, dal 1973 fino al primoluglio del 1974, giorno della sua morte.Traduzione © e note di Mario De BartolomeisAL CONFINE DI DUE MONDI: PROFILO DI UNMEDICO-SCRITTORE ITALO-UNGHERESE - II.GYÖRGY BODOSI3. Fra due lingue materneUna delle caratteristiche diBodosi è la molteplicità dei generi edegli argomenti. Ne dà una chiaratestomonianza l’ultimo volume dipoesie in cui le liriche sono raccolte per argomenti.Nato e cresciuto in Ungheria, lo scrittore èprofondamente legato a temi e ispirazioni della suaterra. Inoltre si sente influenzato principalmente da dueculture: la romano-greca e quella italiana. Mentre laprima linea è culturale, viene da letture e riletture dellamitologia, la seconda è di carattere autobiografico. Lanostra selezione riguarda quest’ultima. Il poeta è natoda padre ungherese e madre italiana, ma ha semprevissuto in ambiente ungherese, così nel suo caso non sipuò parlare di bilinguità. Come formazione, cultura elingua lui è senza dubbio ungherese. Della sua identitàdi ungaro-italiano scrive così:“Non mi è mai dispiaciuto di esser nato ungherese. Nonsono nemmeno fiero di esserlo. E provo lo stesso anchecon la mia parte italiana. Per me essere l’italiano e nellostesso tempo essere ungherese o viceversa, ha la suaimportanza, il suo significato che non vorrei e nonpotrei ignorare”.E senza dubbio è una situazione non comune, la sua:la lingua della sua madre non è la sua madrelingua. Lamadre - chissà per quale ragione – non ha trasmesso lasua lingua ai figli, almeno ai due minori. Il più grande,nato nel primo anno del matrimonio quando la suamamma non sapeva ancora neanche una parola diungherese, aveva come prima lingua, l’italiano che èriuscito a mantenerlo abbastanza bene, grazie anche aiviaggi, fatti in Italia negli anni Trenta. Ilcomportamento della madre è inspiegabile ancheperché lei stessa ci teneva molto alla sua lingua ed allasua origine, era in contatto con alcuni connazionaliresidenti a Budapest, portava regolarmente i figli allefeste organizzate dall’Ambasciata italiana. Da parte sua,pur vivendo in un ambiente ungherese per cinquantaanni, è riuscita a mantenere il suo italiano. Un italianomiracolosamente perfetto, normativo, senza alcunainflessione dialettale, anche se sicuramentepadroneggiava anche il solandro, un dialetto di tipoveneto-lombardo con qualche traccia del ladino. Questaperfezione forse è dovuta all’atteggiamento puristicodell’educazione linguistica di quei tempi, accentuato,per ovvi motivi, ancora di più nelle province austriachedella Monarchia, da cui proveniva.Più tardi qualche volta ai figli già grandi venne lavoglia di imparare la lingua della madre. Secondo undiploma rilasciato dall’Istituto italiano di Cultura diBudapest, il secondo figlio, Stefano “ha regolarmentefrequentato il corso di lingua e di letteratura italiana perAdulti a Budapest durante l’anno scolastico 1939/40 a.X ed ha superato l’esame finale di primo gradoriportando punti 28/30”.In famiglia i coniugi fra loro normalmente parlavanol’ungherese, passarono alla lingua italiana solo nel casoin cui non volevano che i figli capissero di che cosa158<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


stavano parlando, cioé con funzione di una vera epropria criptolingua. Scrivendo lettere al marito invece,ricorreva alla lingua italiana in cui mescolava qualcheparola ungherese, i cosidetti “realia”. L’ungherese dellamadre era una lingua sgrammaticata ma comprensibile.Il nuovo ambiente linguistico è stato per lei senz’altrotraumatico: aveva sempre paura di non capire o di nonesser capita. E in realtà non capiva tutto, o del tutto.Scherzi, giochi di parole certamente no. Dopoun’esperienza negativa si è rifiutata a rispondere altelefono. Forse proprio per queste esperienze negativenon voleva che i figli avessero gli stessi problemidovendo usare due lingue. (Non è probabile che fosse aconoscenza dei guidizi negativi che negli anni 30 siavevano sullo sviluppo linguistico, psicologico edintelettuale dei bambini bilingui.)Avere una madre che parlava poco la linguadell’ambiente e non si rivolgeva ai bambini nella sualingua, ha influenzato lo sviluppo linguistico dei piccoli.Bodosi ricorda di aver avuto un ritardo nell’impararel’ungherese e che spesso inventava parole inesistenti.Siccome non abbiamo frequentato la scuola materna- in quel tempo non era in uso - le stranezze di lingua,le parole stropicate si sono radicate profondamente inme e influenzarono il mio modo di parlare e ragionare.A scuola mi sono portato questa lingua familiare,diversa da quella degli altri. Ma, in quegli anni aBudapest la cosa non era per niente straordinaria.Dopotutto, ogni bambino aveva la sua lingua, conparticolarità qualche volta più strane della mia. 13In effetti, in quel periodo quando Budapest era unacittà cosmopolita. Tedeschi, slovacchi, ebrei affluirononella capitale ed ogni nazione parlava l’ungherese conle caratteristiche della sua “interlingua.” Inoltre lacapitale è stata metà di migrazione dalla provincia, siarrivava anche da lontano, dalla Transilvania, adesempio (come anche gli antenati paterni del nostroscrittore), portando con sé il proprio dialetto. Lo stranolinguaggio della madre viene evocato con tantasimpatia.Quel linguaggio non era solo sgrammaticato e strano,mal pronunciato, aveva anche un sapore particolare,originale, qualche volta addiritura gradevole. Sopratuttoquando cantava delle canzoni per bambini o canzonipopolari, mi commuovo se mi capita di sentirle dinuovo, quelle canzoni che vorrei sentire in quella formache mi piacciono, cantate nel particolaredialetto/idioletto di mia madre. 14Anche se la lingua italiana doveva essegli da semprefamiliare, György Bodosi - come lui stesso confessasulle pagine dei suoi scritti - non ha mai imparato benela lingua di sua madre neanche da adulto. Si fa capire,ma parla un italiano approssimativo, maccheronico, unasua personalissima lingua franca, fatta di latinismi,germanismi, internazionalismi. Delle difficoltà dellacomunicazione parla fra l’altro nel saggio già ricordato:Parlare nella lingua dei miei parenti, non ho tudiatosui libri, ma durante i nostri incontri, divenuti semprepiù frequenti. Studiare sistematicamente, sgobbare,memorizzare regole e liste di parole, non avevo névoglia, né tempo. Facevo il medico, una professioneimpegnativa, avevo figli da educare e tanta voglia discrivere. Così mi esprimo in un italiano pieno di sbagli,ma ancora al limite della comprensibilità. Una volta,durante un mio soggiorno in Italia quando per giorni hoparlato, ho pensato e ho sognato in italiano, ho scrittoalcune brevi poesie in italiano, come questa:I miei pensieriVanno fuoriA combattereContro l’inguiriaPer la libertàDopoGiacciono nei libriCome caduti.Poesia in lingua mistaVedi: le lampe di zuccheVidáman ragyognakNem kérkednek azzal, hogyInsegnano l’unica viaA tisztánlátást, l’illuminazioneNeanche la vita eternaMégis ragyognakCome le stelleOltre a questo gioco poetico in una poesia ungheresescritta al momento in cui stava andando in pensione,nella penultima strofa in uno stato d’animo moltoagitato gli scatta una frase in italiana:Dentro - dentro di me,Non in ungherese, forse per non far loro capire- Come se le parole non pronunciatePotessero esser capite -Nasce il grido:„Questo è l’ultimo giorno che lavorocome medico, come dottore”Anche se la conoscenza della lingua dimostra lacune,la sua parte italiana è molto presente sia nella suapersonalità che nelle opere (oltre che all’aspetto fisico:non per caso una delle prime domande che il poetaGyula Illyés gli rivolse fu questa ” Ma da dove ha presoqueste fattezze italiane?”)4. Temi italianiPer lui l’Italia significa tante cose: nostalgia verso unaterra che sente sua ma che gli avvenimenti della storianovecentesca gli hanno impedito di visitareregolarmente e conoscere, di vedere con i propri occhi,di farlo veramente suo. Nella sua infanzia l’Italia erarappresentata dalle lettere che arrivavano regolarmentedai parenti, da qualche vecchia foto, da qualche libro inlingua italiana sul tavolo della madre.. L’Italia dunque,prima di tutto come terra di origine, terra mitica.La prima poesia a soggetto italiano è stata scritta perl’ispirazione di una cartolina, una delle tante chearrivavano a casa dai parenti fantasma, mai visti in<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 159


carne ed ossa. Questa poesia è stata tradotta initaliano, è mandata in Italia, è pubblicata sul quotidianolocale Adige e sul giornalino locale della valle. Ilcampanile, accompagnato da queste righe:Che la nostra valle sia bella lo dicono tutti ma che lo siatanto da far innamorare di sé perfino i poeti ungheresi,questo è proprio una novità. Eppure nel volume deiversi Az öröm szavai pubblicato a Budapest nel 1964troviamo una poesia tutta dedicata alla nostra valle. Chila scrisse in realtà non è estraneo alla stessa, perché inrealtà è figlio della signora Adele Voltolini che durantela guerra mondiale aveva sposato un ufficiale, giudicedi Budapest. Uno dei tre figli, il medico sul lago Balaton,è anche poeta. Si chiama Teodoro Jozsa ma i suoi versili pubblica con lo pseudonimo di Bodosi György. Ilvolume mi è stato passato dal dott. Giuseppe Poilisennioriundo di Cusiano e farmacista a Stresa è edito in bellaveste tipografica e porta nella piana ungherese il nomedella nostra valle alpina come il ricordo di una felicità.La poesia (c’è in valle chi ricorda qualche parolaungherese?) dice: „ A rokonság közül legboldogabb aza néhány paraszt, aki a Nap völgyében lakik, távol,Olaszhonban. Beh, sarà meglio darvene la traduzione….Fra la parentela i più felici sono alcuni contadini, cheabitano in Val di Sole, nella lontana Italia.Custodisco una loro cartolina illustrata nel cassetto delmio tavolo. Ci sono i monti rocciosi ricoperti di neve e lecase dormono intorno alla chiesa. Le ho perfinocontate, venti o ventuno, perché due sono come sefossero di uno o due fratelli.Un’altra volta lo chiederò. Già e anche quale è la lorocasa. Nell’angolo sinistro si vede l’acqua di un torrente,che scorre veloce. Certamente, allo scioglersi dellaneve, porterà sciagure. È attraversata da un umileponte di legno. Questo certamente non può sopportareuna grande ondata: l’altro anno l’acqua ha distruttoperfino un ponte di pietra. Un altro simile la comunitànon potrà tanto facilmente costruirlo: infatti lo ha giàvotato due volte, ma anche colà le cose non vannotanto in fretta. Ma cosa parlo io? Non conosco i loroaffari. Soltanto suppongo che nascita dei morti e similicose ci siano anche presso di loro. Già anche nella Valdi sole irrompe il grattacapo. Questa è la verità lo so,ma sono felici - lo so anche questo - questi lontaniparenti.Il primo viaggio in Italia l’ha compiuto nel 1964. Leesperienze di questo viaggio, quando finalmente riescea vedere la terra da cui sua madre proveniva, vengonodocumentate insieme alle riflessioni sulla lingua, sullacultura, sulla storia, sull’identità nello scritto intitolato“Otthonról idegenbe”. E poi nascono delle poesieispirate alla ricerca delle radici. Ne diamo qualcuna inversione italiana.Sono capitato lontanoCon i miei cuginiUomini a me somigliantiparlanti una lingua diversaNelle lontane Alpi, nel paese nataledi mia madreascoltavo la messaAlludendo a me, allo straniero tornatoIl prete deve aver detto qualcosaCome „vedete, tutto torna all’origine”ma io contemplando, attraverso la porta apertalo strano scintillare delle cimeascoltando il rumore del torrentemi sono reso conto:invano studio la vostra linguaCapirci del tutto non sapremo maiparenti vicini, miei cugini,io sono capitato lontanocome il torrente che scorresull’altro lato del monteLa poesia intitolata Due torrenti, si riferisce a quellodella valle, Noce, che gli fa venire in mente un altro chescorre nel paesino d’origine paterna, Homoród, nellaTransilvania, mentre le cime della Presanella ricordanoquelle del monte Hargita.Due torrentiDisturba di nuovo i miei sogni,Noce, torrente alpestre!Riempie i miei giorni l’Homoród.Che non è più vicino.E non è più mite. Anzi, è più selvaggio.Anche se viene da una montagnaAlimenta orsi e lupi.Disturba di nuovo i miei sogniPresanella. Le vostre cimeSono coperte da neve perenne, montagne tirolesi.È per quegli inverni lassù sull’HargitaChe sento dolore alle mia ossa.Quel tempo là,quei ventibussano, battono la mia finestraDue lontane cime, due lontani torrentiCome potrei unificare le vostre ondeCome rotolare i vostri sassi, i vostri acciacchiO ancora, più difficileI vostri desideriche mirano al mareMio padre, mia madre come le mie maniterra szekely, terra tiroleseIo vi metto vicineLe vostri valli, i vostri paesiLe vostre cime alteI vostri popoli dal destino simileavvicina l’amore fraternoSiete in me.Non muovo solo il piedenon vi distendo solo la manoE la memoria cheViene a gallaE così che capitano parole ungheresi,Sulla mia boccache per la forma è più italiana160<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Due paesaggi antichiSi trovano così più viciniCercano desideri e immagini comuni.In me rotolano sassi insiemeL’Homoród ed il NoceDesiderioTerra dei Szekely, terra tirolese, vi piegocome la palma della mano. Gesto anticoMia madre me l’aveva tramandatoApre la mia anima come fece lei con il LibroLeggo quelli di lì, quelli dell’oltreQuelli di qui, quelli di “chissádove”.Successivamente i motivi della storia familiare vengonorielaborati mescolati però con elementi che sono fruttodella fantasia. Fra le poesie che sono nate sottol’influenza dell’incontro con la terra della sua madre siricordano: Olasz tér (Piazza italiana), Madonnaemiliana, Szapuló nők (Donne facenti il bucato), Emiliobácsi (Zio Emilio), Permesso, Signore, Isola madre,Messze szakadtam, Tebenned, Bátran, Két patak,Apámra emlékszik, Búcsú Itáliától.Piangeva a diritto, sapendo che maici sarebbe stato un altro ritorno.Solo le montagne sveglie,La stavano a guardare, impietose,La carrozza attraversò il primo pontePoi subito il seguente.Va’ pure avanti!Ancora cento pontiE forse arrivi.Al posto di lei da terra stranieraFece venire i tre figli qualche volta.Ed io ora sto guardandoCon i suoi occhi pieni di lacrimeCon il suo cuore laceratoLa casa in cui aveva dimorato.“Questo era il suo letto”.“È lì che faceva il bucato.”“In questo armadio teneva gli abiti.”“Queste sono le sue stoviglie di rame.”“Questo è il posto dove le piacevasedersi in chiesa.”Ricorda mio padreRicorda mio padreNella Val di SoleUn vecchio contadinoTogliendosi il capello.“È stata una bava persona,Che riposi in pace!”Eppure lui era passatoDa queste parti mezzo secolo faNella grande guerraCome soldato austriaco.“Ah, sì”, - disse ridendo la sera mia zia, ricordando“quando si innamorò di tua madrece lo facevamo raccontareper diffondere poi la voce a tuttidove nascondere ai soldati ladronile mucche, il grano e tutto il resto.”Sarà stato anche un eroe,Lassù quando fu mandato a lottareE il nemico affrontareNelle trincee del Passo Tonale,Nelle fosse del Passo del Paradiso.Ma il gesto più eroicoPer cui viene ricordatoAnche mezzo secolo dopoLo compì lì, fra le braccia di mia madre.In cambio dei baci della ragazza italianaSvelare il segreto di un attentatonei confronti di un paesino indifeso.Partendo dall’ ItaliaQuando c’era andata nel suo paesino,per l’ultima voltaPoi riparti perl’Ungheria la seraPer non far veder le lacrime.I parenti mi hanno accompagnatoAlla prima corriera del mattino.Finché non li persi di vistaFacevo cenni di saluto.Poi, come se fossi mia madre,In silenzio cominciai a lacrimare.Durante le sue gite nella Val di Sole visita le chiese. Inuna di queste trova un affresco che desta la suaattenzione. Si tratta di un’Ultima cena con ciliegie. Maperché proprio le ciliegie? Si domanda e comincia lericerche “scientifiche”: consulta specialisti, storici d’arte,teologi, ma nessuno riesce a fornire una spiegazione. Aquesto punto, fallita la possibilità scientifica, cerca didarne una poetica. Da queste riflessioni nasce unbell’articolo – in cui si mescolano documentazione efinzione – che presenta al pubblico ungherese questasingolare opera. Nell’articolo parla di un altro famosoaffresco del Trentino, di una Danza Macabra, che eraun motivo molto popolare nella cultura mediovale,sopratutto nell’Europa centrale. Bodosi che è semprestato interessato alla manifestazione popolare dellafede, agli apocrifi ammira l’affresco e ne traduce i versiin ungherese.Oltre a questo filone sono presenti le influenze culturalivenute dalla cultura italiana. Prima di tutto attraverso leletture dei classici. Dante è il poeta che ammiraprofondamente. A lui dedica una riflessione, intitolataSulla via dantesca.Poesie come Annunziata, Primavera, Vénusz születése,Madonna Eterna, Az utolsó pietà sono omaggi ai grandiartisti italiani.Bodosi, poco presente nella vita culturale del suo stessoPaese, non ha nessun rapporto letterario con la vitaculturale italiana. In Italia si è presentato una solovolta: nell’ambito degli scambi culturali fra Garda eBalaton. Ha accettato volentieri quest’occassione ancheper vedere i luoghi di Catullo, suo poeta preferito a cuiaveva dedicato un’opera, Il dialogo di Sirmione<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 161


presentato anche alla radio. Durante una seratadedicata alla poesia dei due rispettivi laghi Due laghi inpoesia tenutasi nel 1998 a San Felice del Beneco conun altro poeta del Balaton ha avuto modo di leggerealcune sue poesie. E si incontra con alcuni poeti locali.Ne nasce uno saggio, una specie di sperimentazione,un gioco (al Nostro piace molto giocare) che gli dàl’occassione di riflettere sul rapporto di traduzione,versione, elaborazione, ispirazione, creazione).Da casa in terra stranieraDopo una sosta più lunga del solito il treno lasciò lastazione di frontiera.Era sempre la stessa carrozza che correva sui binari,ormai in terra straniera. Quanto al paesaggio, ancheesso era, pressapoco lo stesso. Col passare del tempoperò, i cambiamenti si facevano sempre più rivelanti,marcati, profondi fino a diventare tali da non averenessuna somiglianza con quel paesaggio di prima, a noifamiliare.Questa sensazione, anche se non mi spaventò certo,mi fece venire i brividi. Di solito uno viaggia all’esteroper scoprire cose, oggetti, persone, fenomeni diversi edopo averli conosciuti, vedrà da un’ottica diversa ancheil suo mondo, la sua casa.Alcuni miei amici, gran viaggiatori, mi avevanoavvisato che sarebbe successo così. È inevitabile, comeè inevitabile che uno che arriva in cima ad unamontagna alta si senta girare la testa e che abbiadifficoltà a respirare.Arrivammo a Trento, mio fratello ed io, all’alba di unagiornata di ottobre, dopo un viaggio di quasi 24 ore.Non venne a prenderci nessuno. Come ci venne dettodopo, il marito di nostra zia, la quale ci aveva invitati, enon faceva che andare e venire fra casa e stazione, siera stancato di questi giri, non ce la faceva più edaveva saltato proprio il treno con cui alla finearrivammo.Ma noi non aspettavamo neanche che venissequalcuno a prenderci. Poi credevamo che gli ziiistessero nella loro seconda casa a Monclassico, distante40 chilometri da Trento. Non avendo ancora soldiitaliani, lasciammo i bagagli sulla panchina della sala diattesa. Uno di noi rimase a fare da guardia, l’altrointanto poteva andare a prendere una boccata d’aria,italiana, nella città che a quell’ora stava ancoradormendo.Alla stazione non ci si sente ancora stranieri, piùmenotutti questi edifici si somigliano fra di loro, anche isimboli, le indicazioni sono internazionali, così uno se lacava anche senza conoscere la lingua del paese.Cominci a sentirti straniero quando lasci la stazione,passi per le vie e per le piazze. Devi presto sottoportiad uno testing della conoscenza della lingua. Anch’ioaffrontai quasi subito la prova, rivolgendomi al primopassante con il mio italiano che definiamo „di livellomediocre”. Per la mia grande sorpresa, il passante nonsolo comprese quello che volevo dire, ma anch’io riusciia capire la sua risposta. Era per me come saltare unalto muro o come costruire un ponte sopra in abisso.Ce l’ho fatta, e ne sono uscito indenne. Che gioia, chesoddisfazione!In Europa i popoli si differenziano tra di loro soprattuttoper la loro parlata. Evidentemente c’à anche dell’altro:tradizioni, comportamenti, economia, ecc. I popolipossono esser diversi a secondo il colore degli occhi edei capelli, per la forma del cranio, ma le vere barrieresono quelle linguistiche. E gli strumenti con cuiabbattere tali muri sono la musica, la danza, le artivisive. Anche oggi, all’epoca della civiltà visiva, ilprincipale portatore della cultura rimane sempre laparola, il testo scritto.Nei pressi della stazione di Trento si estende unparco, né troppo grande, né troppo piccolo. In mezzo aquesto parco sta il monumento a Dante che guardasevero verso la Paganella come se dovesse passareadesso dall’Inferno al Pugatorio. La sua severità vieneaccentuata dal vestito che portava. Per giunta, in unagabbia vicina scoprii delle acquile. Saranno anime inpenitenza?Più in lá, c’è un laghetto artificiale con cigni – unospettacolo più allegro. Più in là, sull’erba passeggianopavoni che ogni tanto capitano sulla strada facendorallentare o fermare gli autisti, che con tutta la frettache hanno si fermano. Nessuno dice parolacce – allorasì, che sono veramente all’estero, non sto sognando.Trovo un bar che è già – o ancora – aperto. Ci entro,non per prendere qualcosa, ma per cambiare il bigliettoda 5 dollari, l’unico biglietto che l’abbia. Adesso che laprova della lingua l’avevo passata e possiedo anche lamoneta del posto, comincio a sentirmi a casa.Torno alla stazione per raccontare tutto a mio fratello efarmi fare i complimenti per la mia bravura. Ormaitrovo del tutto naturale che sono in Italia, la gentepassando non mi guarda neanche, come faccio io conloro.I popoli abitanti nello stesso territorio nellamaggioranza dei casi formano anche comunitàlinguistiche (più raramente anche quelle razziali). InEuropa c’è una tale mescolanza fra i popoli, che non ciesistono nazioni omogennee. Così non esiste nemmenouna razza ungherese. Quelli che abitano nella parteoccidentali del paese somigliano di più al tipomitteleuropeo o mediterraneo, quelli che vivono nellaparte orientale sono diversi ma difficilmenteclassifacabili come tipi. Se non sbaglio, le stessedifferenze si incontrano anche qui, in Itaia. Al Nordprevale il tipo mediterraneo o mitteleuropeo, mentrenel Sud in Sicilia si trova un altro tipo, più vicinoall’arabo o all’africano. Ma anche con tutte questedifferenze, l’unità della nazione non viene minacciata.Un’unità che è accentuata anche dalla comunità dellalingua, anche se fra i dialetti possono esserci delledifferenze marcate.Prendemmo il treno locale per Monclassico. Gli zii nonli trovammo siccome erano rimasti a Trento adaspettarci. La prima famiglia italiana che abbiamoconosciuto era la famiglia di Cesira, lontani parenti dellozio. Erano tutte donne. Poi venni a sapere che gliuomini esistevono sono nelle foto appese alle pareti,tutti morti durante la prima o la seconda guerra, o neicombattimenti o durante le persecuzioni. Ci venneroincontro due signore anziane, la più vecchia disse di162<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


aver conosciuto nostra madre. Poi ci presentò la figlia ela nipote, una ragazzina di 12 anni, rotondetta, castana.Speriamo che almeno lei abbia una vita più felice, che ilsuo futuro fidanzato non parta così presto da questomondo – pensai fra me e me.Poi andammo a cercare la madre, che si dava da farenella bottega vicina, un negozio ben atrezzato. Dentrotrovammo la vedova, molto carina che stavagrattuggiando del formaggio. C’era un bel profumo diformaggio dentro. La signora con una pioggia di paroleinformò la clientela su di noi, chi siamo, da doveveniamo. Il picolo negozio aveva le caratteristicheinternazionali dei negozi di questo tipo.Nella seconda metà del nostro secolo si fanno moltisforzi per creare una communità più grande possibile inEuropa. Simile a quello che esisteva già nel Medioevo.Si vorrebbe creare, una comunità di tipo culturale, madi un’unità linguistica non se ne parla neanche.L’esperanto non può diventare una lingua franca... Lamaggior parte dei paesi – purtroppo non tutti ancora –ha già abbandonatol’idea di omogenizzare le lingue e ipopoli allogotti che vivono entro i confini. È molto piùfacile conquistare terre, paesi, il mondo che sopprimerecon leggi, la lingua di un altro popolo. Il parlare è unacosa intellettuale e come tale può esser conquistato conl’intelletto e non con la forza.Esiste una leggenda ungherese che parla dellaconquista della patria, che mi ha particolarmentecolpito. Secondo questa leggenda i magiari sarebberostati un gruppo di uomini vedovi soli. Contrariamente auna leggenda della latinità al ratto delle sabine. Quantodeve aver sofferto questo piccolo gruppo di uomini,venuto da lontano, come poteva desiderare una casa,una famiglia, una patria, donne e figli. Forse fu proprioquesto a dare loro forza, per combattere, per vincerealtri popoli, che dopo la vittoria ha assimilato formandouna nazione nuova. E poi chissà perché, la lingua diquesta nazione divenne e restava proprio l’ungherese?Incontramo gli zii solo due giorni dopo, quando siamotornati a Trento. Abbiamo passato alcuni giorni conloro. Erano talmente anziani che da decenni eranopensionati. Ma erano ancora in gamba. Il loro problemaera, come ci sembrava, quello di come passare iltempo. Avevano problemi di udito, ed erano loro acapire il meno il nostro italiano. Lo zio poi, era un po’impaziente verso la nostra varietà di italiano, ecoreggeva sempre i nostri accenti. All’inizio questa suaabitudine mi dava fastidio, ma poi ci sono abituato eubbediente ripetevo dopo di lui le parole facendo piùattenzione alla pronuncia.Il vecchio che come dicevo non sapeva come passareil tempo, aveva un sacco di manie. Una di questo eraquello di tagliare a pezzi i giornali. Era abbonato a duequotidiani, ad uno locale, e al Corriere della Sera. Lamattina presi in mano i giornali, prendeva un paio diforbici e secondo chissà quale sistema cominciò aritagliarle. Le notizie non le ha neanche lette. Poipassava ore intere a sistemare tutto. Se non ci fossimostati noi, avrebbe certamente passato ancora più tempocon questa attività. Lo zio di professione era giudice.Sicuramente era molto temuto. Anche questo era unlavoro che si è inventato. Io che sono medico condottoconosco tanta gente, fra cui anche molti anziani. Manon ho mai visto uno con un passatempo così inutile.La storia ci insegna che a volte i popoli da unagenerazione all’altra rinunciano alla loro lingua. Primadell’arrivo degli ungheresi nel Bacino dei Carpazi vierano vissuti altri popoli, altre tribù che probabilmenteerano comunità indebolite discendenti degli Unni, Latini,Slavi, ecc. Il punto di forza del nuovo conquistatore erala sua capacità di organizzare lo stato, anche se eranomeno numerosi della popolazione che hanno trovato alloro arrivo. Anche la lingua è mescolata. L’unghereseprese molto dal lessico delle altre lingue senza perderele caratteristiche più importanti, la struttura, anzi, eral’ungherese ad esercitare una maggiore l’influenza sullealtre.Mentre lo zio sistemava gli articoli ritagliati ho gettatoun’occhiata alle notizie. Si parlava soprattutto dellemanifestazioni della protesta della minoranza tedesca.Era una cosa che faceva paura. Anche se gli estremistinon erano molti. Italiani e tedeschi intantocontinuavano a convivere in pace come hanno semprefatto per secoli, ora cittadini austriaci ora italiani. I duepopoli conservavano la propria identità linguistica. Forseperché non potevano scambiarsi le parole, essendo piùmeno allo stesso livello della civiltà.Nel caso degli ungheresi era diverso. Un popolo diseminomadi, allevatori, guerrieri incontra agricoltori,commercianti più pacifici. Questa situazione era moltofavorevole allo scambio. Non solo a quello degli oggettima anche a quello delle parole. La lingua capace diintegrare, assimilare le parole, ha un vantaggio.L’ungherese era in grado di assimilare gli influssi –ci eraabituato durante la lunga migrazione – mantenendonello stesso tempo la propria autonomia.Vicino alla casa di Cesira scorre la Noce, non puòesser ignorata, perché il mormorio si sente dappertuttonella valle come una bella melodia. Usciti dalla bottegasiamo andati di corsa a vederlo da vicino. Èfiancheggiato da scogli. Come è freddo. Già, viene daighiacciai. Ma noi ci siamo tuffati dentro un secondo lostesso. Poi seduti su una roccia ad asciugarci e araccogliere ciotoli. Anche la mano ha bisogno diraccogliere qualcosa, non solo l’intelletto. Conservoanche oggi quei ciotoli. Forse non sono neanche tantospeciali, simili se ne trovano anche da noi. Ma di queiregali che abbiamo comprato durante quel viaggio nonc’é più nemmeno la traccia. I sassi invece ci sonoancora. E sopravivranno a noi. Sono eterni.Prima della conquista della patria l’ungherese era unalingua orale e tale rimase anche per molto tempo.Anche per molti secoli gran parte della popolazione eraanalfabeta. La lingua doveva esser tramandata esviluppata senza la scrittura. I primi documenti sonoprivi di valore letterario. Ma la lingua ungherese dovevaavere opere letterarie, anche se non erano scritte.Fiabe, leggende, canzoni, ritmi, versi sono statitramandati a noi senza esser scritti. Il criterio dellaletterarietà non fu il fatto di esser scritto o no, ma unaltro. Cosa significava il testo per la comunità.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 163


Dopo il bagno rifrescante nel torrente siamo tornatida Cesira. Strada facendo dal balcone di una bella villaci ha salutato una signora non più giovanissima. Mainvece di sentire le melodiose parole italiane, la signorasi è sforzata di dire qualcosa in un pessimo ungherese.Non aspettavamo certo questa accoglienza. La signoraviveva un tempo in un ambiente ungherese e nellasua memoria conservava qualche brandello diungherese. Non molto, per la nostra fortuna, cosìcontinuava in italiano. Passando alla lingua italianadivenne più gentile. Non era nostra parente ma erainformata del nostro arrivo e si sentiva in dovere disalutarci. Raccontò di aver vissuto nei pressi diDebrecen e che i suoi ricordi più cari erano quelli legatiai musicisti-zingari. Ricordò le parole di una canzonepopolareggiante di cattivo gusto: ”C’è una sola ragazzanel mondo”.Nella zona in cui io vivo di questa cultura popolare dalfolclore è rimasto ben poco. Nessuno porta più icostumi nazionali. Tutto questo era scomparso 200 annifa. Di tratto caratteristico è rimasto una sola cosa: illoro modo di parlare che invidio moltissimo. Sareidisposto a dare tutto per poterli imitare, per poterparlare l’ungherese così come lo parlano loro.La storia dei popoli in Europa comincia di solito con laconquista della loro attuale patria. Quello che èanteriore a quel momento si perde nella notte deitempi, è solo leggenda, supposizioni, ipotesi. Che gliungheresi discendessero da Attila, è una cosa ingenuacome quella degli ebrei su Noe. Non si saprà mai comeerano successe le cose in realtá.Ho messo piede su terra italiana per la prima voltagià quarantenne e sono stato commosso. Non soloperché sono arrivato in un paese che è la culla dellaciviltà latina e di quella rinascimentale, ma anche esoprattutto perché mia madre era nata, nel 1895 inquesto paese, più precisamente a Modena, famosa cittàdella famiglia d’Este. Era sempre vissuta in Italia anchese trascorreva molto tempo in un piccolo paese nellaVal di Sole del Trentino, che fino alla fine della primaguerra mondiale fu amministrata da austriaci. L’istinto,il sangue italiano che corre nelle mie vene mi ha fattosempre desiderare di vedere questa terra.Non sono mai stato scontento di esser natoungherese. Non sono nemmeno fiero di esserlo. E cosìcon la mia parte italiana. Per me essere l’italiano e nellostesso tempo essere ungherese o vicecversa, ha la suaimportanza che non vorrei e non potrei ignorare.Non mi era mai venuto in mente accettando il gentileinvito degli zii di restare in Italia definitivamente. Volevocolmare una lacuna. Sentivo come un debito: devoconoscere i posti in cui vissero i miei antenati. E devoconoscere un po’ la loro lingua.Da mia madre naturalmente ho imparato qualcheparola, ma chissà perché non insisteva che imparassimola sua lingua. Lei l'ungherese lo parlava malissimo conun accento molto speciale. La “h” mai è riuscita apronunciarla. Quel suo strano modo di parlare aveva ilsuo fascino e forse era per questo che i miei insegnantivolevano vederla così spesso e non solo per la miapessima condotta come narra la leggenda familiare.Una volta le avevo chiesto se pensasse in italiano o inungherese. Rispose che naturalmente pensava inungherese. In italiano solo quando sognava o era indormiveglia. Prima del mio viaggio in Italia abbiamofatto alcune conversazioni in italiano, io e lei. Hoprovato di pensare in italiano ma ho scoperto che eratropo difficile riprogrammare il nostro cervello.Non solo italiani come mia madre, ma tanti popoliaderivano agli ungheresi durante i secoli, soprattuttocome coloni. La lingua dell’amministrazione, delle leggi,era il latino, sucessivamente il tedesco. Maciononostante fu la lingua ungherese ad unificare ipopoli che arrivarono. La lingua e la cutura unghereseavevano un fascino inspiegabile, ci tengono anche quelliche non la possiedono completamente.Ossana si trova nella Val di Sole, ai piedi deighiaccai, all’altezza di 1000 metri. Era qui che i mieigenitori si incontrarono durante la prima guerramondiale. E mentre i soldati si ammazzarono tra di loro,i miei genitori si innamorarono e si sposarononell’antica chiesa di stile romanico del paesino. Dal loromatrimonio sono nati tre maschi, l’ultimo dei quali sonoio. Sto guardando con ammirazione il paesaggio, ilpaesino. Come sono gentili gli abitanti. Mi sono sentitosubito come se fossi arrivato a casa, come se i mieigenitori si fossero amati solo per farmi venire qua.Lassù, ad Ossana in questa giornata di settembreabbiamo trovato solo le famiglie dei nostri cugini. Loro,i cugini stavano lavorando giù, in Emilia. Le loro donneinvece con i bambini si godevano ancora le vacanze. Ilnostro arrivo era un avvenimento aspettato anche daloro. Ci hanno trattato da fratelli. Ci hanno fatto capireche abbiamo il diritto di stare qui. Ci hanno messo adisposizione la stanza più bella, quella con balcone convista sul campanile e sul Cevedale. Era magnifico.Se Paolo non portasse gli occhiali – dicevano –sareste come due gocce d’acqua. Tu sembri lui. O luisembra me – replicavo – facendoli ridere. Lacomunicazione fra noi non era semplice. Per quanto sisforzassero non riuscivano sempre a parlare lentamenteseleziando le parole. L’unica ad adattarsi ai nostri livelliera la cognata di mia madre, la zia Orsolina. Forsericordava i tempi lontani quand c’era mio padre con luiparlava in questo modo. I bambini li abbiamo capitimolto meglio, sarà per il lessico e le struttureelementari che usano.La lingua italiana, la sua storia, il processo della suaformazione non somiglia al modello ungherese. Dellaloro madrelingua, abbiamo ampia ducumentazione. Poidopo vennero i Barbari con i conseguenti cambiamentidi lingue. Da questa base nacquero popoli e linguediverse. Ma già nel Trecento con le Tre Corone nasce lalingua letteraria, che precede di secolo la nascita dellostato. Noi ai tempi di Dante non abbiamo ancoranessun documento di valore letterario nella nostralingua.Conversare con i parenti, nonostante gli insucessi, miè piaciuto molto. Si fanno grandi risate. Se non ci siriesce a spiegarsi, si cambia argomento. E bello164<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


apprendere cose di cui mia madre ha parlatopochissimo. Della sua vita di qui.La casa costruita nella prima metà del secolo scorso,fu ristrutturata più volte conservando le suecaratteristiche originali. Era una casa a tre piani, contante stanze piene di segreti per noi. La prima note lapassammo al pianterreno, nella stanza in cui era mortaanche nostra nonna. In quella camera tutto era di legnoSopra, al primo piano c’era la stanza in cui eraaccantonato mio padre. Qui ci trovava quella vecchiastufa che conoscevo dalle foto. Mio padre era unappassionato di fotografie. Aveva una macchina Kodake negative erano su lastre di vetro che conservava concura e che noi bambini guardavamo sempre concuriosità frugando fra le sue cose. Allo stesso pianoc’era anche la stanza di mia madre, una stanzamodesta, come lo era anche mia madre, una stanza chele si addiceva. In tutte le stanze arriva il mormorio deltorrente, una musica che accompagnava la storia deimiei.Qualcuno sostiene – il che sembra ridicolo – che ilpopolo ungherese arrivasse nel bacino dei Carpazi conl’intento di fondare uno stato. Ma non ne avevanoneanche il concetto. Volevano solo fermarsi, volevanoun posto dove riposare, vivere in pace e lavorare. L’ideadi fondare uno stato venne molto dopo.Rimane un mistero come è riuscito mio padreconquistare mia madre, la ragazza più bella del paese(pur essendo il paese molto piccolo). Mio padresenz’altro giudicando dalle foto – era un bell’uomo,alto, biondo –, di dieci anni più vecchio di mia madreche in quel tempo aveva 20-21 anni. Mio padre avevaun carattere aperto, estroverso, allegro, uno a cuipiaceva divertirsi. Essendo un uomo maturo eraesperto, conosceva le donne anche perché aveva duesorelle. Conoscendo mia madre, com’era timida esevera, non deve esser stato un compito facile. Miopadre era, poi, per giunta un nemico. E come se nonbastesse i fratelli di mia madre erano soldatinell’esercito italiano e avrebbero potuto anchefronteggiarsi come nemici, incontrarsi nelle trincee. Mac’era anche un’altra cosa che ho saputo solo adesso:mia madre era stata anche fidanzata. Suo fidanzato, ungiovane, suo compaesano era stato internato dagliaustriaci. Che anche mio padre avesse avuto a casa unafidanzata che lo aspettava, sapevo già anche prima.Ostacoli da superare ce n’erano dunque, per loro due.Le Alpi italiane sono più miti di quelle austriache esvizzere. Gli italiani che sono in molti, hannodensamente popolato le valli, sfruttando bene gli spazi.La gente vive della montagna utilizzando quello chefornisce l’ambiente, senza distruggerlo. E tutti questipaesi hanno delle buone strade, elettricità, il telefono.Ad Ossana c’é una scuola che frequentò anche miamadre. In questa scuola aveva imparato anche le basidella letteratuta, che ha un ruolo primario nell’identitàdi un popolo.Noi ungheresi abbiamo Kossuth, Petőfi, loro Garibaldi,Dante. Non esiste solo un’identità letteraria al livellonazionale, c’è ne anche un’altra al livello europeo,mondiale ma questo si forma solo in quelli che leggonomolto e poi può essere molto individuale. Iopersonalmente preferisco Catullo, Oratio, Dostoevskij eTolstoj, ma ammetto che siano gusti personali.Mi piace il culto che gli italani hanno per Dante(anche se ammetto che una lettura molto difficile). Hovisto monumenti a Dante. Ho visto non solo diversimunimenti dedicati a lui, ma anche statuette sullascrivania di alcuni parenti. Per me Dante è l’autore dellaDivina Commedia, per loro anche il padre della linguaitaliana.Le noste vacanze le abbiamo trascorso facendo gitenei dintorni. Abbiami visto laghi, parchi, boschi,cascate, accompagnato da Luca, il bambino più piccolo.Tornavamo verso sera, si mangiava e conversava fino atardi. Abbiamo raccontato di noi, della nostra famiglia,del popolo, del paese. Volevano sentire paroleungheresi. Abbiamo anche cantato. Io che sono stonatofacevo finta di cantare, ma mio fratello aveva una bellavoce. Cantavamo delle canzoni popolari, il nostro innonazionale che hanno ricambiato cantando a loro volta illoro.Anche noi, ungheresi abbiami un poeta che è moltostimato, Petőfi. I nostri parenti sapevano che era statoil poeta della libertà e che morì in età giovane. Ma nonconoscono nemmeno un verso scritto da lui, nonpossono saperlo. Come il fatto che non era neancheungherese ungherese. Nato da padre di origine serba eda madre slovacca divenne il più grande poetaungherese, un patriota ungherese, Scrisse fra l’altro “Senon fossi nato l’ungherese lo diventerei perché è ilpopolo più abbandonato più infelice del mondo”. Luianche se certo non fondatore della lingua letteraria, nepotrebbe considerarsi il rinnovatore.A 15 chilometri di Ossana ad un’altezza di quasi 2000metri si trova il Passo del Tonale, e ancora più in su c’èil Passo Paradiso. Durante la Gande Guerra il confinepassava lì. C’erano state lotte, lotte in trinceasoprattutto. Si racconta che anche mio parde era statolassù per un anno circa. Non si sa come riuscì adallontanarsi da quel terribile luogo. Resta il fatto cheera stato trasferito, al suo reggimento giù in Ossana eda allora in poi faceva lo scritturale. Fu così che capitònella casa di Voltolini dove conobbe mia madre.Incontrai in paese un vecchio che ricordava miopadre. Si tolse il capello mentre diceva: “era una bravapersona”. Mio padre lavorando con i capi aveva delleinformazioni precise su dove avessero intenzione direquisire frummento, formaggio, bestiame. Mia madreavvertì mia madre che potessero nascondere tutto intempo perché la popolazione soffriva la fame. Saràstato per questo gesto che mio padre è ricordato come“una brava persona”?Non era certo una cosa facile, il rischio era grande.Se si fosse smascherato poteva esser fucilato cometraditore e poteva toccare la stessa sorte anche a miamadre. Mia madre nei panni di Mata Hari. … Mi viene lapelle d’oca a pensarci. Ci volle ben poco che nonpotessero sposarsi e in quel caso non fossi nato –pensavo con un pizzico di egoismo.Ma perché cercare i segreti delle cose passate, degliavvenimenti di un tempo che fu? Sono trascorsi tantianni, mezzo secolo. Smisi di esplorare, indagare ilpassato. Piuttosto guardare la stupenda valle sopra la<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 165


quale c’è sempre il sole. Anche il nome del paese èbellissimo, suona come un sospiro, un osanna, un gridodi felicità. Ed il paese è abitato da gente felice, e – perl’interesse manifestatogli dai turisti – sempre piùbenestante. Lascai perdere la riflessione sulla storia deimiei. Ma di notte quando ero svegliato dal mormorio delNoce, i miei pensieri tornavano a loro.Andammo più volte a vedere il torrente. L’acqua vienutilizzata anche per produrre energia elettrica. Sotto ilpaese c’è un’altro torrente che sfocia in questo piùgrande. Prima della partenza venni a sapere che inrealtà è questo che si chiama Noce, l’altro è ilVermigliano, almeno ufficialmente.Il popolo, anche mia madre, però entrambi lichiamavano Noce. Non so – può darsi che l’abbiamostudiato a scuola – quale sia la regola in questi casi sedue torrenti si uniscono, quale denominazione rimane.Deve esserci una regola, come ce ne anche nel caso incui due persone si uniscono.Mio padre aveva portato, strappato mia madre daqui, da questo paese, facendola diventare ungherese.Noi, suoi figli nonostante i nostri tratti latini del viso edel carattere siamo senza dubbio ungheresi. Èungherese la nostra lingua, ungheresi sono leabitudini, le conoscenze, i desideri e le possibilità. Inostri discendenti per due-tre generazioni conservanoancora il ricordo delle radici italiane, ma poi si perderàanche questo.Le comunità in Europa diventano sempre più similiper quello che riguarda l’economia. Ma la lingua e lacultura che essa porta diventa autonoma. La lingua èun bene prezioso che non dobbiano nascondere.Bisogna esserne fieri, usarla bene con il suo aiutocreare altri valori con cui contribuire alla pluralitàculturale europea.È lungi da me mistificare la lingua. Potevamo ancherinunciarci, adottare una lingua simile al latino,germanico, slavo. Ma non è così che è successo. Èsuccesso che nonostante la nostra storia piena disofferenze, nonostante la perdita è rimasta ungherese.Con la sua diversità con il suo sapore particolare vuolee sa dare il suo contributo alla cultura europea emondiale. Conservandola ed arricchendola di valorinuovi.(1964-65)AppendiceLa storia familiare (con alcune informazioni non deltutto esatte)Ossana, storia di una comunitàSe i diari di Don Marini e di Don Discacciati mettendosiin risalto (e non potrebbe essere diversamente) i moltiproblemi e le sofferenze procurate alla popolazionedalla guerra, combattuta sulla porta di casa, c’è almenoun episodio riferibile alla comunità di Ossana che parlain senso inverso, e cioé testimonia come la guerra siastata l’occassione ed il contesto che ha prodotto unincontro d’amore ed ha dato l’origine ad una storia divita e di speranza.Le cose, in effetti, andarono così: a Fucine ed Ossana siincrociarono per sempre a causa della guerra leesistenze di una ragazza di Ossana e di un soldatoungherese.Lei era Adele Voltolini, figlia di Domenico (nato adOssana, il 12 ottobre 1847, da Francesco e DomenicaMariotti, ) e di Placchi Serafina (lei pure nata adOssana, il 10 marzo 1863 da Giovanni e Luigi Bezzi). Iconiugi Voltolini, definiti nell’atto di battesimo dellafiglia “negozianti”, si erano sposati nella pieve diOssana il 24 giugno 1884, ma poi avevano dovutoemigrare, probabilmente per motivi di lavoro e si eranotrasferiti stabilmente nella città italiana di Modena, doveavevano operato indefessamente creandosi qualchebene di riserva, che aveva loro permesso di non dovervendere la casa avita posta in Ossana. Proprio qui, aModena era venuta alla luce il 14 gennaio 1895 la lorofigliola, cui era stato dato il nome di Adele Elena, nelmentre veniva battezzata il giorno successivo nellaparocchia di Santa Maria Pomposa dal prevosto don G.Vandelli.Ritrovatasi nel paese natale all’inizio della guerra, forseper motivi di lavoro, o forse semplicemente perchésorpresa dagli eventi in un momento di gradito, liberosoggiorno nella casa di origine della sua famiglia, Adeleche all’epoca aveva 19 anni, non aveva potuto o nonaveva voluto ritornare a Modena, forse senzasospettare che quella brutta guerra non si sarebbefermata in Francia o in Russia o in Serbia, ma avrebbeben presto interressato le cime delle montagne chesovrastano la conca di Ossana.L’incontro della ragazza italiana e del soldato ungherese(Fonte: «In risposta ad Orazio; Cronaca illustrata sulla straordinariavita di PV, fabbricante di ceramiche» di György Bodosi)Lui si chiamava Teodoro (Tivadar) Józsa ed era nato aBudapest il 27 ottobre del 1885, da Michele ( Mihály)impiegato ministeriale e da Dorottya Neuwerth. Sitrovava ad Ossana in quanto adetto al comando diartiglieria del secondo Rayon del Südtirol. Alloradistanza a Fucine, con il grado di tenente. Avevacombattuto con decisione e con gran senso dell’onore,se, con sovrana determinazione, l’imperatore Carlo gliaveva conferito il 13 giugno 1918, probabilmente almomento del suo congedo, in riconoscimento dei suoiservigi “das silberne Verdienstkreuz mit der KroneamBande der Taőferkeistmedaille.”Se Adele, all’inizio della guerra mondiale aveva appena19 anni, il tenente magiaro si avvicinava invece allasoglia della trentina e si trovava a pensare comeformarsi una sua famiglia. I due ebbero modo diconoscersi nonostante la guerra, e forse proprio acausa di questa. Probabilmente si piacquero subito e166<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


adagio adagio maturò in loro la volontà di unire lerispettive esistenze per sempre.Pensare allo svolgimento di un idillio a ridosso delfronte e sotto l’incalzare delle vicende della guerra èdifficile, ma nel nostro caso non fu impossibile: nelmese di settembre 1918, poche decine di giorni primadella resa austroungarica alle forze del regno di Italia, ildecano di Ossana, don Giacomo Marini compilò idocumenti di rito che, attraverso il Consolato GeneraleSvizzero in Budapest, furono registrati dalla burocraziacivile e religiosa ungherese, per permettere ai duefidanzati di convolare a giuste nozze.E nozze vere furono, anche se sotto l’incalzare deglieventi che apertemente dichiaravano la morte di unintero sistema politico militare: infatti, dopo lepubblicazioni di rito eseguite nella chiesa di Ossana il 20ottobre 1918 Adele, ragazza solandra ventitreeenne,possidente, di fede cattolica e di nazionalità italiana,nata a Modena, residente e domiciliata ad Ossana eTeodoro, ora non più tenente, ma Regio impiegatogiudiziale, di trentatre anni, di religione cattolica e dinazionalità ungherese, nato a Budapest e residente aKomárom, si sposarono il 24 ottobre 1918 nella chiesadi Ossana officiata da un sacerdote cattolico, di originesolandra, di nazionalità italiana, ancora suddito perpochi giorni dell’impero austro-ungarico, di un imperoquindi destinato a scomporsi e a cessarre di viverepochi giorni dopo la cerimonia.La nuova famiglia si eclissò nel vortice degliavvenimenti che seguirono il grande conflitto. Dopoaver soggiornato a Törökbecse, dove il 4 febbraionacque il primogenito, Mihály, la famiglia Józsa-Voltolinisi trasferì definitivamente a Budapest e qui, insuccessione, videro la luce Isrván (14 dicembre 1922 eTivadar (24 marzo 1925). Né Adele né Teodorotornarono più a Ossana e per molto tempo si perseperfino il ricordo di loro e dei loro successori.La mamma sta cucendo labiancheria e sogna ad occhiaperti (Fonte: «In risposta adOrazio; Cronaca illustrata sullastraordinaria vita di PV,fabbricante di ceramiche» diGyörgy Bodosi)Il conflitto mondiale liaveva dispersi come fuscelie le susseguenti vicendestoriche eressero barriereancora più elevate, invalicabili per molto tempo... Mapoi c’è sempre qualcuno che ritorna alle origini, in cercadelle radici, degli inizi e dei parenti. Fu così che nonmolti anni fa i pronipoti, fra essi in particolare GyörgyBodosi vollero rifare il percorso a ritroso della storia eseguendo il debole ma ben definito filo di Arianna che liuniva con Ossana, ebbero modo di scoprire e farscoprire che la storia della guerra aveva generatoalcune storie d’amore, che continuano a intrecciare ipopoli, le lingue e i destini delle famiglie e delle nazioni.(Testo da: Udalrico Fantelli: Ossana, storia di una comunità,Centro Studi per la Val di Sole, Malé, 2005.)Vedute di Ossana e della Val di Sole, Foto © di Jarina Markó(Fonte: «In risposta ad Orazio; Cronaca illustrata sulla straordinariavita di PV, fabbricante di ceramiche» di György Bodosi)_______________13 Bodosi: Nyelv-kincsem, szókészletem forrásai in: Vallomás:költők az anyanyelvről, a cura di Z. Szabó László, GyőrKazinczy Gimnázium kiadása, 1985. pp.59-64.14 ibidem 2) FineJudit Józsa- Pécs (H)-<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 167


La poesia in bicicletta: un anello con sette tappeper il ritornoSicilia Poetry Bike – 2009 (dal 1 al 7 agosto)Promesse ed entusiasmi, troppo spesso, vengono menonel contraddire del tempo ed ostacoli interposti. Questesono le premesse più oneste per esternare un comunedestino di tanti buoni propositi artistici, soprattutto segestiti per mezzo di libera iniziativa che, al di là deigoverni, poco si addice ad un paese culturalmenteburocrate e conservatore come il nostro. Talvolta, però,accade che le idee prendano un proprio corsoottenendo riconoscimenti e l’altrui impegno, quello piùautentico e concreto, incluso di artisti che, accettandodi condividere taluni momenti, se ne sono sentiti parteintegrante assumendone poi il coordinamento. Questo èil risvolto più significativo, soprattutto sul piano umano,del retaggio consolidato attraverso l’esperienza delloscorso anno: un evento del tutto nuovo e che, per laprima volta, si realizzava in Sicilia, raccogliendo intornoa sé poeti, artisti e cantastorie lungo il suo percorso chesi snodava verso il sud dell’isola. Si riparte, quindi, pertrovare ancora altrettanti spontanei momenti diaggregazione poetica nel corso di una settimana nostop,con una nuova edizione curata dai poeti EnricoPietrangeli e Ugo Magnanti in collaborazione con dueartisti siciliani, Andrea Ingemi e Vittoria Arena, maanche grazie al contributo di enti, istituzioni,microimprenditoria locale e l’apporto, a vario titolo, diuna consistente lista di persone. Molti di questiraggiunti all’ultimo momento, come il filosofo MarioGuarna, che da Firenze, per l’occasione, conferma lasua presenza a Taormina in questi giorni, o la rilevanteadesione al progetto del comandante GiorgioTomassetti della Polizia Municipale di Nettuno, che siattiverà per una collaborazione aperta con i luoghi disvolgimento, ed un’ulteriore veste grafica, associata alfestival gallo-italico di Randazzo, a cura di IsabellaMarino. La collaudata formula resta quella di una seriedi tappe ciclistiche con eventi-appuntamento, veri epropri meeting point aperti alla partecipazione delpubblico e alla condivisione della poesia, quale punto diraccordo e scambio di tradizioni. Il percorso, tuttavia,varierà consistentemente, questo sia per favorire nuovipoli aggregativi che per venire incontro a sopraggiunteesigenze e disponibilità organizzative. Anzichédiscendere la costa orientale, quest’anno lamanifestazione assumerà un itinerario circolare conpartenza ed arrivo a Messina, passando per Milazzo,Patti, S. Salvatore di Fitalia, Randazzo e Taormina.Molta attenzione, in questa edizione, è stata rivolta allelocation, come pure agli artisti che le animeranno. Sitoccheranno luoghi storici dell’isola, come il CafféGalante, ed in particolare una basilica, quella delSalvador Mundi, simbolo di sovrapposizione di storia earte che parte da bizantini e normanni, tornando alpalazzo dei Duchi di S. Stefano a Taormina e,soprattutto, raccogliendo antichi folclori dell’entroterra,come quella del Festival di poesia gallo-italico, lungo ilpercorso. Si torna a consolidare un cammino che, neltempo, resta sempre autentico ed attuale, ovveroquello dell’oralità della poesia itinerante. Sono previsti,inoltre, appuntamenti con associazioni ciclistiche nelcorso dell’itinerario, rappresentativi di momenti piùinformali, oltre a reading, vernissage ed happening che,man mano, andranno a coronare l’intero percorso.Spazio viene lasciato anche agli strumenti informatici ele nuove tecniche di comunicazione che prevedonocollegamenti su Facebook e trasmissioni in streaming.Nel primo caso sarà possibile accreditarsi per rimanerein contatto coi ciclo-poeti e i relativi eventi via internettramite foto, filmati e commenti in tempo reale, saràsufficiente richiedere amicizia agli organizzatori sulpopolare social network, nell’altro verranno trasmessialcuni incontri previsti in programma. Inoltre, il 7agosto, durante l’incontro di congedo dedicato allavideo-poesia con Giusalba Zappalà, verrà proiettato inanteprima un documentario reportage, frutto di un suopaziente montaggio dei frammenti in diretta del tour.Un’azione performativa a tutto campo dunque,coinvolgente più settori, a partire da sport e cultura,rivolta alla valorizzazione del luogo e con finalitàpedagogiche intrinseche, permeabili a tematicheambientali in relazione a nuovi modelli di sviluppoturistico. Uno sguardo al futuro attraverso radici diantiche tradizioni, per trovarsi e riconoscersicondividendo versi e suggestive esperienze, quelle delviaggio cadenzato dal tempo, partecipe dei suoispostamenti, che solo mezzi d’altri tempi sono in gradodi offrire. La bicicletta, tra questi, resta quello piùmoderno, ma anche quello più concretamente vincolatoad una grande tradizione da non rinnegare, piuttostoche da imitare.Enrico Pietrangeli- Roma -Happening on the road, portando la poesiaovunqueSicilia Poetry Bike 2009 (dal 1 al 7 agosto)Il primo Festival della bicicletta, poesia, tradizioni e artiitalianoNel corso di una poetica settimana itinerante, oltre ainumerosi incontri previsti e agli spostamenti con labicicletta, molto tempo è stato dedicato ai nuovistrumenti di comunicazione. Quotidianamente sonostati redatti dei diari di viaggio dagli organizzatori sulpopolare social network Facebook, per renderepartecipi all’iniziativa anche quanti impossibilitati aprendervi parte. Inoltre sono stati inseriti video e foto168<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


che, man mano, venivano ripresi nel corso del tragitto edegli appuntamenti programmati. La poesia, in ognicaso, ha avuto il ruolo predominante a tutti gli effetti.Tra una pedalata e l’altra, frequenti sono state le sostetra i paesaggi più suggestivi, per registrare brevi videocon happening poetici on the road.La rassegna si è conclusa a Messina, come daprogramma, il 7 agosto. Diversi sono stati i momentisalienti nel corso della manifestazione, certamente bencadenzati dalla costante presenza, tra gli altri,dell’energica sicilianità di Maria Costa, ma anche dinotevoli interventi susseguitesi nel corso del tour, comequello di Vitaldo Conte, Maria Froncillo Nicosia, MariaTeresa Prestigiacomo, Mario Guarna e numerosi altri,incluso di associazioni ciclistiche. Con la tappaconclusiva, che segna una ‘poetica’ settimana vissutaintensamente attraverso oltre dieci eventi no-stopprogrammati in successione, si è tornati al punto dipartenza, ovvero il circolo del Tennis e della Vela. Qui èavvenuta la proiezione del video di Giusy Alba Zappalà,la quale, con solerte pazienza, assemblava i varimateriali trasmessi. Il risultato è stato un’emozionanteed ironica ricostruzione in tempo reale dell’avvenimentoin concomitanza del suo congedo sullo sfondo delloStretto.Un appuntamento finale contraddistinto, oltremodo,dall’intervento dello storico Nino Principato, il qualeripercorreva le sovrapposizioni di occupazioni e “nondominazioni”, come teneva a precisare, legandole allediverse etimologie delle parlate siciliane con un incisivoaffondo sulla scuola fiorita con Federico II.Oltre un centinaio di artisti complessivi intervenutihanno animato la rassegna e, anche quest’anno, oltretrecento sono stati i chilometri percorsi in bicicletta chehanno unito l’Isola in nome dell’arte, della poesia edelle tradizioni, attraversando Milazzo, Patti, SanSalvatore di Fitalia, Randazzo e Taormina. Per la primavolta, inoltre, l’iniziativa ha avuto anche un suo pubblicosu internet. L’assessore alla cultura Giovanni Ardizzone,per meglio rendere testimonianza all’originale progetto,ha fatto dono di una targa ciascuno ai poeti su dueruote laziali.Enrico Pietrangeli- Roma -OTIUM LUDENSOtium ludens, Stabiae, cuore dell’Impero Romano è ilnome dell’unico appuntamento italiano di una mostraitinerante già presentata, con meritato consenso dipubblico e critica, a San Pietroburgo ed a Hong Kong. Ilvisitatore vi potrà esaminare 175 reperti, rinvenuti innove ville che si stagliavano lungo il pianoro di Varano.Il percorso, ricavato all’interno del complesso dellatrecentesca chiesa di San Nicolò, a Ravenna, tramitepannelli che dividono l’ambiente in differenti sezioni,mette a completo agio il visitatore. Ci si trova immersiin un’atmosfera silenziosa, che invita ad esaminare ilmateriale esposto in modo raccolto e che bene siaccosta alla natura sacrale del luogo.Nel 2008 Ravenna aveva presentato Otium, viaggio neiprimi secoli dell’era cristiana ad indagare la vitaall’interno delle case imperiali romane e bizantine, acarpirne i segreti, i lunghi momenti volti all’attivitàintellettuale e rigenerativa dello spirito.La mostra di quest’anno sposta il baricentro geograficoverso il sud della penisola e mette a disposizione letracce più evidenti ed aggiornate di un passato rimastosepolto sotto la lava della funesta eruzione del Vesuvionel 79 d.C. La continuità fra le due esposizioni è datadal periodo storico testimoniato, anche se in parteanteriore in Otium ludens. La leva ideale per proseguirein questa ricerca sembra essere l’esigenza dell’uomo deinostri giorni d’intuire i ritmi, d’impossessarsi dei misteri,dei meccanismi del mondo classico capaci di equilibrareil lato contemplativo con quello materiale, la filosofia ela vita pratica, l’otium e il negotium. Vediamo così comequegli aspetti s’integrassero armonicamentenell’esistenza dei nostri antenati grazie ad una visualedella vita più aperta, più naturalmente libera di quellaodierna.Ma il vero filo rosso che unisce le due mostre eRavenna e Stabiae in una sorta di gemellaggio ècostituito dal sorgere di fondazioni intese al recuperodel patrimonio archeologico, storico ed artistico deiterritori. Per quanto riguarda il capoluogo emilianoromagnolo, la Fondazione Parco Archeologico di Classe,RavennAntica, oltre ad adoperarsi nel valorizzarel’intero centro dell’antica Classe e la Basilica diSant’Apollinare, le chiese di Sant’Eufemia e di SanNicolò e la Domus dei Tappeti di Pietra a Ravenna, hanei suoi intenti quello d’istituire un Museo Archeologicoda ricavare dall’ex zuccherificio di Classe. La Fondazioneno profit italo americana Restoring Ancient Stabiae siprefigge, invece, di continuare il lavoro di scavi che,iniziati nella seconda metà del Settecento in epocaborbonica e proseguiti negli anni ’50 del secolo scorso,dovrebbero portare in piena luce i resti delle nove villeda cui proviene il materiale che ha consentitol’allestimento della mostra Otium ludens. A lavoriultimati, che richiederanno ingenti investimenti ancheper la creazione d’infrastrutture, avremo a disposizioneun Parco archeologico che consentirà di trascorrerealmeno un’intera giornata allo studioso, agli studenti ead un turista non generico.All’ingresso di San Nicolò si legge una frase di Flaubertche sembra fermare un tempo che all’uomo del terzomillennio potrà apparire attimo indecifrabile oinsignificante, ma che deve essersi dilatato così dasembrare eterno per gli uomini che vissero in un’epocain cui bastavano a se stessi e in cui l’esistenza scorrevain modo diverso o, forse, sembrava non scorrereaffatto: “Quando gli dei non c’erano più e Cristo nonancora, tra Cicerone e Marco Aurelio c’è stato unmomento in cui è esistito l’uomo, solo”.Ciò detto, Otium ludens è mostra capace di coinvolgereanche l’immaginazione scenografica di chi la visita.Oltre ai pregevoli stucchi, agli affreschi ben restaurati e,in alcuni casi, ancora in buono stato di conservazione ea suppellettili di vario genere, si trovano le piantine conle planimetrie delle nove ville da cui provengono ireperti: spesso edifici dalle dimensioni enormi, conparchi estesi in cui la classe senatoriale e nobiliareospitava giochi, rappresentazioni teatrali e ogni altramanifestazione di quel carattere ludico con cui si èvoluto titolare la mostra. Crediamo, però, che Otiumludens vada inteso non solo nel senso di “piacevole e<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 169


giocoso riposo”, ma anche in quello di unarappresentazione, del comparire sulla scena. di unpassato che illustra la tensione intellettuale e laricreazione spirituale, le parti fondanti di una culturache, assieme a quella dell’antica Grecia, ha costituito laradice della civiltà classica e, di conseguenza,dell’Europa. Quest’ultimo aspetto è illustrato in unaricostruzione virtuale fatta della Villa San Marco, confilmato diffuso in maniera continua in una saletta aparte. Ma di grande utilità è la lettura del catalogo dellamostra, ricchissimo di preziose informazioni epubblicato da Nicola Longobardi Editore.Si può, infine, rimanere sconcertati al pensiero chequella di Ravenna sarà l’unica – per quanto benmotivata – tappa in Italia di una mostra che fa luceproprio su una parte del nostro territorio. Ad esso sipotrà contrapporre l’ovvia considerazione che quelpassato riguarda indistintamente tutta l’umanità. Senon teniamo conto dell’attività internazionale dellaFondazione RAS, delle priorità e del conseguentecalendario stilato in base a quell’impegno, rimane, però,il preoccupato e ricorrente interrogativo se il mondodell’arte e della cultura sia da noi tenuto nella debitaconsiderazione.Enzo Vignoli- Conselice (Ra) -Giovanni BoldiniCléo de Mérode, 1901. Collezione privataRitratto di Madame Charles Max, 1896, Parigi, Musée d’Orsaynella Parigi degli Impressionisti<strong>Ferrara</strong>Palazzo dei Diamanti20 settembre 2009 - 10 gennaio 2010generi che sparivano facilmente perché avevo moltosuccesso», opere di straordinario interesse e spesso dipregevole qualità.Ordinati in sezioni tematiche, circa novanta capolavoriprovenienti dalle più importanti collezioni pubbliche eprivate d'Italia e del mondo faranno emergere tutta lacomplessità della personalità boldiniana in questoperiodo di ricerca e sperimentazione.Ad accogliere il visitatore è un breve prologo dedicatoall'attività degli anni fiorentini, un'esperienzafondamentale per Boldini, non solo per la suaformazione ma anche perché da essa trae spuntiimportanti per sviluppare idee e soluzioni formali neglianni a venire. Cogliendo istanze innovatrici provenientidalla cultura francese e in particolare da Degas, nellaFirenze dei macchiaioli Boldini si distinse comeprincipale artefice di un'autentica rivoluzione nell'artedel ritratto, dipingendo i suoi modelli non più su unosfondo neutro e in un atteggiamento statico e ufficiale,bensì in ambienti fortemente caratterizzati, non in posama colti in situazioni diverse e perlopiù informali, e avolte, perfino, non nella quiete di una stanza ma enplein air.Si entra poi nel cuore della rassegna con i quadri deiprimi anni Settanta che fecero la fortuna del pittore fra iricchi collezionisti del tempo, non solo in Francia, maanche e soprattutto negli Stati Uniti. Protagoniste sonopiccole e preziose tavolette caratterizzate dallo stilericercato e dal colore scintillante che, ispirate talvoltaad un Settecento galante, talaltra a fantasie esotichespagnoleggianti o ancora a scene di vitacontemporanea, innovano il cliché dei quadri di generein costume storico di maestri affermati come Meissoniere Fortuny.Accanto a questa produzione Boldini realizzò, apartire dalla metà degli anni Settanta, una serie divedute di città che colpirono i contemporanei e con lequali l'artista diede una sua personale interpretazionedella pittura della vita moderna praticata anche dagliimpressionisti. In queste opere, cui viene dedicataun'ampia sezione, Boldini registra la vita che scorrenelle vie affollate e nelle piazze dove passano veloci osostano le carrozze e gli omnibus a cavalli. Sono dipintidi un "realismo" singolare in cui l'artista ferraresedimostra di padroneggiare sia il piccolo che il grandeformato, basando ogni sua creazione sullo studioattento, talora ostinato, del modello naturale. Su moltedi queste opere Boldini medita a lungo comedimostrano diversi studi preparatori e bozzetti, espostiin mostra anche per sfatare l'immagine ancora troppodiffusa di Boldini come "improvvisatore".Dal 20 settembre 2009 al 10 gennaio 2010, Palazzodei Diamanti ospita una rassegna su Giovanni Boldini.La mostra, organizzata da <strong>Ferrara</strong> Arte, incollaborazione con le Gallerie d'Arte Moderna eContemporanea - Museo Giovanni Boldini, e il Clark ArtInstitute di Williamstown (Massachusetts), che laaccoglierà dopo il debutto a <strong>Ferrara</strong>, sarà anchel'occasione per presentare per la prima volta l'artistaferrarese in un museo statunitense di grande prestigio.A differenza dalle precedenti esposizioni dedicateall'artista, tutte antologiche, questa si concentra invecesui primi quindici anni di attività del pittore a Parigi, dal1871 al 1886, proponendosi di far luce su un periododella sua arte poco studiato, durante il quale Boldini,La grande strada a Combes-da-Ville, 1873. Philadelphiaper dirla con le sue parole, dipingeva «quadri di tutti iMuseum of Art170<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Boldini non registrò soltanto la realtà urbana. Sispinse nelle campagne, lungo la Senna o sulla Manica,lavorando a vedute e paesaggi con figure checostituiscono una personale interpreta-zione dellapittura en plein air, dipinti di grande fascino caratterizzatida una luce cristallina e da quella capacità, chetanto colpì Diego Martelli, di «scoprire minuzieimpossibili di colore e di forma a tre miglia di distanza».Strillone parigino (Il giornalaio), 1878, Napoli, Museo diCapodimonte; Lettera mattutina, 1884, collezione privataAnche il mondo dei teatri e dei caffè concertorichiamò la sua attenzione. L'artista fu un assiduofrequentatore di questi ambienti e ritrasse i personaggiche li animavano al pari del suo amico Degas. Forseproprio questo confronto impossibile - come suggeriscein catalogo Richard Kendall - trattenne Boldinidall'approfondire questo soggetto.Al tema tutto boldiniano degli interni d'atelier, unsoggetto che non trova eguali nella pittura coeva, èdedicata un'interessante sezione. Dopo aver esploratoinstancabilmente i mille volti della capitale francese,nella convinzione che soltanto «chi viaggia, ha molto daraccontare», improvvisamente Boldini sembra rendersiconto che anche la sua casa e il suo studio sono unmondo sconfinatamene grande e, come l'altro, capacedi evocare emozioni e suggestioni formali. Anche chirimane fermo nello stesso luogo e scava in profondità inse stesso e in quel luogo può avere molto daraccontare. Sembra essere questa, di fronte agliambienti e agli oggetti che lo hanno accompagnato peruna vita, la convinzione intima dell'artista.Berthe che cuce ingairdino, 1874, Collezioneprivata, courtesyBottegantica, Bolognacammino compiuto in questo periodo che lo condurrà adefinire quello stile inconfondibile che, al volgere delsecolo, lo imporrà come uno dei più contesi ritrattistidel panorama internazionale.È proprio con opere di questa fase che si conclude ilpercorso espositivo: capolavori assoluti degli anniNovanta dell'Ottocento, alcuni dei quali mai espostiprima d'ora in Italia come il meraviglioso Ritratto diJames McNeill Whistler del Brookiyn Museum di NewYork o la straordinaria Lady Colin Campbell dellaNational Portrait Gallery di Londra, che testimonianocome l'artista sia stato, oltre che un indiscussoinnovatore di questo genere pittorico, lo straordinariointerprete di uno dei periodi più affascinanti eimportanti della nostra storia, la Belle Époque.Quanto alle novità critiche presenti in catalogo, sononumerose e danno un contributo significativo allacostruzione di una lettura filologica di Boldini e dellasua opera ancora assai lacunosa. Richard Kendall haesplorato per la prima volta un aspetto fondamentaledel lavoro di Boldini, il disegno: dai semplici schizzi checostituirono un archivio di idee e di forme distraordinaria importanza, ai disegni preparatori didipinti, a disegni compiuti che sono opere d'arte a séstanti. Oltre ad un confronto inedito tra l'itinerarioboldiniano e quello dei maestri dell'impressionismo,studiando i registri mai indagati fino ad ora delmercante Goupil, per il quale l'artista lavorò nei primianni parigini, Sarah Lees, la curatrice della mostra, haricostruito, tra l'altro, la sua fortuna americana neglianni Settanta e Ottanta dell'Ottocento e identificatomolte delle opere giunte allora negli Stati Uniti. Questaricerca si è integrata con quella di Barbara Guidi che,dedicandosi all'epistolario di Boldini e a fonti a stampadell'epoca mai esplorate prima d'oggi, ha individuato inimportanti mercanti statunitensi come Samuel Avery oGeorge Lucas altri protagonisti del successo dell'artistanegli Stati Uniti. La sua ricerca ha permesso inoltre diprecisare la datazione di alcuni capolavori come ilRitratto del pittore Joaquin Araùjo y Ruano del MuseoBoldini di <strong>Ferrara</strong>, da sempre ascritto al 1889 e inveceesposto alla Galleria Georges Petit di Parigi già nel 1882o L'amazzone (Alice Regnault a cavallo), della Galleriad'Arte Moderna di Milano, la cui datazione oscillava tra il1878 e il 1884, ma che invece fu presentato al Salondel 1880.L’amazzone (Alice Regnaulta cavallo),1879-80, Milano, Galleriad’Arte ModernaUn ricco capitolodella mostra tratta,infine, l'evoluzionedel suo stile nelgenere del ritratto, daquelli di amici ecolleghi, alle effigiufficiali. Durante questianni, infatti, Boldinisviluppa questogenere stimolato da molteplici suggestioni. E ilHa consentito, ancora,di scoprire qualiopere Boldini esposead alcuni Salon come,ad esempio. MadameCharles Max,del Musée d'Orsay diParigi, presentata aquello dello Champ de Mars del 1896. Ha permesso,infine, di approfondire il rapporto che legò Boldini adalcuni tra i maggiori artisti del tempo, dai piùtradizionali Meissonier e Menzel, a maestri<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 171


