L'omaggio al poeta Tonino Guerra Il saluto dalla Piazza Grande

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2 apr/mag 2012 Bimestrale d’informazione dell’Amministrazione Comunale di Santarcangelo Editore il Sindaco Mauro Morri Anno XVIII numero 1 apr/mag 2012 Autorizzazione Tribunale di Rimini n. 14/1995 Direttore Responsabile Rita Giannini Segreteria e redazione Servizi di comunicazione Residenza comunale Piazza Ganganelli, 7 tel. 0541/356.356 fax 0541/356.300 ufficiostampa@comune.santarcangelo.rn.it www.comune.santarcangelo.rn.it Numero curato da Giovanni Razzani Redazione Natalino Cappelli, Laura Emanuelli, Grazia Nardi, Federica Pesaresi, Luca Rasponi, Giulia Razzaboni Grafica Colpo d’occhio Rimini Un ringraziamento speciale a Pasquale Bove per le foto gentilmente concesse Finito di stampare su carta Cyclus Print (100% riciclata) il 23 aprile 2012 presso La Pieve Poligrafica Editore Villa Verucchio Distribuzione Poste Italiane Tonino Guerra, il 16 marzo, aveva compiuto novantadue anni. Il daffare che si erano dati a Santarcangelo e Pennabilli nel dividersi i festeggiamenti del poeta è stato commovente. Fortunati i luoghi - direbbe Cesare Pavese - che si contendono una creatura in cui riconoscersi, poter vantare qualcosa di comune, scambiarsi il borgo, le case di pietra, i coppi inverditi dalle piogge, le porte con il battente di ferro e un paio di scalini incurvati, al centro, dove strisciano i piedi, e l’odore del pane che sale per le stradine facendo di corsa il giro breve del paese. Tonino era tutt’uno con questo piccolo mondo trasformato nell’universo dalle sue poesie, ognuna con l’infallibile precisione - cioè l’inimitabile alleanza degli occhi e del cuore - di un poeta che porta i pensieri e le cose a un’altezza sorprendente. Diritti dei Cittadini Edizioni Tonino Guerra, il saluto dalla Piazza Grande TuttoSantarcangelo Pubblicità Comune di Santarcangelo Ufficio Relazioni con il Pubblico - tel. 0541/356.356 Gli introiti pubblicitari sono utilizzati per migliorare la comunicazione e l’informazione del Comune di Santarcangelo nei confronti dei cittadini So come sia irrituale festeggiare il raggiungimento di un traguardo così raro, e capisco come non abbia senso compiacersi dell’autorità raggiunta e consolandosi col vecchio elogio della saggezza. Tonino, per giunta, non amava gli abbandoni crepuscolari, gli ingannevoli riti del consenso, sapeva fare l’uso appropriato di un’ironia mille miglia lontana dalle tentazioni melodrammatiche, le tonalità foscoliane, le piogge sui pineti dannunziani. Ma anche dal folclore innocente, affettuoso, “sempre un po’ in bilico” ammoniva Pascoli, “tra ciò che è e quanto benevolmente appare”. Ma qui è un’altra cosa, ha altre storie e altre tenerezze. Noi non siamo chi poté dire, di fronte all’amico morto, con la stessa solennità di Garcia Lorca afflitto per la perdita di Ignazio: “Tarderà a nascere, se nascerà, un altro come te”. Noi siamo solo i tuoi amici, Tonino, che hanno avuto la fortuna di conoscerti, accanto alle persone che hanno vissuto, con te, lo scambievole privilegio di amarsi. Ricordo come, appena ritornato dalla Germania, percepivi gli odori che il Marecchia portava giù dalla vallata, e ascoltavi le voci che ricucivano le distanze per riavvicinare persone e case, uomini e cose: i sentimenti del tempo e della vita, del passato e del presente, separati e riuniti su quello stesso simbolico binario dove, nel ’43, c’era un vagone colmo di gente seduta sui pianali con i portelloni ancora aperti, le SS su e giù lungo il treno, le gambe a penzoloni, le lucciole tra le siepi che già accendevano le loro minuscole lanterne nel buio viola di luglio. Due estati e due inverni, poi il ritorno. I tedeschi avevano lasciato penzolare le gambe anche dai capestri, come a Rimini, con quella morte di ferragosto che ciondolava al triste vento delle cetre, scriverà altrove Quasimodo; e qui avemmo quel verso di Guido Nozzoli che diceva: “E il sole portò le croci nelle lacrime azzurre delle madri”. Era tornato il poeta e la gente si passava le notizie non più di nascosto, dalle finestre, nei vicoli, ma in piazza, in compagnia di quella luce splendente e solitaria che nei giorni “del sole e del grano”, di Alfredo Panzini, sarebbero diventati della fuga e della morte. Come arrivò, tutti vollero vederlo, dirgli qualcosa di pubblico e di privato, confondendo il rito festoso del ritorno con l’ininterrotta pena dell’attesa. E allora sapemmo che le poesie più belle erano nate dai compagni di sventura, i quali reclamavano ogni sera un racconto fantastico che accendesse ricordi e speranze, sostando sulle immagini più temerarie, come l’idea di scrostare dai pali del lager i grumi di vernice e poi scaldarli in un tegamino e aspettare che dal loro disfarsi