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mezzocielo 1991-2011 Evviva, c’è del nuovo davanti Fotografie di Loretta Lux, The Drummer, 2004 bimestrale di politica cultura e ambiente pensato e realizzato da donne anno XVIII - n. 6 - novembre dicembre 2010 - € 5,00 sped. in a.p. art. 2 comma 20/c legge 662/96 Filiale di Palermo

mezzocielo<br />

1991-2011<br />

Evviva,<br />

c’è del nuovo davanti<br />

Fotografie di Loretta Lux, The Drummer, 2004<br />

bimestrale di politica cultura e ambiente<br />

pensato e realizzato da donne<br />

anno XVIII - n. 6 - novembre dicembre 2010 - € 5,00<br />

sped. in a.p. art. 2 comma 20/c legge 662/96<br />

Filiale di Palermo


Propositive e quindi sovversive<br />

Resistere alla invasione della violenza proponendo una diversa organizzazione del reale<br />

Francesca Traìna<br />

La società che mi avvolge,<br />

della quale sono parte<br />

per processo di<br />

immersione e dalla quale, per<br />

processo inverso, emergo come<br />

periscopio di sottomarino che<br />

risale dagli abissi per scrutare<br />

le variazioni del mare, si<br />

manifesta al mio sguardo come<br />

trama sottile e colorata erosa<br />

dalla sopraffazione dei colori<br />

forti sui colori tenui. Così<br />

l’ordito sociale appare sgranato<br />

per l’oppressione brutale di<br />

soggetti contro soggetti, di<br />

sistemi contro sistemi, di<br />

potere contro libertà. Ma c’è<br />

un’altra violenza silenziosa e<br />

invisibile. È la violenza contro<br />

se stesse/i, l’indifferenza al<br />

proprio “destino”, la<br />

rassegnazione, il sacrificio.<br />

Viene in mente il messaggio di<br />

Tolstoj: la “non resistenza al<br />

male” che poi è il fulcro del<br />

messaggio cristiano che troppi<br />

equivoci e danni ha ingenerato<br />

fino a scontrarsi con la difesa<br />

legittima, da non confondere<br />

con la violenza intesa come<br />

atto individuale di giustizia,<br />

invitando a “porgere l’altra<br />

guancia” o ad “amare il<br />

nemico”.<br />

Credo che nel 2010 si debba<br />

andare oltre il pensiero<br />

schiacciato dalle ideologie e<br />

affrontare i problemi legati alla<br />

violenza dalla parte di chi la<br />

riceve ma anche di chi la<br />

pratica. Questo significa calare<br />

il problema nel contesto socioculturale<br />

costruito fin qui e nel<br />

vissuto psichico e intrapsichico<br />

dei soggetti agenti cercando<br />

collegamenti e connessioni tra<br />

ciò che la società rimanda<br />

come violento e ciò che<br />

ciascuno/a è rispetto al proprio<br />

agito di soggetto sessuato.<br />

Avverto profondamente,<br />

soprattutto in questi ultimi<br />

tempi, la consapevolezza di un<br />

misfatto che si vorrebbe<br />

perpetrare: il tentativo di<br />

cancellazione del femminile in<br />

quanto non più corrispondente<br />

all’ordinamento patriarcale, il<br />

tentativo di limitare o<br />

condizionare la libertà<br />

femminile esercitando il<br />

controllo sul corpo e<br />

travalicando il principio della<br />

sua inviolabilità. Tutto questo<br />

passa anche attraverso la<br />

possibilità di relazionarsi fra<br />

donne in modo diretto e non<br />

Tristi pensieri di fine d’anno<br />

L’ultima parte dell’anno è stata investita da tali e tante violenze naturali,<br />

individuali e, peggio ancora, di stato che non possiamo fare a<br />

meno di ricordarle: perché il silenzio totale calato su di esse le renderebbe<br />