dell'avanguardia comeWhistler.Degas, Manet, Sargent eRitrattodi Giuseppe Verdicol cilondro, 1886, Roma;Galleria Nazionale d’ArteModerna, su concessionedel Ministero per i Beni ele Attività CulturaliChi era il Boldini chesi trasferì da Firenze aParigi nel 1871? Comesi sviluppò la suapersonalità da quelmomento fino al 1886,durante il periodo aureodella rivoluzione impressionista? Che cosa rimase diquelle esperienze in seguito quando l'artista divenne u-Autoritratto mentre osservaun dipinto, c. 1865.Firenze, Galleria d’ArteModerna di Palazzo Pitti. Sconcessione del Ministeroper i Beni e le AttivitàCulturaliFortuny. Nello stesso periodo Boldini realizzò vedute dicittà che colpirono i contemporanei e con le quali diedeuna personale raffigurazione della vita moderna. Eglinon dipinse tuttavia soltanto la realtà urbana, si spinseanche nelle campagne, lungo la Senna o sulla Manica,nei luoghi cari a Monet e Sisley, lavorando a paesaggiche costituiscono la sua interpretazione della pittura enplein air. Anche il mondo dei teatri e dei caffè concertorichiamò la sua attenzione ed egli ne ritrasse ipersonaggi che li animavano al pari del suo amicoDegas. Al genere tutto boldiniano delle vedute dellacasa e dell'atelier è dedicata un'affascinante sezionedella mostra, mentre a scandire l'intero percorsoespositivo sono molti tra i suoi ritratti più importanti cheiniziò a dipingere alla fine degli anni Settanta e checulminano nei capolavori assoluti degli anni Novantache decretarono il suo successo intemazionale comeritrattista della Belle Époque.Nota: Era una piacevole sorpresa vedere di nuovo duequadri di Boldini che ho visto nel Museo d’Orsay diParigi nell’ottobre dello scorso anno, tra cui ho quiriportato uno (Ritratto di Madame Charles Max) all’iniziodi questo servizio.A cura diMttSOCIETÀno dei più celebriritrattisti dell'alta società?Sono queste le domandeprincipali allequali risponde questamostra organizzata da<strong>Ferrara</strong> Arte e dal ClarkArt Institute di Williamstown.La rassegna, e il catalogo che l'accompagna, frutto dinuove ricerche, fanno emergere novità importantirispetto a Boldini e alla sua opera, tra le quali, la suagrande fortuna americana, prima che francese edeuropea, negli anni Settanta e Ottanta dell'Ottocento, ladata di esecuzione di alcune opere di rilievo cheoscillava tra estremi lontani tra loro, dove e quandoespose alcuni dei suoi dipinti più famosi, e con qualiartisti ebbe rapporti: pittori più tradizionali comeMeissonier e Menzei, ma anche artisti d'avanguardiacome Degas, Sargent e Whistler.Ordinati secondo un allestimento cronologicotematico,un centinaio di capolavori provenienti da ogniparte d'Italia e del mondo, alcuni dei quali mai espostiprima d'ora nel nostro paese, illustrano tutta lacomplessità e il fascino della personalità boldiniana inquel quindicennio di ricerca e sperimentazione in cuidipinse soggetti diversi.Ad accogliere il visitatore è un prologo dedicato aglianni fiorentini, un'esperienza cruciale non solo perchéallora Boldini attuò un'autentica rivoluzione nel generedel ritratto, ma perché da essa trasse spunti importantiper sviluppare idee e soluzioni formali anche negli annia venire. Si entra poi nel cuore della rassegna conpreziose tavolette caratterizzate da uno stile ricercatoche innovano la tipologia dei quadri di genere incostume storico di maestri affermati come Meissonier eGiuseppe Costantino Budetta (1950) — NapoliUNIVERSITÀ E RICERCADimmi di chi sei figlio e ti dirò chi sarai tra trent’anni.Anonimo fiorentino del <strong>XIII</strong> sec.PremessaUn prof. del mio stessoraggruppamento (Vet 01) da tecnicodi V livello divenne ricercatoreuniversitario, professore associato eultimamente ordinario presso laFacoltà di Veterinaria (Napoli),occupando la cattedra che a rigoredi logica sarebbe dovuta essereassegnata a me sottoscritto sia per merito, sia peranzianità ed anche in base alla Legge sull’assistenzaagli malati gravi ed ai portatori di handicap, Legge 104.Questo illustre prof. non si è mai allontanato da Napoli,con il posto di lavoro si può dire sotto casa.Accludo qui di seguito il resoconto di una mattinatapersa presso gli uffici dell’Università Federico II diNapoli nel tentativo di presentare l’ennesima domandadi trasferimento in sede idonea. Nella mia fedeledescrizione, gl’impiegati pubblici da me consultati eranoanonimi, non avendo il cartellino delle loro generalitàsui petti. Chiedere di essere ricevuti dal rettore, almenoper uno come me è impossibile come la presentazionedella legittima domanda di trasferimento. Leggere percredere.***C’è gente che supera esami e concorsi universitaripro-forma. I designati dalla sorte vincono il posto diricercatore ed arrivano all’ordinariato, superando provead hoc. Se si vede bene, questo tipo di professore172<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


universitario ordinario ha buoni titoli scientifici. Lohanno aiutato gli altri (the others). Gli è bastato esserepresente in un laboratorio scientifico. Solo la presenzavale, come quando superò gli esami universitaripresentandosi davanti alla commissione per ultimo,essendo andati via tutti gli studenti. In rapidasuccessione come da scienziati veri, ha vinto la serie diconcorsi che lo ha portato in cattedra, da ordinario.Il 16 di luglio (2009) sono stato presso la segreteriadel rettore Univ. Fed. II. Erano circa le undici delmattino ed ero sudato dalla testa ai piedi. Come unpulcino infradiciato dalla pioggia diceva mia madrequando vedeva me e mio fratello bambini, sudatiperché giocavamo a pallone. Mi sono fermato aprendere una bibita fredda nel bar dell’università, vistola calura.Il segretario del rettore come ha sentito il mio nomedal bidello che mi annunciava nella stanza attigua avràfatto il segnale riservato a quelli da non ricevere. Dopoun po’ si era affacciata alla porta una signora trenta -quarantenne che ha detto di riferire a lei, essendo ilsegretario impegnato. Dico: “Sono un professoreuniversitario che insegna da ventidue anni a Palermo.Non riesco a trasferirmi in sede idonea, neanche con laLegge 104. Ho molti titoli accademici e pubblicazioniscientifiche, ma non contano.”Ha risposto: “Deve andare presso l’ufficio personaledocente.”Dico: “Non mi risulta esista un ufficio che riceva ledomande di trasferimento dei professori.”Si è meravigliata ed ha detto che c’è, anche se è comenon ci fosse. Mi ha squadrato dalla testa ai piedi. Dico:“Lei mi osserva dai piedi alla testa come un UFO.”Ha detto di no, sollevando in aria il mento con unpizzico di strafottenza. Prima di andare via dicomostrando la mia camicia inzuppata di sudore: “Eccocom’è un professore universitario.”Vado all’ufficio personale docente, un edificiomastodontico di fronte alla strada che costeggia la zonaportuale. Penso: ecco come mi trattano. A 59 anni, nonsono degno neanche di parlare col rettore dellaFederico II. Avere un appuntamento con lui, magari tradue mesi. Not possible. Ci sono due laghi. In unonuotano i pesciolini come me e nell’altro i pescecani. Idue laghi non comunicano. Nella realtà, i pescecanimangiano i pesciolini, superano ogni tipo di barriera conla loro voracità. Per il Corso Umberto I, pochi studenti,gruppuscoli di turisti svogliati ed i negozi coi saldi estivi.Mi dicono alla reception dell’edificio Personale-Docente-Università: “Vada al 4° piano.”In ascensore un tizio preme per il primo. C’è anche unuomo ed una donna, in coppia. Quello che ha premutoper il primo piano è più corto di me ed azzardo labattuta:“Lei si accontenta di poco, solo del primo.”Risposta pronta, senza girarsi: “Sì, ma si arriva primadegli altri.”L’ascensore si apre al 4° e m’immette direttamentenel Dipartimento – Personale – Docente. Mi ricordodella stanza del vice-capo ufficio. C’è aria condizionatae tutte le porte aperte. Numerosi gl’impiegati per unmese come luglio: effetto Brunetta.Chiedo di entrare dal vice – capo – ufficio che loindicherò con la sigla CUV (capo-ufficio-vice), perbrevità. Con lui c’era un’altra persona, andata viasubito. Con gentilezza, CUV mi fa accomodare di frontea lui dall’altro capo della scrivania, piena di scartoffie.La persiana abbassata ombreggia l’ambiente come nelsottobosco. Dico chi sono e lui si ricorda:“Lei ha una lunga ed inutile pratica qui.”Si alza e va a prendere il malloppo. Sono tutte le letteree le domande di trasferimento che ho presentatoall’ufficio personale dicente. Tutte sistematicamenterespinte in un arco di tempo di ventidue anni. E’ daventidue anni che insegno a Palermo chiedendo ognianno il trasferimento in sede idonea, nella mia regione,o in regioni attigue (Basilicata, Lazio…). Dice a monito:“Professore, ma lei lo sa che i trasferimenti dei prof.universitari sono registrati sulla Gazzetta Ufficiale? Sonoatti importanti. Non è facile essere trasferiti. Ci vuole larichiesta esplicita di una facoltà. Dev’essere il Consigliodi Facoltà a chiedere che un posto del suoraggruppamento sia messo a trasferimento.”CUV voleva farmi intendere che ci vogliono fortipressioni politiche, o di parentela perchè si ottenga queltipo di favori? Dico: “Ma ho eccellenti titoli scientifici edidattici…”CUV mi guarda come se fossi duro di comprendonio.Come se dicesse: il merito è meglio che uno se lo ficchiin quel posto.CUV dice: “Lei le ha tentato tutto. Si è rivolto anchealla studio di un avvocato milanese. Questo avvocatoha scritto una serie di lettere: al rettore della FedericoII, ai vari presidi delle facoltà di Napoli, al Presidentedella regione, ai rettori delle università di Salerno,Benevento, Avellino, Caserta. Questo suo avvocato hascritto al rettore dell’università di Potenza dove lei ebbeun incarico d’insegnamento. L’avvocato milanese hascritto anche a Viterbo dove lei, professore, ebbe unincarico d’insegnamento triennale. Tutti le hannorisposto con un diniego.”“Ho fatto anche appello alla Legge 104, essendoall’epoca mio padre malato di Alzheimer.”“La Legge 104 dà un vantaggio tra due concorrenti, apari merito. Però nessun Preside di facoltà chiese unposto per lei e quindi non c’è stato mai un concorso pertrasferimento cui lei avesse potuto partecipare, insiemecon altri candidati.”Provo ad obiettare: “Nel 1998, fu bandito unconcorso nazionale per professore associato nel mioraggruppamento che è VET 01. C’era un posto liberopresso la Facoltà di Veterinaria qui a Napoli. Fecidomanda di partecipazione, presentando tutti i titoliscientifici e didattici. Mi feci aiutare da una segretariacomunale nell’allestimento della domanda e dei titolicome il bando richiedeva. Non fui ammesso e non hosaputo mai perché, sebbene avessi fatto espliciterichieste in questo senso.”CUV si alza e dice: “Vediamo se le cose stanno così”.Lo seguo nell’altra stanza. Estrae un tiretto da unoscaffale. Il tiretto contiene delle schede impilate in unasse di ferro. Ogni scheda è scritta a mano coninchiostro rosso. Dice:“ Il professore che vinse il concorso alla Facoltà diVeterinaria si chiama P.D., vero?”“Sì, proprio lui.”“E’ il figlio dell’ex preside di quella facoltà. Vero?”“Sì.”<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 173


Il padre di P.D. era un grosso barone. Aveva unadozzina d’incarichi tra cui alcuni presso la II Facoltà diMedicina (Napoli); negli ultimi anni, era stato direttoredel dipartimento di Citologia, Facoltà di Medicina(Napoli). P.D. padre aveva all’attivo oltre cinquecentoricerche scientifiche (dono dell’ubiquità) ed avevapiazzato uomini di sua fiducia in molte facoltà comeordinari. Dico a CUV: “Scusi, ma perché fui escluso daquel concorso?”“Perché lei non si poteva presentare ad un concorso diprofessore associato nel raggruppamento VET – 01. Leirisultava già vincitore di un omologo concorso.”Dico: “Io ho superato un concorso nazionale a Romaper prof. associati e l’ho vinto. Ciò invece diavvantaggiarmi nella carriera, mi limita. Infatti il dott.P.D. come ricercatore ha potuto presentarsi a questoconcorso – adesso sono concorsi locali - e vincerlosenza altri concorrenti.”Esatto: “Lei come prof. associato non puòripresentarsi in un medesimo concorso per prof. di IIfascia (associati). Concorso, ricordi, bandito nel suostesso raggruppamento VET 01.”Continuo a non capire. Due sono le cose. O miprende per fesso la Legge dello Stato, o mi prende ingiro CUV che dice:“Professore, è inutile che lei presenti altre domande.Le facoltà non richiedono posti per trasferimento.Capisce?”Obietto: “Ma il Ministero dell’Università dà un contributod’incentivazione per i professori che chiedonol’avvicinamento in una zona più idonea. Si chiamaincentivazione alla mobilità dei docenti universitari.”“E’ stato calcolato che questo contributo non è ottimalee che in un anno, la facoltà ci perde circa mille euro.”“Sì, ma se il docente trasferito è di valore, la Facoltà ciguadagna e di molto.”CUV se la ride e dice: “Non interessano queste cose.”Lo saluto con una stretta di mano. Dice:“Professore, ma perché non chiede un anno di congedosabbatico? Prende lo stipendio mensile compresa latredicesima e non ci va per un anno a Palermo.”Dico: “Non è nel mio stile.”Mi avvio all’ascensore. Con la coda dell’occhio vedo CUVche fa segno ad uno della security di seguirmi finoall’uscita dello stabile. Penso che sono un ingenuo. Acinquantanove anni ancora non l’ho capita. Nel 1993avevo denunciato una – unica denuncia nella mia vita –che con laurea in Lettere e filosofia aveva vinto laCattedra in Veterinaria. Il giudice archiviò la denuncia.Andai dal giudice a chiedere perché lo avesse fatto.Disse: “Perché ho altro da pensare.”Dopo quella denuncia, fui escluso da tutti i tipi dicommissione, comprese quelle di laurea. I miei incarichid’insegnamento a Potenza ed a Viterbo risalgono aprima di quella data.In Italia, si fa carriera col DNA di CASTA, non conquello grezzo ereditato dalle scimmie. Chiedo: se cifossero controlli sugl’intrallazzi di alcuni ci sarebberotanti dipartimenti universitari con professori dallo stessocognome e DNA? Chi dovrebbe effettuare i controlliseri: i presidi, i rettori, i giudici? Totò diceva: ma mifaccia il piacere….POST SCRIPTUM. In ambiente universitario, invecedi dire: il direttore del dipartimento di Biologia esperimentazione molecolare si dice: il direttore dellaBiologia. Come se la biologia fosse una nazione, unmondo a sé. Alcuni dipendenti intendono l’intera facoltàcome un mondo a sé. Idem, per i dipartimenti: ildirettore dell’Anatomia umana per indicare il direttoredel Dipartimento di Anatomia e fisiologia della facoltà diMedicina. Per quelli con alto grado di frustrazione, ilmondo è la Facoltà. Un’altra espressione ricorrente neidipartimenti universitari è: quelli dellaNeurologia….quelli dell’Anatomia…per indicare ilpersonale di un dato dipartimento: il personale deldipartimento di Anatomia = quelli dell’Anatomia…ilpersonale del dipartimento di Neurologia = quelli dellaNeurologia. I dipendenti come un’associazione coesa disoggetti, raggruppati intorno ad un capo che sarebbe ildirettore. Quelli dell’Anatomia Patologica ce l’hanno amorte con quelli dell’Istologia. Quelli della ClinicaChirurgica si sono alleati con quelli della PatologiaMedica per attaccare quelli della Clinica Medica.A volte ci sono vere guerre. Alla base delle guerreinterdipartimentali, c’è la spartizione di fondi di ricerca,di posti di ricercatori, o di cattedre. Ci sono alleanze chenascono in un giorno e si dissolvono con altrettantafacilità. All’interno di ogni dipartimento, l’ambiente èall’apparenza liberale, in realtà retto da ferreadisciplina. Se t’inimichi il direttore, o il vice, o unordinario di rilievo – nel senso di una persona inseritain un contesto di conoscenze politiche o di parentela –allora il malcapitato è espulso, oppure se di ruolo,messo in condizione di trasferirsi altrove, oppure gli sirende la vita (lavorativa) impossibile con le armi delmobbing.APPENDICE/FÜGGELÉK____Rubrica delle opere della letteratura e della pubblicistica ungherese in lingua originale e traduzioni in ungherese ____VEZÉRCIKKLectori salutem!Ez év júliusában levelet kaptam Dr.Paczolay Gyula ny. docens úrtól –folyóiratunk egyik magyar levelezőjétől–, amelyben egy XX. század eleji,világhírű írónőnkre hívta fel a figyelmem,abban az esetben, ha még nemmutattam volna be az olasz olvasóknak. A Nobel-díjraesedékes Tormay Cécile-ről (1876-1937) van szó.Ismerősen csengett a neve, de kevés ismereteimvoltak róla. Hogyan lehet ez? Fellapozván egykorifelsőfokú irodalom-könyveim, s az internetes kutatásaimbólrájöttem e hiányosság okára: a Kádár-korszakkommunista proletárdiktatúrájának köszönhetően elhallgatott,sőt tiltott volt mind személye, mind alkotásai.Nem ő volt az egyetlen akit 50 évig agyonhallgattak,tiltottak (ld. a tiltott könyvek 56 A4-es lapterjedelmű,174<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


talán nem teljes listát, amelynek összeállításában – ittolvasható – kulcsszerepe volt a zsidó Trencséni-Waldapfel Eszternek: http://hu.metapedia.org/wiki/Tiltott_irodalom), ráadásul olvasóit is üldözték, sőtmég halálra is ítélhették azokat, akik a Bujdosó könyvétotthonukban tartották, rejtegették. Vele együtt azugyancsak világhírű irodalomtörténész professzor,Hankiss János (1893-1959) is eltűnt a porondról a vörösdiktatúra jóvoltából. Ő volt az, aki monográfiát is írtTormay Cécileről, amely szintén a fenti tiltott könyveklistájában található.Bujdosó írók, tiltott könyvek... Tiltott könyvek ésírók... Számtalan a szeretett és ünnepelt könyvekszáma az emberi történelem során, s ugyanúgymegszámlálhatatlanok az akadályozott, a máglyáraküldött, megsemmisített, feljelentett vagy elhallgatásraítélt könyvek száma. Sokan vannak írók, akikszókimondók, papírra vetik mindazt, amit gondolnak, demindenféle ürüggyel elutasítják, üldözik, elítélik vagyegyenesen megölik őket. A századok folyamánkönyvek és szerzőik politikai vagy vallási okokbólkényelmetlenné váltak s erőszakkal elhallgattatták őket.Íme néhány név a világ- és olasz irodalomból:Francesco Bacone, Honoré de Balzac, HenriBergson, George Berkeley, Cartesio, D’Alembert,Daniel Defoe, Denis Diderot, Alexandre Dumas(padre) e Alexandre Dumas (figlio), GustaveFlaubert, Thomas Hobbes, Victor Hugo, DavidHume, Immanuel Kant, Jean de La Fontaine,John Locke, Montaigne, Montesquieu, BlaisePascal, Pierre-Joseph Proudhon, Jean-JacquesRousseau, George Sand, Spinoza, Stendhal,Voltaire, Émile Zola, Simone de Beauvoir, AndréGide, Jean-Paul Sartre.Vittorio Alfieri, Pietro Aretino, Cesare Beccaria,Giordano Bruno, Benedetto Croce, GabrieleD’Annunzio, Antonio Fogazzaro, Ugo Foscolo,Galileo Galilei, Giovanni Gentile, FrancescoGuicciardini, Giacomo Leopardi, Ada Negri,Adeodato Ressi, Girolamo Savonarola, LuigiSettembrini, Niccolò Tommaseo, Pietro Verri,Alberto Moravia.Ezek a felsorolt nevek csak egy kis hányada azoknak,akiket a katolikus egyház indexre tett a híres INDEXLIBRORUM PROHIBITORUM intézménye. A tiltottkönyvek listája IV. Pál pápa alatti, 1558-as SzentRómai és Egyetemes Inkvizíció Kongregációjának vagySzent Officium műve. Többféle változatai voltak,amelyeket csak 1966-ban nyomtak el a római inkvizícióvéget értével és a kongregáció ezt felváltotta a hitdoktrínájával.Szerencsére századok után a Katolikus Egyház II.Vatikáni Konzíliuma 1969-ben véget vetett ennek akulturális szégyennek. Mindezek ellenére a világon mégmindig él a szavak elleni hajtóvadászat: kb. 700 írótüldöznek gondolataikért s ez alól Itália sem kivétel.Ha nem is a Katolikus Egyház, de más vallások, politikaivezetők vagy diktatúrák részéről.Történelemről beszélni az ember történeténektárgyalását is jelenti. A könyvek, ugyanúgy mint azemberek, ugyanabban a sorsban, sikerben,megvilágításban, hódításban avagy terrorban,véráldozatban, őrületben részesülnek. A tiltott könyveka «tiltott írók, barátok, olvasótárs» szimbólumai.Még szerencse, hogy manapság Itáliában nincsszükség olvasói engedélyre, mint a Szent Officiumérvényessége idején, amikor ez az intézmény döntötteel, azt, hogy az érdekelt mit olvashat, hogy ki alkalmasarra, hogy hozzáférjen az érdekelt anyaghoz. A szabadgondolat és szabad könyv nevében mindenkönyvszerető feladata, hogy hasonló esetek meg neismétlődjenek. 1Most pedig térjünk vissza a fent említett magyarírónőhöz: ha átfutjuk az előbb felsorolt tiltott neveket,nem kerülheti el figyelmünket, hogy archívumokban,könyvtárakban, interneten rengeteg információt,anyagot találhatunk velük és alkotásaikkalkapcsolatban. De nem így Tormay Cécile esetében: azolasz sikere és könyveinek többszörös kiadása utánnem publikáltak tőle semmit sem Itáliában. A Bujdosókönyvének - ellentétben a regényeivel – bizony seholnincs nyoma sem a könyvtárakban, sem azarchívumokban. Franciaországban és az U.S.A.-banmég hozzá lehet férni könyvtárakban s mégantikváriumokban is egy-egy példányhoz. Hazánkbanviszont 90 éve tart az üldözése! Igaz ugyan, hogy a ’90-es évek elején már hallani lehetett róla, könyvei ismegjelentek, ha nem is nagy példányszámban, debizonyos kulturális és társadalmi körök folytatják alejárató- és rágalmazó hadjáratot, igyekeznekcsökkenteni a tehetséges mivoltát, az érdemeit. Miért?A bátorságáért, a kritikus állásfoglalásainak szabadkinyilvánításáért, az éles és messzelátó, szinte látnokielőrelátásáért? A naplójában kinyilvánított, feltételnélküli, az akkori Ausztria-Magyarország iránt érzetthazaszeretetéért, ami miatt sovinizmussal,nacionalizmussal, antiszemitizmussal, irredentizmussalvádolták és mai is így címkézik. A még csak 148 évesfiatal, egységes, olasz állam, Itália kommunistaköztársasági elnöke hangoztatja, hogy ne szégyelljékkimondani a haza szót s a hazaszeretetre buzdít mindenolasz állampolgárt, addig az ezeréves múltúMagyarország odáig jutott – s még ma is érvényes,csak éppen más szóval kell behelyettesíteni azellenforradalom kifejezést –, ahogy Tormay Cécile írja1918. december 9-11 naplójegyzetében:«...Ellenforradalmár! Ez a szó kezd lábra kapni, amellyelminden becsületes törekvésnek, mindenhazaszeretetnek útját akarják szegni. Eljutottunk oda,hogy ma már ellenforradalom, ha az ember feljajdul azidegen megszállások miatt, ha az ország területiintegritásáról vagy védelméről beszél; ha azt mondja:dolgozzunk, hogy éhen ne haljunk. ...»Az 1918-as európai forradalmi megmozdulásokkalkapcsolatban Fëdor Michajlovič Dostojevskij Egy írónaplójában az alábbiakat jegyezte le:«az internazionálé elhatározta hogy a zsidó forradalomOroszországban vegye kezdetét... el is fog kezdődni...»«és nincs egy jó ellenzékünk arra...»«a lázadás ateizmussal és minden gazdagságzsákmányolásával kezdődik, megkezdődik a vallássalszembeni ellentmondás, a templomok lerombolása ésazok raktárokká alakítása...»«vér borítja be a világot, a zsidók anarchiáváváltoztatják Oroszországot, a zsidó és segítőtársai és azátok az orosz ellen van, egy félelmetes és kolosszálisforradalmat lát előre, amely a föld összes monarchiáitmegrengeti, de ehhez 100 millió fejre (Szerk. mgj.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 175


fejhullásra) lesz szükség... az egész világon vér folyikmajd...»Tormay Cécile az ún. őszirózsás forradalomeseményeit megörökítő naplójában, a Bujdosókönyvben kemény kritikával illeti az általa felelősmagyar és zsidó politikusokat s felelőssé teszimindazokat, akiknek jelentős szerepük volt a bolsevikforradalom kirobbantásában, a történelmi Nagy-Magyarország trianoni szétmarcangolásában. Nem ír setöbbet, se kevesebbet a megtörtént igaz eseményeknél,amelyeknek szemtanúja és elszenvedője. Ezekkelkapcsolatban elmélkedik tudására, ismereteiretámaszkodva. Mindaz, ami a kommunista korszak általhírhedtnek minősített, halálra keresett és betiltottkönyvében olvasható, valós tények, amelyekigazolódnak A kommunizmus fekete könyve c. könyvszerzői által írtakkal. «A Bújdosó könyvet – írja BrunoVentavoli irodalomtörténész és kritikus – elárasztjaegy, a zsidókkal szembeni, kellemetlen megvetés. De azilyen hangtónus irányadó az antiszemita nehezteléseredetének megértése szempontjából.»Hankiss János többek között a következőket írjanaplójáról, amiről sokan, mint regényről tesznekemlítést, holott evidens, hogy nem regény hanemtörténelmi emlékirat – ahogy ifj. Tompó Lászlóirodalomtörténész is hangsúlyozza –, amely szerintemtörténelmi esszének is beillő kordokumentum:«Nem is vonta volna senki kétségbe a Bujdosó könyvtárgyilagosságát, ha a felelősséget csak Károlyi Mihályranézve mondta volna ki. A zsidó szellem felelősségétazonban ebben az időben éppen a jobb érzésű zsidókállapították meg - talán csak abban nem voltak bölcsekés következetesek, hogy amikor a vihar elvonult, arosszul értelmezett szolidaritás nevében nem vonták lemegállapításuk konzekvenciáit. A Bujdosó könyv semmond ennél többet. Vészi Józseffel való beszélgetése ésa 24 népbiztosról írt sorai világosan leszögezikálláspontját. Nem állt egyedül az az ötszáz, akire abecsületes és jóhiszemű Vészi a felelősséget korlátozniszerette volna: ez az ötszáz szörnyeteg nem voltgyökértelen ördögszekér, és a bajon csak úgy lehetettvolna segíteni, ha megjavítja magát az a humusz,amelyikből mérges táplálékukat szívták. És ha uralmukalatt nem is, azután nagyon sokan álltak melléjük,legalább abban az értelemben, hogy irtó hadjáratotindítottak mindenki ellen, aki a Kun-Pugány-Szamuelykorszakteljes likvidálását követelte, s úgy akartákfeltüntetni a szörnyű kínokon keresztülment nép reflexmozdulatát, mint „második forradalmat”, vagy„fehérterrort”. Azok a kifogástalan magyar zsidók, akika kommün idején - ha kisebb mértékben is - maguk isszenvedtek, s nem tántorodtak meg, talán egyszer smindenkorra megoldhatták volna a zsidókérdést, hanem engedték volna a szofizmák és a struccpolitikamellékvágányára siklani a kérdést, s lett volna erejükelvégezni „önmaguk revízióját” a világban, a magukhagyományaiban s országos szerepük túlzásaiban.Röviden: ha a Bujdosó könyvet nem tekintették volnaszemélyes sértésnek, hanem a nagy betegség olyanröntgenképének, amely tökéletes tisztaságával az őgyógyulásukhoz is vezethet.»Történelmi dokumentum ez a Bujdosó könyv,személyesen átélt és végigrettegett élményein keresztüljeleníti meg előttünk a kommunizmus és a«dicsőséges»-nek feltüntetett s nekünk az elhitettetniakaró Tanácsköztársaság igaz arcának szörnyűségeit.Ne felejtsük el, hogy egyetlen egy nemzet, országsem szenvedett el ilyen gyilkos amputációt, mint azezeréves múltú hazánk, a történelmi Magyarország, aNagy-Magyarország. Az első világháború győzteshatalmai az ezeréves múltú magyar állam,Magyarország területének kétharmad részét szakítottákel, amitől rettegett az írónő, és sajnos bekövetkezett1920. június 4-én végérvényesen, amely valóban egynemzeti tragédia, a magyar nemzet tragédiája: atrianoni paktumnak köszönhetően a szántóföldek 61,4%-a, az erdők 88 %-a, a vasútvonalak 62,2 %-a, akiépített utak 64, 5 %-a, az öntöttvastermelés 83,1 %-a, az ipari létesítmények 55,7 %-a, a volt MagyarKirályság bank– és hitelintézetének 67 %-a másnemzetekhez került. A 19 milliós lakosság 7 millióracsökkent. 1918 után Magyarországnak nem volt többétengeri kikötője, amelyet több mint 800 éven át tartottkezében.Dr. Ottó Légrády 1930-ban publikált «IgazságotMagyarországnak» c. írásában mondja:«Megnyomorították a németet, a bolgárt és törököt is.De... azoknak levágták egy-egy ujját, a magyarnakpedig kezét, lábát»:Minderről és a társadalmi-politikai háttérrőlrészletesebben beszélek az olasz nyelvű komparatívösszeállításomban. Itt eltérő a róla készítettösszeállításom.Már Kun Béla Magyarországának idejében a halálraítélt írónő és naplójának kézirata, a jövendő Bujdosókönyv után folyt a hajsza. Majd pedig 1945-től enaplójának köszönhetően vált az írónő fekete báránnyá,s nemcsak a Bujdosó könyve, hanem az össze munkájatiltottá vált.Nem lehetett rábukkanni sem könyvtárakban, semantikváriumokban, nem lehetett még kiejteni sem anevét, tilos volt rejtegetni a naplót, mert szigorúpénzbírsággal, börtönnel sőt még halálbüntetéssel –akasztással – sújtották a törvényszegőket.1945-től, 50 év kényszerített elhallgattatás után azutóbbi években két kis kiadó újra megjelentette TormayCécile könyveit, ugyanúgy az elhallgattatásra ítéltirodalomtörténész, Hankiss János monográfiáit is.Mégpedig először az írónő halálának 70 évesévfordulója alkalmából jelent meg a Bujdosó könyv aGede Testvérek kiadásában. Ez alkalombólkonferenciákat is rendeztek hazánkban az írónőről. ATormay Cécile Kör honlapján(http://www.tormayc.webs.com/tckor.html) elérhetőkTormay Cécile, Hankiss János munkái és a konferenciánelhangzott előadások anyagai.176<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Az Eco & Riflessioni ossia Forum Auctoris c. rovatbanolvasható egy nagyon széles körű összeállításom amegjelent néhány korabeli és jelenkori esszé tükrébenTormay Cécilről és koráról. Korabeli francia nyelvűméltatások is olvashatók, sajnos a novemberimegjelenést megelőző idő hiányában – ezen vezércikkbefejező sorainak írásakor október negyedikét írunk(vasárnap van, 19 óra 43 perc) – nem tudtam semolaszra, sem magyarra lefordítani, pedig aszabadságom alatti időktől egyfolytában, éjt nappallátéve a folyóirat ezen számán dolgoztam. Mindenképpenfontosnak tartottam a teljes kép megrajzolásához azeredeti francia szöveget megjelentetni. Szerencséremind magyar, mind olasz részről vannak franciául isértő olvasók. Az esszé-összeállításon kívül mindmagyarul és mind olaszul olvasható a Régi ház c.regényéből. egy részlet .Magyar nyelvű vezércikkem végére értem, amely csakrészben egyezik az olasz nyelvű eredetivel. Kellemesolvasást kívánok, remélve, hogy ki-ki talál magánakkedvére való olvasmányt ebben a számban is.A karácsonyi és újévi ünnepek közeledte alkalmábólkívánok áldott és szeretetben gazdag, szent karácsonyiünnepeket és valóban boldog új esztendőtmindenkinek!1Libri e scrittori proibiti di Guide.supereva.it/bibliofilia- Bttm -LÍRIKABodosi György (1925) ― PécselyAPÁMRA EMLÉKEZIKApámra emlékezik a Nap-Völgye-beli olasz falubanEgy öreg paraszt kalaplevéve.- derék ember volt - azt mondja,Az Isten nyugosztalja meg.Pedig jó fél évszázadaAz első világháborúbanJárt itt, mint osztrák katona.Igen - mondja nevetveLuigina néném az este.Mikor anyádat megszerette,Kiszedtük belőle, majd tüsténtTovább is adtuk mindenkinek,Hogy a rekviráló katonák előlVigyük jó helyre a teheneket,Rejtsük el a gabonát s egyebeket.Lehet, hogy hős volt odafenn,Mikor rohamra küldték,Mikor az ellenség rohamát várta,A Passo del Paradisón,A Passo del Tonále árkaiban.De az igazán nagy hőstettet,Amiért fél évszázada emlegetikOtt követte el, anyám karjaiban.Cserébe az olasz lány csókjaiért,Egy védtelen falu ellen készülőRablás terveit kibeszélve.HITELES HELYENHiteles helyen éltem. Itt rám szakadtA mennyezet, a tető. KirohadtA padlózat is. És nem volt szabadMegjavítani. A pinceboltozatEldőlt. Aládúcoltuk lopva. – „ÉletEz?” – térdelt elém a feleségem.„Szökjünk” – kérlelt lányaival. – „Félek,Apa!” – bújt fiam mellém – „Visznek téged!”Engem? – hősködtem. Közben nehéz léptekVették körül házunkat. Ellenségek?Azám! Barátok s szomszéd. Rossz szavakHatoltak át a falon. Nem volt szabadIdézni. Érteni sem volt szabad.Hiteles helyen éltem, hol – így értsed! –Szögessé váltak a léckerítések,Börtönrácsokká ablakrácsaink.Természetellen valókká vágyaink.A szülőszeretetet, istenfélelem,A szerelem is… Mégis e helyen,Itt végigszenvedve, tűrve, félelemNélkül – dehogy e nélkül – gyáván lapulva,Ám azért dacosan mégis kitartva.Magamnak, másnak is megbizonyítva.Bizonyságot téve múlt, jövő, jelenEmberkéinek, hogy én itt e helyenÍgy éltem. Jól nem, de hitelesen!Az idő marasztalása c. kötetből (Veszprém 1998)LEJÁRT A VILÁGSavanyú kenyérrel élünk,Ecetes borral.Kicsorbult késsel eszünkFérges almákat.Szállni bíztatunkSzárnyaszegett madarakat.Kacagni kérlelünkMegesett lányokat.Lerontott hídakon megyünkRombadőlt városokba,fölgyújtott falvakat,kiirtott népeket keresünk.Lejárt a világSzavatossági ideje.A Nap hiánya c. kötetből (Magvető, 1972)Botár Attila (1944) ― VeszprémÚJABB FÉLCÉDULÁKXXI.Megálltunk a Tíz Köröm terénél.Az igazaknál. Október. Pohár bor.S ragyog hajad értük, mint az éjfél.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 177


Ketté nem oszt, de összeköt a távol.XXII.Nem itt kezdődik el történetük,mert ez csak alvás, igazibb az álomnyitottakönyv: az ő s az í betűkmás mondatokban élve s egy szabályon.X<strong>XIII</strong>.Vizek szabálya. A Bükkös, a Sédjátszik a nappal, így közös a nyelvük –viszi a sárgult fűzfák levelétarany szavak vonulását figyeljük.X<strong>XIV</strong>.Te Születetlen! S örök áradás.Mielőtt, a hangszeredet, letennélmeleg földedbe, tágabb gödröt áss:egy sugaracskád pihenjen szivemnél –nyugtat, gyógyít, elragad.Új Zéland pohutukáwavirága és lombja zöld,mégis a legforróbb nyárravérszínű palástot ölt.Szépségét is ingyen adjae háztáji bíboros,vérét gazdagon hullatjaszőnyeggé, mely vérpirosTelkünk bűvös ereklyéjes örök ura is talán:szálljon fenségéből béke,szépsége s árnyéka rám!(1995.)XXV.Bőröm bőrödnek susogja: „Te szép”,mikor érintem eleven havát. Hátlehet hogy nem is volt mindig beszéd?Helyette fák? Sudár Simogatásfák?SHAKESPEARE-SOROZAT– VII.William Shakespeare (1564-1616)5. SonnetElöl van a postaládameg egy birsalmabokor,melyről őszi szelek szárnyamindent zölden lesodor.Vén kerítésünk alá futinda, virág, zsenge fű,fűvágáskor a halálukunott és egyöntetű.Gyöngyös Imre (1932) ― Wellington (Új-Zéland)POHUTUKÁWÁMKis lakomnak háza tájaegy: a kertem udvarom.szélessége, hosszúságaépp, hogy lábam nyújthatom.Those hours that with gentle work did frameThe lovely gaze where every eye doth dwellWill play the tyrants to the very same,And that unfair which fairly doth excell;For never-resting time leads summer onTo hideous winter, and confronts him there;Sap check'd with frost and lusty leaves quite gone,Beauty o'ershadow'd, and bareness everywhere.Then, were not summer's distillation leftA liquid prisoner pent in walls of glass,Beauty's effect with beauty were bereft,Nor it, nor no remembrance what it was;But flowers distill'd, though they with winter meet,Leese but their show: their substance still lives sweet.Szabó Lőrinc fordításaA ház mögött kacskaringó,keskeny mezsgyenyom vezet,fölé árnyat lomhán ringó,hatalmas fám lombja vet.Törzse, mint egy antik oszlop:egy pár gerendányi ág,mint levéltől, ágtól fosztott,természetes hintaágy.Fenti sűrű, mély-zöld lombjaágas-bogas árnyat önt,mint egy óriási gombamegvéd, mikor szél dühöng.Az órák, melyek halk remekbe fogtáka szép látványt, mit minden szem csodál,zsarnokként törnek majd rá s tönkre rontjáka gyönyörűt, mely most oly fényben áll;mert nyarunk, a meg-nem-álló időzord télbe hajtja és ott megöli;fagy nedvet ront; a friss lomb: lombeső;szépség: hó alatt; s táj? csak romjai!...Nem lenne akkor üvegcsékbe fogvaa nyár párlata, folyékony fogoly,a szépség s hatása oda volna,és emléke sem maradna sehol.De jöhet tél: szűrt virágnak csak aszíne hal el: él édes zamata.Verőfényes, derűs nappalenyhe, hűvös árnyat ad,bánatomban megvigasztal,178<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Gyöngyös Imre fordításaAz órák gyengéd műve az a kép,melyen minden szem szívesen pihen,a zsarnokoknak is eljátssza még,hogy kiváló mint lesz érdemtelen.Az ernyedetlen idő a nyaratundorító télbe vezeti el.a levelek nedvét rontja a fagys kopár szépséget föd a hólepel.Nyár párlata, ha nem is lenne más,mint folyékony rab üvegfal mögött,szépség hatása a szépségre gyászs még emléke sem lehetne örök.Virágok lényege, bár télbe fut,tömény műsoruk: édes illatuk.Gyöngyös Imre fordításaNe engedd, hogy a tél érdes kezemegrontsa benned nyarad párlatát;górcsőbe szorult édes kincsed eszépség-kincs, míg magára mér halált.E gyakorlat nem tiltott uzsora:a kölcsönadót tartja boldogan;tenyészd magad, hogy így légy szapora:tíz légy az egyben, tízszer boldogabb!Boldogabb lehetsz, mint művészeted,ha tízszeresen újított a tíz;ha meghalsz is a halál mit tehet,megőrzi, mi utókorodba visz.Ne légy makacs, hiszen te tiszta vagy,haláldíjként férgeké ne maradj!Gy.I. megjegyzése:Itt az első négy sor értelmi zűrzavarát szépen és nagyonköltőien megoldja, de az alapjelentése mégis más: amásodik sorban szereplő bámulnivalóra (a természet) azsarnokokat is rászedi (rájátssza) és ezáltaligazságtalanná válik a természet gyönyörűsége: veszíterkölcsiségéből!A Bárd irigyli a természet szépségét a zsarnokoktól!6. SonnetThen let not winter’s ragged hand defaceIn thee thy summer ere thou be distill’d;Make sweet some vial; treasure thou some placeWith beauty’s treasure ere it be self-kill’d.That use is not forbidden usuryWhich happies those that pay the willing loan;That’s for thyself to breed an other thee,Or ten times happier, be it ten for oneTen times thy self were happier, than thou art,If ten of thine ten times refigur’d thee.Then what could Death do if thou shouldst depart?Leaving thee living in posterity?Be not self-will’d, for thou art much too fairTo be death’s conquest and make worms thy heir.Szabó Lőrinc fordításaNe hagyd hát, hogy törölje nyarad arongykezű tél, mielőtt szűrve vagy:édesíts egy fiolát, s míg tovanem tűnik, rakd ki kincsraktáradat.Nem tiltott ügylet kölcsönadni pénzt,melyért az adós boldogan fizet;nemzz magad helyett új, második Én-t,vagy - tízszer jobb! - nemzz egy helyett tizet;boldog vagy s tízszer boldogabb leszel,ha tízszer visszatükröz tíz tükör;mit nyer veled a sír, ha menni kell?Itt hagy a jövőnek, noha megöl!Ne makacskodj, túlszép vagy semhogy asír kincse légy s férgek diadala.Gy.I. megjegyzése:Ezt a szonettet Shakespeare egészen biztosan magánakírja. Egyébként ez az egyetlen pont, ami kimenti SzabóLőrinc „ha tízszer visszatükröz tíz tükör” sorát, amelycsak hozzáköltés, mert tükörről nincs szó! Az elképzelésmégis helyes, mert kétségtelen, hogy a Bárd azönmagához írt szonettek nagy hányadát tükörképébőlihlette.Szabó Lőrinc nagyon szép verset alkotott pontosanazzal, hogy az eredeti angol szövegtől messzebbremerészkedett!7.) FolytatjukGyöngyös Imre- Wellington (Új-Zéland)-Hollóssy Tóth Klára (1949) ― GyőrSZISZIFUSZI HARCSötét felhők úsznak át az égen,magamba mélyedve, merengőn lesem,napom, fenn elborul sötéten,míg ábrándjaim egyre kergetem.Az életem konok hitemmel élem,mindenütt rend kell, s igazság legyen!a hazugságtól felforr a vérem,ózondús légben dús erdő terem.Az igaztalantól lázad lázas énem,igaz eszméim bátran kergetem,s nem lelem, csak képzeletem végtelenében,de otthonom, végképp sehol sem lelem.Nem ül el vágyam sohasem szépen,valami mélyen mindig megsebez,szeretne lenni valóságfényben,nem nyugszik el az álmodó képzelet!A lélek-láng lobog, ábrándom kergeti,a szépség, jóság belülről melenget,az ősi tisztaság bőszen hirdetia rendet, s közben ördögök feleselnek.S akarnok tűfokán a képzeletnekaz öntisztítás megkezdi folyamatát,- Tovább! Tovább!- kiált a végtelennek,s a sziszifuszi harc folyik tovább.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 179


Kovács Anikó (1953) ― BudapestAU LIEU D’UNE PHOTO(Arckép helyett)(Neked...)Boldog, kiben a szelíd béke ésbölcs nyugalom testet ölt,ki nem hátrál meg soha: sem más,sem önmaga előtt,és bár esze, szíve megtanulta(mert így akarta...)hogy a holnapban erő van és bizalom,- elméjét is ehhez igazítja -,fejét mégis mélyen lehajtja, - szótlanul,és nem tud felelni:hol van a jövő és milyen volt a múlt....lásd, én ilyen vagyok.Ha kérdezed, nem tagadhatom, -sokszor van komor éj bennem ésmár alkonyatkor csillagok,mégis, - mindig, mikor végül hazajöttemgondoktól földre nyűgözötten, -a derengő párafény világolt tovább,és fölöttem a hegy már sejtette azeljövendő esték bánatát......de amikor a mennybolton betörtaz összes fényes ablak,és sorban felvillantak a lobbanó tüzek:ámulva néztem megtisztult szívvelfenséges és imásan szép röptüket.Éjjel csellók mélyzúgású hangja mellett éshűvösen nyugtató lombok alatt alszom el:jóízű napok hevernek lustán mellém bújva,gondjaim láng-korbácsa ekkor megpihen;mert vízre, kőbe, fára, földre,mindenhová talpadnak nyomai merülnek, -csodálod-e, mondd, ha Buda áttetsző,hígan kék ege így ezerszer derültebb...?!...hisz mindenhol ott vagy:ahol a felkavart őszi lombot elnyelia földnek szakadéka;ahol a gyöngyporzású kék tengerbe hull avén Nap fáradttá görbült jószándéka;a város, ahová forró éjjeleken benéz a Holdés hűsítő árnyként omlanak le a fellegek:bármerre nézek, ott vagy, és tégedver vissza minden ébredés és tett.Szavaid naponta boldoggá ölelnek,kína-kék bennünk az ékes remény, mígmézpergető lassúsággal csordogálPasarét fölött ránk a sárga fény- a Nap csókja tapad így ablaküvegremájusi verőfény idején - ,...és hiába, hogy néha magamra maradtam:én úgy nem megyek el soha innen,hogy lelkemben harag van.Szeretném még sokáig hallani hangodat,és annak mélységes, tiszta csöndjét, -mielőtt egyszer s mindenkorra,mindenkitől végleg elköszönnék...Kapnom kell tőled a porszemnyi jelet:hisz rajtunk kívül ezen a világonsenki sem fog majd arra emlékeznihogy én valaha szerettelek, - és arra sem,hogy te olyan voltál, mint egy vásott gyerek,kinek fejében már régen megszületett a szó,melytől megváltozott az életem ésminden, - addig megálmodott képzelet...Látod...? Nekem ajándék és öröm a világ,melyben az Isten finom ujjal és bölcsmosollyal tolja előre az óra mutatóját.Eduard Mörike (1804-1875)AN EINE AEOLSHARFETu semper urges flebilibus modisMysten ademptum : nec tibi vesperoSurgente decedunt amores,nec rapidum fugiente Solem.(Horaz)Angelehnt an die EfeuwandDieser alten Terrasse,Du, einer luftgeborgen MuseGeheimnisvolles saitenspiel,Fang an,fange wieder andeine melodische Klage!Ihr kommet, Winde fer herueber,Ach! von des Knaben,Der mir so lieb war,Frisch gruenendem Huegel.Und Freuehlingsblueten unterweges streifend,Uebersaettigt mit Wohlgeruechen,Wie suess bedraengt ihr Saiten,Angezogen von wohllautender Wehmut,Waschend im Zug meiner Sehnsucht,Und hinsterbend wieder.Aber auf einmal,Wie der Wind heftiger herstoesst,Ein holder Schrei der HarfeWiederwollt, mir zu suessem Erschresken,Meiner Seele ploetzliche regung;Und hier – die volle streut, geschuttelt,All ihre Blaetter vor meine Fuesse!EGY EOLHÁRFÁHOZTe mindig szüntelenül siratodMystét, kit a halál elragadott: nekedNem támad fel a holt szerelem,sem az esti csillagtól, sem a tűző naptól.(Horatius Liber II / Carmen IX.)Fordította © B. Tamás-Tarr MelindaTámasza vagy a repkényes falnakEzen az öreg teraszon,Te légből kapott könnyű múzsa,titokzatos hárfa,dalolj,dalolj most nekem,kérlek, melódiádra várva!180<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Ti szelek! segítsetek! hozzatok hírta fiúról, ki kedves volt nekem,kinek most füvet zöldül sírja,hozzatok hírt róla, hozzatok nekem!Új tavaszi virágokat simogatvahadd telítődjem az ő édes illatával,hogy vigasztalja szívemet,tudom, hogy többé visszahozhatatlan.Jöjj, suhanj e húrok közé,segítsd visszahozni, s hagyni pihenni újra.És egyszer csak,élénkült a szél,a hárfa értő hangon beszélt,ideszórta a távolbóla szeretett lélek rezdülését,mint rózsa szirmát hullattamind, mind elém.Fordította © Hollósy Tóth KláraSEUFZERJesu benigne!A cujus igneOpto flagrareEt Te amare:Cur non flagravi?Cur non amaviTe, Jesu Scriste?- O frigus triste!(Altes Lied)Dein Liebesfeiuer,Ach Herr! wie teuerWoll ich es hegen,Wollt ich es plegen!Habs nicht gehegetUnd nicht gepfleget,Bin tot im Herzen –O Hoellenschmerzen!SÓHAJJézus, köszönetNeked,Kitől a szerelem ered!Vágyom lángolniÉs Téged szeretni:Jézus Krisztus, teNem lángoltál? Miért?Nem szerettél? Miért?- Óh, búskomorhidegség!(Régi dal)Hő tüzedet Uramékemül akartam,Örökké védeniÖrökké ápolni!De nem őriztemS nem ápoltam,- Óh, meghalt szívem,megfagyott a kínban.Fordította: © B. Tamás- Tarr MelindaFordította: © Hollósy Tóth KláraPete László Miklós ― SarkadSZERELEM NEGYVEN FÖLÖTTEz már talán az utójáték,Vagy még a darab közepe?Mindegy, hiszen már úgyse számít,Hogy a közönség tapsol-e.————————Sok tőkeagyú parazitaLopja sunyin az életünk,Szegények! Nekik veszteséges -Mi meg gazdagok lehetünk.————-A majomcsürhe kínos éhétNem csillapítja semmi sem,Már nem soká lesz adómentesNegyven fölött a szerelem.—————-Mi még élhettünk szerelemben,S akad öröklét-vagyonunk;El nem vehetik, Drága Gyöngyöm,Legfeljebb holnap meghalunk!TITOK1.Sóhajt a nyár, ha hallja sóhajod,A fű remeg, ha lábad ráteszed,Világot épít a szívdobbanásod,Gyönyört csillámlik tündöklő Szemed.Mikor felizzunk, bolygó végtelenkéntSzületnek bennünk a csillagködök,Lélektestünkből forró látomáskéntCikáznak szerte a szent örömök.Testünk a föld, lelkünk a mérhetetlen,Míg percek fogynak, évek hullanak,Öröklétet találnak szent szavak,Amíg a vérem zúg, a szívem dobban,Szeretlek, Kedves, percről percre jobban.2.Vágyak völgyében csillog már a harmat,Rózsát a fény a Nap hevére tár,Huncut tövében vágy virága sarjad,Kelyhének mélyén csók tüzére vár.Add szirmodat, mert kéjre szomjazom,Add szirmod, mert hiánya fáj nagyon.Testem a vágyam lüktető adósa:Megcsókolom, hiába fél a rózsa.Forrás fakadhat, szikla meghasadhat,A Hold, a Nap mehet, vagy elmaradhat,Ha kéjes kínban felsikolt az égre,Csak akkor lesz a forró csóknak vége.Akartál, elvettél: tiéd a vérem,Most itt vagyok, és nincs többé szemérem!(1991. június 26.)(1991. július 4.)<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 181


ÁLOMRAPSZÓDIAKödös, borongós, szürke délután,S a hosszú nap utánVágyam:Az ágyam;S a párnák közt a meghitt Közelséged.Szeretlek Téged!A mindenség hatalmas tortájábólEgy szeletKépzelet;Felhőben lebegniA világ felett,Napszélben ázni,Titkok roppant szirtfalára mászni,A félelem zord egét tapogatni,HullámverésbenRettegve forogni;Minden reményt a mélybe ejteni;S reggelre mindezt elfelejteni….Míg engem látsz: ne félj,S remélj!Míg életre kelt minden ébredés,Irigy halál hiába ostromolhatA külvilág a fejünkre omolhat;Jöhet rosszindulat, hivatal, számla:Az éber valóság ezer rossz álma;Ne fél,Remélj!Kint didereg az őszi este teste,A csalfa telet hiába kereste,Bent béke dúdol,S duruzsol a kályha,Új álom vár ma,Éjfél utánVágyam:Az ágyam,S a párnák közt a meghitt Közelséged.Szeretlek Téged!PRÓZABodosi György (1925) ― PécselyMÚZEUMI BESZÉLGETÉSEK II.A kudarcEgyik nap olyan, mint a másik.Vagy mégsem? Szótlan számáramindkettő igaz lett. Erről az akettétörött kőbalta beszélt nekem,amelyet többször is sajnálkozvavettem a kezembe.Pedig a legkeményebb bazaltból volt a kő. Jó kézbe,vagyis inkább kezekbe is került, mert mielőtt Szótlanfoglalkozott a megmunkálásával, már számos elődjepróbálkozott a kilyukasztásával, talán tíznél is többen.Kellettek a törzsnek ezek a kilyukasztott éles kövekbőlkészült balták. Nélkülük nem csak a fákat nem tudtákvolna kidöntögetni, de a vadak ellen sem bírtak volnavédekezni. Szótlan kezébe akkor került ez a kődarab,amikor már a kisujja hegye belefért a rajta levő lyukba.Esélye sem volt arra, hogy befejezze a munkát, deazért reggeltől estig, egy fatuskón üldögélvecsiszolgatta, vésegette szótlanul a kődarabot. Emiatt isnevezték el Szótlannak.Azon a napon, amely mégsem volt olyan, mint amásik, megtörtént az, amit a legnehezebb volt elviselni.Minden előzmény nélkül széttört a kődarab, ésértelmetlenül, befejezetlenül, kettéhasadva,csúfoskodott az alatta lévő fadarabon.Nem a büntetéstől félt, szinte remélte is, hogy őtokolva a hibáért, a főnök mérgében agyoncsapja. Denem így történt. Sajnálkozva vette kezébe a főnök akövet, de szeme elé tette, s alaposan megforgatta,aztán kijelentette: nem a te hibád. Valamihajszálvékony idegen anyag került bele a kőbe, ami abajt okozta. Ugyan ki tudhatta volna előre, hogy ilyesmivan a belsejében? Aztán elővett egy másik kődarabot, sSzótlan kezébe nyomta. Eredj vissza a helyedre, s kezdjbele ebbe az új feladatba! Ez nem fog kettétörni, mégfiaid fiainak unokájának kezében sem, hiszen csakéleket csiszolunk belé. Bot végére erősítve így ishasznos szerszám lesz belőle.Szótlan lehajtott fejjel - mert még mindig magáénakérezte a kudarcot- ment vissza a helyére és szótlanul,ugyanúgy szorgoskodva kezdett bele az új munkába. Sezentúl valóban egyik napja olyan lett, mint a másik.Cserfes és Unda civakosásaiEzt a különleges medvetalp alakú edényfül mesélte,úgy, ahogyan egyik cserepeslánytól hallotta.Az agyagedények készítését nálunk mi lányokvégeztük. Jól megfértünk egymással valamennyien,csak ritkán csipkelődtünk valami miatt. Abban ismindannyian egyetértettünk, hogy a fölénk rendeltfelügyelőt, a főnök lányát Undát valamennyien utáltuk.Nem csak belekötött mindig még abba is, hogy hogyanállunk neki az agyag formálásának, de amikor egy-egyszép edényt elkészítettünk, a saját érdeménektulajdonította a sikert, s úgy is mutogatta apjának afőnöknek és mindenkinek, mint a saját leleményét. Mitaláltuk ki, hogy bütykök helyett átfúrt füleketragasztunk az edények falához, ám erről is egyre csakazt állította, hogy ő vezetett rá minket erre. Az egyikleány, akit hol Nyelvesnek, hol Cserfesnek neveztünk,minduntalan ellenkezett vele. Azt is ő találta ki, hogyengem, a medvetalp formájú fület ragassza rá az edényfalára. Mikor Unda meglátta ezt az újítást, végre nemfogadta el a sajátjának, sőt korholni kezdte Cserfest,mondva, hogy miként képzeli el ezt az ostobaságot.Ekkor Cserfes leült és a jobb lábát a bal füléhez, ballábát a jobb füléhez helyezte. Meg lehet az ilyesmitcsinálni - mutatta. No persze csak olyan karcsúteremtésnek, amilyen én vagyok, és nem olyan elhízottdebellának, mint te, Unda. Ezen még jobban felbőszültUnda, az apját hivatta. A főnök azonban máskéntvélekedett. Dicsérte a lányt, akinek ilyen jó ötlet jutottaz eszébe. S aztán a lányát korholta. Nem azért vagy teitt, hogy megakadályozd ezeket a lányokat a jobbnáljobbötletek megvalósításában. Légy büszke arra, hogyilyen jó kezű és eszű lányok élnek közöttünk.182<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Unda nem volt büszke rájuk. Ám amikor Cserfeskitalálta, hogy nemcsak mellbimbó formájú dudorokattesz az edényekre, hanem az edény alját a női fenékformájára alakítja, ezt is saját leleményének akartatulajdonítani. Ám csak addig, míg meg nem hallotta,amit az egyik lány mondott: jó nagy segget gyúrt azedényaljra Cserfes, nemhiába az Undáéról mintáztameg. Ekkor Unda fogta és földhöz vágta a nőfenékformájú edényt, porrá zúzta, taposta. Így értettemmeg, miért nem került elő egyetlen fenékformájú edénysem a földből.Czakó Gábor (1942) — BudapestCENZÚRA– Eddig azt hittem, hogyleginkább mi, borászokkényszerülünk arra, hogy apincéből áruljunk, mivel akereskedők szemérmetlenülmagas haszonnal dolgoznak – szólt Szőlősgazda,amikor a negyedik zápor söpört át a tájon a fényes Napszeme láttára.– A tisztességtelen haszon a könyviparban is divatozik –felelte Rezesorrú Drámaíró –, ám a mi szakmánkbanműködik még egy szempont. Ha bizonyoskönyvterjesztőknek nem tetszik a magamfajtákvéleménye, akkor fújhatjuk.– Sok évig viszegettem könyveimet egy fővárosi boltba,melyet egy hosszúhajú férfiú vezetett, Hamvas Bélabuzgó olvasója és tisztelője.– Ízlésük tehát találkozott – szólt Szépasszony.– Igen. Jókat beszélhettünk, a könyveim pedig az üzletméretéhez képest szépen fogyogattak. De mit ad Isten,a cégtulajdonos eladta a boltot, és az új gazda ahosszúhajút, meg az egész személyzetet kitette. Ettőlkezdve egyetlen művem sem adódott el. Beballagtamtehát egy jókora hajléktalan-szatyorral a visszáruért. Azúj főnök – amúgy bájos és kedvemre valóanjelentékeny hölgy – zavartan tördelte formás kacsóit, smentegetőzött: Ne haragudjon, egyáltalán nem keresika vásárlók az ön műveit. Terikém, segítenél? Terikémsegített, kereste a könyveimet a névbetűmnél, aszépirodalomnál, a színműveknél, a regényeknél,mindenütt, de sehol sem találta, illetve találtuk, mertvele buzgólkodtam. Végre bementünk a raktárba, ottsem. Már csak egy hely maradt, a vécé. Na, ottmegleltük valamennyit, kicsomagolatlanul a mosdóalatt.BAKIHa már így esett, Rezesorrú Drámaíró is előhozakodottegy színházi történettel, miközben legalább ÉrdemesPéter színművészt messze meghaladóan terpeszkedettel vas karosszékében, amely már vagy száz esztendejeszolgált kertekben, diófák alatt. Talán Szépasszonyteraszán is, mert Szépasszony lehet huszonnyolc évesis, száz, vagy akár ezer.– Nos – kezdte meséjét a hajdani színházi szerző –, egyidőben sokszor megfordultam a V.-i színházban, aholkét darabomat is bemutatták az idők folyamán. Sajnos,nem lehettem jelen azon a bizonyos eseményen, ami azegész város életét fölbolygatta.– Már azt hittük, hogy te bolygattad föl a várost –szúrta közbe Érdemes Péter, a színész.Rezesorrú Drámaíró körbe emelte vörösboros poharát, sfolytatta. – Valami francia vígjátékban lépett színre egykezdő leányka, nem is igazi színész, csak olyanfélamatőr, aki a helyi társulati stúdióban tanulgatta amesterséget. Szobalányt alakított, s egyetlen mondatjutott neki. Bejött a színpadra a teával, amikorcsöngettek. A háziasszony rászólt: Nyisson ajtót, Teri!Mire ő egy pillanatig téblábolt a tálcával, miközbenösszekeveredett szájában a három agyonszopogatottszó: Bocsánat, egy pillanat, és így csusszant elő:P…csánat, egy bollanat!– Akkora röhögés támadt, hogy nem lehetett leállítani.Valahányszor folytatni akarták az előadást, újra és újrakitört, végül le kellett engedni a függönyt.– Azt hiszem, hogy a közönség jól mulatott, s eszébesem jutott visszakérni a belépődíjat – vette ki részét asikerből Érdemes Péter.Szitányi György (1941) — GödöllőSZŐRŐS GYEREKEIM–XI.Loncinak a csillagjegye ismeretes:oroszlán volt, akár Bence,de ez semmit sem jelent: azoroszlán is macskaféle.Erős a gyanúm, hogy a csillagjegyek oly nagyonmégsem megbízhatók, vagy ha mégis, akkor rosszulvannak kitalálva, mivel Lonci egész biztosan vagy azÉpítőmérnök, vagy a Vízvezeték-szerelő jegyébenszületett. Igaz, hogy Bencével egyszerre, de Bencéresokkal inkább a Lusta Disznó csillagkép nyomta rábélyegét. Egyedül az étkezés érdekelte, amiben igazavan.Ha már egyszer no sex, legalább enni lehessen. Az őkedvence a hal volt. Amikor halat ettünk, néha előbb ülta székemen, mint én, és még verekedni is kellett vele,hogy átadja a helyét. Olyankor vagy az ölembepofátlankodott, vagy átment az anyai ölbe, ahonnankönnyebben elérte a tányért. Ha megfenyegettem azujjammal, elkapta, és megharapta.Lonci mindent szeretett, ami ehető volt. Olyanerőszakos volt, hogy még a tatár beafstek-et iselkövetelte. Adtam neki. Gondoltam, ez lesz olyanbrutális elvonó, mint amilyennek a fürdőkád-kúrátszántam egykor.Lehunyta a szemét, és megette a jó csípőshúsneműt. Amikor később kiderült, hogy mindentszeret, amit mi eszünk, itallal is kínáltam, de azt nemszerette meg.A fürdőkád-kúra primitív trükk volt. Lonci mégakkora volt, mint egy komolyabb szilvás gombóc,amikor felfigyelt arra az összefüggésre, ami a fürdőkádlefolyója és a vizes blokk között mutatkozik. Eléggéidegesítő volt, hogy a szürke csöppség, amintmegnyitottuk a csapot, beugrott a kádba, és nézte, mitörténik a vízzel. Ez azt jelentette, hogy a fürdés nálunka kád többszöri loncitlanításával kezdődött. Azelvonókúra ötlete akkor született meg bennem, amikora párom dühösen kihajította a csuromvíz szőrmókot,<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 183


hogy ebből elege van, a kis hülye beugrott mellé akádba, és vele akart fürdőzni.Másnap jó hideg vizet engedtem a kádba, volt vagyarasznyi, amikor mintegy véletlenül kinyitottam az ajtót.Lonci besettenkedett, felpattant, és beugrott. Akkorátsikított, mint egy ijedős balerina, ha egeret talál afiókban. Onnan, persze, a vízmélység miatt már nemtudott kiugrani. Nekem kellett kivennem. Ettőlmegszégyenült. Mivel olykor Bence is be-beugrott néha,hogy megnézze, mi van ott, ami oly nagyon érdekes,Lonci, mivel bármennyire szőrös és kicsi, mégis csakgalád nőből volt, hamarosan beterelte Bencét is. Nemtudni, hogyan vette rá, de besompolygott a csíkos, éstöbbszöri nekifeszülés után beugrott a kádba. Üvöltött,mint egy sakál.Biztos vagyok benne, hogy Lonci kint hempergett aröhögéstől. Ezt az is bizonyítja, hogy amint kivettemBencét, és óhajára megszárítgattam, a csíkos, mint egyigazi tigris száguldott ki a fürdőszobából, és nyombaniszonyú verekedés zaja hallatszott. Mire kinéztem,Bence homloka véres volt a hátsó karmokkapavágásaitól, Lonci azonban rémesen fel voltpofozva, és körülötte rengeteg szürke szőr mozgott abunyó keltette huzatban.Később rájött a kislány a mosdó és a fürdőkádcsapjai, valamint a lefolyórendszer összefüggéseire.Attól kezdve általában a mosdókagylóban tartózkodott,és akkor sem volt hajlandó kiszállni, amikor kezetmostunk. Amikor ráuntunk a területfoglalására,kidobtuk onnan.A szakkönyv, magyarázta a hitves, azt írja, hogyelőbb-utóbb nem a macska lakik nálunk, hanem mi amacskánál.Erre én is mondtam valamit, de az nem érvényes,mivel nem volt a szakkönyvben.Hamarosan a vízvezetékrendszer újabb csodájárafigyelt fel Lonci. A párom szépen a vécébe öntögette aszennyes lét, mert egy fővárosi otthonban erre máslehetőség nincs, nálunk pedig egyre több olyanmosnivaló keletkezett, aminek leve eltömte volna azejtővezetéket. Ezért volt az, hogy kiöntés előtt és utánkönyökkel nyitotta-csukta a mellékhelyiség ajtaját, ésez nem mindig sikerült tökéletesen. A keskeny réstaddig piszkálta Lonci, amíg be nem fért. Egyszer, egybékés, tévétlen vacsora közben csurgást hallottunk.Valahol vékony sugárban folyt a víz. Még senki semgondolt vízdíjra, de a párom szakmai ártalom(értelem?) folytán nem szenvedhette a fölöslegesvízfogyasztást. Rohantam a fürdőszoba felé, aholsemmit sem találtam, vágtattam vissza, amikor látom,hogy a ház takarékos úrnője a szája elé emelt ujjal,némán, de sürgetve hívogat.A vécéajtó félig nyitva volt. Lonci kuporgott a kagylófölött, és rendeltetésszerűen használta a toalettet.Ki meri mondani, hogy ezeknek nincs eszük?, kérdezteaz asszony post factum, amikor már nem zavarhattameg kislányát. Ki meri?!, dühöngött, és persze abölcsészen volt a válaszadás sora. Leontyev elvtárs,mondtam.Kicsoda?Leontyev. Kéri Elemér is őt idézte, amikor arról voltszó, hogy használ-e a majom szerszámot, és tanúsítanikellett, hogy csak az ember használ eszközt, sőt mi mégkészítünk is.Erre ingerült párom szexista vonatkozásúmegjegyzéseket tett a Leontyev családjában találhatóösszes szerszámra, majd átmenetileg elcsitult.Már csak egy családtag használta a zeolitot vécénekés szagtalanítónak. A párom ráhelyezte Bencét is akagylóra, hátha felfogja a jelentőségét. Nem fogta fel,sőt, amikor le akart ugrani, be is csúszott a szaniterbe.Tápász, neheztelt a pár, kiemelte a budiból a csíkoskrapekot, és mély megvetéssel utána kiabált: mégehhez is lusta, tiszta apja.Ez méltatlan kijelentés volt. De mit várhat az emberegy nőtől?Lonci a folyadékokkal szemben megkülönböztetettfigyelmet tanúsított, de sosem árulta el, miért nemhajlandó tejet sem inni, csak tiszta vizet. Még Aba ismindent ivott, de egyszer vörösborral kínáltamvalamelyik születésnapunkon (négy nap távolságra van,ezért a közös születésnapunk a két dátum számtaniközepén ünneplendő). Aba megitta. Mély nyomokathagyhatott benne, mert miután kiheverte a kísérletet,többé nem fogadott el szeszesitalt.A nagy vadász időnként meglepett egy-egy vacsorárahozott egérkével, de egyre többet pihent.Nem tetszik nekem, jelentette a hitves. Én semvoltam kibékülve a leány állapotával, és bár tudtam,hogy magas korban van, ezt magam sem találtamkielégítő magyarázatnak. Evett, mint egy nagyobbsáskaraj, de ritkábban ugrott az ölünkbe, inkábbheverészett, és hiába hevertem az ágyra, nem mászottse a nyakamba, se a mellkasomra, sőt még az arcomonsem akart bukfencezni.Gyanakvásra késztető magatartásáról egyéjszakánként ismétlődő esemény terelte el afigyelmünket: valahol a közvetlen közelben egy kiskutyasírt minden éjjel. Nem akárhogy, hanem mintha éppengyilkolnák. Napokig kerestük, mi lehet ez, de nemtaláltuk, ami a páromat megnyugtatta, engem azonbanidegesített, mivel a pici hangja fájdalomról sírt, ütemesvolt, mintha vernék, és mégsem találtam. Akísértetekben nem hiszek, csak abban, hogy vannakkísérteties csirkefogók, akik kínozzák az állatokat, mertők az erősebbek, és kínozni élvezet.Ezen mit sem változtat, hogy az ilyenekből szívesencsinálnék szellemet, de a korosodás és következményeitörvénytisztelő polgárrá teszik a legmegátalkodottabbanarchistát is.Feltett szándékom volt, hogy előbb-utóbbmegtalálom az éj leple alá húzódó állatkínzót, ésugyanazon lepel alatt éktelenül fejbe verem akapanyéllel.Nekem semmi vérfürdő nem jön össze. Másnapdélután, amikor hazatértünk, a ház ajtajában Bernátmelegítőfelsője volt, szép szabályosan kiterítve. Aközepén egy kis lény kuporgott. Körülötte csontok,gumijátékok és egy gumilabda volt elhelyezve.A lény nem tudott lábra állni. Négy lábában darabostörés volt, bordái a bal oldalán bezúzva, többszöröstörést lehetett kitapintani, a sebeiben zölden ült a gaz.Teljesen ki volt száradva, és a szemein látszott, hogyeddig, és nem tovább, öljük meg, ha akarjuk, ő nem184<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


tud már mozdulni sem. Bal szemének íriszétmegüthették: két szélén befolyt a szeme fehérjébe.Rohadtak, fejtette meg a hitves a látogatás okát:bedobták a két nagy kan farkas közé, hogy majdszéttépik. De erre Bernát jóságosan neki adta amelegítőfelsőjét, és a két nagyfiú hozzáfogott, hogyfölnevelje a még szopós vakarcsot, aki legjobban egykicsi kecskére emlékeztetett, bár nyilvánvalóan kutyusvolt.Az apaszerepet Bernát töltötte be, nemi identitásábanmegzavart Bumbi pedig anyjaként nevelte a küllemeután Gidának elnevezett jószágot.Lonci ismét bőbeszédű lett. Amikor Grácit és Primusztterelgette, már felfigyeltünk hangja aranyosszépségére, és most újabb dolgokkal lepett megbennünket.Aba már régóta pontosan tudta, mit mondunk, ésamikor a párom azt, mondta, menj a papához, hozzámjött. Természetesen nem én lettem volna, ha nemmondom neki, hogy tőlem hiába kérsz, menj amamához. A „kérsz” szó nem véletlenül került amondatba. Aba visszament a hitveshez, leült a lábánál,és pitizett. Erre ment ki az egész. Hozzám azért küldte,hogy engem szekáljon, de ő általában a konyhábanvolt, és Aba orrát nem lehetett becsapni. Hiába kiabáltaz öregfiúval, az nem tágított, amíg nem kapott valamiehetőt.Lonci általában nem fogadott szót, vagy ha mégis,késleltetve. Ahogy a macskák és a színházi rendezőkmondják, tett az akcióba egy kis spétet, nehogy már aztképzeljük, hogy mi mondjuk meg, mit csináljon. Talánezért volt, hogy inkább beszélni tanult meg.Ilyet még nem hallottunk!Oda állt a főzéssel elfoglalt hitves lábához, és mivel őnem törődött vele, megszólította: Aja!Egy ideig nem történt semmi, de Lonci türelmetlenvolt. Rákiabált: Aja!!!Hallod ezt?, kérdezte a hitves megindultan, és Lonciis kapott egy keveset készülő vacsoránkból. Az igazicsoda ezután következett, nagyon emberi lejtésű kérdőhangsúllyal így fordult a páromhoz: Eje? Most kaptálkóstolót, hagyj békén!, csattant Aja.Itt vagyok, kislányom, mondtam, mivel megfejtettema mondottak jelentését. Erre rohant hozzám, le kellettdőlnöm a heverőre, mert rajtam akart ejtőzni. Te vagyaz Eje?, érdeklődött a pár. Igen, válaszoltam fagyosan.Egy szülőnek értenie kell, mit mond a gyerek. Engemkeresett.A szürke leányzó addigra már a mellkasomon hasalt,és alig hallhatóan dorombolt. Sosem dorombolt igazánmacskásan. Kis, halk doromb szólt benne, amikornagyon elégedett volt. És öreg korára horkolni is tudott.Nem úgy, mint egy kutya, hanem úgy, ahogy más nemtudott: zümmögött. Halkan, diszkréten, deegyértelműen zümmögött.Ez a közös heverés nekem, aki lustaságommalnagyon emlékeztettem a famíliát Bencére, kedvesidőtöltésem volt. A szunyókáló Loncival a mellkasomonsemmiben sem tudtam segíteni, és azt mégsem lehetettelvárni tőlem, hogy Cirmossal közös gyermekemetholmi háztartási tennivalók miatt megzavarjam.Szerk. Megj.: A tisztelt Olvasók találkozhatnak azelbeszélésben állatokkal kapcsolatban az „aki” vonatkozónévmással, amely helyesen „ami” lenne. Mivel itt az állatokemberként jönnek számításba – N.B. a valóságban sajnos azállatok sokkal emberibbek maguknál az embereknél! – az íróezért él ezzel – a nyelvtanilag helytelen – névmáshasználattal.Tormay Cécile (1876*-1937)A RÉGI HÁZ(Budapest, 1914.)I.11.) FolytatjukEste volt. A tél fehéren hullott aföldre. A havazáson át nagyjegenyék jöttek a kocsi elé.Kísértetiesen, lombtalanul jöttek a mozdulatlan síkon.Mögöttük hegyek keltek föl a hóban. Kicsinytemplomtornyok, háztetők torlódtak egymás fölé.Elszórt, apró négyszögek gyulladtak ki a sötétben.Éjszaka lett, mire a kocsi a vámsorompóhoz ért. Túla sorompón két hóba süppedt faköpönyeg álltegymással szemben. A kocsis trombitát csinált akezéből és arrafelé kiáltott. Kisvártatva álmos hangfelelt. Az őrházikók sötét üregében mozogni kezdtek afehér csákóbokréták. A sorompóőr viskójából lámpafénybukott ki. A fény mögött karabélyos ember kullogott akocsi irányába.Két színnel festett, magas kerekű utazókocsi volt; afelső fele sötétzöld, az alsó része és a kerekeicitromsárgák. Fönn, a keskeny bak mellett kicsinyolajlámpák égtek, világuk elszéledt a lovak hátán. Azállatok teste füstölt a hidegben.Az őr fölemelte kézilámpáját. A fény nyers érintésétőlszinte összerezzent a kocsiablak és hirtelen elmerült.Üresen maradt keretébe egy erőteljes, ősz fej tolódott.Két mozdulatlan, nyugodt szem nézett a sorompóőrszeme közé. Az ember meghátrált. Válla alázatosangörbült előre.— Az Ulwing-kocsi!... — Félrehúzta a sorompót. Akét faköpönyeg alatt fegyverrel tisztelgett a városipolgárőrség.— Mehet...Ferde palánkok, üres telkek fölött botorkált akocsilámpák fénye. Egy elhagyatott nagy piac. Egytemplom fala. A görbe utcák mentén világtalan házakültek a gödrök között. Lezárt szemmel ültek éshallgattak a sötétben. Odébb magasabbak lettek aházak. Ember nem járt sehol. Csak a Grassalkovichherceg palotája mellett gázolt egy éjjeli őr a hóban.Kezében rúdra akasztott vaslámpát himbált.Alabárdjának az árnyéka, mint valami ágaskodó feketeállat mozgott feje fölött a falon.A városháza tornyáról elkopott, távoli hang kiáltottbele a csendes nagy éjszakába:— Dicsértessék az Úr Jézus!... Odafenn a magasbana tűzőr jelezte, hogy ébren van.Megint elhallgatott a város. A hó nyugalmasanhullott az ormos, vén tetők között és a kiugró ereszekalatt, mint az összeesküvők, ferdén, gyanakodva jöttekelő az utcák minden oldalról. Ahol egybesereglettek,zegzugos tér lett belőlük. A tér közepén, a Szervita-kútkávájáról fagyosan csurgott a víz, mintha valakinek a<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 185


hangja lassan, akadozva imádkoznék a templom előtt asötétben.A sarokházon vaskampóról magányos lámpa lógottbele az utcába. Lánca csendesen csikorgott,valahányszor a szél meglóbálta és a fénye úgyösszezsugorodott a falon, hogy egy gyereknek amarkában is elfért volna. Az Újvásár-piac közepén mégegy árva lámpa. Füstös világa fönnakadt a sűrűhavazásban; nem tudott leesni a földre.Ulwing Kristóf beletámasztotta állát hatgallérosköpenyegébe. A naptárban ma holdtölte van. Ilyenkor amagisztrátus megtakarítja a lámpaolajat, arról pedig kitehet, hogy az ég nem igazodik a kalendárium szerintés sötétben hagyja a várost. Békés polgárembernekilyen órában úgyis otthon a helye.Két lámpa... És még ez is hiábavaló.Pest, az öreg kis polgárváros már aludt és UlwingKristófnak valahogy úgy rémlett, mintha ez máskor is,nappal is így lenne, mintha egyedül ő virrasztana ebbena városban.Fölemelte fejét: már a Leopold-külvárosban jártak.Az aprón ugráló kövezet megszűnt. A gödrök lágyak ésmélyek lettek a kerekek alatt. A Duna felől szél kapott alovak sörényébe.Egyszerre szép, szabad zúgással telt meg a csend. Azalvó partok között, a mély sötétben, mint a láthatatlanélet ment és ismételte meg magát a nagy folyó.Túl rajta fehéren sereglettek össze a budai hegyek.A pesti oldalon sík térség húzódott a víz és a városközött. A fehér mezőben magányosan állt az UlwingKristóf háza. Már vagy harminc esztendő óta hívták újháznak a városban. Esemény volt, mikor épült.Vasárnaponként kirándultak hozzá a belsővárosipolgárok. Nézegették, tanácskoztak és a fejüket rázták.Sehogy sem bírták megérteni, miért állítja Ulwingépítőmester oda a futóhomokba a házát, mikor annyifundus akad még a belsővárosi szép, szűk utcákban. Deő ment a maga útján és csak még annál jobbanszerette a házát. Az ő gondolatából, az ő munkájából,az ő téglájából lett: az övé volt egészen. Pedigvalamikor...Mialatt Ulwing Kristóf öntudatlanul hallgatta a Dunazúgását, lelkében közel jött és beszélni kezdett az, amimessze és néma volt. A régi Ulwingokra gondolt, akik anagy, sötét német erdőkben éltek. Favágók voltak és aDuna hívta őket és ők mentek lefelé a partján. Egykicsiny német városban polgárjogot nyertek.Ácsmesterek és kovácsok lettek. Tölgyfával és vassaldolgoztak, egyszerű tiszta anyaggal és hasonlóak lettekhozzá. Becsületes, erős emberek váltak belőlük. Aztánakadt közöttük egy, aki Magyarországba vándorolt,Pozsonyban telepedett meg és az ötvösmívesek céhébeszegődött. Zománcos arannyal és elefántcsonttaldolgozott. A keze könnyebb lett, a szeme finomabb,mint a régieké. Már művész volt... Ulwing Kristóf reágondolt: az édesatyjára. Ketten maradtak utána, ő megSzebasztián testvére. És mikor üressé lett a szülői ház,valami őket is hívni kezdte éppúgy, mint azokat, akikelőttük éltek. Elindultak Pozsonyból a Duna partján.Jöttek lefelé, szegényen, árván.Azóta sok év múlt el. Sok minden megváltozott.Ulwing Kristóf elővette burnótszelencéjét. Az atyjamunkája volt és az ő egyedüli öröksége. Két ujjávalgyöngéden rákoppantott. Mialatt visszasüllyesztette azsebébe, az ablakhoz hajolt.Már tisztán látszott a ház: a meredek kettős tető, azemeletes, zömök homlokzat, az apró kockákra osztottablakok és a sárga falban a nyomott tölgykapu,melynek félkörívét, mint őszbecsavarodó kőszemöldök,hajlított párkány követte. A párkány végén két urna álltés két oszlopember lenn a kapu mellett. Mindenmélyedés, minden kiugrás puha és fehér volt a házon.Odabenn észrevették a kocsit. Az emeleti ablakoksebesen, egymásután kivilágosodtak és elsötétültek.Valaki gyertyával futott végig a szobákon. A nagytölgykapu föltárult. A kerekek zökkentek, az utazóláda akocsi farához ütődött és az oszlopemberek hirtelenbenéztek a kocsiba. A patkók és kerekek zaja, mint amennydörgés visszhangzott a kapuboltozat alatt.A szolga leeresztette a kocsihágcsót.Fenn a lépcső torkolatánál egy fiatal férfi állt.Magasra emelve, gyertyát tartott a kezében. Avilágosság egyenesen ömlött le sűrű, szőke hajára. Azarca árnyékban volt.— Jó estét, János Hubert! — kiáltotta Ulwing Kristófa fiának. Hangja mélyen, röviden csengett, mint mikorkalapácsot ejtenek az acélra. — Hogy vannak agyerekek? — Sebesen hátrafordult. Mozdulatátólmeglebbent válla fölött a dohányszínű kabát sokgallérja.— Flórián! Hívd ide Fügert. Hamar!A szolga jóindulatú, széles képe előbújt a homályból.— A könyvelő úr sokáig várt...Ulwing összeráncolta a homlokát.— Hát mindenki alszik ebben a városban?— Dehogy alszom, dehogy alszom — és FügerÁgoston már sebesen jött felfelé a lépcsőn. Állandóansietett. A lélegzete rövid volt, kopasz kis fejét ferdéntartotta, mintha mindig hallgatódznék.Ulwing Kristóf a vállára ütött.— Sajnálom, Füger. Nekem addig tart a nap, amígdolgom van.János Hubert eléjük jött. Palackzöld kabátot viselt.Mellénye és nanking pantallója szalmasárga volt.Túlzottan magas inggallérjára kifogástalanul simult akétszeresen köréje csavart atlasznyakkendő.Tiszteletteljesen lehajolt és megcsókolta az atyja kezét.Hasonlított hozzá, bár alakra kisebb volt, a szemevilágosabb, az arca puhább.Mögöttük egy szoknya súrlódott a sötét folyosónégyszögletes kőlapjain.Ulwing Kristóf hátra sem nézett.— Jó estét, mamzell. Nem vagyok éhes. — Kabátjátegy székre dobta és bement a szobájába.Tini mamzell feszült, hosszú arca, a fülére lapulófekete hajpárnák közül, csalódottan tekintett azépítőmester után. Hát megint hiába várta vacsorával!És arra gondolt, hogy tulajdonképpen nincs szokva ilyenbánásmódhoz, mert az ő anyja mindig nemescsaládoknál szolgált. De hát persze, ezek az Ulwingok...Kulcsos kosárkáját egyik karjáról a másikra lódította ésharagosan vitorlázott vissza a folyosó sötétjébe.Ulwing Kristóf szobája boltíves, alacsony szoba volt.Két barlangos ablakán szétfogott mullfüggöny fehérlett.A kerek asztalon gyertya égett, faggyúból volt, deezüsttartóban állt. Világa lassan tántorgott körben azömök karszékek csíkozott, fénylő vászonhuzatán.186<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


