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Rumeni a Bergamo - Rapporto Immigrazione 2006

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che già da qualche anno lavorava a <strong>Bergamo</strong>.“Io sono arrivata nel ’96, c’era mio marito qui in Italia già a quei tempi,noi ci siamo sposati in Romania, lui era venuto senza di noi, perchéavevamo già una bambina. E la bambina ha compiuto 4 anni quando èvenuta anche lei, sempre nel ’96. Ho sempre lavorato in casa, comecollaboratrice domestica, fare le pulizie, sturare, fare un po’ di tuttoe niente. Là ho fatto il tappezziere di mestiere, però qua per aprireun mio laboratorio ci vogliono tanti soldi e non li avevo. E sono statacostretta a fare questo lavoro, che mi piace, perché conosco tantagente, mi trovi bene...Mio marito lavorava già qui, poi sono arrivataio per 4 mesi non ho lavorato, dopo ho trovato qualcosina, e poi horiempito tutta la settimana. Adesso mi devo clonare per fare tutto.Sono tanti che mi vogliono bene, perché poi vado un po’ in questagrande famiglia, dove ho iniziato” (int. 5a).Eppure, alcune distinzioni devono essere fatte. In primo luogo, lecose sono un po’ diverse per le donne che arrivano sole e che, ancoramolte, lavorano come colf a ore e assistenti familiari di tipoconvivente nelle case bergamasche. La loro situazione non arrivamai a stabilizzarsi veramente e sono sempre esposte al rischio diindietreggiare nel loro percorso migratorio. Questo perché la lorosituazione lavorativa è a tempo determinato e può interrompersi,ad esempio, per il venire a mancare dell’anziano che accudiscono.Ma poiché queste donne, spesso, abitano presso la personache accudiscono o la famiglia per cui lavorano, perdere la propriaoccupazione significa anche, e in breve tempo, perdere la propria“casa”. E questo, ancora prima della perdita del lavoro, può averedelle conseguenze davvero pesanti. Bisogna, poi, considerare chel’orario e il carico di lavoro che queste donne affrontano lascialoro poco tempo per intrattenere rapporti interpersonali e, peresempio, stringere amicizie e legami con i propri connazionali eche i contatti che queste donne hanno spesso e volentieri coinvolgonoaltre connazionali che svolgono la stessa occupazione, e che,quindi, sono nell’impossibilità di ospitarle in queste situazione. Lepiù sfortunate devono cercare aiuto presso qualche associazioneo comunità ed è proprio questa l’esperienza del dormitorio fem-27

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