ancora più crudeli.<br />

Ricordiamo i morti di colera nella povera isola di Haiti: si parla di<br />

oltre mille persone, ed il numero cresce di giorno in giorno.<br />

Ricordiamo i 600 cambogiani (uomini, donne, bambini) morti<br />

schiacciati tra loro, caduti in acqua o ustionati dalle armi<br />

antisommossa della polizia mentre si recavano a festeggiare il loro<br />

Dio. Ma ricordiamo anche l’assassinio di un professore di scienze<br />

iraniano, ucciso da una bomba lanciatagli da uno scooter, mentre si<br />

recava all’Università assieme alla moglie. Questo delitto,<br />

immediatamente coperto dal silenzio, mi è parso particolarmente<br />

ripugnante: perché delitto di Stato, compiuto quasi certamente (non<br />

vi è stata nessuna smentita) dal Mossad, servizi segreti israeliani.<br />

Che la politica iraniana e la sua corsa verso l’energia atomica<br />

costituisca un pericolo per il mondo, lo sappiamo bene; ma si può<br />

fermare questa corsa al male con l’assassinio di un cervello? Che la<br />

stampa occidentale (liberale e laica) abbia bollato lo scienziato<br />

dilaniato come “un intellettuale del regime” (assolvendo quindi<br />

implicitamente gli assassini) non allevia la vergogna. Ricorda<br />

piuttosto i crimini nazisti (o dello stesso Saddam Hussein, che fece<br />

uccidere decine di intellettuali suoi “oppositori”). Come può uno<br />

stato legale, membro dell’Onu, considerato spesso “l’unico stato<br />

democratico del Medio Oriente”, e che per tanti aspetti riceve la<br />

solidarietà di gran parte dell’opinione pubblica mondiale, farsi<br />

mandante di una tale barbarie? Ci si ricorda che in tutto il mondo ci<br />

si mobilita per l’abolizione della pena di morte? Vi è un forte<br />

biasimo, una condanna severa, una punizione diplomatica?<br />

Jody Williams, giovane donna americana che si batte contro le mine<br />

antiuomo (Premio Nobel per la pace) ha detto: Le emozioni senza le<br />

azioni sono irrilevanti. Come trasformare in azioni positive ed utili,<br />

le emozioni che ci provocano queste, e tante altre tragedie, che si<br />

verificano nel mondo? Lasciamo un dolente punto interrogativo,<br />

come una luminaria, appeso alle arcate scintillanti che salutano<br />

l’anno nuovo.<br />

Simona Mafai<br />

più secondo il modello<br />

riproduttivo che conduceva<br />

verso strade di omologazione<br />

legittimate dallo sguardo<br />

maschile e dalla sua<br />

intermediazione. La relazione<br />

fra donne, non ritenuta<br />

politica, non è mai stata<br />

trascritta nella storia, nel mito -<br />

e dunque nel simbolicodeterminandone<br />

così la<br />

miseria, la declassificazione a<br />

“fatti di donne” o per dirla col<br />

nostro gergo siciliano, “cosi di<br />

fimmini”, fatti privati destituiti<br />

di valore politico.<br />

La realtà è soggetta ad una<br />

invasione capillare ed<br />

inesorabile di forme di<br />

violenza che ci colgono spesso<br />

impreparate, stupite e travolte<br />

da un senso di impotenza. La<br />

proliferazione di atti violenti è<br />

stata così veloce da non darci il<br />

tempo di capirne e ricercarne<br />

le cause profonde condizionate<br />

come siamo ad analizzarne le<br />

conseguenze. E siamo<br />

mancanti anche di un alfabeto<br />

per nominare e rendere<br />

riconoscibile la violenza,<br />

infinite essendo le sue<br />

espressioni.<br />

La violenza sul corpo delle<br />

donne come quella sul corpo<br />

dei/delle bambini/e è la più<br />

brutale, ma è opportuno che<br />

gli uomini si interroghino su<br />

questo e sull’istinto non<br />

controllato dal cervello che li<br />

conduce all’efferatezza. Non<br />

c’è giustificazione che le donne<br />

possano trovare per gli<br />

stupratori acquattati nel buio<br />

dei garage in attesa della<br />

“preda”, né per coloro che<br />

ammazzano le donne perché<br />

non ne possiedono il corpo, né<br />

per quanti ricattano e<br />

schiavizzano per costringere<br />

alla prostituzione.<br />

C’è un campo illimitato di<br />

violenze psicologiche e fisiche<br />

che riducono all’obbedienza,<br />

alla sottomissione e che<br />

replicano metodi usati dai<br />

nazisti nei campi di<br />

concentramento per annullare<br />

la soggettività umana<br />

privandola di identità e dignità<br />

fino alla sua regressione allo<br />

stato animale.<br />

C’è poi la violenza del<br />

linguaggio, il turpiloquio,<br />

l’offesa, l’insulto, l’umiliazione,<br />

la paura.<br />

E poi vi sono le tracce visive e<br />

sconvolgenti della natura<br />

violentata, le immagini sporche<br />

dei nuovi media, l’arroganza<br />

del mezzo audiovisivo,<br />

l’invasività di una tecnologia<br />

che vorrebbe ridefinire e<br />

manipolare la percezione; le<br />

mutazioni dei paesaggi urbani,<br />

degli spazi domestici, la<br />

difficoltà di capire il mondo. È<br />

un confronto serrato tra il<br />

pensiero e l’immaginario<br />

dominante, tra la realtà e la sua<br />

rappresentazione. Ed è in<br />

questa realtà che le donne<br />

praticano una possibile<br />

resistenza intesa come tensione<br />

capace di emettere segnali<br />

nuovi verso l’urgenza di<br />

un’alternativa, una diversa<br />

organizzazione del reale e del<br />

simbolico, un cambiamento<br />

che partendo da sé cambi il<br />

mondo.<br />

La costruzione di un ordine<br />

simbolico rispetto<br />

all’appiattimento e<br />

all’omologazione culturale, ai<br />

condizionamenti e all’etica,<br />

non solo cattolica, che impone<br />

la “famiglia” come unica<br />

possibile forma sociale,<br />

conferisce valore alla ricchezza<br />

potenziale della realtà per<br />

svilupparne una singolarità<br />

che si ponga in maniera<br />

dialettica con un diverso<br />

pubblico. Non si tratta di un<br />

approccio meramente<br />

contestatario e rivoluzionario,<br />

ma sovversivo proprio per il<br />

suo essere propositivo che<br />

pone la strada di una forte<br />

trasformazione e di un nuovo<br />

posizionamento femminile<br />

fuori dal vittimismo.<br />

2


Fotografia di Letizia Battaglia, Distorsione, 2010<br />

Destinatarie di violenza<br />

Una società spietata verso chi non nasconde il proprio lato debole<br />

Elena Ciofalo e Martina Quatra<br />

Il destinatario ultimo della violenza di genere siamo noi, le ragazze, le donne, che subiamo in forma variegata tante<br />

violenze diverse, dall’incomprensione alla subordinazione e l’assassinio. Ma chi è il mittente di tali violenze? Sono i<br />

ragazzi che si fanno scherno di noi e dei nostri problemi, per rinforzare la loro appartenenza al gruppo dei maschi, o<br />

che ignorano le nostre esigenze non comprendendole? Sono gli uomini indotti a sfogare la frustrazione e la volontà di<br />

potere sulla donna a causa dello stress del confronto con modelli maschili di dominio? Anche, sì. Ma responsabile è più<br />

estesamente l’intera struttura della nostra società, cristallizzata nei suoi arrugginiti modelli di azione, spietata verso chi non<br />

nasconde il proprio lato debole. Lo scopo della violenza istigata dalle regole societarie è la privazione dell’autostima in<br />

noi donne e l’oblio della forza e del ruolo, troppo intensi e rivoluzionari per la nostra arcaica società. Ma la forza interiore<br />

di noi donne è innata, in quanto la natura ci ha rese madri e quindi radici comuni dell’umanità, e le scelte che compiremo<br />

nella nostra vita dipendono dalla scoperta di tale forza. Una forza che si declina nei diversi modi di agire nel quotidiano,<br />

interagire con gli altri, concepire la società, una forza che deriva dalla consapevolezza in cui noi ragazze siamo nate, grazie<br />

ai modelli delle nostre madri, delle scrittrici che leggiamo, delle artiste che amiamo, delle politiche che seguiamo. E<br />

seguendo i loro esempi con impegno saremo capaci di continuare a modificare il nostro contesto.<br />

3


Susanna Camusso è una buona notizia<br />

Trovare nella forza femminile un valore condiviso e riconosciuto<br />

Monica Lanfranco<br />

Ho un debole per le<br />

donne forti, e mi rendo<br />

conto che questa è una<br />

strana espressione per<br />

esprimere un’opinione e<br />

descrivere una convinzione che<br />

appare come contraddittoria,<br />

mentre non lo è affatto. Ma in<br />

un’epoca contrassegnata, in<br />

Italia, dal simbolico<br />

berlusconiano straripante di<br />

sessismo e avvilente<br />

mercificazione del corpo<br />

femminile si stenta a trovare<br />

nella forza femminile, quella<br />

dell’intelligenza, della tenacia,<br />

del rigore e della competenza<br />

un valore riconosciuto e<br />

condiviso. Persino nel<br />

movimento delle donne non è<br />

automatica e scontata<br />

l’attribuzione di valore verso<br />

una donna che raggiunga un<br />

vertice, sia esso nel campo della<br />

politica istituzionale, del mondo<br />

del lavoro, dell’economia, della<br />

cultura. Rosangela Pesenti,<br />

storica femminista attenta<br />

anche alle pieghe meno<br />

luminose del percorso<br />

movimentista, ricorda spesso<br />

come le prime a cancellare il<br />

valore delle altre siano proprio<br />

le donne, femministe comprese.<br />

Abituate alla costante<br />

svalorizzazione, da parte di ogni<br />

patriarcato (compreso e<br />

soprattutto quello della<br />

sinistra), piegate da un clima di<br />

sessismo feroce che nell’ultimo<br />

periodo ha i tratti del grottesco,<br />

l’impressione è che si faccia<br />

persino fatica a vedere<br />

nell’elezione di Susanna<br />

Camusso un segno importante<br />

da cogliere, un’àncora di<br />

speranza alla quale agganciarsi<br />

per risalire il buio. Di certo non<br />

è facile, per nessuna, arrivare ad<br />

assumere una incombenza così<br />

decisiva come quella di leader.<br />

In Italia, sin dai tempi<br />

dell’acquisizione del diritto di<br />

voto, il rapporto tra le donne e<br />

il potere è un terreno minato.<br />

Si fa fatica persino a nominare<br />

l’incarico di Susanna Camusso:<br />

quasi nessun media la definisce<br />

‘segretaria generale’, e si arriva<br />

ad effetti comici quali giri di<br />

parole del tipo ‘oggi si elegge<br />

la prima segretario donna della<br />

Cgil’. In una realtà dove<br />

persino semplicemente<br />

sessuare nel modo giusto<br />

l’appellativo è complicato<br />

come potrebbe essere facile<br />

Ricordiamo Maria Giudice<br />

È probabilmente la prima donna che assume cariche dirigenti complessive<br />

nel movimento sindacale italiano. Può essere considerata lombarda-siciliana,<br />

perché nasce in provincia di Pavia (nel 1880), dove si diploma<br />

maestra ed aderisce al Partito socialista, assumendo nel 1903 (a 23<br />

anni!) la carica di segretario della Camera del Lavoro di Voghera, poi di<br />

Fidenza. Conduce lotte sindacali e politiche (pacifiste) nella zona<br />

(durante la famosa “settimana rossa”); quindi si trasferisce a Torino,<br />

dove assume la direzione della Camera del Lavoro e del giornale socialista<br />

Il grido del popolo. Si unisce liberamente, senza sposarsi, ad un giovane<br />

sindacalista rivoluzionario, Carlo Civardi, che morirà al fronte,<br />

durante la prima grande guerra, lasciandola con molti figli. Dopo varie<br />

peripezie che la porteranno fuggitiva in Svizzera, e poi in carcere,<br />

comincia per Maria Giudice una seconda vita: in Sicilia. Qui arriva<br />

inviata dal Partito socialista, per sostenere i candidati e le candidate<br />

delle liste nelle elezioni comunali del 1920, ma subito si impegna nel<br />

movimento sindacale. Guida la Camera del Lavoro di Catania, organizza<br />

il Congresso dei contadini siciliani, si misura con le dure reazioni del<br />

padronato mafioso e le violenze dell’incipiente fascismo. Commemora a<br />

Prizzi il capolega Nicolò Alongi, assassinato dalla mafia. Durante i suoi<br />

affollati comizi agiscono provocatori e spesso la polizia spara: così a<br />

Lentini, nel 1922, dove vengono uccise due donne. La Giudice è rinchiusa<br />

in carcere, per quasi un anno. Nel 1927 il regime fascista la sottopone<br />

ad “ammonizione”. Maria si ritira a Roma, assieme alla figlia<br />

avuta dal suo nuovo compagno – l’avvocato Giuseppe Sapienza. La<br />

bambina è Goliarda Sapienza, che diventerà – nel secondo dopoguerra<br />

– una famosa scrittrice femminista. Durante la sua lunga, coraggiosa ed<br />

impegnata vita aveva sempre promosso gli obbiettivi di emancipazione<br />

e libertà femminili e assieme ad Angelica Balabanoff, ai primi del ’900,<br />

aveva pubblicato il quindicinale “Su, compagne!”.<br />

(per approfondire: Jole Calapso, Una donna intransigente, Vita di Maria Giudice – ed. Sellerio)<br />