— Üljön le, Füger. Te is, — mondotta Ulwing afiának, de ő maga azért állva maradt.— A Palatinus úr rám bízta a kastély restaurálását.Az erdőre is megkötöttem az alkut.Fölvett egy levelet a sokfiókos íróasztalról. Kezeingadozás nélkül, kíméletlenül markolt meg mindent,amire szüksége volt. Közben rövid, biztos utasításokatadott a könyvelőnek:— Reggel azonnal hozza fel a tervrajzokat. Azácsokat állítsa munkába. A tutajokat is szét kell verni aDunán.Füger sietve irkált sárga fedelű jegyzőkönyvébe.Mindig magánál hordta, még ha misére ment is,kilátszott a zsebéből.János Hubert kényelmetlenül ült a dudorosanpárnázott karosszékben. Tekintete üresen kerengett aszobában. A dívány fölött Fischer von Erlach ésMansard építőművészeknek az arcképe függött. Finom,régi kis metszetek. Ismerte ezt a két arcot, de nemérdekelték őt. A zöld papírkárpit mintáját kezdte nézni.Keskeny csíkok, zöld koszorúk. Mindegyiket külön-különmegnézte. Közben egészen elálmosodott. Többszöregymásután kihúzta a nagyfejű gombostűt, mely abútorvédő horgolást a karosszékhez tűzte és pontosanmegint visszaszúrta a helyére. Szerette volna lehunyni aszemét, de az atyja minduntalan feléje nézett. Haszóltak hozzá, hirtelenében nem tudta mit feleljen.Ilyenkor ráeszmélt, milyen régen nem figyel oda.Erőltetni kezdte magát és összeráncolta a homlokát,hogy úgy lássék, mintha nagyon törné a fejét. Aztánköhögött, pedig ásítani akart volna.Füger még mindig jegyzett. Csak akkor szólalt meg,mikor az építőmester elhallgatott:— Münster úr itt járt nálunk. A hitelezői csődbekergetik...Ulwing Kristóf tekintete merev lett.— Hát ezt miért nem mondta előbb?Füger felvonta a félvállát.— Hiszen eddig nem jutottam szóhoz...Az építőmester mozdulatlanul állt a szoba közepén.Szeme összehúzódott, mintha nagy távolságba nézne.Münster Márton György, a hatalmas vállalkozó, atudományos, diplomás építész, tönkrement. Az utolsóvetélytárs, a nagy ellenség, aki annyiszor állta el azútját, nem számít többé. Ulwing Kristófnakmegaláztatások, lihegő kemény küzdelmek jutottakeszébe és az a sok ember, akinek tönkre kellett mennie,hogy eléjük kerülhessen. Legyőzte őket. Most márigazán legelöl van.Nagy tenyerével elégedetten fordított egyet a szépfehér hatoson, mely ősz hajából csavarodott ahalántékán.Füger figyelmesen nézte őt. A gyertyafény ebben apillanatban megvilágította a csontos, beretvált arcot,melyet a téli szél vörösre cserzett. A haja és aszemöldöke fehérebbnek, a szeme kékebbnek látszott,mint különben. Kissé ferde álla keményen illeszkedett akihajló fehér gallérba és sajátságosan makacs kifejezéstadott neki.„Ez az ember nem öregszik”, gondolta a kis könyvvivőés várt, amíg kérdezik.— Münster úrnak háromszázezer rhénes forintjaveszett oda. Ezt már nem bírta.Ulwing Kristóf bólintott. Közben számolt hidegen,szánalom nélkül.— Látnom kell a Münster-cég könyveit és amérlegét. — Mialatt beszélt, arra gondolt, hogy mostmár elég gazdag ahhoz, hogy szíve is legyen. A szívnagy súly, akadályozza az embert a mozgásban. Amígfölfelé ment, félre kellett tennie. Elmúlt ez is. Felért atetőre.— Segíteni fogok Münster Márton Györgyön —mondotta csendesen —, talpra állítom, de úgy, hogyezentúl mellettem álljon.Füger a pápaszeme üvegje alatt sebesen,meghatottan pislogott, mintha szempilláival tapsolna afőnökének.Ulwing Kristóf ezzel elintézte a dolgot. Lekoppantottaa gyertya kanócát. A fiához fordult:— Voltál a városházán?János Hubertra úgy hatott az atyja hangja, minthaannak a hangnak marka lett volna, mely megrázta avállát.— Atyámuram nem fáradt? — Mint végső védelem,tódult ez a kérdés a szájába. Hátha megszabadul ésholnapra marad az egész. De az atyja feleletre semméltatta.— Beszéltél?— Igen...János Hubert hangja lágy volt és habozó. Mindig úgyejtette ki a szavakat, hogy utóbb könnyű legyen őketvisszavenni.— Elmondtam, amit atyámuram rám bízott, de azthiszem, nem volt érdemes...— Azt hiszed? — Pillanatra ravasz fény csillant megUlwing Kristóf szemében, aztán fölényesen mosolygott:— Igaz. A magunk fajtájának tennie kell... Gondolkozniis szabad, de csak akkor, ha nagy úrral mondatja ki azember, amit gondol. Mégis azt akarom, hogy beszélj.Majd csinálok belőled urat, hogy meg is hallgassanak.Füger bólintott. János Hubert panaszkodni kezdett.— Mikor azt javasoltam, hogy sorfákat ültessünk avárosban, valamelyik választott polgár megkérdezte,hogy kertész lettem-e? Az utcák világítására aztmondták, hogy a részeg emberek a házak falába ismegfogódzhatnak. Egyébre úgysem kell a lámpa.— Majd lesz ez másként is! — Az építőmester hangjameleg volt a nagy, erős bízástól.A fiatal Ulwing színtelenül folytatta:— Az új téglavetőnket is bejelentettem, meg hogyezentúl közvetítő nélkül, kicsinyben is adunk téglát, akülvárosi népnek. Ez sem tetszett. A magisztrátus uraiösszesúgtak.— Mit mondtak? — kérdezte Ulwing Kristóf hidegen.János Hubert a földre nézett.— Hát azt, hogy a nagy ács mindig a másoknyomorúságából csinál magának aranyat. A nagy ács!Így hívják atyámuramat maguk között. Pedig tavalydíszpolgárnak választották...Ulwing kicsinylően legyintett.— Ami tisztességet a városházán kaptam, az nemszámít. Azért akasztották rám, hogy a súlyától netudjak mozogni és ők alhassanak békén.— És lophassanak békén —, mondotta Füger, mialattkezével furcsa, ívelt mozdulatot tett a zsebe felé.— Ne bántsa őket, — dörmögte az építőmester —van ott sok becsületes ember.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 187


A könyvelő előrenyújtotta a nyakát, mintha feszültenhallgatódznék, aztán ünnepélyesen meghajolt és kimenta szobából.Ulwing Kristóf, mikor egyedül maradt a fiával, hirtelenfeléje fordult.— Mit mondtál még a városházán?János Hubert csodálkozó, szelíd szemét az atyjáraemelte:— Hiszen egyebet nem bízott rám...— De hát valamit mégis csak kellett mondanod?Valamit, ami magadtól jutott az eszedbe.Csend lett.A fiatal Ulwing úgy érezte, hogy szörnyűigazságtalanság történik vele. Hiszen az atyja felelősmindenért! Ő csinált belőle embert. És most nincsmegelégedve azzal, amit csinált... Egy pillanat alatt,mintegy villanásban, eszébe jutott minden. Agyerekkora, a technikus rajziskola évei, sok félénkvergődés, szótalan keserűség, gyáva megalkuvás. Ésazok az idők, mikor még akarni akart. Az atyjamegtiltotta. Mikor szeretni és választani akart és azatyja mást választott. Egy szegény varróleány nemkellett Ulwing építőmesternek. A Jörg Ulrich leányakellett neki. Az jó volt. Az gazdag volt. Rövid ideigtartott. Jörg Krisztina meghalt. De még ekkor semgondolhatott új asszonyra, új életre. A „gyerekek”,mondotta az atyja és ő belenyugodott, mert UlwingKristóf volt az erősebb és hangosabban tudta mondani,hogy neki van igaza.Szokatlan dac szállt a fejébe. Egy pillanatra vádolóanegyenesedett ki. Az álla kissé elferdült. Az öreg emberönmagát látta benne. Feszülten nézte őt, mintha atekintetével akarná tartóztatni fia szemében azt amakacs erőt, amelyről nem tudta, miért nem volt ottmindig és miért volt ott most.De János Hubert tekintetében lassan megint kialudtminden ellenállás. Ulwing Kristóf lehorgasztotta a fejét.— Eredj! — mondotta kíméletlenül — most márigazán fáradt vagyok. — És ebben a percben olyan volt,mint egy fáradt, öreg favágó. A szeme féligbecsukódott, nagy, csontos keze súlyosan csüngött ki akabátja ujjából.Kinn a folyosón egy ajtó zárult, halk, szaggatottnyikorgással. Ulwing építőmester jobb szerette volna,ha becsapják. De az ő fia ilyen óvatosan tett be mindenajtót. Az ő fia, aki más volt, mint ahogy szerette volna.Hogy miért, arra nem tudott felelni. „Mi lesz, ha majdnem állok mellette?” Összerezzent. Olyan elhasználatlanvolt benne az élet, hogy a halál fogalma mindigidegenül és ellenségesen hatott reá. „Mi lesz?” Márelhalkult a kérdés, már nem gondolt vele. A szomszédszoba irányába nézett... Az unokái! Ők majd folytatják,amit a nagy ács elkezdett. Ők erős emberek lesznek.Kinyitotta az ajtót. Átment az ebédlőn. Kenyér ésalmaszag érzett a sötétben. Aztán még egy szoba.Aztán a gyerekszoba következett.A levegő langyos volt. A háromfiókos szekrényenmécses égett. Tini leányasszony ültében elaludtmellette, kopott imádságos könyvével a térdén. Éjjelifejkötőjének az árnyéka, mint sötét meszelő szállt ésemelkedett a falon. A fehér cserépkályha barlangosüregében, kék üvegkancsóban, víz melegedett. A rácsoságyacskák felől apró gyereklélegzés hallatszott.Ulwing óvatosan hajolt az egyik ágy fölé. Ott aludt afiú. Kicsiny teste összehúzódott a takaró alatt, minthaálmában valami elől bújnék, ami az éjszakával jött éskörülállta az ágyát.Az öreg ember lehajolt, megcsókolta a homlokát. Afiú felnyögött, egy pillanatig rémülten meredt alevegőbe, aztán remegve bújt a párnájába.Tini mamzell fölébredt, de nem mert megmozdulni.Az építőmester úr olyan alázatosan állt a gyerek előtt,hogy fizetett személynek nem illett ilyesmit látnia.Elfordította a fejét és így hallgatta a gazdája hangját.— Hiszen nem akartam. No, ne félj, kis Kristóf. Énvagyok.A gyermek már aludt.Ulwing építőmester a másik ágyhoz lépett.Megcsókolta Annát is. A kisleány nem ijedt föl. Szőkehaja, mint szétszóródott ezüst, mozdult feje körül apárnán. Apró karját a nagyatyja nyaka köré fonta ésvisszaadta a csókját.Mikor Ulwing Kristóf lábujjhegyen kiment a szobából,Tini leányasszony utána nézett. Arra gondolt, hogymégis csak jó emberek ezek az Ulwingok.* Születési évét hol 1876-ban, hol 1875-ben jelölik.Fonte: Tormay Cécile Kör honlapja(http://www.tormayc.webs.com/),Olasz nyelvű fordítását ld. a 16. oldalon a Prosaungherese rovatban.Köszönet a Webmesternek, Nagy Lajosnak, aki szabadkezet adott a Tormay Cécil Kör honlapján találhatóalkotások felhasználásához.1.) FolytatjukDaniela Raimondi (1956) ― London (GB)E-MAILMa kora reggel találtam rá azelektronikus postaládámban. Mégsötét volt és hideg, épp egy csészeteát iszogattam.“Új üzenet érkezett” – aztánmegláttam a neved a képernyőn. Alevél tárgya: „Öveket becsatolni”. Elküldve éjjel 2 óra51 perckor.Egy aprócska összerándulás ott lent. Egy röpke percigtartó döbbenet. Egy meghatározhatatlan rosszérzés. Aneved, több mint kétévnyi csend után.Azt írod, hogy az új email címemre egy internetesböngészés alkalmával találtál rá egy irodalmi portálonés egy új fényképemre is. Azt mondod, hogy mégmindig szép vagyok. Beszélsz erről-arról. De magadrólkeveset mesélsz, hogy most van egy kiskutyád, akitCharlie-nak hívnak, meg ilyen lényegtelen dolgokat.Nem mondod, hogy elvetted-e feleségül. Hogy mégegyütt vagytok-e. Hogy boldog vagy-e.Nincs is rá szükség. Egy boldog férfi nem tölti azzal azéjszakáit, hogy az interneten egy elmúlt szerelem utánkeresgéljen. Az Appia Antica* permetező esőjében lettvége, köddel, mely beborította a romokat és nehezenvisszafojtott sírással.Odakint még mindig sötét van. A tea már kihűlt, és éna te szavaid bámulom a képernyőn. A nevetéseinkregondolok, rád, ahogy teli torokból dalolod a188<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Guappariát** az autópályán. Milyen hamisan énekeltél,szerelmem…Aztán eszembe jut az első alkalom, amikorszeretkeztünk. A te ágyadban aludtunk. Az egészéjszaka anélkül telt el, hogy akár egymáshoz értünkvolna. Reggel ugyanabban a pillanatban nyitottuk ki aszemünket. Csendben néztük egymást. Ki mozdítottaelőször a kezét? Én vagy te? Csak azt tudom, hogy azujjaink lassan közeledtek egymáshoz, majd valamihihetetlen gyöngédséggel fonódtak össze.Aznap volt a napfogyatkozás Rómában - a városlustálkodott. A meleg fülledt volt, a levegő nehéz.Szent Lőrinc éjszakájára gondolok, a tópartra, ahovaelvittél, hogy hullócsillagokat nézzünk. Rád, aki emailtküldtél nekem, miközben én a konyhában dobtam fel atésztát főni.„Mit csinálsz?” – kérdezted.Nem válaszoltam. De amikor hazaérsz, megtalálod asaját üzeneted. Azt mondtad, hogy a Szent Lőrinckorhulló csillagok alatt elhangzó kívánságokmegvalósulnak. A te kívánságod valóra vált. Mennyibolondságot is csinálnak a szerelmesek!Aztán emlékszem az összes szomorú pillanatra, egyikrea másik után. Ezek még élénkebbek.Milyen különös! Azt mondják, hogy az elmúltszerelmeknél az ember végül csak a boldog napokraemlékszik, meg hogy a fájdalmat idővel elfelejtjük, minta szülésnél. Hiszen ha a fájdalom emléke kitartana,bizonyára egyetlen nő sem vállalna egy másodikterhességet. És egyetlen nő sem szeretne tovább. Afájdalmat mindig elfelejti az ember, mondják. De éntudom, hogy ez nem igaz. Eszembe jut a Firenzébentöltött éjszakánk, minden szavad, mely ott elhangzott.Az utcácska túloldalán álló templomnak olyanvalószerűtlen márvány homlokzata volt, fehér fényemegtöltötte a mi ablakunkat is. Átöleltél, és azangyalok, a puttók és a szentek a Mennyországtrombitáival visszaragyogtak az ablaküvegről. Szintemeg tudtuk érinteni őket.„Nem foglak soha elfelejteni. Nem tudnálak sosemelfelejteni.” – mondtad. – „De neked mindent meg kellkövetelned egy férfitől. Ígérd meg nekem! Mindentakarnod kell, teljesen. A szerelemben nem lehet azember megelégedett.”Ezeket a szavakat sosem felejtettem el, tudod? Sosemfelejtettem el őket. Logikus, racionális létről beszéltél. Atúl nagy távolságról, a korkülönbségről, és aztán róla is.Róla, akit nem szerettél, de aki ésszerűbb választásvolt. Illőbb a családodhoz, az életedhez. De én voltam,akit egyre szorosabban öleltél. És miközben aztmondtam neked, hogy igen, igazad van, igazad van, tekezdtél el sírni:„Te vagy az, akit akarok, csak téged akarlak, csaktéged…”Mégis elhagytál. Egy szerelem nélküli, de nyugodtabb,elfogadhatóbb, könnyebb kapcsolat miatt.Olvasok rólad, a római éjszakáról és hogy milyenhevesen zuhogott, miközben írtál nekem, hogymennyire szeretnéd újra hallani a hangom. Itt viszonteljött a reggel. Itt nem esik, tudod? Az ég tiszta.Gyönyörű napsütéses délelőtt lesz.*Katakombák útja, Róma** Guapparia – Mario Merola dala, aki a főszerepet isjátszotta a szintén Guapparia címet viselő 1984-es filmbenESSZÉFordította © Erdős OlgaB. Tamás-Tarr Melinda — <strong>Ferrara</strong> (Itália)A SZÁMŰZÖTT NŐÍRÓ A PUBLIKÁCIÓK TÜKRÉBENTormay Cécile (1876-1937)„Egy népnek, amelytől elvettékhatárait, hogy ne védhesse magát,amelytől elvették fegyvereit, hogyne támadhasson —nem marad egyebe, mint azirodalma...De mi csak szétszórt őrszemekvagyunk. Szegény, magányosőrszemek,akiket a vártán lassan befúj a hó.Pedig ha összehordanók afegyverünket, sok magányos őrtüzünk zsarátnokát, nagyvilágosságot tudnánk teremteni, — szellemi honfoglalóktudnánk lenni.(A szerkesztő, Tormay Cécile szavai a Klebelsbergáltal létrehozott, elhallgatott Napkelet megalakításakor)Az elmúlt nyáron, 2009. július 9-én Dr. Paczolay GyulaPhD ny. egyetemi docenstől az alábbi levelet kaptam:«Kedves Melinda! A tájékoztatást megkaptam,köszönöm.Egyúttal szeretnék megemlíteni egy témát, ha eddigmég nem foglalkoztak vele, talán érdemes volnaelővenni. Az adatokat jórészt az Új Magyar ÉletrajziSzótárból másolom ide kivonatosan: Tormay Cécile(Budapest 1875.? okt. 8. - Mátraháza 1937. ápr. 2.) - AMagyar Asszonyok Nemzeti Szövetségének elnöke, aNépszövetség Szellemi Együttműködés Bizottságánaktagja, az MTA Péczely jutalma (1914), Corvin-koszorú(1930) - 1900-tól az I. világháború kitöréséig az év többhónapját rendszeresen Olaszországban, FőlegFirenzében töltötte. Megismerkedett Gabrieled'Annunzioval, aki több esszéjét olaszra fordította.Jelölték Nobel-díjra is, könyveit több, mint 6 nyelvrelefordították (olaszra is). 1990-ig a nevét sem irták le,feltehetőleg 1920-ban megjelent, "a bolsevizmus igaziarcát megmutató" Bujdosó könyv c. műve miatt,amelyben leírja a tanácsköztársaság alattieseményeket - Elsőnek az "A régi ház" az "Ősi küldött",az "Emberek a kövek között" c. könyve, valamint az"Örök Magyarország" (novellák) jelent meg 2001-tájt aszegedi Lazi Kiadónál [...], ezt követte 2003-ban, kispéldányszámban a „Bujdosó könyv" (I. kötet:Feljegyzések 1918-1919-ből, II. kötet: Aproletárdiktatúra), mely a legutóbbi könyvhétennagyobb példányszámban kapható volt [...], s részbenma is kapható még.Cordiali salutiP. Gyula»A név nagyon ismerősen csengett, de emlékeimbenvele kapcsolatos ismeretek közül semmi nyom. Nagyüresség. A fenti részleges információ felcsigáztaérdeklődésemet és kutatni kezdtem, honnan lehetismerős nekem ez a név? Előszedtem minden magyar-<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 189


és világirodalomtörténeti vonatkozású könyvemet – ezutóbbiakat is néztem, mert némelyikben szó van amagyar irodalomról is -, amelyeknek boldog birtokosavagyok, mert egyrészt főiskolai tankönyvek, java résztkezdő, nyomorúságos, 2400 Ft-os alapfizetésembőlrészletfizetésre vásárolt vaskos sorozatok, másrésztszüleimtől és két gimnáziumi barátnőmtől születésnapiajándékként kapott egy-egy kötet –. Íme ez ügybenátböngészett kötetek, ahol találkozhattam TormayCécile nevével, s onnan volt ismerős hangzású. NemesIstván Az irodalom története 1919-től 1945-ig c.főiskolai kézirat (Tankönyvkiadó, Budapest, 1977), a„Nagy Spenót”-nak csúfolt, az MTA által kiadott kiadott„A magyar irodalom története” VI. kötete (AkadémiaiKiadó, Budapest, 1966 utánnyomás (ISBN 963 0523019. SOROZAT, ISBN 963 052307 8 6. kötet), SimonIstván: A magyar irodalom, gondolat 1979.; BarótiDezső: Írók, érzelmek, stílusok, Magvető, Bp., 1971.;Babits Mihály művei: Az európai irodalom története,Szépirodalmi Könybvkiadó, 1979; Szerb Antal: Avilágirodalom története, Magvető, Bp., 1941-es kiadás5. kiadása, Szerb antal: Magyar irodalom történet,Magvető, az 1934-es kiadás teljes,, már csonkítatlan1991-es publikálása, Benedek Marcell: Világirodalom II.Minerva, Bp., 1969. (Minerva Zsebkönyvek); A magyarirodalom története, Kossuth Könyvkiadó; másodikjavított kiadás, 1985. Tormay Cécilre vonatkozó rövidkritikai írásokat, utalásokat csak az MTA A magyarirodalom történetében, Nemes István Az irodalomtörténetében és Szerb Antal Magyar irodalomtörténetében találtam. (Ld. lejjebb.)Az interneten is kutatgattam, és nagymegelégedésemre bőséges anyagot találtam velekapcsolatban: különféle régi és új írásokat, esszéket,amelyek az agyonhallgatott írónő és a folyóiratánakrehabilitása céljából jelentek meg, valamint ezalkalomból rendezett konferencia-tanulmányokat. Olyanmunkákat tehát, amelyek szeretnék megismertetni azelhallgatott írónő teljes munkásságát, ahol nemcsakróla szóló biográfiák olvashatók, hanem végre aregényei, novellagyűjteményei, műfordításai is, amelyekolvasása alapján ki-ki megalkothatja a vele kapcsolatosvéleményét. Egy komparatív összeállítást kívánoknyújtani, természetesen a teljességre törekedés igényenélkül. Aki még többet szeretne tudni, interneten agoogle kereső révén a hazai szájtokon bőven találhatanyagot, amelyekre nagy részben ezen összeállításomis támaszkodik.A Tormay Cécile Kör honlapján az alábbi bemutatósorok olvashatók:«A századforduló legnagyobb magyar írónője.Lelkében izzón magyar, műveltségében teljesennyugati. Stílusművészetének koronája hatalmastrilógiája; az „Ősi küldött”, amelyben a Kelet és Nyugatkét malomköve közé szorult tragikus magyar sors nagyregényét írta meg. Ő írta meg a világháború utánbekövetkezett összeomlás siralmas krónikáját látomásoserejű „Bujdosó Könyvében”. A bujdosó ő maga, akiszámkivetve bolyongott, de mindig hazai földön, fejefölött a kommunizmus halálos ítéletével. „Napkelet”című folyóiratában ő gyűjtötte össze a világháború utáninduló új magyar nemzedéket. Szinte írói sikereit isfeláldozta a szervező munkának nemzete és Európaközös nagy céljai érdekében. Ezt az érdemetméltányolta a nemzet, amikor őt küldte a Népszövetségmellett működő Szellemi Együttműködés TanácsábaGenfbe. Sikere túlnőtt az ország határain, műveit angol,francia, német, olasz nyelvre is lefordították és alegelőkelőbb külföldi folyóiratokban közölték. Halálaévében akarta az Akadémia a Nobel-díjra ajánlani.»Az Erdélyi Napló 2009. február 27-i számában ezolvasható:«A szellemi honfoglalás idejeTormay Cécile írói hagyatéka, 90 esztendeiagyonhallgatás után, ismét felfedezésre várTormay Cécile-re, a századforduló legnagyobbmagyar írónőjére emlékeztek 2009. február 23-ánBudapesten, a Pilinszky János Irodalmi Kávézóban. Azévek óta magánlakásokban „bujdosó” Tormay CécileKör kilépett a nyilvánosság elé, hogy feltárja ésrehabilitálja a neves, ám tudatosan elfeledett írónőhiteles életművét, valamint az általa indított Napkeletfolyóiratot.Oberfrank Pál, a Pilinszky Kávézó művészeti vezetőjerámutatott: „Tormay Cécile életútját meg kelltisztítanunk a hamis vádaktól, helyére kell tennünkirodalmunk történetében. Az állandó hazugságok éstiltás következtében ugyanis nem ismerhettük meg őtméltóképpen.”„Éppen kilencven esztendeje üldözik a kitűnő írónőt,korának krónikását, aki megvesztegethetetlen emberhírében állt” – kezdte méltató beszédét Jobbágy Évaújságíró, a Tormay Kör alapítója és vezetője, akirámutatott: „A vele kapcsolatos tények ma is zavarják akommunistákat, holott ő az egyik legnagyobb írónk.Nem hátrált meg sem rágalmazásra, sem ellene indítottkoncepciós perre. 1945-ben Faludy György költődöntötte le szobrát, amikor betiltották műveit.”»Az Új forrás 2006-os esszépáláyzatára KollaritsKrisztina Tormay Cécile elfeledett regénye – A régi házc. esszéjét így indítja:«Bár saját korának ismert és elismert írója és közéletiszereplője volt, Tormay Cécile (1876-1937) 1945-tőlfogva szinte megszűnt létezni az irodalmi köztudatszámára. Néhány művét, az 1918-19 eseményeirőlszóló Bujdosó könyvet, a Megállt az óra címűnovelláskötetét és a válogatott beszédeit éspublicisztikáját tartalmazóKüzdelmek és emlékezésekcímű kötetétbetiltották, irodalmi folyóiratát,a Napkeletet(1923-40) és az általavezetett Magyar AsszonyokNemzeti Szövetségénekértesítőjét, aMagyar Asszonyt akönyvtárakban zárolták.Az irodalomtörténetekben,lexikonokban legfeljebbnéhány sortszenteltek neki, nohasaját korában nemzetközilegelismert, Corvinkoszorúvalkitüntetett190<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


író volt. Életművének, nézeteinek értékelése még váratmagára, a róla szóló szakirodalom elég szűkös.Elsősorban Hankiss János két munkáját emelhetjük ki:még az írónő életében és jóváhagyásával elkészült kisfüzetét a Kortársaink sorozat számára, illetve egy sokkalrészletesebb monográfiáját, melyet az írónő halála utánmeginduló életműkiadás számára készített. Mindkétkönyv célja azonban inkább az ismertetés, mint azértékelés volt. Az 1939-es összkiadás után Tormayművei a rendszerváltásig nem jelenhettek meg, a 90-esévekben kezdték csak újra kiadni könyveit. [...]».A régi házzal kapcsolatban az alábbi gondolatokkaltalálkozhatunk:«A régi ház az asszimiláció regénye?A régi házban [...] a századelő fontos társadalmiproblémái közül sem a dzsentrikérdés, sem ahagyományos női szerepválsága jelent meg.Fontosnak tartotta viszontaz írónő az asszimilációkérdésének tematizálását.A 19. században Európaszertemegerősödő nemzetiérzés és mozgalmak szükségszerűenvetették fel ezta kérdést az évszázadokóta soknemzetiségű, és azállandó bevándorlási hullámoknakkitett Magyarországon.Aki pedig a reformkoriPest regényét akarta megírni,nem kerülhette ki ezt atémát, hisz épp az 1840-es évekre tehető a németnyelvű Pest elmagyarosodása.A német nyelv használata Pest-Budán nemcsak a 18.században volt jellemző, hanem még a 19. század elsőfelében is általános volt még azok körében is, akiknekez nem anyanyelve. Az 1830-40-es években keményharcot kellett folytatni a magyar nyelv „egyenjogúsításáért”a hétköznapokban: a magyar nyelvűfolyóiratok szinte minden számában találunk olyancikket, amelyben szerzője a magyar feliratok hiányáravagy másodlagosságára panaszkodik. Sőt, azÉletképekben külön rovat volt Mi hír Budán címmel,ahol rendszeresen kiszerkesztették a „hazafiatlan”boltosokat. Karacs Teréz visszaemlékezéseiből pedig aztis megtudjuk, hogy a lelkes magyarító ifjak, hogy bírtákjobb belátásra az ilyen boltosokat: „a német cégérűüzletekbe követ dobtak, arra pedig olyan szövegűüzenetet kötöttek, hogy a boltra 48 óra alatt magyarfelirat kerüljön, mert különben kő kövön nem marad”.A kultúra és szórakozás nyelve is inkább még anémet volt: a magyar színészek csak 1837-ben jutottakelőször kőszínházhoz Pesten, a német színház épületeviszont 1812 óta ott állt a Gizella (ma Vörösmarty)téren, a könyvkereskedésekben pedig a német ésfrancia nyelvű regények nagyobb számban álltakrendelkezésre, mint a magyar nyelvűek. Bácskai Veraaz 1850-es évekre teszi a német és szlovák lakosokkörében megfigyelhető nagyarányú magyarosodást, áma németek túlsúlya még az 1860-as években isjellemző, főleg Budán. A mindennapi életben a magyarés német nyelvet egyaránt használták, egyfajtakétnyelvűség volt jellemző. A kétnyelvű utcatáblák ésboltfeliratok még sokáig emlékeztettek arra, hogyBudapest eredetileg „német város” volt, a magyar nyelvhasználata csak az 1870-es évektől vált uralkodóvá.S nemcsak Pest, de a Spiegel és a Krenmüller családis részese volt ennek a megmagyarosodásifolyamatnak, amely így kétszeres szükségszerű-séggelkerült bele a regénybe. Ma már kicsit különösnek tűnik,de az 1900-as évek első évtizedeiben még nagyon iskomolyan feltették a kérdést, hogy lehetnek-e jómagyarok a német ősökkel rendelkezők. Gondoljunkcsak a Klebelsberget ért támadásokra (lehet-e valakiilyen névvel kultuszminiszter Magyarországon) vagySzabó Dezső kirohanásaira Tormay, Herczeg Ferenc ésmás, nem fajmagyar írók ellen. A kérdés tehát ott volt alevegőben, Horváth János 1916-os kritikájában azttartotta A régi ház egyik legnagyobb érdemének, hogyehhez a problémához annyi érzékenységgel nyúlt. A 30-as években az asszimiláció kérdése újra időszerűvé vált,így nem csoda, hogy mind a német származású ThurzóGábor, mind az erdélyi Reményik Sándor értékelésébenfontos szerepet játszott. Thurzó számára a regényútmutató volt, „amikor tanácstalanul álltam az Ulwingcsaládválaszútjánál”, Reményik a fajelmélet cáfolatátlátta benne: amikor Ulwing Kristóf története aztpéldázza, hogy „a nemzethez tartozásnak nincs másmértéke, mint az érzés, a lélek, az akarat, azalkalmazkodni-tudás és az önkéntes beolvadás anemzet életébe.”Ez utóbbi megállapítás azonban csak korlátozottan, anémetség tekintetében igaz Tormay művére, a másiknagy létszámú nemzetiségi csoport, a zsidóság csakjelzésszerűen tűnik fel a regény második felében (aPaternoster utcai bankház, a Király utcai uzsorások ésfőképp a Dorottya utcai tőzsdeügynökök személyében),de róluk nem feltételezhető az Ulwingokéhoz hasonlóasszimiláció, amikor futólag megjelennek a regénylapjain, mindig reménytelenül idegennek és szintefenyegető ellenségnek ábrázolja őket Tormay. A feketeszombaton, amikor Kristóf mindent elveszít, egyenestdémoni figuráknak látszanak, s az elbeszélőkommentárjában elhangzik a sötét jóslat arról, hogy arégi nemzetségek sorra az Ulwingok sorsára fognakjutni, míg egyszer majd minden a zsidóké lesz. (Eztegyébként alátámasztja majd azzal is, hogy a régi házatvégül a Paternoster utcai bankház zsidó igazgatója veszimeg.)Az asszimiláció regénye-e A régi ház? Talán a németasszimilációé, de a Pest életét meghatározó másiknemzetiséggel, a zsidósággal nem foglalkozottkülönösebben, velük kapcsolatban megmaradt akorabeli sztereotípiák szintjén, holott a regénymegírásának időpontjában a zsidókérdés már fontostársadalmi problémát jelentett.»Szerk. Mgj.: Ez a regénye önéletrajzi ihletésű, mintájául aFürdő utca 4. számú ház szolgált, melyet Tüköry Herminkapott hozományul apjától, itt élt a Tormay család is 1873-81 és 1887-1905 között, itt született Tormay Cécile. ATüköry bérház helyén ma a Belügyminisztérium épülete áll,mely eredetileg a Pesti Magyar Kereskedelmi Bank Székházavolt. 1905-ben Alpár Ignác nyerte meg a székház építésérekiírt pályázatot, de a felügyelet ellátó igazgatóval való súlyos<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 191


nézeteltérései miatt végülis Quittner Zsigmond építette fel,akárcsak a Roosevelt téren a Gresham Palotát is.Íme néhány Tormay Cécile korabeli méltatás,amelyekben a vastag karakteres kiemelések tőlemszármaznak:Thurzó Gábor így írt róla:«[...] Pesti nagypolgári családból indult el TormayCécile pályája, német eredetű és német kultúrájúpatriciusok közül, és a századvég firenzei és franciairodalmi szalonjain keresztül jutott el a nemzetikötelességeit fölismerő író felelős irodalompolitikai éstársadalmi állásfoglalásáig: ritka szép élet és kiváltságosírói pályafutás. Említik róla, hogy kislány korábaninkább játékos, mint komoly, inkább gyermekfölhevülésű,mint felnőtt célkitűzésű fogadalmat tett,nevezetesen azt, hogy megbecsülést szerez asszonyivoltának és nevét sok férfi kortársa fölé emeli akülföldön is. Ezt a legendát aztán utolsó betűig hívenbeváltotta.A századvég Európájának szellemi vérkeringésehatott át rajta is, első novelláit, melyekben egyegyetemes humanitású európai életérzés mutatkozottmeg, egyszerre ismerték meg külföldön ésMagyarországon, és a kezdet szerencsés irodalmi helyválasztásaélete végéig öröke maradt. [...][...] Vérbeli „nyugati író”, akiben európai írótársaivalegyidőben hatottak ugyanazok a kultúr-ingerek:mesterei és társai között ott áll D'Annunzio, FranceAnatole, Mann Thomas. És nehezen lehetnemegállapítani, hogy mesterei is voltak-e egyben? Ez afinom, átfogó kultúrájú asszony tökéletesen megtaláltahelyét abban az irodalmi légkörben, amely az absztraktmondanivalók, az időtlen témák felé vonzódott. Égtájaia mitológia görögsége, az univerzális alapú Hoffmann-i,Hawthorne-i, Poe-i misztikum. Formái a parabóla, afölnagyított szimbólum. Ezek között a határok közöttmozogtak korai novellái, és első regénye is még ennekaz elvont, szépség-kultuszra törekvő írásmódnak aterméke. A fölszabadulás a Régi ház meséjébenkövetkezik be, ahol a kultúra, a szépség, a stílusötvösművészete már kevésbbé szembetűnő, amondanivalóba mélyebben beledolgozott. Innenegyenes vonalban halad a Bujdosó könyv aktív, keménymagatartásáig, az író nemzeti hivatásának elsőtudatos, programmba iktatott felismeréséig. Azeurópai író teljes erejével a nemzeti irodalom feléfordul, pódiumául és szószékéül megalapítja éshaláláig vezeti a Napkelet folyóiratot és világosanvallja, hogy a nemzeti irodalom nem jelenthetisohasem a fajta üvegházába zárt irodalmat,hanem mindig az európai kultúra nemzetilélekkel földolgozott, velősen és jellegzetesenmagyar és nemzeti vetületét. Ez a felismerésaztán megteremti a nyugati műveltségű — tehát anyugatos mozgalommal egy-gyökerű —, demagatartásában határozottabban magyarnemzeti irodalmat. És nemcsak a célt tűzi ki: az Ősiküldött a programm megvalósítása. [...]» (Thurzó Gábor:Tormay Cécile halálára, Katolikus Szemle, 1937 május)Az asszimilált zsidó családba született és emiatttragikus véget ért Szerb Antal így vélekedik TormayCécileről a tanulmányunk elején idézett Magyarirodalom történet c. munkájában a 483-484. oldalakon:«Tormay Cécile írásművészetének paradoxiája, hogyő, a Nyugat tudatos ellenfele, a Nyugat stílusszándékaitvalósítja meg. Ő is nyugatos a szó szoros értelmében:stílusa és kompozíciós művészete nem a magyar prózamikszáthi anekdotázó hagyományaiból nő ki, hanem akülföld nagy mestereinek, elsősorban Thomas Mannnakmagyar követője. Ő is stílusromantikus, keresi azönmagáért való stílust, mely puszta hangulativarázsával külön birodalomba vezet.Elbeszélő művészetének legszebb vonása,hogy nála a lélek és a környezet teljesen egyek,a lélek a környezet által alakul ki, a környezet alélekben tükröződik, abban a ködösatmoszferikus egységben, ami Tormay nagyregényeinek az alapja és legfőbb értéke. AzEmberek a kövek között talán még artisztikusabb, minta Régi ház. De a Régi házat a benne levőproblémafelvetés érdekesebbé teszi, és egyben azegész későbbi neobiedermeier irodalom egyik ősévé. Aprobléma a pesti német polgár-patrícius lassúmagyarrá levése. A történelmi vonalak kisséelmosódottak ebben a fojtott szubtilis stílusban, deteljességében érvényesül a régi világ hangulata, melynálunk annyira egybeforrott éppen a németpolgárlégkörrel. A régi ház, az előkelő polgárhagyománya egyszerre szankciót kapott. Igaz, hogy akövetők leszálltak Tormay Cécile stílus- ésembermagaslatáról, és a későbbi neobiedermeierirodalom a régi Pestben csak a hangulatot látta és nema polgári gyökereket, melyekből önálló polgárikultúrának kellett volna, szerencsésebb körülményekközt, kifejlődnie.Új történelmi regénye, az Ősi küldöttstílusművészetének legmagasabb pontjánmutatja be. Minden mondata olyan faragásos gonddalillik a helyére, mint ahogy régi építők rakhattákegymásra a boltozat előre kialakított nehéz köveit.Hasonlatain keresztül idézi fel az atmoszférájátannak a régi kornak, az Árpádok korának,melyről olyan keveset tudunk, és olyan sokatsejtünk.»Halál alkalmából pedig így méltatta őt nekrológjábana Nyugat hasábjain:«Fellépése körülbelül egybeesett a Nyugat nagynemzedékének fellépésével. Első novelláskötete már1900-ban megjelent, de első sikerét csak 1911-ben érteel az Emberek a kövek közt c. regénnyel és az a műve,amelynek népszerűségét köszönhette, a Régi ház,1915-ben jelent meg. A Nyugat-nemzedékkel nemcsakannyiban volt rokon, amennyire egy nemzedék tagjaielkerülhetetlenül rokonok szoktak lenni, hatehetségesek: nyugatos volt a szó alapvető, a Nyugatmozgalomtólfüggetlen értelmében is, a nyugatiirodalmak rajongója és követője volt; és „nyugatos” voltművészi szándékának mélyén is, a művészetről alkotottvíziójában. Artisztikus író volt, a finom,lelkiismeretesen kidolgozott részletek, a tűnő éscsendes hangulatok, az önmagukért megbecsültritka szavak és hasonlatok írója, dekoratívtehetség és a szó nemes értelmében dekadens.192<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Öncélú mondatokat írt, amelyek arra voltak rendelve,hogy ötvözött formásságukban a kontextusbólkiszakítva is megállják a helyüket és megállítsák,elmerengésre hívják az olvasót, felkeltve benne aszépség szomorúságát és a távoli dolgok igézetét.Annak a stílusnak és stílusteremtő életérzésnekvolt a hordozója, amely legmagasabb szintjétBabits Mihály fiatalkori verseiben és KosztolányiDezső és Tóth Árpád költészetében érte el.A Régi ház révén vált ismertté és népszerűvé ez azegyáltalán nem népszerűségre született tehetség.Akkoriban, - gondolom igazságtalanul, - azt vetették aszemére, hogy könyve túlságosan hasonlít aBuddenbrooksra. Pedig a hasonlóság csak felületi, csaka témára vonatkozik, csak abból áll, hogy A régi ház is acsaládregények típusába tartozik és hogy ő is egyhanyatló patricius-család történetét mutatja be. Dehangulatban, kifejezésben, tehát a lényeges dolgokbanTormay Cécile impresszionista, lírai színezetű szó- éshangulat-művészete semmi rokonságot nem mutat afiatal Thomas Mann széles naturalizmusával. Az igazimester, azt hiszem, Jens Peter Jacobsen lehetett.Jacobsenben van ennyi beteg szépség, halál-nosztalgia,pusztulás-zene a mondatok ritmikájában, a hasonlatokszínezésében. A régi ház pesti patriciusai a magyarirodalom legészakibb, legskandinávabb figurái. Akkorkor-áramlat volt ez a „szeptemtrionalizmus”, ahogy azösszehasonlító irodalomtörténet egy régebbi, de hasonlójelenséget nevez - mindenesetre Tormay Cecil volt alegérdekesebb magyar képviselője.A patricius-világ eléggé ritka irodalmunkban, aholelsősorban a gyökeresebb nemesi és paraszti miliőuralkodik, azután pedig a kispolgár naturalisztikusábrázolásra alkalmas élete. Pedig a régi Pest patriciusokvárosa volt, csendes és előkelő - és Tormay Cécile a régiPest legendáját kereste. De impresszionista módszere éshanyatlás-romantikája túlságosan elmosta a kontúrokat:A régi ház, amelyet rajzol, állhatna bármely északivárosban, ahol folyó van vagy esetleg tenger. Aszázadközépi, a Krúdy-előtti Pest legendája felécsak útmutatást adott, műve még teljesítőre vár.Íróink Pestből általában csak azt szokták megragadni,ami modern vagy parvenü benne, ami aktuális és„világvárosi”; Tormay Cécile elsőnek eszmélt rá,hogy meg kellene keresni a gyökereket, atörténelmi Pestet.Jacobsenre emlékeztet kitűnő novelláskötete is, améltatlanul kevéssé ismert Viaszfigurák. Novellái közt kisremekművek akadnak. Tormay Cécile művészete akkorérte el teljes magasságát, amikor távoli dolgokat rajzolt,skandinávos, távolságos, kék és jég-fehér, hó-pirosszínekben. Ezért mesébe vesző novellái a legbiztosabbértékek.A világháború után az irodalmat elhagyta a politikakedvéért. A leheletszerű finomságok írónője meglepőenaktív és energikus közéleti embernek bizonyult. Olyanaktívnak és energikusnak, hogy sokan el is fordultakTormay Céciletől, az írótól. Ekkor alapította a Napkeletcímű folyóiratot, és ennek szellemi irányítója maradthaláláig. Mint szerkesztő, sokoldalúan megértő volt;munkatársait hatalmas közéleti befolyásával isjótékonyan támogatta.Utolsó éveinek magányában megint visszatért azirodalomhoz. Történelmi regénytrilógián dolgozott, atatárjárás korából: a műnek csak első két kötete jelentmeg. A történelmi események a regényhátterében maradnak, az előtérben egyéni sorsokállnak és főkép Tormay Cécile atmoszférikusművészete. Az első kötet nagyrészét egy pestisgrandiózus, fojtogatóan szuggesztiv leírása tölti be. Ez apestis-leírás Tormay Cécile legnagyobb alkotása;itt nem marad el semmiben nagy mestere, Jacobsenmögött, akinek szintén van egy csodálatos ilyen tárgyúnovellája: A bergamoi pestis.Magában álló, sokszor ijesztően érdekes és sokszormegrendítő könyv ez az Ősi küldött. Tormay Cécilemondataiban átalakul, párás és ködszínű lesz amasszívnak tudott magyar múlt. Régi magyarjaiészakias bánattal keresik, valahogy mindigfenyőerdők mélyén, az ősi magyar hitet, az ősimagyar isteneket, akik Tormay Cécile stílusánakdekadens szépségében olyan távoliak, földtelenek ésexotikusak lesznek, mintha valami kihalt északirokonnép, talán a livek, titokzatos bálványai lennének.A kor és a tér nem jelennek meg valósághűenebben a regényben, de van benne valami, amitáltalában hiába keresünk történelmiregényeinkben: atmoszféra, titok, félelem, azelmúlt századok sötét, ködös iszonyata. Nem egybizonyos kor történelmi levegője van benne,hanem a Történelem levegője; az általános múltbenne van, (a legtöbb történelmi regény olyan, minthama történnék) a nosztalgia benne van és a lélekben isnosztalgiát tud kelteni. Kár, hogy sosem fog most márbefejeződni...» (Szerb Antal: Tormay Cécile, Nyugat, 1937.5. sz.)Hankiss János irodalomtörténész, egyetemi tanár(1893-1959) így méltatta Tormay Cécile-t:« [...] Tormay Cécile nagyságát mindenki érzi, akiolvassa és mindenki érezte, aki őt magát láthatta. De eza nagyság nem vulkáni kirobbanás, vagy legalábbisnemcsak az. Annyi benne a mélység és a művészet,hogy futó tekintet, félszemmel olvasás nemfoghatja át. S annyi benne az új, az eredeti, azelskatulyázatlan érték, hogy elő kell készülnibefogadására. Emberi és írói nagyságát bizonyosértelemben föl kell fedezni, jelentőségét amagyar történelem és a magyar irodalomfolyamatában meg kell világítani; a magyarolvasó számára ki kell keresni azokat a kilátókat,ahonnan legkönnyebben és legteljesebbenbirtokába veheti a mélységekben és amagasságokban az ő számára feltárt kincseket.»(Hankiss János: Tormay Cécile, Budapest, 1939)«Tormay Cécile-ről többször is megállapítottuk, hogy a„tárgyak életének” legnagyobb magyar hitvallója, — deanélkül, hogy perszonifikált Természete elnyomná aregény hőseit és eszméit. Költő, akinek gazdag ihleteegyre remekebb dinamikával bűvöli körénk az életet, azalig-életet, az életentúlit; de az ömlékeny líra lamartineihibája: a szétfolyó kontúrok, a határozatlankifejezések, a fölöslegek, a formátlanságok nélkül. Anagy költő nagy művész is és most, amikor alaposelőtanulmányok után (mindnyájan emlékszünk amagyar Legendariumára) a középkor ízes nedvekben<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 193


oly dús nyelvébe is belemártogatta tollát, Buda HalálaArany Jánosa mellé emelkedett. Nemaprólékosan „hiteles” ez a nyelv, de több annál:bűvészmondatok sora, amelyek életre hívnakegy messze süllyedt kort.Úgy érezzük, ez a kor-idézés, ez a halottélesztés aköltő történelmi regényének 1 természetes formája. Atörténeti regénynek nagyon sok műfogása volt már aszerzők vérmérséklete, tehetsége és közönségükmivolta szerint. Tormay Cécile számára a „múltfeltámadása” nem szólam, hanem „direkt módszer”,amelyet közvetlenül alkalmaz. A múlt úgy ébred felkeze alatt, hogy eszmélésének nincs könyvíze:látomások szapora képei nyüzsögnek, hangokélnek, mozgás pezsdül. Arany János óta sohaennyi igei árnyalat, ennyi rezgő-reszkető, pontospályát rajzoló cselekvés. Az egyik képen átsüt amásik, erők csattannak össze, a színek harsognak, ahangok fénylenek.„Halvány vörösség szaladt a halántékába.” „A szürkecsontarcban sajátságosan megkeményedtek a szárazajkak.” „Az élettelen vitézről (a halászok) halkabbanbeszéltek, mintha csak a víz folydogálna át ahangjukon, elvétve csobbanna, buggyanna egyet.”„Félelmetes lombhullás kezdődött el a tavaszban.Mintha egy földöntúli erdő rázkódott volna meg a világfelett, lassú kísérteties hullásal bongó levelek zuhantakbele a rengetegbe és az esésük úgy hangzott, minthavasból lettek volna. (A megoldás:) Harangoznak...”„Mint gonosz varázslattól, megváltozott arrafele azerdő. A nagy roskadás összekuszálta a vadont. A csapáseltünt és a két lovas elvesztette az irányt. A sűrűsödősötétség bekötözte a szemüket. Ijedező lovak körültolongani kezdtek a fák. Mire tapogatózva szálláshelyetleltek az erdőn éjszakára, fentről már csillagfényekcsurrantak bele a sűrűbe.” A menekülő király láttára„Ung kiáltani akart, de nem volt hangja, rohanni akart ajelenés után, de a hirtelen visszaözönlő sötétbenmindenfelől körülállta a lidérces erdő. Nyirkos fatörzseklökték hátra, reccsenő karmok téptek bele a nyakába. Alába mintha szabadon kúszó mohostetsű kígyókra lépettvolna.” A kis csata után, amelyben a magyarokmegállítják a király után eredt tatárokat: „Röhögveüvöltözött a mező. A rémület szétesett. A felszaggatottföld előbbre lökte a támadókat... A győzelem márbeleordított a halálordításba és részeg zsivajától nemhallatszott semmi egyéb.”Különösen az utóbbi példák nagyontanulságosak. Tormay Cécile tatárjáráskorabelihősének erdei hangulatai Ady ösztönzéséhez ésihletettségéhez méltók. Arany tárgyi realizmusaés Ady lélektani mélysége együtt van meg ebbena magyar remekműben. Merészségét néhány évvelezelőtt talán még gúnykacaj fogadta volna aracionalisták tömött soraiból. De nem bizonyos: TormayCécile annyival nagyobb, annyival meggyőzőbb művésza 10-es évek magyar impresszionistáinál! És ha márerről az impresszionista realizmusról van szó, lehet-ecsodálat nélkül megállani a menekülőket váró sötét várkapuja alatt tevékenykedő rembrandti fényjátékokelőtt? Az irodalmi clair-obscur csúcsán állunk, a legjobbértelemben vett moziszerűség határán.Talán egyetlen regénye sincs az írónak, amelybenelevenítő ihlete ily célszerű korlátlansággal loboghatna.Az ősi magyar vallás természeti vallás és TormayCécile csodáinak természetes talaja. Az erdőkmélye, a magyar paraszt mélye (akár lelkész, akárjuhász), a sors mélye, a mennybolt mélye az ő számáraárasztja egy tökéletes középkor-hangulattitokzatosságát. Anélkül, hogy sokat kacérkodnéktörténelmi és művelődéstörténeti részletekkel, hiteltparancsolóbb múltat varázsol körénk, mint legtöbbpályatársa e nehéz műfajban. Bátor lehet, realistalehet, szókimondó lehet, mert átszellemítőhangulata mindent megszépít azzal, hogy igazimagyar életbe illeszti, ahol alázatos, templomiáhítatot öltenek magukra az olvasó-utódok. S ígyminden erőltetés és célozgatás nélkül oldódnakmeg a kortól a mi számunkra elválaszthatatlanproblémák: a vallási szakadék, a pártosság, keletés nyugat harca, jöttmentek települése, amagyar misszió hite. A hangulati remekmű mélymagyarosságot telepít fáradt magyar szíveinkköré, feszülő homlokaink mögé.1 Az ősi küldött. II. A túlsó parton. Bpest, Genius, 1934.»(Hankiss János: Tormay Cécile középkor-hangulata, INDebreceni Szemle, 1934. november)*«Tizenöt éves volt, amikor először láttaOlaszországot. 1 Azóta huszonötször járta be skülönösen sokat időzött Firenzében, a toszkánai kultúraszent helyén. Az olasz művészetről és az olasztermészetről írt tanulmányait nem adta ki s csak kétUránia-darabra: Szirének hazája (Szicilia) és A virágokvárosa (Firenze) ad fogalmat arról a benső viszonyról,amely Itáliához fűzte s arról a mély megértésről, amelyaz olasz problémák szakértőjévé avatta. Gyermekkorimagyar és germán kultúrájára rárakódott a latinkultúra. Az az érzése támadt, hogy a latin kultúrájú írókvilágos, precíz kifejezésmódja nemcsak külsőség,hanem az írás lényege: csak az az író tudja kifejeznimagát, aki maga is világosan lát és érez mindent, amikörülöttevan.Francesca d'Orsay grófné (Villarosa hercegné) révén,aki a d'Orsay-k magyar ágából való volt,megismerkedett az egész históriai Firenzével, a nagyolasz családokkal, Strozzikkal, Giucciardinikkel...Seristori grófnő szalonjában találkozott Paul Bourgetval,a lélektani elemzés francia nagymesterével, MarkTwainnel, az amerikai humoristával, Bärensohnnal, ajeles quattrocentistával. A világirodalom jelesei békésenés feltűnés nélkül teázgattak a szalonok történelmi nevűházigazdáinak oltalma alatt. Firenzében mindenkiotthon volt, akinek köze lehetett irodalomhoz ésművészethez, s mindenki szerény és szívélyes volt ott,ahol a kicsinyességnek el kellett törpülnie az égbenyúlónormák: Dante, Savonarola és Macchiavelli árnyékában.Tormay Cécile, akit a királyi kegy az alapítványihölgyek szalagjával díszített fel, a „petite chanoinesse”becézőneve alatt vált a firenzei szalonok kedvencmesemondójává. Részben meg sem jelent, csakmegálmodott novellák ömlöttek művészi formábamesemondás közben s csupán valami gondviselésszerűvéletlennek s egy másik nagy írónak köszönhetjük,hogy az antik ihletésű kis remekművek nem foszlottak194<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


szét a semmibe a másnapok egyhangú világításában.Pedig D'Annunzio nem szerette az írónőket. De egyszerfelfigyelt, amikor a társaságban Zoláról vitatkoztak s amagyar mesemondó azt a megjegyzést tette, hogy Zolaterjengőssége olyan, mint Rubens asszonyainakterjengőssége. Ettől kezdve irodalomról kezdett velebeszélni a nagy Gabriele s egyszer aztán arra kérte,hogy meséljen neki. Tormay Cécilenek föltétele van:előbb D'Annunziónak kell felolvasnia az Elegie Romaneegyik gyönyörű versét. Erre következik A fuvola és adrachma című „mese”, mely annyira megtetszikD'Annunziónak, hogy levelet ír D'Orsay grófnőnek: „Maújra szeretném hallani a kis halkszavú mesemondót...”S mielőtt Tormay Cécile első „nagy” novellái magyarulmegjelentek volna, D'Annunzio elkészíti A fuvola és ABoldogasszony Arkádiában olasz fordítását. 2 Eddig mégsohasem fordította más munkáját: az Il flauto e ladramma D'Annunzio első fordítása. Még egy harmadikmesét vár, hogy a triptichont saját kiadójával, Trevesszelkiadassa a saját illusztrátorával, De Carolis-szalillusztráltassa... De közbejön a „Phedra” bukása, melyPárisba száműzi D'Annunziót. Azóta, ha magyarokkaltalálkozik, a „piccola serocchia Cecilia”-rólkérdezősködik.Az ő ajánlólevelével állít be a fiatal magyar írónőLouis Ganderaxhoz, a „Revue de Paris” teljhatalmúszerkesztőjéhez. De az visszaadja A fuvolát: „Képzeljeel, Madame, hogy én tengerészeti miniszter vagyok ésön nekem a világ legbájosabb gondoláját ajánlja föl.Nekem hadihajó kell, nem gondola. Ha majd leszhadihajója, akkor jöjjön el újra.” A lecke nagyszerűenegészítette ki a firenzei miliő hatásait. A mithológiai éshellénisztikus novellák költői szépségei és máristökéletes művészi alkata önálló abszolút értékeketjelentettek. Nem csoda, hogy a gazdag fantázia, alatinos formakészség nagymestere, d'Annunzio örömétlelte bennük. De a „hellénizmus” a nagytehetségűkezdőnél mégis a bátortalanság következménye volt sidővel egyoldalúságra vezethetett volna. Mikor azírással próbálkozó fiatal leány rájött arra, hogy nemismeri eléggé az életet, eredeti ötlettel a mithológiához 3menekült, mint olyan témakincstárhoz, mely nem iskíván élettapasztalatot. Ganderax kritikája véget vetetta „gondola-korszaknak”. Felébresztette TormayCécileben az igazi élet, a tragikus, viharos, szakadékosemberi lélek ismeretének vágyát. A művészi és költőikoncepció mellé ekkor bontakozott ki Tormay Cécile, azíró és az ember másik vonása: a mély és erőteljesjellem, amely eszményi normáját úgy viszi bele az életharcába, mint a Kapisztránok a keresztet; az esztétikummellett felmagasztosul a humánum...1913-ban Ganderax megkapta a „hadihajót”, a nagyregényt. Az Emberek a kövek között megjelent a„Revue de Paris” hasábjain.» 41 Addig édesanyja Magyarország különböző vidékeire vittealapos, szinte baedekerszerű útiprogrammal. Különösen aFelvidéket, majd Délmagyarországot ismerte meg így; azAlföldön úgyis otthon volt a nádudvari családi birtok révén.Erdélyt a háború előtt utazta be.2 Il flauto e la dramma; Nostra Donna in Arcadia. ABoldogasszony Arkádiában (első fogalmazás) az Apródszerelemc. novelláskötet utolsó darabja (1900).3O. Seemann német nyelvű mithológiai kézikönyvétkislánykorában dolgozta fel. A mithológia rendkívülibefolyásáról tanuskodik az Apród szerelem négy novellája:Megcsalódott istenek (érdekessége az, hogy az istenvilág aTisza partjára van lokalizálva), Mythos a syrinxről (olyanfélemetamorfózis, mint Tompa virágregéi), A najád halála (aforrás najádját összezsugorítja, elgyöngíti a szerelem napja;végül egészen elfogy: a forrás kiszáradt), A BoldogasszonyArkádiában.4 Au pays des pierres. Marcelle Tinayre fordította le. 1914-benkönyvalakban is megjelent Calmann-Lévynél s két hét alatthárom kiadást ért meg.(A FIRENZEI SZALONOK MESEMONDÓJÁTÓL A KARSZT TRAGIKUSKÖLTŐJÉIG IN Hankiss János: Tormay Cécile, Budapest, 1939Internet: http://tormayc.webs.com/tc_hj1.html)A Hankiss-esszé jegyzeteiben, Szegedy Maszák Aladárnéközlése alapján, a 247. oldalon van egy felsorolás TCfontosabb 1893 és 1915 közötti utazásairól (a levelezésalapján). Ebből egy válogatás:1893. nov.-dec: Daruvár, ... 1895. szept: Lussin, okt.:Álgyest ... 1896 jan.: Daruvár, ápr.: Bécs ... 1898. aug.:Marienbad ... 1899. szept.: Rimini, Firenze ... 1900 augszept.:Rimini, Palermo, Nápoly, Szicilia ... 1901. szept.-okt.:Viareggio, Rimini, Milano, Pistoia, Pisa, Bologna, Parma,Spezia, Genova, Firenze, 1902. szept.-okt: Rimini, Pisa,Firenze, FERRARA, ..., 1903. ápr.-máj.: Daruvár, júl.-okt.:Rimini, Firenze, Fiesole, Viareggio, Perugia, 1904. jan.-ápr. Riva, Torbole, Arco, Firenze. - 1905. márc.-máj.:Firenze, FERRARA, Venezia, szept. okt.: Firenze, Viareggio ...1907. ápr-máj.: Abbazia, Roma, Firenze, szept-dec.:Viareggio, Firenze, Párizs, 1908 szept.-dec.: Cernobbio,Bergamo Bellaggio, Viareggio, Lugano, Como, Torre de Lago.Lucca, Spieza, Firenze, Fiesole ...1911: máj-jún.: Firenze,Buonconvento (Castelnuovo), Siena, aug.:-szept: Innsbruck,Schaffhausen, Konstanz, München, Zürich, Köln, Mainz,Scheveningen, Amsterdam, Hága, Antwerpen, Brüsszel. nov.-dec.: Firenze, Bologna, Siena, Buonconvento ... 1913. oktdec.:Firenze, Viareggio, Siena, Buonconvento, 1914. ápr.-júl.: Bécs, München, Párizs, Firenze, Siena, Viareggio, 1915.júl.: Berlin. ...*«Tormay Cécile küldetését főképp abban láttuk,hogy teljes testi-lelki függetlenségébenmondhatta az embereknek: Nincsenekmegoldhatatlan problémák, ha az ember tiszta ésbátor; nincsen szomorúság, amely fölé a hit és aművészet ne boltozhatna győzelmes örömet; nemkell választanunk az élet értékei között: mindösszetartozik, ha az ember meg tudja találni azt amagas értékű közöcs nevezőt, amely harmóniábahozza őket. Mert amint Tormay Cécile-t nem lehetazonosítani senki mással és főkép semmifélepárttal, Ungot sem foglalhatja le a maga számárasemmiféle világnézeti árnyalat. Az egészmagyarság ő. „Vízszintes” irányban: egyszerreminden társadalmi osztály — társai nem értik meg,hogy ő, a jó születésű ifjú, miért törődik a jobbágyokbajával 1 ; „függőlegesen”: minden magyar kor, ahonfoglalóktól a kései középkorig és azon túl,napjainkig. Mesteri és minden fölösleges szónáljellemzőbb viszonya a magyarok ősi vallásához. Ungsohasem tudja Ugur hagyományát egyszerűen sátániincselkedésnek, a kárhozat tanának tekinteni: mélységesszomorúsággal, de a múltnak járó mélységes szeretettelmerül el a régi magyarság földi paradicsománakemlékébe akkor is, amikor újra és végkép megértiKrisztus jelentőségét szenvedésre szánt nemzete<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 195


számára. Az író is egy kissé Ugur, amikor „aGöncölszekér elhullatott aranypelyváját” s a többiszépséges szép, régi dolgokat a művészgyönyörűségével emlegeti, Jókai Bálványos várávalversenyezve borzong az erdő mélyén, délidőben, ősioltárhelyen. 2 És a Fioretti ihletével dícséri a magyarbarátokat, akik még az író-pulpitust is szabad ég alattszeretik. A tiszta magyar fajú, 3 lovagias gondolkozásúfehér barát nem egyszer kerül ellentétbe udvaripapokkal, idegen gondolkozású türelmetlenekkel, defölénye egy pillanatra sem kétséges. Tiszántúli típus ésígy halvány körvonalakkal benne van mindaz, amivalamikor ezt a tősgyökeres s a végsőkig kitartó magyarfajtát jellemezni fogja, — még egy halkan, dehatározottan ívelő szivárványhíd a magyarprotestantizmus felé is, bár természetesen erről aközépkori regényben nem lehet világosan szó. 4 Mindenmagyar várhatja tehát Ung küldetését önmagához, mertUng minden szépséget és értéket, amit a magyarmúlt felraktározott, erővé alakított átmindnyájunk erősítésére. Tormay Cécile átadtaneki szélesen kiterjesztett szárnyainak mindenerejét és alattuk hely van mindenkinek ésmindennek és magyar meg magyar közt nemlehet különbség. S mindez annál mélyebben hatreánk, mert küldetését csak érezzük, nem váltjáksok szó aprópénzére, s ezzel a beszédeshallgatással nem lehet vitába szállni... (HankissJános: Tormay Cécile, Budapest, 1939 Internet:http://tormayc.webs.com/tc_hj1.html )1 XI. 151 skk. l.2 V. ö. XI. 90. és főképp az a felejthetetlen mondás a kéziratvégén: «Valamikor régen áthaladt a vetésen az Úr.Ezenképpen az ő járása megszentelte e világon abúzaföldeket. És ti emlékezzetek rá, hogy a kalászokban azótabenne foglaltatik mindenki mindennapi kenyere.» (XII. 203.)3 V. ö. X. 27.4 Tiszamenti és dunántúli különbségét sokkal szerencsésebbformában érinti, mint korának legtöbb írója. (XII. 34.)Sajnos, mint ahogy a kommunizmus embert-lelketeltipró diktatúrája alatti években, úgy most is találhatókbulvárlapokhoz hasonló, alpári stílusban írt írások isszemélyével és munkásságával kapcsolatban.Internetes kutatásaim során bukkantam az alábbiismertetőre egy aradi internetes irodalmi folyóiratszájtján a Tormay Cécillel kapcsolatban: „A magyarokleszbikus, zsidófaló nagyasszonya” címmel közölt íráselőtt Onagy Zoltán szerkesztette Bőség zavararovatban az alábbi bevezető sorok olvashatók: «Életeutolsó évtizedében gróf Ambrózy-Migazzi Lajosnéval élközösen vásárolt villájukban Mátraházán él. Ekkoriban agrófné szerkeszti A Magyar Asszonyt, s Tormay Cécileéletművet is ő rendezi sajtó alá.Akarjuk, nem akarjuk, van abban valami szánalmasangroteszk a mindenkori magyar politikai viszonyokranézve, hogy a korban „fajtalanságnak” számító nemiidentitása ellenére ő a két világháború közt működőlegnagyobb létszámú nőszervezetének vezetője, és arendszer felkent nőírója. Az, hogy ki milyen nemiidentitással éli az életét, legteljesebb mértékbenmagánügy, de bizonyos közügyek és a legteljesebbmértékű magánügyek, hogyan is mondjam, ütikegymást. Mint ebben az esetben is.»A fent jelzett címen az írás ezen mód indul:«Különös írónő halt meg hetvenkét éve Mátraházán,szeretője karjában. Ha igaz. A neve – jó okkal –tökéletesen ismeretlen a kortárs olvasó előtt, véletlenülbukkantam rá alföldi nagyszüleim könyvraktárában.Tormay Cécile-nek hívták. Nem az egyetlen író amagyar irodalomban, akit nullára ír a politika, de akevesek közé tartozik, aki valójában megszűnt létezni.Legismertebb könyve a proletárdiktatúra naplószerűfeldolgozása, a Bujdosó könyv. Érdemes belenézni, aneten olvasható. Fénylő csillag ő az irredenta irodalomegén.Kezdjük talán azzal, hogy leszbikus, elszereti grófZichy Rafael feleségét. A korabeli sajtó megírja, ő pedigfeljelent mindenkit, mint ez manapság is szokás. Ésmegnyeri a pereket, ez is szokás. Eddigre elkészül anagy könyv, ő pedig közéleti pályára áll. [...]»Ezzel a cikk-kel kapcsolatban az alábbiakatjegyezném meg:Igaz ugyan, hogy a ’60-as és ’70-es évekbenfolytatott tanulmányaink idején nem is hallottuk –legalábbis a hivatalos közoktatásban – Tormay Cécilenevét, de azért mégsem lehet azt mondani, hogy 50évig nemlétező író. Azért, mert nem hallunk valakikről,mert tiltottak és elhallgatottak voltak, azért még nemegyenlő a nemlétezésükkel. Azt se felejtsük el, hogy azirodalmat szerető, kulturált, a kommunisták általüldözött és elnyomott polgári családok házikönyvtárában megtalálhatók voltak a munkái, nemcsakregényei, novellái, de esszéi is... Külföldön is hírnevetszerzett az írói, esszéista munkássága mellett mindenmás jellegű tevékenységével is...A Kádár-éra kommunista oktatás- és kulturpolitikadiktálta légkörben az MTA által kiadott, újra kiadott „Amagyar irodalom történeté”-ben - az ún. spenótsorozatnak csúfolt, ami mindenki által elérhető volt akönyvtárakban a mi tanulmányi éveinkben is és most is- azért mégiscsak szerepel, ha csak szűkszavúan ésegy-egy utalás erejéig.VI. kötet a „Konzervatív irodalom” fejezetben:A 160. oldalon: „1923-ban a Magyar Irodalmi Társaságtámogatásával induló Napkelet a háború utániírónemzedék folyóirataként jelentkezett, a kereszténynemzeti írók tömörítését foglalta programjába. TormayCecil szerkesztette,előbb Horváth János ésHartman János, majdNémeth Antal és KállayMiklósközreműködésével. [...].”A 162. oldalon utalás rá:„[...] A városi élettel nemtudtak megbarátkozni ésbenső kapcsolatba kerülni:Szabolcska Mihály,Kozma Andor vagy azirredenta költészet éppúgy"bűnös Budapestről"beszélt, mintTormay Cecil rosz-196<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


szindulatú Bujdosó könyve. [...].”A 164-165. oldalon: „[...] "A keleti forró vér és anyugati hűvös fegyelem összeütközé-se mint motívum,a kereszténység elleni Ár-pádkori lázadások magyarázatas egyéni tra-gédiák szülője azonban szinteközhellyé vált az irodalomban s méginkább anacionalista publicisztikában"– írja irodalomtörténetébenSchöpflin Aladár. (Tormay Cecil Az ősiküldött című romantikus trilógiája a 13. századimagyar történelemre ezt az ellentétet vetíti rá.)Ugyanígy az erkölcsi idealizmus optimizmusávalmérsékelt fájdalmas, tragikus eszmekör, a nemzetimagárahagyottság, az "egyedül vagyunk" egyszerrehősi és gyászos, fenséges és tragikus színekbeöltöztetett hitvallása is Herczeg műveibenfogalmazódott meg példát állító módon. [...].”„[...] Herczeg Ferenc, Tormay Cecil és azakadémikus konzervatív irodalomnak nyomukban járóírói (Csathó Kálmán, Zsigray Julianna) a múlt századutolsó harmadának zavartalan életérzését, az "úrimagyarság" életstílusát őrzik műveikben, klasszikusemelkedettség és ünnepies pózok objektívnek tűnőformáiban vagy az anekdotázó elbeszélés, melegkedély, az intim kedvesség és szórakoztató történetromantikájában. Jókai, Mikszáth, Gárdonyihagyományát idomítják hozzá egy önmagát túlélttársadalom életideáljához. [...].”A 168-169. oldalon az alábbi szűkszavú információolvasható:„Tormay Cecil 1876-ban született, 1937-benhalt meg. Megalapította s indulásától halála évéigszerkesztette a Napkelet című folyóiratot. Vezetője volta keresztény-nemzeti kurzus céljait szolgáló MagyarAsszonyok Nemzeti Szövetségének (MANSZ).A század elején megjelenő, utánérzésekből születettnovellái keresett eszközökkel, üresen csillogóművésziséggel középkori és mitológiai tárgyakatdolgoztak fel (Apródszerelem, 1900; Apró bűnök,1905). Első nagyobb műve (Emberek a kövek között,1911) finom műgonddal megírt, impresszionista stílusúregény: a horvátországi Karszt vidéken játszódik,misztikus jelképpé növekedik benne az öntudatlanboldogságban élő kecskepásztor lány és az alföldilegény szenvedélyes szerelme. Sorsukban a faji alkat ésa determináló természeti környezet különbözőségenyilvánul meg: a lány ösztönös, mintegy a természettelegyütt élő lény, míg a legény egy haladottabb világbólérkezik a számára idegen környezetbe, érzelemvilágagazdagabb és többrétű, mint amazé. Az egyéni sorsokatnagy, elemi erők törvényei irányítják – mondja a regény–, eleve kijelölt sorsa elől senki sem térhet ki. Két fiataltragikus szerelme is a természeti környezet – a vad,zabolátlan szláv hegyvidék és a hallgatag magyar alföld– ellentétét hivatott érzékeltetni. Legnagyobb sikerűműve, A régi ház (1914) a vérkeveredéssel, a fajokasszimilációjával foglalkozik – Thomas MannBuddenbrook-jára emlékeztető – nemzedékregénymintegy évszázados időt átívelő formájában. Avagyonos német városi polgárság meghonosodását éslassú beolvadását három nemzedéken kíséri végig.Ulwing Kristóf építőmester alapítja meg a családvagyonát, a pesti Duna-parton álló régi házat is őemelteti; szilárd, erős akaratú ember, a polgári haladáshíve: arra büszke, hogy neki is része van a gazdagodóés szépülő város életében. A következő nemzedékeknem öröklik az öreg Kristóf erélyét és polgárijózanságát: fia tehetetlen és gyönge ember, nincsbenne már kezdeményezés; tétlenül nézi, hogyan megyveszendőbe apja vagyona; az unoka pedig már züllésbeis sodródik, híján van minden polgári erénynek. Aharmadik generációhoz tartozó Ulwing Annának lesz asorsa, hogy családi életének tragédiája árán ismegértse az idő jelét és a férje sorsában rejlő célzatosüzenetet. Illey Tamás elszegényedett dzsentri már neméri meg ősi földjei visszavásárlását, pedig ez lett volnaélete értelme: „Csak az a család marad meg, melynek agyökere a földben van. A városi kövezetre hiába hinti afa a magvát, ott nem létezhetik tartós élet. A polgáricsaládok csak házak, a legtöbbje három emberöltőreszól. A falusi ember a föld.” A regény befejezésébőldzsentri nosztalgia és misztikus jelentés szól. Férjehalála után Ulwing Anna Illére költözik – s a regényezáltal azt is mondja, hogy vissza kell találni ésazonosulni kell az ősi földdel, s a városnak találkozniakell a vidékkel, mert a magyarság igazi őrzője a föld.Az Emberek a kövekközött és A régi ház nemérdemtelenül jutottelismeréshez (HorváthJános a harctérről küldtehaza elismerő, méltatóbírálatát. A régi házat azAkadémia Péczely-díjajutalmazta, és mindkétregény több külföldikiadást ért meg). DeTormay számontarthatóértéket adó pályája ezzelle is zárult. Gondosancizellált novellái (Viaszfigurák, 1918) az első kötetektémáit ismétlik, vagy a művészsors és a művészi szépproblé-máját feszegetik – kevés eredetiséggel, sokromantikával, a századelő miszticizmusának eljárásaiszerint, mely a vallásos gondolatot is az artisztikumpompájába burkolta. Hivalkodó írói becsvágyával semélményvilága, sem mondanivalóinak tartalma nem álltarányban; a forradalom után hivatalosan elismertnagyság lett, irodalmi szalont tartott fenn, folyóiratotszerkesztett és politikai szerepléshez is hozzájutott –csak művei nem születtek már. Amit ezután írt: ahivatalos apologetika ismérvei szerint készült.Hírhedt naplója, a Bujdosó könyv (1921–22) aforradalomról rajzolt torzkép, útszéli módon rágalmazó.Gyűlölködve mondja, hogy a magyar alkattólidegen minden társadalmi radikalizmus, aforradalmak is idegen fajúak, elsősorban azsidók hozták az országra; de a forradalombanvétkes a magyarság eredeti mivoltátólelidegenedett „bűnös Budapest” is. Élete nagyművének szánt történelmi trilógiája, az Ősi küldött(1934–1937) befejezetlen maradt. Mint sok korabelitörténelmi regény, az elkészült két kötet is (A csallóközihattyú, A túlsó parton) a magyarság régi hitének és réginagyságának eltűntén borong, és a győzhetetlenségérzületének akar ébresztője lenni, hogy kiölje a nemzetikishitűséget és lemondó hangulatot. A műnekazonban nincs igazi, átható gondolata:<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 197