apparisse qualche stellina di grasso per aggiungere al corpo, così credettero, un po’ di energia. Il giorno in cui presentò “I bu”, i buoi, la sua prima raccolta di poesie, si seppe che a Santarcangelo di Romagna un poeta scriveva in dialetto versi del tutto nuovi rispetto alla romagnolità ridondante, inneggianti a un luogo, il canalone del Marecchia, che ha l’acqua più limpida della Terra, ospita le piante più ingegnose per utilità e bellezza, e dove, a tender bene l’orecchio, si ode persino il rumore della neve. Quei versi faranno il giro del vento e dei paesi. Una domenica arriverà a Santarcangelo, da Los Angeles, una rappresentanza dell’Associazione degli sceneggiatori statunitensi, la più accreditata e influente del pianeta cinematografico, per consegnare al poeta il Premio alla carriera Jean Renoir. La motivazione va letta, anche qui, per dire qual è stato e rimarrà il giudizio del grande cinema: “Al leggendario Tonino Guerra, uno dei più grandi sceneggiatori dei nostri tempi, che da sei decenni scrive storie per i più importanti registi del mondo”. Mai, pur tra mille riconoscimenti, aveva ricevuto un premio che sancisse, con questa sorta di epigrafe, l’esemplare qualità della sua opera. Uscito da un malanno, non se la sentì di andare a Hollywood dove lo aspettavano per una investitura assimilabile all’Oscar. Da sinistra: Mauro Morri, Vasco Errani, Walter Veltroni, Sergio Zavoli, Stefano Vitali, Sergio Cofferati Di rimando, da costa a costa, inviò al luogo massimamente emblematico della cinematografia internazionale un breve messaggio, ringraziando e rammaricandosi di non poter partire. Fu un evento da cui potemmo trarre lo stesso orgoglio di quando Federico Fellini riceveva, a Los Angeles, i suoi inarrivabili allori. Non si è mai parlato di una circostanza singolare: solo dieci chilometri della medesima strada, da Rimini a Santarcangelo, dividevano due creature venute al mondo, per dir così, l’una accanto all’altra, e vissute per oltre mezzo secolo sotto gli stessi riflettori. Fu “Amarcord” a celebrare una comunanza che riportò Federico e Tonino a casa, sospinti dagli stessi ricordi e dalle nuove immaginazioni, fantastica da aggiungere a Santarcangelo, la patria mai rinnegata; mentre Andrea, il figlio musicista, ricreava a Roma il grande talento paterno, Tonino prolungando quella sorprendente non aveva trovato a Cinecittà il contiguità. Non so se questa nostra benedetta Romagna, curiosa e distratta, che si commuove a ciglio asciutto e abbonda negli affetti, così ribalda e tenera, sfrontata e timida si suo humus più naturale. Ma sarebbe impossibile non ricordare la strabica amicizia di Tonino per la Romagna e la Russia, amate alla pari, così simili da richiamarsi, l’un l’altra, attraverso Tonino Guerra nel ricordo di Sergio Zavoli sia mai stupita che un’aria di collina e di riviera, profumata di poderi e di spiagge, un secolo fa avesse salutato l’arrivo di due ingegni destinati, un giorno, a incantare le più diverse genti del pianeta. Non ho titolo per azzardare proposte, ma riunire in una piazza quell’immaginazione per festeggiare un fenomeno che ha qualche tratto di straordinarietà mi parrebbe un modo di ricordare l’arcana, ma tangibile ubiquità che ha unito i due protagonisti di una leggenda pressoché universale. Poi era salito a Pennabilli, una sorta di eremo civile, una dimensione i lasciti poetici della civiltà contadina. Ai russi era presto piaciuta la poesia sottesa nella vita di Tonino, che resterà alla base del suo “Dizionario fantastico”. Il giorno in cui, nel 1945, gli Alleati irruppero nel campo nazista dov’era rinchiuso, fu come se un colpo di vento fosse venuto a risvegliare un infrenabile bisogno di fuga, di novità; e Guerra, affamato, confidò: “Per la prima volta, vedendo una farfalla, non ho pensato di mangiarmela”. Con “I bu”, nacque l’opera da cui cominciò la rigogliosa rinomanza di Tonino. Gianfranco Contini, tra i più autorevoli critici letterari del ‘900, lo collocò tra i poeti nei quali il dialetto è lo strumento linguistico votato a una qualità espressiva pari a quella di un’opera in lingua. Vorrei dare l’idea del viaggio compiuto nel mondo dai versi di Tonino Guerra limitandomi a ricordare che tra le decine delle grandi personalità salite a Pennabilli un giorno è spuntato, per dir così, anche il Dalai Lama. Che in una piazzetta di paese si tenessero sottobraccio, e nessuno se ne stupisse, un eroe mondiale dei diritti umani e un poeta che racconta la vita annidata nella poesia del mondo, era la sorprendente e reale favola civile vissuta sotto un cielo che stava, alla pari, sulle alte balze del Tibet fino ai riposanti, familiari declivi dell’Alpe romagnola. “Il cielo, diceva Tonino, ha lo stesso colore in tutto il mondo, in pace e in guerra”.