vivere e agire quell’incarico?<br />

Se la semantica non trova pace,<br />

perché è il corpo stesso a<br />

creare problemi, a essere<br />

d’ingombro, come potrà la<br />

realtà essere accogliente?<br />

Sembra che quando c’è di<br />

mezzo una donna non ci siano<br />

curricula che tengano: ci sarà<br />

qualcosa che non va se sei<br />

arrivata fin lì. Magari non sarà<br />

stata una questione di letto, ma<br />

qualche compromesso lo avrai<br />

ben fatto per avere rotto quel<br />

tetto. Compromessi che<br />

mettono a rischio la radicalità,<br />

che limitano la trasparenza, che<br />

minano la fiducia. E siccome<br />

siamo ancora ben lontane dal<br />

cambiare il mondo senza<br />

prendere il potere, come<br />

auspica John Holloway, il<br />

fantasma che aleggia su ogni<br />

donna che arrivi ad una qualche<br />

forma di potere riconosciuto è<br />

pesante, e si è meno inclini a<br />

perdonare una donna potente<br />

che un uomo potente. Ancora<br />

troppo svalorizzate, diminuite,<br />

umiliate nel complesso come<br />

genere dalla cultura arcaica che<br />

ammorba questo paese non<br />

riusciamo a trovare ragioni forti<br />

per dare credito alle poche di<br />

noi (specie a quelle che ci sono<br />

vicine come provenienza e<br />

percorsi) che riescono a<br />

emergere, proprio perché la<br />

maggioranza di noi è indietro.<br />

L’antico morso dell’invidia, il<br />

profondo disagio generato<br />

dall’avere introiettato il<br />

demone dell’inferiorità ci parla<br />

ancora troppo forte, e soffoca<br />

l’empatia e la capacità di<br />

convenire, o di confliggere, in<br />

modo non distruttivo con<br />

un’altra donna, specialmente se<br />

questa è autorevole e potente.<br />

Avevo poco più di 20 anni,<br />

quando vidi per la prima volta<br />

Susanna Camusso: fu a Torino,<br />

un 8 marzo celebrato dal<br />

Coordinamento Donne Flm in<br />

un teatro. Ricordo il freddo<br />

pungente e grandi cesti di mele<br />

rosse posti a corredo del tavolo<br />

dove le sindacaliste relatrici<br />

accoglievano le convenute.<br />

Niente giallo della mimosa<br />

rituale, solo il rosso squillante<br />

di quei pomi. Seppi che quella<br />

bella donna bionda, che mi<br />

appariva molto più grande di<br />

me senza in realtà esserlo, era<br />

la sola donna dentro il<br />

sindacato più maschile di tutti,<br />

quello metalmeccanico, e mi<br />

parve una aliena<br />

irraggiungibile, a me ancora<br />

studentessa e giornalista ai<br />

primi passi. Dopo molti anni<br />

l’ho ritrovata animatrice di<br />

Usciamo dal silenzio, una<br />

proposta feconda per il<br />

movimento delle donne<br />

proprio perché, a mio parere,<br />

lanciata come offerta di ripresa<br />

di mobilitazione e confronto<br />

politico fuori da schemi di<br />

partito o di schieramento. L’ho<br />

vista ascoltare le ragioni e le<br />

voci di donne migranti e native<br />

in occasione dei 10 anni di vita<br />

di Trama di terre, e ammettere<br />

di dover studiare e ascoltare<br />

molto sui temi del rischio del<br />

multiculturalismo e del<br />

relativismo. Non è frequente,<br />

in Italia, che chi si trova in una<br />

situazione apicale riconosca di<br />

avere degli spazi di sapere e di<br />

competenza ancora da colmare,<br />

e si metta in ascolto. In questi<br />

mesi che hanno preceduto la<br />

sua elezione ho letto e ascoltato<br />

giudizi offensivi e denigratori<br />

nei suoi confronti con<br />

argomenti che non sarebbero<br />

stati mai usati se si fosse<br />

trattato di un uomo. Come nel<br />

caso del duello, purtroppo<br />

perduto, tra Emma Bonino e<br />

Renata Polverini anche questa<br />

volta ci saranno due donne<br />

sedute da spalti opposti, e<br />

questo spalto, trattandosi di<br />

una partita ben più lunga<br />

rispetto ad una elezione<br />

regionale, ci darà la possibilità<br />

di misurare le capacità e i limiti<br />

di entrambe le protagoniste.<br />

Con una differenza importante:<br />

accanto e oltre alle tante<br />

identità che Susanna Camusso<br />

ha scelto per dare corpo alla<br />

sua passione politica c’è anche<br />

quella del femminismo. Una<br />

bussola fortissima, della quale<br />

abbiamo un disperato bisogno,<br />

che può mettere in moto<br />

cambiamenti enormi partendo<br />

anche da piccole cose, come ad<br />

esempio il modo di nominare<br />

una leader. Rosa Luxemburg<br />

scrisse che il primo gesto<br />

rivoluzionario è chiamare le<br />

cose con il loro vero nome.<br />

Benvenuta, segretaria.<br />

4


Fotografia di Letizia Battaglia, 2005<br />

Basta una solo giorno a smentire il concetto di convivenza<br />

Salvatore Nicosia<br />

Al concetto, pur così rilevante, ma insufficiente, di tolleranza, va sostituito quello della convivenza fra persone<br />

diverse all’interno di una società democratica, capace di assicurare a tutti condizioni dignitose di esistenza, e la<br />

ipacifica coesistenza – in un quadro egualitario e condiviso di diritti e doveri – di cittadini diversi fra loro, ma tutti<br />

egualmente pleno iure: e si potrebbe cominciare con lo ius civitatis, cioè con il diritto ad essere cittadini della città in cui<br />

si vive e si lavora.<br />

A favore di questa estensione dei diritti, di questo ideale di società fondata sull’uguaglianza dei diritti e dei doveri, c’è una<br />

ragione che va assai oltre l’affermazione di un principio egualitario: principi come questi, in apparenza semplici e condivisi,<br />

sono in realtà il risultato di una elaborazione filosofica millenaria, il frutto di una tensione intellettuale che ha dovuto<br />

contrastare e superare le tendenze più radicate della natura umana, volte invece all’egoismo, all’interesse personale, alla<br />

prevaricazione, all’affermazione della legge del più forte, e all’ostilità nei confronti dell’altro. Voglio dire che occorrono<br />

millenni per convincersi che “gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti” (come recita la Dichiarazione<br />

dell’89), ma basta un solo giorno perché un’intera società si induca a smentire, nella prassi dei concreti comportamenti,<br />

quel principio.<br />

Sarebbe, questa, una vera catastrofe culturale. da “Stranieri di ieri e stranieri gialli e neri” Istituto Gramsci Siciliano Ed. 2010<br />

5


Massimo Ciancimino: “Santu o dimoniu”?<br />

Nel nome di un ipotetico riscatto delinea un affresco ancora tutto da scoprire<br />