élményvilága szűkös, leírásai hosszadalmas,érdektelen epizódokat sorakoztatnak egymásután, a hangsúly mellékes motívumokraterelődik s nyelvi választékosságát, előkelőtónusát, festői díszítéseit már a korabeli olvasósem érezte időszerűnek. Korrajzának történelmihitelességét is vitatták a megjelenéskor: a trilógia a 13.századra teszi a kereszténység és a pogányságösszeütközését. Finomnak szánt célzataiból azolvasható ki, hogy hősének, Ungnak a sorsában,tépelődéseiben a magyar tragédiát kívánta ábrázolni,Kelet és Nyugat végzetes összeütközését és a hajdanihonfoglaló magyarság dicsőségének elvesztését. UngPárizsból tér haza, az országot Batu kán barbár hordáifenyegetik, a király hatalmát visszavonás bénítja és abetelepült kunok is veszedelmet ígérnek. Szerelme,Kinga elpusztul, a betörő tatárok fölégetik az országot,a király csatát veszt Muhinál és fut nyugat felé. Ungelindul, hogy megkeresse a régi istent, mert a büszkeés bátor népnek a kereszténység lett a megrontója.„Valamikor a mi öklünktől reszketett a világ, reszketteka német tartományok és a gallusok agyába rontottuk akardunkat. Valamikor adót fizettek sok körülvalószomszédok és hódolt fejedelmek és népek térdeltek amagyar király előtt.” Bár eszközei finomabbak, előadásaés célzatossága tartózkodóbb színezetű – Az ősi küldöttis a kor nacionalista szellemű ábrándkergetőirodalmához tartozik.A 188. oldalon a Kiadások címszó alatt: „[...] TormayCecil: Apródszerelem. 1900. – Apró bűnök. 1905. –Emberek a kövek között. 1911. – Régi ház. 1914. –Viaszfigurák. 1918. – Bujdosó könyv. 1921–22. – Az ősiküldött. 1934. – A fehér barát. 1937. [...].”A 189. oldalon az Irodalom címszó alatt: „[...]Tormay Cecil: Horváth János: T.C. BpSz 1916. 310–316. – Hankiss János: T.C. [é.n.] – Kardos László: Azősi küldött. Vál 1934. máj. 77–78. – [...].”Gusztustalannak találom, a bulvárlapok stílusáhozhasonló magatartást. Az irodalmi tevékenységénekméltatásához semmi köze a szexuális mivoltjánakfejtegetése. Ez a magán szférához tartozik.Életéről, munkásságáról és műveiből bőségesenlehet olvasni a Tormay Cécile Kör honlapján. A googlekeresővel rá lehet találni.A leszbikusságára való utalással kapcsolatban ímeegy kis részlet egy korabeli információból:«Szervezett bosszúhadjárat — Rejtélyes látogató„A zsidóság gyűlölete forrt Tormay Cécile ellen. A könyvminden ellenakcióval szemben, hosszú éveken átmegőrizte és frissen sugározta magából azellenforradalom lelkét. Már régen a bethleniaranyközépút és a neoliberalizmus uralkodott, márrégen lealkudták a szegedi forradalom mindenszándékát és vívmányát, a 'Bujdosó könyv' s az ebben aszellemben épült asszonyszervezet (MANSZ)csökönyösen a 'régi alapon' dolgozott. Amikor a könyvúj kiadása, hosszú évek süllyesztése éskönyvkereskedői blokádja, bojkottja után mégiskövetelőn időszerű lett és a 'szakmában híre ment',ismeretlen eredetű megbizásból fiatal író jelent megTormay Cécile lakásán. ...'a Károlyi-korszak szellemiörököseinek ultimátumát hozta' ...— Tormay Cécile vonuljon vissza minden közéletitevékenységtől.— Azonnal álljon félre a Napkelet szerkesztésétől.— Szüntesse meg írói működését.— A Bujdosó könyvet azonnal vonja ki aforgalomból.Ha ellenáll, eltiporják. (!)Tormay csöndesen elbocsátotta a fiatalembert ésmost már sürgette a kiadónál a Bujdosó könyv kiadását.A könyv egy hónap múlva megjelent.Alvilági sajtóhadjárat egy pör körülNem telt bele két hét, itt-ott hírrakéták röppentek fel,ismeretlen helyekről különös híreket kezdtek terjeszteni.Rövid időn belül megindult a nyílt támadás. Az akkormég teli virágzásban lévő liberális sajtó oldalascikkekben foglalkozott Zichy Raffael gróf válásiterveivel. Még ekkor nem került a hasábokra az írónőneve. Hatalmas technikával, pontos időzítésseldolgoztak: amikor már eléggé reflektorfényben állt azaddig jóformán ismeretlen személyiség, a gróf, akkorállították át az ügyet a tulajdonképpeni útra, azegyetlen cél felé: támadásba Tormay Cécile ellen. Azalvilági sajtóhadjárat még csak erősödött egyesgyanúsítással (Tormay 'elszerette a gróf feleségét?!...'),amikor Tormay Cécile önvédelemből, természetesen,megindította a becsületrablók ellen a pört. A bírói ítélet,hosszú hónapok kegyetlen és idegkimerítő tárgyalásinapjai után, elégtételt adott ugyan Tormay Cécilének,de a lefizetett hamis tanúk újabb és újabb 'vallomásai',addig, míg a bíróság nem szakította szét a burkot,súlyos lelki válságba kergették az írónőt. Az infernálisper izgalmai teljesen aláásták egészségét,szívburokgyulladást kapott, ebbe halt bele. Azsidóságnak nem sikerült Tormay Cécile-t eltipornia.(...) A grófot és megfizetett 'tanúit' a bíróság elítélte.(...) A temető hallgat már, a tanulságot levonta-eazonban a magyar szellemi élet, amelynek egyescsapatai még mindig erőszakolják a zsidósággal valóegyüttmenetelést? Akik folyóiratokat teremtenek éstartanak fenn, hogy egy gyékényre rakhassák a zsidóés magyar szellemi termést. A Nyugat és gárdájaTormay Céciléről kénytelen-kelletlen mindigmegállapította, hogy tehetséges, de mindighozzátették: 'Kár, hogy a politika mezejére lépett.'(Bizony kár a zsidóság vesztére! A magyarságra nézvefelbecsülhetetlen haszon!) A tehetséges írót azzalverték agyon, hogy nacionalista szellemben mert írni.Tormay Cécile ennek az áldozatnak szimbóluma. Azt aTormay Cécile-t, akinek szalonjában Apponyi AlberttőlGömbös Gyuláig egymás kezébe adták a '20-as évekelején a kilincset a konstruktív politikusok, mertbensőségesen gondolkodó, a magyar sors problémáitismerő lélek volt, a per mocskos hullámainak hatásaalatt mindenki magára hagyta. Egyedül maradt. A'keresztény konszolidáció' ideje alatt történt ez.Elvérzett egy zsidó maffiával szemben.”» (Kabay Zoltán:„Szervezett bosszúhadjárat vitte sírba Tormay Cécile-t” INEgyedül vagyunk, 1942. augusztus 16. V. évfolyam 17. szám)198<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


A Magyar Kulturális Örökség Minisztériuma általtámogatott, Olaszországban 2002-ben megjelent „AMagyar Irodalom Története” A5-ös formátumú,nagyon apró karakterekkel szedett 2. kötetében hat ésfél oldalon „Cécile Tormay: a száműzött írónő” címmelaz alábbiakkal indul Bruno Ventavoli róla szóló kritikaitanulmánya, amelyről úgy vélem, hogy sokkalobjektívabb Tormay Cécile irodalmi- és politikaitevékenységével kapcsolatban, mint a a XX. századbeliés a jelenkori, őt semmibevevő, lenéző vagy kigúnyolókritikusoké. Amit ír, abból látszik, hogy ismeri a műveit,olvasta, s azok alapján fejti ki Tormay Cécilemunkásságát elemző gondolatait, amelyekszembeötlően hitelesebb képet festenek az írónőről,nem úgy, mint akár a tegnapi, a „Nagy Spenótból”idézett marxista-leninista, kommunista kritika:«Igen eredeti személyiség a századeleji magyarirodalom színpadán: Tormay Cécile nagy tehetségűírónő (Budapest 1876 – Mátraháza 1937), aki képeskifinomult pszichológiai részleteket nyújtani a nőilélekről, amely a kor ellentmondásaira reflektál és képesindulatos politikai állásfoglalásra az ultraradikalistakonzervativizmus mezején. Német eredetű családbanszületett (a nagyapját Krenmüllernek hívták), amely1896-ban nemesi rangot kapott a milléniumévfordulóján, arisztokrata és kozmopolita környezetbennövökedik és formálódik szellemileg. Olaszországi útjaisorán megismerkedik D’Annunzióval aki két novellájátlefordítja. [Mgj.: A tanulmányíró sajnos nem említimelyik két novellája az.] Franciaországban kiváltjaAnatole France tiszteletét és barátságát, aki ünnepli azta készségét, amellyel képes „az egyszerű és élettelendolgokat” életre hívni. Kifinomult nyelvi tehetséggelmegáldott, visszafogottan debütál verseinek, útibeszámolóinak, novellagyűjteményeinek publikálásával.Az „Apró bűnök” (1905) c. kötete nem vívta ki amegérdemelt visszhangot. Ugyanis Tormay „outsider”-nek [nem kedvelt], ügyes dilettánsnak ésmásodrendűnek tartották a fővárosi irodalmi körökhözviszonyítva. Neveltségből és természettől indíttatva abohém írók és a „Nyugat” progresszív laboratóriuma ígyrajzolják meg profilját. Nem jár kávéházba, elegánsdolgozószobájában elszigetelve, az antik művészetek ésértékes családi emlékek között alkot.Első regénye, az Emberek a kövek között (1911)külföldön nagyobb sikert ér el, mint hazájában.Magyarországon a recenziót nagy figyelemmel, debizonyos hidegséggel egy nő írja, a költő ésfestőművész LesznaiAnna. A kritika szerintazért, mert a főszereplőalapos és csodálatraméltó elemzésének nemmegfelelő egy eléggészilárd narratív struktúra.[...]»Az «Emberek a kövekközött» egy U.S.A.-belikiadásaAz irodalomtörténélsz éskritikus elemzi, bemutatjaaz első regényével együtta Viaszfigurák, a Régi ház és a Bújdosó könyv c.műveit. Az alábbiakban méltatja Tormay íráskész-ségétés a Bújdosó könyvet, anélkül, hogy hírhedtnekbélyegezné, mint ahogy a hazai kritika tette vagy ahogyegy olaszországi zsidó honlapon írottak vélekednekTormay Cécilről – amely még túltesz a hazai kritikán is,ahol valóban árad agyűlölet az írónő személyeés munkássága iránt, amiviszont nem igaz,ellentétben az egyes hazaikritikai megállapításokkal ekönyv tartalma kapcsán:«[...] Tormay nagyszerűenpompás narratívájábana válságban lévőMonarchia irodalmi ésideológiai vitái tükröződnek.A világháborúkirobbanásával és a régirend felbomlásával irodalmitevékenysége egyre inkább politikai ízűvé változik. Aköltői metafórák, a gyötrelmes szerelmi történetekátadják helyüket egy mindjobban maró és ideológiaiprózának. Igaz és valós védőbeszédek a hazamegmentéséért, a magyarság és a kereszténységhagyományos értékeiért. 1918-19-ben Tormay nyíltanszínre lép. Gyűléseket szervez. Konferenciákat ad.Csatlakozik a konzervatívok csoportjához, amelyigyekszik kitartani a Tisza István meggyilkolását követőzűrzavarban. Hevesen támadja Károlyi grófot a liberálpolgáriforradalom támogatóját, akit tehetetlennek,gyengének, árulónak tart. Különösen ráront a hatalmatkezébe vevő kommunista értelmiségre, akik az országota bolsevik anarchia felé akarják evezni. A Kun Bélarezsimalatt Tormayt halálra ítélik, titkon a barátaiotthonában él és menti a naplójának megírt oldalait,amelyet 1920-ban jelentet meg: ez a Bújdosó könyv,amely 1918 októberétől 1919-ig lezajlott eseményeketmondja el.A könyv hangtónusa szélsőséges. Indulatos. Devitathatatlanul hatásos. Forró írásbeli bizonyítéka aszétesésnek, a félelemérzésnek, az apokalipszisnek,amelyet Budapest és Magyarország megél alegyőzöttség után. Az utcákon káosz uralkodik. Lövésekhallatszanak, rendbontások és tüntetések robbannak ki.Katonák, tengerészek mind elveszítették az önkontrollt,fegyveresen cirkálnak, parancsolgatnak, lopnak,erőszakoskodnak mindenütt. Tormay szemtanúja aparasztok fegyveres betörők általi kifosztásának, adicsőséges hadsereg dekorációinak és rangjelzősávjainak büszke viseléséért megcsonkított és összeverttiszteknek. Az arisztokrata otthonokban gyűlésekettartanak a nemzeti megmenekülés céljábólösszeállítandó front létrehozása céljából. Tormaymegszervezi a Magyar Nők Hazafias Egyesületétösszegyűjtve a régi vezető osztály feleségeit ésözvegyeit. A közönség előtt felszólal. Védőbeszéd. Ahiteles magyarokhoz fordul kérvén, hogytartsanak ki a vörös veszéllyel szemben és akülföldi politikusoktól kér segítséget, hogy védvelegyenek Magyarország becsülete és történelmihatárai. Mert ezen ország lerombolt és elhagyott<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 199


földjén egyetemes küzdelem folyik a nyugaticivilizáció értékei és a bolsevik erőszak között.[...]» – és folytatja összefoglalóan a Bújdosó könyvbenírottakat. (Az interneten lehet és érdemes ellenőrizni azeredeti szöveg alapján.)Az olasz irodalomtörténész majd így folytatja»:«A Bújdosó könyvet elárasztja egy, a zsidókkalszembeni, kellemetlen megvetés. De az ilyenhangtónuso irányadó az antiszemita nehezteléseredetének megértése szempontjából, amely nagyszenvedéllyel robban ki a két világháború között sfertőz meg más radikális konzervatív írót is, mint SzabóDezsőt, amely egy csapásra megsemmisíti a dualizmusboldog integrációját. A „júdeaiak” a forradalomlegnagyobb felelősei. Kun Béla, akinek apja Galiciábóljött, a háború folyamán azonnal behódolt azoroszoknak, a kommunisták képezték ki, agitátor volt afogolykatonák között és pénzzel teli bőrönddel térthaza Magyarországra, hogy finanszírozza a forradalmat.A progresszista értelmiség nagy része az asszimiláltzsidóság soraihoz tartozik. És felelősek a régi állammegdöntéséért. „A katonai vezetőség és a polgáriközigazgatás hivatalaiban javarészt olyanok ülnek, akikazelőtt bankok és boltok pultja mögött, vagyszerkesztőségekben dolgoztak és kicsúfolták azélhetetlen magyar értelmiséget, mely éhbéren, államihivatalokban tengődött.” A magyarokat eltávolítják,kirabolják, tekintélyétől megfosztják. „A hatalom mostannak a kezében van, aki a háborún spekulálvamilliókra tett szert és meggazdagodott a forradalmon. Afőváros legelegánsabb színházai parókás, líbazsíronhízott ortodox zsidókkal telnek meg, akik jiddisülcsevegnek és zsíros papírdarabokat hajítanak a földre.”[...]» [Mgj. Íme az eredeti magyar szöveg: „Míg mimindentől visszavonultunk és a magyar élet gyászábanés szegénységében nem látszik többé, szerepelni kezda hadimilliomos testvértípusa, a forradalommeggazdagodottja. Új fajta közönség lepi el avendéglőket, a mulatóhelyeket és a színházakat. Teltházak előtt adják az ő íróiknak a darabjait. Kaftánosokülnek a földszinten. És a páholyokban libazsíron hízottparókás ortodox asszonyok, akik jiddis német nyelvenbeszélnek maguk között és felvonásközökben a KirályiOperaház szép, előkelő csarnokában fokhagymásszalámit falatoznak és eldobják a zsíros papirosokat. AHungária-szállodában és a Ritz éttermében jóformánkizárólagosan csak késsel esznek az újfajta vendégek,akiknek a lelkét legjobban jellemzi az, hogy a napokbanmikor az étteremből kifelé indult néhány francia tiszt,megparancsolták a cigánynak, húzza el a Marseillaisetés hódolatuk jeléül valamennyien felálltak. Az egyiktiszt, visszafordult és csak annyit mondott: "Salenation". A hódító elveszi a legyőzött szabadságát,fegyverét, javait. De ez olyan fajta hódító, amely,miután mindent elvett tőlünk, még a becsületünket iselveszi.”]A könyv a Horthy-Magyarországon és külföldön sikertarat. A száműzetési hónapok után Tormay ismétközszereplővé válik. Nagy energiát fordít az országmorális regenerálódására. Újraszervezi és vezeti aMagyar Asszonyok Nemzeti Szövetségét. 1922-benmegalapítja a konzervatív irodalmi folyóiratot, a„Napkelet”-et , amely cím a magyarok ősi gyökereit, azextrém Kelet-Ázsiából érkező nomád lovasokat idézi sugyanakkor ideológiailag ellenkező állásfoglalásrahelyezkedik a „Nyugat”-tal, a progresszív értelmiségiekhagyományos páholyával szemben. Szóba jön TormayNobel-díjra való javaslása és fontos nemzetköziszövetségek általi megbízása. 1934-ben elkészül egy, akor ízlése szerint megírt, ambíciózusos történelmiregényével, amelyben az ősi hősi geszta elbeszélésévela csonka Magyarország nemzeti lelkiismeretét igyekszikbúzdítani: Az ősi küldött (trilógia), amelynek csak azelső két kötete jelenik meg, a harmadik befejezetlenmaradt az írónő bekövetkezett halála miatt. KállayMiklós fejezi be. A cselekmény a középkoriMagyarországon játszódik a pogányok és akeresztények közötti küzdelemben, Nyugat és Keletközött, amely sosem zárult le, amelynek folytatása lettaz első világháború és az elkövetkező bizonytalan rend,mint egy tragikus epilógus.»Bruno Ventavoli kritikai tanulmányát és az írónőmunkáit olvasva egészen másként áll előttünk TormayCécile alakja és tevékenysége, mint ahogy azellenséges tónusú méltatásokban...Hogy 1990-ig a nevét sem írták le, feltehetőleg1920-ban megjelent, „a bolsevizmus igazi arcátmegmutató’ „Bujdosó könyv” c. műve miatt, amelybenleírja a tanácsköztársaság alatti eseményeket, amelyeta marxista-leninista világnézet szájíze szerintikritikák/kritikusok „hírhedt napló, a Bujdosó könyv, aforradalomról rajzolt torzkép, útszéli módon rágalmazó”jelzőkkel illetnek. Ezt bizony meg lehet kérdőjelezni.Gondoljunk csak a vaskos Kommunizmus feketekönyvére...A Kairosz Kiadónál az idén megjelent Hankiss Jánosirodalomtörténész, egyetemi tanár (1893-1959) 1928-ban írt Tormay Cécile című kötete, az interneten isolvasható. A mai kiadó által írt szöveg a következő:«Az irodalomtörténész-író, az oktatásban és aközéletben egyaránt kimagasló szerepet betöltőHankiss János, e kötet szerzője, annak a Nobel-díjrajelölt írónknak szentelte kiváló tanulmánykötetét, akitévtizedeken keresztül szándékosan agyonhallgattak. Ezaz író egy rendkívüli asszony, Tormay Cécile. A Nobeldíjcsak esély maradt ...Hankiss e kötet első kiadásakor, 1928-ban ezt írja amár sokak által ismert, látnoki erejű Bujdosó könyv ésa kevés számú, ám jelentős regény szerzőjéről: „Emberiés írói nagyságát bizonyos értelemben föl kell fedezni.Jelentőségét a magyar történelem és a magyarirodalom folyamatában meg kell világítani; a magyarolvasó számára ki kell keresni azokat a kilátókat,ahonnan legkönnyebben és legteljesebben veheti át amélységekben és a magasságokban az ő számárafeltárt kincseket.”A Kairosz Kiadó Hankiss János tanulmánykötetével -amely a II. világháború óta először lát napvilágot -szándékozza előhívni a feledés homályából a kiválóírónőt, hogy megismerje őt a mai nemzedék olyannak,amilyen valójában volt.»Nemes István, a Kádár-rezsim diktálta marxistaleninistaszellemben megírt főiskolai jegyzetében, Akonzervatív irodalom c. fejezetben az alábbi információkolvashatók:200<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


«A kor másik reprezentatív epikusa Tormay Cecil(1876-1937) volt. A társadalom felső rétegéből érkezettaz irodalomba. Első regénye, az Emberek a kövekközött (1911) hőseinek tragikus szerelmét a fajialkat és a természeti környezet különbségeokozza. A régi ház (1914) c. regénye pedig avérkeveredéssel, a fajok asszimilációjávalfoglalkozik és dzsentrinosztalgiát sugalmaz: amagyarság igazi őrzője az ősi föld. Az ősi küldött(1934-37) c. történelmi regényében a kornacionalista, nagyhatalmi ábrándjait kergette.Trilógiának indult, de csak két kötete készült el. TormayCecil szemlélete különösen 1919 után vált kimondottanhaladásellenessé. A Bújdosó könyv (1921-22) c.kétkötetes naplójában a Tanácsköztársaságotrágalmazza.»Olasz nyelven pedig egyetlenegy honlapot találtam, aOlocaustos Társaság velencei honlapját(olokaustos.org):Neve mellett az alábbi megjegyzés olvasható: «írónő,a magyar antiszemitizmus vátesze.» Íme az ezen ahonlapon olvasható írásból néhány passzus-fordításom,ami még a közelmúltbeli hazai kommunista, marxistaleninistakritikai méltatást is felülmúlja:«[...] Tormay Cécile nem volt közvetlen érdekelt amagyar zsidók megsemmisítésében, de a sovinizmus ésa magyar rasszizmus növekedésében központi szerepevolt.Konzervatív beállítottsága különlegesen eltér atipikus, tradicionális konzervativizmustól, mint amilyenaz államfő Bethlen Istváné. Tormay Cécilesemmiképpen nem érzékelte a századokon át tartókapcsolatokat, amelyek a zsidókat Magyarországhozkötötték.Antiszemitizmusa teljesen emotív, amely a magyartársadalom kimondottan és igazi megmételyezéjővétette.Itt kell megemlíteni, hogy nemcsak a zsidók voltak acélpontjai. Alapfóbiája lényegében a különbözőetnikumok találkozására vonatkozott. Tormay számáraaz eltérő népek közötti kapcsolatok változatlanulkatasztrófális eredményeket hoznak. Tormaymentalitásának középpontja az, hogy eltérő tradíciókbólnem lehet intenzív, gyümölcsöző kapcsolat.Ez a pesszimista ésparanoikus víziója 1911-től mutatkozik meg azEmberek kövek között c.művével kezdődően. [...]Természetesen, ha egymély megértés nemlétezhet eltérő nemzetiségek között, de létezhetnekolyan kapcsolatok,ahol az egyik nép az úr,a másik a szolga. Másmódon gyakorlatilag nemtudja elképzelni az eltérőnépek közötti összahasonlítást.Az ilyen kapcsolatviszonybana magyarok változatlanul jók ésbölcsek, míg minden más nemzetiségűekre az állatias,gyűlölködő hajlam a jellemző. A Magyarország uraltaterületen élő románok apropójából ezt írja: „Sajátnyelvüket beszélték, senki nem zaklatta őket.”» Avalóságban magyar részről az elnyomás és agyökértelenítési kísérlet a román kisebbséggel szembentűrhetetlen volt. Nem tudni, hogy a valóság bizonyosperverzitása mennyire az öncsalás vagy a rosszindulateredménye, amely tormay lapjait éltetik.Egy másik bekezdésben a magyar és a szerbParlament összehasonlításakor ezt írja: „Amikormegláttam (a szerb Parlamentet), nem kerülhettem el,hogy ne gondoljak a Magyar Parlament Kamarájára. Akét építmény a két nép múltját és kultúráját hírdeti. Azegyik a gyökereit Dunába eresztő gótika. Amikormegláttam a szerb Parlamentet, egy lóistállóhozhasonlót láttam belsejében fapadokkal és fehér-kék éspiros rongyokkal fedett falakkal.Belsejét elárasztottahagyma és a birkaszag, míg az ablakokat légypiszkokborították.» [V.ö. az eredeti magyar szöveggel:«Rosszul kövezett, utcákon állatcsordák ügettek.Trágya,piszok, poloskák, ételhulladékok és legyek,kékfényű nagy legyek. A Skupstina... Mialatt ottjártam, a magyar Országházra kellett gondolnom. A kétépület a két nép múltjának és kultúrájának a vallomása.A mienk egy gótiukus kővirágzás, mely oda ereszti/gyökereit a Duna medrébe, hol zsongó fejedelmiágyban első honfoglaló ősünk, az az Attila alusszaezerötszáz esztendős nagy álmát, akinek adót fizetettRóma és Bizánc. A szerb parlament, mikoriban láttam,istállószerű pajta volt. Padok álltak benne és vörösfehér-kékzászlószövetek kapaszkodtak a falon.Levegője birkaszagú és fokhagymabűzös volt,légypiszoktól voltak homályosak az ablakok.”]Fölösleges kommentálni a szerző ilyen összeállításbanrasszista és soviniszta lelkületét.»A régi ház kapcsán a velencei Olokaustos Társasághonlapja az alábbiakat írja:«”[...] És ő [Anna] elérkezik ahhoz a tudatosfelismerésig, hogy csak azoknak a családoknak sikerültúlélni, akik a földben gyökereznek. Az eső hiába öntözia városok járdáit: egyetlenegy fa sem nő rajta. Aházakban élő parasztcsaládok maximum csak csakhárom generációt látnak majd.” A város, mint akorrupt modernség szimbóluma – az őkozmopolitizmusával részese annak a fasiszta és nácifegyvertárnak, amely az idealizált és a hamis múltatmegvalósítva védekezik egy meg nem érett jelennelszemben. Ebből a szemszögből Tormay megvalósít egysaját tematikát. Ebből a szemszögből Tormaymegvalósít egy saját tematikát, amely már túlmegy akonzervatizmuson és teljességgel a fasiszta mentalitásvilágába lép.Így nem lehet csodálkozni azon, hogy a rasszizmus alegfontosabb céltáblája pontosan a zsidók.»A Bújdosó könyvvel kapcsolatban az alábbiakolvashatók:«[...] Tormay tézise elég egyszerű: a bolsevikforradalmi vezetőség többsége zsidó, tehát a polgárirend zavarói csak a Zsidók. Egyébként Tormay szerint afrancia forradalom minden társadalmi változása mögötta zsidók és a szabadkőművesek szervezett komplottjaáll. Tormay szerint a szocializmus és a radikalizmusnem tatoznak a magyar lélekhez. A magyarok egy<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 201


elmélkedő nép a hagyományos értékek megvédéséértél. A bolsevik forradalom egy idegen kéu gyümölcse,,természetesen a zsidóké.Természetesen a szerző figyelembe sem veszi, hogyKun Béla kommunista hullámának legfőbb áldozataipontosan a zsidó közösséget alkotó kereskedők ésszabadfoglalkozásúak, ők képezték a forradalomlegfőbb céltábláját. Nem emlékszik az első világháborúcsataterein a nagyszámú magyar zsidók áldozataira.Tormay Cécile szavaiban a zsidók Magyarországellenségei vagy azért mert bolsevikok, vagy azért, mertkapitalisták. Mindenesetre a jelenlétük első számúcsírája magyarország felbomlásának.Tormay rasszizmusa, antiszemitizmusa és aszubsztanciális fasizmusa nemcsak irodalmimunkásságában, hanem a Magyar Nők NemzetiSzövetségének elnöki tevékenységében ismegmutatkozik. A szövetség politikai alapformájaexplicit antiliberális és xenofóbiás. 1925-ben TormayCécile kinyilatkoztatta: „a mi szervezetünknek semmiköze a nemzetközi feminizmushoz. Nem egy olyanvalami, ami egy külföldi mozgalomtól veszi kezdetét...magyar földön születik és magyar születésű, mint abúza.” Nem sokkal ezután ehhez az alacsony szintűretorikához kapcsodik egy alig leplezettantiszemitizmus.Az „idegen fajnak” a vérfagyasztó megkülönböztetéseexplicit bevezette azt az elképzelést, hogy a magyarállampolgárok egy része idegen volt szemben anemzettel, amelyért annyi vért ontottak a háborúban, samelyet a munkájukkal fenntartottak.»A befejezetlen trilógiával, Az ősi küldött-telkapcsolatban egyházellenességét hangsúlyozza ez ahonlap: «[...] a keresztény és a pogány összeüzközéséthozta. Tormay szerint Magyarország férfias és hadiértékeinek ébresztéséért a kereszténység befolyása afelelős.A műveiben a Xenofóbia, antimodernizmus,rasszizmus, antiszemitizmus és antklerikalizmustérhódítása mellett jelezhetők a progresszív ésmegállíthatatlan, intoleráns elmélete és a magyartársadalom progresszív megmérgezése.Tormay Cécile 1932. április 2-án, Mátraházán haltmeg, anélkül, hogy láthatta volna a társadalmimérgezés gyümölcsét, amelynek elterjedéséhezhozzájárult.»Íme egy 2003-ban megjelent, Kádár Judit [(1956),az ELTE-n szerzett angol-magyar szakos diplomát, azirodalomtudomány kandidátusa (1997).] tollából Azantiszemitizmus jutalma: Tormay Cécile és a Horthykorszak c. Tormay Bujdosó könyve kapcsán egy-kétrészlet (vastag betűs kiemelések tőlem):«A huszadik század első felében két életrajz ismegjelent Tormay Cécile-ről (1875–1937) – mindkettőta híres irodalomtörténész professzor, Hankiss János írta–, 1945 után viszont nevét és műveit feledésre ítélte apolitika, annak ellenére, illetve éppen azért, mert a kétvilágháború közti Magyarország legnagyobbelismerésben részesített, az uralkodó osztályok általünnepelt és népszerűsített nőírója és női ideológusavolt.Korabeli privilegizált helyzete már HankissJános két, Tormay írói gyengeségeit elkendőző,apologetikus nyelvezetű életrajzából (1928,1939) is szembeötlik, ám az írónő kiváltságospozíciója ellenére is felvetődik a kérdés: mikéntlehetséges, hogy a tekintélyelvű ésférfiközpontú, patriarchális húszas évekbenéppen egy nőre bízták a Napkelet című irodalmifolyóirat szerkesztését, mely arra volt hivatott,hogy a liberális és baloldali, a magyar irodalomramáig nagy hatást gyakorló Nyugattal szemben akor hivatalos nemzeti, keresztény, konzervatívideológiáját képviselje?A válasz hírhedt könyve, a második világháborúkitöréséig öt kiadásban megjelent, a háború alattszemelvényesen közreadott, 1945 után betiltott, ámmég a 70-es években is jobboldali kanadai emigránskörök által újra kiadott, sőt 1998-ban Magyarországonis megjelentetett Bujdosó könyv ideológiájábanrejlik.Az 1920–21-ben megjelent kétkötetes Bujdosó könyvszerkezete alapján naplónak tekinthető, amely azírónőnek dátummal ellátott feljegyzéseit tartalmazza azOsztrák–Magyar Monarchia felbomlását követő kétmagyarországi forradalomról, a polgári demokratikusátalakulással próbálkozó köztársaság (1918. október31.), majd a kudarca után létrejött, szintén rövid ideigtartó szovjet típusú diktatúra, a Tanácsköztársaság(1919. március 21.– augusztus 8.) idejéből. Azutólagos megírásra azonban számos jel utal. Azegyik bejegyzésből kiderül, hogy bár korábbról is„vannak feljegyzései”, Tormay Cécile-ben egy barátnőjenógatására eleve csak 1919 márciusának végénfogalmazódott meg, hogy azokat közreadható naplóváformálhatná. 1919. március 22-i bejegyzése szerint mármindent tudott a köztársaság elnöke, Károlyi Mihály egynappal korábbi lemondásának és a Tanácsköztársaságkikiáltásának körülményeiről, még azt is, Károlyi mitmondott aznap éjjel volt miniszterelnökének, BerinkeyDénesnek a miniszterelnöki palota „valamelyikszobájában” (II. 20–21.). Becsúszott egy ügyetlen bakiis: 1918. december 1-jén azt írta, mivel „ma reggelmondta a szolgáló, hogy nincs több szén a pincében”,szénszállítási engedélyével a zsebében Tormay elment ahónapok óta hiába várt fűtőanyag ügyében a„szénközpontba” reklamálni, majd ugyanebben afeljegyzésében hozzátette: „másnap is elmentem ésharmadnap is” (I. 195–196.).Nemcsak a nyilvánvalóan utólagosrekonstrukció mutatja, hogy könyve álnapló,hanem a statikus szemléletmód is. Egy valódinapló írója az egymás után bekövetkező eseményekhatására módosítaná nézőpontját ; a Bujdosó könyvesetében a szövegrészek dátumok alá csoportosításáraviszont csupán azért volt szükség, hogy az objektivitáslátszatát erősítse. Az írónő valójában osztályának,az ún. keresztény-nemzeti úri középosztálynak akét forradalomról vallott nézeteit propagáló,agitatív célokat szolgáló, mindvégig azonos,változatlan nézőpontból írott tendenciózuspolitikai tézist adott közre.Igaz, a „napló” műfaját látszólag elutasította, sa könyv címe sem utal erre a narrációtípusra; abevezető „Útravaló írás” a műfaj elmosására tettkísérlete mégis főként azt a célt szolgálta, hogya mű referencialitásába vetett hitet erősítse, ésagitatív jellegét leplezze: „Nem a forradalmak202<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


történetét, nem is a politikai események szemtanújánaka naplóját akartam megírni. Szóljon az én könyvemarról, amiről nem fognak tudni a jövő történetírók, mertazt át kellett élni. [...] Legyen a Bujdosó könyv afájdalom könyve.” (I. 7–8.)Igaz, a „napló” műfaját látszólag elutasította, sa könyv címe sem utal erre a narrációtípusra; abevezető „Útravaló írás” a műfaj elmosására tettkísérlete mégis főként azt a célt szolgálta, hogya mű referencialitásába vetett hitet erősítse, ésagitatív jellegét leplezze: „Nem a forradalmaktörténetét, nem is a politikai események szemtanújánaka naplóját akartam megírni. Szóljon az én könyvemarról, amiről nem fognak tudni a jövő történetírók, mertazt át kellett élni. [...] Legyen a Bujdosó könyv afájdalom könyve.” (I. 7–8.)E szavak azt sugallták, hogy az írónőt épp azátélt erős érzelmek teszik az igazságot ábrázolniképes szemtanúvá, sőt hitelesebb elbeszélővé,mint a korszakot tudományosan feldolgozójövőbeli történészek lehetnek. Szépirodalmi műhözillő címválasztása és a napló műfajának látszólagoselutasítása ugyanakkor arra utalnak, Tormay tudta jól,hogy a huszadik század eleji Magyarországon atörténeti forrásként olvasott emlékező próza aszépirodalmi alkotásokénál kisebb becsű volt , s aszándékoltan homályos megfogalmazás segítségévelpróbálta művét egyszerre mérvadó forrásnak beállítaniés szépirodalmi rangra emelni.Tormay eljárásmódja sikeres volt: számtalanrecenzió és életművét méltató írás tanúsítja,hogy a kortárs magyar olvasók, a kor elvárásihorizontjának megfelelően az időrendbenhaladó, dátumokkal ellátott álnaplót hitelestörténelmi dokumentumnak tartották (még aneves irodalomtörténész Horváth János is úgyvélte, hogy a könyv „történeti okmány az 1918-iösszeomlást követő forradalmi és kommunistaidőkből”), a későbbiekben éppen ezért a művéértrészesítették a jelentős (szép)írónak kijáróünneplésben. A hitelesség érzetét fokozhattaszemükben, hogy már a polgári forradalom idején is azellenforradalmi szervezkedése miatt letartóztatássalfenyegetett, és bujkálni kényszerülő szerző (erre utalkönyvének címe) neve azonos a főszereplőével, abevezető „Útravaló írás”-t is Tormay Cécile-ként írta alá,tehát az önéletrajziság által is működésbe lépett az íróés olvasó közt a mű valósághűségéről létesülő, PhilipLejeune által definiált „pacte référentiel”, a„referenciális szerződés”. Halála után e szerződésjegyében nevezték el róla az utcát, amelybenBudapesten anyjával élt és koszorúzták megbujdosásának egyik vidéki menedékhelyét, egybalassagyarmati házat, ahol állítólag „nagy művén”dolgozott : a Tormay Cécile-kultusz fő célja éppen azvolt, hogy olvasóit a Bujdosó könyv „objektivitásában”megerősítse, így világnézetét közvetetten elfogadtassavelük. [...]A könyvben saját kultuszát építette – amint egyreinkább kivette részét a jobboldali, legitimistaszervezkedésből, egyre gyakrabban ábrázolta magát amagyar férfiíróknál oly gyakori próféta- vagymártírszerepben: „Magam csak egy bolyongó lángvagyok, vigyenek a tüzéből, hordják szét a sötétben,világítsanak be vele az otthonokban, hogy derengésénélátvirrasszuk az éjszakát”; „Én jobban szenvedek – én amások jajszava is vagyok” (I. 288.; II. 240.). Sőt, egyízben a harcos katona metaforáját használta sajátszerepe megjelenítésére: „Azoknak nem szabadfélteniök magukat, akik a rohamot vezetik” (I. 289.). Hanem tudnánk, hogy a Cécile női név, aztgondolhatnánk, a könyvet férfi írta. Férfiasságával és aférfi önéletírásokra jellemző tematikával a férfiolvasókszámára is elfogadhatóvá tehette személyét, minthiteles szemtanúét és művét, mint hiteles történelmidokumentumot, annak ellenére, hogy a könyvbenrészben a magyar férfipolitikusok tehetetlenségévelmagyarázta a világháborút követő összeomlást és abaloldal térnyerését, sőt a MANSZ szervezésébe is az őtehetetlenségüket látva fogott bele: „[t]enni kellene,hamar, egységesen, mert ha mi [nők] nem teszünk,majd tesznek ők [az antanthatalmak, a környezőországok és a belső ellenség]. És a magyar [férfi]politikusok még mindig üléseznek, tanácskoznak, apártjaikra gondolnak és saját magukra. Az egységetpedig még ebben a rettentő viharban se képesekmegteremteni.” (I. 289.)Férfiak iránt táplált ellenérzéseiről elterelte afigyelmet, hogy könyve legtöbb szereplője az általa„patkánylázadásnak” nevezett két forradalom negatívanábrázolt résztvevője. Míg a tömeget minden esetbenvisszataszító csőcseléknek láttatta, a nőket és férfiakatpolitikai nézeteik és társadalmi osztályuk szerint ruháztaföl kedvezőtlen vagy vonzó vonásokkal. Könyvébenjószerint csak az úri középosztályhoz, illetve azarisztokráciához tartozó, a jobboldalt képviselő emberekkellemes külsejűek: az ellenforradalmi szervezkedésbenszerepet vállaló gróf Zichy Rafaelné Pallavicini Edinának„olaszos, nagy barna szemét”, mosolyát, HohenloheKároly Egon hercegnek „szellemes fejét” emelte ki (I.201.; 202.). A baloldallal rokonszenvező emberek,köztük a nők is, kivétel nélkül ellenszenvesek. [...]Legtöbb negatív alakja azonban férfi, akiknek nemférfiúi mivoltát, hanem zsidóságát hangsúlyozta –könyve hemzseg az ellenszenves, torz külsejű, sőtnyomorék zsidó férfiaktól –, így kevésbé volt feltűnő,hogy a nem zsidó férfiak is ellenérzést keltettek benne.[...]Tormay Cécile-t sem műveltsége – bár jóltudott németül, franciául és olaszul is,mindössze tanítónői képesítése volt –, semgondolkodásának osztályára jellemző, atradíciókhoz való hűségnek, tehát moráliskérdésnek beállított rendkívüli rugalmatlanságanem tették képessé, hogy az eseményekre, atörténelmi folyamatokra reális magyarázatotadjon. Származását tekintve a földbirtokos osztályhoztartozott: anyja nemesi származású, de a családiföldbirtokot a férfi leszármazottak örökölték , apjanemesi ranggal jutalmazott állatorvos-mezőgazdászvégzettségű minisztériumi főtisztviselő volt. TormayBéla 1906-ban bekövetkezett halála után Tormay Cécilecsak úgy tudta anyja és saját megélhetését biztosítani,hogy kapcsolatai révén Ferenc Józseftől azelszegényedett fiatal földbirtokos nemeslányok részérelétrehozott ún. „alapítványi hölgy”-i rangot szerzett, amiszerény állandó jövedelemmel, és – vélhetően számárakorántsem mellékesen, a társadalmi szereplehetőségeit<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 203


kitágító – „asszonyom” megszólítással járt, hiszen sohanem ment férjhez.Számos, a kapitalista rendszerhezalkalmazkodni képtelen, tönkrement dzsentrikortársához hasonlóan nem értette, hogy azegykori köznemesség elszegényedésének oka azelavult birtokszerkezet, a tőke hiánya és a XVIII.század során megmerevedett antimerkantil,feudális mentalitás.Az egyes osztályok eltérő érdekeit (f)el nem ismerő, a„fejlődési fokokra” történő hivatkozása ellenére statikus,progresszióellenes, feudális gondolkodásmódot tükrözőcserfa metaforáját méltatói nem véletlenül idézték újraés újra, hiszen a magyar dzsentrinek a parasztságra iskiterjesztett, azaz „össznemzetivé”, egyben időtlenné,„össztörténetivé” tett „nemzeti jellemről” alkotott képétfogalmazta meg, igen szemléletesen: „Ezer év alatt egyhatalmas cserfa nőtt a mi földünkből. Ez a cser maga amagyar nép. A gyökere a paraszt, a törzse a réginemességből lett és véle összeforrott értelmiség, alombja az antik értelemben vett aristocratia, akiválóság. Minden ugyanaz: a gyökér, a törzs, a lombés egyik a másik nélkül élni képtelen. A fa elszárad, habármelyik beteg. Nem társadalmi osztályokról van aháromban szó, de fejlődési fokokról. Más népek ezértnem értenek meg minket. [...] A magyar parasztbanbenne szunnyad a jövendő úr, – az úrban él és visszavisszanéz a régi gőgös paraszt. Gőgjében dacos ésszilaj, zárkózottságában hallgatag, a veszélybenfecsegő, jókedvében marakodó, irigy, vendéglátó,tékozló, szűkkeblű és mégis pompát mutató lényükbenegyek ők.” (II. 157.)A falusi életforma (a parasztság és nemességharmonikus együttélésének) magasztalása aháborús vereséggel és a bizonytalanná váltjövővel szembesülő frusztrált dzsentriöntudatlan önigazolása, kísérlet a változatlannakkívánt társadalmi szerkezet ideológiaialátámasztására. Ám Tormay Cécile-nél elfojtottnemisége is felsejlik az édeni állapot rajzamögött: „Falu, magyar falu, önző, mint a gyerek,közönyös, mint a tilalomfa, erős, mint az idő. Mindenbűne szőlőhegyek vad mámora, termékenyülések éstermékenyítések ősi vágyai, a férfi, az asszony és aföld.” (II. 54.)Miután osztotta a zsidók „bujaságáról” valóelőítéletet, miszerint „[a] héber nép története,az Ószövetség, a Talmud és a világ különbözőnyelvein megírott zsidó irodalom, és minden, amia judeai néptől származik, túláradó érzékiség”(II. 204.), könnyen juthatott odáig, hogy abaloldalt (a liberálisokat, szociáldemokratákat,kommunistákat) a zsidókkal azonosítsa. Ígyválhatott meggyőződésévé, hogy a Tanácsköztársaságképviseletében fellépő emberek, azaz tehát „zsidók”szexuálisan is megrontják a „magyarokat”: „Lazaerkölcsű betegek és gyilkosok... A leányinternátusokhálószobáiban fiatal zsidó tanítók alusznak, hogy a kisleányok megszokják a férfi jelenlétét. A közös fürdőkbezsidó orvostanhallgatók kísérik a leánygyermekeket,hogy a feleslegessé vált tartózkodást nevetség tárgyávátegyék.” (II. 122.)Életrajza ismeretében megoldhatatlannak tűnőszexuális problémája olyan egzaltáltmegfogalmazásra ragadtatta, amely a korigencsak bőséges antiszemita irodalmában ispáratlan: „Egy dagadt szemű, puha nagy varangy, egyszimatoló dögkeselyű, egy kéjgyilkos, egy feketehiéna... Hideg, alattomos emberkínzók, terheltek,vérdühben fertőzők, sadikus degeneráltak, hatalmitébolytól püffedt arcok, félhülyék és egész gonosztevők,szinte elevenen feloszló koponyák. Mintha fegyházbólés tébolydákból jöttek volna elő, a [zsidó]népbiztosok...” (II. 207.)Származása önmagában is a zsidósággalszembeni előítéletes gondolkodásmódelsajátítására predesztinálhatta: legtöbb dzsentrisorstársa, sőt az arisztokrácia számos tagja is, akikhezTormay Cécile felemelkedni vágyott, a tizennyolcadikszázad végétől Magyarországon – épp a nemességkereskedelemtől-ipartól való vonakodása következtében– jelentős számban megtelepedő zsidó polgárságottette felelőssé a nemesi osztály hanyatlásáért. Esetébenazonban nem csupán az egzisztenciájában fenyegetett,önreflexióra képtelen dzsentri szükségszerűenirracionálissá váló gondolkodásmódja vezethetett azsidógyűlölethez, hanem minden bizonnyal nőimivoltában való meghasonlottsága is: a férfiak iránti,leplezett ellenérzéseit a zsidók elleni gyűlölettétranszformálta.A Bujdosó könyv stilisztikai szempontból jólmegírt, világos szerkezetű, szenvedéllyel teli,eszméit tekintve nyíltan, a legegyszerűbb olvasószámára is nyilvánvalóan szociáldemokrácia-,szocializmus- és kommunizmusellenes,antiliberális, royalista, nacionalista és irredenta(burkoltan, jóval kevésbé felismerhetőenfeudális, antikapitalista, progresszióellenes ésmilitarista) mű. Vezérfonala a középkoriantijudaizmusnak és a modern antiszemitizmusösszeesküvés-elméletének a tizenkilencedikszázad végétől főként Franciaországban ésNémetországban viruló ötvözete, melynekMagyarországon az 1880-as évektől IstóczyGyőző és antiszemita pártja készítette elő atalajt. Tormay Cécile meggyőződése szerint azsidó szabadkőművesség, a feministák és a zsidókézben lévő baloldali, liberális sajtó esküdöttössze az ország tönkretételére.A keresztény világ ellen forralt ősi bosszúvalmagyarázta Magyarország részvételét is aháborúban. Úgy vélte a legnagyobb áldozatot aközéposztályok hozták, s „Magyarország nemakarta a háborút” (I. 44.).A Bujdosó könyv a két világháború közt felerősödőmagyarországi antiszemitizmus egyik első, s azuralkodó osztályok által nem kis részben zsidógyűlöletemiatt üdvözölt műve, hiszen megjelenése idején, aminta gazdaságtörténész Pach Zsigmond Pál fogalmazott, „aközéprétegek (középosztály) egyes csoportjai – azellenforradalmi kormányhatalom segítségével”, éppen aszélsőjobboldali, antiszemita ideológia és a rá épülőpolitikai mozgalmak szárnyain próbálták „a jelentősrészben zsidó burzsoázia kezéből a gazdasági élet –lenézett és egyben hőn áhított – pozícióit” kivenni . [...]Bár a propaganda szintjén a MANSZ a „keresztényés nemzeti világnézlet [sic!], az ország oszthatatlanságaés a család” képviseletét tűzte célul (I. 202.), és204<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Tormay Cécile mindvégig hangsúlyozta, hogy „[a]politikában – a pártpolitikában – mi részt nem vettünk,csak annyiban, hogy kérve kértük a politikaipártvezéreket, fogjanak egymással kezet” ,megalakulása után tíz évvel a szervezet főtitkáraelismerte, hogy a Magyar Asszonyok NemzetiSzövetsége „1919 márciusáig főleg politikaitevékenységet fejtett ki, amennyiben a Károlyi-kormánykészülődő képviselő-választására szervezte egy táborbaa választójogot akkor nyert magyar női társadalmat” . AMANSZ a két világháború közt a Horthy-rezsim egyikjelentős ideológiai támaszává vált (1921-ben állítólagmár több mint egymillió tagot és 400 vidéki fiókotszámlált ). Célja szociális reformok és anyagi támogatásmögé bújva a középosztálybeli nők összefogása melletta vidéki, alacsonyabb társadalmi osztályokhoz tartozónők és az ifjúság ideológiai irányítása volt: „...aszövetségi munkáknál mindig ott van a gazdasági éskulturális eredményekre való törekvéseken kívül, az acél is, hogy a közművelődésre háziipari és jótékonyságimozgalmak útján egy élő szervezetbe tömörítettpolitikai jogokkal bíró asszonyok százezrei [a] politikaiirányítást a szövetség vezetőségétől fogadják el. Ez apolitikai irányítás sohasem jelent politikai pártokba valótoborzást, de igenis jelent soha meg nem alkuvó,nemzeti, keresztény érzést.”A fő cél természetesen továbbra is a jobboldali nőiszavazatok biztosítása maradt: „Azért az utolsóválasztási harcokban is csak ott vett részt a szövetség asaját zászlaja, s neve alatt a választási küzdelemben,ahol a keresztény és nemzeti alapon álló pártok jelöltjei,a nemzetközi liberális vagy szociáldemokratákjelöltjeivel szemben való harcban.”A MANSZ nyíltan irredenta nézetei összhangbanvoltak a hivatalos irányvonallal, ám Tormay azantiszemitizmus propagálásával akkor sem hagyott fel,amikor a nemzetközi nyomás a magyarországi politikárae tekintetben a húszas években mérséklőleg hatott.1926-ban például fellépett az egyetemre felvehetőizraelita vallású hallgatók számát korlátozó numerusclausus törvény enyhítése ellen: „És az országasszonyai [...] egyetlen elszánásban és egyetlenakaratban kijelentették, hogy a numerus claususérintetlen fennmaradásához ragaszkodnak, éstiltakoznak a törvény visszafejlesztését célzómindennemű netáni törekvéssel szemben” (az egyetlenengedmény, amire hajlandó volt, hogy a „zsidó” szótkerülte) .Az antiszemitizmus hol nyíltan, hol burkoltabbanmindvégig jelen volt az általa szerkesztett irodalmi éskritikai folyóiratban, a Napkeletben is. 1924-ben példáulfolytatásokban közölte a francia Tharaud testvérek HaIzrael a király című, Károlyi Mihályt Tormayéhozhasonló indulatossággal és argumentációval támadó (őttesti-lelki nyomoréknak beállító), „a bolsevizmus alattiMagyarországról” szóló, zsidógyűlölő könyvét , s azantiszemitizmus enyhülése idején, 1926-ban isjelentetett meg antiszemita elbeszélést (Tamási ÁronSiratnivaló székely című művét ). 1931-ben A vörösemigrációról szóló tanulmányában a későbbi nevesközépkortörténész, Mályusz Elemér burkoltanfogalmazott, a zsidó szót csak elvétve írta le , amásodik világháború idején – igaz, már az írónő halálaután, de szelleméhez hűen – a folyóirat hasábjain újramegjelent a leplezetlen zsidóellenesség . [...]Tormay Cécile-re és szervezetére, a MANSZ-ra illik afasiszta jelző: bár gyakran hivatkozott a polgári értékekképviseletére, a Magyar Asszonyok Nemzeti Szövetségeélén – igaz nevét emblémaként használták, s valójábana háttérből irányították (a MANSZ-nak ő volt ugyan azelnöke, de például az első években a Bujdosó könyvbenis megemlített royalista Hohenlohe Károly Egon hercegvolt az „igazgatója” ) – fasiszta politikát folytatott. Apártok és felekezetek fölött álló antiliberális,antiszemita, nacionalista, irredenta MANSZ és az olaszfasizmus rokon vonásaira az írónő már szinte a kétmozgalom születése pillanatában felfigyelt, de akezdeményező szerepet saját magának, illetve aMANSZ-nak tulajdonította: „Európa népei és a világnépei félöntudatlan, – még olykor támolyogva, olykortétovázva, de követnek bennünket [a bolsevizmus ellenifelekezetek fölötti összefogással folytatottküzdelemben]. Nézzenek le Itáliába! Odajutnak-e el,ahová mi eljutottunk? Bízzunk benne!” – írta 1922-ben.A Napkelet már 1927-ben, a hivatalos olasz–magyarközeledés idején reklámozta barátnője, gróf ZichyRafaelné fordításában a Mussolini válogatott beszédeicímű kötetet, s a folyóirat – akárcsak a Tormay szellemiirányítása alatt álló A Magyar Asszony – egészenmegszűnéséig, 1940-ig rendszeresen közölt a fasizmustüdvözlő írásokat (1931-ben például a fasizmusideológiai programjának megalkotója, Giovanni Gentiletollából).Bár szépirodalmat a Bujdosó könyv megjelenésétkövetően több mint egy évtizeden át nem írt , hébehóbaegy-két publicisztikai írást közreadott; aleghosszabb az olasz fasizmust üdvözölte. A MANSZnevében 1932. október 28-án a Marcia su Roma tizedikévfordulóján Rómában személyesen köszöntötte BenitoMussolinit. Az ünnepségről lelkesen számolt be: „láttuka fasiszta erőt és alkotást a földön és az égen – láttukmindenütt! [...] Láttuk a fasizmus alkotásait a ForumMussoliniben, ahol a fascio giovantile: a fiatal leányokvonultak el, köszöntve a magyar asszonyok kiküldötteit.Láttuk a fasiszta forradalom kiállításán, kulturális,testnevelési, népjóléti és szociális intézményekben,láttuk a férfiak fasiójában és a római női fasióban,amely előtt tolmácsoltuk a magyar asszonyokszeretetét...”Az ellenforradalmi mozgalomból még 1918 végénszervezetté alakult Magyar Asszonyok NemzetiSzövetségét az új uralkodó osztályok hatalomrakerülésüket követően nyíltan és látványosantámogatták: már az 1922. évi közgyűlésen részt vettHorthy Miklósné „őfőméltósága”, a főpapság képviselőiés Gömbös Gyula, a MOVE elnöke. A Bujdosó könyvért,a MANSZ ötletéért és az ötlet kivitelezéséért TormayCécile elnyerte méltó jutalmát: köreikbe fogadták éspiedesztálra emelték. Testvérei is jól jártak. Nő létére,1923-ban a vallás- és közoktatásügyi miniszter, grófKlebelsberg Kunó, megajándékozta a Napkeletfőszerkesztői tisztével. A Bujdosó könyvet és korábbiműveit idegen nyelvekre fordíttatták, saját maga általépíteni kezdett kultuszát tovább építették. Marie Curiehalála után 1935-ben Magyarország őt delegálta aNemzetek Szövetsége szellemi együttműködésselfoglalkozó bizottságába , majd 1937-ben irodalmi<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 205