3 apr/mag 2012 “Più poeta di tutti i poeti della terra - ha scritto Garcia Marquez - è quello che parte dalla lingua del suo paese, la più arcaica e primigenia, quella non delle origini, ma delle scaturigini”. Come dire che attinge all’energia dei vulcani, nel cui grembo si è forgiata la possibilità più alta del pensare e del dire: cioè la poesia, il testo estremo. Fu dunque l’uscita de “I bu” a dirci tra le cose e gli uomini è recessa in una comune profondità, alla quale si abbeverano le radici di tutto ciò che è e cresce insieme”. Di qui la scoperta, nel nostro amico e poeta, di un sentimento che per il Vangelo è addirittura una virtù: lo stupore. Esso appare come la matrice di tutta l’evoluzione poetica di Guerra, una sorta di continua seminagione in ogni luogo dove si abbeverano le radici rilkiane dell’esistenza. Una sorta di realismo esistenziale farà da scenario - in chiave metaforica, lirica, favolistica - a un interminabile viaggio compiuto in una Romagna che si prolunga nella Georgia, dove potrebbe essere nato, o nei luoghi di Faulkner e Dos Passos, che Guerra non ha mai visto, eppure con i medesimi cimiteri di ferro battuto, i cancelli cadenti, i vialetti nudi, che stanno su qualche gob- puoi subito credere, insieme con quelle che il dubbio ha diritto di lasciar vivere. Un giorno, forse lo ricorderai, parlammo di un contadino della Val Marecchia che si chiamava Eliseo, aveva un’ottantina d’anni e finiva il giorno, immancabilmente, nel camposanto sopra Pennabilli, con due cipressi a guardia di un cancelletto un po’ sbilenco. Una sera lo vide venire dal vialetto centrale, aspettò che uscisse e cominciò a parlargli. Dopo avere girovagato tra le cose di quaggiù e di lassù, fermatosi l’argomento sul dopo la morte, alla domanda di Tonino, «Ma il Padreterno, Eliseo, c’è o non c’è?», Eliseo se ne uscì con un disarmante pezzo di bravura, rispettoso insieme della ragione e della fede: «Cosa vuole! Se le dico che c’è, così tutto d’un pezzo, mi sembra una bugia; ma se le dico che non c’è mi sembra provocai sui problemi ultimi. «Camminando nella mia valle» rispose «spesso sosto davanti ai piccoli rettangoli d’erba dove si trovano delle croci arrugginite, senza nome. Mi sembra il punto giusto della morte. Sono contrario alle fotografie, alle statue, a tutta la messinscena di cimiteri senza nessuna poesia. Nei nostri cimiteri della Valle la morte è presente in modo più totale e dolce, è un respiro che resta nell’aria, un volo. Ed è un rapporto col silenzio, e anche con la dimenticanza». Finché confiderà: «Ho avuto sempre una gran voglia non di sicurezze speciali, ma di visitare il tempo, perché ha dentro tutto quello che mi stupisce, e che amo senza capirne bene la ragione. Questa è una modernità che pensa solo ai numeri e ai consumi. E per realizzare i suoi primati dimentica le ricchezze più grandi, Tonino Guerra con il sindaco Morri e la moglie Lora il giorno del novantesimo compleanno di un poeta che per novità di stile, allegrezza e pensosità ricordava Ungaretti; il quale era certamente lontano da quella obiettivazione che in Tonino è il bisogno di una realtà presa da qualche lucida falda della coscienza, dove lo stesso Contini (si possa o no parlare di destra e di sinistra anche a proposito di una sorta di hegelismo poetico) scova in Guerra la parvenza di un “ungarettismo di sinistra”. Al ritorno a Santarcangelo si era dato a un lavoro culturale e sociale, alla solidarietà con la parte più debole del paese, cioè alla scelta degli attardati, per la difesa di una condizione violata non solo nei diritti, ma anche nelle ricchezze povere, gelose e nascoste, come la memoria, l’amore dei vecchi, la terra con la sua durezza e la sua innocenza; e poi, l’odore della vita e della pioggia, del padre e del vento, dell’alba e della madre. Mentre le ideologie si contendevano appartenenze e militanze, egli lasciava che ben prima dei “muri” cadessero - e se ne compiaceva - lontananze cupe e fittizie, avendo capito, per dirla con Rainer Maria Rilke, che “la comunione Grande successo per la mostra “Nel Mondo di Tonino Guerra”, prorogata fino al 22 luglio È stata prorogata fino al 22 luglio la mostra “Nel Mondo di Tonino Guerra”, allestita al Monte di Pietà di Santarcangelo. Il prolungamento è un omaggio al poeta scomparso il 21 marzo scorso e una risposta al grande successo di pubblico ottenuto dall’esposizione. Nel primo mese di apertura, infatti, la mostra è stata visitata da oltre 2.270 persone, con un picco di 450 presenze il lunedì di Pasqua. Allestita sulla base delle puntuali indicazioni del Maestro stanza dopo stanza, “Nel Mondo di Tonino Guerra” racconta la storia della ricca e feconda attività dell’artista, portata sempre avanti “con la poesia alle spalle”, come lui stesso affermava. Protagoniste della mostra sono infatti le parole: versi e frasi di Tonino Guerra sono esposte accanto alle immagini e ai suoi oggetti artistici. Fino al 29 aprile l’esposizione è visitabile dal martedì al sabato dalle 16 alle 18,30 e domenica dalle 16 alle 19 (ingresso gratuito), mentre gli orari dei mesi successivi sono in via di definizione. ba del Montefeltro, con le betulle chiare come i platani