Alessandra Dino<br />

Dev’essere certamente<br />

difficile portare quel<br />

nome e avere quegli<br />

ascendenti.<br />

Chiunque egli sia, qualunque<br />

cosa egli faccia, c’è il rischio di<br />

restare per sempre inchiodati a<br />

scontare la storia di un altro: la<br />

storia di un padre e dei suoi<br />

abusi, la storia delle sue malversazioni,<br />

della sua arroganza.<br />

E non basteranno tutte le relazioni<br />

e le ricchezze consegnategli<br />

in eredità, a mutare le sue<br />

sorti o a modificare un’immagine<br />

pubblica consumata dalle<br />

inchieste giudiziarie, corrosa da<br />

tristissime vicende umane. Per<br />

molti, quell’uomo sarà sempre<br />

il figlio di un padre-padrone<br />

che, insieme agli amici mafiosi,<br />

ha scritto le pagine più oscure<br />

della nostra storia più recente,<br />

dal dopoguerra alle stragi degli<br />

anni Novanta.<br />

Già solo per queste ragioni,<br />

dev’essere difficile chiamarsi<br />

Ciancimino ed essere figlio di<br />

“don” Vito, il despota di<br />

Palermo, il sindaco degli undici<br />

giorni, l’uomo dai mille volti –<br />

mafioso? agente di Gladio?<br />

uomo dei Servizi? – che il<br />

mondo intero riconosce ormai<br />

da tempo, soprattutto, quale<br />

principale protagonista degli<br />

anni più tristi e bui della storia<br />

politica siciliana: quella del<br />

“sacco di Palermo” e dell’omicidio<br />

Mattarella; quella degli<br />

appalti truccati e dei favori agli<br />

uomini di Cosa Nostra.<br />

Tuttavia, non muove troppe<br />

simpatie questo Massimo<br />

Ciancimino, soprattutto quando<br />

comincia a rievocare in pubblico,<br />

con tono scanzonato, i<br />

dettagli delle storie più sotterranee<br />

e oscure della nostra<br />

Repubblica, di cui appena ieri<br />

era sodale e comprimario, e di<br />

cui si propone oggi quale diretto<br />

testimone a fini di giustizia.<br />

Ebbene, se da un lato, non si<br />

può non riconoscere l’importante<br />

contributo che starebbe<br />

fornendo alle ricostruzioni degli<br />

inquirenti, d’altro canto non si<br />

riesce a trattenere un moto di<br />

insofferenza quando lo si vede<br />

assumere le pose di un protagonismo<br />

civile che mal si concilia<br />

con le storie e i ruoli che di se<br />

stesso egli racconta; cosicché<br />

questa sua loquela appare più<br />

che una libera scelta, la conseguenza<br />

di una meditata valuta-<br />

A che serve la cultura<br />

zione, sollecitata dalle indagini<br />

di una magistratura coraggiosa e<br />

pignola che lo ha stretto in un<br />

angolo, costringendolo a parlare<br />

di sé e delle sue ricchezze, degli<br />

affari del padre e dei suoi più<br />

torbidi traccheggi.<br />

E poi, seppure siano in tanti tra<br />

Rosanna Pirajno<br />

«Con la cultura non si mangia», è l’ormai storica sentenza del ministro<br />

Tremonti che un ex «guitto» napoletano, il cantante Nino D’Angelo, ha<br />

fulminato con un conciso «… ma fa crescere». Se non si capisce, o si<br />

simula dato che il ministro scrittore di libri si suppone che ne abbia<br />

anche letti, che «cultura» non è saccente esposizione di dati di cui sono<br />

depositari i detestati «intellettuali» malauguratamente di sinistra, ma è<br />

manifestazione dei «saperi» di popoli insediati in tempi e luoghi<br />

determinati, se si finge di ignorare che i «saperi intrecciati» esprimono<br />

la «civiltà» di popoli e luoghi che ne vengono plasmati anche<br />

fisicamente, se si confonde il «benessere» derivante da una equa<br />

distribuzione di proventi e risorse direttamente con il «mercato» che lo<br />

determina, e che già di suo identifica benessere con possesso di quantità<br />

di merci e beni preziosi e costosi, vuol dire che si è affermato anche in un<br />

paese di antiche radici umanistiche come il nostro, grazie al liberismo<br />

della destra al comando, quel «pragmatismo» impietoso che tanto piace<br />

al «governo del fare» a cui però nessuno antepone, neppure per caso, un<br />

preventivo atto «del pensare». Ora, la crisi economica e finanziaria che<br />

attanaglia molti paesi del mondo e che sta accentuando le disparità<br />

sociali già esistenti, creandone inoltre di nuove in ceti un tempo<br />

benestanti, è brandita dai nostri governanti come maglio da catapultare<br />

sui settori considerati meno produttivi e quindi economicamente «fuori<br />

mercato». Secondo una concezione di stampo prettamente mercantile, fa<br />

testo la produzione immediata e tangibile di moneta contante e<br />

afferrabile, quindi di ricchezza calcolata sulla impennata del famigerato<br />

Prodotto Interno Lordo nazionale. Non è arrivata, a questi governanti<br />

perlopiù protesi a mantenere un modello di sviluppo per molti aspetti<br />

messo in discussione, la proposta di introdurre nel paniere del Pil anche<br />

la impalpabile eppure concreta sensazione di «benessere» proveniente<br />

non dal possedere ma dal vivere bene, in pace e in armonia con e nel<br />

proprio contesto sociale e ambientale. In una parola, nel contesto<br />

«culturale» che il divenire della Storia ha espresso e sedimentato nel<br />

Paese in cui si vive ed opera. Così come non è pervenuta, ai medesimi<br />

governanti sordi e ciechi per eccesso di ignoranza e/o di benessere<br />

materiale, la domanda di conoscenza proveniente da una parte, non<br />

maggioritaria ahimé ma consistente e in crescita, della popolazione che<br />

– azzardo – ha preso coscienza dei livelli di insipienza, e nello stesso<br />

tempo di indottrinamento, in cui è precipitata dopo decenni di<br />

abbandono della «pedagogia della informazione colta» che il sistema di<br />

comunicazione di massa, soprattutto pubblico, si era posto come<br />

obiettivo primario. Né sono informati della infiltrazione delle mafie là<br />

dove si batte moneta, di cosche interessate ad agevolare al massimo il<br />

«fare» lavori - opere specie se grandi, eventi, edilizia nuova specie se in<br />

terreni agricoli, infrastrutture specie se velleitarie – piuttosto che<br />

«cultura» che, con ogni evidenza, non dà da mangiare. Le notizie che si<br />

susseguono, a Palermo come a Pompei e oltre, di beni materiali che si<br />

sbriciolano e di beni immateriali che si smantellano, allarmano non solo<br />

per la perdita di testimonianze uniche e insostituibili ricevute in eredità,<br />