Nobel-díjra jelölték (O'Neill kapta). Horthy MiklósCorvin-lánccal és a katonai érdeméremnek számítóSignum Laudis díszjelvénnyel tüntette ki.Az uralkodó osztályok óriási személyes szolgálatot istettek az írónőnek. 1925-ben Tormay Cécile kínosbotrányba keveredett: válópere során gróf Zichy Rafaelhatvan tanút (inasokat, szobalányokat, kocsisokat)felsorakoztatva azzal vádolta meg feleségét, a féligolasz származású Pallavicini Edina grófnőt (akiegyébként tevékeny szerepet vállalt a MANSZ-ban, és ővolt a Napkeletet kiadó Magyar Irodalmi Társaságelnöke is), hogy szerelmi viszonyt folytat TormayCécile-lel. Zichy grófné és az írónő ellentámadásrakényszerültek, és rágalmazási pert indítottak a grófellen. Mint a korabeli – virágnyelven fogalmazó – sajtóbeszámolt róla („a vád anyagát nemigen lehetismertetni, mert az nem bírja el a nyomdafestéket”),végül, nyilvánvaló politikai nyomás hatására a grófotítélték másfél év börtönbüntetésre, mivel „egy exponáltpolitikai tábor szenvedélyes amazonjairól” volt szó.Írásai és két életrajza tanúsága szerint nem volt férfi,aki magánéletében fontos szerepet játszott volna (aBujdosó könyvben apját csak megemlítette, viszonthosszan írt az őt dzsentri szellemben nevelő anyjáról,akihez nyilvánvalóan mély érzelmek fűzték). Irodalomiránti érdeklődését egyik nagynénje keltette fel ,világnézetét Zichy grófné befolyásolhatta. Élete soránnem Pallavicini Edina volt az egyetlen „olaszkapcsolata”. Háború előtti írói imázsát is egy szícíliaiszármazású olasz nő, Francesca D'Orsay segítségévelalakította ki, akihez tizenöt éven át tartó szoroskapcsolat fűzte – 1899 és 1914 között húsz alkalommalkereste fel Olaszországban. Neki köszönhette, hogymegismerte „az olasz fasizmus Keresztelő SzentJánosaként számon tartott” Gabriele D'Annunziót , majdennek az ismeretségnek révén jutott el a kor egyiklegismertebb írójához, Anatole France-hoz. (Míg Francenakkésőbb nem tudta megbocsátani antiszemitizmuselleni kiállását a Dreyfus-perben, még róla írottnekrológjában sem, D'Annunzióval történtmegismerkedésének emlékét melegen ápolta, a költőrőlírt cikkét több alkalommal újra publikálta).Élete utolsó évtizedében „hűséges osztályosa” grófAmbrózy-Migazzi Lajosné volt: együtt éltek közösenvásárolt villájukban Mátraházán. Ekkoriban már agrófné szerkesztette A Magyar Asszonyt, s TormayCécile halála után összegyűjtött műveit is ő rendeztesajtó alá.Irónikus, hogy a korban szexuális aberrációnak,„fajtalanságnak” tartott – a „felsőbb körökben” mindenbizonnyal ismert – leszbikussága és antifeminizmusaellenére ő lehetett a két világháború közt működőlegnagyobb létszámú nőszervezetének vezetője és arendszer emblematikus nőírója. Korántsem véletlenazonban – és a Horthy-rendszer (nő)politikájára ésfasizmus iránti vonzódására egyaránt fényt vet –, hogya temetésén megjelenő kormányzó és felesége „alegnagyobb magyar asszonynak” felírással ellátottkoszorúján e rangkórságtól szenvedő korban titulusaikmegjelölése nélkül mindössze ez állt: „Tormay Cécilenekmélységes kegyelettel Horthy Miklós és Magda”.»Juhász (Goldstein) Béla, a titkos rendőrség vezetője;Peczkai József, a Szamuely-féle „halálvonatos” különítményegyik tagjaDr. Hamburger Jenő orvos, földművelésügyi népbiztos;Kunfi (Kunstätter) Zsigmond Lenin megbízottja, közoktatásinépbiztosKun (Khon) Béla; Böhm Vilmos írógépügynök, szocializálómajdhadügyi népbiztos, később a Vörös Hadseregfőparancsnoka, végül bécsi követHeltai (Hoffer) Viktor Budapest városparancsnoka; Kéri(Krammer) Pál Gróf Károlyi Mihály Károlyi Mihály egyiktanácsadója206<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Landler Jenő ügyvéd, belügyi- és kereskedelmi népbiztos,később a Vörös Hadsereg főparancsnoka; Pogány (Schwartz)József hadügyi-, majd külügyi-, végül közoktatási népbiztosVarga (Weissfeld) Jenő; Szántó (Schreiber) Bélahadügyi népbiztosCsizmadia Sándor földmunkás, földművelésügyi népbiztos;Hevesi (Hönig) Gyula szocializáló népbiztoshelyettesKhon-Kerekes Árpád Szamuely kedvenc hóhéra; Vágó (Weiss)Béla belügyi népbiztosNyisztor György földmunkás, földművelésügyi népbiztos;Szabados (Singer) Sándor közoktatásügyi miniszterNyári Sándor, Gajdos JózsefNémeth Ványi Klári az országos közéletihetilapban, a Hetek 2008. 11. 21-i online számában(XII/47) az alábbiakat írja a Mit titkolt a NemzetAsszonya, Horty kedvence: Báró Tormay Cécile címűcikkében (Szerk.: itt is tőlem erednek a vastag betűskiemelések):«A huszadik századi magyar irodalomtörténet számosnépszerű, ünnepelt író- és költőnője 1945 után egycsapásra kiment a divatból és feledésbe merült. Akilencvenes években, majdnem negyven év hosszúhallgatás után azonban egyre több könyvtár, kézirattármélyén szendergő „Csipkerózsika” ébredt fel álmából.Közöttük találjuk Báró Tormay Cecilt (1876–1937) is.A királyfi , akitől Tormay elsőként ébresztő csókotkapott, az Enter kiadó volt. 1998-ban itt jelent megaz agyonhallgatott, megrágalmazott, osztályidegennekbélyegzett „Irredenta Nagyasszony”Bujdosó könyv című műve. A kétkötetes regény1922-ben látott először nyilvánosságot, és HorthyMiklós kormányzó egyenesen rajongott érte. De mindenvalamirevaló, magát kereszténynek és magyarnak vallóhazafi, egyházi előkelőség és méltóságos úrasszonylegalább tíz sort fejből tudott idézni Tormay remekéből.A regény alcíme, Feljegyzések 1918–19-ből, magáértbeszél. 1921 és 1922 között a „Nemzet Nagyasszonya”(Tormayt a két világháború között csak így emlegeti akonzervatív irodalomtörténet) a Tanácsköztársaságidején írt naplóját dolgozta át és publikáltakönyv alakban. A „bujdosó” jelző magábatömöríti mindazt a szenvedést, megaláztatást ésrettegést, amit a szerző a fent említettidőszakban átélt, és amit mindössze egyetlennézőpontból láttat. Tormay a következőkkel<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 207


indokolta műve támadhatóságát: „Nem a forradalomtörténetét, nem is a politikai események szemtanújánaka naplóját akartam megírni. Szóljon az én könyvemarról, amiről nem fognak tudni a jövő történetírói, mertazt át kellett élni. Szóljon arról, amiről nem tudtak azidegenből behurcolt forradalmak felidézői és politikaieseményeinek a szemtanúi, mert lelküktől távol álltminden, ami magyar.”Tormay mint az egyedüli igazság birtokosa, lerántja a„vörös lepedőt mindazokról a nemzetidegen ésidegenlelkű elemekről”, arról a „tizenegy zsidórólés nyolc bűnös magyarról”, akik bomlasztják asokat szenvedett Magyar Hazát. Könyvéhez képesmelléklet is tartozott. A Tanácsköztársaság vörösterroristáinak névvel ellátott fotóit tartalmazta, úgymint: Juhász Béla, alias Goldstein; Ernst Baumgarten;Otto Korvin, alias Klein stb. (Ld. a fotókat ittés az olasz tanulmányban) A szövegben hemzsegnek a„jellegzetes sémi arcok, a pájeszes galíciai fiúk,akik vakondok módjára surrannak a sötétben, aDob utcai gettó lakói nemzeti színű kokárdávalés fehér őszirózsával, a szabadkőművesek, afeministák , a judeo-liberális bolsevikok és akaftános galíciai menekültek”. Ellensúlyozásként ottlátjuk a bárónőt, halált megvető bátorsággal, dacolva aveszéllyel, késő éjjel gyenge nőként a forrongó pestiutcákon, mindent lát, tud, hall és jegyez. Napjainklegvagányabb tényfeltáró riporterei is megirigyelhetikezt a bátorságot, ezt a „magyar virtust”.A Bujdosó könyv a két világháború között öt kiadást értmeg. 1939-ben jelent meg utoljára a Singer és Wolfnerkiadó emlékkiadványaként, Tormay halála után kétévvel. A kor legjelentősebb irodalomtörténészeiazonban már 1936-ban Nobel-díjra jelölték aszerzőt, akit 1930-ban Corvin-koszorúval iskitüntettek. Istóczy Győző, Prohászka Ottokár, vitézKolozsváry-Borcsa Mihály, a magyar antiszemitizmusvezéralakjai a bárónő számos gondolatát tartottákirányadónak. Klebelsberg Kunó miniszter az antiliberálisújkonzervatív vonal frontemberéül választotta anagysikerű Bujdosó könyv íróját, így a bárónő 1923-bana Nyugat ellenlábasaként alakult irodalmi folyóirat, aNapkelet főszerkesztője lett. A periodika akeresztény megújulás irodalmát volt hivatottszolgálni.Tormay megpróbáltatásai nem értek véget aTanácsköztársaság bukása után. Óriási sikerét ésnépszerűségét állítólagos rágalomhadjárattal igyekeztekbefeketíteni természetesen „zsidó ellenségei”. GrófZichy Rafael felesége, Pallavicini Eduárdina (Edina)grófnő mély és meghitt barátságot ápolt a bárónővel.Mindketten a Magyar Haza és Nemzet ügyéértbuzgólkodtak. Pallavicini Edina az 1920-as évekbenmagyarra fordította Mussolini több beszédét. ZichyGrófné alapította 1918-ban a Magyar KatolikusNőegyesületek Országos Szövetségét, amúgy TormayBujdosó könyvének egyik „mélybarna szemű, olaszosszépségű” főszereplője. 1925-ben Gróf Zichy Rafaelválókeresetet nyújtott be neje ellen, és azindoklásban kifejti, hogy Pallavicini Edina ésTormay Cecil szeretők. A bárónő és környezeteszerint szervezett bosszúhadjárat áldozatailettek, melynek személyesen Horthy Miklóskormányzó vetett véget. Uzdóczy PáterZadravecz István ferences rendi szerzetes, akit1907-ben X. Pius pápa szentelt pappá, és aki 1920 és1927 között a Magyar Királyi Honvédség tábori püspökevolt, 1925 november 27-én titkos naplójában akövetkezőképpen rögzítette mindazt, ami aKormányzó szájából elhangzott: „Na, a mainapot a legfőbb triumfom napjának tartom, mertmásfél évi börtönre ítélték el azt a gazemberZichy Rafaelt, felesége és Tormay Cecilmegrágalmazásáért. Ez az ítélet egyedül az énerős közbelépésemre történt. Maga azigazságügy-miniszter is kételkedett, vajonegyáltalán hoznak legalább elmarasztalóítéletet? (...) De én megszorítottam a dolgot.Különben itt nem kevesebbről van szó, mint azsidó Vázsolyi bosszújától megmenteni TormayCecilt, akire haragudott a gyönyörű Bujdosókönyv megírása miatt. Az a hitvány nő pedig,akivel Zichy él, és akinek kedvéért eltaszítottamagától feleségét és gyermekeit, régi metressevolt Vázsolyinak.”Tormay tehát másodjára is győztesen került ki az„idegenlelkűek és bolsevikok” gyűlöletének össztüzéből.Kádár Judit irodalomtörténész Az antiszemitizmusjutalma című cikkében részletesen tárgyalja a Bujdosókönyv szövegét. Tormay gyűlölete a férfiak ellen, főkéntaz izraelita származásúak tekintetében határtalan.Torznak, esetlennek, szörnyszülöttnek ábrázolja őket.Viszolygása az ellenkező nemtől majdnem ugyanolyanmértékben ölt testet szövegében, mint a bolsevizmustólvaló rettegése. Tormay sohasem volt férjnél, és állításaszerint nem érzett szerelmet, legalábbis férfi iránt nem.1937-ben, sikere csúcsán Mátraházán hunyt el. Távol avilág zajától, egy apró villában hűséges barátnője,Ambrózy-Migázzi Lajosné volt támasza. Saját neméhezvaló viszonyával kapcsolatos titkát magával vitte asírba, ahogyan a Napkelet másik kedvelt szerzője –Tormay Cecil levelezőpartnere – egy Bereg megyeibárónő, Czóbel Minka hatalmas kertjében közös sírbannyugszik Büttner Helénnel, „Bob” becenevű irredenta,festőművész barátnőjével. Az utókorra hagyottkönyveikből sugárzik az erős asszony tettrekészsége,aki csak látszólag visel abroncsosszoknyát.»A Lenin-fiúk pózolnak az áldozatukkal.208<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Terroristák a megnyúzott és halálra kínzott áldozatukkal.(Erre a fényképre a főhadiszállásukon találtak rá.)Ifj. Tompó László irodalomtörténész azalábbiakat mondja többek között a Tormay Cécileemlékezete c. munkájában:«Tormay Cécile elfeledett nemzeti klasszikusainkegyike. Művei az elmúlt évtizedekben nem jelenhettekmeg nálunk, számos könyve pedig kifejezetten betiltottvolt, még antikváriumokban is nehezen lehetettbeszerezni őket. De miért? Megemlékezésünk célja,hogy megtörje a hallgatás falát, és mellőzésének okairarámutasson.Nemzeti klasszikusunk [...]. Századunk elejétőljelentek meg novellái, elbeszélései. Első értékesebbmunkájának az 1914-ben megjelent „A régi ház” címűregényét tekinthetjük, amelyet a Magyar TudományosAkadémia akkor Péczely-díjjal jutalmazott, éshamarosan németül, franciául, angolul is olvashatóvávált. E regényben rámutatott a magyar és német népsorsközösségére, a magyarországi németek megmagyarosodásánaktörténelmi lehetőségére.Az 1918-as Károlyi-uralmat és az 1919-esmagyarországi bolsevizmust bujdosva élte át. Ekkor írtatörténelmi emlékiratát, a „Bujdosó könyv”-et, amely kétkötetben látott napvilágot (1921-22), majd angolul,olaszul, franciául és németül is. A bolsevizmus idejénmegszervezte a Magyar Asszonyok NemzetiSzövetségét (MANSZ), és annak élére állva harcoltezeréves határaink elismeréséért, a nemzeti hadseregmegteremtéséért, kérve a világ, de különösen Nyugat-Európa nemzeteinek közvéleményét, hogy a bolsevistaterrorért ne a magyar nemzetet tegyék felelőssé. Amagyar nőtársadalom nemzeti szellemű neveléséért,Trianon teljes revíziójáért, az ezeréves magyarkeresztény kultúra megismertetéséért kevesen tettekannyit az első világháború alatt és után, mint TormayCécile. (Reményik Sándor — az erdélyi „Végvári” —1918. december 23-án levélben köszöntötte az írónőt.)Tette ezt karrierizmus, személyeskedés, megalkuvásnélkül, szembeszállva az akkori magyar társadalomközönyösségre, megfásultságra, végzeteskiszolgáltatottságtudatra hajlamos természetével. AMANSZ fórumain országszerte elhangzott beszédei —amelyek összegyűjtve halála után jelentek meg —nemcsak kortörténeti dokumentumok, hanem egynemzet életrevalóságának indokai. A „Bujdosó könyv”-vel és a MANSZ mindeneseként elmondott gondolataivaltette hitelessé azt, amit,rajta kívül például olyanszellemi nagyságok, mint Prohászka Ottokár és MilotayIstván írtak ekkor minden magyar szívébe Kölcseynyomán: „A haza minden előtt!”1922-ben megalapította a „Napkelet” című folyóiratot,amely történelmi, filozófiai, irodalmi és művészetitanulmányokat, verseket, novellákat közölt. A folyóiratmentes volt ellenlábasának, a liberálisirodalomtörténészek kedvencének számító „Nyugat”Ignotus, Fenyő Miksa, Osvát Ernő befolyásoltakasztszellemétől, ezért sokan mindmáigmegfeledkeznek jelentőségéről.Maimonidész és Marx megszállottjai azonban nemtudták megtörni, elkeseredetté tenni, mert ők nemtudták, amit írónőnk tudott: a magyar kultúra és akeresztény vallás bizony hatalmasabb mindenévezredes gyűlöletnél. Miként már 1918-ban Prohászkapüspök, úgy ő is nemzetünk keresztény erkölcsialapokra való visszavezetésében és fajiságunktisztaságának megőrzésében látja jövőnket. A Talmudbosszújától még 1919 után is távol állt: jellemző, hogy1926-ban kiadja saját fordításában „Assisi Szent Ferencvirágoskert”-jét, a „Fioretti”-t. 1934 és 1937 között írottregény trilógiája, „Az ősi küldött”, a magyar középkormélyen keresztény lelkiségébe feledkezik bele.Regényét azonban betegsége miatt már nem tudjabefejezni, ezért azt egyik írótársára bízta. 1937. április2-án hunyt el Mátraházán.Halálát követően Hankiss János irodalomtörténészmegírta élettörténetét, ismertette írói munkásságát,kiemelve klasszikus magyarságát és a magyar nemzetiöntudat fenntartásáért végzett írói-közéletipályafutását. Érdemben azóta sem írtak műveiről,gondolatairól, pedig könyvei — főleg „Bujdosó könyv”— nélkül a magyar történelem elhallgatott fejezeteialigha érthetők meg. Elhallgattatásának igazi okaazonban a „Bujdosó könyv”. [...]A „Bujdosó könyv” nem regény, hanem történelmiemlékirat. Nem tartozik a ma oly divatos„szemtanúirodalom”, a holocaustkultusz irracionális„visszaemlékezései” közé. Napról napra követi 1918 és1919 történéseit, miközben tömören rögzíti gondolataita marxizmus és a zsidóság viszonyáról, a nemzetiségikérdésről, a budapesti zsidóság nemzetellenességéről, aHabsburg Birodalom bukásának elkerülhetetlenségéről.Könyve a nemzeti társadalom gondolkodásánaktükörképe. [...]Mindkét kötetet elolvasva [Nota/Ttmb.: a korabelikiadás kétkötetes, a jelenlegi vastag kötet bennefoglalja mind a két kötetet: I. kötet: Feljegyzések<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 209


1918-1919-ből, II. kötet: A proletárdiktatúra] nemkétséges, kik a forradalmak kirobbantói, 1789 utánzói.Az 1919. január 12-i bejegyzésben olvasunk a nemzetiszellemű magyar nők antibolsevista szervezkedéséről,felhívásukat több lapnak elküldték leközlésre: „Azasszonyok szervezkedésének hírét és felhívásunkat ahajdani kon-zervatív lapok előzékenyen, de jóformánmegjegyzés nélkül közölték. — Mi nem támadni, devédekezni akarunk, — mondottam Vészi Józsefnek, aPester Lloyd főszerkesztőjének. És ő igazságérzetébenazt felelte: — Közölni fogom a felhívásukat éstermészetesnek találom, hogy keresztény és nemzetialapon szervezkednek, mert Magyarországot, — nema zsidók, — de zsidók tették tönkre! Ötszázzsidó... [szerk. kiemelés] Én mondom ezt, akimagam is zsidó vagyok.Feljegyeztem ezeket a szavakat, nem azért, hogytanút hívjak bennök magam mellé, hanem azért, hogytanúságot tegyenek!Bizonyára vannak a zsidók között többen is, akik ígygondolkoznak. De milyen súlyos hibát követnek el sajátfajukkal szemben, hogy nem bélyegzik meg magukközött a bűnösöket és olyan időkben, amikor nekik vanszavuk, nem tiltakoznak az ország érdekében.” [...] »Tormay Cécile kíméletlen igazságtudattalállapítja meg a marxizmus és a zsidóság közöttiösszefüggést: „A rabbinusok fiának: Karl Marxnak,eredeti nevén: Mardochajnak kommunista kiáltványapedig a zsidó világuralom programja. Ha megvalósul,elpusztul Magyarország és utána az emberiségkultúrája.”Tormay Cécile könyvének nagy történelmiérdeme, hogy nemcsak a bolsevizmustermészetét ábrázolja, hanem rámutat atörténelmi Magyarország szétbomlasztásábanjeleskedő Habsburg Birodalom széthullásánaktörvényszerűségére is. Észreveszi, hogy aHabsburgok csak a családi, dinasztiáliskapcsolatokat tartották mindig is fontosnak, desohasem a nemzetben való gondolkodást. [szerk.kiemelés]„IV. Károly nemcsak magáért fizet, de megfizetdynastiája négyszázéves tévedéseiért. Hontalansággalfizet az unoka, mert őseinek Magyarország sohasemvolt hazája.Az uralkodóház megengedte, hogy camarillájatervszerűen gyöngítse Magyarországot. És a camarilla,hogy legyen, aki ellensúlyozza és ellenőrizze a rónáksohasem értett népét, ránk bocsátott minden fajzatot,utolsónak a Kun Bélák és Szamuelyek bevándorlókaftános apáit.Nemcsak mi ellenünk, de maguk ellen is. AHabsburgok nem értették meg, hogy erőnk az ő erejük,gyöngeségünk az ő gyöngeségük is.Valamennyi országuk és tartományuk olyan népekés fajok kilengése volt, melyeket birodalmuk határaintúlról rokonok hívtak, csalogattak magukhoz. AHabsburgok népei körös-körül kifelé néztek mind. Akényeztetett osztrákokat Németország, a lengyeleketVarsó, kedvenceiket, a cseheket a szláv óriás, azoláhokat az új Románia, délszlávjainkat a szerbekországa, az olaszokat Itália, zsidó alattvalóikat azinternacionális zsidó világhatalom. Rokontalan csak amagyar volt. Mi nem néztünk sehová, odakintről minketsemmi sem hívott. Az uralkodók mégis minden népüketdédelgették és mindnek erőt javakat, kincseket adtak.Elmentek a népek és vitték a földünket, javainkat,kincseinket. A Divide et impera négyszázéves vetésebeérett, megoszlottak a népek, de a Habsburgok nemuralkodnak többé felettünk. A szétszakadt részek közöttaz űrbe hullott a korona.”Összefoglalásul megállapíthatjuk, Tormay Cécile a„Bujdosó könyv” lapjain legégetőbb sorskérdéseinketteszi fel és ad rájuk választ. És ez azért volt számáralehetséges, mert ő nem tanulta, hanem megélte atörténelmet. [...] Nem volt még nálunk 1921-ig olyankönyv, amely történelmi tragédiánk okait firtatvaennyire fel merte volna vetni a fajkérdést, mint éppen a„Bujdosó könyv”. Fel is merül a kérdés: Miért tabu a„Bujdosó könyv”? Hát ezért. Mert a népbiztosokMagyarországa ma az SZDSZ megálmodtaMagyarországot jelenti. Ez megítélésünk szerint a könyvmai tanulsága. Ezért kell most már nem gyalázni,hanem elhallgatni a „Bujdosó könyv”-et. Mert amirőlnem beszélünk, az nincs! — mondják ők.[...] És végül hadd hivatkozzunk egy régilexikonidézetre 1926-ból, amely szerint Tormay Cécile„a magyar nemzeti eszme buzgó ésfáradhatatlan apostola.” Ezzel szemben egy újirodalmi lexikon 1994-ben éppen csak megemlékezettírónőnkről, a „Bujdosó könyv” jelentőségéről nyilvánmegfeledkezve. [...]»Csontos Péter a Tormay Cécile, a magyar irredentaNagyasszonya c. tanulmányában (ld. Bujdosó könyv -Gede Testvérek Bt., Budapest, 2003.) az alábbikatírja (http://www.tormayc.webs.com/tc_csp.html)egyebek között:«Viszont leghíresebb műve, a „Bujdosó könyv”, aligfellelhető. Még könyvaukciókon sem nagyon találkozunkvele. A „Bujdosó könyv” a mai napig — 1928 óta —nem jelent meg önálló kötetként Magyarországon. AGenius díszkiadást és az 1939-es Singer és Wolfneremlékkiadást nem számítva az 1990-es fordulat évétkövetően két kalózkiadása jelent meg, amiről tudunk.Ezek feltehetőleg kis példányszámúak és szerénykivitelezésűek voltak. Azonban megjelenésük idejéntermészetesen ezeket is azonnal felvásárolták. A„Bujdosó könyv”-nek a „Horthy-fasiszta”-éra, akeresztény kurzus idején, 1928 után nem volt önállókiadása, gondolom, a már akkor is meglévő zsidóérzékenység miatt... [...]Az első világháborút követő1918-as őszirózsás és 1919-es proletárforradalmatélethű, a kortárs szemével, a szemtanú hitelességévelbemutató mű a magyar tragédia okának feltárását,Trianon okozóinak leleplezését, a megidézett éstetemre hívott idegen faj számára kényes éskényelmetlen szembesülést jelenti napjainkban is. Anemzetközi szabadkőműves zsidóság és a kommunistainternacionalista zsidóság ugyanis nagymértékbenközrejátszott Magyarország megcsonkításában.Közreműködésükkel céljukat elérték: hazánkatvalósággal körülmetélték! Ez az oka annak, hogy egyiklegjelentősebb írónőnket és szinte teljes életművét ahallgatás fala övezi, amit a honi idegenségekvakolókanalaikkal áttörhetetlen betonnal cementeztekbe. Az általuk emelt betonszarkofágban ott nyugszik210<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Tormay Cécile és „Bujdosó könyv”-e immár nyolcvanéve... [...]Tormay Cécile a szülők, nagyszülők hatására,akik komoly könyvtárral és széleskörű irodalmiműveltséggel, irodalmi ismeretségekkel rendelkeztek,hamar megbarátkozik a könyvekkel. Már négyéveskorában elsajátítja a betűvetést és rákap az olvasásra.Jókai Mór, Verne Gyula után jöhettek a „komolyabb”,fajsúlyosabb művek. Iskolai tanulmányait otthon,magántanulóként végezte. Előfordult, hogy többévfolyam anyagát egy év leforgása alatt tanulta meg.Tizennégy éves korában kitűnő eredménnyel tette le azállami képesítő vizsgát az Angolkisasszonyoknál. Anémet, olasz, francia, angol, latin nyelv megtanulásávaleredetiben tanulmányozta a világirodalmat. A klasszikusrómai és görög műveltség megismerése továbbgazdagította gondolat — és érzésvilágát. Az orosz ésskandináv irodalom is nagy hatással volt rá.Kislány korában — a nyári vakációk, téli üdülésekidején — sokat tartózkodik vidéki rokonainál,nagyszüleinél. Sokszor megfordul az Arad melletti kisfaluban, Algyason és a délvidéki Daruváron, aholszintén nagy könyvtárakkal büszkélkedtek. Trianonbanelveszett Algyas, elveszett Daruvár, elvesztek agyerekkori álmok...Cécile színes képzeletét már zsenge virágjábanmegragadták az elért olvasmányok, ennekköszönhetően hamarosan ő is megpróbálkozik azírással.Házi kiadású újságot ír, szerkeszt, ezeket illusztrálja.Írásai már ekkor ígéretesek, rajzai tehetséget árulnakel. Közben Tormay Béla családja a lebontásra ítéltFürdő utca 4-ből 1905-ben átköltözik a VIII. kerületiKőfaragó u. 3. számú házba. Itt élete alkonyáig élt ésalkotott egyik legnagyobb magyar írónőnk. Az épületma is áll. Az első emelet utcára néző ablakai voltak azövéi. Az írónő életének főbb színterei, a családi birtokNádudvar mellett, a mátraházi alkotóháza sajáttulajdonú: „Meseház” és a „Bujdosó könyv”-ből jólismert, legendás, hűvösvölgyi (II. kerület) Szalonka út6/A. szám alatti villa.A nádudvari Tormay-villát, kúriát azóta lebontották,de a hűvösvölgyi Szalonka utca 6/A. szám alatti ház mais megvan. Ezt a villát Zrumetzky Dezső építész tervezte1913 körül, aki Kós Károllyal együtt alkotta meg aBudapesti Állatkert épületeit. A villa Tormayék utánHorthy sógoráé, Purglyé lett. 1945 táján államosították,napjainkban négylakásos családi ház. Tormay Cécile aVIII. kerületi Kőfaragó utca 3. számú házból, lakásábólgyakran járt át imádkozni a közeli Rókus Kápolnába. Akis templom nemcsak a rövid távolság miatt voltkedves. Egyik felmenője, Álgyay Tamás építész ésföldbirtokos építette a XVIII. században.Tormay Cécile külföldi utazásai, tartózkodásailátókörét jelentősen kiszélesítette, számára anemzetközi elfogadást, ismeretséget elősegítette. [...]A nemes származású hölgy 1900-1914 között bejárjaOlaszország, Németország tájait, kalandozása soráneljut Franciaországba, felfedezi magának Párizst is. Íróibeérkezését, diadalmas irodalmi pályafutását,szárnyalását az első világháború kitörése és időszakamegakasztja. Ebben az időben idegen nyelvűkönyveinek kiadása szünetel. [...] Ekkor már az olaszGabriele D'Annunzio és a francia Anatole Franceírófejedelmek barátságát, igaz őszinte nagyrabecsülésétélvezi. [...]Az első világháború kitörésekor Tormay Cécile önkéntjelentkezik vöröskeresztes szolgálatra, amit mindvégighősiesen teljesít. Mindaddig, amíg az ország felettiuralmat a Kun Béla-féle vörös terroristák át nem veszikés a további áldozatos, irgalmas munkától el nemtiltják. Addig 1914-től 1918-1919 fordulójáig részt vállala sebesült katonák ápolásában, testi és lelki kínjainakenyhítésében. Főként a Keleti Pályaudvaron létesítettún. „felüdítő állomáson” teljesít karitatív szolgálatot.Már hajnalok hajnalán kel, és sokszor gyalogszerrelindul el, hogy önként és önzetlenül vállaltkötelezettségének eleget tegyen. Tormay Cécile-t, mintmindig, az olthatatlan hazaszeretet vezérli. Nem tudtétlenül otthon ülni, miközben a harctereken magyar ésszövetséges katonák véreznek, halnak a hazáért,szeretteikért. A gigászi küzdelemben közelihozzátartozói, fiú testvérei is derekasan harcolnak.[...]Az 1945-től napjainkig tartó mocsokáradat azótabeszennyezte nemzetünk régi hírnevét. Rajtunk múlik,mikor jön el a Feltámadás, és mikor jön számára avalódi kegyelet és végtisztesség ideje, piedesztálraemelése, az írónő halhatatlan magyarságánakelimerése. A magyarságát még vállaló utókor tartozikannyival magának, hogy részére visszavegye aKőfaragó utcát.A VIII. kerületi Tormay Cécile utca 3-as számúfalának emléktáblája is ott legyen ezentúl az időkvégzetéig! És a hűvösvölgyi Szalonka út 6/A számúvillájáról se feledkezzünk meg, már csak a „Bujdosókönyv” és az épület tervezője miatt se. A műemlékjellegű épületet és egykori lakóját, Tormay Cécile-t ismegilleti a kötelező tisztesség. A Szalonka út közelében,a Kondor utcánál áll egy természeti tünemény, amihazánkban, ezen az éghajlaton szinte páratlan. Ha nemis magyar cserfa, de ott egy magányos cédrus áll.Javaslom, hogy a Magányos Cédrust nevezzük ezentúlemlékezetére Tormay Cédrusának.A Magányos Cédrus is hirdesse, hogy, akiMagyarországért élt, holtában is halhatatlan, mert arra,akinek szíve és szelleme magyar, minden magyarnakemlékeznie kell.[...]Tormay Cécile 1937-ben elhunyt. Az emberek,nemzedékek elhalnak, de az eszme, a nemzetigondolat, a magyar irredenta örök — mindigújjászületik másokban, akik világra jönnek e hazában ésél tovább... [...] »Végezetül íme egy utolsó méltatása svéd Fredrik Böök [Martin FredrikChristofferson Böök, (1883-1961)]tollából:«Tormay Cecilia — Tegnér(svéd püspök és irodalmár) egyikifjúkori filozófiai regényében az erőés ember viszonyáról, a nagyvilág ésaz egyén sorsáról írva egy képpelfejezi ki gondolatait: „Amikor a tenger reng, vajon vanenyugalma a cseppnek? Oh, nem!” Magyarországongyakran találkozni hasonló reflexiókkal, hogy léptennyomonolyan emberekbe ütközünk, akik mögött ottvan a felkavart és változásokkal teli vad, kalandos s<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 211


tragikus múlt. Majd' mindenki, akivel találkozunk olyandolgokról számol be, amin a hallgató elcsodálkozik,rémületet, együttérzést kelt benne, s eltűnődik azon,hogy milyen erős az emberi természet a szenvedésekkibírásában és azok leküzdésében. Az összes egyénidrámák és szomorújátékok közül, a nagy és univerzálistragédia, Magyarország történelmi sorsa, a legnagyobb,amely háborúkkal, forradalmakkal, vörös terrorral,ellenséges megszállásokkal van tele; s végül ott van agyűlölködő, agresszív szomszédok könyörtelenirtóhadjárata a magyar nemzetiség ellen, az elvesztettterületeken. Az utóbbi évtizedek viharai fenekestőlfelfordították a társadalmat; nincs egyetlen atom sem,amelyet az örvények ne szívtak volna magukba, és nemorzsolták volna vad hullámok. A világháború előtt voltMagyarországnak egy félszázadnyi viszonylagosnyugalma, de ha visszább megyünk a korábbi időkbe,újra felfedezzük ugyanazt a hullámzó ritmust, ugyanazta majdnem fantasztikus váltakozást a nép és azegyének sorsában. Ez a hányódás megtalálhatóSzéchenyinél és Kossuthnál, ugyanúgy mint Petőfinél ésGörgeynél, vagy akár Rákóczinál és Szapolyainál.Létezik-e még egy másik állam, amely több mint ezeréve fennáll, s pontosan azokat a részeit veszítette el,ahol a legerősebb volt. Van-e még királyi korona, amelyoly változatos sorson ment keresztül, mint Szent Istvánkoronája, amelyet hol menekültek vittek magukkal, holföldbe elástak, majd ismét megtaláltak, később aztán azsidó vörös cár, Kun Béla kezébe került, aki el akartavolna adni, de kisült, hogy pénzértéke kisebb minttörténelmiértéke.Vannak fák, amelyek viharban virágoznak, ésMagyarország valóban úgy nőtt fel, hogy pusztítóviharokkal és árvizekkel dacolt. Nyugodt fejlődéseennek az államnak ritkán volt, akárcsak a kultúrájánakis. Magyarország legnagyobb írónője, Tormay Cecíliaszintén osztozott országa sorsában. Ahelyett, hogyoltári szolgálatot teljesített volna a zárda cellájában,őrként járt a falakon, lelkiismeretétől éskötelességtudásától hajtva. Művészi hírnevét avilágháborút megelőző években alapozza meg. Legelsőregénye 1911-ben jelent meg, s nem csak az országhatárain belül váltott ki csodálatot, hanem AnatoleFrance is csodálattal olvasta, Marcell Tinayre fordítottafranciára és olyan sikert hozott a számára, amit csakPárizs irodalmi szalonjai tudnak adni. Ez a kicsi regény,amely a horvát karsztvidéken élő kecskepásztor-lányrólszól, tele van tiszta, friss szépséggel, amely soha elnem hervadhat. Primitív, hallgatag emberekről szól,címe: Emberek a kövek között. Ez a cím mintegyaláhúzza ezeknek az egyszerű lényeknek öntudatlan,természetszabta életét. De nyoma sincs holmiszentimentális laposságnak. Az írónő emberek irántiérzelme végtelenül gyöngéd. Ugyanezt a kitűnő formaitökéletességet, ezt az alázatos lélekteljességet találjukmeg a Furulyázó lány [A fuvola] és az ArkadiaiMadonnában [Boldogasszony Arkádiában]. Az antikformavilág kitűnően illik Tormay Cecília fantáziájához;domborművei egyidejűleg lágyak és szigorúak, amijellemző a görög művészetre; az egyszerűnek és anemesnek nagyszerű egyesítése, amely úgy ragadjameg a szemlélőt, mint egy magasabb rendű világlátomása. Nem csoda, hogy D'Annunzio Gabrieltelbűvölték ezek a színpompás, szép stílű művek ésolaszra fordította; a klasszikus márványt juttatják azember eszébe, de ugyanakkor modernül kényesenszenzibilisek is. A szereplők érzékek és a lélek világaközött vívódnak. A furulyázó Lais ékszerért feláldozzaművészetét, az árkádiai madonna egyszerre Afrodite,de Mária is, aki átadja magát Erosnak és a szépségnek,ám végül is arra kényszerül, hogy áldja a szenvedés ésaz irgalmasság felsőbb istenségeinek erejét.Az 1914-ben kiadott Öreg ház [A régi ház] c.regényében Tormay Cecília hatalmas feladatraöszpontosította erejét. Sikeres kísérlett volt ez, amely őta magyar írók leghíresebbjei közé sorolta. A könyv egycsalád történetét írja meg, s három generációt mutatbe: a Németországból Budapestre bevándorolt hatalmastermetű építőmestert, aki igyekezetével és munkájávalnagy vagyont gyűjt a fiát, a lelkiismeretest, de gyengeakaratút, aki semmit nem tud alkotni, csupánmegtartani és élvezni s végül az unokáját, az ideges ésélvezethajhász pazarlót, aki mindent romba dönt. Ez acsaládi krónika annyira világos és hihető, hogygondolatunk egyenesen Thomas Mann Buddenbrookjairairányul; Tormay Cecíliánál is a látványos és azegyéni élmények annyira keresetlenül folynak egybe atipikussal és az általános érvényűvel, hogy ittegyenesen klasszikus realizmusról lehet beszélni. Akörnyezet leírása annyira intim és kellemes, hogy útonútfélenegy nő találékonyságáról éstemperamentumáról árulkodik; a korszellem, atörténelmi hangulatok olyan pontosan vannakmegörökítve az egyes részletekben és annyieleganciával, hogy akár egy idegen is értékelni tudja.Az Öreg ház Magyarország tizennyolcadik századánakadja a keresztmetszetét de elsősorban Budapestét; azatmoszférájában bekövetkező minden egyes változásvalamely jelenetben jut kifejezésre, amelyet a szerzőmesteri koncentrációval kezel. A világtörténelemritmusa lüktet a magyar polgári házban, ahol akatasztrófák ámyéka, a nyugtalan fejlődés által vésettvonalak és ráncok visszatükröződnek az emberekarcvonásain s a külső tárgyakon is. A maga okosanbehatárolt keretében az Öreg ház valóságos költemény;a főváros polgári eposzának aspektusát adja.Már az Emberek a kövek között c. művébenfelfedezhetők egyes vonások, amelyek elárulják TormayCecília érzékeny nemzeti öntudatát. A magyarparasztfiú, akiből a karszti kőfennsíkon pályaőr lett, sami őt végül idegenné teszi a horvát Jella számára,nem más mint a fiú rusztikus természete. Az egyéniléleksorsokat befolyásolják a misztikus erők, amelyek avérben és hagyományokban vannak. Az Öreg házbanszerzőnk sokkal mélyebbre hatolt, hogy ezeket aproblémákat felszínre hozza. Az Ulvi [Ulwing] családnémet eredetű, de már az öreg nagy termetűépítőmester testben-lélekben magyarrá lett, s amikor aHabsburgok ágyúi a fővárost lövik, büszkén és lojálisanáthúzza a német canzelei feliratot és kiírja magyarul azi r o d á-t. Az ő patriotizmusa azonban polgári jellegű,mondhatni lokális, mert tulajdonképpen magátBudapestet jelenti, amelynek felépítésében ő maga isrészt vett. Nagyjából ugyanez érvényes unokájára is,Annára; akinek a landjunkarenak született férje irántérzett szerelmében van idegenkedés is. Annak amagyar földért érzett szenvedélyes és mindent átfogószeretete a polgár lányánál semmilyen visszhangra nem212<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


talál; hiányzik a politikai öntudat belőle s ezért némimeglepetéssel tapasztalja, hogy férje és annak parasztrokonai, ugyanazzal a mély érzéssel viseltetnek azország iránt, mint az ő apja a város iránt. Ebből akülönbözőségből keletkezik az a tragikus félreértés,amely a házasfeleket eltávolítja egymástól; az egyiknem ért a pénzhez és az üzlethez, a másik pedigközömbös a föld és a birtok iránt, ami pedig nem másmint patriarkális örökség, az Illé-ék családi birtoka. UlviAnna nemes áldozata és férjének tragikus halála utánvégül is a konfliktus megoldódik, és az özvegygyermekeivel együtt és férje tetemével kiköltözik avisszaszerzett Illére, ahol halottjának szerelme áramlikfeléje, és érzi, hogy a polgári család gyökeret vert ahaza gazdag és mély talajában.Tormay Cecília a Régi házban egy társadalmiproblémát érint, a harmadik rendnek a hiányát, apolgári rendét, amelyet Széchenyi próbált létrehozniazzal, hogy az uralkodó nemes osztályt polgáriaktivitásra igyekezett sarkallni. A nemesség és apolgárság hasonló összeolvasztására törekedett TormayCecília is, s ezért ez a könyv nemcsak egy finom ésátható pszichológiai regény, hanem igényt tarthat arrais, hogy rangos költői mű legyen (egy komolyanmegalapozott családi történet). Az írónő kettősszármazású, van benne nemesi és polgári elem is, sugyanakkor ereiben magyar és német vér is folyik,tevékenységét és ideológiáját ez a kettős örökségfémjelezte.Amikor a háború kitört, nem tudott megmaradnielefántcsont tornyában, az írógép csöndjében. Mintvöröskeresztes ápolónő a Budapest Keleti Pályaudvaronteljesített szolgálatot, ahol a frontról érkező sebesültekáradata soha nem akart szűnni. Itt élte meg areménység utolsó halálvonaglásait, a vereséget és akapitulációt. A vereség valósággal megbénította amagyar népet; a hatalmat ellenállás nélkül átadták amagyar nemesség legmegbízhatatlanabb politikusának,Károlyi Mihály grófnak, aki az önfeláldozóalkalmazkodás által (az ellenséghez) vélteMagyarország sorsát enyhíteni, s ez által csakrosszabbá tette a helyzetet; a forradalom nyomábanmegjelentek az orosz cápák és Tisza István grófotproletár gonosztevők a házában megölték, szeretteiszeme láttára, azzal vádolván őt, hogy háborúrauszított, pedig ő éppen azt igyekezett volnamegakadályozni; a kormány még csak kísérletet semtett arra, hogy az elkövetőket elfogja és megbüntesse.Kesztyűs kézzel bántak a kommunista agitátorokkal éskedveztek nekik; ezzel szemben keményen léptek fel anémet szövetségesekkel szemben és Mackensent, akitöbb ízben megmentette Magyarországot az inváziótól,elfogták és kiszolgáltatták az ellenségeinek.Nem sokan voltak azok, akik Magyarországsorscsapásaiban és megaláztatásában annyi bátorságot,cselekvőképességet és töretlen erkölcsi erő mutattak felmint Tormay Cecília. Az 1918 és 1919 között lezajlottrettentő eseményeket és saját sorsát Egy üldözöttnaplójában [Bujdosó könyv] maga írta meg érdekesenés egyedülállóan. Nap, mint nap beszámolt amegaláztatásokról, a szenvedésekről, a fizikai és lelkikínzásokról, amin ő maga és minden magyar hazafikeresztül kellett, hogy menjen, amikor is az ország ádázellenségei, a kapzsi szomszédok, lelkiismeretlen árulók,naiv ideológusok, végül perverz bűnözők csordultigtöltötték a boldogtalan Magyarország poharát. Egyistenek alkonya, egy igazi világvége volt. Ez volt maga akeserű valóság, az az állapot, amiről Heidenstamversében a következőképpen szólal meg:amikor mindaz amit szeretsz s mindaz amit tisztelsz[lábbaltipródik a beözönlő hunok hordáinak lába alatt...Tormay Cecília magatartásában éppen az volt amegkapó, hogy nem hagyta magát elkábítani; sohanem esett kétségbe, hanem görcsös, keserű kitartássalragaszkodott mindazon eszményekhez és értékekhez,amelyeket sárba tapostak. Megőrizte érzéseitegészségesen és zavartalanul, volt ereje, hogyharagudjék és gyűlöljön, hogy szenvedjen és reagáljon,ahelyett, hogy ellanyhuljon és megadja magát. Eppenezért lehetett az a gyújtópont, amely köré az ellenállásösszegyűlt; amikor félelem nélkül felemelte hangját,vette észre — legnagyobb csodálkozására —, hogyezrek hallgatják szavait és mint szabadítót ünneplik. Ő,aki azelőtt soha nyilvánosan nem lépett fel, hirtelenszónokká lett; ő, aki azelőtt csak a művészet világábanmozgott, gondolatok, képek között, arra eszmélt, hogycselekvő emberek vezérévé lett. Anélkül, hogy egypillanatig is habozott volna, vállalta a felelősség és anehéz munka terheit. Az a szerep, mely Tormay Cecíliaosztályrésze volt, s magyar asszonyoké is; legyen örökdicsőségükre! Elegendő hírességének felelevenítéséreelmondani azt, hogy neve a legelsők között állott amagyar hazafiak listáján, akiket Kun Béla és csatlósaimindenáron el akartak fogni. Mentenie kellett az életét!Álruhában bujdosott; egy alkalommal épp azon avonaton volt a fényképe és a letartóztatási parancskitűzve, amelyen éppen menekülni próbált. De nem eza fajta hősiesség a legértékesebb a beavatottakszemében. Legnagyobb áldozatát akkor hozta meg,amikor az üldöztetések megszűnése után, a polgárikormány megalakulása után, nem vonult visszamunkaszobájába és művészi magányába, hanem ottmaradt a szellemi arcvonalban, hogy újraépítse aromokat, s hogy mentse amit menteni lehet.Megalakította a Magyar Nőszövetséget [MagyarAsszonyok Nemzeti Szövetsége], amelynek végig azelnöke maradt. Irodalmi szervezeteket hozott létre anemzeti és konzervatív hagyományok megőrzésére,elsősorban a népiek megőrzésére. Ilyen volt a MagyarAsszony, amely elterjedt minden neves magyarvárosban és faluban, továbbá a Napkelet, egy havifolyóirat, amely a nyugati irodalommal szembenkifejleszti azokat az ideákat és elveket, amelyektulajdonképpen létrehozták a szülőhazát és a nemzetikultúrát. Az ő befolyása hatalmas volt és kiterjedt afőváros intellektuális köreitől, egészen a falvakparasztudvaráig. Nincs gyűlés vagy összejövetel, ahováa nép ne tolongana, hogy hallgassák szavait. Barátai éscsodálói megpróbálták összeszámolni hány előadásttartott, s amikor már eljutottak háromezerig,abbahagyták a kísérletet. De nemcsak a nyilvánoselőadások jellemezték őt, hanem az a számtalan sokfolyóiratcikk, aztán a háború áldozatai között végzettszemélyes tevékenysége — ide pedig milliók sorolhatók— a menekültek, a szükséget szenvedők, a<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 213


nincstelenek... Ezek mind-mind Tormay Cecíliáhozfordultak bánatukkal és panaszaikkal, aki a szívéből ésfejéből mindenki számára juttat valamit, s ha mástnem, akkor reménységéből és hitéből adakozik. Dolgozzés ne ess kétségbe! — ez volt bölcsességének jelszava;ezzel tartotta fenn a magyar nők szívében a lángot, shogy a magyar hazafiasság mindenek ellenére töretlenezek között az ádáz ellenségek között, az nem kismértékben a magyar nőknek is köszönhető... „Túl erőső, mert nők állnak mögötte” mondja Böjgen, amikornem tudja Peer Gyntöt térdre kényszeríteni.Tizenhárom éven keresztül mindenét odaadta, nemkímélte magát, fizetség nélkül; gyönyörű hangjamegkopott, erős szíve meggyengült, nagyra tervezetttörténelmi regénye, melyet művei koronájaként akartmegírni, befejezetlen, háttérbe szorult. Nem keresettnyugalmat és pihenést, barátainak kétségbeeséseellenére sem, mivel nem dughatta be a fülét a hozzákiáltó hangok előtt; mert ő nagyon jól tudta, hogy akikmásoktól áldozatot, kitartást és hősiességet várnak,azok maguk is bőkezűek kell, hogy legyenek!Dicsőségéből semmi sem hiányzik: az a zászló,melyet a magyar nők nevében átnyújtott az országkormányzójának, ma a haza zászlója lett. Őt azonbannemcsak szeretik és csodálják, de gyűlölik is, ami döntőbizonyítéka annak, hogy törekvései komolyak és, hogyharca igen jelentős. A „S z a b a d m i n t a m a-d á r” c. naplója, s egész tevékenysége mélyelkeseredést váltott ki az ellenzék táborában, ami aztán1925-ben jutott kifejezésre abban, hogy személyeséletvitelében támadták meg: piszkos vádak egészárama indult meg feléje, káröröm kíséretében. Alegtöbb embernek nem lett volna ereje és bátorsága azilyen fajta mocskolódással szembeszállni, de TormayCecília felvont sisakrostéllyal és sima homlokkal állott abíró asztala előtt, s arra kérte, hogy minden egyeskérdést megválaszolhasson, hogy kiterítse egész életét.A jog által felkínált védelmet visszautasította. Öt évenát folyt a törvénykezés, öt éven át küzdött becsületéért,a bűnösöknek és hamis esküvőknek ligájával szemben,akiket a gyűlölet, a bosszú, az egyéni nyereségvágy ésa politikai fanatizmus kovácsolt össze; de ő kitartott ésigazságos ítéletet nyert a hazugságok ellen.Hogy az a káosz, amely Magyarországon uralkodott,amely szinte egy pillanat alatt nyelte el az államot és azegész országot, hogy ez a kavargás végremegnyugodhatott, s hogy a rend újra visszatérhetett, shogy a pusztulásnak ellenálló alapokra újra egykozmosz épülhetett, az annak az erőnek és szellemiértékeknek volt köszönhető, amelyet a nők közöttTormay Cecília a legszembetűnőbben képviselt. Nekinem voltak korszakalkotó, merész elvei, nem követeltfelforgató reformokat és még csak földért és új égértsem kiáltott. Az a program, melyet kifejtett, alegegyszerűbb és a legkipróbáltabb volt: haza, vallás éscsalád. Vannak sokkal finomabb és rafináltabbprogramok, számos jelszó, mely sokkal jobban vonz,vadítóbb és felajzóbb. A modern szellemiségek igenhajlamosak arra, hogy Tormay Cecíliát intellektuálisbanalitással, értelmetlen tradicionalizmussal vádolják:az ő evangéliumában nyoma sincs Einsteinnek, vagyFreudnak, Leninnek vagy Fordnak. Méltó-e egy hasonlóigehirdetés egy előkelő művészhez, egy tehetségesírónőhöz? Tormay Cecília nyugodtan fogadhatja az ilyenvádakat; ezek nemcsak őt támadják, hanem egyáltalán,magát a konzervativizmust. Van pillanat, amikor akonzervativizmus az érdekek, a szokások és előítéletekszemléletét képviseli, amikor a világháztartásnak újkovászra van szüksége, amikor az időkezdeményezésekre és egészséges nyugtalanságraszomjazik. Az az idő, amiben mi élünk, nem ilyen;ennek elege, sőt bőven elege volt a változásból, apolitikai, technikai, erkölcsi forradalmakból, amelyekvégigszáguldottak az emberiségen és fenekestőlfelkavarták egész létünket. Napjainkban a gyenge fejekkiabálnak további újdonságokért és újabbátalakulásokért. Az értelmesebbek és a lelkilegfinomabbak elfogadják az elévülhetetlen értékeket ésmegértik Goethe szavait, hogy aki ingadozik egyingatag időben, az csak a zűrzavart fokozza.Valamennyien alá vagyunk vetve a fejlődés és aváltozás átalakító erőinek, akár akarjuk, akár nem; samíg hagyjuk, hogy az erő meghozza azt a bizonyosújat, addig minden okunk meg lehet arra, hogybelekapaszkodjunk a birtokunkban lévő szépbe ésjóba,hogy ne álljunk üres kezekkel, kifosztottan afantomok között. Egy kicsiny nyugalom, higgadtság ésönuralom nem árt; tisztább perspektívát és jobbszemmértéket ad. Ha a régi érdemes ideálok újérzelmekkel körülölelve tovább élnek, megvan az azelőnyük, hogy van amihez az újakat hozzámérjük,egészséges összehasonlítás végett. Egy magánépíttetőleromboltathat egy régi házat, hogy újat építhessen ahelyébe, de az emberiségnek nem szabad ilymegfontolatlanul cselekednie. A dolgoknak lassan kellegymásba folyniuk, s általában mindig kiderül, hogy azúj a réginek egy változata, mely őrzi az eredeti tervetés az öröklött értékeket.A régi ideáloknak konzerválása és megújításalélekben és igazságban, valójában éppen olyanszükséges, olyan jelentőségteljes és alkotó cselekedetlehet, abban a nagy titokzatos világtervben, mintteljesen újat építeni, mint a jövő csudáról álmodozni.Tormay Cecília bátor kitartással védte azt a pozíciót,amit az atyák elfoglaltak. Mit ért el ezáltal? Nemtudhatjuk; azt se tudhatjuk, hogy mi történt volna, haaz egészet kardcsapás nélkül feladták volna. Van egytörténet, amely egy katonatisztről szól, aki egycsatában azt a parancsot kapta, hogy védje azt aterületet, ahol van, és ne vonuljon hátra, de előre setörjön. A tiszt és serege kitartott; elszántállhatatossággal visszavetettek minden támadást,keserű veszteségeket szenvedtek, de a helyükönmaradtak. „Mi értelme volt?” — kérdezték fájdalmasszívvel, amikor este halottaikat számlálták össze, „mégcsak egy arasznyit se nyertünk?!” A győzelmeshadvezér azonban odavágtatott a kitartó tiszthez ésvalamennyiüknek köszönetet mondott: mert a csatát őknyerték meg, mivel az a pont, amit ők védtek, az volt akulcs, a tengely, amely körül a nehéz csata súlyoskereke elfordult, — ha a hely elveszett volna, akkorminden igyekezetük hiábavaló lett volna, és az egészvállalkozás káoszba fullad.Vígasztaló ez azon konzervativizmus számára,amely tudja, hogy mi az, ami viszonylagos mindenemberi ideálban és értékben, és nem hajlandó magátólelhajítani azt, ami kedves, ami emlékezetes, s amit a migondjainkra bíztak. Hogy a nagy hadvezér hogyan214<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


irányítja a csatát, azt mi, akik a vonalban vagyunk nemtudjuk követni, de azt amit forrón szeretünk ésbecsülettel hiszünk, azt soha nem adjuk fel. Ebből a jócsatából Tormay Cecília bátran kivette a részét.(A szerző megjegyzi a cikk végén, hogy TormayCecíliának mindkét regényét lefordították svédre, atörténelmi regényét „Az Ulvingok háza” c. alatt SigneLeffler-Liljekrantz fordította, a másik regényt „A pusztaölében” címmel adták ki.)»Fordította © Bartha István(Fredrik Böök: Utazásom Magyarországon - Püski Kiadó Kft. Budapest,2002. Fordította: Bartha István; Eredeti kiadás: Fredrik Böök: Resa tillUngern - P. A Norstedt E Söners. Stockholm, 1931.)Tormay Cécile így indítja a Bújdosó Könyvét:«A forradalmak egy csendes, szelíd áldozatánakajánlom ezt a könyvet. Feledhetetlen édesanyámnak.Ennek a könyvnek maga a sors adta a nevét. Bujdosóvolt olyan időkben, mikor a halál fenyegetőzött amagyar szenvedések minden hangja felett. Bujdosott ésmenekült a szülői házból, magányos kastélyon,kisvárosi villán, falusi udvarházon át. Bujkáltszétszedve, könyvek lapjai között, idegen tetők tövén,kéménykürtőben, pincegádorban, bútorok mögött éselásva a föld alatt. Házkutató titkos rendőrök keze,vörös katonák csizmája járt felette. Csodára mégismegmaradt, hogy emlékeztessen, mikorra márbehorpadt a kor áldozatainak a sírja, fű nőtt az egykoriakasztófák gödrében és a kínzókamrák faláról lekopotta vér és a golyók írása.Most, hogy a könyvet odaadom Nemzetemnek, sokolyan adatot és részletet kellett elhagynom, melyekmég nem bírják el a napvilágot, melyek élő emberektitkai. Talán eljön az az idő, mikor megszólalhat, amima néma marad. Mióta napról-napra feljegyeztem azeseményeket, idő múlt felettünk és világos lett sokminden, ami megfoghatatlan és sötét volt. De nemnyúlok a lapokhoz, érintetlenül hagyom rajtuk az akkoriórák érveréseit. Ha tévedtem, legyenek elnézőek, akik akönyvet olvassák. A tévedéseim is tükrök: a kortévedéseinek a tükrei.Nem a forradalmak történetét, nem is a politikaiesemények szemtanújának a naplóját akartam megírni.Szóljon az én könyvem arról, amiről nem fognak tudni ajövő történetírók, mert azt át kellett élni. Szóljon arról,amiről nem tudhatnak az idegenből behurcoltforradalmak felidézői és politikai eseményeinek aszemtanúi, mert lelküktől távol állt minden, amimagyar.Maradjon fenn könyvemben az, ami velünk vész el:egy halálra szánt faj legboldogtalanabb nemzedékéneka kínja és becsülete. És lássák meg benne az utánunkjövők, hogy a megpróbáltatások esztendejében misajgott át a némaságra ítélt, elgyötört, vérig alázottmagyar lelkekben.Legyen a Bujdosó könyv a fájdalom könyve. Mialattírtam, találkozni akartam benne azokkal, akiktestvéreim voltak a közös szenvedésben. És ebben akönyvben velük akarok maradni még akkor is, mikormár sem ők, sem én nem fogjuk többé látni az újmagyar tavaszokat.Budapest, 1920. karácsonyánTormay Cécile.»BIBLIOGRÁFIAI VÁZLATI.Apród-szerelem. Novellák. Bp., Athenaeum, 1900.Fordítás. Baranyai Zoltán és R. Bichet: Notre-Dameen Arcadie („A Boldogasszony Arkádiában”), „Revueillustrée”, 1912.Apró bűnök. Elbeszélések. Bp., Franklin, 1905.Szirének hazája (kéziratban). Uránia-Színház,1906.A virágok városa (kéziratban). Uránia-Színház,1907.Emberek a kövek között. Regény. Bp., Franklin,1911. (7. kiadás: 1921.)Fordítások. Goth Ernő: Menschen unter Steinen(előbb a „Berliner Tageblatt” folytatásos regénye, majd)Berlin, S. Fischer, 1912. (2. kiad.) — Marcelle Tinayreés Jean Guerrier: Au pays des pierres (előbb a „Revuede Paris”-ban, 1913, majd) Paris, Calmann-Lévy, 1914.(3. kiad.) — Torday Emil: Stonecrop, London, Ph. Allan& Co., 1922. (2. kiad.) — Ella Hilbom: I VildmarkensBann. Stockholm, Ahlén & Akerlunds Förlag, 1928. —Silvia Rho: Cuore fra le pietre (sajtó alatt).Néhány ismertetés. Magyar Figyelő, 1911. V. 16.(Sebestyén Károly), Pester Lloyd 1912. III. 12., V. 12.Az Ujság V. 11., Budapester Presse V. 21. (ElsaStephani), Die Zeit VI. 2. (Franz Theodor Csokor),Schlesische Zeitung VII. 10., Kölnische Zeitung VIII.10., Berliner Tageblatt IX. 14., Le Temps, 1914. III. 7.,Le Gaulois IV. 3. („Le Bibliophile Marc”), Revue CritiqueIV. 15. (J. Monthizon), Comoedia IV. 29., Vie FéminineV. 26. (Paule Beyle).A régi ház. Regény. Batthyány Gyula gróf rajzaival.Bp., Singer és Wolfner, 1915. (10. kiadás: 1923.) AzAkadémia Péczely-díjával kitüntetve.Fordítások. Horvát Henrik: Das alte Haus (előbb a„Vossische Zeitung”-ban, 1916, majd) Berlin, S. Fischer,1917. (6. kiad.) — Signe Leffler Liljekrants: UlwingsHus, Stockholm, Dahlbergs Forlags A. B., 1918. — Alex,Schumacher: Det gamle Hus. Kjöbenhavn-Kristiania,Nyt Nordisk Forlag, 1919. (2. kiad.) — Torday Emil: Theold House. London, Ph. Allan & Co., 1921 és New-York,Mc Bride & Co., 1922. — Aino Pándy: Vanha Talo.Helsinki, Kustannus Osakeyhtiö Otava, 1928.A szerző nyilatkozatai. Társaság, 1916. évf. 5. sz.; UjNemzedék, 1924. dec. 25.Néhány ismertetés. Uránia 1914. évf. 9. sz. (-ly.),Budapest, 1914. V. 7. (Liptay Gyula), Élet (HalasiAndor), Alkotmány V. 31. (Sztrakoniczky Károly),Budapesti Hirlap V. 31. (Sebestyén Károly), DieTonkunst 1917. IX. 30. (Hans Schulzenburg), BelgraderNachrichten X. 21., Der Tag X. 27. (Hedwig Dohm), DasLiterarische Echo XI. 1. (Paul Nicolas), Tagesbote ausMähren und Schlesien XII. 12. (Wilhelm v. Wymetal),Berliner Tageblatt XII. 13. (Walter v. Molo),Literarisches Centralblatt 1918. V I. 21. (Karl Fuchs),The Aberdeen Daily Journal 1921. IX. 26., TheBookman X. 6., Birmingham Post X. 11., Times X. 13.,Manchester Guardian X. 14., The Spectator XI. 12.Viaszfigurák. Regény. Bp., Singer és Wolfner,1918. (2. kiadás: 1920.)Bujdosó könyv. I-II. kötet. Bp., 1921-22. (4.kiadás: 1926.)<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 215


Fordítások. Torday Emil: An Outlaw's Diary. London,Ph. Allan & Co. és New-York, Mc Bride & Co., 1923. —Paul Eugéne Régnier és Marcelle Tinayre: Le Livreproscrit (szemelvények). Paris, Plon, 1926. — WladislawStudnicki a „Dzien Polski” hasábjain folytatásokban közlia B. k. lengyel fordítását, 1928.Néhány ismertetés. (Mackensen német tábornagybudapesti fogadtatásáról): Rheinisches Volksblatt 1921.VIII. 13., Münchener Neueste Nachrichten VIII. 17.,Breisgauer Zeitung VIII. 18., Magyarság IX. 8.; (T. C.Bujdosó könyvét idézik Sanghaiban a kommunizmusellen:) Uj Nemzedék, 1926. VIII. 7. — P.-E. Régnier:Scénes de la révolution communiste en Hongrie (Revueuniverselle, 1923. IX. 15.).Séta a szentmihályi parkban. Napkelet, 1923.évf. 1. sz.Az eltüntetett ország. Napkelet, 1923. évf. 3. sz.Megállt az óra. Novellák. Bp., a Magyar IrodalmiTársaság kiadása, 1924. (A Napkelet Könyvtára, 2. sz.)— V. ö. Napkelet, 1923. (Megállt az óra) és 1924. (Asiker; A síró ember meg a nevető ember; az utóbbi egyrégebbi novella átdolgozása); valamint LeipzigerIllustrierte Zeitung 1918. IV. 25.: „Germanen- undMagyaren-Nummer” (Der Schicksalsstrom, G. v. Finettirajzaival, magyarul: A sorsfolyó).Anatole France. Napkelet, 1924. évf. 10. sz.Jókai. Napkelet. 1925. évf. 7. sz.Széchenyi. Napkelet, 1925. évf. 9. sz.Assisi Szent Ferenc Kis Virágai. (A Fiorettifordítása.) A Magyar Irodalmi Társaság kiadása. (ANapkelet Könyvtára, 16. sz.) — V. ö. Napkelet, 1923. és1926. évf. (3. kiadás: 1927.).Az idegen. Napkelet, 1927. évf. 9. sz.Öt év. Napkelet, 1928. évf. 1. sz.II.Cikkek és tanulmányok Tormay Cécile munkásságárólPaule Bayle: Impressions de la chanoinesse deTormay (Vie Féminine, 1914. május 26. sz.).Marcelle Tinayre előszavai az Au pays des pierreshez(1914.) és a Le Livre proscrit-hoz (1926.).Beöthy Zsolt: Jelentés az 1913-14. évi Péczelyregénypályázatról(Akadémiai Értesítő, 1916. évf.).Horváth János: Emberek a kövek között... A régiház... (Budapesti Szemle, 1916. évf.).Dr. Ilse Reicke: Dichterinnen (Bremer Tagblatt,1920. jan. 11. sz.).Alszeghy Zsolt: Tormay Cécile (Élet, 1921);(Irodalomtörténet, 1921. és 1925.).Maurice Muret: Les Romans hongrois de Mme Cécilede Tormay (Journal des Débats, 1922. aug. 4., v. ö.Nemzeti Ujság, 1922. aug. 10.).Francesco Mollica: Attivitá femminili in Ungheria(Vedetta d'Italia, 1923. jún. 6.).S. Rho: Cecilia de Tormay (Gazzetta del Popolo,1924. júl. 28.).Brisits Frigyes: Tormay Cécile (Pásztortűz, 1925.évf.); Tormay Cécile világa (Magyar Kultura, 1927.évf.).Paul-Eugéne Régnier előszava a Le Livre proscrit-hoz(1926.).Megjegyzés. A tér szűke s az előtanulmányok hiányamiatt ez a bibliográfiai vázlat távolról sem tart igénytteljességre. Egyrészt hiányzanak belőle T. C.-neknapilapokba írt cikkei, másrészt a hazai és külföldinapilapok és folyóiratok róla szóló cikkeinek egy része,s nem teljesek a fordításokra vonatkozó adatok sem.Ezeknek összegyüjtése hiánytalanul sohasem leszlehetséges; az a teljesebb anyag, amelyet lassankéntsikerül majd lajstromozniuk, más helyen kerül anyilvánosság elé. Viszont megnyugtatható az a tudat,hogy a rá vonatkozó cikkek legnagyobb részét nemértékük, hanem csak a könyvészeti teljesség kedvéértlesz érdemes számon tartani.Köszönetnyilvánítás: Hálás köszönet Dr. PaczolayGyulának a figyerlemkeltésért, néhány adat és kiegészítésbeküldéséért; ifj. Tompó László irodalomtörténészneka tanulmánya felhasználásához adotthozzájárulásáért, Nagy Lajos webmesternek, akiszabad kezet adott a Tormay Cecil Kör honlapjántalálható anyagok felhasználásához.KAPCSOLÓDÓ TÉMÁKBudapest – JudapestÚgy tudni, Karl Luegertől, a politikai antiszemitizmusegyik ősatyjától származik a Judapest kifejezés, ésabból a közkeletű felismerésből ered, hogy Budapestenláthatóan sok a zsidó, pontosabban a XIX. és XX.század fordulóján sok volt.Izraelita hitű volt 1869-ben minden hatodik,1920-ban minden negyedik budapesti, és akitérési mozgalom és a születésszám csökkenéseellenére is 1935-ben minden ötödik. A rosszízű(antiszemita és a magyarokat fitymáló), bár szellemesJudapest arra a valóban létező helyzetre is rávilágít,hogy a zsidóság és a magyar főváros sorsa szorosanösszefonódott. Így például Budapest világvárossáválása és virágkora egybeesett ia hazai zsidóságemancipációjával. [cfr. „Az a jó zsidó, aki nem zsidó.”Asszimiláció Kelet-Európában”(http://hvg.hu/sorkoveto/20090401_zsido_emancipacio_asszimilacio_vazsonyi.aspx)]AntiszemitizmusBernard Lazare (1865-1903):Antiszemitizmus - Ez a könyvmegdönti mind az antiszemitizmusmind a zsidó védekezés ideológiaialapját. Tényekből indul ki ésalaposan tanulmányozza a zsidóközösségek kapcsolatát nemzsidótársadalmi környezetükkel. Ez válaszDrumont zavaros antiszemitizmusára és annaktükörképére sok zsidó fantáziájában, melyet sajáttörténelmükről képzelnek. Lazare 1903-ban halt meg,mielőtt még láthatta volna a cionizmus fejlődését,melynek ő volt az első kialakítójainak és kritikusainak isegyike.Lazare könyvét sok antiszemita weboldal ésantiszemita kiadvány idézi. Ennek az az oka, hogyLazare alaposan megvizsgálta az antiszemitizmustörténetét, és a mű úgy olvasható, hogy hiba nagyrészben a zsidókban keresendő.216<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


De ez munkájának téves értelmezése. Azután, ahogyaz antiszemiták őt idézik, meglephet, hogy Lazare, akiújságíró volt, először Dreyfus kapitányt védte meg, ésezzel lett híres az első dreyfusard. Továbbá talán ő voltaz első francia zsidó, aki a teljesen cionizmus, mintpolitikai megoldás mellé állt. Íme Aron RodriqueKommentárjai:Bernard Lazare a történészeket és akommentátorokat nemcsak a Dreyfus ügy revíziójáhozvaló hozzájárulása miatt érdekelte, de az is volt a híre,hogy ő volt az első francia zsidó, aki a zsidó ügymegoldását eleinte a teljes beolvadás szinte öngyűlölőpártfogójaként kereste, majd később a cionizmus elveittette magáévá. Lazare mint az első dreyfusard szerzetthírnevet a nyilvánosság előtt, Charles Péguy tollanagyította föl egy zsidó próféta rangjára, aki a zsidómiszticizmus lényegeként öltött testet a zsidó prófétaihagyományok alapján. Forrás: Aron Rodrigue, "Afrancia zsidó azonosság újra kifejezése a Dreyfus ügyután", Zsidó társadalomtudományok, 2. kötet, 3. szám,[ http://www.indiana.edu/~iupress/journals/jss-art.html ]Az anyag, melyet Lazare mutat be, értékes adalék azantiszemitizmus online adataihoz. Lazare sokmagyarázata vitatható. De ez egy ember munkája, akimegpróbálja megérteni a gyűlölet lényét és nem egyöngyűlölő zsidó műve.Lazare az alábbiakat írja e könyvének előszavában:«Ennek a könyvnek azok a részei, melyek különféleidőpontokban jelentek meg újságokban ésfolyóiratokban, figyelmet keltettek, a közönség elolvastaés megvitatta azokat. Ettől indíttatva írtam a következősorokat.Sem védekezést, sem támadó beszédet nem akartamírni, hanem egy nem részrehajló tanulmányt atörténelem és szociológia terén. Nem szeretem azantiszemitizmust. Ez keskeny, egyoldalú látószög, demegpróbáltam figyelembe venni. Nem született meg oknélkül, és kerestem okait. Hogy sikerült-e felfedeznemazokat, annak eldöntését az olvasóra hagyom.Egy olyan általános vélemény, mint azantiszemitizmus, amely minden korban és mindenországban virágzott, a keresztény korszak előtt és alatt,Alexandriában, Rómában, Antókiában, Arábiában ésPerzsiában, a középkori és modern Európában,egyszóval az világ minden részén, ahol zsidók voltakvagy vannak, egy ilyen vélemény nem születikszeszélyből vagy tréfából, de mély és komoly okok kell,hogy kiváltsák azt.Ennélfogva az volt a célom, hogy az antiszemitizmusteljes képét lefessem, történetét és okait, hogykövessem változásait és váltakozását. Egy ilyentanulmány könnyen tölthet meg sok kötetet. Ezért arraköteleztem magamat, hogy határoljam be a témákmennyiségét és szorítkozzak a dolog vázlatos lényegéreés hagyjak el részleteket. Remélem egy napon néhányolyan részletet, amire itt csak utalok, részletesen megtudok tárgyalni és így meg fogom mutatni a zsidóságszellemi, erkölcsi, gazdasági és forradalmi szerepét avilágban.»Az antiszemitizmus általános okairól kapcsolatban ígyindítja az erről szóló fejezetet:«Hogy az antiszemitizmus teljes történetét úgykészítsük el, hogy ne hagyjunk ki érzéseinek egyikmegnyilatkozását sem és kövessük különféle fázisait ésváltozásait, szükséges, hogy Izrael történetévelfoglalkozzunk szétszóródásától, vagy helyesebbenmegfogalmazva, Palesztina határain kívülre valóterjeszkedésének kezdetétől.Ahol csak zsidók letelepedtek, miután nemzetükmegszűnt, mely megvédte szabadságukat ésfüggetlenségüket, meg lehet az antiszemitizmuskifejlődését figyelni, vagy inkább a zsidóellenességét;mert az antiszemitizmus rosszul választott szó, melynekcsak napjainkban van valamennyi értelme, amikormegpróbálja filozófiai és metafizikai térre kiszélesíteni azsidók és keresztények közti viszályt az addigi anyagiokok helyett. Ha ez az ellenségesség, ez az ellenszenvcsak egy bizonyos időszakban és csak egy bizonyosországban lett volna látható zsidók és keresztényekközött, akkor egyszerű lenne helyi okokat kutatni erreaz érzésre. De ezt a fajt minden nép gyűlölte, amelyközé betelepedett. Mivel a zsidók ellenségei különfélefajok tagjai, melyek messze laktak egymástól, aholkülönféle törvények uralkodtak és akik különféle elvekszerint éltek; mivel más és más szokásaik voltak ésszellemük is különbözött egymástól, így valószínűlegsemmiféle témában nem ítélkeztek hasonlóan, tehát azantiszemitizmus általános okai magában Izrael népébenkeresendők és nem azokban, akik szembeszálltak vele.Ez nem jelenti azt, hogy az igazság szükségszerűenmindig Izrael üldözőinél keresendő, vagy hogy azoknem mindig elégítettek ki minden olyan szélsőséget,melyet a gyűlölet szült; csak annyit mond, hogy maguka zsidók voltak, legalábbis részben saját bajaik okozói.Az antiszemita megállapítások félreérthetetlenségéttekintve nemigen lehet föltételezni, ahogy régebben túlszívesen történt, hogy ezek csak vallásháborúkövetkezményei voltak, és nem szabad a zsidó ellenesharcot mint a többistenhit harcát tekinteni azegyistenhit ellen, vagy a Szentháromság harcát Jehovaellen. Mind a többistenhitű, mind a kereszténynemzetek harca nem az egyetlen Isten ellen folyt,hanem a zsidó ellen.Melyik erényei vagy tulajdonságai miatt aratta a zsidóezt az általános ellenségeskedést? Miért kezeltékrosszul őket az alexandriaiak, a rómaiak, a perzsák ésarabok, a törökök és a keresztény nemzetek? Mertmindenütt, napjainkig a zsidó a társadalomba be nemilleszkedő lény volt. [...]»Hasznos elovasni az egész művet a helyes- éstisztánlátás kedvéért.(Fonte: http://www.freepress-freespeech.com/holhome/antihr/blazare.htm#r01)Leon De Poncins (1897-1976): Szabadkőművességés júdaizmus – Ebben a műben az alábbiakolvashatók: « [...] A júdaizmus tudatosan vagyöntudatlanul romboló erő. « [...]A júdaizmus szorosan összefügg a nemzetköziforradalmi mozgalommal amely a világon különbözőformákban jelentkezik. Vizsgáljuk meg a zsidókbefolyását a modern világban általában és különösenkorunk forradalmaiban.A több mint kétezer éves zsidókérdés az egyiklegijesztőbb azon problémák között, amelyeket a jövőmutat nekünk. Azért, hogy megkíséreljük aztmegoldani, talán újra hiába, szükséges az, hogymegkíséreljünk azt, hogy legalább az alapjaitmegismerjük.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 217