di Santarcangelo. Belle, fra molte altre, le immagini di una campagna romagnola scelte da Nevio Casadio per l’ultima, straordinaria testimonianza su Tonino, su cui sembra essere appena passato lo stesso trattore che solca un pezzo di Russia, o viceversa; e dei girasoli, al declino del giorno, che chinano le loro cantaglorie dorate, dove si riconvoca la visionaria realtà del “Dizionario fantastico” edito da Capitani - un accurato, fedele stampatore di Rimini - che dà forma di favola reale a un mondo altrimenti dimenticabile; con una naturale dolcezza che si allunga nei vicoli, nelle botteghe, nelle case, non per vivere con l’animo voltato indietro, ma perché non si perda la superstite forza di cui siamo capaci, a cui oggi ci richiamano le parole di Tolstoj: “Non fate niente che sia contrario all’amore”. Tonino, ripetendo Mallarmé, ci ricordava che “l’incredulità non ha genio”, che bisogna far posto anche a qualcosa destinato a durare, seppure intimidito e umiliato dalle nostre insicurezze per le cose difficili, o lievi e propizie, in cui una bugia ancora più grande». E noi, di fronte a quella chirurgica distinzione interiore – perché era meno, ma anche più, di un dubbio qualunque – riflettemmo che di Dio possono parlare, quasi con la stessa gravità, sia Pascal sia Eliseo. Gli raccontai che Federico, una volta, mi aveva detto: «Ma non sei curioso di vedere come va a finire?» e Tonino, ogni tanto, mi chiedeva se avesse aggiunto qualcos’altro. A Mosca - preceduti dalla premura, l’ostinatezza e l’entusiasmo di Lora, la figura centrale del più complesso e favoloso percorso del nostro poeta, che aveva mobilitato il miglior cinema russo - presentammo “In morte di Federico Fellini”, che avevo girato per la Tv. In quell’occasione il “poeta di Santarcangelo” mi disse: «Federico ha ragione, giri, vai, ritorni, parli o stai zitto, ma poi ti adagi, con una piccola viltà, nella celebre frase secondo la quale, facendo l’ultima tara all’immaginazione, Pascal azzardò questa ipotesi straordinaria: “chi cerca ha già trovato”». Per l’inchiesta televisiva “Credere, non credere”, del periodo in cui la Rai era anche un servizio pubblico, lo a cominciare dalla bellezza». Quando l’animo geme anche nelle valli più in pace è tempo di temere. Tonino Guerra, da taluni chiamato “il poeta dell’ottimismo”, a chi stoltamente lo riprovava rispose: «Che cosa volete che spetti ai poeti se non anche l’arduo dovere della speranza? è tempo di ragionare anche sulla incorruttibile bellezza di ciò che, per poco che sia, siamo in grado di salvare con le nostre mani». Il giorno in cui compì 75 anni, circondato dai sindaci della vallata, spaesato dai fiori che gli arrivavano da ogni parte, oltre che dai messaggi speditigli da mezzo mondo, Tonino prese la parola per lanciare, inatteso, un monito a chi distrugge i “borghi”, cioè interrompe il legame con le voci, i colori, i suoni, i respiri del tempo trascorso. La gente, voleva dire, ha il diritto di salvare la sua memoria. Lo guardavo mentre additava i paesi cresciuti sulle creste incorrotte, l’apparire delle prime ferite di cemento, le insegne al neon, le finestre fuori ordinanza, orlate dall’alluminio anodizzato, qua e là l’offesa della plastica. E il “borgo” era lì che festeggiava il suo cantore corrucciato un po’ per rabbia e molto per amore. Voglio ricordarti così, Tonino, come quella volta che salutandoci salii in macchina dove avevi voluto che trovassi, in dono, una formella di ceramica con queste tue parole: “Quando in autunno / c’erano gli alberi nudi / una sera è arrivata / una nuvola di uccelli / stanchissimi / che si sono fermati sui rami. / Pareva fossero tornate le foglie, a dondolare al vento”. «Attaccala a un ramo, non a un muro, ma fuori, dove gira sempre un po’ d’aria», mi disse, «com’è la vita». Grazie della tua. La piazza è colma di gente che ti ha amato anche da lontano. Forse sapeva che tu credevi, in assoluto, al privilegio di essere nati. A patto, aggiungevi, che poi si viva non per esistere, ma per vivere insieme. La piazza è circondata da manifesti in cui, sotto il tuo viso, è stata riprodotta la tua temeraria, quasi indicibile speranza: “Vincerà la bellezza”. Avevi una certezza: che tutto quanto può essere vero è, per ciò stesso, possibile. Va cercato; non c’è, solo se non lo cerchi, se non speri di trovarlo. Elias Canetti, che tu amavi, aveva scritto, entusiasmandoti: «Certe speranze, quelle pure, quelle che nutriamo non per noi stessi, quelle il cui adempimento non deve tornare a nostro vantaggio, le speranze che teniamo pronte per tutti gli altri, che procedono dalla bontà innata della natura umana, poiché anche la bontà è innata, queste speranze di un giallo solare bisogna nutrirle, e difenderle, quand’anche non dovesse mai giungere l’istante in cui si compiano. Perché nessun inganno è altrettanto sacro, e da nessun altro inganno dipende a tal punto la nostra possibilità di non finire sconfitti». «Credo anch’io in tutto ciò che suscita una speranza», commentasti. Ecco perché questo mattino dolente e sereno, severo e assolato, ti somiglia. E non sembra un addio. L’orazione del Senatore Sergio Zavoli Sabato 24 marzo 2012 Piazza Ganganelli