con il dovere di preservarle ai posteri, ma per i concreti rischi che<br />

comportano di indifferenza all’impoverimento delle testimonianze che<br />

raccontano la nostra storia e rappresentano la nostra civiltà, e quindi di<br />

assuefazione ad una esistenza di pura materialità e priva della<br />

spiritualità che dona la contemplazione e la fruizione della Bellezza.<br />

Cioè, senza Cultura.<br />

gli investigatori quelli pronti a<br />

dargli credito, non mancano<br />

coloro che ne contestano con<br />

insistenza le contraddizioni e le<br />

libere rielaborazioni di una<br />

memoria paterna spesso priva<br />

di adeguati riscontri probatori.<br />

Insomma, Ciancimino testimone<br />

privilegiato o millantatore?<br />

Prezioso collaboratore o astuto<br />

doppiogiochista? Per dirla alla<br />

siciliana, “Santu o dimoniu”?<br />

Ho letto e riletto con molta<br />

attenzione le dichiarazioni pubbliche<br />

del giovane figlio di<br />

“don” Vito, le sue interviste, le<br />

testimonianze rilasciate nelle<br />

aule dei tribunali. In alcuni casi,<br />

si tratta di racconti ricorrenti già<br />

nelle cronache giudiziarie o politiche<br />

degli anni passati, che qualunque<br />

analista dotato di intuito<br />

e professionalità avrebbe potuto<br />

facilmente rielaborare, offrendoli<br />

come contributo di verità alla<br />

soluzione di intricate vicende di<br />

mafia. Nulla di nuovo, insomma.<br />

In altri casi, però, bisogna riconoscere<br />

che la testimonianza di<br />

Massimo Ciancimino scava nel<br />

profondo e ricostruisce nei dettagli<br />

una serie di sconcertanti retroscena,<br />

accompagnati da documenti<br />

e scritti tanto più credibili,<br />

quanto più prontamente oggetto<br />

di violente contestazioni da parte<br />

di esponenti del potere politicoistituzionale<br />

di questo nostro<br />

malandato Paese. Quelle disegnate<br />

da Ciancimino sulla “trattativa”,<br />

sul complesso e articolato<br />

universo di malaffare, politica ed<br />

economia di cui il padre Vito era<br />

il motore immobile, sui rapporti<br />

con esponenti della finanza vaticana<br />

e con gli speculatori della<br />

“Milano da bere”, sono immagini<br />

di un affresco ancora tutto da<br />

scoprire, ma già oggi abbastanza<br />

nitido e visibile nelle sue linee<br />

essenziali e che ci auguriamo la<br />

magistratura riesca a svelare nella<br />

sua interezza.<br />

Costretto a una partita che non<br />

ha scelto e che – forse – prima<br />

d’ora non avrebbe mai pensato<br />

di giocare, al figlio di “don”<br />

Vito si presenta oggi un’occasione<br />

irripetibile per riscattare –<br />

come ha spesso ripetuto – “l’orgoglio<br />

del nome”. A condizione<br />

che faccia piena luce sul patrimonio<br />

probabilmente ancora in<br />

parte sconosciuto, accumulato<br />

dal padre, e che racconti fino in<br />

fondo, oltre che le avventure del<br />

signor Lo Verde e quelle della<br />

“trattativa”, anche le storie di<br />

quei tanti, insospettabili colletti<br />

bianchi arricchitisi con la complicità<br />

dei mafiosi e della cattiva<br />

politica, che ancora oggi frequentano<br />

i salotti di Palermo e<br />

sussurrano infastiditi: “Ma chi<br />

glielo fa fare…?”.<br />

6


Fotografia di Shobha, Cambogia, 2010<br />

Le bambine di Ballaro’ non<br />

sono molto diverse dalle<br />

ibambine del quartiere<br />

Libertà o dalle bambine di un<br />

altro paese; non sono neanche<br />

tanto diverse dai bambini di<br />

Ballarò, per quella differenza<br />

infantile che li/le accomuna<br />

tutte, tutti, rendendoli/e diverse<br />

dagli adulti e dalle adulte. E<br />

questa differenza è data da uno<br />

sguardo speciale sulla realtà,<br />

proprio di ogni bambino e di<br />

ogni bambina, uno sguardo<br />

diretto, fiducioso, ricco di<br />

immaginazione, che rende l’età<br />

infantile, non solo<br />

cronologicamente diversa e<br />

distante da quella adulta, ma,<br />

nel migliore dei casi, paradigma<br />

per una visione nuova delle<br />

cose che riguarda uomini e<br />

donne. Perché allora parlare<br />

solo delle bambine di Ballarò?<br />

Perché in questo caso è la<br />

differenza femminile che vorrei<br />

analizzare. E vorrei partire da<br />

una realtà sociale che mi<br />

permette di coglierne meglio<br />

alcune caratteristiche.<br />

L’esperienza di volontariato in<br />

contesti territoriali dove la violenza<br />

maschile è ancora accettata,<br />

subita, e giustificata, e<br />

dove le bambine crescono<br />

segnate, più che altrove, da una<br />

visione della donna che sostanzialmente<br />

non è cambiata, mi<br />

spinge a riflettere sulle risorse<br />

di un’azione sociale che oltre a<br />

proporsi come luogo di accoglienza<br />

e sostegno alle persone<br />

Le bambine di Ballarò<br />

in difficoltà, possa anche restituire<br />

dignità alle bambine come<br />

ai bambini, perché possano<br />

essere donne e uomini diversi.<br />

Solo un volontariato squisitamente<br />

laico può promuovere<br />

nuova cultura, dove la proposta<br />

di un modo nuovo di stare<br />

insieme connota le azioni stesse<br />

di significato politico.<br />

Un progetto che restituisca<br />

dignità e voce ai più deboli è<br />

intrinsecamente politico.<br />

Sono tante le bambine che ogni<br />

giorno frequentano la biblioteca<br />

delle Balate all’Albergheria e<br />

i laboratori che qui si svolgono.<br />

Oltre la lettura, che costituisce<br />

l’asse portante del progetto, le<br />

bambine si confrontano con la<br />

pittura, il teatro, la musica, scegliendo<br />

tra tutte, l’espressione<br />

artistica che risponde maggiormente<br />

ai propri desideri e alle<br />

proprie attitudini.<br />

La televisione che entra prepotentemente<br />

nelle case di persone<br />

senza strumenti culturali,<br />

offre modelli di donna che<br />

tanto più risultano vincenti,<br />

quanto più si presentano come<br />

assoluti. Bambine che, lasciate<br />

sole, in un territorio che non<br />

offre alternative, costruiscono,<br />

intorno ad un’immagine<br />

Libere dalla schiavitù delle veline!<br />

Francesca Vassallo<br />

mediatica, sogni irraggiungibili<br />

cui seguiranno inevitabilmente<br />

frustrazioni e rabbia con cui<br />

dovranno fare i conti.<br />

Un volontariato che abbia<br />

come obiettivo la promozione<br />

sociale, dovrebbe non solo<br />

accompagnare le persone nella<br />

consapevolezza dei propri<br />

diritti, ma anche offrire un’alternativa<br />

efficace ai modelli<br />

subiti dai bambini e dalle bambine<br />

dei quartieri più poveri.<br />

Nell’ambito della politica<br />

sociale si parla sempre di bisogni,<br />

mai di desideri. Come se<br />

questi ultimi fossero un lusso<br />

concesso a chi ha il necessario<br />

per vivere. Un volontariato che<br />

guarda alla cura oltre che ai<br />

bisogni non può non farsi<br />

attento ai desideri di donne,<br />

uomini, bambini, bambine, che<br />

cercano un riconoscimento<br />

della loro più profonda umanità<br />

offesa, negata, maltrattata;<br />

e questa non coincide soltanto<br />

con i beni materiali, pur sapendo<br />

quanto questi siano indispensabili<br />

per un’esistenza<br />

dignitosa e quanto sia doveroso<br />

battersi per una politica che<br />

guardi al diritto di tutti e di<br />

tutte ad una vita decorosa.<br />

I cambiamenti più consistenti<br />

nelle azioni pedagogiche sono<br />

quelli che puntano sulla valorizzazione<br />

concreta delle abilità e<br />

dell’autonomia di giudizio,<br />

attraverso esperienze conoscitive<br />

e relazioni interpersonali che<br />

rafforzino l’autostima e la creatività.<br />

Più cresce la consapevolezza<br />

delle proprie risorse in luoghi<br />

di benessere, più ci si allontana<br />

dai modelli esterni che soffocano<br />

i desideri più profondi, quelli<br />

che una bambina di Ballarò<br />

difficilmente può manifestare. I<br />

risultati sono leggibili già nell’immagine<br />

esteriore che le bambine<br />

nel tempo modificano, e<br />

che si manifestano in una maggiore<br />

padronanza di sé e del<br />

proprio corpo. Ho visto bambine/adolescenti<br />

arrivare la prima<br />

volta, tutte uguali o nella trascuratezza<br />

o nell’artificio di un’emulazione<br />

di immagini femminili<br />

che non appartengono loro,<br />

lasciare gradualmente certi stereotipi<br />

per il ritrovato piacere di<br />

essere se stesse, libere dalla<br />

schiavitù della velina di turno di<br />

cui vestirsi, perché…si vuol<br />

essere altro.<br />

Sapere chi siamo e cosa desideriamo<br />

è il primo passo per trovare<br />

la forza di non restare vittime<br />

di un destino sociale, di<br />

una violenza normalmente<br />

taciuta, ma anche il coraggio di<br />

sentirsi libere da ogni altra cultura<br />

imposta dall’esterno, per<br />

scegliere una vita consapevole<br />