Ezeket a szavakat Mr. Oscar Levy, zsidó hitelesítette:Nincs rejtélyesebb, végzetesebb és ezért érdekesebbfaj a világon, mint a zsidók. Minden írónak, akit, mintönt, elnyomnak a jelen szempontjai és zavarnakaggodalmai a jövőre nézve, meg kell kísérelnie, hogyelmagyarázza a zsidókérdést és annak kihatásátkorunkra. [...]A zsidók forradalmi szerepe a világban. A zsidókamodern forradalmakban - A huszadik századlátványosságai közé tartozik az európai zsidók sorsánakvégső rendezése. Minden tény arra mutat, hogy mivelelvetették kockájukat és átmentek Rubikonjukon, kétlehetőségük van: vagy Európa urai lesznek vagyelvesztik Európát, ahogy az ókorban Egyiptomotelvesztették, amikor hasonló helyzetbe juttattákmagukat (Nietzsche)...A zsidók és nemzsidók között mély ellenszenv van;lelki és faji, amely az alapvetően más életszemléletbőladódik, olyan ellenszenv, amely mélyebb annál, mintamit a dolog külső megnyilvánulásainak szemlélője veszészre.Szétszórva és erőtlenné téve kétezer évig a zsidókmindig keserű forradalmárok voltak, és így mindenmodern forradalom résztvevői között megtaláljuk őket,melyeknek ők a legaktívabb irányítói.A zsidók szerepe a francia forradalomban nem voltnyilvánvaló. Talán szükségtelen volt, mivel aszabadkőművesség volt aktív és egyben fedezetként isszolgált. Csak néhány pillanatképünk van azalkotmányozó gyűlés háromszáz szabadkőműveséről,akik heves energiával harcolnak és tizennégyszervisszatérnek a témához hogy megszerezzék apolgárjogokat a zsidóknak.A szabadkőművesség tanulmányozása közben láttuka zsidók munkálkodását a titkos társaságokban,amelyek forradalmakat hoznak létre. Általánosszabályként: Ahol a szabadkőművesség tevékeny, nemlátható, mert nem akar nyilvánosan dolgozni. 1848 ótahatásuk egyre láthatóbb az európai forradalmakban.Nagybritannia miniszterelnöke, a zsidó Disraelikinyilatkoztatja, hogy ők a mozgalom támogatói."A világot nagyon azoktól eltérő személyiségekirányítják, akiket azok képzelnek oda, akik nem látnak aszínfalak mögé... Az a hatalmas forradalom, amelynekelőkészítése most folyik Németországban, és amelyikvalójában egy második és nagyobb mértékű reformációlesz, és ami olyan kevéssé ismert Angliában, teljesen azsidók pártfogásával folyik."És másutt:"A zsidó befolyást Európa utolsó forradalmimegmozdulásaiban követhetjük nyomon. Lázítottak ahagyományok, vallás és tulajdon ellen, a szemitaalapelvek ellen, a zsidó vallás kiirtása akár annakmózesi akár keresztény formájában, az emberektermészetes egyenlősége ellen, a tulajdonmegsemmisítéséért, és ez mind a titkos társaságokműve, amelyek ideiglenes kormányt alakítanak és azsidó faj emberei vezetik őket. Isten embereiateistákkal működnek együtt, a tulajdon leglelkesebbhalmozói kapcsolódnak össze a kommunistákkal. Akiválasztott nép kéz a kézben vonul Európa alacsonyosztályainak söpredékével. És mindez amiatt, mert megakarják semmisíteni azt a kereszténységet, amely tőlükkapta nevét és amelynek a zsarnokságát nem tudjáktovább elviselni."Ezeket a szavakat Bernard Lazare is hitelesíti:"Az 1830-ban kezdődött második forradalmi periódusalatt még szenvedélyesebbek voltak mint az első alatt.Továbbá közvetlenül is érdekelve voltak, mert a legtöbbeurópai országban nem voltak meg a teljespolgárjogaik. Még azok is közöttük, akik természetüknélvagy egyéb józan okokból kifolyólag nem voltakforradalmárok, önérdekből azokká lettek, és ha aliberalizmus érdekében tevékenykedtek, akkormagukért dolgoztak. Nem kétséges, hogy aranyuk,energiájuk és képességeik támogatták és segítették azeurópai forradalmat.A szabadkőművesség tanulmányozása közben láttuka zsidók munkálkodását a titkos társaságokban,amelyek forradalmakat hoznak létre. Általánosszabályként: Ahol a szabadkőművesség tevékeny, nemlátható, mert nem akar nyilvánosan dolgozni. 1848 ótahatásuk egyre láthatóbb az európai forradalmakban.Nagy Britannia miniszterelnöke, a zsidó Disraelikinyilatkoztatja, hogy ők a mozgalom támogatói."A világot nagyon azoktól eltérő személyiségekirányítják, akiket azok képzelnek oda, akik nem látnak aszínfalak mögé... Az a hatalmas forradalom, amelynekelőkészítése most folyik Németországban, és amelyikvalójában egy második és nagyobb mértékű reformációlesz, és ami olyan kevéssé ismert Angliában, teljesen azsidók pártfogásával folyik.""A zsidó befolyást Európa utolsó forradalmimegmozdulásaiban követhetjük nyomon. Lázítottak ahagyományok, vallás és tulajdon ellen, a szemitaalapelvek ellen, a zsidó vallás kiirtása akár annakmozaikus akár keresztény formájában, az emberektermészetes egyenlősége ellen, a tulajdonmegsemmisítéséért, és ez mind a titkos társaságokműve, amelyek ideiglenes kormányt alakítanak és azsidó faj emberei vezetik őket. Isten embereiateistákkal működnek együtt, a tulajdon leglelkesebbhalmozói kapcsolódnak össze a kommunistákkal. Akiválasztott nép kéz a kézben vonul Európa alacsonyosztályainak söpredékével. És mindez amiatt, mert megakarják semmisíteni azt a kereszténységet, amely tőlükkapta nevét és amelynek a zsarnokságát nem tudjáktovább elviselni."Ezeknek az éveknek során bankárjaik, iparimágnásaik, költőik, íróik, demagógjaik ugyan nagyonkülönböző ötleteket nyilvánítottak ki, de ugyanazért avégső célért küzdöttek... Látjuk őket a fiatalNémetország mozgalom tagjainak sorában, számosanvoltak titkos társaságok tagjai, amelyek a militaristaforradalom sorait adták, a szabadkőművespáholyokban, a karbonária csoportjaiban, a római hautevente szervezetben, mindenütt, Franciaországban,Németországban, Svájcban, Ausztriában,Olaszországban."Túl hosszú lenne a zsidók szerepének részletesnyomon követése a modern forradalmakban; különösennyilvánvaló volt Oroszországban: A szabadkőművességott meg volt tiltva, tehát kénytelenek voltak magukdolgozni. A nagy európai rohamot, amely Európában aháború végén söpört végig, zsidók vezették. Ők voltak avezetők, csapataik a munkásosztály söpredékébőltevődtek össze, melyek mohón fosztogattak, és azt218<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


idealistákat köztük elvakította a zsidók ügyespropagandája. A német Szpartakusz mozgalom és amagyar bolsevizmus zsidó szabadkőműves mozgalmakvoltak, ezt hivatalos magyar iratok bizonyítják kétségetkizáró módon.1918. március 22-én alakították meg a magyartanácsköztársaságot. Vezetői szabadkőművesek voltak,azaz a közügyek minisztere Junzi (Kohn) testvér volt,Jászi testvér a tanácsok nemzeti minisztere volt,Ágoston Péter és Lukács testvér, aki egy budapestizsidó milliomos fia, Diener Dénes Zoltán testvér ésmindenek előtt Kun (Kohn) Béla testvér, egy elsőrangúbűnöző, aki még ma is az osztrák kormány különlegesvédelmét élvezi.A Tanácsköztársaság kormánya zsidókból állt.Említsük meg a legismertebbek nevét, hogy emléküksokáig megmaradjon: A vérszomjas Szamuely Tibor, akormány miniszterelnöke, Garbai Sándor, Pogány Józsefhadügyminiszter, Rónai (Rosenstengel) igazságügyminiszter, Varga (Weichzelbaum) pénzügy, Vince(Weinstein) a főváros polgármestere, Erdélyi Móric(Eisenstein), Biró Dezső (Bienenstock No. 2)rendőrfőparancsnok, mind zsidók Garbai kivételével.J. Tharaud máshol ezt írta:Kun Bélával együtt az új kormány huszonhatkomisszárból állt, a huszonhat komisszárból tizennyolcvolt izraelita. Hallatlanul magas arány ha meggondoljuk,hogy Magyarországon összesen másfélmillió izraelitavolt a 22 milliós lakosságban. Ehhez adjuk hozzá, hogya tizennyolc komisszár kezében volt a kormánytényleges irányítása. A nyolc keresztény komisszár csakbűntárs volt.Néhány héten belül Kun Béla és barátai fölforgattákMagyarországon az ősi rendet és látható volt, hogy aDuna partján egy új Jeruzsálem épült Marx Károlyelméjének szüleményéből és a zsidók keze által ősitanokon alapulva. Az évszázados messiási álom egyideális városról, ahol nincs se szegény, se gazdag, aholtökéletes igazságszolgáltatás és egyenlőség kormányoz,a Galíciai kulturálatlan zsidók figyelik a holdfényeséjszakában az eget keresve a Messiás érkezésénekjeleit. Trockij, Kun Béla és mások erről álmodoztak. Demivel fárasztó volt arra az Istenre várni, aki sohasemjött le az égből, lehozták őt a földre. A gyakorlat aztmutatta, hogy ősi prófétáik jobban tették, hogy afelhőkben hagyták Istenüket. .Egy semleges szemlélő tanúvallomását idézzük eforradalmi tevékenységről. A New Yorki törvényhozótestület, melyet Lusk szenátor irányított, adta ki adokumentumot:"Kun Bélának nem volt ellenzéke. Mint Lenin,komisszárokkal vette magát körül és abszolút hatalmavolt. A 32 fő komisszárból 25 volt zsidó, az aránynagyon hasonló volt az Oroszországihoz. Alegfontosabbak ezek közül egy igazgatóságot képeztek,melynek tagjai Kun Béla, alias Kohn, Varga (Weiss)Béla, Pogány József (Schwartz), Kunfi (Kunstatter)Zsigmond és még egy zsidó. Más főnökök, mint Alpáriés Szamuelly a vörös terrort és a polgárság kínzását éskivégzését irányították."Tormay Cécile könyve:Szamuely különvonaton utazta be az országot. Egyszemtanú a következő leírást adta: "a halálnak ez avonata zakatolt a magyar tájon át, és ahol csak megállt,emberek lógtak a fákon és az utcákon vér folyt. A sínekmellett gyakran találtak meztelen és megcsonkítotttesteket. Szamuely a vonaton hozott halálos ítéleteketés azok, akiket bekényszerítettek, sohasem mondták el,amit láttak. Szamuely állandóan ott élt, 30 kínai*terrorista őrizte a biztonságát. Különleges hóhérokvoltak a társaságában. A vonatban két szalonkocsi volt,két első osztályú részleg a terroristáknak voltfenntartva, és három harmadosztályú kocsi pedig azáldozatoknak. A hátsókban tartották a kivégzéseket, afolyosók vérfoltosak voltak, a holttesteket az ablakondobták ki, míg Szamuely kis kecses íróasztalánál ült, aszalonkocsiban amely rózsaszínű selyemmel voltbevonva és tükrökkel volt díszítve. Egy kézmozdulatadöntött életről vagy halálról."(C. de Tormay, Le livre proscrit, p. 204. Paris, 1919.5. J. és J. THARAUD, Quand Israel est roi, p. 220. PlonNourrit, Paris, 1921. 6. Mgr. JOUIN, op. cit., t. 1, p. 161.)* Nota/Bttm : Aki fordította hűtlen fordítást végzett,mert az eredeti magyar szövegben egy árva szó sincskínairól, mint ahogy az 1925-ös francia kiadású rövidváltozatú adaptációban sem szerepel kínai:«Szamuelly l’habite constamment. Trenteterroristes choisis veillent à sa sûreté... »Az eredeti szöveg pedig így olvasható (vastag betűvelszedettek a fenti franciából fordított résznek megfelelő eredetisorok):«[... ] A szombathelyi és celldömölki direktóriumokkarhatalommal kísérelték megvalósítani Landler Jenőparancsát és be akarták kényszeríteni a katonailagkiképzett vasutasokat a vörös hadseregbe. Aszombathelyi és celldömölki vasutasok elhatározták,hogy megszüntetik a munkát és a sztrájkkal megdöntika proletárdiktatúrát. A derék vasutasok egymásutáncsatlakoztak a felkeléshez és június 2-án az osztrákhatártól a Duna partjáig minden vonat megállott.Csak Szamuelly vonata nyargalt a leninfiúkkal. Ésmert Budapest nem csatlakozott, a vasutasok nembírták egységesen megállítani az egész országban avonatokat. Hat napi küzdelem után újból felvették amunkát. Az akasztófák alól elindultak a vonatok ésvelük a proletárdiktatúra akadozó vérkeringése. Ez areménység is összedőlt. Most már következett, amitKun Béla híveinek megígért: "Minden állomásonfölakasztatok majd néhány vasutast, aztán rend lesz.Így csináltam Oroszországban is"De az elvetett csóva addigra már tüzet fogott.Sopronban kilobbant az ellenforradalom. Czenk, Csoma,Kapuvár népe fegyvert fogott. Rövid ideig tartott.Néhány óra múlva minden oldalról jöttek a vörösök.Csomán a győri terroristák összeszedték azellenforradalmárokat és százötven embertbelegyömöszöltek egy kis zárkába. Az ablakvasredőnyeit is rájuk csukták, hogy megfulladjanak.Ekkorra már Szamuelly is a városba érkezett. Előttefegyveres vörös őrök futottak szét ordítozva: Be aházakba! - És aki nem tudott idején menekülni, arraráfogták a fegyvert. Mire Szamuelly automobiljánterroristáival bevonult, üresek voltak az utcák és afekete hiéna halálos csendben vágtatott gépfegyvereskocsiján az ítélethez.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 219


Szabad ég alá asztalt állítottak, Szamuelyegymásután vezettette maga elé a foglyokat. Nemhallgatott ki senkit, csak azt kérdezte, kinek vanvagyona? Aztán jobbra és balra parancsolta azembereket. Senki se tudta, hogy a jobboldaliak vagy abaloldaliak fognak-e meghalni. Tanúkihallgatás nemvolt. Szamuelly egymaga személyesítette meg avésztörvényszéket. "Mars a halálba!" rivallta abaloldaliak felé és nyolcan elindultak a templom előttitérre.Az egyik elítélt, egy csizmadiasegéd, összeesett. Fekvehagyták. A többit utolsó útjukon puskatussal verték ésköpködték a hóhérok. Takács hadnagynak aszemüvegét úgy beleverték a szeme gödrébe, hogy aszemgolyója kifordult. Mialatt a vesztőhelyre ment,letépték a fejéről a zsebkendőt és kifordult szeme otthimbálódzott az arcán. Akics Gyula malomtulajdonostmegpofozták, amikor az akasztófa alatt a zsámolyonállt, Tarcsay István, Laffer Lajos, Németh Gyula,Németh Lajos, Glaser Ferenc, mind meghaltak azakasztófán. A kivégzésnél nem volt orvos jelen. Aholttestek még ki se hűltek, mikor a terrorlegényeklehúzták róluk a ruhát és letartóztatott társaikkalmegásatták a sírgödrüket. Szamuelly gúnyolódva nézteaz akasztást.És vasárnap, pünkösd vasárnapján, már Kapuvárottműködött. Százötven főből álló terrorcsapatjávalkézigránátos, géppuskás kísérettel vonult be. Afoglyoknak csak a nevét kérdezte meg. "Fel kell őketakasztani!" Mesterházy Zsigmond postamestert, PintérPál csendőrőrmestert, Rest Józsefet, Semmel Károlyt ésFábiánt, a katolikus templom elé az országútravezettette ki. Fábiánnak közben megkegyelmezett, mertmegsúgták neki, hogy az izraelita hitközségnek azelnöke. A végső útjukon Kapuvárott is véresre verték azáldozatokat. Pintér csendőrőrmester leszakadt akötéllel. Két kis gyereke odaszaladt hozzá éskönyörgött. De Szamuelly nem kegyelmezett.Meghaltak mind. A városra pedig milliókra menő sarcotvetett ki. És elhajtatott temérdek vágómarhát. Aztánment tovább, lelkiismeretfurdalás nélkül, nyugodtanfejedelmi különvonatán.Megy robogva a halálvonat magyaréjszakákon át, ahol megáll, ott emberekkerülnek a fákra és vér folyik a városokkövezetén. A vonal mentén pedig gyakrantalálnak megcsonkított mezítelen holttesteket.Szamuelly vonatán is ítélkezik. Akit oda a mieinkközül behurcolnak az nem mondja el többé, amitlátott. Egy megbízható ember, aki a szocialistapárttal ment át a kommunistákhoz, beszélte elnekem azt, amiről senki sem beszél. Szolnokonjelentést tett Szamuelynek, akkor látta avonatot.Szamuely állandóan ott lakik. Éjszaka mégBudapesten is a vonatán hál. Harminc válogatottterrorista testőr környezi. Külön hóhérjai veleutaznak. A vonat két szalonkocsiból áll és kételső osztályú kocsiból, melyben a terroristákutaznak és két harmadosztályú kocsiból, melybeaz áldozatokat szedik fel. Ott folynak akivégzések. Ezeknek a kocsiknak a padlózatátmár befogta a vér. A holttesteket a rohanó vonatablakain dobálják ki, mialatt Szamuellykárpitozott falú szalonjában csiszolt tükrök,rózsaszín brokáttal bevont, törékeny, aranyozottLouis XVI. bútorok között, egy vékony lábú nőiesíróasztalnál ül és kézlegyintéssel dönt élet éshalál felett. A megvalósult marxizmusnak mindentettén, minden rendeletén, minden intézkedésén, sőtmég a hírek közlésén is átvigyorog a kínzás módjánakspekulatív természete, a szinte undorítóan érzékikegyetlenség. [...]»Ez után a kis intermezzo után íme a könyv továbbifolytatásából néhány részlet:"A magyarországi zsidóságnak igenis tudnia kell, hogyki az ellensége, de azt is tudnia kell, ki az ellenségesaját soraiban. Egyszer már végre tisztázni kell, hogy1942-44-ben a zsidóságot a vezető gazdaságipozíciókban ülő nagy zsidók dobták oda koncul, persze,csak utólag derül ki, hogy hiába, mert saját magukat iscsak ritkán sikerült ezzel megmenteni. És 1945 utánmegint a zsidóság egy része, amelyik hatalomra került,s a kommunistákat szolgálta s ebben túlment mindenelképzelhető határon.Akármilyen kínos, de ki kell mondani, hogy nemcsakRákosi, Gerő és a többi moszkovita vezetőknek voltnagy része zsidó, hanem jóformán 100 százalékigzsidókból állt az ÁVÓ nyomozó gárdája! És az 1945után egyre erősebben éledő antiszemitizmusnak ez azegyik legfőbb oka. Próbáljuk megírni az igazságot, nefolytatódjék az írástudók árulása, ne legyen kibúvó atéma kényessége." [Hatikva - argentínai magyar nyelvűcionista lap, 1957. - dr. Dénes László zsidó főorvos (57hónapig volt ÁVH börtönében) cikke a magyarantiszemitizmusról.]"A bolsevik forradalom Oroszországban zsidó agymunkája volt, zsidó elégedetlenségé. Zsidó tervezetvolt, aminek célja, hogy új rendet teremtsenek avilágon. Amit oly remekül végrehajtottakOroszországban, hála a zsidó agyaknak, a zsidóelégedetlenségnek és a zsidó tervezésnek, ugyanazonZsidó szellemi és testi erőn át valóság lesz a világszámára." (American Hebrew 1920. szeptember 20.)A zsidóság nem ragaszkodik ahhoz, hogy lámpafénybenjelenjen meg és ha irányítani tudja a kormányt aháttérből, szívesen beleegyezik abba, hogy ezt az egyesországok nemzeti lakói tegyék. Csak akkor lép harcba anemzet és kormány ellen, ha ezek nem engedik megneki, hogy kizsákmányolja és irányítsa az országot.Ezek között a körülmények között azzal hencegett, hogyképes tetszése szerint háborút és békét csinálni éskezeit a világuralom kormányrúdján tartja, képes arra,hogy forradalmat csináljon és arra, hogy visszaállítsa arendet. Csökönyös ellenállás esetén ki tudja szabadítania bolsevizmust . Erre Oroszország volt az egyik példa. Abolsevik forradalomban a zsidó faj teljes napfénybenvolt látható.A zsidó Chronicle 1920-ban kiadott Israel Zangwillnak,egy fontos zsidó írónak egy kiáltványát, amelyben a fajdicséretét írja le, amelyet Baconsfieldtől, Readingtől,Alontagutól, Kun Eisnertől és TrockiJtól származtat.Zangwill úr rendkívüli zsidó lelkesedése az angolkormány zsidó tagjait egy kalap alá veszi aMagyarországi és más bolsevik zsidókkal. Mi a220<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


különbség? Mind zsidók és mindannyian fajukdicsőségén és javán fáradoznak.J. L. Magnes rabbi New Yorki beszédében 1919-benezeket a szavakat mondta:Ha a zsidó gondolatait és lelkét a munkásoknak éskifosztottaknak, a kitagadottaknak áldozza, nekialapvető minősége az, hogy a dolgok gyökeréig hatol.Németországban Marx és Lasalle, Haas és EdwardBernstein lesz belőle; Ausztriában Victor Adler ésFriedrich Adler; Oroszországban TrockiJ. Hasonlítsukössze egy pillanatra Németország és Oroszországhelyzetét. A forradalom ott fölszabadította az alkotóerőket és csodálatba ejt a zsidók száma, akik rögtönkészek voltak az ügy aktív szolgálatára. Forradalmárok,szocialisták, mensevikek, bolsevikok, többségi iskisebbségi szocialisták, vagy legyen bármi a nevük,mind zsidók és a munkások vezetői minden forradalmipártban.M. Cohen ezt mondta a Harkovi Kommunistában 1919áprilisában:"Túlzás nélkül elmondhatjuk, hogy nagy oroszországiforradalmat zsidó kezek hozták létre. Képesek voltak-ea sötétségben élő, elnyomott orosz munkás ésparaszttömegek arra, hogy levessék a burzsoázialáncait? Nem, a zsidó volt az, aki az oroszországiproletariátust az internacionalizmus hajnalához vezette,és aki nemcsak vezette de még most is vezeti azt.Békésen alhatunk amíg a Vörös Hadseregfőparancsnoka Trocki elvtárs. Az ugyan igaz, hogy aVörös Hadseregben nem szolgálnak zsidók katonaként,de a bizottságai és a tanácsok szervezete zsidókból áll.A zsidók derekasan vezették az oroszországiproletariátus tömegeit győzelemre. Nem véletlen az,hogy minden szovjet intézmény választmányi tagjaidöntő többségükben zsidók. Nem véletlen, hogy zsidószimbólumok, amelyek évszázadokon keresztülharcoltak a (keresztény) kapitalizmus ellen, most azoroszországi proletárok szimbóluma lett. A vörös ötágúcsillag átvételéről beszélek, amely hosszú ideig volt acionizmus és a júdaizmus szimbóluma. E mögött ajelkép mögött győzelem vonul, a paraziták és aburzsoázia halála."Itt az 1919-es népi főkomisszárok listája (al alábbisorrendben olvasandó: 1. Álnév (kisbetűs), 2. valódinév (nagybetűs), 3. nemzetiség):Lenin Oulianoff Orosz, anyja zsidó, Trockij BRONSTEINzsidó, Stekloff NACHAMRESS zsidó, MartoffZEDERBAUM zsidó, Goussief PRAPKINE zsidó, KameneffROSENFELD zsidó, Soukhanoff GHIMMER zsidó LageskyKRACHMANN zsidó, Bogdanoff SILBERSTEINzsidó,Goreff GOLDMANN zsidó, OuritskyRADOMISELSKY zsidó, Voladarsky KOHEN zsidó,Sverdloff SVERDLOFF zsidó, Kamkoff KATZ zsidó,Ganesky EURSTENBERG zsidó, Dann GOUREVITCHzsidó, Meshkovsky GOLDBERG zsidó, ParvusGELPHANAT zsidó, Rosanoff GOLDENBACH zsid,Martinoff ZIMBAR zsidó, TchernomorskyTCHERNOMORDICH zsidó, Pialnitzky LEVINE zsidó,Adramovilch REIN zsidó, Lointzeff BLEICHMANN zsidó,Zvezdich FONSTEIN zsidó, Radek SOBELSON zsidó,Litvinof-Wallak FINKELSTEIN zsidó, LunatcharskyLUNATCHARSKY orosz, Kolontai KOLONTAI Orosz,Peters PETERS Lett, Macklakowsky ROSENBLUM zsidó,Lapinsky LEVENSON zsidó, Vobroff NATANSON zsidó,Ostodoks AKSELRODE zsidó, Gasine GERFELDT zsidó,Glasounoff SCHULZL zsidó, Lebedieva LIMSO zsidó,Joffe JOFFE zsidó, Kamensky HOFFMANN zsidó, NaoutGUNSBOURG zsidó, Lagorsky KRACHMALNIK zsidó,Isgoeff GOLDMANN zsidó, Valdimiroff FELDMANN zsidó,Bounakoff FOUNDAMINSKY zsidó, ManouilskyMANOUILSKY zsidó, Larine Lourie zsidó, KrassinKRASSIN orosz, Tchuicherin TCHITCHERIN zsidó,Goukovsky GOUKOVSKY zsidó,...Itt van néhány részlet az Oroszországi terrorról:Először is annak alapgondolatai. A Vörös Terror elsőcélkitűzése az orosz értelmiség megsemmisítése volt.A rendkívüli bizottságok nem jogi szervezetek voltak,hanem a "kegyetlen megsemmisítés" eszközei akommunista központi bizottság kifejezése szerint. Arendkívüli bizottság nem "nyomozóbizottság", nemigazságszolgáltatási intézmény, nem bíróság, döntéseitsaját hatáskörében maga hozza. A harc eszköze amelya polgárháború belső frontján dolgozik. Nem ítélkezik azellenség fölött de kivégzi azt. Nem bocsát meg azoknak,akik barikád másik oldalán álltak hanem felmorzsoljaőket. Nem nehéz elképzelni, hogy hogy működik ez akegyetlen megsemmisítés hogyan működik avalóságban, amikor a törvényesség szigora helyett aforradalmi gyakorlat és lelkiismeret uralkodik. Alelkiismeret szubjektív és a gyakorlat helyet ad aszakértők örömének és szeszélyeinek."Nem harcolunk bizonyos egyének ellen" - írja Latsis(19) az 1918 novemberi vörös terrorról. "Mi kivégezzüka polgárságot mint osztályt. Ne keresd írásokban abizonyítékot arra, hogy mit vétett a vádlott személyszavakban és tettekben a szovjetek hatalma ellen. Azelső kérdés, amit fel kell tenned neki az az, hogy melyikosztályhoz tartozik, mi a származása, iskolaivégzettsége, gyakorlata és hivatása."Valóban, a kommunizmus léte csak általános terrorrallehetséges, és végeredményben a munkás és parasztiosztály ugyanannyit szenvedett, mint a többi osztály.Ha egyszer elindult a tömeggyilkosságok útján, amegsemmisítés véletlenszerű sorrendben történt hogy akommunista uralmat az általános terror eszközéveltartsa fönn. Az egyik szovjet vezető, aki legalább anyíltság erényével rendelkezik, ezt merte írni:"Igen, Oroszország biztosan halódik.Sehol sincs, sohasem létezett egy társadalmi osztálysem, melynek élete nehezebb lett volna mint a miszovjet paradicsomunkban... Olyan kísérleteket hajtunkvégre élő emberi testeken - ördögieket - amelyeket azelső évfolyamos egyetemi hallgató végez az anatómiaiosztályon levő csavargó holttestén. Olvasd el kétalaptörvényünket gondosan. Ott nyíltan le van írva,hogy sem a Szovjetunió, sem annak részei nemérdekelnek minket, hanem a harc a világ tőkéje ellen ésaz általános forradalom, amelynek érdekében mi mindigmindent föláldoztunk, amelyért föláldozzuk az országotés sajátmagunkat (Természetesen az áldozat nem tesztúl Zinovjeff áldozatán).Itt, országunkban korlátlan urak vagyunk és senkitőlsem félünk..Az országot háborúk, betegség, halál és éhínségsújtották (ez veszélyes de nagyszerű eszköz), a<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 221


legcsekélyebben sem mer senki tiltakozni, mert attólfél, hogy a Cseka és a hadsereg fenyegető kezébekerül. Néha magunk is csodálkozunk végtelen türelmén,amely olyan ismert lett. Biztosak lehetünk abban, hogyegész Oroszországban egyetlen család sincs, aholvalamilyen módon ne öltük volna meg az apát, az anyáta fivért, a lányt, a fiút, egy közeli rokont vagy barátot.Így érthető, hogy Felix (Dzserzsindszki) kíséret nélkülsétál Moszkvában éjjel is. Ha kifogásoljuk ezeket asétákat, megelégedetten és megvetően nevetve aztmondja: "Micsoda? sohasem mernék, pszakrerek"- ésigaza van. Nem merik. Milyen furcsa ország! ".Minden száraz statisztikánál jobban adja vissza egyözvegy leírása azt, hogy folytak le a tömeggyilkosságok.Amikor Rohrberg, a kihallgatási csoport Kievbe érkezett,miután az önkéntes hadsereg elfoglalta azt 1919augusztusában, a cseka kivégzési helységét akövetkező állapotban találta:"A nagy garázst (a cseka kievi kivégzési osztályának ahelysége) elárasztotta a vér. Ez a vér már nem voltfolyékony, és néhány inch (1 inch - 2.54 cm)-es rétegetalkotott. Borzalmas keveréke volt vérnek, agyvelőnek,koponyadaraboknak, hajcsomóknak és más emberimaradványoknak. A falakon lövések ezreinek lyukaivoltak láthatóak, és vérrel voltak befecskendezve.Agyvelődarabok és fejbőrrészek ragadtak rá. Egyhuszonöt centiméter széles, huszonöt centiméter mélyés tíz méter hosszú árok vezetett a garázs közepébőlegy földalatti csatornába. Ez az árok teljes hosszában atetejéig tele volt vérrel. Általában ahogy megtörtént atömeggyilkosság, a testeket teherautókkal vitték ki avárosból és a mellett az árok mellett temették el őket,amelyről beszéltünk. A kert egyik sarkában találtunkegy másik árkot amely régebbi volt és körülbelülnyolcvan test volt benne. Itt a testeken alegkülönfélébb leírhatatlan és elképzelhetetlenkegyetlenkedések és csonkítások nyomai voltakláthatók. Néhány testet kibeleztek, másoknál levágták avégtagokat, néhányat szó szerint darabokra vágtak.Néhánynak kiszedték a szemét, és a fejek arcok, nyakés test mély sebekkel volt borítva. Találtunk továbbáegy testet, amelynél éket nyomtak a mellkasba. A síregyik sarkában bizonyos mennyiségű kart és lábattaláltunk."Nincsenek pontos adataink ahhoz, hogy meg tudjukbecsülni az áldozatok teljes számát, az rendelkezésreálló adatok meghaladják a képzelőerőt. Saroleaprofesszor az 1923. november 7-i Scotchman-ban akövetkező adatokat hozta nyilvánosságra: 28 püspök,1219 pap, 6000 professzor és tanár, 9000 orvos,54.000 katonatiszt, 260,000 katona, 70.000 rendőr,12.950 birtokos, 535.250 értelmiségi, 193.290 munkás,618.000 paraszt.Gyenyikin vizsgálóbizottsága, amely a bolsevikbűntetteket vizsgálta 1918- 1919 között, a vörös terroregymillió hétszázezer áldozatáról adott ki jelentést.Máshol Ev. Komnin Roulban 1923 augusztus 3-én egyelméleti számítást jelentetett meg:"1920 telén a Szocialista Szovjet KöztársaságokSzövetsége 52 kormányból állt 52 különleges csoporttal(cseka), 52 külön osztályt és 52 forradalmi bíróságot.Továbbá számtalan "eszte-cseka" létezett, csekák aszállítási rendszerek számára, csekák a vasutaknak,bíróságok a belső biztonság csoportjai számára, repülőbíróságokat küldtek tömeggyilkosságokra. Akínzókamrák jegyzékéhez hozzá kell adni a különlegesosztályokat, 16 hadseregbeli és hadosztályi bíróságot.Összességében ezer kínzókamrára kell gondolnunk, ésha figyelembe vesszük, hogy ebben az időben a helyiirányítás alatt is álltak csekák, akkor többre.Azóta a szovjet kormányok száma megnőtt: Szibériát, aKrímet, a Távolkeletet is meghódították. A csekákszáma mértani arányban nőtt. Közvetlen adatok szerint(1920-ban a terror nem csökkent és a tárgyról nemcsökkent az információ) lehető volt a napi átlagbeszerzése minden bíróságra. A kivégzési görbe egytőlötvenig megy (az utóbbi a nagyobb központokra állt) ésma a vörös hadsereg kb. száz területet foglalt el. Aterror válságai periodikusak voltak, aztán csökkentek,úgy hogy lehetséges a (szerény) 5 áldozat átlagosbecsülése, amelyet ha az ezer bíróság számávalmegszorozzuk, ötezret ad és évente kb. másfél milliót!".Ha ez a becslés hihetetlennek tűnik, ez a háromkülönféle statisztikai becslés kellően egyező eredménytad és biztosan az igazságra alapulnak. A vörös terrorolyan elterjedt lett, hogy itt lehetetlen a cseka mindenmódszerét részletesen leírni (25), amelyet az ellenállásletörésére alkalmaztak. A legfontosabb az volt, hogyminden társadalmi osztályból túszokat szedtek. Ezeketminden bolsevik ellenes mozgalom (forradalmak, afehér hadsereg, sztrájk, ha egy falu visszautasította,hogy a termést beszolgáltassa, ...) esetén rögtönkivégezték. Így például a zsidó Ouritzky, Petrográdkülönleges bizottságának tagja kivégzésekor néhányezer túszt végeztek ki, és a szerencsétlen kivégzettférfiak és nők közül sokat megkínoztak büntetéskénthidegvérű kegyetlenséggel a cseka börtöneiben.Így előttem fényképek vannak, melyeket Harkovbanvettek föl a szövetséges küldöttség jelenlétébenközvetlenül azután, hogy a vörösök elhagyták a várost.Egy sor kísérteties kép látható: Három munkás teteme,akiket túszként tartottak egy sztrájkoló gyárból. Azegyik szemét kiégették, ajkát és orrát levágták, a másikkettőnek a kezeit vágták le.S. Afaniasouk és P. Prokpovitch kisbirtokosok túszokatmegskalpolták, S. Afaniasouk teste égési helyekkel vantele, melyeket egy fehéren izzó kardpenge okozott. M.Bobroff katonatiszt nyelvét kivágták, egyik kezétlevágták, és bal lábáról lehúzták a bőrt. Néhány áldozatkezéről a bőrt fémfésűvel húzták le. Ez a baljóslatúeredmény a harkovi különleges bizottságbörtöncelláinak vizsgálata után került napfényre.Pontiafa, egy nyugalmazott tábornok, túsz, jobb kezérőllehúzták a bőrt és levágták nemi szerveit.A csonkított testű női túszok: S. Ivanovna, egyszövetüzlet tulajdonosa, Mme A. L. Carolshaja, egytábornok felesége, Mme Khlopova, birtokosnő. Mellüketfölvágták és kiürítették, nemi szerveiket megégették ésazokon szénnyomok voltak láthatók. A paraszt túszok,Bondarenko, Pookhikle, Sevenetry, és Sidorfchouk arcabrutálisan meg volt csonkítva, nemi szerveiket kínaikínzók kezelték európai orvosok számára ismeretlenmódon, akik véleménye szerint az áldozatok haláltusájaborzalmas lehetett.Lehetetlen minden kegyetlenséget elsorolni, amely avörös terrorhoz fűződik. Egy kötet nem lenne ehhezelég. Például a harkovi cseka, amely Salenkobanműködött, arra volt specializálva, hogy megskalpolta222<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


áldozatait és kezükről úgy húzta le a bőrt, mint egykesztyűt. Voronyezsben az áldozatokat meztelenülzárták be egy hordóba, amelybe szögek voltak verve ésaztán görgették a hordót. Homlokukra egy vörösen izzóvassal ötágú csillagot égettek. Tsaritsinban ésKamishinban elfűrészelték csontjaikat. Kievben azáldozatot egy ládába tették amelyben bomló hullákvoltak. Miután feje fölött lövéseket adtak le, aztmondták neki kínzói, hogy élve fogják elégetni.Eltemették a ládát, majd fél óra múlva folytatták azáldozat kihallgatását. Ezt a jelenetet néhányszormegismételték. Nem meglepő, hogy sok áldozatmegőrült.Emlékezzünk vissza arra, hogy 1918. július 17-énJekatyerinburgban a cseka parancsára ( A parancsot azsidó Sverdloff adta ki Moszkvában) a kivégzési csoport,melyet a zsidó Yourowsky vezetett, kivégezte vagyagyonlövéssel vagy lekaszabolással a cárt, a cárnőt, anagyhercegeket, Dr. Botkint, a férfi szolgálat, a nőiszolgákat, a szakácsot és a kutyát. Az uralkodó családtöbbi tagjait, akik legközelebb álltak a trónhoz, akövetkező éjszaka végezték ki. Mihajlovics, ésKonstantinovics nagyhercegeket, Vladimir Paleyt,Elisabeth Feodorvna nagyhercegnőt egy forrásbadobták Afalaievskben, Szibériában. MichaelAlexandrovitch nagyherceget Permben lakosztályábanölték meg.vallású doktora, Östreicher-Mannes József (1756-1832) a Balaton első fürdőorvosaként megalapítottaBalatonfüred települését és a füredi szívkórházat. Amagyar szemészet úttörője Hirschler Ignác (1823-1891), aki az 1686-69-ben megtartott „zsidókongresszus” fő szervezője volt, akadémikus és főrendiházi tag lett. Ugyanezeket a rangokat érte el a magyartüdőgyógyászat vezéralakja, korábban aszabadságharc katonaorvosa, báró tolcsvai KorányiFrigyes (1823-1913). A modern magyar sebészetkiemelkedő alakja báró pusztapéteri Herczel Manó(1861-1918), aki a Szent István kórház főorvosakénttevékenykedett. A tudományos magyar nyelvészetúttörője Munkácsi Bernát (1860-1937), aziszlámkutatásé Goldziher Ignác (1850-1921), amagyar történetírás legkiemelkedőbb művelői pedigAcsády Ignác (1845-1906).és Marcali Henrik (1856-1943) voltak.1895-ben a magyar országgyűlés a zsidó vallást"bevett vallásnak", azaz a többi felekezettelegyenrangúnak nyilvánította. Ugyanebben az évbentörvényt hoztak a polgári házasságról, amely a zsidókeresztényvegyes házasságok lehetőségét nyitottameg. Egyre több zsidó vallotta magát magyarnak, s akülönféle nemzetiségek lakta országrészekben a zsidóvallásúakat magyar nemzetiségűnek írták be astatisztikákba. A zsidók ezeken a területeken a magyarképviselőkre adták le voksukat.A zsidóság helyzetének jellemzői Magyarországon1867-1945 (Mai érettségi tétel-kidolgozás, )A kiegyezés (1867) és az Osztrák-Magyar Monarchialétrejötte után született meg az emancipációstörvény a zsidók teljes egyenjogúságáról, a polgári éspolitikai jogok tekintetében. 1868-69-ben létrehozták azEgységes Izraelita Kongresszust, ahol egy közös zsidószervezet létrehozását tervezték. Ehelyett végül háromszervezet jött létre: a legnagyobb a moderneké lett, azúgynevezett kongresszusi vagy neológ zsidóság, míg aszélsőségesen konzervatívok az ortodox, a középutasokpedig az úgynevezett statusquo szervezetbetömörültek. (Ez utóbbiak jelszava így hangzott: statusquo ante = a helyzet legyen olyan, mint régen, vagyisne újítsunk, de ne is szigorítsunk.) A zsidó vallásteljes elismertetése, recepciója azonban ekkor mégnem valósult meg, arra csak 1895-ben került sor.Az 1873-ban Buda, Pest és Óbuda egyesítésévellétrejött Budapest főváros felemelkedésében amagyar zsidóság igen fontos részt vállalt. Ebben akorban az egész ország gazdasági élete jelentősmértékű fejlődést mutatott, amiben döntő szerepe volta magyarországi zsidóságnak. Tevékenységük nyomángyárak és üzemek létesültek (pl. a Wolfner-bőrgyár, aPick- és a Herz-féle szalámigyár), bányákat létesítettek,bankokat hoztak létre, kiépült a vasúti hálózat, ésmegszervezték a magyar mezőgazdaság, a gyümölcsésbortermelés modern exportját. (Gondoljunk csakpéldául a Wodianer-féle maglódi mintagazdaságra, vagya Kecskeméti Hercz által Kecskemét környékénmegszervezett gyümölcs-nagykereskedésre stb.).A magyar zsidóság a hazai tudomány fejlődésébenis jelentékeny szerepet vállalt, mindenekelőtt azorvostudomány terén. A Budai Egyetem első zsidóA 19. század végén Magyarország korábban soha nemlátott módon fejlődött, és a 20. század elejére utolérte,sőt bizonyos területeken meg is előzte néhány nyugateurópaiszomszédját. Nem kétséges, hogy a liberálisfelemelkedésben különös szerepe volt az országzsidóságának. Nemesi rangot mintegy 280 zsidóvallású család kapott, közülük 26-an a bárói címet iselnyerték. Európában sehol ennyi nemesi rangot nemszereztek zsidók, és persze, nem is törekedtekmegszerzésükre.A magyar kultúra megújulásában is hallatlanulnagy szerepe volt a magyar zsidóságnak. A századvéglegjelentősebb irodalmi folyóiratát, (A Hét címmel) KissJózsef (1843-1921) költő szerkesztette. Ágai Adolf(1836-1916) indította meg már 1867-ben alegismertebb humoros lapot, Borsszem Jankó címmel. A„Pesther Lloyd” főszerkesztője, Falk Miksa (1828-1908) akadémikus lett: egyébként ő volt a „legnagyobbmagyar”, Széchenyi István iratainak közreadója, a„haza bölcse”, Deák Ferenc titkára és Erzsébet királynémagyar tanára is. A népszerű „Tolnai Világlapja” és a„Tolnai Világlexikon” a Mauthausenban elpusztítottTolnai Simon (1868-1944) újságírónak köszönhető.A modern művészetek képviselői között szinteminden területen (az építészetben, a szobrászatbanés a festészetben) nagy számmal találunk zsidókat.Baumhorn Lipót (1860-1932), Lechner Ödöntanítványa például összesen huszonnégy gyönyörű,szecessziós zsinagógát tervezett az országban, köztük ahíres szegedi zsinagógát (1903). Még aváltozatlanságáról híres zsidó temetőkbe is behatolt amodern művészet: Lajta Béla (1873-1920) tervezte aSalgótarjáni úti temető kapuját. A rákoskeresztúriSchmidl-sírkó a magyar szecesszió egyik remekműve.Az új magyar irodalmi hullám (élén Ady Endrével) a<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 223


Fenyő Miksa (1877-1972), Ignotus (eredeti neveVeigelsberg Hugo, 1869-1949) és báró Hatvany Lajos(1880-1961) által 1908-ban alapított „Nyugat”-banjelent meg.Az I. világháború végéig tartó polgári fejlődéselősegítette a zsidóság asszimilációját ésmegerősödését. Kialakult egy nagy létszámú,iskolázott, művelt, értelmiségi vállalkozói éskereskedői réteg, amely hazájának érezte ezt azországot, és jól összeegyeztette magyarságátzsidóságával. A magyar ipar és kereskedelemlétrehozásában, fejlesztésében múlhatatlan érdemeivannak a zsidóságnak. Sorolhatnánk pénzembereket,közgazdászokat, tudományos kutatókat, mérnököket,feltalálókat. A zsidó írók, költők, művészek, színészek,rendezők, filmes és színházi szakemberek örökre beírtáknevüket a magyar kultúra történetébe.Egyes zsidók a politikai közéletben is szerepetjátszottak. Az első pesti rabbi, Wahrmann Izraelunokája, a várospolitikus Wahrmann Mór (1832-1892) még csak a Kereskedelmi és Ipari Kamara,valamint a Zsidó Hitközség elnökeként hallatta szavát aközéletben. A sümegi születésű Vázsonyi Vilmos(1868-1926) azonban már igazságügyi miniszter, arimaszombati báró Hazai Samu (1851-1942)tábornok és 1910-17 között hadügyminiszter is volt.Báró Szterényi József (1861-1941), az újpesti rabbi,Stern Albert fiaként a magyar ipar egyik újjászervezője,államtitkár, majd kereskedelmi miniszter lehetett. (ATanácsköztársaság alatt egyébként Szterényitinternálták, de később, 1927-től felsőházi tag lett.)A politikai ellenzék, elsősorban a polgáriradikálisok között is szép számmal találunk zsidókat Amodern gondolkodók vezére Jászi Oszkár (1875-1957) lett, aki 1918-ban a polgári demokrata grófKárolyi Mihály vezette kormány nemzetiségi ügyekkelmegbízott tárca nélküli minisztere lett. A szocialistaeszméknek is sok híve akadt, így a szovjet mintára1919 márciusában megalakult Tanácsköztársaságvezetői között is több zsidót találunk, akárcsak, eleinteaz annak leverésére szerveződő fehérek között. (Azúgynevezett „szegedi tiszti különítmény” 72 tagja közültizenöten zsidók voltak.)A zsidótörvények és a holocaustAz I. világháború, illetve a trianoni egyezmény (1920.június 4.) miatti sokk után rendkívül megerősödött azantiszemitizmus Magyarországon. Az ellenforradalom azsidók ellen fordult. Szervezett bandák raboltak ésgyilkoltak országszerte, Pesten a Britannia szállópincéjében kínoztak meg „kommunistagyanús” zsidókereskedőket. (A legdurvább, több halálos áldozatotkövetelő incidens a Pest megyei Izsák és Orgoványközelében zajlott le.) Még a nagy tiszteletnek örvendő(később felsőházi taggá emelt) tudós szegedi főrabbi,Löw Immánuel (1854-1944) ellen is „kormányzósértési”pert indítottak. 1920-ban megszületett az elsőkorlátozó törvény, az úgynevezett numerusclausus.NUMERUS CLAUSUS: (latin, „zárt szám”) mindennemzetiség tagjai csak országos arányszámuknakmegfelelő számban tanulhatnak egyetemen; ez azsidóságot érintette leginkább. Az egyetemek, vagyfőiskolák létszámának max. 6%-a lehetett zsidó vallású.Az 1938-ban hozott zsidótörvények kiterjesztették anumerus clausust a gazdasági és kulturális életvalamennyi területére.A Bethlen István gróf nevével fémjelzettkonszolidáció alatt sem javult lényegében azország és vele az itt élő zsidók helyzete. A HorthyMiklós kormányzó vezetésével kialakult, úgynevezettkeresztény, úri vagy rendi Magyarországon ahaza és a haladás elvei (a korábbiaktól eltérően)egymással szembekerültek. A német orientáció, azirredenta törekvések és az 1929-30-i gazdaságivilágválság kétségbeejtő hatása egyre inkább afasizmus felé sodorták az országot. Hiába állította fel amagyar zsidóság Budapesten a ma is működő, elsővilágháborús Hősök Templomát, hiába bizonyították aHadviseltek Aranyalbumával nagyszámú és eredményesrészvételüket a magyar hősök arzenáljában, a hatalomellenük fordult. A hitleri Németországgal és aMussolini vezette Olaszországgal kötöttszövetség, akárcsak az irredenta jelszavak pedig mára II. világháború előkészítését szolgálták.A 30-as évek végére ugyan javult a gazdaságihelyzet, az úgynevezett zsidótörvények viszont egyreinkább megfosztották jogaitól a hazai zsidóságot.(1938-tól kezdődően összesen négy zsidótörvénytszavazott meg a Magyar Országgyűlés, ezek egyreszigorúbbak voltak.) Magyarország 1941 nyaránlépett be a II. világháborúba, amikor hadat üzent aSzovjetuniónak, és német nyomásra - nohamegnemtámadási egyezmény kötötte - megtámadtaJugoszláviát, és megszállta a Délvidéket. Már a harcokmegindulása előtt a katonaköteles zsidó férfiakat,fegyveres szolgálat helyett fegyvertelen, úgynevezettmunkaszolgálatra és megkülönböztető jelviselésére kényszerítették. A munkaszolgálatosokatfelügyelő „karpaszományos” keretlegények (felsőbbjóváhagyással) folyamatosan kínozták és gyilkolták aszerencsétlen zsidókat, akik közül többet egyenesen azorosz aknamezőkre küldtek, hogy alattuk robbanjon felaz elhelyezett akna. A „büntetések” között gyakranszerepelt a kikötözés, a botozás és a hideg télbenmeztelenre vetkőztetés.1941-ben, a Délvidéken, az úgynevezett újvidékipogromban mintegy tízezer embert, majd 1942-ben anem őshonos (1913 után beköltözött) zsidókelhurcolásakor, az ukrajnai Kámenyec-Podolszkbanmintegy húszezer főt, a polgári lakosság soraiból,kegyetlenül meggyilkoltak. A zsidótörvények a többségmunkájának megszűnését, megélhetésénekveszélyeztetését, sőt egyre inkább életét is fenyegették.S mindez csak előjele volt a szörnyű katasztrófának,amely a magyarországi zsidóságra várt. 1944.március 19-én a német csapatok megszállták azországot, Eichmann és hírhedt kommandójaMagyarországra érkezett, a „zsidókérdés – úgymond –végső megoldása” végett.Minden zsidót összeírtak, és sárga csillagviselésére kötelezték őket. Megkezdődött avidéki zsidóság deportálása, először a Kárpátaljáról(ma Ukrajna), majd az ország egész területéről. Afővárosban a zsidókat úgynevezett csillagos házakba,majd gettóba zárták. A román kapituláció után, 1944.augusztus végén a front Magyarország területére224<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


tevődött át. Nagybaczoni Nagy Vilmos honvédelmiminiszter egy időre leállította a deportálásokat. HorthyMiklós kormányzó megpróbált „kiugrani” a háborúból:1944. október 15-én proklamációjában bejelentette,hogy Magyarország leteszi a fegyvert. Még aznap –német katonai segédlettel – a szélsőségesnacionalisták, a „nyilas párt” (élén Szálasi Ferenccel)átvette a hatalmat.Ekkor már, miközben az ország fokozatosan azelőrenyomuló orosz csapatok kezére került, a féktelenterror lett úrrá. Mivel a deportáló vonatokat már nemtudták útnak indítani, bujkáló és szomszédjaik általfeljelentett, vagy az utcán és másutt, kegyetlen módonösszefogdosott zsidókból gyalogmenetet indítottaknyugat felé. Ebből a „halálmenetből” csak kevesentértek vissza. Az életben maradt munkaszolgálatosokatis nyugatra irányították. Közülük is sokan út közbenpusztultak el, vagy meggyilkolták őket, mint a borihaláltáborból út közben megölt Radnóti Miklós költőt(1909–1945), vagy Szerb Antal irodalomtörténészt(1901–1945).A pesti gettót (időhiány miatt) nem tudtákdeportálni, ott mintegy 70.000 ember zsúfolódott össze,közülük hétezren az éhezés és a járványokkövetkeztében elpusztultak. (A Dohány utcai zsinagógakertjében temették el őket, ott áll ma Varga Imreszobrászművész emlékfája, amelynek „leveleire” ameggyilkoltak neveit jegyezték fel.) A nyilas banditák afővárosban folyamatosan raboltak, és válogatás nélkülgyilkolták az üldözött zsidókat, az őket rejtegetőmagyarokat és az ellenállógyanús személyeket. Azúgynevezett „nyilas házak” pincéiben (például a zuglóiThököly étterem épületében) kínzóhelyiségeketrendeztek be. Az elfogott zsidókat a jeges Dunábalőtték. (A gettó két egykori bejáratánál később tábláthelyeztek el, a Dunába öltek emlékét pedig aVizafogónál és a Margit híd pesti hídfőjénél emlékműőrzi.)Az üldözöttek mentésében a magyarértelmiségiek (a népszerű Jávor Pál színész, KarádyKatalin énekes és mások) mellett a semlegesországok követségei is tevékenyen részt vettek.Ezen a téren Raoul Wallenberg, a svéd nagykövetségtitkára volt a legeredményesebb. (Őt rövidesen azoroszok, politikai megfontolásból elfogták, és a gulágrahurcolták.) Jelentős embermentést végzett a svájci CarlLutz is, akárcsak az olasz Giorgio Perlasca, akispanyol követnek adta ki magát a németek előtt.(Áldásos tevékenységüket ma emlékmű őrziBudapesten.), vagy anyai nagyanyám első fokúunokatestvére, Ományi Kálló Ferenc* vértanú táborifőesperes, akinek a jeruzsálemi Jad Vasem Intézet 2005.november 27-én posztumusz a Világ Igaza kitüntetéstítélte oda.A pesti gettó 1945. január 17-én szabadult fel,a főváros budai oldala (noha a fasiszták a hidakat mindfelrobbantották) február 13-án került szovjet uralomalá, az egész országból pedig 1945. április 4-én űztékki a fasisztákat. A korabeli Magyarország területén éltközel egymillió zsidó kétharmadát, több mint 600.000embert, a mai Magyarország területén élt hatszázezerzsidóból pedig mintegy 400.000 főt pusztítottak el aholocaust idején.* Anyai nagyanyám unokabátyja.Linkek:http://www.osservatorioletterario.net/saggisticaungherese63-64.pdfhttp://digilander.libero.it/osservletter/kallo.htmhttp://xoomer.alice.it/bellelettere/kalloferencesperes.pdfhttp://digilander.libero.it/rivistaletteraria/konyvismerteto.htmForrás: http://www.eretlenek.hu/tetelek/Szerkesztette:B. Tamás-Tarr Melinda- <strong>Ferrara</strong> -Czakó Gábor (1942) ― BudapestÚJ- ÉS ŐSTÖRTÉNETÜNKA Magyar, mogyeri, magyari című, igenérdekes kerekasztal-beszélgetésben(Kortárs, 2009/1.) Csúcs Sándorfinnugor nyelvész elismerte ugyan,hogy Trefort Ágoston kultuszminisztervalóban hatalmi szóval foglalt állást azugor–török háború lezárásakor a finnugor rokonságmellett, de szemlátomást a legteljesebb őszinteséggelvonta kétségbe, hogy a harcnak áldozatai is lettekvolna. Példaként Bálint Gábort említette, aki egyetemitanár lehetett törökpárti létére.Nos, ez úgy általában igaz, a részletek azonban különösdolgokról árulkodnak.Szentkatolnai Bálint Gábor (1844–1913) a legnagyobbmagyar nyelvtudók egyike. Harminc nyelven beszélt, amaga korában ő ismerte egyedül az összes altajinyelvet. Epizód az önéletírásából: fél év kazanyi tatárnyelvtanulás után a helyi tanítóképző igazgatójánakfölkérésére elkészítette a tatár nyelvtant az iskolaszámára. Földije, Kőrösi Csoma Sándor nyomdokainjárva a belső-ázsiai és keleti népek közt keresterokonainkat. Három nagy keleti úton járt, ezenközbenkészített – többek közt – tamil–francia–magyar szótártés tamil nyelvtant, kabard–magyar–latin etimológiaiszótárt és kabard nyelvtant, török nyelvtant, írt könyveta hun–székely–magyar rokonságról A honfoglalásrevíziója címmel.Amikor hazatért harmadik útjáról, véget ért az ugor–török háború. A Hunfalvy–Budenz páros őt teljesenkiszorította a tudományos közéletből. Egyetemikatedrájára nem térhetett vissza, a szaklapok nemközölték írásait. Arany János két epigrammában ismegemlékezett róla: „Igazi vasfejű székely a Bálint: /nem arra megy, amerre Hunfalvy Pál int.” Ha már e névleíratott: a nyelvi háborúban győztes irányzat és ahunfalvyzmus két dolog. Az elsőnek igaza van, amásodiknak nincs, mert diktatúrát hozott atudományba: saját és Budenz véleményénekabszolutizálását. Legnevetségesebb tétele: csak az aszó tekinthető magyarnak, amely a rokon népekszókincsében megtalálható. Gondoljunk bele: a rokonok„történelem nélküli népek” – sajnos nincseneknyelvemlékeik. A finneknek akadnak ötszáz éves irataik,a többiek írásos emlékei leginkább XIX. századiak.Ráadásul e kicsiny népek nyelvjárásokra töredezettnyelveket beszélnek. A mi szókincsünk milliós,<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 225


legkorábbi nyelvemlékeink ezer évnél idősebbek. Ez azegyik oka annak, hogy a Történeti EtimológiaiSzótárban (TESZ) tömérdek az „ismeretlen eredetű”szó.Nos, Bálint kiszorult a tudományból, és megélhetésesem maradt. Vasfejű székelyként azt a hibát iselkövette, hogy bírálni merészelte Budenz Józsefet.Budenz ugyanis megbízta, hogy a helyszínenellenőriztesse cseremisz nyelvi tanulmányát. Bálintmegtette, ám a cseremiszek nem értették… RáadásulBálint az Akadémián ezt szóvá tette. Mintha J. V. Sztálinnyelvészeti művét bírálta volna valaki. Arany írja:„Szegény Bálint Gábor / boldogtalan góbé. / Amennyitte szenvedsz, / mi ahhoz a Jóbé.”A nélkülözések és a kirekesztés elől Bálint külföldremenekült 1879-ben. Tizenhárom éves bolyongás utántérhetett haza. Szentkatolnai kicsiny birtokángazdálkodott. Csak Hunfalvy (†1891) és Budenz(†1892) halála után, 1893-ban kerülhetett a kolozsváriegyetem urál-altaji tanszéke élére.A hunfalvyzmus átka máig hat: Bálint műveigyakorlatilag hozzáférhetetlenek. Zágoni Jenőmagánkiadásában (!) jelent meg 2005-ben a Válogatottírások, 2008-ban a Fríg Kiadó (Varga Csaba) adta ki atamil–francia–magyar szótár és nyelvtan magyar–tamilszótárrészét.A másik itt megemlítendő áldozat Czuczor Gergely ésFogarasi János páratlan remeke, A Magyar NyelvSzótára (CzF) 113 ezer szócikkel! A TESZ feleekkora.A nagy magyar szótár belső elrendelésének s miképenikidolgoztatásának terve. Utasításul a magyarTudóstársaság tagjainak (1840) című irat – CzF I. kötet,6. old. –, mely az Akadémia kis- és nagygyűléseinekálláspontját tükrözi, a magyar nyelv belső természetétrendeli vizsgálni, s megállapítja, hogy a magyargyöknyelv: szavaink gyökök toldalékolásábólkeletkeznek. A szerkesztők számára készült utasításjóval Ferdinand de Saussure előtt azt is megjegyzi,hogy „erőtetéssel csaknem minden szót ki lehet alegidegenebb nyelvből is magyarázni”. Czuczorék teháta „belhasonlításból” indultak ki, s arra az eredményrejutottak, hogy a magyar nyelv önépítő rendszer,értelmes tanulóprogrammal. Ezen az alapon állt a régiAkadémia, a nyelvújítók java és a kisgyermekek. Nomeg a magyar nép máig. A gyökrenden s a vele járóképiségen alapul a magyar észjárás: rokonító/analógiás,ellentéteket egyben látó, az egészből a részekrekövetkeztető/deduktív, mellérendelő, két agyféltekétmozgató természete, hálószerűsége. Egy hunfalvystaakadémikus például nem tudhat olyan elemi dolgot,hogy miért hangsúlyos a magyar szó eleje. Máig nem istanítják az egyetemeken sem. Még csak meg semsúgják. Elképesztő, nem? Nos, először azért, mert ahunfalvysták a gyök fogalmát is száműzték anyelvészetből. A tővel helyettesítették, de a gyökér nemtő. Másodszor azért, mert a magyar beszédértelemhangsúlyos: a közlés lényege határozza megmondataink, szavaink, sőt népdalaink zenéjét! Mivel azelöl toldott szavak kivételével mindig a gyökkelkezdődik a szó, és az hordozza az „érteményt”, aztnyomjuk meg. A gyök vagy azonos a kezdő szótaggal,vagy magában foglalja. Harmadszor azért, mert agyökrend elfogadása összekuszálná a hunfalvyzmushatályos tévrendszerét. (Bővebben: Cz. G.: Beavatás amagyar észjárásba, Budapest, 2008.)Még meg sem jelent A Magyar Nyelv Szótára, azidőközben uralomra jutott „hunfalvysta fővonal” márisföljelentette a szerzőket a német tudományosközvéleménynél. „Czuczor és én a külföld előtt, az»Allgemeine Deutsche Encyclopaedie« czimü munkábanbevádoltattunk, hogy a történelmi hasonlitónyelvbuvárlat ellenségei vagyunk. Aki a czikket közölte,nem tudá, mi volt vitatkozásunk tárgya. Valamintminden félszegség vagy egyoldaluság, úgy az ellen is,hogy egyedül csak rokon nyelvekben s itt is csaknémelyekben keresendő az üdvösség, azon elvekkelösszhangzásban, melyeket föntebb kifejték,felszólaltunk; felszólaltunk volt pedig ismételvemindaddig, míg a tárgyilagosság teréről le nemszoríttatánk. De hogy ellenségei voltunk volna atörténelmi hasonlító nyelvbuvárlatnak, azt munkálatunkcsaknem mindenik lapja megczáfolja” – szögezi leFogarasi János a Szótár utószavában.Ő és Czuczor minden szócikknél bőségesen idézi másnyelvekből, köztük a finnugorokból a lehetséges rokonszavakat, ám lényegében belülről indulva vizsgáltáknyelvünk „egyedülálló öntőformáját és szerkezetét”,ahogy Sir John Bowring, a magyar költészet első angolfordítója (Poetry of the Magyars, 1830) nyelvünkrőlmegjegyezte. Nem olvashatták a náluk kétnemzedékkel későbbi de Saussure aranyigazságát:„minden nyelv eleven, szerves rendszer”, csak tudták ésgyakorolták. Követőik a hunfalvysta hivatalosságnyomása miatt csak elvétve akadtak, s ha igen, „atárgyilagosság teréről” hamar „leszoríttatának”. Ígymegy ez máig: a hunfalvyzmus tökéletességét kétségbevonni olyasmi, mint a szocializmus/kapitalizmusét. ASzótár VII. hibaigazító pótkötete már nem is kerülhetettnyomdába! Nem csoda, ha a nagy mű folytatókra,kiegészítőkre, javítókra nem találhatott. Bizonyság erreaz, hogy 1874 óta a mű nem jutott el azújranyomtatásig, noha antikváriumi ára már az égbeszökött. Az Arcanum CD-kiadásáig gyakorlatilaghozzáférhetetlen volt még a nagyobb közkönyvtárakbanis.A mai hunfalvysták szerint elavult, mégis magasanvezeti a TESZ hivatkozási listáját, s ahol a TESZszerkesztői elvetik, ott forrásjelölés nélkül mégiscsak rátámaszkodnak – például erdő szavunk elemzésekor.Közben szétszerkesztenek, mint például a szablya, alapát, a kapa stb. esetében. A kerekasztalbeszélgetésbenemlített Angela Marcantonio szerintteljesen elavult a páratlan mű korabeli ellenfele, BudenzJózsef, akinek az ugor–török háborúban perdöntőszóérveinek 81 százaléka fölött járt el az idő. Hasonló ahelyzet Hunfalvy tudományával.Nagyobb baj az, hogy a CzF-ben kifejeződő magyarnyelvérzékkel homlokegyenest ellenkező hunfalvystanyelvtankönyvek anyanyelvoktatásunkat csődbe vitték:a diákok túlnyomó többsége utálja a magyar nyelvtant.Tanáraival együtt. Utánajártam, lehet ellenőrizni. Ha ezígy megy tovább, nem lesz, aki őstörténetünkrőlvitatkozzék.Igaza van Erdélyi István régészprofesszornak azőstörténeti intézet fölépítésével, és az akadémiaiosztályok közti betonfalak lebontásával kapcsolatbanFóthi Erzsébettel is egyetértek abban, hogy226<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


eredetkutatásunk régészeti, nyelvészeti, embertanivizsgálatait ki kellene terjeszteni a kínai, a mongol ésegyéb keleti népek írásos emlékeinek – szerintemtovábbá az örmények grúzok, perzsák stb. irattárainak– vizsgálatára. Továbbmegyek: népünk eredeténekvizsgálata még ennél is többet követel: kultúránkegésze emlékszik múltunkra. Huszka József több mintszáz éve elkezdte díszítőművészetünk összehasonlítóvizsgálatát. Van folyatása nagy ívű kutatásának?Cey-Bert Róbert Gyula vizsgálja a magyar konyhanemzetközi összefüggéseit.A magyar népzene nyelvünkhöz hasonlóan rokontalan smégis szilárd képződmény Európa közepén, állapítottameg Kodály Zoltán. Ő javasolta a magyar és másnépzenék matematikai elemzését, összevetését. Amunka megkezdődött, de a korabeli számítástechnikagyarlóságán megfeneklett. Van folytatás?Igen. Juhász Zoltán furulyaművész, a KFKI mesterségesintelligenciákat kutató részlegének munkatársakifejlesztett egy „értelmes tanulóprogramot” népzenékelemzésére. A zene ősnyelve című könyvében (Fríg,2006) még csak nyolc európai és ázsiai népzenét vetettössze – népenként ezer–kétezerötszáz dalt! – amagyarral. Kínától az appalache-i kelta-angolig. 2008nyarán már tizenhatnál tartott, s azóta sem állt meg.Bámulatos eredményekre jutott. Közülük egy-kettő:legközelebbi zenei rokonaink a mongol, a karacsáj–balkár meg a szicíliai és a spanyol! A szlovák szinteegybevág a magyarral! A keleti és nyugati népzenéknincsenek kapcsolatban egymással, csak a magyaronkeresztül. Stb.Juhász nem a pénzből indult ki, hanem a föladatból.Biztos vagyok benne, hogy az ő elfogulatlan,számítógépes módszere alkalmazható a nyelvészetbenis. Lehet, hogy a végén – szegény hunfalvystákbánatára – az is kiderül, hogy zenénk mellett nyelvünkis kapocs távolinak látszó nyelvek között.Forrás: «Kortárs» (http://www.kortarsonline.hu/0903/czako.htm)A Szerző beleegyezésével közöljük.Czakó Gábor (1942) ― BudapestA HUNFALVYZMUS ÉS A NYELVÚJÍTÁSAz ép magyar nyelvérzékű nyelvtársaink sokaságautasítja el a „finnugor” nyelvészkedést, úgy ahogy van,de leginkább szótörténeti elemzéseit. Jogtalanul éspontatlanul. Nyelvédesanyánknak, mint minden hozzáhasonló korú hölgynek vannak szülei, déd, ük, ésszépanyái-apái, ugyanígy gyermekei, unokái,megszámlálhatatlan sokaságban és fokokon. Ezekközött kétségtelenül ott szerepelnek az ugorok és afinnségi népek is. Hogy esetleg kik még, arról az ugortörökháború óta sunnyog a tudomány. A XIX. századmásodik felében ugyanis az említett háború látszólagugor győzelemmel végződött. Nem tudományos érvekdöntötték el, hanem Trefort Ágoston (1817-1888)vallás- és közoktatásügyi miniszter, aki a finnugorőstörténet hivatalossá tétele ellen tiltakozómagyaroknak ezt válaszolta: „Tisztelem az urakálláspontját, nekem azonban – mint miniszternek – azország érdekeit kell néznem, és ezért a külső tekintélyszempontjából előnyösebb finnugor származásprincípiumát fogadom el, mert nekünk nem ázsiai,hanem európai rokonokra van szükségünk. A kormánya jövőben csakis a tudomány ama képviselőit fogjatámogatni, akik a finnugor eredet mellett törneklándzsát.” A politikai döntés ilyenformán kétszűklátókörű kultúrpolitikus – Hunfalvy Pál és a későbbJózseffé lett Budenz – diktatúráját hozta, valamint ajózan ész bukását – mint minden zsarnokság.Az erőltetett és egyoldalú szóhasonlításokat,származtatásokat, az ugor ősnyelv kitalálásba fektetetttömérdek sarkifény-kergetést mellőzve elég egyetlenpélda, a Hunfalvy nevéhez fűződő „szabály”: csak az aszavunk tekinthető magyarnak, amely a rokonnyelvekben megtalálható. Eszerint az évezrede adatoltmagyar szavakat, a milliós nagyságrendű szókincsünketa finn és az észt kivételével egy-két száz éve följegyzetttöredék nyelvek szavaiból szabad csak magyarázni.Azaz hunfalvyzni. A többi szó vagy jövevény, vagy’ismeretlen eredetű.’ Hunfalvysta szótárainkban ezekbőlvan a legtöbb. Mókás, nem? Ideje szétválasztaninyelvünk őstörténetét – benne a finnugor rokonsággal– a hunfalvyzmustól, vagyis a rárakódott hatalmiszempontoktól és a belőle eredő téveszméktől, pl. aszétszerkesztéstől. Ég szavunkat így vették ketté, mertaz 'égbolt' értelemnek van a miénkénél fél évezrednél iskésőbbi (!) följegyzésű és távoli zürjén 'synad'= levegő,és finn 'sää'=időjárás, kapcsolata, az igei értelemnekpedig ugyancsak kései cseremisz, zürjén és osztják. Haa sokkal korábban följegyzett magyarból indultak volnaki, akkor azt mondanák, ami ésszerű: az ég mindkétjelentése kiveszett több rokon nyelvből, viszont egyikmásikbanmegváltozva ugyan, de fönnmaradt. Miután amagyarban megőrződtek őskori világszemléleti ésbölcseleti elemek,(1) melyek még a középkorban iséltek,(2) nálunk a két ég jelentés egy maradt. Okkal.Akár az egy számnév, mely "mindeneket magábafoglal" és az egy/id=szent, mely azt jelenti, hogy azEgyház mindenkit magába fogad.Ősi finnugor szavaknak tekinti a TESz a nyal, nyel, nyál,nyelv sort, és külön-külön származtatva veti össze őketa rokon nyelvek hasonló jelentésű alakzataival.Lényegében négy külön szónak tekinti őket, mertszórtan fordulnak elő: az egyik itt igen, ott nem.(3) Arokonság kétségtelen, ámde fordított. A minyelvérzékünk e négy szót azonos gyökből eredettnektekinti: alakjuk, szerepük, jelentésük hasonlósága miatt.Természetesen ezen a véleményen van a CzF is: „nyelvazon számos szók közé tartozik, melyekben a v képzőátalakult igeneves ó v. ő, tehát eredetileg nyelő,melyből lett: nyelü, végre: nyelv, mint ölő, ölű, ölv, oló,olu, olv, homó (omó), homu, homv (hamv). Ígyképződtek elavult gyökökből: enyü, enyv; könyü(gönyű) könyv; nedü, nedv; kedü, kedv; fenyü, fenyvstb. Legtökéletesebben öszveüt e származtatással acsagataj jalin = nyelv, jala-mak igétől mely am. nyal-ni(Vámbéry); hogy pedig nyal és nyel teljesen rokonok,nem hiszszük, hogy valaki kétségbe vonná. Több réginyelvemlékben eredeti alakjában találjuk. „Menden nép,nemzet és nyelő (azaz nyelv) valamely káromlatotbeszélend.” (Bécsi codex. Daniel profétában). „És őszájokbun álnok nyelő nem lelettetik.” (Sophoniasprofétában). Sőt néhutt csak nyel. „Szólásnak vagynyelnek ő büne.“ (Nádor-codex). „Ez átkozott harmadnyelnek gonoszsága.“ (Góry-codex). Rokonok a vogulnelma, nilm, osztyák nälim, nälem. Egyébiránt V. ö.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 227


NYEL, (4). A finn kieli szót némelyek más eredetűnektartják, s ezért a magyar ’nyelv’-nek ,nyelő’ eredetét iskétségbe vonják. De a magyar régiség minden kétségeteloszlat, s többet bizonyít bármely rokon nyelvnél,különben pedig a csagataj nyelv is mellettünk szól. Amongolban is k-val áll: kelen.”Vajon annak van nagyobb valószínűsége, hogy a„finnugor ősnyelvben” négy, a nyelv két értelmétfigyelembe véve öt külön szó keletkezett a hasonlóképű, szerepű jelenségekre, majd ezek a szavakszétszéledtek, változtak a szétszóródó rokonok közt,ámde a magyarban az említett négy alak és jelentésvalamely okból egységes alakot s jelentést öltött? Vagyennél ésszerűbb, hogy ősgyökük a magyarban született,s onnan került a tőlünk elszakadt rokonokhoz, sformálódott tovább?A józan ész ilyesféle megcsúfoltatása aligha nevezhetőfinnugrizmusnak, még kevésbé tudománynak,legföljebb hunfalvyzálásnak. Hunfalvy tettestársa,Budenz szerint pl. a rá (első említése: Tihanyialapítólevél, 1055 – reá) a nyolc évszázaddal később (!)följegyzett vogul raη – kb. rang – ’kívül’, esetleg araηka – kb. rangka – ’félre, oldalt’ szavakbólmagyaráztatik, s véletlenül sem fordítva. Mi semtermészetesebb, hogy a „kikövetkeztetett ugoralapalak” a vogulból elrugaszkodva a raηe lehetett. Mégjelentéssel is föltarisznyázták: ’felszínt’ érthettek rajtaaz ősugorok, akiknek ki-és hollétéről amúgy semmi adatsincs.A TESz – Történeti Etimológiai Szótár – és a szinténhunfalvysta csapáson járó Etimológiai Szótár (Esz)szótár szerint mozog igénk bizonytalan eredetű, mertnem könnyű levezetni bizonyos jurák és szelkupszavakból. Hogy belső fejlemény lehetne a mozgyökből, ami mocoroggal is összefüggésben áll, meg azizeggel is, s általuk gazdag családdal, az a szótárszerkesztői számára vállalhatatlan, noha a kapcsolatróltudnak, mert tényleg tudósok, csak éppen nem meriklerázni láncaikat.A hunfalvyzmus egyik – nyilvános – kiindulópontjaannak a hiedelemnek az abszolutizálása, miszerint azelmaradott, esetleg írásbeliség nélküli népek többetőriznek meg hagyományaikból, mint a szerencsésebbanyagi és művelődési sorsot élvezők. Ebben akad némiigazság, de hogy a teljes hiányzik belőle, az erősenvalószínű. Nehezen állítható, hogy pl. a dél-baranyaibeás cigányok nyelve közelebb áll Ciceró beszédéhez,mint IX. Piusz enciklikáéi.(5) Az sem zavarja a szektatanait, hogy az uráli rokonok valaha hantira és manysiraváltak szét, majd az alig nyolc ezres vogul/manysi népmár a XIX. századra négy, egymást nem értőtájszólásra szakadt, szavainak eredeti alakja így aködbe vész. Ezzel szemben a magyar nyelv egyikrendkívüli tulajdonsága az állékonysága: európainyelvtársaihoz képest roppant keveset változott azelmúlt, s nagyjából adatolt hét-nyolcszáz év során.Vajon mi lehet ennek az oka? Csak nem a gyökrend,ami nálunk nagyjából épen maradt? Varga Csaba hívtaföl a figyelmet arra, hogy a gyökrend óv a gyorsváltozástól! Az egy gyökből sarjadt, hasonlószemléletességű, több tucatnyi, vagy olykor több százszónak egyszerre kéne módosulnia!(6)Nem csak szavaink és nyelvünk szerkezete tart kierősen az időben, hanem szemlélete is. Nevezetesenazok az őskori(7) eszmék, amelyek eddig föltártrészéről Beavatás a magyar észjárásba c. nyelvrégészetikönyvemben(8) számoltam be. Például arról, hogyNyelvédesanyánk emlékszik a több mint két és fél ezerévnek előtte virágzott minőségi matematikára,(9)amelyet leginkább püthagoreusként ismerünk, ám ez aszámszemlélet hatotta át a korabeli magaskultúrákszámfölfogását Egyiptomtól Mezopotámián és Iránon átIndiáig. Sőt, emlékezete oly eleven, hogyNyelvédesanyánk máig ebben a jegyben képzi az újszavakat, l. pl.: egyenlet.E számbölcselet az alapja a szintén őskori analógiás ésszemléletes gondolkodásunknak, a holisztikus világ- ésnyelvszemléletünknek. Vegyük pl. ikerszavaink ezreit(!), köztük süt-főz, esik-kel, sőt: él-hal, melyekellentéteket oldanak egybe. Soroljuk még ide az olyanszavainkat, mint magyaráz, egészség, köz, gondolkodik,stb.(10) Vagy éppen magát nyelvünk gyökrendjét, ésősrégi összefüggését zenénkkel.(11) Az említettek, s azitt föl nem sorolt további nyelvrégészeti leletek egyelőremeghatározatlan korú ősépítményekként magasodnakki a hunfalvyzmus barakktáborából. Ráadásul egyáltalánnem romok, ma is eleven, önépítő képződmények,bennük laknak a nyelvükben élő magyarok. Szegény,párbeszédképtelen(12) hunfalvysták hogyan isvehetnének tudomást róluk?A hunfalvyzmus valójában hazugságszisztéma, zártrendszer, melyből kilépni tilos. Aki megpróbálja,eretneknek minősül, azonnal kiesik a„tudományból”(13) és a szcientifista(14) közéletből.*Az ép magyar nyelvérzék máig a belső nyelvértelmezésalapművére, a Czuczor Gergely és Fogarasi János általkészített A magyar nyelv szótárára – CzF –támaszkodik. Jómagam Mészöly Miklós állandóhivatkozásai nyomán kezdtem érdeklődni e csodálatosmű iránt. Mint ismeretes, a CzF szerint a magyargyöknyelv.(15) Szavaink rendszert alkotnak, s amintegy 2400 gyök toldalékolásából keletkeztek éskeletkeznek.Ezt a magyarok mindenkor tudták. Íme „A nagy magyarszótár belső elrendelésének s miképenikidolgoztatásának terve. Utasításul a magyarTudóstársaság tagjainak” című, 1840-ben kelt MTA iratnéhány mondata.(16) „Előszó. E terv első része, grófTeleki József akadémiai elnöknek, alapul elfogadott,koszorús munkája (Egy tökéletes magyar szótárelrendeltetése, készítése módja. Pest, 1821) utánkészítve, előleges tudomásul a tagok számára, 1834.kinyomatott.Azóta annyira haladván az előkészületek, hogy maga akidolgozás is már munkába vétethetnék; e terv, 1839-dik évben, a kis gyülésekben még egyszer átnézetett,nagyobb világosság okáért helyenként példákkaltoldatott meg, itt-ott a kifejezések határozottabbanejtettek; a VII-d. nagy gyülés határozata a szótármíképeni dolgoztatásáról, valamint a Vörösmarty Mihálynyelvtudományosztályi megbizott rendes tag példányczikkelyei,miképen azok, a kis gyülésekbeni szorosvizsgálat után, el lőnek fogadva, hozzá kapcsoltattak: smind ezek együtt, utasitásul a tagok számára, a X-d.nagy gyülés rendelétéből, ezennel kibocsáttatnak.Pesten, a kis gyülésből junius 30. 1840. D. SCHEDELFERENCZ titoknok.”228<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Így kezdődik A magyar nyelv szótárának körvonalazásaAkadémiánk nagy és kisgyűlései által, többszöri, tehát alehető legalaposabb megvitatás után. Lentebb, rögtönaz első fejezetben, roppant érdekes megállapítástolvashatunk nyelvünk természetéről. Előre bocsátandó,hogy ekkoriban egy ügyvédbojtárnak, kollégiumitanárocskának, falusi lelkésznek is kellett tudnialegalább latinul és németül, hisz ezek voltak a hivatalosnyelvek, a régi határozatok, törvények, iratok ésítéletek e nyelveken fogalmazódtak. Ezen kívül tót, rác,oláh, vagy egyéb nemzetiségi vidékeken az ügyfeleikhíveiknyelvében is alapos jártassággal kellett bírniok.Akadémiánk ráadásul a kor legnagyobb nyelvművészeitis körébe vonta, akik nyelvünket művelve, alkotvabelülről értették azt. Az akadémikus urak tehát sok másnyelv ismerete, s anyanyelvünk benső, költői ihletealapján juthattak arra meggyőződésre, hogy : „Amagyar szótár alkotásának, nyelvünk természeteszerint, némely főbb szabályokat kivéve, különbözőnekkell lenni minden egyéb nyelvek szótárainak alkatától,valamint az eddig készült magyar szókönyvekétől is.”Tehát a magyar nyelv természete eltér azindoeurópaiakétól. A körvonalazók bizonyáratanulmányozták a nyelvész gróf Teleki József akadémiaielnök iránymutató tanulmányától kezdve, azaz majdhúsz esztendőn át a korabeli és korábbi külföldiszakirodalmat is, ezért vetették el. A magyarnyelvtudomány pedig ekkoriban bontakozott ki.Megjegyzendő, hogy e korai művek egyike, KresznericsFerenc Magyar szótára (1831) szintén a magyar nyelvbelső gyöktermészetét vizsgálta, bár nem használtamég a CzF szakkifejezéseit.Hogy milyennek gondolták a legműveltebb magyarokanyanyelvük belső természetét, arról világosanrendelkezik a szószármaztatásról szóló V. szakaszmásodik bekezdése,(17) melyben meghatározzákszavaink alapelemét, gyökerét, „atomját”: „A szók vagygyökök, mint péld. rom, vagy származékok, mintromladék, vagy összetételek, mint vár-rom, le-ront.Gyökszónak hivatik az, mely nincsen szóképző általalkotva.(Kiemelés: Cz. G.) Az ily gyökszók vagyeredetiek vagy kölcsönzöttek. Ezek eredetéről, atermészeti hang után képzetteket kivéve, aligmondhatni valamit, mert az ős régiség homályábanvész el. Már az ily gyökszókról, akár azok a finn, zsidó,arab, akár a perzsa, mongol, török, tatár, akár tót,német, deák, görög nyelvvel legyenek közösek,legtanácsosabb ezen szabályt követni, hogy: hol akölcsönözés akár nyelvünkbe, akár nyelvünkből világos,ott az kijelentessék; hol pedig eléggé ki nemmutatható, ott kétesnek maradjon a szótárban is,egyszerűen az jegyeztetvén meg, hogy ez vagy amazmagyar gyökszó, ez vagy amaz idegen nyelvvel közös.”Ez volt tehát a XIX. sz. első felében a MagyarTudományos Akadémia tagjainak általános véleménye,mely nyilván nyelvérzékükből fakadott, mivel akkor emeadottság a maga természetességében létezhetett ésműködhetett.*A gyökrend meglepően csodálatos bizonyítéka azemlített korszakba átívelő nyelvújítás.A nemzeti ébredés évtizedeiben vívott nyelvi harcMondolatostul a magyar nyelvtörténet remek fejezete.Természetesen sokan támadták az újítókat, némelyeklabancozzák őket mindmáig, de a mozgalom többetjavított, mint ártott. Először is azért, mert tényleg népivolt, vagyis a magyarul beszélők véleményét fejezte ki,s ezért nem torkollott hunfalvyzmusba, azaztudománytalan diktatúrába. Másodszor azért, mert azerőszakosok ellenében Nyelvédesanyánkra bízatott adöntés, ő pedig jó királynőként az észjárása szerintileleményeket tartotta meg. A magyar észjárás alapja agyökrend, ebből fakad az egységlogika, agyökhangsúly, a hálószerűség, az egyszerűség, alényeglátó-levezető/deduktív gondolatmenet, arokonítás/analógia, a mellérendelés, a képiség és akétféltekés gondolkodás. Ezekre épül nyelvünk máigeleven önépítő rendszere.Könnyedén elhajtotta pl.: a gyökérhiszem-et, s veleszemben megtartotta az alapelv-et. Kidobta ahadroncot, s megmaradt az újonc, az átkupidolni semejtett szerelembe senkit, viszont a bökkenő hódított. Azősi elme annakidején is elmélkedett, de elméletet csakaz újkor divatjával kezdett alkotni 1813-ban.A nyelvújítók maradandó alkotásaikban – józan magyarésszel és ép nyelvérzékkel – a gyökrendből indultak ki.Jóval a CzF előtt! Legsikeresebb alkotásaikban afölfrissített régi- és tájszavak mellett rendre ódongyökszavakat vettek elő, és toldalékoltak az új igényekszámára. Nem feledkeztek meg a gyökök jó részébenmég eleven képiségről sem! Az észjárásunk szerintalkotott szavak azért terjedtek el oly gyorsan, mertnyelvtársaink rögtön, mindenütt értették őket. Ez amagyarság egyik különös adottsága. Nálunk nincseneknyelvükben szegények, s a néprajzosok amegmondhatói, hogy iskolázatlan pásztorok, parasztokmennyivel választékosabban finomabban ésmagyarosabban fejezik ki magukat számosakadémikusnál.Lássunk példákat! Ő személynévmásunk már aközépkorban családot nevelt: önnön, önmaga, stb.Ebből lett Széchenyi javaslatára az ön megszólítás, sszármazott belőle a nyelvújítás során: önző, önzetlen,önérzet, önálló, öngyilkos és vagy száz más szavunk,egészen mostanáig: öngól, öngyújtó, stb. Ősrégi algyökszavunk ezernyi szót virágzott a nyelvújítástólfolyamatosan az alkonytól az alagúton át azalapítványig, s mind a lentiség, az alsóság képéretámaszkodik. Év szavunk kétszáz esztendeje jobbáramár csak toldalékaiban élt. Ezekből bontották vissza agyököt – a műveletet pontatlan hunfalvyzmussalszóelvonásnak szokás nevezni –. s toldalékolták újszavakká: évkönyv, évszak, évelő. Szakkönyveinkszerint hasonló esett meg a szintén bámulatosantermékeny gyökünkkel, a körrel is. Vizsgálandó csoda,hogy ezek az aludni látszó gyökök szunyókálva isfolyamatosan sarjasztottak új töveket és törzseket – akör és alakváltozatai – ker, kar, gur stb. – vagyötszázat! Maga a gyök is ekkor elevenedett meg agyökér, gyökeres szavakból.Így megy ez a mai napig, lásd: önkakaó, önadózó,alvószámla, alapszerződés, körbetartozás,környezetszennyezés. Vagy a számítógép világában:merevlemez, tárhely, villámlevél, háló…Szókeletkeztetésünk ékes bizonyítéka annak, hogynyelvünk – ellentétben a szétszerkesztő hunfalvyzmuselképzeléseivel – önszervező rendszer.*<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 229