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apr/mag 2012<br />

Bimestr<strong>al</strong>e d’informazione dell’Amministrazione<br />

Comun<strong>al</strong>e di Santarcangelo<br />

Editore il Sindaco Mauro Morri<br />

Anno XVIII numero 1 apr/mag 2012<br />

Autorizzazione Tribun<strong>al</strong>e di Rimini n. 14/1995<br />

Direttore Responsabile<br />

Rita Giannini<br />

Segreteria e redazione<br />

Servizi di comunicazione<br />

Residenza comun<strong>al</strong>e <strong>Piazza</strong> Ganganelli, 7<br />

tel. 0541/356.356 fax 0541/356.300<br />

ufficiostampa@comune.santarcangelo.rn.it<br />

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Numero curato da<br />

Giovanni Razzani<br />

Redazione<br />

Nat<strong>al</strong>ino Cappelli, Laura Emanuelli, Grazia Nardi,<br />

Federica Pesaresi, Luca Rasponi, Giulia Razzaboni<br />

Grafica<br />

Colpo d’occhio Rimini<br />

Un ringraziamento speci<strong>al</strong>e a Pasqu<strong>al</strong>e Bove per le<br />

foto gentilmente concesse<br />

Finito di stampare su carta Cyclus Print<br />

(100% riciclata) il 23 aprile 2012<br />

presso La Pieve Poligrafica Editore<br />

Villa Verucchio<br />

Distribuzione<br />

Poste It<strong>al</strong>iane<br />

<strong>Tonino</strong> <strong>Guerra</strong>, il 16 marzo, aveva<br />

compiuto novantadue anni. <strong>Il</strong> daffare che<br />

si erano dati a Santarcangelo e Pennabilli<br />

nel dividersi i festeggiamenti del <strong>poeta</strong> è<br />

stato commovente. Fortunati i luoghi - direbbe<br />

Cesare Pavese - che si contendono<br />

una creatura in cui riconoscersi, poter<br />

vantare qu<strong>al</strong>cosa di comune, scambiarsi<br />

il borgo, le case di pietra, i coppi inverditi<br />

d<strong>al</strong>le piogge, le porte con il battente di<br />

ferro e un paio di sc<strong>al</strong>ini incurvati, <strong>al</strong> centro,<br />

dove strisciano i piedi, e l’odore del<br />

pane che s<strong>al</strong>e per le stradine facendo di<br />

corsa il giro breve del paese. <strong>Tonino</strong> era<br />

tutt’uno con questo piccolo mondo trasformato<br />

nell’universo d<strong>al</strong>le sue poesie,<br />

ognuna con l’inf<strong>al</strong>libile precisione - cioè<br />

l’inimitabile <strong>al</strong>leanza degli occhi e del<br />

cuore - di un <strong>poeta</strong> che porta i pensieri e<br />

le cose a un’<strong>al</strong>tezza sorprendente.<br />

Diritti dei Cittadini<br />

Edizioni<br />

<strong>Tonino</strong> <strong>Guerra</strong>, il s<strong>al</strong>uto<br />

d<strong>al</strong>la <strong>Piazza</strong> <strong>Grande</strong><br />

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Santarcangelo nei confronti dei cittadini<br />