e responsabile, dove vi sia<br />

posto per il desiderio.<br />

7


Nuove pratiche per spiazzare il potere<br />

Ma le condizioni le dobbiamo dettare noi<br />

Gisella Modica<br />

Viviamo in un’epoca di<br />

passaggio, si dice, nella<br />

quale coesistono eventi<br />

fra loro molto contrastanti.<br />

L’impressione è di vivere in<br />

una Babele, dove le parole<br />

hanno perso di significato. La<br />

Babele aumenta quando si<br />

manifestano attraverso parole<br />

rubate al vocabolario del femminismo,<br />

per stravolgerle a<br />

fini strumentali. A cominciare<br />

per esempio dal privato che è<br />

politico nel senso che è diventato<br />

pubblico. Il risultato è che<br />

vivo a fasi alterne, e altalenanti,<br />

tra il dire “ho fatto troppo”<br />

e “non ho fatto abbastanza”;<br />

tra tutto va meglio, e tutto va<br />

peggio allo stesso tempo.<br />

Sensazione credo alquanto<br />

condivisa, che porta chi a leggere<br />

il mondo come un bicchiere<br />

mezzo vuoto – guardandolo<br />

cioè dal lato delle<br />

miserie e delle mancanze<br />

(guerre, violenze, welfare<br />

ridotto ai minimi termini,<br />

l’informazione asservita al<br />

padrone, etc, etc.) e che in<br />

modo speculare coincide con<br />

la lettura della miseria e della<br />

mancanza femminile (donne<br />

violentate, disoccupate, semplici<br />

corpi oggetto e/o complici<br />

del piacere e dell’occhio<br />

maschile, e chi ne ha più ne<br />

metta). E chi invece suggerisce<br />

una lettura del mondo dal<br />

lato delle conquiste. Come<br />

dire: per ogni sindaco di Adro<br />

che esclude dalla mensa scolastica<br />

i bambini di genitori<br />

morosi, ci sarà una maestra<br />

che spartisce il suo cibo o un<br />

benefattore anonimo. E parlando<br />

di conquiste, in modo<br />

speculare si parla della conquista<br />

della libertà femminile.<br />

Quest’ultima lettura è quella<br />

che preferisco. Una lettura<br />

che senza negare l’esistenza<br />

delle miserie, e delle mancanze,<br />

legge in questo “caos postpatriarcale”<br />

un’occasione non<br />

tanto di costruire un nuovo<br />

ordine (si cadrebbe così nella<br />

trappola maschile del futuro<br />

di là da venire), ma di avere<br />

nuovi occhi nel presente per<br />

vedere “quel di più che già<br />

esiste, e ha solo bisogno di<br />

essere riconosciuto e nominato<br />

per cambiare”. Un atto di<br />

indipendenza simbolica<br />

insomma. Perché di simbolico<br />

si tratta, dal momento che<br />

Un modo per rovesciare la domanda è chiedersi “se oggi<br />

sia più importante parlare del posto delle donne nella<br />

società degli uomini (più spazi, più quote) o non sia<br />

meglio parlare degli uomini che si separano sempre più<br />

dalle donne”; di conseguenza di chiedere agli uomini di<br />

fare un passo indietro, invece che alle donne tre passi in<br />

avanti. Soprattutto alla luce dei comportamenti omologati<br />

e prevedibili delle donne che hanno già conquistato<br />

a livello nazionale e internazionale fette sempre<br />

più grosse di potere istituzionale o economico.<br />

l’ordine fin qui vincente,<br />

imposto in modo magistrale<br />

da Berlusconi, che di fiction<br />

se ne intende – ovvero di fare<br />

vivere alle classi popolari lo<br />

stesso sogno del padrone,<br />

mettendo queste ultime in<br />

contraddizione con se stesse, e<br />

in competizione fra loro per<br />

diventare più capitalisti del re<br />

– è giocato tutto sul piano dell’immaginario.<br />

Perché quanto conti il simbolico,<br />

il capitalismo lo sa, e la<br />

sinistra ancora no, scrive Lia<br />

Cigarini. Non a caso il n. 92<br />

del 2010 di Via Dogana prende<br />

come titolo “Cambiare<br />

l’immaginario del cambiamento”.<br />

Se è vero che il patriarcato<br />

è morto (è successo nel<br />

momento in cui un buon<br />

numero di donne, non tutte<br />

naturalmente, hanno smesso<br />

di sentirsi in primo luogo vittime),<br />

nel caos che sta seguendo<br />

alla sua caduta, tuttora in<br />

corso, può essere interessante<br />

mettere a confronto due diverse<br />

“mosse vincenti” che le<br />

femministe propongono (e che<br />

per brevità mi limiterò a porre<br />

tra virgolette).<br />

La prima è continuare a<br />

nominare il di più, e farlo in<br />

ogni luogo. “Sottrarre politica<br />

viva ed efficace al potere<br />

contendendogli i gesti e le<br />

parole della politica capace<br />

di dare senso alle cose e<br />

creando spazi per domande<br />

divergenti”.<br />

Per esempio un modo per<br />

rovesciare la domanda è chiedersi<br />

“se oggi sia più importante<br />

parlare del posto delle<br />

donne nella società degli<br />

uomini (più spazi, più quote)<br />

lato meno visibile che va<br />

attenzionato per non cadere<br />

nell’alienazione del potere.<br />

Basterebbe, per orientarsi, e<br />

non è cosa da poco, “riconoscere<br />

ciò che di volta in volta è<br />

per sé vitale, badando a non<br />

separare il dentro dal fuori”, il<br />

visibile da ciò che risulta meno<br />

visibile, appunto.<br />

Queste donne suggeriscono di<br />

partire da qui cominciando col<br />

mettere in parole questa fiducia,<br />

e cosa cambia per ognuna<br />

avere questa fiducia. La seconda<br />

“mossa” per un nuovo<br />

ordine comincerebbe smettendo<br />

di assumersi la responsabilità<br />

solo dei corpi delle donne,<br />

ma dei corpi “deboli” in genere<br />

(bambini, disoccupati, lavoratori<br />

espulsi dalla produzione<br />

o che nelle fabbriche continuano<br />

a lasciarci la vita,<br />

migranti) violati dall’attuale<br />

ordine globalizzato.<br />

“Può una massa di individui<br />

deboli – uomini e donne –<br />

costituire una forza tale da<br />

contrastare la forza cieca dei<br />

forti?”, si domanda Maria<br />

Concetta Sala nel numero<br />

ultimo scorso di <strong>Mezzocielo</strong>.<br />

“Si può pensare ad una politica<br />

che non sia puro esercizio<br />

di potere?” La parola<br />

“potere” – da conquistare, da<br />

rinnegare, da ripensare –<br />

torna ad essere pronunciata<br />

da più parti. Lo si invoca dal<br />

sito della Lud (Libera<br />

Università delle Donne), invitando<br />

le donne alla responsabilità<br />

politica, e proponendo<br />

un manifesto intitolato “Di<br />

Nuovo” dove si afferma che<br />

la libertà femminile conquistata<br />

è solo apparente, e che<br />

la motivazione va cercata<br />

nella rinuncia di una parte<br />

del femminismo al confronto<br />

con le istituzioni. Col potere,<br />

appunto.<br />

Ma a questo punto ritorna la<br />

domanda finora irrisolta:<br />

come portare la forza femminile<br />

nei luoghi pubblici, o<br />

dove le contingenze di volta<br />

in volta necessitano, senza<br />

perdersi? Cioè senza rinunciare<br />

ad una parte di sé.<br />

Soprattutto quella interiore.<br />

Perché le donne al mercato,<br />

lo sappiamo, portano tutte se<br />

stesse, e può succedere che<br />

costrette dalla legge di necessità,<br />

la tentazione di prendeo<br />

non sia meglio parlare degli<br />

uomini che si separano sempre<br />

più dalle donne”; di conseguenza<br />

di chiedere agli<br />

uomini di fare un passo indietro,<br />

invece che alle donne tre<br />

passi in avanti. Soprattutto<br />

alla luce dei comportamenti<br />

omologati e prevedibili delle<br />

donne che hanno già conquistato<br />

a livello nazionale e<br />

internazionale fette sempre<br />

più grosse di potere istituzionale<br />

o economico. L’assenza<br />

delle donne dalle istituzioni e<br />

dai posti di potere, secondo<br />

questa lettura, non sarebbe<br />

risultato dell’ estromissione<br />

da parte dei maschi, ma una<br />

“schivata” (Luisa Muraro) da<br />

parte delle donne stesse, dettata<br />

dal desiderio “di muoversi<br />

su un altro piano”, per citare<br />

Carla Lonzi. Come dire:<br />

approfittare del momento, e<br />

invece “di salvare un mondo<br />

che è sempre esistito a prescindere<br />

da me e facendosi<br />

beffe del mio modo di vedere<br />

le cose” – è più esplicita<br />

Marina Terragni nel numero<br />

91/ 09 di VD – sarebbe più<br />

salutare “ascoltare l’intenso<br />

desiderio del proprio azzardo”.<br />

“Fare quello che mi va<br />

di fare a partire dai miei desideri<br />

di cui mi fido molto”. È<br />

infatti una questione di fiducia,<br />

sopratutto in se stesse,<br />

per arrivare a dire che il<br />

mondo non è solo quello che<br />

viene rappresentato dal potere.<br />

Crederci, appunto.<br />

Sapendo per di più che non<br />

tutto quello che si vede può<br />

essere compreso e nominato,<br />

ma che rimane sempre dell’altro,<br />

e che è proprio questo<br />

8


La Saltini, in questi grandi fogli neri, improvvisamente accesi da bianchi<br />

accecanti che feriscono gli occhi, ci ha trasportato in una città dov’è scomparsa la<br />