Igen érdekes volna elgondolkodni azon, hogy azáltudományos nyelvtudományi diktatúrában milyen lettvolna a nyelvújítás? Ha megnézzük pl. a románt, akkorláthatjuk, hogy nyelvújítása roppant természetesmódon vett át nyelvcsaládi szavakat, kifejezéseket, pl. afranciából, s azok könnyedén illeszkedtek a megújítottromán nyelvbe. Hanem a „visszakövetkeztetett ugorősszavakból” kik teremtettek volna műszót a kórházra,a mozdonyra? E kérdés nem mi lett volna ha? –csacskaság, mert biz a hunfalvysta álság ötnegyedévszázad alatt nem termett egyetlen szógyümölcsötsem!*Szójátékaink alapja szintén a gyökrend, helyesebbenaz, hogy toldalékolandó gyöknek tekintjük aszókezdeteket. Így képződik a szeniális, a pirhonya, atüredelmes, Romhányi a rímhányó és a többi egy adottpillanatban és helyzetben kiviruló, majd elhervadószóötlet. Ide kívánkozik Karinthy pompás Babitskarikatúrája, melynek humora abban áll, hogy azerőltetett alliteráció hatását gyökcserével fokozza:„Nyersei nyőleg a Nyugatban nyelentek nyeg.”(18) Agyermekek szóteremtő kedve sem az „ugorősszavakból” indul ki, hanem a gyökök gyakran mégeleven őseleméből, képből. Ők mintha elölrőlkezdenék… Sebestyén fiam négy évesként sem jöttzavarba soha, ha valaminek a nevét nem ismerte.Honnan is tudhatta volna óvodásként a bérletszelvénynevét? Habozás nélkül nevezte bérleti beteszőnek,leírva a jelenséget, ugyanígy lemegyőnek a lépcsőt,féllátónak a monoklit, ebédi főzőkének a lábast.*Becézésünk is a gyökrendet követi. A kicsi Erzsébetnálunk leginkább Erzsi, az angolban Betty: ők a szóvégével gyöngédkednek. A keresztneveknemzetközisége persze befolyásolja a becenevekalakulását, de a magyar keresztnevek közt nemtaláltam kivételt: Szabi, Piri, Csabi, Boti, Ali, stb. Aszombathelyiek kedvenc csapatukat, a Haladást Halinakbecézik, a ferencvárosiak – régen franzstadtiak – amagukét Fradinak, a debreceniek a LokomotívjukatLokinak, viszont az FC. Liverpool rajongói Pool-tkiabálnak a mérkőzésen.A Fradi példa arra is, hogy a magyar nyelvérzék azidegen szavakat is próbálja gyökösíteni.*A hunfalvyzmus a gyökrendet úgy vetette el, hogy sohameg nem cáfolta: egyszerűen azért, mert ez lehetetlen.Éppen ezért a kirekesztést, a sértegetést és a cenzúrátválasztotta harci módszerül. Elsőül kicenzúrázta atudományos szaknyelvből a gyökrend alapfogalmát, agyök szót – melynek eszméje a nemzetközinyelvészetben az alapfogalmak közé tartozik –, és amódszertanilag hibás szótővel helyettesítette. Látjuk,hogy a gyök a jelentés alapja, alapképe, növénytanihasonlattal a gyökér, amelyből kihajt a törzs, azaz aszótő. A tő, a törzs a szó molekulája, a gyök az atomja.Az atomnak is vannak részecskéi, a gyökelemek.Lapályos szavunk töve a lapály, gyöke a lap, lep. Ebbőlsarjad a család: lapos, lapít, lappang, lapát, lepedő,lepény stb. Az l hang gyökelem, rendszeres alkotója alapos, lenti, alul, le stb., tehát hasonló jelentésűszavaknak.(19) Ám a TESz szétszerkeszti aszócsaládokat. Szerinte és Budenz szerint a lapát szláveredetű, mert előfordul hasonló alakokban ésjelentésekben szláv nyelvekben. Ezért hiába a népeshoni rokonság, a kiterjedt, egyalakú és értelmiközösséget alkotó szócsalád, szegény árva lapát„finnugor egyeztetése, valamint a lapos rokonságábavalós sorolása téves.”Nos, ezért és ezer hasonló tudománytalanságelkövethetősége miatt kellett a gyök fogalmánakkikerülnie a tudományosságból.Kirekesztett, háttérbe szorított minden olyan nyelvészt,aki nem adta meg magát a diktatúrának. Jellemző,hogy hunfalvyzmus győzelme után az írók kiszorultak azAkadémia I. Osztályából. Föl sem merült, hogyVörösmarty, Arany és Jókai méltó utódai, példáulKosztolányi, vagy Weöres tag lehessen, noha nemkétséges, hogy tudtak annyit nyelvünkről, mintbármelyik akadémikus.Az ellenfelek szinte lélegzetet sem vehettek, nemhogynyilvános szakmai megszólaláshoz juthattak volna.Például a XIX. század legnagyobb altáji nyelvtudorának,Szentkatolnai Bálint Gábornak az országot is el kelletthagynia megélhetés híján. Dilettánsnak minősítettékőket, délibábosnak és hasonlónak, és kirekesztették atudományos életből. Így megy ez a mai napig. Jó tudni,hogy meghatározásuk szerint délibábos az a nyelvész,aki nem publikál szakmai lapokban. A szakmai lapokpedig, na, kinek a kezében vannak?Természetesen a CzF is délibábosnak minősül. Nemegyes tévedései, hanem az egész mű, és vele a magyarnyelvérzék szőröstül-bőrötül. Hoppá!Ha összefoglaljuk a hunfalvyzmus lényegét, akkor akövetkezők jönnek elő.1. a hangsúlyt a belhasonlítás, anyanyelvünk bensőtermészetének elemzése helyett a külhasonlításra teszi,s ennek érdekében keményen tudománytalankodik;2. a finnugor rokonság igaz tényét abszolutizálva a sokszázada, vagy akár ezer éve följegyzett magyarszavakat sokkal későbbi és töredékes rokon nyelvekszavaiból vezeti le;3. tautologikus okoskodással ugor „ősnyelvet” kohol arokon népek jobbára XIX. századi szavaiból, s ezeketnyelvünk alapszókincsének nyilvánítja;4. kirekeszti a magyar szókincsből azokat az élőszavakat, melyek a gyökrendből kifogástalanullevezethetők, ám kivesztek a rokon nyelvekből;5. kirekeszti a magyar szókincsből azokat a szavakat,melyek itthon hatalmas szócsaládok tagjai, ám idegennyelvekben is előfordulnak, pl. kapa, lapát, szablya.6. megtagadja a magyar nyelv belső természetét, agyökrendet tudományos cáfolat nélkül;7. szétszerkesztő: elhazudja nyelvünk bensőösszefüggéseit;8. párbeszédképtelen, bírálóit tudományon kívüli,elsősorban hatalmi eszközökkel küzdi le;9. zsarnokságot szervezett, mely ma már atárstudományok – történelem, régészet, néprajz,zenetudomány, stb. – művelőit is gúzsba kötik;10. olyan nyelvtan-tantárgyat kényszerít az iskolákra,melyből a tanulók nem ismerik meg anyanyelvükösszefüggéseit, igazi természetét, amely nem találkozikalapvető nyelvi élményeikkel – amelyet így joggalutálnak.*230<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


A magyar gyökrend önépítő rendszer értelmestanulóprogrammal. Ezen az alapon állt a régi Akadémia,a nyelvújítók java, a költők meg a kisgyermekek. Mind amai napig. No meg a magyar nép, melyNyelvédesanyánk csodás és ősrégi palotájából nézi ahunfalvysta gulág omladozását. Biztos abban, hogynyelvészeink java alig várja a szabadulást.*___________________1 Cz. G.: Beavatás a magyar észjárásba, CzSimon Bt. Bp.20082 „…tűznek (…) a természetes helye legfelül van, magasabbrétegben és rendben, amit a mélység színének nevez, azéghez ő van a legközelebb az elemek egész világában, mertőalatta van a levegő és a levegő alatt a víz.” Eckhart Mester:A teremtés könyvének magyarázata, Farkas Lőrinc ImreKönyvkiadó, 19973 A TESz szerint a nyel tizenkettő, a nyal tizenhárom, a nyál ötrokon nyelvben található, de inkább takony értelemben. Anyelvet négy rokon nyelvben mutatja ki, de csak acseremiszben jelent beszélt nyelvet is, a lappban viszont szájértelemben használatos a megfeleltetett hangalak, a najl’bme.4 Az említett népcsoport a román nyelvújítás előtti nyelvethasználja.5 Varga Csaba: A kőkor élő nyelve, Fríg Kiadó 2003.6 Hamvas Béla kifejezése, Buddha, Zarathusztra, Püthagoraszidejével lezáruló korszakot nevezte így, mely nagyjábólKrisztus előtt 600 évvel ért véget.7 Cz. G.8 „A dolgok ősképe a szám”, megelőzi az ideát. Isten avilágot, szám súly és mérték szerint teremtette, a szám tehátontológiai fogalom. E számfölfogás szerint a szám nem pusztamennyiség, hanem „mennyiségszerű minőség.” A legnagyobbszám az egy, mely mindeneket egyesít, meghasonlása akettő, a tökéletesség száma a három, a teljességé a négy. Atöbbi ezek társításából keletkezik. Végtelen nincs, a számok,akár a természet, körbe járnak, teljességük egytől-egyig tart –bővebben: Cz. G. 2008. 104. old. skk.9 Bővebben: Cz. G. 2008. 131. old. skk.10 Cz. G.: 2008. 55. old. skk.11 Hamvas Béla gondolkodásának egy kulcsfogalma aHazugság: általa az ember a realitásból kiesik,párbeszédképtelenné válik, rögeszméi foglya lesz; azenei hazugság a legelvetemültebb; ontológiaikorrupció, a hazugság és az elhazudott élet nemválasztható el; ahol az ember hazudik, ott egyedülmarad, lezárul, a közösségből, kiesik, valótlan éspárbeszédképtelen lesz → hazugságszisztéma.12 Hazugságszisztéma amit mondtam, igaz volt, denekem ilyesmit mondanom nem volt szabad. (HamvasSzótár)13 Szcientifizmus dogmatikus világnézet, politikai fogalom;válságtermék; ideológiáktól fertőzött tudomány, a tudományeredményeit kizsákmányolja valamely hataloméhes csoportérdekében, s a túlvilágot elárulja a földi életnek; tudós csalás;átöltözött klerikalizmus; a reneszánsz, reformáció,felvilágosodás, pozitivizmus, humanizmus, haladás, stb.megnevezések nem kutatási eredmények, hanemvilágszemléleti önigazolások; a középszer védekezése ateremtő géniusszal szemben; “Az ember a gondolatban, hogya földbolygó a sok közül egy, és forog, mint a többi, nemGalileivel áll szemben, hanem a szientifizmussal, amely agondolatot nem, mint igazságot adja tovább, hanem –kihegyezett célzattal – mint a vallás ellen bevethető harcieszközt;” belőle a vallásba átjárás nincs; nem ismeri aszerelmet, csak a szexust, a mézes-vajas kenyeret, csak akalóriát és a vitamint. (Mindhárom idézet közvetlen forrásaCz. G. Szótárkönyv, Hamvas Szótár, Boldog Salamon Kör, Bp.2001.)14 Állékonysága is ennek következménye.15 Olvashatók a CzF első kötetének elején.16 CzF. I. köt. 6. old.17 Így írtok ti.18 A gyökelemekkel azóta a magyar nyelvészet nemfoglalkozik, sőt, tagadja, hogy egy hang lehetne szótő. Ezpersze igaz, mert szótő tényleg nem lehet, de gyök igen. Biz’az eszik igének e a gyöke, az isziknek az i – tessék csakszépen elragozni őket! E-szik, e-vett, sőt, bácskaitájbeszédben: e-tt! Gyökhang még az á: ámul, ásít, a h:hápog, az u: ugat, ü: üvölt stb.Tudtommal a CzF óta a gyökelem kérdést csak Kiss Dénesköltő vizsgálta alaposabban.*A Szerző küldte be ezen tanulmányt.EPISZTOLAKedves Melinda!Cypress, CA, U.S.A., 2009. július 25.A maga "fájdalmas üzenete" viszont rezonáltbennem. Kár volna érte ha ezen rövid viszhang csupán"szakadt húrok nyekergő kínlódása" lenne. Legyeninkább felhangok vígasztaló harmóniája, egy biztatóüzenet: asszonyom nincsen egyedül, hiszen valahol anagy világban még mindig akad –un’anima gemella.Minden öröm röpke, s elszáll, mint a tavalyi hó.Úgy történt, ahogy megtörtént. Igaz másként is lehetettvolna. Csupa hiábavalóság ma kárhoztatni magunkatmiatta. Ady önmaga helyett másokat hibáztatta:"Sirasson meg engem, szerencsétlen lettem,/ azoktettek azzá, akiket szerettem./ Üres lett a szívem, üreslett utánnok,/ Betöltötték kínzó, messzeüző álmok."Ámbár máshol őszintén bevallja: Csókjaimat szedtemvette,/ Híven sohasem szerettem."Tény a női nemhez képest a férfiak más színbenképzelik el az érzelmi világot. Kölönösen abban a szépItáliában, ahol elég a férfiúi boldogsághoz annyi, hogyaz ideál - giovane, straniera e bionda legyen. Persze ezcsupán a dolgoknak az egyik fele.Viszont, aki nem szőke, az olyan signorinánakmeglehet valamivel kevesebb az esélye. Így sóhajtottvalamikor egy árva poetessa:ANIMA PRIGIONERA(di Enza Zerbo)Anima prigionera disei pareti d'oro, piangile tue lacrime di perla,sciogliti in sfumatureverdi, trasformati in dolcisuoni, ed evadi.Ci dovrá essere almondo, qualcuno che sappiaricomporti, poi...(P.s. Ah per sempre io ti perdei, fior d'amore la miasperanza! Dove sei Enza???)Szívélyes üdvözlettel: Imre<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 231


Kedves Melinda!Cypress, CA, U.S.A., 2009. július 26.Szíből gratulálok a jól sikerült vizsgákhoz! Egygondolat: akik életükben ilyen elévülhetetlen érdemeketérnek el, azok Illésként száguldják túl a halandósághatárát!További jó munkát és kellemes üdülést kívánok.Szivélyes üdvözlettel: Imre(Ps. 1/ Én rám is férne egy kis kikapcsolódás, detényleg úgy vagyok vele mint maga, bárhova is mennékkiszellőztetni a fejem, pár napra rá már megöl azunalom.2/ Az Antológiából szeretnék rendelni egy számot,legyen szíves tudassa velem az árát.3. Persze van itt egy pár olyan dolog, amiugyancsak viszhangot ütött meg bennem. Pld. a MontiSándor esete. Ugye neki dedikálta valaki azt anevezetes "Monti csárdást"? Sőt az olasz nők azirodalomban is egy további érdekes témakör lenne.Elgondolkoztató az is, hogy ha a poétáknak ugymondlétezik muzsája, de ki ihleti meg azokat az "áldott"poetessá-kat, akik verseket írnak? Ady (valahogy?) eztírta róluk: Áldottak azok az asszonyok között, aki versettud írni. Talán maga biztosan megtudná mondani.4/ D'Annunzionak van egy kimondottan gyönyörűverse: L'Alba separa dalla luce l'ombra... Tostimegzenésítette s Caruso pedig egykor lemezre vette. Ezaz egyik legszebb dal - a Párizsban járt az ősz után -,amit valaha olvastam. De sajnos elvesztettem..)5/ Láttam a maga versében vannak kisbetűssorok!? Lehet, hogy félre értettem itt-ott amondanivalót, bocsátsa meg nekem, de az ilyenapróbetűs sorok között nehezen lehet eligazodni.)Kedves Melinda,Wellington, 2009. júl. 13.A magyar nyelvben a hangsúlyáltalában a szó első szótagjára esik.Ezt a tényt az ütemhangsúlyosverselés magában foglalja. Nemvéletlen nevezik magyar verselésnek is, hiszen a minyelvünkben a prózai beszéd is ütemhangsúlyosszakaszokra osztható! Tehát a magyar beszéd mintegysaját magát verselheti.A nyugateurópai verselésben az ehhez nagyon közelálló versláb a trohaeus, ahol szintén az első szótagonvan a hangsúly. Az a tény egy kissé meglepett, hogy azangol nyelvben sem idegen ez a versláb: a világ egyiklegszebb verse, Edgar Allen Poe Hollója a trohaeusoközönével nyügözi le az esztéták műélvezetét. Nagyontermészetes tehát, hogy a magyar költők már a múltszázadban is megkisérelték műfordítását. Atizenkilencedik századbeliek, sajnos, nem azélvonalbeliek voltak és nem meglepő, hogy munkáikeredménye lényegesen szürkébb, mint a Nyugatosoké,amelyek közül Harsányi Zsolté és meglepően Babitsévolt a két legerőtlenebb eredmény.Babits nem sok időt fordíthatott erre a munkára,mert, ha valaki, ő igazán predesztinálva volt atrohaeusok négyes építésére. A "Danaidák"-at állítólagévtizedekig hordta fejében leíratlanul és idézte irodalmimeghívásokon, ankétokon.A Danaidák négyes trohaeikus áradata hosszabbzsolozsmaszerű kántálásban adja periódusait, egy-egystrófát egy három és felessel zár.Ezek tulajdonképpen egysorfajú periódusok, deolyan hosszúak, hogy tömbbe írva strófának hatnak. Anégyes trohaeusok természetesen simulnak azütemhangsúlyos verseléshez, tehát a magyarnyelvben, a vers szimultán jellegénél fogva, még egyfokkal kihangsúlyozottabb a kántálási ütem, amely egyidő után kissé varázsossá válik és elragadja az embert.Csaknem ugyanez az elragadtatás lepheti meg azolvasót a Holló skandálása közben is! Babitsvalószínűleg Kosztolányi és Tóth Árpád technikai vitájaután készítette műfordítását nem akarva lemaradni, deBabitsé a vita tárgyai után nem mondható nagyonsikeres munkának.A vita fő pontja az volt, hogy a Holló nem károghat,mert a "sohasem" – Kosztolányié – susog és nemkárog. Kosztolányi érvelése az volt, hogy a kétmegfelelő magyar szó, a "soha" és a "sem" ugyanolyantermészetesen forrt össze, mint a "never" és a "more"az angolban. Számomra ez az érv tarthatatlan és márTóth Árpád is készített egy különlegesen finomműfordítást a "sohamár" refrénnel. Ez egyébkéntvalószínűleg a legszebb magyar változat, ha apontosság fontosságát nem helyezzük előtérbe. A"sohamár" refrént végig is viszi megfelelő hívórímekkel,amelyeknek a megtalálása nem egyszerű feladategyrészt az ismétlődési unalom elkerülésétől, másrésztaz eredeti értelemtől és idiómától való mesterségeseltávolódástól függően.A "soha már" egybe írása egyáltalán nem kötelező,elegendő szigorúan a holló megnevezéséhezalkalmazni, minden más helyen külön írva is ugyanaz azakusztikai hatás elérhető, akár az angol szövegben,ahol csak a legkeményebb skót akcentus súlyábankárog a holló igazán. Kizárólag a skótok berregtetik az"r" betűt olyan erősen, mint akár az olasz, akár aspanyol vagy éppen a magyar nyelvekben. Poe Hollójátaz eredeti amerikai akcentusban hallva az ember úgyérzi, hogy Kosztolányi és Tóth Árpád vitája a hollókárogásáról eléggé meddő és az egyetlen igazi érdemea két remekbe szabott műfordítás, amelyek közül talánTóth Árpádé van az eredetihez közelebb!Egyik műfordításban sem derül ki egyértelműen, hogyfokról fokra, versszakról versszakra kábítószer hatásaalá kerül a mondanivaló csak úgy, mint a költő;ugyanakkor a költemény is egyenes arányban egyreexaltáltabb lesz olyannyira, hogy az utolsó strófában aholló egy puszta szimbolummá válik: a "soha többé"jelképévé!Az én elképzelésem szerint a vers suttoghat,udvariaskodhat, tépelődhet és retteghet más és másrefrénekkel szabadon az első hat versszakban, ahol aholló még nem szerepel! A megjelenésétől kezdveviszont ajánlatos a károgás baljóslatát felépíteni!232<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Tóth Árpádnak volt más indiszkréciója is: egy szó,amit én sem találtam meg az itteni könyvtárakban semlegalább is nem egyértelműen. Tóth Árpád egyszerűenaz eredeti szó magyar fonetikus kiejtését használja:"...Gileádban...", amit én szelencének fordítok, mertszerintem a kábítószertartó így a legérthetőbb, noha azeredeti szó talán inkább folyadéktartót jelenthetett. Akábítószert is az eredetiből fonetizálja "nepenthé"-nek.Talán egyszerűen "kábítószer"-nek fordítani aleghelyesebb!A holló megjelenésétől kezdve a vers temperamentumaegyre zabolátlanabbá válik, összefüggéseibenlazul és a sejtelmeinek mámorában a legexponáltabbhelyen vallja be, hogy kábítószerrel próbálja csillapítanifájdalmát. Az utolsó szakaszban ez a fájdalom fény ésárnyék jelképébe jegecedik.A két műfordítás közül mégis Tóth Árpádé apontosabb, mert Kosztolányi fest szélesebb ecsetekkelés idiómaátültetései néha messzebb távolodnak azeredeti értelemtől, noha ő is aprólékosan formahű. Egyegy sorban előforduló szójátékot is visszaadják amagyar szöveg megfelelő helyén. A sorközi rímeket azén fordításom szóközi rím gyanánt is megengedipontosan a fentebb meghatározott akusztikai okoknálfogva. Például a második strófában: "sziporka stb.."Verstanilag sem egyszerű, mert a felező nyolcas ésnyolcadfeles trohaeikus sorok cezúráiban ugyan pontos,de megadja a lehetőséget arra, hogy a sorközi rímeketszóközi rímekként is lehessen kezelni. A középrímekperszeverálódásával Poe minden versszakban a refrénrekészít kontrapontot, – mint ahogyan egy zeneműmelléktémája a főtéma kihangsúlyozása érdekébenszerepelhet így, – a sorvégi főrímmel célozza meg arefrént minden szakaszban, azt a pontot, amit aversszak záró három és feles trohaeikus félsora elér ésvisszhangozza az eredeti hívórímet, amely már a strófákmásodik sorának, a nyolcadfélelesnek a végérőlkövetelődzik és a negyedik és ötödik sorok végérőlszinte rögeszmésen siet a refrént megtalálni.A holló megjelenésétől kezdve egyre inkább hat akábítószeres mámor által előidézett titokzatossejtelmesség, amely a versben az érzést bizonytalanná,tétovává teszi. Kikacagja, kigúnyolja a hollót, sőtmegsajnálja, még segítségül hívja, kérelmet is intézhozzá, hogy végül meglássa igazi mivoltában, amelybenmár boldogtalanságának csak mintegy jelképe szerepel.Kedves Melinda!Pécsely, 2009. júl. 22.Engedje meg, hogy mindjárt így szólítsam. Igazánnagy meglepetést és óriási örömet szerzett a rangosfolyóiratban kijött munkáim közlésével. Ilyen nagyterjedelemmel, ilyen gonddal és megtisztelőmegértéssel soha egyetlen hazai folyóirat sem közölttőlem írásokat. Csak néhány tudós barát s egy-két költőelődömtől kaptam valami ehhez fogható ajándékot. Deekkorát még tőlük sem.Csekély viszonzásul elküldöm Illyés Gyula nekemajándékozott kézirat másolatát*, Fiam köttettekönyvecskébe.Egy olvasóm-illusztrátorom 10 példányt szeretnerendelni, vásárolni a kiadványból, én is vennék ennyit.[...]Még egyszer sok-sok köszönettel és üdvözlettel ebbőla szűkös magányomból.Bodosi György alias Józsa Tivadar* Bodosi György első, «Ébresztgetések» c. kötetebevezetőjének kézirataSzerk.: Íme Bodosi György az Öröm szavai c. elsőkötetéhez írt bevezetőjének, szinte ereklyének számító,Illyés-kéziratból az első és az utolsó oldal fénymásolataa Pécselyen élő, 84 éves ny. orvos, író és költő kísérőszavaival:A vers monoton zsolozsmaszerű kántálásábancsaknem hisztérikusan érkezik el azokra a pontokra,ahol ez a mormolás valamiféle mámoros dinamikába,halucinációs, kábítószeres dühöngésbe, sőtkétségbeesésbe omlik. Ezzel a verssel nagyonszerencsések vagyunk, hogy nyelvünk is eléggé erősentrohaeikus, mert a mi műfordításainkban ez a lejtésakaratlanul is felfokozódott állapotban hallatszik a kétverselés szimultánitása miatt! Zenéje tehát erősebbenés mélyebben hat, mint más nyelvek verselésében!Számomra talán pontosan a zenéje miatt a világlíraegyik legszebb verse marad!Kézcsókkal: Imre<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 233


_______Szerzői profil _______Hollósy Tóth KláraHollósy Tóth Klára Győrben született,ahol ma is él, 1949. szeptember 6-án.Irodalomszeretete már az általánosiskolában elkezdődött, és továbbfokozódott. Már gyermekkorában írt verseket, amik afaliújságon, és gyermeklapokban jelentek meg.A győri Zrínyi Ilona gimnáziumban érettségizett1968-ban. Orvosnak készült, ahova kétszer fel is vették,de családi körülményei miatt abba kellett hagynia.Dolgoznia kellett. A Magyar Vagon- és Gépgyárbavették fel, ahol előbb munkaügyi előadó volt. Ezután aHúsipari vállalatnál, szintén mint munkaügyi előadó,majd munkaügyi- és személyügyi vezető lett.Munkajogból és szociálpolitikából felsőfokú végzettségevan. Munkaviszonya huszonnyolc évig folyamatos volt,míg a munkáltatók meg nem szűntek. A rendszerváltásnegatív változásokat eredményezett nála is. Azótaidejének nagy részét az irodalommal tölti. Nélküle azélet, mint mondja, egyhangú, üres létezés.Versei folyamatosan jelennek meg a helyi, s azországos lapokban, antológiákban. A győri Zsarátban, aHitvallásban, a Világosvárban, a Beöthy Galériagondozásában kiadott könyvekben, a budapesti Klárisirodalmi folyóiratban, s itt évenként kiadottantológiákban.Az Uránusz kiadótól kapta a Nívódíj első fokozatát.Két kötete jelent meg; Gyöngyhimnusz és Örökmegújulás címen. Sajnos anyagi helyzete miatt a többitmegjelentetni nem tudta. Kiadásra készem várja mégnyolc teljesen kész kötet.Alkotásait a lélek, a szellem, az értelem folytonosajzottsága jellemzi, az élet jobbá tételére irányulva.Mögöttük mindig ott érezzük változó világunktartományait, a sokfelé áradó figyelmet, a lélekközérzetét, az idő múlását, az élet értelménekkeresését. Világlátása a tisztaság, az örökkévalóságábrándjával ajándékozza meg olvasóit.Kedves Melinda!A KáptalandombonKüldöm a lemezkét. Örömmel fogadtam, hogy érdekliFellegek szegültek mellém társnak,és remélem, hogy valamelyik következőbelül a béke van velem,Osservatoriójában talál helyet erre is, hogy válogatvaazúrég öleli a tájat,közölni tudjon ebből annyit, amennyiből kiderülhethol századokról mesél a történelem.mennyire érdekes és értékes életutat járt meg az énIdegen hadaknak látom harcát,mélységesen minden kulturális jelenségre fogékonynémetnek, töröknek, franciának,kerámia-művész barátom.mit életükben jól összekuszáltak,S micsoda megerősítése ez is annak, amire ajóvátenni talán még visszajárnak.folyóiratában Maga is törekszik. Hogy a magyar és azMennyi átlényegült múlt, ma jelen,olasz kultúra értékeinek egymáshoz közelítése, szinteműemlék a domb legmagasabb pontján,összeolvasztása által milyen új és mennyire értékes, a Püspökvár, a templom, kísért a múlt szüntelen,szellemiségünket átható, megújító alkotásokdicsőség tüzén át, s tragédián!születhetnek.Mennyi ember tudna itt mesélni,Kérem, soha ne hagyja abba; valahogy mindig lehetha összegyűlne, kit e domb ideköt,módot találni a folytatásra.mennyi történést takar ez örököltSok szeretettel köszöntöm és üdvözlöm. Most mégszent istváni talpalatnyi föld!néhány napig innét ebből a csodaszép völgyből, de márMennyi emléket takar, hálát, gyönyört,hazakészülve, abba a Pannon-dombok között rejtőző,a rézrozsdák kibomló színképe,de számtalan csodát rejtegető völgybe:a nagyharang konduló hangja,Ossana, 2009. aug. 31.mind üzenet, a múlt emléke.TivadarMekkora időtáv, Istenem!(Bodosi György)mit ringat a csend immár ezer éve,234<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


mennyi víz lefolyt azóta a Dunán,s kiált fel még az „asszonyi kín” az égre.Mily hatalmas kincstár, szent ereklyékkel,vérző könnyet ontó szűzanya kép,mily alázatot, csodálatot, hordoz széjjelaz arcán átsugárzó mennyei fény.Fellegek szegültek mellém társnak,s ezernyi lélek, csendes suttogás,merengek a múlton, míg csörgedez továbba múltat idéző visszhang, s a vízcsobogás.Csendes nyugalomA fák között a nap mélysötétbe ível,az erdő árnyas ölében időzöm,nem találkozom itt bizton senkivel,ábrándozom múlt, s jelen időkön.Teljes a csend, néma, rezzenéstelen,tágul egyre a belső látóhatár,ezüst tükrében ring a végtelen,romlatlanná magasztosulva át.Észrevétlen, nyugszik az örök körforgás,s a mértékletes, dicső hatalmasság,a folyton kétkedő, kutató tudat,nem lel, s tán nem is akar kiutat.Itt láthatod, ami felfoghatatlan,érezheted, ami kimondhatatlan,s képzelheted, mit rejthet egésze,melynek az ember parányi része….Szemlélem a forgást, a szféra rendjét,az ég alatt s a föld örvénye fölött,zöld édenét ragyogja fel a mennyég,harmatokon az ég-földi délkörök…A levelek, mit fürge, kicsi ujjakjátszanak és megtelnek a fénnyel,újabb és újabb széldalok fakadnak,a perzselő nap pezsegve kémlel.Örök Rend ez, egy és oszthatatlan,ősidőktől eredő, tépetlen fonál,a föld szíve dörömböl alattam,míg szállnak egyre a hűs melódiák.Lüktet és színt vált kezdettől az élet,tavaszra nyár jön, őszre meg a tél,ha kileng is, semmit sem cserél fel,miközben folyton szerepet cserél.Csendes, szelíd, lágy ez életzsongás,ha tavasz ébred, vagy itt a nyár,ugyanaz minden, létmosolygás,akkor is, ha a tél sok szín - őszt vált.Körülölel a szél, meg-megsimogat,s egy kicsit jobban tán azt, aki árva,a felhős ég, mely most csupa hab,vigasztalón borul a világra.Nincs semmi és nem is lesz hiába,sem az ég, sem a nap mosolygása,vagy ha szél kap a lomb zöld hajába,nem csak eltűri, de várja már, várja.Mintha ismerné egymást, ég, föld, s a világ,együtt és külön járja hadjáratát,a megfékezhetetlen őserő,mely nem tudni hol, mikor tör elő.Mily’ óriás ő, és mily parány az ember,olyan furcsa, mégis ismerős érzés,míg elmerengek a léten, s mindezen,érzem az én nagyságát, s törpeségét…A benn, a kinn együtt remeg, egy még,- Nincs idő, mondják, - és rohan és vágtat,létet ölelő szívem egészénérzem megszokott, soha nem nyugvó ízét,a végtelen, számomra véges áradatának…A Végtelen románcaFenséges, gyönyörű csend Te!Újra hozod az űzött reményt,lélekfényt küldesz a versbe,mezőkről megtérve, merengve,s forró szelet, míg látom miképp,lebeg felém az üzenet,a lélek csak hangodra hallgat,mint az erdő megtelve lombbal,újra táguló keretbe foglalmindenséged ege, mely színarany.S mint eső után a földnek,kisimul milliónyi ránca,így érzem magam előtted,ki mindenem magadhoz kötötted,Végtelen, gyönyörű románca!Ars poeticaKöltő vagyok, - mi érdekelne,ha nem a költészet maga?az ember sorsa, tévedése,kitartása és bánata.Az élet puszta jelenléte,mely, mint a füst, oly illanó,míg felcsodálkozunk az égre,vakulni kezd a lenn való.Költő vagyok, - vers az életem,magam az Emberhez mérem,egy hallgatásba bújt értelem,s jó, csak az Isten szemében.„Az idő” gyorsan „ elszivárog”,a lét együttes érdekünk,ne csak éld, értsd meg a világot,hol egyenlőnek születünk.2009. május 15. péntekSzép az élet, ha boldog lehetsz,ha naponta, nincs aki bánt,ha nem csak egyszer, többször ehetsz,ha volt ki jó napot kívánt.Más költők? – biz’ jó lenne velüknaphosszat elbeszélgetni,mert egyezik az igaz hitünk,merünk sötétben fényleni.Költészet nélkül ez a valócsak üres időfolyamat,Ő a Mindenséghez hasonló,megkoronázott öntudat.Költő vagyok, könyvek közt élek,asztalomon papírhalom,a Gondviselést hiszem, s félem,még itt, e mozgó csillagon.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 235


Ha túllépek e sivár léten,a végtelen képzeletig,e foghatatlan jelenléten/el/ tudnék időzni évekig!A vers a költészet egy része,a költészet, a mély maga,csak szállna mindenki szívébee csoda szentelt angyala!Tiszta forrásból inni mindigés inni adni mindenkinek,könnyebb lenne a terhet vinni,élet? – nem fájna senkinek!Költő vagyok, egy emberi lény,szomjam csillapíthatatlan,vad gyökéren ringó sziklevél,az isteni akaratban.Feladatunk sok van, rengeteg,napra-nap küzdünk, alkotunk,mert nem mindegy, mert nem egyre megy,holnapra hova is jutunk.Mi nem fogjuk be „ pörös” szánkat,teszünk a tudásért, hitért,őriz az idő, nem e század,és megfizet majd mindenért!Ha akarunk, mi tudunk tenni,ha vezet a jóakarat,a léttel kéne megbékélni,s csak magunknak tenni panaszt!Senki senkit meg ne alázzon,hozzá nincs joga senkinek!ne dicsérjen, de ne gyalázzon,és boldog ne csak én legyek!Én azt kívánom mindenkinek,hogy az élete jobb legyen,hogy ne ejtsenek annyi könnyet,hogy megéljenek rendesen!A jólétet, a várt Kánaánt,sorsunk minősége adja,s hogy üljünk a Jog asztalánál,végre jöjjön el a napja!Költő vagyok, vágyakkal tele,földi mércével mérhető,éltet a tenni vágyás heve,de sürget a futamidő.ÚTINAPLÓde magát túlértékeli,s mert önhittsége véghetetlen,így nem tud mást, csak veszteni.Csak egy a biztos, hogy meghalunk,ellene senki nem tehet,de addig küzdünk, nem alkuszunk,másképpen tennünk nem lehet!B. Tamás-Tarr Melinda (1953) — <strong>Ferrara</strong> (I)DÉL-OLASZORSZÁGBAN BARANGOLTAM – VI./1.(Júliusi útinapló – 2007)Július 17-i, keddi programunk azalábbi volt: Santa Maria di Leuca (= S.Maria di Leuca de Finibus Terrae),Capo di S. Maria di Leuca, PuntaRistola, Marina di Pescoluse strandja, majd visszafeléCursiba, a szállásunkra Castróig (ld. a téképet) apartvidéken haladtunk végig.Santa Maria di Leuca DeFinibus Terrae a csizmasarkának a végső pontja.Nevében a „Leuca” szó akeletről érkező ókori göröghajósoktól ered: a naptólmegvilágított, fehér (leucòs)kis városkát nevezték el így. A „Santa Maria” név pediga Palesztinábólérkező Szt.Pétertől származik,aki pontosanitt kezdtemeg az igehírdetést,s aSzűznek (Vergine)ajánlva avárost elkeresztelteSanta Mariának. A „De Finibus Terrae” elnevezéspedig a rómaiaknak köszönhető. Az a pontja, ahol avilágítótorony emelkedik Capo di Santa Maria di Leucanéven ismeretes. Íme a néhány fénykép a kegyhelyrőlés környékéről:Olyan szűkre szabott az élet,gáncsok közt hervad a remény,az ember véges, s oly’ törékeny,jólesne egy meleg tenyér!A jót vágyja az ember lelke,az igazat, elérhetőt,mert e létre van megteremtve,s kitartásra a cél előtt.… és nincsenek született rosszak,csupán csak létfeltételek,nincsenek bitangok, gonoszak,csak elhibázott életek.Igaz hogy még nem nagy az ember,Madonna di Leuca De Finibus Terrae Bazilika és az őrtorony236<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Madonna di Leuca De Finibus Terrae BazilikaA Bazilika belülrőlMadonna di Leuca De Finibus Terrae BazilikaBazilika tér: Korinthoszi oszlop a Szűzanya szobrával ésOlaszország egyik legfontosabb világító (őr)tornya: 48 mmagas, 102 m tengerszint feletti magasságban.Madonna di Leuca De Finibus Terrae BazilikaA Bazilika belülrőlEz utóbbi két felvétel a Bazilika térről látszó panorámát örökíti meg.237<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Krisztus Király templomamuzulmánok és az algírok fosztották ki. Ezt követően1663-ban ismét felépítették és felszentelték.1720-ban nyerte el a ma is látható homlokzatát, amelyegy várerődítmény jelleget kölcsönöz neki.A Bazilikától 184 lépcsőfok vezet le a kikötőhöz. Amonumentális lépcsősort és annak végét jelző rómaioszlopot Benito Mussolini duce küldte Rómából.A képeken látható a továbbiakbani néhány felvétellátható a városka barlangjairól. Nem tudvánbeazonosítani, csak a felsorolásukra szorítkozom: grottadella Porcinara, grotta del Diavolo, grotta del Fiume,grotta del Presepe, grotta delle Tre Porte, grotta delBambino, grotta dei Giganti, grotta della Stalla, grottadel Drago, grotta dei Cazzafri, grotta del Morigio, grottadel Terradico, grotta della Verdusella, grotta delCattedrale, grotta delle Mannute, grotta del Canale,grotta dell’Ortocupo.Villa Meridiana (a kép közepén a rózsaszín épület)A Halott Ember tornya (a híd mögött)A fentiekben láttatott „Madonna di Leuca” vagy „DeFinibus Terrae”-nek nevezett templom a kereszténységelső éveihez vezet vissza. Az ókori Minerva romjainépült, amelyet Galrius császár (293-311) építtetett,melyet aztán 343-ban I. Julius pápa újra építtetett ésfelszentelte Szűz Mária (Maria Vergine) tiszteletére.Számtalan lerombolása után 1507-ben Del Balzóékemelték újra. Erre az időre tehető Tiziano egyiktanítványának, Giacomo Palmának «Madonna” c.festményén Mária és a gyermek Jézus arcának csodás,rongálódás nélküli fennmaradása. A sok viszontagságotmegért templomot ezek után ismét csapás érte: a238<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


során sok megrongálódott, elveszítették eredetiformájukat. Ezek közül sokat felhasználtak akiköltöztetettek fogadására. A még máig is régiformájukat megőrző villák a következők: a Villa Daniele,Villa Mellacqua, Villa La Meridiana, Villa LoretaStefanachi, Villa Episcopo, Villa Colosso, Villa Arditi, VillaDe Francesco, Villa Seracca. Ezek a XIX. századi villák alegkülönbözőbb stílusban épültek Ruggeri és Rossiépítészek keze nyomán. Az előző képeken láthatónéhány villa, de sajnos a jelzett kivételével nem tudombeazonosítani ezeket sem, akárcsak a barlangokat.Számos költő megörökítette Santa Maria Leucátkölteményében, de ezek közül a legjelentősebb anagyra becsült Vittorio Bodini (1914. jan. 6. Bari –1970. dec. 19. Róma) költő, m8fordító és hispanistaFinibusterrae (Földhatárkő) c. verse:Jelentősek a XIX. századbeli villák, összesen 43található ebben a városkában, amelyek közül a háborúkVittorio Bodini (1914–1970)FinibusterraeVorrei essere fieno sul finire del giornoportato alla derivafra campi di tabacco e ulivi, su un carroche arriva in un paese dopo il tramontoin un'aria di gomma scura.Angeli pterodattili sorvolanoquello stretto cunicolo in cui il giornovacilla: è un'orache è peggio solo morire, e sola luceè accesa in piazza una sala da barba.Il fanale d'un camion,scopa d'apocalisse, va scoprendocrolli di donne in fuganel vano delle porte e torneràil bianco per un attimo a brillaredella calce, regina arsa e concretain questi umili luoghi dove termini, Italia, in poca rissad'acque ai piedi d'un faroÈ qui che i salentini dopo mortifanno ritornocol cappello in testa.Vittorio Bodini (1914–1970)FöldhatárkőSzéna szeretnék lenni, melyet esteledvealkony után, egy faluba sötét légburokkal jött szekérena bagó- s olívamezők közti határba visznek.Pterodactylus angyalok elröppennekama szoros csatorna felett,ahol tétovázik a nap: ez az az óra,amikor csak meghalni rosszabb.Egyetlen villany gyúlt a téren:a borbély üzletében.Egy kamionfényszóró apokalipszisre bukkanfeltárva, hogy asszonyok menekülőbenösszerogynak a kapuk terében.A világosság egy pillanatra visszatérs megcsillan a sziklák falán, lángoló s valós királynéezen alázatos helyen, ahol Itália véget éraz őrtorony lábánál alig moccanó vizen.Itt az a hely, hol a salentinóiakholtuk után visszatérnek,fejükön kalapot viselnek.Traduzione (ancora provvisoria) di © Melinda B. Tamás-TarrFordította © B. Tamás-Tarr Melinda (egyelőre még ideiglenesfordítás)Mivel már nagyon melegünk volt, elhatároztuk, hogymegmártózunk a Jón-tenger kristálytiszta vizében. EzértPescoluse – természetvédelmi területen lévő –szabadstrandjá szemeltük ki. Nagyon jól tettük! Ennyireátlátszó tengervizet eddig sehol sem láttunk! Élvezetvolt benne lubickolni! Ahányszor kijöttünk, annyiszorcsalogatott vissza bennünket: „Gyertek, gyertek,mártózzatok meg gyönyörű, áttetsző vizemben!Felüdítelek benneteket!...”- szinte véltük hallani ehívogatást. Bizony nem várattunk magunkra, nagyonsokszor visszatértünk vízébe, ami általában a mi lídóinkstrandján nem jellemző ránk.Ide még visszatértünk egy másnapi kirándulásinapon, útban szálláshelyünk felé. Mikor mármegelégeltük a lubickolást, felkerekedtünk ésszálláshelyünk felé vettük utunkat a partszegélyenvégig Costáig, s onnan hajtottunk a Cursiba vezetőútra, a csizmasarok belsejébe.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 239


Cursi, kilátás a szobánk ablakábólMásnap, július 18-án, szerdán Magliéba, Galatinábaés Gallipoliba kirándultunk, de erről a következőrészben számolok be.Link:Dél-Olaszországban barangoltam – I.: Videó/ÚtbanCastel del Montéba, a nyolcszegletű várkastélyhoz:http://www.osservatorioletterario.net/barangolas.pdfhttp://www.osservatorioletterario.net/castelmonte.wmvDél-Olaszországban barangoltam – II.:http://www.osservatorioletterario.net/barangolas2.pdfhttp://www.osservatorioletterario.net/grottacastellana.wmvhttp://www.osservatorioletterario.net/utostuniba1.wmvhttp://www.osservatorioletterario.net/utostuniba2.wmvhttp://www.osservatorioletterario.net/utostuniba3.wmvhttp://www.osservatorioletterario.net/utostuniba4.wmvhttp://www.osservatorioletterario.net/utostuniba5.wmvDél-Olaszországban barangoltam – III.:http://www.osservatorioletterario.net/barangolas3.pdfNéhány vadasparki (Fasano, Zoo Safari) videofelvétel:http://www.osservatorioletterario.net/fasano1.wmvhttp://www.osservatorioletterario.net/fasano2.wmvhttp://www.osservatorioletterario.net/fasano3.wmvhttp://www.osservatorioletterario.net/fasano4.wmvhttp://www.osservatorioletterario.net/fasano5.wmvhttp://www.osservatorioletterario.net/fasano6.wmvhttp://www.osservatorioletterario.net/fasano7.wmvhttp://www.osservatorioletterario.net/fasano8.wmvhttp://www.osservatorioletterario.net/fasano9.wmvhttp://www.osservatorioletterario.net/fasano10.wmvDél-Olaszországban barangoltam – IV.: Más útinaplókés egyéb utazási élmények:http://www.osservatorioletterario.net/barangolas4.pdfhttp://gportal.hu/gindex.php?pg=2639430Fotók/videók © Dr. B. Tamás-Tarr MelindaForrás: Az Oservatorio Letterario 2007. szeptember 14.-i online melléklete.6./1.) Folyt. köv.KÖNYVESPOLCMelinda Tamás-Tarr BonaniDA ANIMA AD ANIMAOsservatorio Letterario <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove, EdizioniO.L.F.A., <strong>Ferrara</strong>, 2009, 150 old.Az egyszerű és közvetlen, mindenfennhéjázástól mentes címből kiindulva, az emberérzékeli azt a valóságos elkötelezettséget,hogy a versből verslegyen a fordítás eszközénkeresztül, amely soha nem teljesenmagától értetődő, ésamely legtöbbször eltérítve azeredeti költői kifejezésmód autentikusságátólgyakran figyelmenkívül marad. A cím egyébkéntTóth Árpád sorait vette kölcsön,amely a spontán kommunikációtkeresve kozmikus távolságokattár fel.A szövegben esetlegesen fellelhető nyelvi tökéletlenségekegyáltalán nem rontják az új alakba öltés érzetét,inkább az érdekes kulturális kezdeményezések támogatásátszolgáló struktúrák nemléte érzékelhető, mintolyan valakinek a hiányossága, aki a tanult nyelv kitűnőismeretében bátran próbára teszi önmagát.Külön ki kell emelni, hogy a szerző az OsservatorioLettario folyóiraton keresztül sok éve teljeserőbedobással dolgozik az Olaszország és Magyarországközötti kulturális értékek kölcsönös átadásán.A számos idézett költemény között vannak versek,amelyek gyakran élnek az anaforával, de a rímekhez ésaz asszonáncokhoz is vissza-visszatérnek, amelyeket afordítónő lelkiismeretesen újraépít olasz nyelven.Szóismétlés, különösen a “csók” és az “ajkak” jellemeztöbb költőt is, kiemelve a romantikusabb gyökerűművészeket. Rögtön tanúja is mindennek Ady Endre,aki franciaországi tartózkodása során írta meg aPárisban járt az Ősz című versét, és itt szívott magába amauditoktól* bizonyos irányvonalakat, amely leginkábbAz utolsó mosoly groteszk vallomásában nyilvánul meg:“Óh, nagyon csúnyán éltem: /Milyen szép halottleszek”.Régebbi, de ennek ellenére kifejezőbbek Csokonai VitézMihály szerelmes négysoros strófái. „A hatalmasszerelemnek / elemésztő tüze bánt”. A nagyszerű JózsefAttila soraiban a szerelem felmagasztosul:„beleolvadnánk lassan, pirosan / illatos oltáron égve / avégtelenségbe.” Juhász Gyula, aki ugyanabban azévben (1937) lett öngyilkos, akárcsak József Attila, ésutóbbihoz hasonlóan nyilvánvaló pszichés zavarokatmutatott, mindezek ellenére illusztris lírai költő, aki aszerelmes szavaival is a márciusi szelet láttatja a sírokközött. Kölcsey Ferenccel, a magyar nemzeti himnuszszerzőjével végighaladunk a magyar történelemkórelőzményén, a „balsorsán”, a népen, amelymegbűnhődte „a múltat s jövendőt” „Bécsnek büszkevára”, a „rabló mongolok” és a törökök alatt. Történelmiszenvedést említ Kosztolányi Dezső is: „Süt a napfény,mégse látnak / a magyar a nagyvilágnak / árvája.”Petőfi Sándor viszont, a hazafiasság szimbóluma,továbbá kiváló magyar költő, alig több, minthúszévesen [Szerk. mgj.: 26 évesen] feláldozta önmagát a„talpra magyar, hí a haza” szellemében. Rónay Györgya Jelenlét soraival („mindenütt láthatatlan” és„mindenben látható”) a metafizika felé fordul, mígSzabó Lőrincnél kafkai újjászületést láthatunk, aki ahernyóban angyalt és menedéket sejt. Vallásostémaválasztás jellemzi Dsida Jenőt, Ábrányi Emilt,Reményik Sándort, Tolnai Bíró Ábelt és HorváthMagdolnát.240<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


Nagyszerű sorok Vörösmarty Mihály szerelmeskirohanásai és Weöres Sándor erdő labirintusábanszétáradó sorai. A kortársak szekciójában kétségkívülmeg kell említeni Erdős Olgát, akinek soraiból látható,hogy komoly tehetség. Kitűnik átható és eredetiképhasználatával: „korhadt kerítésre / felfutólepkeszirmú / folyondárvirág”, „konyakízű gondolat, /kővédermedt kérdőjel”. Kiváló Legéndy Jácint prózaistílusa, akárcsak a német állampolgárságú SchneiderAlfréd strukturális minimalizmusa, aki esőcseppekenkeresztül látja meg bárhol az unalmat „apró ejtőernyőktömegében”. Kiemelkedő Tóth Erzsébet tanúságtétele,aki sorain keresztül idézi fel a nácik és a kommunistákáltal szétmarcangolt Lengyelországot. A vers kellőtisztelettel adózik Katyń elpusztított áldozatai előtt,mely pusztítást sokáig titkoltak a Sztálin parancsára aztkivitelező szovjet csapatok, a Molotov-Ribbentropegyezménnyel, amely a Hitler által lemészárolt liberálisEurópa álmát támogatta. Szerencsére aztán ez utóbbielég esztelen volt ahhoz, hogy meghiúsuljon egyhasonló terv, de Budapest emlékszik még rá, mennyiáldozatba került a szabadság egész Kelet-Európaszámára.Jelen van az egyik szekcióban néhány verssel akétnyelvű Tamás-Tarr Melinda is, figyelemre méltó azintése az új generációk (leginkább az elvtelenek ésértéknélküliek) felé, hogy tiszteljék a szüleiket.Rendkívüli módon osztozni lehet a tudomány és vallásmonopóliumáról, a dogmákról és illúziókról alkotottkiegyensúlyozott álláspontjaival, mindez gördülékeny,modern és szabatos költői stílusban kifejezve.A szerző egy hosszú önéletrajzi bejegyzéssel zárja akötetet, kiemelve, hogy gyakran, bár meglévén aszaktudás és igyekezet, ennek ellenére, ebben a mi„szép országunkban” kirekesztve maradnak azemberek. Olaszország mindig is olyan hely marad, ahola biztonságot nyújtó fix fizetés sosem a szakmai tudásszinonimája, sokkal inkább a rokonságot és azismerősöket megillető elit kiváltsága.E mű elolvasása előtt, csupán József Attilától és PetőfiSándortól ismertem valamit, mégis már érzékeltem enép poétikai súlyát, de mostanra, kétségtelenülállíthatom, hogy nagyon hiszek a magyar költészetben:vér folyik az ereikben, rendelkeznek epikai érzékkel,képesek mélyre ásni, ezért is hangoztatom a minőségimunka szükségességét, mert hiányzik, és mertmegérdemeli. (Ld. kétnyelvű előzetes:http://www.osservatorioletterario.net/da_anima_ad_anima_recensione.pdf )* Társadalmon kívüli, lecsúszott, züllött költők.Enrico Pietrangeli- Roma -Fordította © Erdős OlgaLektorálta/Javította: Melinda B. Tamás-TarrSzerk. Mgj.:Hálás köszönet Erdős Olga segítségéért, akifelkérésemre elvállalta ezt a számára nagy, fordítóikihívást. Készséges segítsége nélkül a rendelkezésemreálló idő hiányában és a rengeteg szerkesztői- éspublicisztikai munkám megvalósítása miatt ez arecenzió magyar nyelven nem jelenhetett volna megebben a számban, amit viszont most, ebben arovatban, az olasz eredetivel egyidejűleg feltétlenülpublikálni akartam magyarul is.Őszintén gratulálok, nagyszerűen megbirkózott aszámára nagyon nehéz szöveggel, még akkor is, haimitt-amott egy-két elértés miatt bele kellett javítanom,de ez semmivel sem csorbítja fordítói teljesítményét.Nem is volt kétségem effelől, ezért is mertem hozzáfordulni kérésemmel.Ugyancsak hálás köszönet a recenzens és költőEnrico Pietrangelinek is, aki valóban komolyanérdeklődött ezen műfordítás-antológiám iránt. Végreegy, szakmailag valóban hozzáértő olasz irodalmár, akiigazán az első, és aki mélységében érdeklődik hazánkköltészete iránt s nemcsak üres, semmitmondógratuláló szavakkal illeti a megjelentetett alkotásokat ésjól rátapint költészetünk lényegére -, amely egybőlkitűnt az antológia olvasása során küldött rövidüzenetéből, amely egyben a recenzió záró mondata is:«Köszönöm Melinda... én nagyon hiszek a magyarköltészetben... rengeteg vér folyik ereiben, epikusérzék, a mélységekben kutatás képessége... és szükségvan minőségi alkotásokra, mert hiányzik és mertmegérdemli». Ugyanis hiába jelentek meg ezek s akorábbi műfordítások több mint 13 éven keresztül ezenfolyóiratban, érdemes visszajelzést a magyar szerzőkrőleddig egyetlenegy olasz olvasó vagy kritikus semküldött be! Nyilván nem is olvasták, csak az olaszvonatkozású alkotásokat. Megjegyzem, más nemzetekirodalmi műveinek olasz nyelvű átültetésére semérkeztek jelzések az olaszok részéről, mely rájuk nézveszégyen, míg honfitársaim részéről igen: a hazámból ésa világ többi tájáról – még az óceánokon túlról is –befutottak reagálások, amiket ismételten megköszönökitt is.Enrico Pietrangeli fent idézett üzenete számomrakülön nagy öröm – amelyet a meghatódásig fokoz amár itt olvasható teljes recenzió –, s egyben az énműfordítói tevékenységemet is dícséri, hiszen ezekszerint, egyáltalán nem könnyű műfordítói munkámrévén, sikerült nem akárhogy átadni – bár csaktöredékesen – költészetünk lényegi vonásait. (- Bttm -)Czakó GáborBEAVATÁSa magyar észjárásbaCZ Simon Könyvek, Budapest 2009, 224 old.Nagy érdeklődéssel vettem kezembeCzakó Gábor könyvét, amely az elsőmagyar nyelvrégészeti könyv.A nyelvrégészet Czakó szerint újkeletű tudomány, csupán azEgyesült Államokban művelik. Eztazért azzal egészíteném ki, hogyOlaszországban is van egy személy,Carlo Fiorin (1948) aki a linguisztikaielmélkedéseiben az általa ki- vagyfeltalált ún. «archeologia lingustica»-valfoglalkozik, azaz a «nyelvirégészettel»/«nyelv-régészettel».Annak idején az ókori- és klasszikuskori istennevek nyelvrégészetiásatásaival kezdte első írásainak<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 241


publikálását. Sajnos azok a weboldalak már nemlelhetők fel a világhálón. (Legalábbis, az akkorvéletlenül rátalált oldalait most keresés után sem lehetmeglelni.) Az új portálon igaz újra elkezdi a témát, deugyanazok az írások már itt nem szerepelnek. Ha nemcsal az emlékezetem, 2-3 esetleg 4 éve botlottam belea világhálón. De, Olaszországban rajta kívül senki nemfoglalkozik ezzel a témakörrel, de a hivatásosnyelvészek szájából még említést sem hallottam anyelvrégészetről. Az az érzésem, mintha szándékosanövezné ezt a témakört kriptacsönd.No, de térjünk vissza Czakó Gábor könyvéhez.Mi is tulajdonképpen az a nyelvrégészet? Erről ígynyilatkozott Czakó Gábor: «Nehezen tudok róla, minttudományról beszélni, mivel én találtam ki.Tulajdonképpen nem más, mint szóleporolás. Anyelvben megőrződött jelentések, összefüggésekalapján való következtetés, amelynek során nagyvalószínűséggel megtudható, hogy miféle műveltségihatások érték az adott nyelv használóit. Hasonlókutatásokat végeznek másutt is, például anépművészeti tárgyaknak motívumaiból, anyagából éskészítési módjából következtetnek azok keletkezésiidejére. A magyar nyelvet is természetesen nagyonsokféle hatás érte az idők során, amelyek közül jónéhány megmaradt, és a mai napig eleven. Aleglátványosabb példa erre nyelvünk ősszámtudománya, amely a Hamvas Béla által „őskornak”nevezett időből eredeztethető, amely kb. a Kr. e. VI.században, Buddha, Zarathusztra és Püthagorasz idejénért véget. Az ekkor érintkező nagy kultúrák közösfelfogása szerint az egy a legnagyobb szám, magánakIstennek a száma, mert mindeneket Ő egyesít. Eleinkezt hasonlóan gondolták, erről körülbelül ötszázszavunk tanúskodik, amelyek az egységet megjelenítveegybefoglalnak, egyetértenek, kiegyenlítenek, egykövet fújnak, de ide sorolható az újabban létrejöttegyenlet, egyenruha stb. is. E szótömeg bizonyítja,hogy nyelvünket nem valami kósza hatás érte. Eszámfelfogás szerint a kettő nem két egy, hanem éppenellenkezőleg az egynek a meghasadása. A magyarbanez több tucat szóban világosan megjelenik,gondolhatunk itt a kétséges, kétszínű, kétkulacsos, deakár a sorszámnévi alakból képzett, s ugyanilyen rosszértelmű másodlagos, máslás, másodrendűkifejezéseinkre. Az Olvasó kéretik belegondolni pár ésfél szavaink értelmébe! A három a hagyományosfelfogás szerint a tökéletesség száma, ami anépmeséinkből mindenki számára egyértelmű, a négypedig a teljességre utal, ahogyan az égtájak, évszakoktagolása is bizonyítja. Az „őskori” ember kereknekgondolta el a világot, mely körforgásban él – lásdÁllatöv, év- és napszakok, kerek perec, kerek szám,megmondta kereken. A végtelen fogalmát elvetette.Nyelvédesanyánk a számok teljességét így mondja:egytől- s nyilván ezzel magyarázható az olaszországikriptacsönd is talján honban: «Nem igen lehet velükvitatkozni, a szakfolyóiratok meg sem jelentetik azenyémhez hasonló gondolatokat. Teljes a párbeszédképtelenséga fősodor és a magyarul beszélők közt.Hiába adtam ki közel ötven kötet magyar regényt,drámát, elbeszélést, esszét, hiába teremtettemműfajokat, hiába fedeztem föl – többek közt – amagyar szóhangsúly okát, anyanyelvem egyig.»A nyelvrégészet nagyban különbözik az etimológiától,a szavak eredetét (a szavaknak kívülről a nyelvbevezető útját) kutató tudománytól. «A nyelvrégész akülhasonlítás helyett belhasonlítást végez.Vizsgálatának tárgya a szavakban, szólásokban,kifejezésekben megőrződött szemléletmód ésösszefüggésrendszer.»Czakó elsősorban az úgynevezett belsőnyelvszemlélet 19. századi alapművére, Czuczor Gergelyés Fogarasi János A magyar nyelv szótára címűmunkájára támaszkodik. A 113 ezer szócikkből állógyűjtemény legfontosabb fogalma a szógyök, amelykörül kirajzolódik a gyökre épült szavak, szócsaládokágas-bogas rendszere. Az író e könyvénekmegjelenésekor az MTI-nek adott interjúban még azalábbiakat mondta:«Ágas-bogas, ez például igen jellemző a magyarnyelvre. Az európai nyelvekben nincsenek is ikerszavak.A mieink ráadásul ellentétpárok, hiszen valami vagy ág,vagy bog, élő vagy halott, a sütés és a főzés közöttpedig alapvető konyhafilozófiai különbség feszül» -mondta Czakó Gábor. Az első magyar nyelvrégészszerint a nyelv ilyen jellegzetességeiből kibontható abeszélők észjárása, világszemlélete.«A magyar nagyjából 2400 gyökből építkezik. A nyelvebből a(z alig kétezer gyökből, gyökérből) gyökérzetbőlhajt ki(, felfelé). Szerves rendszer, amely (holisztikus, )az egészből kiinduló gondolkodásmódra utal. Példa errea páros testrészeket jelentő főnevek - pl. kar, láb, fül -egyes számú használata.A magyar szókincs jelenleg közel egymillió szóból áll. Anyelv rendszere nyitott és demokratikus; a gyökökbőlszinte végtelen mennyiségben lehet új szavakat alkotni,amelyeket mindenki rögtön megért. "Amikor előszörmondta egy sportriporter, (vagy valaki más,) hogy acsatár áthámozta magát a védőkön, akkor egy újkifejezést alkotott, mégis mindenki tudta, miről beszél»Az azonnali megértést segíti egy további nyelvrégészetilelet, a magyar nyelv szemléletessége, képisége. "Abeszélőben a dolgok megképlenek. Czuczor és Fogarasiaz érzés, érzékiség fogalmát használja. A nyelvbölcselet19. századi nagyjai szerint a legtöbb magyar szógyökere valamilyen érzésből fakadt hang kinyomata.A nyelvrégészet alkalmas a más módszerekkel feltártismeretek gazdagítására, például elszegődhetsegédtudománynak a történeti földrajz mellé. A magyara hova kérdésre felelve a -ba és a -be, vagy a -ra és a -re helyhatározó ragot teszi a történelmi magyarszállásterületen fekvő települések neve után. AKárpátokon, vagy a Lajtán túli települések esetébenviszont általában csak a -ba, -be ragot használja, tehátmehetünk Őcsénybe, Kassára vagy Munkácsra, a Lajtántúl viszont csakis Párizsba, Krakkóba, Tokióbautazhatunk. A nyelvrégész leletei nem holtmaradványok, amelyeket a föld alól kell kiásni. Csak aszavakat kell megtisztítani a megszokás porától, éselőtűnik mindaz, amit őriz és életben tart a nyelv. »A tárgyalt témák közül már korábban ismegjelentettünk és ebben a számban publikálunk kéttanulmányát, amelyek a könyvben továbbfejlesztettek.Íme tehát a témakörök: Bevezetés a nyelvrégészetbe, Anyelvújításról; Finnek, ugorok és mi, A magyarfejedelmi központról, Révül-e a révész? ,Jer-gyeregyűjj-jöjj,Nyelv és zene, A magyar nyelv lelkéről, A242<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


magyar észjárásról, Gondolás, Szétszerkesztés,Függelék, Tükörmondatok, azaz palindromok, Szótárak,Helyváltoztatást jelentő igéinkről, Beszéd-igék, Ki hogyhal meg?, A Tejút 47 népi neve, Szórakodó GazdajIrodalomjegyzékkel zárul a könyv.A hivatásos nyelvészek Czakó Gábor újszerűtételeinek hozzáállásával kapcsolatban az alábbikszerint vélekedik: «Nem igen lehet velük vitatkozni, aszakfolyóiratok meg sem jelentetik az enyémhezhasonló gondolatokat. Teljes a párbeszéd-képtelenség afősodor és a magyarul beszélők közt. Hiába adtam kiközel ötven kötet magyar regényt, drámát, elbeszélést,esszét, hiába teremtettem műfajokat, hiába fedeztemföl – többek közt – a magyar szóhangsúly okát,anyanyelvem ügyeihez nem szólhatok. Szerintük az adilettáns nyelvész, aki nem publikál szaklapokban.Amelyeket ők szerkesztenek…Mindez nem számít, rég nem vagyok hiú. Az a szörnyű,hogy olyan nyelvtant tanítanak az iskolákban, amelyegy magyar ember nyelvérzékével sem talál, s amellyelmegutáltatják a gyerekekkel az édes anyanyelvüket.»Egyik érdekességként íme az eddig ismert leghosszabbmagyar palindrom (tükörmondat), vagyis az oda-visszaolvasva egyazon jelentésű szöveg Beyer Gyula, magyarsakkmester 185 szóból és 916 betűből álló szerelmeslevele az 1800-as évek vége tájáról (ld. 165. l.):«Nádasi K. Ottó, Kis-Adán, májusi szerdán e levelemírám: A mottó: Szívedig íme visz írás, kellemest író!Színlelő szív, rám kacsintál! De messzi visz szemed... Azálmok - ó, csaló szirének ezek, ó, csodaadók - elé les.Írok íme messze távol. Barnám! Lám, e szívindulat Öné.S ím e szív, e vér, ezeket ereszti ki: Szívem! Íme leveledelőttem, eszemet letevő! Kicsike! Szava remegne ott?Öleli karom át, Édesem! Lereszket „Éva-szív" rám.Szívem imád s áldozni kér réveden, régi gyerekistenem.Les, ím. Előtte visz szíved is. Ég. Érte reszketek, szeretrég, és ide visz. Szívet - tőlem is elmenet - siker egyigérne, de vérré kinzod (lásd ám: íme, visz már, visz avétek!) szerelmesedét. Ámor, aki lelőtt, ó, engem: eravasz, e kicsi! Követeltem eszemet tőled! E levelemíme viszi... Kit szeretek ezer éve, viszem is én őt, aludniviszem. Álmán rablóvá. tesz szeme. Mikor is elélekodaadó csók ezeken éri, szól: A csókom láza demesszi visz! Szemed látni csak már! Visz ölelni! Szoríts!Emellek, Sári, szívemig! Ide visz: Ottó. Ma már ím elevelen ádresz is új ám: Nádasi K. Ottó, Kis-Adán.»Na, ezt csinálja utánunk bármilyen nyelv! – kiált felCzakó Gábor. Vajon van-e a világon egy másik nyelv,amely erre képes?Szűcs TiborA MAGYAR VERS KETTŐSNYELVI TÜKÖRBENTinta Könyvkiadó, Budapest2007, 228 old. 2100,- FtPontosan egy évvel ezelőtt,lapunkban, az OsservatorioLetterario 2008/2009 65/66.(ld. Testvérmúzsák weboldalánis) számában jeleztema nem sokkal a folyóiratmegjelenése előtt felfedezett könyvet, amelynekalapjául a szerző habilitációs értekezése szolgált, amitismertem. A kötet véletlenszerű felfedezését követőenazonnal hírt is adtam róla a kiadó honlapján megjelenttájékoztató és az említett dolgozatban megszerzettismeretek alapján, amelyre utaltam is akkoricikkemben. Tavaly óta ez év szeptemberéig kellettvárnom, mivel addig nem volt lehetőség a külföldre valómegrendelésére, még a kiadónál sem. A csodaszeptemberben történt, amikor sikerült végre egy olyankülföldre is szállító online könyváruházat találnom, aholez a könyv meg is volt található.A saját szándékom mellett még két felkérésnek elegettéve írom jelen recenziómat. Ez ügyben szétküldöttinformációkérő leveleimnek köszönhetően, menetközben kapcsolatba kerültem két emberrel. Az egyikKiss Gábor volt, a kiadó ezen sorozatszerkesztője, akifelkért, hogy írjak egy recenziót a kötetről. A másik aszerző hungarológus, Szűcs Tibor volt, aki arra kért,hogy mondjak véleményt a könyvéről. Tehát triplaindíttatásból teszek eleget a fenti kéréseknek ezenrecenzióm megírásával.Nagy érdeklődéssel és nem kis kíváncsisággal vettemkezembe Szűcs Tibor egyedülálló könyvét, mivel azemlített habilitációs dolgozatának általam ismert igenrövidített kivonata csak töredéke ennek az óriásifordításkritikai munkának. Mit takar a könyv címe: Amagyar vers kettős nyelvi tükörben? Nem mást, mint amagyar költészet német és olasz fordításainakfordításkritikai értékelését: a kontrasztív nyelvészeti éskomparatív irodalomtudományi tényezőkszembesítésével kutatja, hogy miként tárható fel azeredeti szöveg és a fordítás kettős nyelvi-kulturáliskötődése az általa kiválasztott 18 magyar versfordításainak komparatív műelemzése során. Tehát, azeredeti forrásnyelvi és a célnyelvi – esetünkben anémet és az olasz – szöveg kettősmeghatározottságára utal a cím, valamint abeválogatott fordítások egy-egy eltérő tükrét idézi ezennyelvek és kultúrák együttesében.A könyv hat nagy fejezetre tagolódik: I. Bevezetőgondolatok, II. A nyelvi alapokhoz, III. Nyelv és kultúraegysége a vers világában, IV. Versfordítások –Párhuzamos (összehasonlító) elemzések, V. Afordításkritikai tanulságok összegezése, VI. Irodalom.A Bevezető gondolatokban a szerző azonnaltájékoztatja az olvasót alapvető célkitűzéséről, amelynem mást mint „annak magyar alapú kontrasztívvizsgálata, hogy milyen nyelvi és kulturális tényezőkhatározzák meg a formaközpontú művészi szöveglegkötöttebb műnemét, a lírát képviselő versnek afordítását; ennek megfelelően milyen sajátosfordításkritikai szempontok követésével minősíthető aművészi fordítás sikere...”Közli az olvasóval, hogy mely megfontolások vezettéka téma feldolgozásához, hogy miért éppen a versreesett a választása: 1.) azért, mert a tartalom-formaegység jegyében a lehető legszorosabb,legszervezettebb összeforrottságot képviseli; 2.) mintnyelvi műalkotás, ezzel összefüggésben alegnyilvánvalóbb nyelvi kötődést mutatja; 3.) a magyarirodalmi műveltségben hagyományosan egészen sajátosstátuszt élvez mind az irodalmi kánonunkon belül sokáigparadigmatikusnak tekinthető helyét, mind pedig a<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 243