So come sia irritu<strong>al</strong>e festeggiare<br />

il raggiungimento di un traguardo così<br />

raro, e capisco come non abbia senso<br />

compiacersi dell’autorità raggiunta e<br />

consolandosi col vecchio elogio della<br />

saggezza. <strong>Tonino</strong>, per giunta, non<br />

amava gli abbandoni crepuscolari, gli<br />

ingannevoli riti del consenso, sapeva<br />

fare l’uso appropriato di un’ironia mille<br />

miglia lontana d<strong>al</strong>le tentazioni melodrammatiche,<br />

le ton<strong>al</strong>ità foscoliane, le<br />

piogge sui pineti dannunziani. Ma anche<br />

d<strong>al</strong> folclore innocente, affettuoso,<br />

“sempre un po’ in bilico” ammoniva<br />

Pascoli, “tra ciò che è e quanto benevolmente<br />

appare”.<br />

Ma qui è un’<strong>al</strong>tra cosa, ha <strong>al</strong>tre<br />

storie e <strong>al</strong>tre tenerezze. Noi non siamo<br />

chi poté dire, di fronte <strong>al</strong>l’amico<br />

morto, con la stessa solennità di Garcia<br />

Lorca afflitto per la perdita di Ignazio:<br />

“Tarderà a nascere, se nascerà,<br />

un <strong>al</strong>tro come te”. Noi siamo solo i<br />

tuoi amici, <strong>Tonino</strong>, che hanno avuto<br />

la fortuna di conoscerti, accanto <strong>al</strong>le<br />

persone che hanno vissuto, con te, lo<br />

scambievole privilegio di amarsi.<br />

Ricordo come, appena ritornato<br />

d<strong>al</strong>la Germania, percepivi gli odori che<br />

il Marecchia portava giù d<strong>al</strong>la v<strong>al</strong>lata,<br />

e ascoltavi le voci che ricucivano le<br />

distanze per riavvicinare persone e<br />

case, uomini e cose: i sentimenti del<br />

tempo e della vita, del passato e del<br />

presente, separati e riuniti su quello<br />

stesso simbolico binario dove, nel ’43,<br />

c’era un vagone colmo di gente seduta<br />

sui pian<strong>al</strong>i con i portelloni ancora aperti,<br />

le SS su e giù lungo il treno, le gambe<br />

a penzoloni, le lucciole tra le siepi<br />

che già accendevano le loro minuscole<br />

lanterne nel buio viola di luglio.<br />

Due estati e due inverni, poi il<br />

ritorno. I tedeschi avevano lasciato<br />

penzolare le gambe anche dai capestri,<br />

come a Rimini, con quella morte<br />

di ferragosto che ciondolava <strong>al</strong> triste<br />

vento delle cetre, scriverà <strong>al</strong>trove<br />

Quasimodo; e qui avemmo quel verso<br />

di Guido Nozzoli che diceva: “E il sole<br />

portò le croci nelle lacrime azzurre<br />

delle madri”.<br />

Era tornato il <strong>poeta</strong> e la gente si<br />

passava le notizie non più di nascosto,<br />

d<strong>al</strong>le finestre, nei vicoli, ma in<br />

piazza, in compagnia di quella luce<br />

splendente e solitaria che nei giorni<br />

“del sole e del grano”, di Alfredo Panzini,<br />

sarebbero diventati della fuga e<br />

della morte. Come arrivò, tutti vollero<br />

vederlo, dirgli qu<strong>al</strong>cosa di pubblico e<br />

di privato, confondendo il rito festoso<br />

del ritorno con l’ininterrotta pena<br />

dell’attesa. E <strong>al</strong>lora sapemmo che le<br />

