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"Al Conte Carlo Pepoli " di Giacomo Leopardi. - Biagio Carrubba

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Parafrasi e costruzione <strong>di</strong>retta della poesia " <strong>Al</strong> <strong>Conte</strong> <strong>Carlo</strong> <strong>Pepoli</strong>".1ª strofa.Come sopporti questo affannoso ed inquietosonno che noi chiamiamo vita, o <strong>Pepoli</strong> mio?Con quali speranze alimenti il tuo cuore?Con quali pensieri e con quante belle o noioseopere occupi il tempo libero, grave e faticosaere<strong>di</strong>tà che ti ha lasciato la tua antica famiglia?La vita è tutta noia e dolore in qualsiasicon<strong>di</strong>zione sociale ed economica,poiché quell'operare, quell'affaticarsi che non hacome mira uno scopo degno, o chenon è in grado <strong>di</strong> conseguirlo, alloraè giusto chiamarlo ozioso. La schiera industriosa,<strong>di</strong> coloro che spezzano zolle e curano gli alberi e i greggi<strong>di</strong> coloro che vedono trascorrere l'alba tranquilla e il pomeriggio,la giu<strong>di</strong>cherai faticosa, e <strong>di</strong>rai una cosagiusta e vera se pensi che la vita biologica presain se stessa non ha molto valore per gli uomini.Il nocchiero trascorre la sua vita nella noia;il perenne sudore è noioso nelle officine;le veglie dei soldati e il pericolo delle guerre sono noiosi;e l'avido mercante vive nella noia:la natura umana cerca, aspira e desidera ardentementela bella felicità, ma nessuno l’acquista per sé e per gli altrimalgrado la fatica, il lavoro, l'attesa e il pericolo che sostiene.Eppure la natura aveva preparato per l'infelice vita<strong>di</strong>versi bisogni, come rime<strong>di</strong> per lenireil tormentoso desiderio (della felicità)per il quale gli uomini, già fin dalla creazionedel mondo, desiderarono inutilmente <strong>di</strong> essere beati;bisogni, ai quali è necessario provvederecon lavoro e con preoccupazioni, epoiché le giornate non possono essere liete,almeno le giornate degli uomini trascorresseropiene <strong>di</strong> occupazione e <strong>di</strong> lavoro,in modo che il desiderio della felicitàfosse stor<strong>di</strong>to e allontanato e cosicché esso avessemeno possibilità nel tormentargli il cuore.Così, anche la sterminata razza degli animali vive,anche se in modo meno triste rispetto agli uomini,aspirando, nel proprio cuore, ad ottenere il desideriodella felicità che non solo è uguale al nostro,ma non meno giusto del nostro;mentre la razza animale è intenta a cercareil necessario alla propria sopravvivenza,si scopre che essa trascorre il tempoin modo meno gravoso e meno triste <strong>di</strong> noi,né essa accusa il lento trascorrere delle ore.6


Ma a noi, che affi<strong>di</strong>amo il compito materiale<strong>di</strong> provvedere alla nostra vita a mani altrui,resta una più grave necessità, a cui nessuno,se non noi stessi, può provvedere;questa necessità, io <strong>di</strong>co, è quella <strong>di</strong> riempire la vitae noi uomini vi adempiamo con noia e con pena;una necessità crudele, invincibile, chené un tesoro accumulato, né un'abbondanza <strong>di</strong> greggi,né fecon<strong>di</strong> campi, né reggia, né potere <strong>di</strong> repuò togliere agli uomini. Ora, se qualcuno,prendendo a sdegno gli anni vuoti (inutili)e o<strong>di</strong>ando la bella luce del sole,non rivolge la mano omicida contro se stesso,spinto ad anticipare la morte che tarda;allora egli, cercando in tutti i lati,trova mille occupazioni, ma inefficaci, chesostituiscono male quell'unica occupazione(la spinta ad agire e ad occupare il tempo attivamente)che la natura ha pre<strong>di</strong>sposto per placareil duro morso dell'inestinguibile desiderioche cerca e chiede inutilmente la felicità.2ª strofa.La cura eccessiva degli abiti, dei capelli edegli atteggiamenti e le frivole occupazioniper i cocchi e per i cavalli e le sale affollatee le strade rumorose e i giar<strong>di</strong>ni, tengono occupato lui(il nobile <strong>di</strong>soccupato o il giovin signor del Parini)e giochi e cene e danzelo tengono indaffarato notte e giorno;il sorriso mai non gli <strong>di</strong>parte dalla bocca;ahi, ma una Noia invincibile, grave,ben ferma, immobile, come una colonna d'acciaio,vive e batte nel suo cuore, contro la quale nulla può,né il vigore della giovinezza e nemmenola dolce parola pronunciatadalle rosate labbra <strong>di</strong> una fanciullae nulla può anche il tenero e tremante sguardo<strong>di</strong> due nere pupille,che è la cosa umana più degna del cielo.3ª strofa.<strong>Al</strong>tre persone, volendo sfuggire alla triste sorte umana,consumando la loro vita, percorrendo terre e mari,errando per mari e per terre, percorrono tutto il mondo,e raggiungono, esplorando, ogni confine delle terre chela natura aprì all'uomo negli infiniti campi dell'universo.Ahi, ahi, la tetra Noia si siede sulla prua, e sottoogni clima e sotto ogni cielo si invoca invanola felicità, ma dappertutto la tristezza vive e regna.7