luce, senza un centro, in uno spazio incerto, fluttuante nel buio, in cui è bene<br />

guardarsi le spalle. Sono immagini forti quelle che abbiamo davanti, che non<br />

fanno sconti all’espressione delle zone più inquiete dell’essere al mondo... e non<br />

sai bene se provare pietà o avere paura di bambini che camminano sull’orlo<br />

dell’abisso, a cui nessuno soffierà il naso con gesto amorevole, pronti a<br />

combattere, a saccheggiare, ma anche a compiere piccoli gesti di tenerezza, per<br />

garantirsi una sopravvivenza da adulti. Certo è che, con la stessa trepidazione,<br />

aspetti che faccia giorno.<br />

Lea Mattarella dalla presentazione della mostra di Pilar Saltini Night games (Trappole notturne)<br />

Pilar Saltini, monotipo, serie Night games, Galleria Nuvole Incontri d’Arte, Palermo, 2010<br />

re la scorciatoia e farsi sedurre dalla “cerchia mortifera del potere” è sempre dietro l’angolo. Le donne del movimento No Dal<br />

Molin, l’associazione Femminile Plurale, la rete delle donne Città Vicine, per citarne alcune, che nei luoghi pubblici già ci stanno,<br />

dicono di non illudersi. Che sono consapevoli della lentezza naturale di certi cambiamenti, se veramente sono tali, e che servono<br />

pratiche adeguate.<br />

E a proposito di pratiche colgo una novità: da parte di chi la pratica della relazione e del partire da sé l’hanno inventata e sostenuta,<br />

ci si chiede se nel nuovo contesto caratterizzato dall’esplosione del protagonismo femminile “ma che non ha la forza di cambiare il<br />

modo di fare politica”, non sia un bagaglio “pesante che ci confina” (Lia Cigarini).<br />

E dunque? Serve tutta la nostra immaginazione creativa per inventare nuove pratiche capaci di spiazzare il potere. “L’importante è<br />

dettare noi le condizioni”, propone Marina Terragni. Come ? “Vale più la pratica che la grammatica. Una comincia a modo suo, poi<br />

si volta indietro e vede come ha fatto. E si raddrizza il percorso” risponde Terragni.<br />

Perché allora, mi domando, fiduciose del cammino fin qui percorso, non ci candidiamo alle prossime elezioni comunali con una lista<br />

civica? Magari insieme ad uomini ma che accettano le nostre condizioni. Una comincia...<br />

9


Rosaria, tanto tempo fa<br />

Un racconto tra verità e legenda<br />

Cynthia Rodrìguez (giornalista messicana, autrice del libro “Contacto en Italia”)<br />