poesie più belle erano nate dai compagni<br />

di sventura, i qu<strong>al</strong>i reclamavano<br />

ogni sera un racconto fantastico che<br />

accendesse ricordi e speranze, sostando<br />

sulle immagini più temerarie,<br />

come l’idea di scrostare dai p<strong>al</strong>i del lager<br />

i grumi di vernice e poi sc<strong>al</strong>darli in<br />

un tegamino e aspettare che d<strong>al</strong> loro<br />

disfarsi apparisse qu<strong>al</strong>che stellina di<br />

grasso per aggiungere <strong>al</strong> corpo, così<br />

credettero, un po’ di energia.<br />

<strong>Il</strong> giorno in cui presentò “I bu”, i<br />

buoi, la sua prima raccolta di poesie,<br />

si seppe che a Santarcangelo di Romagna<br />

un <strong>poeta</strong> scriveva in di<strong>al</strong>etto<br />

versi del tutto nuovi rispetto <strong>al</strong>la romagnolità<br />

ridondante, inneggianti a<br />

un luogo, il can<strong>al</strong>one del Marecchia,<br />

che ha l’acqua più limpida della Terra,<br />

ospita le piante più ingegnose per utilità<br />

e bellezza, e dove, a tender bene<br />

l’orecchio, si ode persino il rumore della<br />

neve. Quei versi faranno il giro del<br />

vento e dei paesi. Una domenica arriverà<br />

a Santarcangelo, da Los Angeles,<br />

una rappresentanza dell’Associazione<br />

degli sceneggiatori statunitensi,<br />

la più accreditata e influente del pianeta<br />

cinematografico, per consegnare<br />

<strong>al</strong> <strong>poeta</strong> il Premio <strong>al</strong>la carriera Jean<br />

Renoir. La motivazione va letta, anche<br />

qui, per dire qu<strong>al</strong> è stato e rimarrà<br />

il giudizio del grande cinema: “Al leggendario<br />

<strong>Tonino</strong> <strong>Guerra</strong>, uno dei più<br />

grandi sceneggiatori dei nostri tempi,<br />

che da sei decenni scrive storie per i<br />

più importanti registi del mondo”. Mai,<br />

pur tra mille riconoscimenti, aveva ricevuto<br />

un premio che sancisse, con<br />

questa sorta di epigrafe, l’esemplare<br />

qu<strong>al</strong>ità della sua opera. Uscito da un<br />

m<strong>al</strong>anno, non se la sentì di andare a<br />

Hollywood dove lo aspettavano per<br />

una investitura assimilabile <strong>al</strong>l’Oscar.<br />

Da sinistra: Mauro Morri, Vasco Errani, W<strong>al</strong>ter Veltroni, Sergio Zavoli, Stefano Vit<strong>al</strong>i, Sergio Cofferati<br />

Di rimando, da costa a costa, inviò <strong>al</strong><br />

luogo massimamente emblematico<br />

della cinematografia internazion<strong>al</strong>e<br />

un breve messaggio, ringraziando e<br />

rammaricandosi di non poter partire.<br />

Fu un evento da cui potemmo trarre<br />

lo stesso orgoglio di quando Federico<br />

Fellini riceveva, a Los Angeles, i suoi<br />

inarrivabili <strong>al</strong>lori.<br />

Non si è mai parlato di una circostanza<br />

singolare: solo dieci chilometri<br />

della medesima strada, da Rimini a<br />

Santarcangelo, dividevano due creature<br />

venute <strong>al</strong> mondo, per dir così,<br />

l’una accanto <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tra, e vissute per<br />