4ª strofa.C'è chi sceglie per passare la vita le armi,e bagna la mano nel sangue del fratello per noia;c'è chi si rallegra dei danni altrui e pensa checon il fare miseri gli altri, fa meno triste se stesso,cosicché procura <strong>di</strong> passare il tempo nuocendo.C'è chi sceglie <strong>di</strong> passare il tempo<strong>di</strong>struggendo la virtù, la sapienza e le arti;c'è chi spende la sua destinata vitatiranneggiando il proprio popolo oconquistandone altri, o togliendola quiete secolare <strong>di</strong> popoli <strong>di</strong> luoghi lontanicon il mercato, con le armi e con le fro<strong>di</strong>.5ª strofa.Un più mite desiderio, un'attività più dolceguidano te (<strong>Carlo</strong> <strong>Pepoli</strong>) nel fiore della tua gioventù,nella primavera della tua vita;il primo e massimo dono della giovinezzaguida gli altri, ma esso (il mite desiderio)è grave, amaro, ostile per chi non ha una patria.Lo stu<strong>di</strong>o della poesia e l'arte <strong>di</strong> descriverecon la parola il bello, raro, scarso e fuggitivo,che appare nel mondo e l'arte <strong>di</strong> <strong>di</strong>pingerequel bello che la vaga fantasia, più benignadella natura e del destino, produce a noiin gran quantità, e l'arte <strong>di</strong> ritrarre l'immaginazione,spingono e spronano te a coltivare la poesia.Ben mille volte fortunatocolui che non perde la breve facoltà dell'immaginazione,per il passare del tempo; fortunato colui a cui gli Deiconcessero <strong>di</strong> conservare per sempre la gioventù nel cuore;fortunato colui il quale nell'età adulta e nella vecchiaia,così come soleva fare nella gioventù,nell'intimo suo pensiero abbellisce la natura, la mortee ravviva il deserto della vita. Il destino conceda a te (<strong>Carlo</strong> <strong>Pepoli</strong>)l’ispirazione poetica che oggi ti scalda il cuore e ti faccia domaniamante della poesia fino alla tua tarda vecchiaia.Io già sento che le dolci illusioni della mia giovinezzavengono a mancare, e già sento che le preziose immagini,che io tanto amai, cominciano a <strong>di</strong>leguarsi dai miei occhi,e che, nel ricordarle, saranno da me tanto desiderate erimpiante fino nell'ultima ora della mia vita.8


Orbene, quando il mio cuore sarà del tutto inari<strong>di</strong>to e freddo,quando il sereno e solitario sorriso dei soleggiati campi,quando il canto degli uccelli mattutini <strong>di</strong> primavera,quando la tacita luna per le valli e per i campi <strong>di</strong> unlimpido cielo non commuoveranno più il mio cuore;quando ogni bellezza <strong>di</strong> natura o <strong>di</strong> arte mi sarà <strong>di</strong>ventatasenz'anima e muta;quando ogni alto sentimento, ogni tenero affetto mi saranno<strong>di</strong>ventati sconosciuti ed estranei;quando sarò privato del mio unico conforto (la poesia),allora sceglierò e mi de<strong>di</strong>cherò ad altri stu<strong>di</strong> meno dolci,con i quali io spero <strong>di</strong> passare l'ingrato tempoche mi resta ancora da vivere.Investigherò la triste realtà, gli oscuri destini delle cosemortali ed eterne; investigherò quale sia il fine per il qualela stirpe umana è stata creata; indagherò quale sia il motivoper il quale essa è stata gravata <strong>di</strong> dolori e <strong>di</strong> miseria;investigherò qualche sia l'ultima finalità verso la qualeil fato e la natura spingono la stirpe umana;investigherò a chi (entità, Dio, fato)il nostro così grande dolore giovi o <strong>di</strong>letti;investigherò con quali leggi e con quali or<strong>di</strong>ni, e qualesia il fine, verso il quale tenda questo misterioso universo,il quale i saggi colmano <strong>di</strong> lo<strong>di</strong> ed io mi accontento <strong>di</strong> ammirare.6ª strofa.Io verrò trascinando il mio tempo in questo filosofare:poiché il vero, una volta che lo si sia conosciuto,anche se triste, ha anche i suoi <strong>di</strong>letti. E talora mentreragiono del vero, se i miei pensieri saranno mal gra<strong>di</strong>tio non accettati dagli altri, non mi <strong>di</strong>spiacerà,perché il desiderio <strong>di</strong> Gloria (la fama)allora mi sarà scomparso del tutto:perché so che la dea Gloria non èsoltanto vana, ma è anche più cieca e capricciosadella Fortuna, del Destino e dell'Amore.Scritta da <strong>Biagio</strong> <strong>Carrubba</strong> il 28 settembre 1999.Tomba <strong>di</strong> <strong>Giacomo</strong> Leopar<strong>di</strong> a Napoli.9


Il Professore <strong>Biagio</strong> <strong>Carrubba</strong>.10


Carmelo Santaera.Letta, riveduta e corretta da <strong>Biagio</strong> <strong>Carrubba</strong> e Carmelo Santaera il 21 novembre 2008.11

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