nemzeti kultúrában betöltött kiemelt szerepét illetően.Ebben a fejezetben tesz szintetizáló említést a nyelvekés a szövegek szembesítéséről utalván anyelvtudomány újabb kori története során kialakulthárom alapvető (a történeti összehasonlító nyelvészet,a nyelvtipológia, az areális nyelvészet) megközelítésről,hangsúlyozván, hogy érdekes megfigyelni, hogy ezekmiként fonódnak össze az újabb nyelvtudományitörekvésekben. Ezután szól a nyelvtipológia hármasszemléleti körében megkülönböztetett tipikus rétegekről– azok miként kezelik a nyelvek egyetemestörvényszerűségeit, a nyelvsajátos jellemzőket, anyelvtípusokat –, a kontrasztív nyelvészet és afordítástudomány viszonyáról. A nyelvi alapokhoz c.fejezetben azon nyelvi sajátosságok kifejtéséről szól,amelyek meghatározhatják a művészi nyelvhasználatmagyar jellemzőinek és a német, olasz fordításokbantörténő tükröződéseinek alakulását. A harmadik fejezet(Nyelv és kultúra egysége a vers világában) többekközött szól a kontextuális és intertextuáliskapcsolatrendszer kérdéseiről, a magyar versfogadtatásáról a fordítások tükrében, a magyarirodalom olasz és német fogadtatásáról, a magyar verssajátos helyi értékéről, nyelvünk ütemhangsúlyos ésidőmértékes verselési ritmuselvhez való igazodásáról,irodalmunk néhány sajátos háttérvonásáról és ígytovább. A negyedik fejezetben (Versfordítások –Párhuzamos /összehasonlító/ elemzések) elérkezünk alegizgalmasabb részhez: hungarológiai horizonton amagyar-német/olasz kontrasztív nyelvészet – különösena fonológia és a szemantika – alkalmazott szintjénfoglalkozik a művészi fordítás messzeható tanulságaival.Az összevető (párhuzamos) verselemzések aképszerűség és a zeneiség szempontjából, az intertextualitásszélesebb kereteinek figyelembevételévelkerülnek Szűcs Tibor fordításkritikai nagyítója alá.Ebben a fejezetben válogatás olvasható a magyar líratermésének néhány német és olasz fordításából, ahováfolyóiratunk, az Osservatorio Letterario műfordítóinakmunkái is bekerültek: Preszler Ágnesé (Csokonai VitézMihály: A reményhez, Petőfi Sándor: Szeptembervégén, József Attila: Betlehemi királyok, Nagy László:Ki viszi át a szerelmet) és B. Tamás-Tarr Melindáé(Babits Mihály: Új leoninusok, Juhász Gyula: Milyenvolt... Ld. az olasz nyelvű recenziónál az ezzel kapcsolatosmagyar nyelvű részletet a 27-30. oldalon). Ebben afejezetben – ahogy a szerző előre jelezte – költészetünkértékeinek bemutatásához maga a versválogatás nemjelent reprezentatív mintát, hanem a különféle fordításimintával kívánt szolgálni, a különféle fordításiproblémák kihívásai, a fordításkritikai észrevételektanulságai határozták meg ebbe az irodalomtörténeti,stílustörténeti aspektusból rendkívül vegyes példatárbakerülést. E tekintetben a szerző nem törekedettsemmiféle tematikus, korszakoló vagy más rendszerezőelv követésére, egyben a kánon minősítő érzékeltetésesem volt célja. Itt minden egyes vers egyediműalkotásként kerül előtérbe s ekként szembesülfordításaival. Célkitűzése szerint a felsorakoztatottpéldák egészéből fordítástechnikai tekintetben valóbankikerekedett egy reprezentatív minta a magyar versfordításához, annak nehézségeihez, problémáinakkezeléséhez, megoldásainak megítéléséhez, a jelzettszempontrendszer szerint elsősorban a zenei hangzás –prozódia, versforma, metrika, rím stb. –, a képszerűség– metaforák, reáliák stb. – nyelvi remotivációs hatását,az intertextuális összefüggések érvényesítését illetvemindezek fordítói kompenzációját minősíti.Az ötödik fejezetben Szűcs Tibor összegezi afordításkritikai tanulságokat. Ezek a tanulságokfelhívják a figyelmet arra, hogy a magyar nyelv sajátosjellegének és összetett verselési rendszereinekköszönhetően elkerülhetetlenül szembetaláljukmagunkat a fordítást nehezítő körülményekkel.Megállapítja, hogy a magyar irodalom rendkívül gazdagés igényes műfordítás-irodalmának és a különfélefordításokban tükröződő magyar irodalomnak aszembesítése éppen a líra területén szolgál alegszembetűnőbb minőségi és mennyiségi aránytalanságokkal:abban a műnemben, amelyben a hazaiirodalom a legkimagaslóbb művészi teljesítményeketérte el, s amely a lehető legszorosabban kapcsolódik anyelv közegéhez. Ugyanakkor tudomásul kell, hogyvegyük, hogy a magyar költészet erőteljes nyelvitelítettsége sajátosan magyar jelenség, s a külföldrőlmutatkozó szélesebb olvasói érdeklődés nyitottságamanapság a prózának, az epikának kedvez. A szerzőmegállapítása és javaslata szerint éppen ezért iscélszerű a fordításban tükröződő nyelv-kultúraegységgel kapcsolatos elvárásokat átértelmezni, azaz:az adott forma tartalom-forma egység legelemibbújraalkotásaként szép vers született-e a német vagyolasz költészet hagyományainak értelmében? Aszokványosan magyar kiindulású tartalmi és formaihűség egyoldalú pólust rögzítő aprólékos minősítésiszempontjai helyett voltaképpen a maga interlingválisés interkulturális mozgásterében, azaz dinamikusabbankellene megragadni a versfordítást: ugyanis tudott,hogy a nyelvek és kultúrák művészi szintű dialógusábanszükségszerűen a pólusok között folyó kiegyenlítőközvetítésről van szó.Azt az általánosítást szűri le a hungarológus, hogy azitt érintett olasz fordítók rendszerint igen szorosankövetni kívánják a magyar nyelv gondolati-képi világát,ám jelentőségéhez mérten többnyire kisebb figyelmetszentelnek a zenei-formai réteg eredeti kötöttségeinek,a német fordítók viszont ez utóbbi tényezőket isigyekeznek többé-kevésbé szem előtt tartani, s ebbőlkiindulva – a szükség adott kényszerében – hajlanakakár a szemantikai, ill. képi módosításokra is. Márpedig– az esztétikai-poétikai-stilisztikai szempontból kulcsfontosságútartalom-forma egység felértékelődésénektudatában – az átültetés különféle szorosabb-lazábbtípusú megoldásaival (fordítás, adaptáció, verzió stb.)számolva a formaközpontú fordítás minősítésébenlényeges szempont lehet a vers formális organizációjának(versszak- és sorszerkezet, tagolás, versmondatok,szintaktikai parallelizmusok, ritmikai tagolás,rímszerkezet, cím stb.) megőrződése, ill. módosulása.Milyen kell, hogy legyen az ideális versfordító? Erre akérdésünkre az alábbi választ találhatjuk: az ideálisversfordító egyesíti magában a tökéletes minőséghezelvileg kívánatos jellemzőket: lehetőleg mesterségbelitudással (poétikai kompetenciával) rendelkező költő,kétnyelvű (mindkét érintett nyelven anyanyelvi beszélőiszintű nyelvi kompetenciával) és a kultúraközvetítésmissziójának elhivatott (értő és lelkes) részese egyszemélyben. Ez az optimális „együttállás” azonban csak244<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


itkán valósul meg a gyakorlatban – különösen amagyar versek fordítását illetően –, ezért már az iskülön örvendetes körülménynek számít, ha legalább kétemlített tényező szerencsésen találkozik egy-egy ilyenvállalkozás személyi hátterében.A könyv akár első, elméleti ismeretekkel foglalkozórészét, akár a fordításkritikai elemzéseket tanulmányozzuk,feltűnő ezen tudományterületen a szerző alaposismeretanyaga, felkészültsége, kiemelkedő szakértelme.Különösen szembeötlő, hogy minden sorából sugárzikaz anyanyelve és a szakma iránti szeretete, a fordítókkalés munkáikkal szemben érzett nagy tisztelete. Csakköszönet illeti a szerzőt ezen rendkívül egyedi, óriási éshasznos munkájáért, amely minden műfordítónak,irodalomtanárnak, költőnek, műfordítónak, általában aversszeretőknek az íróasztalán kellene, hogy legyen,mint az igazán hívő, jó keresztényeknél a Biblia,amelyet állandóan és többször olvasni kellene, mertnagyon értékes forráskritikai munka és a hasznoselméleti és gyakorlati ismeretek mellett gondolkozásra,újabb szakmai ötletek megszületésére késztet,műfordítói kihívásként egyre jobb, minőségi alkotásraserkent.Figyelmesen áttanulmányozván minden egyes öszszehasonlítófordításkritikai elemzést, a legnagyobbrészt osztozom a szerző megállapításaival, észrevételeivel,csak eggyel kapcsolatban szeretnék rácáfolni ill.indokolni a hungarológus által kiemelt választásaimat,amelyeket a 26 éves olasz nyelvi közegben tartózkodásomés olaszországi költői-, írói-, újságírói-, műfordítói-,valamint nyelvi- és kulturális közvetítői tevékenységemalapján tettem. Itt szeretnék visszajelezni annál is inkább,mert személy szerint is érdekelt vagyok Babits Újleoninusok (ld.: az olasz nyelvű Józsa-kritikához mellékeltezzel kapcsolatos fordításkritikai elemzést és az interneten ahttp://www.osservatorioletterario.net/forditaskritika_szucs_tibor.pdf weboldalt) és Juhász Gyula Milyen volt... c.versfordításommal kapcsolatban.Juhász Gyula versét érintő elemzésében és rövidösszegező megállapításában az alábbiakat írja SzűcsTibor, ahol nem minden rám vonatkozó megállapításával,észrevételével értek egyet:„[...] Tamás-Tarr fordítása természetesen ugyancsakélni tud az olasz nemi referencia korábbiegyértelműségével („ella”). Megoldásában feltűnik azAnnához kapcsolódó igeidői referencia (imperfetto)váltakozó módbeli megvalósulása: az első sorban mégkötőmód („fosse"), a későbbiekben már kijelentő mód(„era”). Az egyes évszakok megjelenítése részleteibenhelyenként kissé eltér az eredetitől: a nyárra és atavaszra először áttételesen utal („caldo" 'meleg';„risveglio" 'újjáéledés); a nyárhoz a 'sárga' helyett arokon 'arany' színt társítja, a „dús kalász" helyett'gazdag aratás' áll; az őszi ég „kinyílása" helyett azintenzívebb (egyben mély sebet is asszociáló)'felszakadások/hasadások' jelennek meg. Ezek aváltoztatások külön-külön persze egyáltalán nemjelentősek. Az azonban már a vers egészét tekintvesajnálatos veszteség, hogy a makrostruktúra említettanaforikus ismétlődése itt nem érvényesül, mert aközépső szakaszban megakad a bevezető szerkezetállandósága is, s ekként legföljebb keretszerűen térvissza végül fellazítva. A költői én emlékezését iskevésbé érzelmekkel telített igék, inkább az észlelés,illetve a külső helyváltoztatás racionális kifejezései('észreveszem'; 'odajutok/kikötök’; ’érkezni látszik’)jelenítik meg. [...][...] Az eredeti rímszerkezetnek (s jellegének, következetességének,illetve tendenciájának) az érzékeltetésemindegyik fordításban elsikkad. Dal Zuffo és Tamás-Tarr állandó rímképlet nélkül, Lénárd – a sorredukciórévén – középen hangsúlyosabb ölelkező rímekbe(abba) foglalva, Kunert pedig félrímekből (xaxa) indulvavégül részleges keresztrímeléssel (abab) alkalmazösszecsengéseket. Az alliteráció és a hangszimbolikaegyes említett effektusai-halványabb változatban –legföljebb Dal Zuffo és Kunert utolsó versszakábankelnek életre. (Ld. az olasz nyelvű recenzió utáni képmellékletet.)Röviden összegezve: Lénárd szabad eredetiséggel,Tamás-Tarr kevésbé szerencsésen, Dal Zuffo és Kunertviszonylag híven tolmácsolja a vers sajátos képi világánaképítkezését (a szerkezeti ívelés eléggé egyenetlenérzékeltetésével), ám a zenei réteg közvetítése igazábólegyik változatban sem közelíti meg az eredeti stílushatást.”Az alábbiakban pontról pontra kifejtem választásomszempontjait, amivel rácáfolnék a „kevésbé szerencsés”tolmácsolásra:1.) Fordításomban Juhász Gyula 11,10,11,10 szótagosverssorait 11 szótagos, azaz az olasz klasszikus verseléslegjellemzőbb formájában, a hendekaszillabás sorokbantolmácsoltam, míg Dal Zullónál a strófák sorainakszótagszámai az alábbiak: 9,11,15,13; 13,11,10,11;15,17,13,14. (Nb. Az olasz szótagolás verstanilag eltér amagyar szótagszámlálástól, nem számolhatók az olaszverssorok szótagszámai a mi grammatikai szótagolásiszabályaink szerint . 12.) A rímszerkezetet illetően, a két nyelv szerkezetikülönbségéből adódóan a fordításomban csak az elsőstrófában tudtam hű maradni Juhász Gyula ababkeresztrímeihez, a fennmaradó két strófában viszontölelkező rímekkel tudtam a sorvégek összecsendülésétbiztosítani. (N.b.: a műfordításomban az asszonáncokhelyett, inkább – a lábjegyzetben illusztrált példákalapján – inkább asszonánc-félét, vagy rímfüggetlen lazasorvéget – verso sciolto = laza, rímfüggetlen verssor– használnék). Ehhez viszont a második strófábana sorvégi összecsengés javára a verssor szórendjétmegváltoztattam s ezzel sajnos a makróstruktúra anaforikusismétlődésének veszteségét okoztam. 23.) Hogy nem szó szerint fordítottam a nyár és a tavasznévszókat, az is a rímelés és a hendekaszillaba megtartásamiatt történt. A caldo az olaszban a ’nyár’ szinonimája(caldo [sostantivo/névszó, fn.]: ’stagione calda’=estate:meleg évszak=nyár) – nemcsak melléknév,hanem főnév is az olaszban – s az olaszban gyakranhasználják a ’nyár’ (estate) helyett. Ugyanez a helyzeta risveglio (újjáéledés, újraébredés, újjászületés), a’tavasz’ (primavera) szinonimájával is s ez is nagyongyakori a költői- és a mindennapi nyelvhasználatban a’primavera’ helyett.4.) Mivel a dús kalász az érett gabonát jelenti, amelypedig az érett (sárga) gabonatáblákat láttatja, a messed’oro nem ’gazdag aratás’ értelemben használt nálam,ahogy Szűcs Tibor értelmezi, már csak azért sem, mertaz olasz észjárás és szóhasználat szerint általában és<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 245


leginkább általánosan a ’gabona’, ’gabona-félék’, éskülönösképpen a ’búza’, ’búzakalász’’ értelembenhasználatos – a gabonák növekedésének és érésénekteljes időszakában, mint a ’kalász’, az olasz spigatöbbes számú alakú spighe szinonimája –, amelynekösszképi hatása is erőteljesebb és beszédesebb, hangulatfestőereje hatásosabb. Az olasz költők, írók leggyakrabbans leginkább a sárguló, érett búzatáblákat a 'szőke',’sárga’ (vagy ’okkersárga’) melléknév rokonértelműváltozatával, az ’arany’ melléknévvel illetik, akárcsak aszőke női hajat...5.) A juhászi „kinyílt” őszi egek a sírós, esős őszt idézik,amely a költő lelkiállapotára utal, s mivel egy boldogtalanszerelem mély sebet ejt, ami nagy lelki fájdalommaljár, ezért választottam a mély sebet asszociáló,intenzívebb squarci főnevet, ami a lacerazione (gyötrődés,roncsolódás) szinonimája: kétségtelenül jobbanérzékelteti az önmarcangolást, ami akkor is nagyonerős, ha csak a távolból idézi fel a szeretett nő alakját,a boldogtalan, viszonzatlan szerelem okozóját, akinekemlékéhez azért visszarévedezésével vissza-visszatér sezzel magyarázható részemről – a sorvégi összecsengésbiztosítása mellett – az approdo választása: aszemek, a tekintet kellemes, jó érzést, szépséget kifejezőszínébe való bizonyos lehorgonyzást, görcsös belekapaszkodástis jelenthet, ami mindennek ellenérekedves élményt jelent/jelentett a költőnek...6.) Az alliterációval kapcsolatban Szűcs Tibor állításávalellentétben úgy vélem, hogy az én versfordításombanaz olasz verstani értelmezések alapján 3 igenis van alliteráció,sőt lényegesen több Dal Zuffóéhoz viszonyítva.Az első strófában vastag betűvel kiemeltem nagyjábólaz összes betűt, amelyeknek az olasz értelemben vettalliterációk fellelhetők: Di che biondo ella fosse ormainon so, / Però i campi sono biondi se il caldo/ Vienecon ricca messe d'oro, lo so, / E l'avverto un'altravolta in quel biondo. (o, s, c, d, a, l, n, e, p, r, talliterációi)Già non so di che azzurro era il suo sguardo,/ Manegli squarci di cielo autunnale/ Nell'addio languidodi settembre/ Al color dei suoi occhi ancoraapprodo. (o, a, i, c, ,r l, alliterációi)Di che seta era la voce neppure so,/Ma in risveglioil prato se sospira, /La calda voce di Anna paregiunga/ Da primavera remota come il cielo. (e, d,s, r, a, o, i, l d, m, p alliterációi)... stb.UtószóEzek után megemlítem, hogy 1997-ben jelent meg azelső kétkötetes irodalmi füzet, 48 és 83 oldalas –inkább adaptációm, mint műfordításom – magyar népmesei-és népmondai, csak olasz nyelvű összeállításomDa padre a figlio [Apáról fiúra] (saját borító- és belsőillusztrációval) címmel, ezt a 2001-ben a kezdeti 1998-2001-ig az Osservatorio Letterario – <strong>Ferrara</strong> e l’Altrovec. folyóiratomban publikált lírai- és prózai műfordításaimatösszegyűjtő 72 oldalas Le voci magiare (Magyarhangok) c., szintén csak olasz nyelvű, irodalmi füzetkövette, majd 2002-ben egy társszerző munkáját isbeválogatva publikáltam a kétkötetes 64, 78 oldalas,klasszikus és kortárs versekből, prózákból állóTraduzioni /Fordítások (Versek-Poesie, Próza-Prosa) c.kétnyelvű füzetet, s most 2009. februárjában jelentmeg a legfrissebb, a Da anima ad anima [Lélektől lélekig]c. 150 oldalas műfordítás-antológa kötetem, amelya folyóiratomban 2003-tól publikált 89 magyar vers –klasszikus és kortárs – és 3 nem magyar költő – Horatius,De Heredia, Verlaine – verseinek általam végzettműfordítását tartalmazza.A fordításkritikai elemzés tárgyává választott Babitsversfordításának a forrása az előbb említett Le vocimagiare c. irodalmi füzet. E válogatásról JászayMagda az alábbiakat írta: „Nagyon jó és reprezentatívválogatás és igazán szép munka a fordítás.Tudom tapasztalatból, hogy a fordítás nem könnyűvállalkozás és kétszeresen nehéz, ha költeményről vanszó.” A Juhász Gyula-vers fordításának forrása azOsservatorio Letterario (<strong>Ferrara</strong> e l’Altrove) 2003/200435/36-os száma, amely természetesen bekerült a Daanima ad anima c. műfordítás-antológiámba. A rómaiköltő- és recenzens Enrico Pietrangeli arecenziójá-ban, ebben a 150 oldalas kötetbenmegjelent művekből kiemelt jó néhány klasszikus- éskortárs költőről – amelyek eredetiben is olvashatók akönyv baloldali lapján – mond kritikai értékelést s aműfordításai-mat a következőképpen minősíti:„Az egyszerű és közvetlen, mindenfennhéjázástól mentes címből kiindulva, azember érzékeli azt a valóságos elkötelezettséget,hogy a versből vers legyen a fordítás eszközénkeresztül, amely soha nem teljesen magától értetődő,és amely legtöbbször eltérít-ve az eredeti költőikifejezésmód autentikusságától gyakran figyelmen kívülmarad. A cím egyébként Tóth Árpád sorait vettekölcsön, amely a spontán kommuni-kációt keresvekozmikus távolságokat tár fel.A szövegben esetlegesen fellelhető nyelvi tökéletlenségekegyáltalán nem rontják az új alakbaöltés érzetét, inkább az érdekes kulturáliskezdeményezések támogatását szolgáló struktúráknemléte érzékelhető, mint olyan valakinek ahiányossága, aki a tanult nyelv kitűnő ismeretébenbátran próbára teszi önmagát. Külön ki kellemelni, hogy a szerző az Osservatorio Lettariofolyóiraton keresztül sok éve teljes erőbedobássaldolgozik az Olaszország és Magyarországközötti kulturális értékek kölcsönös átadásán.A számos idézett költemény között vannakversek, amelyek gyakran élnek az anaforával, dea rímekhez és az asszonáncokhoz is vissza-viszszatérnek,amelyeket a fordító lelkiismeretesenújraalkot olasz nyelven. [...]Jelen van az egyik szekcióban néhány verssel akétnyelvű Tamás-Tarr Melinda is, figyelemre méltóaz intése az új generációk (leginkább az elvtelenek ésérték nélküliek) felé, hogy tiszteljék a szüleiket.Rendkívüli módon osztozni lehet a tudomány és vallásmonopóliumáról, a dogmákról és illúziókról alkotottkiegyensúlyozott álláspontjaival, mindez gördülékeny,modern és szabatos költői stílusban kifejezve. [...]E mű elolvasása előtt, csupán József Attilátólés Petőfi Sándortól ismertem valamit, mégis márérzékeltem e nép poétikai súlyát, de mostanra,kétségtelenül állíthatom, hogy nagyon hiszek amagyar költészetben: vér folyik az ereiben, rendelkezikepikai érzékkel, képes mélyre ásni,246<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


ezért is hangoztatom a minőségi munka szükségességét,mert hiányzik, és mert megérdemeli.”(V.ö. a 238. oldalon publikált teljes recenzió szövegével.)Szeretném azt is megjegyezni, hogy ritkán, alkalmankéntírt magyar nyelvű fiatalkori verseimen kívül –amelyeknek már nyoma sincs, mert megalkotásuk utánazonnal megsemmisítettem, hogy senki ne találhassonrájuk – jócskán harminc évemen felül kezdtem el számomraidegen nyelven országos, olasz, irodalmi pályázatokrakölteni; prózát, irodalomtörténeti- és kritikaimunkákat írni. Első verseim tehát – akár a többi munkáim– érdekes módon először olaszul születtek meg snem az anyanyelvemen, amelyekkel már a legelső és azazt követő pályázatokon, versenyeken az 1-4 helyezéseketértem el. Az első alkalmakkor, 1993-tólkezdődően – olaszországi tartózkodásom 10.évfordulóján – rögtön első díjjal jutalmaztak (háromszorosDante-díj, háromszoros „Az etruszkok” Akadémiadíja, a carrarai „Abszolút legjobb művész”-díj mindenkategóriában (vers, próza, esszé, újságírói, illusztrátoriésfotóművészeti kategóriákban szereplő alkotásaimért),majd 2. és 3. helyezésű Manzoni-díj, Verga-díj ésmég sorolhatnám a több mint 30 kitüntetés közül...A fenti tapasztalataim ellenére hangsúlyozom, hogytudom és tisztában vagyok azzal, hogy még ennyi időután is sok tanulnivalóm van, hogy egyre jobban elegettehessek a lelkiismeretes, jó versírói- és műfordítóikövetelményeknek, valamint, hogy olasz anyanyelvűköltőkkel, írókkal ennyi év után sem kelhetek versenyremég az optimális olasz nyelvi ismereteim ellenére sem,de minden igyekezetemmel azon vagyok, hogy mindigjobbat nyújtsak e szinte missziónak tekintett kétnyelvű,(olasz-magyar) műfordítói munkámban is. (Ld. előzetes:http://www.osservatorioletterario.net/recenzio-szucstibor.pdf)1 Az olasz verssorok szótagjainak számlálásakor, nem szabada magyar szótagolás szabályai szerint szótagolni, s úgykiszámolni a verssorszótagokat. Ezért tűnik a magyarszótagolás szabályai szerint néhányhendekaszillaba/endekasillabo többnek, mint 11 szótagnak.Most itt nincs lehetőség nincs részletesen kitérni az olaszverstani ismeretekre, szabályokra, ritmikára, a metrikus ésgrammatikai szótagszámlálási eltérő szabályokra, ami eltér amienktől stb. s aprólékosan megmagyarázni, hogy mikor, mitmiért, s mi a nevük az egyes ilyen „manővereknek" (pl.sinalèfe, dialèfe, sinèresi, dièresi, afèresi, pròtesi stb.). Csaknéhány példával illusztrálom a 11-es szótagú(hendekaszillaba/endecasillabo) verssort, ami az olaszverselés legjellemzőbbje. Mi szerintünk, magyarok szerint azalábbiak nem 11 szótagú verssorok, az olasz verselésszabályai szerint viszont igen, s ezt el kell fogadni, merthangzásban, ritmikában is tökéletesen megfelel mindenverselési szabálynak (illusztrálásként elválasztó jelet teszek aszótagjelölés céljából és vastagon szedett betűvel kiemelemazokat a részeket, amelyeket egy szótagnak kell ejteni, ígylátható a magánhangzók egy szótagkénti egybeolvasása, amia vers ritmusa, dallama, verslábai miatt szükséges. Ha vannakolyanok, akik ezzel nem értenek egyet, akkor is el kellfogadniuk ezt, már csak azért is, mert ami nekünk tökéletesverselésnek tűnik, az az olaszoknak nem és fordítva is igaz).A hendekaszillabák (a 11-sek) ritmikai hangsúlyfelosztása(6.,10; 4., 8. és 10.; 4., 7. és 10.):6., 10.: Can-to-l'ar-mi-pie-tose e il-ca-pi-ta-no (Tasso); 4., 8.és 10.: Che il-gran-se-pol-cro-li-be-rò-di-Cri-sto (Tasso);4., 7. és 10.: Tai-cad-de a-ter-ra-la-fie-ra-cru-de-le (Dante).Ugyanez tapasztalható a többinél is (decasillabo. novenario,ottonario, settenario, senario, quinario, quaternario).Nem könnyű az olasz metrikai szótagszámlálás, amelynekhagyományosan szabályozott, kodifikált törvényszerűségeivannak. Pl. az utolsó hangsúly után mindenképpen csak egyszótagot számolnak! 11-es (hendekaszillaba) a mi verstaniszabályaink szerint is: Nel-mez-zo-del-cam-min-di-nos-tra-vita(Dante). De ez is, noha a mi verstani szabályaink szerintnem lenne az:O-do-no i mor-ti-di-Bez-zec-ca e at-ten-do-no1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 0Itt a magánhangzók egy szótaggá olvasása mellett az utolsószótag nem jön szótagszámításba az utolsó szótag szabályaszerint, amit "sdrucciolo"-nak neveznek, ami annyit tesz, hogyaz utolsó hangsúly után a szótag nem tekintendő annak, ezértígy jön ki a hendekaszillaba.Az alábbi Dante-sor úgy tűnik, mintha csak 10 szótagoslenne, de mégsem az, hanem 11-es, mert itt ebben 10szótagos, csonka verssorban az utolsó hangsúly utánszámítani kell egy szótagot (nekünk ez 12 szótag!), ugyanisaz a szabály, hogy egy csonka verssor esetén hozzá kellszámítanunk egy szótagot:E-co-me al-be-ro in-na-ve-si-le-vò1 2 3 4 5 6 7 8 9 10E-co-me al-be-ro in-na-ve-si-le-vò1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 (+1 =)11Az én értelmezésem szerint tökéletlen szabálytalan szabály,de, ez van, ez ellen én nem ágállhatok.Az alábbi 11-es verssorban (és a többiben is hasonlóesetekben) kétféleképpen számolhatjuk a szótagokat:1.) Que-sta-sel-va-sel-vag-gia-ed-a-spra-e-for-te1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13Ebben az esetben nem számoltunk az alapvető metrikaiszabállyal, a hangkieséssel. Hangkiesés: egy szó zárómagánhanzóját nem számítjuk, ha az azt követő szómagánhangzóval kezdődik.2.) Que-sta-sel-va-sel-vag-gia ed a-spra e for-te: Kéthangkieséssel (a grammatikailag 13 szótagos) ritmikailag 11-es (ez olaszul: elisione vagy sinalèfe, amit én egybeejtésnekmondtam.Az ellenkezőjének pedig - különösen a latin metrikában -dialèfe vagy iato a neve: itt ugyanis a két szomszédosmagánhangzót külön kell számolni; az alábbi Danteversszakbanerre példa, az utolsó verssor:Di - ciò - ti - piac- cia - con - so - la - re al - quan - to (11)(hangkieséssel/sinalèfe, elisione)l'a - ni - ma - mia -, che - con - la - sua - per- so- na (11)Ve - nen - do - qui - è - af - fan- na- ta - tan - to (11)(grammatikai szótagolással/dialèfe, iato)Ez csak egy része a számunkra furcsa olasz ritmikaiszótagszámolásnak. És még sok mindenről nem szóltam, mintpl. ami csökkenti a szótagok számát (szinkópa), vagy ami aszinkópával ellentétes, az epèntesi és még sok más olaszverstani sajátosságról.2Itt most nem részletezem a rímfajtákat, csak a következőnégyet említeném meg – amelyek valóban rímeknekmondhatók az olasz verstanban - vastag betűvel kiemelten,hogy szemléltessem, hogy mit jelent az olaszok számára arím, szemben a mi rímfogalmainkkal. A rím a versnek fontosjellemzője, de nem lényegbevágó. Olasz rímek: Tiszta rím(rima pura): a szó utolsó hangsúlyos magánhangzójávalkezdődő szóvégi szótag (ékezettel is jelölöm a hangsúlyosszótagot): divíno/argentíno, piacévole/pregévole,abbáglio/traváglio, giocóndo/tóndo; asszonánc(assonanza): amóre/sóle, víno/ríso; konszonancia(consonanza): pálco/sólco, césto/mósto; rimainterna/rimalmezzo (belső rím vagy középrím):„Passata la tempesta:/ odo augelli far festa, e la gallina...”(Leopardi). Még egy fontos megjegyzés: a rím nélküliverssorokat oldott verssoroknak (versi sciolti),rímkötetlen verssoroknak nevezik, amelyek nemtévesztendők össze a szabad verssel (versi liberi). Aszabadvers a modern költészet jellemzője: nemcsak<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 247


ímnélküliek, de visszautasítanak minden előre rögzítettszótagkötöttségi és ritmikai sémát. Íme a rímkötetlenverssorokra példa: „All’ombra de’ cipressi e dentrol’urne/confortate di pianto è forse il sonno/ della morte menduro? Ove più il Sola/ per me alla terra non fecondi questabella d’erbe famiglia e d’animali,/ e quando vaghe di lusingheinnanzi/ a me non danzeran l’ore future...” (Foscolo) Íme egyszabadvers részlet: „Qui/ non si sente/ altro/ che il caldobuono.” (Ungaretti).3 Az olaszban az alliteráció a verssorban vagy több soron átnemcsak a szó eleji hangok ismétlődését jelenti, hanem egyszótag betűjének megismétlődése, vagy általánosabban egyhang megismétlődése az elkövetkező szavak elején vagy azokbelsejében az alliterációÍme erre néhány olasz költői példa azolasz értelemben vett alliterációra:„di me medesmo meco mi vergogno” (Petrarca: Canzoniere)az "m" alliterációja;„La madre or sol, suo dì tardo traendo, (Ugo Foscolo: Inmorte del fratello Giovanni) "s", "t" e "do" alliterációja;„infandum regina iubes renovare dolorem" (Virgilius: Aeneas,latinul) a "re" alliterációja stb.„Fr/e/sche le mie parole ne la s/erati sien come il fruscìo che fan le fogliedel gelso ne la man di chi le cogliesilenzioso...”Gabriele D’Annunzio: "La sera fiesolana" c. versének fentikezdő soraiban az "f", "s", "fr" e "sc" betűcsoportokalliterációja, valamint az "e" ismétlése-ismétlődése figyelhetőmeg.Perché appressando sé al suo disire (Dante: Isteni színjáték,Paradicsom, I. ének ): “s” alliterációja.E caddi come corpo morto cade. (Dante: Isteni színjáték,Pokol, V. ének): “c” alliterációja.Fonte: O.L. online melléklete:http://www.osservatorioletterario.net/recenzio-szucstibor.pdfVissz- és utóhangKedves Melinda,B. Tamás-Tarr Melinda- <strong>Ferrara</strong>, Italia -Pécs, 2009. október 12.mindenekelőtt hálásan köszönöm jelentkezésedet, sőtvisszajelzésedet ― ráadásul mindjárt az ígért recenzióformájában!Ami magát a recenziót illeti:(1) először is valamit adatszerűen pontosítanod kellenemég a tények szerint, ui. habilitációs dolgozatom (Amagyar vers kettős nyelvi tükörben [német és olaszfordításokban]) 283 oldalnyi terjedelmű (az ilyenkorszokásos ― még publikálatlan ― alapvetően németes(Habilitationsschrift) menetrend és elvárás szerint. Tenyilvánvalóan ennek a védésre készült igen rövidkivonatát (vagyis az ún. téziseket) olvashattad ahonlapon...(2) Gyakorlatilag ennek kicsit átdolgozott változatajelent meg eme könyv formájában.(3) Az észrevételekért külön is hálás vagyok,elgondolkodom, aztán reagálok majd!(4) Most nincs igazán érkezésem, mert rengetegbírálatot kell éppen írnom (doktori értekezésekről,keresztfélévesen védendő szakdolgozatokról stb.).(5) Amúgy pedig nem áll szándékomban nyilvános vitátfolytatni egy általam nagyra becsült műfordító (ezlennél TE) és egy fordításkritikus között (ez lennék én).[...]Mindazonáltal megírom Neked válaszomat az ittfölvetett kérdésekre, amint időm és energiám engedi.Egyébként meg jól tudod, Te művészként (ti.fordítóként), én meg kutatóként (ti. kritikusként)viszonyulok tkp. ugyanahhoz: a mi közös kincsünkhöz,az utánozhatatlan, egyedi és egyszeri magyarköltészethez!Tényleg szinte képtelenség más nyelvre és kultúráraáttenni. Ezért le a kalappal Előtted és a hasonlóvállalkozók előtt, akik ezt a szinte lehetetlent ― igazmissziótudattal ― mégis megkísérlik!Szíves baráti üdv: TiborKedves Tibor!2009. október 13.Köszönöm reagálásod. Máris pontosítottam. A Tintakönyvkiadó is belinkelte, ebben a pillanatban fedeztemfel:http://www.tintakiado.hu/book_view.php?id=8&content=newspaper .Egyébként én sem szándékozom és nem isszándékoztam nyílt vitát folytatni.Azért írtam a recenzióba foglalva az észrevételeimet,mert olvastam egy kritikát ezzel a könyveddel és egymás nyelvészeti könyvvel kapcsolatban egyazoncikkben - egy online-cikkben, amit most keresvén nemtaláltam rá, meg akartam Neked mutatni - s ott ki voltemelve ez a rövid összegezésedilyenképpen kb.: „Szűcs Tibor a végén minősíti is afordítókat: "Lénárd eredetien, Tamás-Tarr kevésbészerencsésen, Dal Zuffo és Kunert viszonylag hívenfordít"...” - ennek azért egész más íze van. Ráadásul akorábbi értékelő elemzéseidről semmit nem említettmeg. Ha valaki csak ezt olvassa, azt gondolja, hogyegy kutyaütő fordító lehetek.Nagyon örülök, hogy olvashattam végre a könyvedet -igen, én csak a kivonatát olvastam a dolgozatodnak -sokat lehet tanulni belőle! Hálás köszönet érte ésismételten őszinte gratulációm.Köszönöm, hogy nagyra becsülöd műfordítóimunkámat, megtisztelő és jó érzés, de rengeteget kellmég tanulnom, fejlődnöm, mindaddig, amíg élek.Tényleg, nagyon szeretem csinálni.Valóban kíváncsi vagyok, az észrevételeimreösszeszedett gondolataidra, mert csak tanulni lehet stanulni is akarok belőlük. Majd, amikor lesz rá időd,érkezésed. Nem sürgős, kivárom. [...]További erőt, egészséget, jó munkát kívánok barátiszeretettel:Melinda2009. október 13.Kedves Melinda!A nyílt vita azért lenne nevetséges, mert ― most nagyszavakat használok ― Te mint művész (műfordító), énpedig mint kutató (most éppen fordításkritikus)nyilvánvalóan másként ítélhetjük meg ugyanazt, amitpedig mindketten egyaránt igen-igen szeretünk... (Nemvéletlen, hogy a színész sem szokott a színikritikussalvitába elegyedni. Némi önkritikával: az egyik műveli, amásik ― mivel nem tudja művelni ― csak tanítja adolgot...) Magam is kapok természetesen szakmaikritikákat, de az a tudományos körön belül van.Kettőnk közös vetületére rátérve: az egyik fordításodróligazán elismeréssel szóltam, a másikról kevésbé.248<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


(Amúgy akkor még azt sem tudtam, ki vagy, hogy ti.régről ismerjük egymást.) Természetesen sajnálatos kétdolog: (1) hogy csak ezt a két fordításodat vettemalapul (viszont azokról szerencsére konkrétanítélkeztem), (2) s hogy ― mint említed ― azegyiknek a szövegkörnyezetből történő kiragadásávaltorz összkép alakulhat ki. (De igen sajnálatosan ilyen azegész mai médiavilág: bizony szinte minduntalan azeredeti kontextusból kiragadott mozzanatokon szoktaklovagolni...)Mellesleg igen érdekelne, hol olvastad ezt (ti. ígykiragadva, s ezáltal igen sajnálatosan az általánosításszintjére hozva)? Ez ui. nyilván csak kiragadotthivatkozás lehet valakitől, hiszen magának akönyvemnek nincs elektronikusan hozzáférhetőváltozata.Egyébként pedig nem kutyaütő fordító, hanem maestrovagy! Mondanám szívesen nőnemben, hogy maestra,de attól tartok, az mást jelentene...Kedves Melinda!Ígérem tehát, hogy amint időm engedi, reagálok formaimegjegyzéseidre. De persze nem ebből fogsz tanulni,hanem egyszerűen abból, hogy folytatod, amit eddig iskiválóan műveltél. A művésznek nem kell atudós/tudálékos akadékoskodás ahhoz, hogy továbbrais azt tegye, amit (belülről, szívből) kell...Szeretettel: Tibor<strong>Ferrara</strong>, 2009. október 14.Kedves Tibor!Természetesen így is van. Remélem, hogy nembántottalak meg azzal, hogy a recenziómban kifejtettemaz én szemszögemből , hogy miért nem értek egyet a„kevésbé szerencsés” tolmácsolással. Mert, ahogy éntalálkoztam ezzel a kritikával, nyilván úgy mások is s ígylegalább olvashatják az én álláspontomat is, s ígyegyütt ki-ki jobban levonhatja ezzel kapcsolatbana következtetést, véleményt pro vagy kontra.Az nem számít, hogy akkor még nem tudtad, hogykinek a műfordítását elemzed, kritizálod. Egyébként is eza tény nem szabad, hogy befolyásolja a kritikust.Tényleg így volt a legjobb, mert a legkisebb részlehajlásnélkül boncolgathattad a műfordításomat.Mindenképpen nagy meglepetés és nagy öröm voltszámomra, hogy fordításkritikai nagyító ésboncolókésed alá kerülhetett két munkám s remélem,hogy folytatod. Már ez is egy kitüntetés nekem, s nemis kevés, hogy egy kutató erre méltattatevékenységemet. Nincs rosszabb az elhallgattatásnál,elhallgatásnál és az ignorálásnál - bármi is legyenezeknek az indító oka -!!!Tényleg kár, hogy nem választottál be még másokatis, rengeteg műfordításom olvasható az interneten.Folyóiratom 14 éves létezése óta sok minden avilághálóra került. Juhász Gyulától más verseket isfordítottam, ha nem is sokat. Egyébként távolirokonom: nagyanyai unokatestvéri ágon, Kálló vonalon(mint tudod Te is, J. Gy. anyja neve: Kálló Matild) :ományi Kálló Feri bácsi tábori espres mártírunokatestvére a híres Dr. Kálló Antal révén:http://xoomer.virgilio.it/bellelettere/kalloferencesperes.pdf ,http://xoomer.virgilio.it/bellelettere1/juhasz.htm,http://digilander.libero.it/osservletter/kallo.htm ,http://digilander.libero.it/rivistaletteraria/konyvismerteto.htm .Végre sikerült felkutatnom a címeket, ahol, olvastam:http://www.c3.hu/~nyelvor/period/1314/131413.pdfhttp://epa.oszk.hu/00100/00188/00049/pdf/131413.pdf .Neked pontatlanul idéztem, ugyanis a Te rövidösszegezésedet szó szerint idézte a recenzió szerzője.Mindenesetre a hatás ugyanaz. Ezért is éreztemjogosnak kifejteni ezzel kapcsolatos fordítói megoldásaimat.Nagyon megtisztelő elismerésed, köszönöm szépen.Igyekszem a lehető legjobbat nyújtani. Hangsúlyozom:sajnos az anyanyelvüket korrekten használóolaszokkal mégsem „rúghatok egy labdába”, mégakkor sem, ha ők maguk mondják, hogy korrektebbülbeszélek, mint sok született olasz... Jó lenne, ha lenneolyan valaki - anyanyelvét valóban jól használó olasz,ha nem is irodalmár, költő, aki átnézné az összesdolgaimat, de ilyenre senki sem vállalkozik. Még acsaládom sem!Kivárom reagálásodat és előre is köszönöm. Tudom,hogy elfoglalt vagy, s ehhez is idő kell, nem is kevés.Írod: „De persze nem ebből fogsz tanulni, hanemegyszerűen abból, hogy folytatod,amit eddig is kiválóan műveltél. A művésznek nem kella tudós / tudálékos akadékoskodás ahhoz, hogytovábbra is azt tegye, amit (belülről, szívből) kell... ”De azért nem árt, ha a művész figyelembe veszi atudós véleményét, leszűri magának mindazt, amihasznára lehet a gyakorlatban.Szeretettel és köszönettel:MelindaKedves Melinda!Pécs, 2009. október 14.(1) Mellékelt anyagod szerint tényleg sajnálatosankiragadott idézetnek látszik a recenzens említettszövege. Ezt az általános (média)jelenséget márkommentáltam, fölösleges tovább ragozni...(2) Egyáltalán nem bántottál meg: én is okulhatokmindebbõl. (Persze magad is tudod: Te is.)(3) A született olaszokkal szemben Te magyar lélekvagy, tehát legyen csak önbizalmad!(4) Tényleg kár, hogy nem elemeztem még többfordításodat. [...]Természetesen hozzájárulok a nyilvános közléshez. [...]Száz évet említettél. Hát persze hol leszünk mi márakkor?! Amúgy meg kegyetlenül irigyellek az igazából ―sajnálatosan csak most ― fölfedezett profi honlapodért!Ha nekünk ilyen lehetne... Hogy csinálod?Sok szeretettel: TiborJELZÉS:Botár AttilaÉNEKLŐ NYOMOKÉRTKráter Kiadó, Budapest 2009, 192 old.2000,- FtAz erdélyi származású, Gyulai PáldíjasBotár Attila – folyóiratunkszerzője is – elmúlt öt évbenszületett verseinek gyűjteményéttartja kezében az olvasó. A kötet<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 249


hármas tagolású: a 2003-ban megjelent FélcédulákUnkhu ka-Gathból című kiadvány után újabb négysoros„félcédulák” gazdagítják a jelen kiadást. Az Éneklőnyomokért versciklus a szerző valamivel hosszabblélegzetű verseit foglalja magába, a Kovász pedig máregy 349 sorból álló epikus versfüzér. Mindháromversciklus tehát más-más terjedelmi és formaisajátosságokat mutat, mégis mindegyik jellegzetesen ésösszetéveszthetetlenül Botár Attilás. Egyik legfőbbismérvük, hogy amolyan „újraolvasós” versek. Akárcsakegy vonzó, szemérmes nő: az első benyomás erejévelmegcsillantják szépségüket, közelebbről szemügyrevéve pedig lassacskán egyre több értéket mutatnakmeg magukból. Az első olvasat esztétikai élményétkövetően tehát minél többször olvassuk újra Botár Attilaverseit, annál több jelentésréteget fedhetünk felbelőlük, és annál inkább kibontakozhat varázslatosszimbólumrendszerük. A kötethez Néráth Mónika írtelőszót.Ízelítő (http://www.krater.hu/uploaded/pdf/20090804_qj67.pdf ):Fölfele lejtÜveggolyóit fölzabáljamég alig játszott a gyereka vasrács a csatorna szájakörül páráll a kőnyeregamin egész nap lovagoltak,századokig – oly csatakossürögtek görbe lábu holtakhírektől övük szakadozs nem is mellékes tülkölésekhogy talpuk oda cövekeltröpítik szerte az enyészetdiadalát: fölfele lejtszivárvány a gyerekkorons lefelé magas az orom.Holtpont és mozdulatAz esőcsillag sugaránálkerékvágás mindig maradegyiken előre jutunkmásikon vissza szülőnkigahol vérünk zománca szétpattogzotta nagy piros fedőkrőls a szél esőt se várvaölelkezik nyári vizekkelholtpont és mozdulatforgunk sötét kerékagyakbanhallgatag útból valókszökött innen a kert a házaz udvar mint a vacsorafelhőnem nézve vissza se előrea vakondtúrás kupoláiőrzik az elásott kutyákébredésünk hamuszín zökkenőits felhőtlen csöndig hatolvafoszlány álmok- uszadék horizontnálesti szívünknek otthonosabba hullámok nőszagávaltelt gyönyörű tengeri sikoly.FabulaAz ember, aki néz: odatapada képek enyvéhez, felejti szárnyát,körülveszi a rikító homályegét s útját: csak lehetne szabad,a vélt és a világ közt vakon áll,s a tarka hályogok magukba zárják.Forrás: A Kráter Kiadó hírlevele, amelyre soha nem iratkoztamfel, ennek ellenére a címemre beküldte a kiadó, ezért akéretlen hírlevélért ez esetben köszönetet is mondok, mivelígy hamarabb szerezhettem tudomást folyóiratunk számára isismerős költőnk, fiatalkori újságírógyakornoki időszakombólegykori kollégám legújabb munkájáról.POSTALÁDA2009.06.29. 13:27 Dr. Paczolay Gyula – Veszprém (Hungary)Kedves Melinda !Az értesítést köszönöm és gratulálok a gazdag tartalmú új számhoz,melynek "előállítása" biztosan sok munkájába került. Elnézésétkérem a válasz késéséért, egy hétig Athénban voltam, a 15. FolklórVilágkongresszuson tartottam előadást.Sok szeretettel üdvözli - Cordiali salutiPaczolay Gyula2009.06.29. 15:23 Ornella Fiorini – Ostiglia (Mn)Gentilissima Melinda,grazie per la e-mail informativa .. e per questa 'ulteriore' ospitalitànella Sua prestigiosa rivista.Le auguro gioia, serenità, e buona estate..Un caro saluto,Ornella2009.06.29. 15:26 Erdős Olga – Hódmezővásárhely (Hungary)Kedves Melinda!Köszönöm az értesítést, várom az új számot, természetesen jelzemmajd, ha megkaptam. Nem járt még le az előfizetésem? Ha igen,legyen szíves szólni.A vizsgáknak vége már? Remélem, igen, és hogy jól sikerültek, bárbiztosan, ha a korábbi eredményeket nézzük.Nyárra terveznek most is valami itáliai túrát?Szeretettel ölelem és minden jót kívánok.Olga2009.07.06. 10:47 Dr. Umberto Pasqui - ForlìCiao,come stai?Come ti ho detto, domani rinnoverò l'abbonamento molto volentieri,dal momento che la rivista si conferma sempre più ricca di contenutie spunti interessanti.Ciao e buone vacanze,Umberto2009.07.07. 17:48 Ornella Fiorini – Ostiglia (Mn)Gentile Melinda,grazie per l'avviso.Io non ho nessun tipo di problema; quando mi arriverà la Suaprestigiosa rivista, per me sarà sempre un regalo gradito.Cordialissimi saluti.Ornella2009.07.09. 09:37 SzIF – Szépirodalmi FigyelőNYILATKOZAT A MAGYAR NYELVRŐLMintegy tízmilliónyi magyarul beszélő ember él a MagyarKöztársaságban, és a szomszédos államokban több millióan magyaranyanyelvűek. Ezen országok közül több is tagja az Európai Uniónak.A kisebbségi sorsban élő magyarságnak az I. világháború befejezéseóta számos helyen és számos alkalommal súlyos sérelmeket kellettelszenvednie magyar anyanyelvű, nem magyar állampolgárként.1990 után reménykedtünk, hogy Európa ezen részénekdemokratizálódása, az Európai Unió jogrendszere a térségországaiban is jótékony hatású lesz, ám a 21. századba átlépve isszámos aggasztó jelenséggel szembesülünk. Egyes államokbanjogszabályokkal korlátozzák a magyarság nyelvhasználatilehetőségeit, s különösen a tanulóifjúságét, akiket így gátolnakanyanyelvüknek és az ahhoz kötődő kultúrájuknak az elsajátításában.Eltorzítják az egykori Magyar Királyság hiteles történelmét,250<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


művelődéstörténetét, nyilvános helyeken akadályozzák, korlátozzák amagyar nyelvű feliratok elhelyezését. Az egyik uniós tagállambanindokolatlanul váltják le a magyar nemzetiségű tisztviselőket.Szélsőséges pártok magyarellenes kampányokat folytatnak, ennekkövetkeztében a megszédített emberek meggyalázzák a magyarkulturális emlékeket, megvernek magyar nemzetiségűeket, s ezértmég felelősségre sem vonják őket.A szomszédos államok európai uniós csatlakozási szándéka, illetveuniós tagsága nem hozott tartós és egyértelmű javulást a Kárpátmedencében,kisebbségi sorban élő magyarság életlehetőségeitilletően.Felszólítjuk a velünk szomszédos országok kormányait, pártjait,civil szervezeteit, írószervezeteit, az Európai Unió intézményeit,jogvédő szervezeteit: képviseljék és szorgalmazzák azt, hogy ademokrácia és az emberi jogok szellemében minél teljesebbenvalósulhasson meg a gyakorlatban a kisebbségi magyarok és mindenkisebbség jogegyenlősége nyelvének elsajátításában és szabadhasználatában, valamint kulturális identitásának megőrzésében is.Budapest, 2009. július elejénMagyar ÍrószövetségTokaji ÍrótáborÍrók SzakszervezeteFiatal Írók SzövetségeMagyar Művészeti AkadémiaMagyar PEN Club (Benyhe János főtitkár)Beküldte: SzIF____________________A Magyar Katolikus Püspöki Konferencia, a Magyarországi ReformátusEgyház, a Magyarországi Evangélikus Egyház és a MagyarországiZsidó Hitközségek Szövetsége aggasztónak tartja, hogy büntetni leheta magyar nyelv használatát Szlovákiában - ez szerintük súlyosan sértiaz ott élő kisebbségek jogait és nagyban nehezíti mindennapjaikat.Az egyházak arra kérik a magyar kormányt és a parlamenti pártokat,hogy lehetőségeik szerint tegyenek meg mindent az európaitestületeknél az elfogadott törvénymódosítás visszavonására, azévezredes zsidó-keresztény értékrend jegyében fogant európaiegyüttélés szabályainak megtartására. Az egyházi vezetők szerdánnyilvánosságra hozott nyilatkozatukban azt írják: ők maguk anemzetközi egyházaktól is segítséget kérnek majd az ügyben.(FH)2009.07.20. 16:18 Gianmarco Dosselli – Flero (Bs)Gentile Prof.ssa Tamás-Tarr,le comunico che stamane mi è arrivata la rivista OsservatorioLetterario.Giustamente la sua richiesta dell'invio di un mio elaborato; lo faròentro una settimana, sarà un breve racconto da un fatto realmenteaccaduto, in America, nel lontano 1975, e in questo caso trattoliberamente. Ringraziandola, i miei cordiali saluti.Gianmarco Dosselli2009.07.22. 14:12 Enrico Pietrangeli - RomaCara Melinda,ti confermo l'arrivo del numero 69/70 (stavolta siamo stati fortunaticon le Poste Italiane!), grazie poi per gli auguri di buon auspicio perla nuova impresa siciliana! Ho speso così tante risorse ed energie percreare qualcosa di nuovo in un paese come l'Italia che, forse,neppure lo merita nel suo stantio immobilismo. Speriamo benecomunque!Un caro saluto e a prestoEnrico2009.07.22. 19:05 Dr. Paczolay Gyula – Veszprém (Hungary)Kedves Melinda !A folyóirat már tegnapelőtt ide is megérkezett, de arra gondoltam,hogy ha én megkapom az értesítést, akkor annak visszaigazolásával"egy füst alatt" fogom azt is megköszönni. - Örülök annak, hogy, hanem is úgy mint legutóbb - de pár nap késéssel azért még a nyáriüdülésre való elutazása előtt befutott a küldemény. Bántott volna, hanem így sikerül.Remélem, hogy fel is tudja használni a következő szám összeállításakor.Szerettem volna a "borítékra" többfajta szép bélyeget tenni, de nemvolt a kis postán választék. A 400 Ft-os szerintem szép, de itt márbejön az a hatás, hogy "Jóból - illetve ebben az esetben: szépből - ismegárt a sok."Itt az egyetemi könyvtár a jövő hétfőtől négy hétig csak keddinapokon van nyitva, tehát egy héten csak egyszer jutok hozzá aszövegszerkesztőhöz, nézhetem át az érkező postát, s válaszolhatommeg a legsürgősebbeket. - Kellemes tangerparti üdülést ésmunkálkodást kíván szeretettel:Paczolay Gyula2009.07.24. 12:55 Dr. Renzo Ferri - <strong>Ferrara</strong>Carissima Melinda,qualche giorno fa ho ricevuto l'ultimo fascicolo dell'Osservatorio,sempre molto interessante. I. ti ringrazia moltissimo per averpubblicato il suo raccontino: ne è molto orgogliosa.In questi ultimi tempi ho avuto vari impegni e preoccupazioni, e tral'altro anche il blocco - per diversi giorni - del computer. Oggi vamolto meglio.I ragazzi hanno terminato positivamente la scuola; J. ha fatto unabuona figura al Conservatorio ed è stato promosso al IV anno.Oggi per me è l'ultimo giorno di lavoro: da domani sarò in ferie fino al19/8.Un carissimo saluto dal tuo amicoRenzo2009.08.17. 19:02 Pék Béláné Kehidai Klára – Székesfehérvár(Hungary)Drága Melinda!A meglepetés sikerült!!! Megkönnyeztem a küldeményedet. Komoly,szép kiadvány. Dombóvári emlékeim közé teszem. Szabadidőmnekizgalmas olvasmánya lett. Örülök a magyar irodalmi ismertetőknek.Dr. László Péternek is beszámoltam a küldeményedről! Örülök, hogynemes alkotások kerülnek ki alkotó lényed által. Szeretettel csókollak:Klári néni2009.08.30. 23:43 Enrico Pietrangeli - RomaGrazie Melinda… io credo molto nella poesia ungherese… c’è tantosangue nelle vene, senso epico, capacità di scavare nel fondo… e c’èbisogno di un prodotto di qualità perché manca e perché merita.A prestoEnrico2009.08.31. 12:21 Dr. Bttm - <strong>Ferrara</strong>Grazie mille Enrico, mi hai reso felice con queste parole. Sei ilsecondo italiano che mi dice questo. Il primo era - forse lo conosci -quasi con queste stesse tue parole: Gianmarco Dosselli.*Ora sono proprio curiosa come hai analizzato il mio lavoro che ti hospedito alla tua esplicita richiesta.A presto,Melinda* Nel passato, non a proposito di quest'antologia.NOTA: Il recensore e poeta, Enrico Pietrangeli, nel momento dellaricezione della comunicazione dell'Osservatorio Letterario delmarzo scorso ha preso notizia di questa mia antologia di traduzioni emi ha chiesto di inviargli una copia per la recensione. Quando avrò lasua recensione, ancora in corso e sconosciuta, la segnalerò.(N.b. sul portale Testvérmúzsák è erroneamente scritto il mese, manon si riesce a correggere l’errore.)P.S. Per i Lettori ungheresi ecco la traduzione della tualettera e di questa mia risposta:P.S. Íme a magyar Olvasók számára leveled és ezen válaszomfordítása:«Köszönöm Melinda... én nagyon hiszek a magyar költészetben...rengeteg vér folyik ereiben, epikus érzék, a mélységekbenkutatás képessége... és szükség van minőségi alkotásokra, merthiányzik és mert megérdemli.»«Ezer köszönet Enrico, ezen szavaid boldoggá tettek. Te vagy amásodik olasz, aki ezt mondja nekem. Az első Gianmarco Dosselli*volt - akit talán ismersz -, majdnem ugyanezekkel a szavakkalmondta.Most kimondottan kíváncsi vagyok, hogyan elemezted exkluzívkérésedre küldött munkámat. (...)»* A múltban, nem ezen antológia apropójából.NOTA: A recenzens és költő, Enrico Pietrangeli, a márciusban azOsservatorio Letterario sajtóközleményéből értesült erről agyűjteményemről s kérte, hogy recenzió céljából küldjek el neki egypéldányt. Amikor rendelkezésemre áll - megírása még folyamatbanvan -, jelezni fogom. (N.b.: A Testvérmúzsák portálon tévesen július<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 251


hónap megjelölés szerepel, sajnos technikai okokból lehetetlenségkijavítani.)2009.09.01. 22:30 Dr. Bttm - <strong>Ferrara</strong>Visszajelzések, amelyeket ezúton is köszönök:----- Original Message -----From: Dr. Szűcs TiborTo: Dr.BttmSent: Tuesday, September 01, 2009 6:00 PMSubject: Re: A magyar költészetről/Sulla lirica unghereseKedves Kollegina!Köszönettel vettem szíves tájékoztatóját, s osztozom örömében.Szívből gratulálok színvonalas fordítói missziójához!Lám, újabb antológiája megkönnyíthetné adatgyűjtésemet is, ha mostlátnék hozzá A magyar vers kettős nyelvi tükörben c. könyvemmegírásához.(De persze 2007 óta is folyamatosan figyelemmel kíséremköltészetünk fordításait, s doktoranduszoknak is tartok fordításkritikaikurzusokat.)Őszinte nagyrabecsüléssel és hungarológusi köszöntéssel:Szűcs TiborPécsi TudományegyetemBölcsészettudományi KarNyelvtudományi TanszékHungarológiai és Alkalmazott Nyelvészeti SzemináriumH-7624 Pécs, Ifjúság útja 6.Szemináriumvezető:Dr. Szűcs Tibor habilitált egyetemi docens----- Original Message -----From: Dr.ssa Andrea RényiTo: Dr. BttmSent: Tuesday, September 01, 2009 4:32 PMSubject: Re: A magyar költészetről/Sulla lirica unghereseDrága Melinda, gratulálok! [...]Szeretettel ölellek,Andrea----- Original Message -----From: Hollósy Tóth KláraTo: Dr. BttmSent: Tue, 1 Sep 2009 06:39:48 +0200Subject: RE: A magyar költészetről/Sulla lirica unghereseÉdes Melindám! Én is nagyon örülök sikerednek! Megérdemled.Kiváltságos ember vagy. Okos és ügyes!Nagyon sok szeretettel ölellek: Klára----- Original Message -----From: Dr.ssa Prof.ssa Daniela RaimondiTo: Dr. BttmSent: Tuesday, September 01, 2009 12:10 PMSubject: RE: A magyar költészetről/Sulla lirica unghereseComplimenti, cara Melinda, per questo bel risultato!Davvero felice per te!Con affetto,Daniela----- Original Message -----From: Olga ErdősTo: Dr. BttmSent: Monday, August 31, 2009 8:45 PMSubject: Re: A magyar költészetről/Sulla lirica unghereseKedves Melinda!Ez aztán a jó hír! Remélem, mielőbb megérkezik Enrico Pietrangelitőla várt véleményezés is az antológiáról, amelyben hatalmas munkájavan, úgyhogy tényleg megérdemelné, hogy ha egy kicsit az olaszirodalom középpontjába is kerülne - még akkor is, ha manapság aköltészet háttérbe szorult a próza javára világszerte.Kíváncsian várom majd a híreket, addig is szeretettel üdvözlöm,Olga----- Original Message -----From: Ornella FioriniTo: Dr. BttmSent: Monday, August 31, 2009 7:51 PMSubject: RE: A magyar költészetről/Sulla lirica unghereseCara Melinda, grazie della Sua e-mail.Sono pienamente d'accordo con Lei che sovente si ricevonocomplimenti 'preconfezionati' riferiti alla nostra persona e al nostrocuore.Però sono (abbastanza) certa che quando quello che esce dalla nostraanima, è 'cosa' vera, è solo questione di tempo, e succede che daqualche 'parte', qualcuno raccolga il calore della tua brace che arde,nonostante la cenere l'affossi, e la copra...Complimenti sinceri al Suo lavoro, e a quanto nella vita l'appassiona.Ornella Fiorini----- Original Message -----From: Pierpaolo PregnolatoTo: Dr. BttmSent: Monday, August 31, 2009 7:15 PMSubject: Re: A magyar költészetről/Sulla lirica ungheresemi fa molto piacere, grazie della comunicazione. Buona serata,sinceri salutiPierpaolo Pregnolato----- Original Message -----From: László Miklós PeteTo: Dr. BttmSent: Monday, August 31, 2009 7:14 PMSubject: Re: A magyar költészetről/Sulla lirica unghereseDrága Melinda!Sok szeretettel gratulálok!P. Laci(L. N. Peters)2009.09.06. 14:32 Gyöngyös Imre – Wellington (Új-Zéland)Kedves Melinda,gratulálok az elismeréshez, ami annyival is értékesebb, mert hiszen azolasz irodalom részéről történő elismerés.Kézcsókkal: Imre2009.10.14. 12:51 Dr. Józsa Judit – Pécs (Hungary)Kedves Melinda!Köszönöm az előzetest. Átfutottam majd figyelmesebben iselolvasom.Örülök, hogy értékes munkának találtad te is. Én más szempontbólolvastam, de ez így az érdekes. Úgy gondolom, hogy ezmindenképpen olyan könyv, amire érdemes felhívni az olvasókfigyelmét.Várom a folyóiratot, majd jelentkezem.Arról is szeretném, majd egyszer megkérdezni a véleményedet,hiszen Te sokat fordítasz, hogy mit tapasztaltál, tényleg elutasítja-eaz olasz olvasó , a XX. századi költészet esetében a rímes fordítást?Az olasz anyanyelvű fordítók általában ezt mondják.Jó munkát mára is!Judit2009.10.15. 11:50 Erdős Olga - Hódmezővásárhely (Hungary)Kedves Melinda!Köszönöm a levelét, és a javított, kiegészített Szűcs recenzió linkjét.Szerencsére most volt/van időm elejétől végig elolvasni, illetve rögtönválaszolni is Önnek.Nagyon érdekes volt számomra is, hiszen magam is fordítok (bár nembeszélem anyanyelvi szinten az olaszt, sem az angolt). Talán épp akötött formák nehéz átültetése miatt vonzódom az ún.szabadversekhez, például egy szonett lefordítása idegen nyelvrőlmagyarra bizony kihívás és hatalmas munka lenne. Egyébkéntegyetértek azzal a megállapítással, hogy a prózákat könnyebb átadni,ugyanakkor csodálok mindenkit, aki dallamában, hangulatában ésrímképletében az eredetihez nagyon hasonló verset fordít egy másiknyelvre. Kedvenc példám Verlaine Őszi chanson-ja Tóth Árpádfordításában.Egyébként ne legyen lelkiismeretfurdalása, hogy megvédte önmagát,ugyanis az a kiragadott jelző, a "kevésbé szerencsés" igenisfélreérthető és bántó is tekintve azt a hatalmas munkát éstapasztalatot, amit az évek során felhalmozott. Nekem az említettJuhász Gyula vers (Milyen volt...) például igenis tetszett olaszul. (...)Szeretettel ölelem,Olga252<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


INSERTO-MELLÉKLETHalál himnusza - Példák könyve Teljes szöveg- másolta Ráskai Lea 1510-ben -Néminemű bölcs, hogy az halált inkább eszében tarthatná, ez bölcs szerzé ez verseket, ezenképen mondván:Elmegyek meghalni, mert az halál bizony, de az halálnak órájánál semmi bizonytalanabb. Jóllehet bizonytalanlegyen, de maga azért elmegyek meghalni.Elmegyek meghalni; mire szeressem én azt, aki keserű végezetet ígér, kinek szerelme hiában való, mire szeretemazt, inkább elmegyek meghalni.Elmegyek meghalni, mert mindennek erre kell jutni, és semmi meg nem bántja, hogy kinek ez rész meg nemadatnék.Elmegyek meghalni, én, ki mostan jelen való ember vagyok, az elmúltakhoz hasonlatos leszek, ha el nem mentem,de maga még elmegyek meghalni.Lássad, hová megyen minden jelen való élő ember, mert az folyár én velem mondhatja, elmegyek meghalni.Elmegyek meghalni; mert az halált valahányszor megérzem bizonnyal lenni, halálos bűnt inkább elhagyok.Elmegyek meghalni; kemény szentencia az gonosznak és az jónak kellemetes adatik, az élést halál követi, azértelmegyek meghalni.Elmegyek meghalni; hamuvá leendő vagyok, miképen születtem, azonképen megvégeztetem.Elmegyek meghalni, egyebeket követvén, még énutánam is többen jönnek, mert sem első, sem utolsó én nemvagyok, azért elmegyek meghalni.Elmegyek meghalni; király vagyok, de micsoda az tisztesség, micsoda ez világi dicsekedés, mert embernek királyura az halál, azért elmegyek meghalni.Elmegyek meghalni; pápa vagyok, de az halál engem nem hagy sokáig pápálkodni, de béfogja számat.Elmegyek meghalni; pispek vagyok, de az botot, az sólyát, az kófiomot, az pispeksüveget akár akarjam, akár ne,de elhagyom és elmegyek meghalni.Elmegyek meghalni; semmi viadalommal meg nem győztetem, esetben vitéz vagyok, de az halált nem tanultammeggyőzni.Elmegyek meghalni; bajnok vagyok, küzdést jól tudok, de az halált meg nem győzhetem, azért elmegyek meghalni.Elmegyek meghalni, mert az vénség engem tovább nem hágy élni.Elmegyek meghalni; vén vagyok, és immár az én időmnek vége közel vagyon, és az halálnak kapuja megnyílt,azért elmegyek meghalni.Elmegyek meghalni; bölcs beszédű vagyok, egyebeket beszédemmel megkereszteltem, de az halál megrekeszteengemet, azért elmegyek meghalni.Elmegyek meghalni; gazdag vagyok, de az arany avagy az marháknak sokasága nekem semmit nem használ.Elmegyek meghalni; szegény vagyok és semmit velem el nem viszek, ez világot megutálom, mezételen belőlekimegyek és elmegyek meghalni.Elmegyek meghalni; bíró vagyok, ki immár sokakat megfeddtem, de az halálnak ítéletit rettegem és elmegyekmeghalni.Elmegyek meghalni; az gonosz gyönyörűség engem meg nem tart, sem az bujaság az én életemet meg nemhosszabbítja.Elmegyek meghalni; nemes nemből születtem, de az nemzetség az én időmet el nem halasztja, azért elmegyekmeghalni.Elmegyek meghalni; látásra szép vagyok, de az halál az szépségnek és az nemes termetnek nem tud kedvezni.Elmegyek meghalni; bölcs vagyok, de vajjon minemű bölcseség tudja az halálnak okosságát meggyőzni; olymintazt mondaná, egy sem.Elmegyek meghalni; bolond vagyok, de az halál sem az bolondnak, sem az bölcsnek nem nyujtja békességnekfrigyét avagy szegődségét, de mind egyetemben elmennek az halálra.Elmegyek meghalni; különb-különb jó étkekkel és borokkal megteljesültem, élvén ezek felett, mégis mondhatom,elmegyek meghalni.Elmegyek meghalni; barát vagyok, ez világnak szerelmének meghalandóul és jó életet veendőül, ezenképen jólmegyek meghalni.Elmegyek meghalni; orvos vagyok, de az orvossággal meg nem szabadulok, mert akármit műveljenek az orvosok,azért én elmegyek meghalni.Elmegyek meghalni; mit vígadok, az homályos szerencse megcsalja az vígadozót, miért hogy meghal az vígadozó,azért én mit vígadok, inkább elmegyek meghalni.Elmegyek meghalni; sok pénzű vagyok, de az pénznek sokasága soha az halált el nem távoztatja.Elmegyek meghalni; alejtván hosszú ideig élni és netalántán ez az utolsó nap, azért készülök meghalni.Elmegyek meghalni; örülvén nem örülök sok ideiglen, de ez világnak örömeit elhagyom és az halálra megyek.Elmegyek meghalni; engem nem siratnak, sem énértem nem imádnak, de elfeledtetem még az enyéimtől is,mikoron én meghalok.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 253


Elmegyek meghalni; de nem tudom, hová megyek, sem tudom, mikoron megyek el, de akárhová fordítsammagamat, ha azért az halálra megyek.Elmegyek meghalni, látván, hogy az halál mindeneken uralkodik és igen sűrű és gyakori az ő hálója.Elmegyek meghalni; azért kérlek téged, kegyelmes Krisztus, hogy irgalmazz énnekem, megbocsátván minden énbűneimet, mert meg kell halnom.Elmegyek meghalni, kérvén én Uram Krisztust, hogy mindenek esedezzenek énérettem és bocsánatot nyerjenekénnekem; ezenképen jól megyek meghalni.Példák Könyve***A 43 levél terjedelmű példagyűjteményt a nyulak-szigeti (Margit-szigeti) domonkos apácakolostorban másolta Ráskai Lea és kéttársnője 1510-ben. A tartalmuk alapján csoportosított példák latin forrása Johannes Herolt Promptuarium exemplorum címűgyűjteménye, ezeket egy regényes példa egészíti ki a tunyán zsolozsmázó szerzetesekről, melynek párhuzamos szövege azÉrsekújvári- és a Nagyszombati Kódexben is olvasható. A kódex egy verses Tízparancsolat és lelki tükör mellett tartalmazza mégAz Élet és a Halál párbeszédét és Petrus de Rosenheim Vado mori című haláltánc himnuszának fordítását. A kódex a 17-18.században a pozsonyi klarisszák birtokában volt, akik egy kötetbe kötötték a Cornides-kódexszel és több más nyelvemlékkel. A19. század elején a kolligátum a budapesti Egyetemi Könyvtár birtokába jutott, ahol Toldy Ferenc szétválasztatta és elnevezteaz egyes részeket. Kiadása: Példák Könyve 1510. Hasonmás, betűhű átirat és latin megfelelő. Kiadta: Bognár András és LevárdyFerenc. Akadémiai Kiadó, Budapest, 1960. (Codices Hungarici 4.) Irodalom: Molnár József - Simon Györgyi: MagyarNyelvemlékek. Tankönyvkiadó, Budapest, 1976, 145.(Forrás: MEK)254<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010 255


256<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>ANNO</strong> <strong>XIII</strong>/<strong>XIV</strong> – NN. 71/72 NOV.-DIC./GENN.-FEBBR. 2009/2010

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!