oltre mezzo secolo sotto gli stessi<br />

riflettori. Fu “Amarcord” a celebrare<br />

una comunanza che riportò Federico<br />

e <strong>Tonino</strong> a casa, sospinti dagli stessi<br />

ricordi e d<strong>al</strong>le nuove immaginazioni,<br />

fantastica da aggiungere a Santarcangelo,<br />

la patria mai rinnegata; mentre<br />

Andrea, il figlio musicista, ricreava<br />

a Roma il grande t<strong>al</strong>ento paterno, <strong>Tonino</strong><br />

prolungando quella sorprendente<br />

non aveva trovato a Cinecittà il<br />

contiguità. Non so se questa nostra<br />

benedetta Romagna, curiosa e distratta,<br />

che si commuove a ciglio<br />

asciutto e abbonda negli affetti, così<br />

rib<strong>al</strong>da e tenera, sfrontata e timida si<br />

suo humus più natur<strong>al</strong>e. Ma sarebbe<br />

impossibile non ricordare la strabica<br />

amicizia di <strong>Tonino</strong> per la Romagna e<br />

la Russia, amate <strong>al</strong>la pari, così simili<br />

da richiamarsi, l’un l’<strong>al</strong>tra, attraverso<br />

<strong>Tonino</strong><br />

<strong>Guerra</strong><br />

nel ricordo di<br />

Sergio Zavoli<br />

sia mai stupita che un’aria di collina<br />

e di riviera, profumata di poderi e di<br />

spiagge, un secolo fa avesse s<strong>al</strong>utato<br />

l’arrivo di due ingegni destinati, un<br />

giorno, a incantare le più diverse genti<br />

del pianeta.<br />

Non ho titolo per azzardare<br />

proposte, ma riunire in una piazza<br />

quell’immaginazione per festeggiare<br />

un fenomeno che ha qu<strong>al</strong>che tratto di<br />

straordinarietà mi parrebbe un modo<br />

di ricordare l’arcana, ma tangibile ubiquità<br />

che ha unito i due protagonisti di<br />

una leggenda pressoché univers<strong>al</strong>e.<br />

Poi era s<strong>al</strong>ito a Pennabilli, una<br />

sorta di eremo civile, una dimensione<br />

i lasciti poetici della civiltà contadina.<br />

Ai russi era presto piaciuta la poesia<br />

sottesa nella vita di <strong>Tonino</strong>, che<br />

resterà <strong>al</strong>la base del suo “Dizionario<br />

fantastico”. <strong>Il</strong> giorno in cui, nel 1945,<br />

gli Alleati irruppero nel campo nazista<br />

dov’era rinchiuso, fu come se un colpo<br />

di vento fosse venuto a risvegliare un<br />

infrenabile bisogno di fuga, di novità;<br />

e <strong>Guerra</strong>, affamato, confidò: “Per la<br />

prima volta, vedendo una farf<strong>al</strong>la, non<br />

ho pensato di mangiarmela”. Con “I<br />

bu”, nacque l’opera da cui cominciò<br />

la rigogliosa rinomanza di <strong>Tonino</strong>.<br />

Gianfranco Contini, tra i più autorevoli<br />

critici letterari del ‘900, lo collocò tra i<br />

poeti nei qu<strong>al</strong>i il di<strong>al</strong>etto è lo strumento<br />

linguistico votato a una qu<strong>al</strong>ità espressiva<br />

pari a quella di un’opera in lingua.<br />

Vorrei dare l’idea del viaggio compiuto<br />

nel mondo dai versi di <strong>Tonino</strong><br />

<strong>Guerra</strong> limitandomi a ricordare che tra<br />

le decine delle grandi person<strong>al</strong>ità s<strong>al</strong>ite<br />

a Pennabilli un giorno è spuntato,<br />

per dir così, anche il D<strong>al</strong>ai Lama. Che<br />

in una piazzetta di paese si tenessero<br />

sottobraccio, e nessuno se ne<br />

stupisse, un eroe mondi<strong>al</strong>e dei diritti<br />

umani e un <strong>poeta</strong> che racconta la vita<br />

annidata nella poesia del mondo, era<br />

la sorprendente e re<strong>al</strong>e favola civile<br />

vissuta sotto un cielo che stava, <strong>al</strong>la<br />

pari, sulle <strong>al</strong>te b<strong>al</strong>ze del Tibet fino ai<br />

riposanti, familiari declivi dell’Alpe romagnola.<br />

“<strong>Il</strong> cielo, diceva <strong>Tonino</strong>, ha lo<br />

stesso colore in tutto il mondo, in pace<br />

e in guerra”.

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