Una sera ci sorprese tutti.<br />

Un’ora prima era stato<br />

servito l’ultimo piatto<br />

del pranzo di Ferragosto ed eravamo,<br />

come si dice, al momento<br />

della digestione quando, così di<br />

improvviso, la zia Rosaria si alzò<br />

il vestito fino alla cintura. Non<br />

portava né calze né reggiseno e<br />

la sua pelle scivolava facilmente<br />

nella sottana di nylon che indossava<br />

sotto il vestito a fiori gialli.<br />

Con la tranquillità che sempre<br />

l’aveva caratterizzata, cominciò a<br />

guardare se stessa... prima fissò<br />

lo sguardo sui pezzi di pelle che<br />

le cadevano dal petto fin sotto il<br />

ventre. Li toccava e li alzava<br />

come se li volesse aggiustare o<br />

farli sparire. Con una mano teneva<br />

il vestito e con l’altra continuava<br />

ad esplorarsi. Non parlava<br />

e nemmeno noi che eravamo lì<br />

presenti ci permettevamo di dire<br />

una sola parola, nessuna espressione<br />

che potesse disturbarla e<br />

farla uscir da quello stato in cui<br />

sembrava che pochi secondi l’avessero<br />

portata al futuro; anzi, al<br />

presente. Noi la guardavamo in<br />

totale silenzio quasi con la stessa<br />

sorpresa con la quale lei continuava<br />

a guardare lentamente<br />

quel nuovo corpo appena scoperto.<br />

Da come guardava a se<br />

stessa, sembrava fossero passati<br />

almeno quattro decenni da<br />

quando, l’ultima volta, aveva<br />

osservato il suo corpo. Ancora<br />

oggi, sua sorella alimenta la leggenda<br />

di quando la zia Rosaria<br />

l’accompagnava o andava a<br />

prenderla al centro di Palermo,<br />

vicino al piazza Politeama dove<br />

prendeva lezioni di cucito,<br />

prima di diventare sarta. La differenza<br />

fra loro due, a parte<br />

l’età, era che una era magra<br />

magra e Rosaria aveva un corpo<br />

rotondo, alla Sofia Loren (dice-<br />

L’ultima beffa del governo<br />

iraniano ai danni di Sakineh<br />

Ormai è un lungo braccio di ferro quello tra comunità internazionale<br />

e Iran. L’oggetto del desideriosono gli insediamenti<br />

nucleari iraniani. Il baratto è Sakineh, la sua esecuzione<br />

capitale o la sua liberazione. E così una specie di prova del<br />

nove, per vedere come la comunità internazionale avrebbe<br />

reagito, è stata fatta rilasciandola per un paio di giorni. Con<br />

lei sono stati rilasciati il figlio, Sajjad Qaderzadeh, e l’avvocato<br />

difensore, in carcere da ottobre. La beffa però, era dietro<br />

l’angolo, ed è stata perpetrata ai danni della comunità internazionale,<br />

Italia compresa, che ne ha fatto prontamente una<br />

bandiera da issare per gli efficaci interventi della diplomazia<br />

italiana. Ma Sakineh non è stata rilasciata, le hanno accordato<br />

un permesso per girare un video per conto di Press Tv, la<br />

principale televisione governativa, l’equivalente della nostra<br />

Rai Uno. Nel video Sakineh compare per la prima volta a<br />

volto scoperto, contrariamente a quello precedente, in cui il<br />

volto era coperto, confessa come e perché è complice dell’assassinio<br />

del marito, ma il volto è quello dei suoi vent’anni. La<br />

fiction, della durata di 25 minuti, in lingua inglese trasmette<br />

una video ricostruzione dell’omicidio del marito, avvenuta<br />

nel dicembre 2005, a Tabriz nella loro casa, dove la donna<br />

confessa di aver iniettato un sonnifero per stordire il marito,<br />

in modo da poter “agevolare” il suo amante ad ucciderlo.<br />

Come ogni fiction che si rispetti, il video è molto emozionale,<br />

e denso di particolari. Così, mentre una voce fuori campo<br />

descrive i particolari, l’uomo, che è coperto e in secondo<br />

piano, usando un cavo elettrico, fa ben sette tentativi, fino a<br />

trovare il cavo giusto che fulminerà definitivamente il malcapitato.<br />

Il sedicente amante è reo confesso, è libero, naturalmente,<br />

mentre Sakineh è in carcere da quattro anni. Anche il<br />

coraggiosissimo figlio Sajjad e l’avvocato sono stati portati sul<br />

“luogo del delitto”. Perché questa ennesima crudeltà e umiliazione?<br />

Per noi questo docu-fiction mostra ancora una volta<br />

l’incapacità del governo iraniano di uscire da un impasse che<br />

ha coinvolto la comunità internazionale e, probabilmente,<br />

almeno ce lo auguriamo, la condanna a morte di Sakineh,<br />

proprio per l’equazione liberazione o condanna a morte contro<br />

il placet per nuovi insediamenti nucleari, potrebbe risolversi<br />

con la liberazione di Sakineh.<br />

Le emozioni non bastano<br />

vano sempre in famiglia), corpo<br />

che rubava milioni di sospiri<br />

quando usciva per la strada.<br />

Rosaria non smette di vedere<br />

quelle palle che sono oggi le sue<br />

gambe, che si confondono con le<br />

vene varicose di colore verde-violetto.<br />

Senza guardare nessuno di<br />

noi, che a nostra volta la osserviamo<br />

attoniti mentre contempla la<br />

sua pelle, Rosaria si riaccomoda il<br />

vestito senza maniche e poi scopre<br />

le sue braccia, dagli avambracci<br />

esce ancora pelle ancora<br />

più flaccida di tutto il corpo.<br />

Niente a che vedere con il corpo<br />

di quella signorina che quarantacinque<br />

anni prima aveva perso<br />

l’ultima opportunità di sposarsi:<br />

l’ultima, perche in realtà, pretendenti<br />

non le mancarono mai.<br />

Le fotografie non si sbagliano;<br />

testimoniano quello che era. In<br />

tutte le fotografie che ho visto,<br />

Rosaria appare con vestiti sempre<br />

diversi, orecchini che si combinano<br />

con quello che sceglieva<br />

di indossare un giorno qualsiasi e<br />

che facevano risaltare i suoi<br />

occhi verdi. Non importava<br />

come si pettinava; risultava sempre<br />

bella, ma sempre molto seria.<br />

La sorella dice che il loro padre<br />

era molto geloso, però che sia lui<br />

che la madre, non persero mai la<br />

speranza di vedere Rosaria sposata.<br />

Addirittura una volta le<br />

organizzarono un fidanzamento.<br />

Anche, dicono però, lei sempre<br />

credette che nessuno la meritava,<br />

nessuno poteva toccare il suo<br />

corpo amato e perfetto. Rosaria<br />

non si sposò mai e mai nessuno<br />

conobbe un suo qualche fidanzato.<br />

La costante negli 80 anni<br />

della sua vita, che fortunatamente<br />

porta con molta salute, è<br />

che Rosaria continua ad essere<br />

l’unica persona che tocca il suo<br />

corpo.<br />

Lo ha detto Jody Wiliams, Premio Nobel per la pace (e tuttavia, almeno per noi, quasi sconosciuta): Le emozioni senza le azioni sono irrilevanti”.<br />

Lo ha ripetuto in un incontro internazionale tenutosi a Ramallah, in Cisgiordania (Territori Occupati Palestinesi). L’incontro era patrocinato dalla<br />

Nobel’s Women Initiative, che la stessa Jody ha messo in piedi: insieme a lei altre cinque donne insignite del Nobel. Ricordiamone i nomi e i titoli:<br />

Shirin Ebadi, iraniana, avvocata, attivista per i diritti civili; Wangari Maathai, keniota, biologa e ambientalista, costruttrice del movimento “green<br />

belt” (cintura verde); Rigoberta Manchu Tum, guatemalteca, difensora delle popolazioni indigene e operante per la riconciliazione etno-culturale<br />

del paese; Betty Williams e Mairead Maguire, irlandesi, impegnate per la soluzione pacifica dei conflitti interreligiosi, fondatrici dell’associazione<br />

“donne per la pace”; ed infine la stessa promotrice dell’iniziativa: Jody Williams, americana, insegnante, promotrice del movimento per la<br />

messa al bando delle mine antiuomo, e ora, di una iniziativa periodica delle donne Premio Nobel. Ogni due anni esse visitano in delegazione un<br />

paese diverso, per incontrare donne, condividere esperienze, creare ponti e reti informatiche, promuovere la pace. Il titolo-messaggio dell’iniziativa<br />

assunta dalle cinque donne Nobel per la pace è bellissimo: “We can change” che la stessa Wlliams traduce “Noi possiamo fare la differenza”.<br />

Veramente, come donne, possiamo fare la differenza? In ogni luogo, in ogni occasione? Da Ramallah nasce il primo appello; ma i luoghi dove<br />

intervenire, e i drammi da affrontare, sono tanti: forse è inutile elencarli. Li sappiamo. Proviamo allora, come donne, a trasformare le emozioni in<br />

azioni. Emozioni, ne abbiamo tante e talvolta ci paralizzano. Trasformarle in azioni è lo sforzo di alcune o tante di noi. Le azioni sono sempre<br />

minori delle emozioni, meno forti e il loro esito incerto. Ma trasformare le nostre emozioni in azioni resta il nostro impegno.<br />

10


Fotografia di Letizia Battaglia, Al museo, 2007, Berlino<br />

Avevamo chiesto a Miriam Massari, poeta e pittrice, componente dell’ENIL Italia<br />

(European Network on Indipendent Living), di collaborare a queste pagine. Miriam<br />

ci ha risposto con una gentile lettera di rifiuto, di cui pubblichiamo uno stralcio.<br />

“...Vi chiedo, scusandomi e ringraziandovi di non associarmi in nessun modo a questa<br />

vostra iniziativa. Parlo delle pagine che vorrete dedicare all’handicap. Da molti anni<br />

mi sono tenuta lontana dai luoghi a parte – a chiunque siano dedicati – sia fisici<br />

che mentali, e desidero continuare. Sono per la diluizione di ogni tema nel<br />

quotidiano pubblico e privato, il più allargato possibile. /.../ Il luogo a parte è il<br />

massimo che si possa ottenere. Io ringrazio, perché è giusto che lo faccia, ma mi dissocio”.<br />

11


Un disastro, non solo a Palermo<br />

Antonella Monastra<br />

Lo smantellamento<br />

sistematico dello Stato<br />

sociale, in atto<br />

drammaticamente già da<br />

diversi anni, ha investito con<br />

conseguenze devastanti la<br />

rete di servizi pubblici<br />

essenziali destinati anche ai<br />

più deboli, come i<br />

diversamente abili.<br />

Palermo ha fatto la sua parte<br />

ed è stata teatro negli ultimi<br />

tempi di provvedimenti che<br />

hanno contribuito ad erodere<br />

la sfera dei diritti sociali di<br />

molti soggetti vulnerabili, fra<br />

cui i portatori di handicap, in<br />

barba alla previsione generale<br />

che dovrebbe vedere<br />

un’Amministrazione<br />

impegnata a farsi carico di<br />

interventi mirati a garantire<br />

ai cittadini una qualità di vita<br />

migliore, specie se in<br />

partenza si trovano in<br />

condizioni svantaggiate. Da<br />

giovedì 9 settembre 2010 il<br />

Comune di Palermo ha<br />

sospeso l’assistenza<br />

domiciliare ai disabili gravi<br />

(sono circa un centinaio di<br />

cittadini) per mancanza di<br />

fondi con cui coprire la<br />

somministrazione del<br />

servizio. Dal punto di vista<br />

amministrativo, ciò è stato<br />

possibile perché l’erogazione<br />

del servizio, recita la legge -<br />

pur essendo essenziale – non<br />

‘deve’ essere effettuata ma<br />

‘può’, non avendo dunque il<br />

carattere dell’obbligatorietà.<br />

Ma l’assistenza domiciliare<br />

alle persone con disabilità è<br />

fondamentale e riguarda uno<br />

degli aspetti più delicati della<br />

loro vita, perché senza tale<br />

servizio non possono svolgere<br />

i rituali quotidiani di cura ed<br />

igiene personale, ad esempio.<br />

I cento soggetti con disabilità<br />

grave a cui il Comune di<br />

Palermo erogava questo<br />

servizio hanno ulteriori<br />

difficoltà perché o vivono da<br />

soli o hanno parenti in età<br />

avanzata che non sono in<br />

grado di provvedere alla loro<br />

assistenza quotidiana e se<br />

genitori, infine, devono<br />

assentarsi dal loro posto di<br />

lavoro. Tuttavia, mentre la<br />

legge 104 del 1992 tutela i<br />

portatori di handicap con il<br />

diritto all’educazione e<br />

all’istruzione nelle scuole di<br />

Vogliamo diritti e doveri<br />

Noi portatori<br />

di<br />

handicap<br />

siamo bistrattati<br />

un po’ da tutti;<br />

anche da noi stessi.<br />

Anche dalla<br />

Chiesa che ci considera<br />

dei martiri.<br />

Invece noi portatori<br />

di handicap<br />

siamo come gli<br />

altri; anzi peggio.<br />

Noi abbiamo<br />

invidia, rancori, rabbia verso<br />

i normodotati che lavorano,<br />

che fanno l’amore, che possono<br />

prender a pugni chi gli<br />

va, possono correre, possono<br />

giocare a calcio, possono<br />

andare a cena con una ragazza<br />

a lume di candela, senza<br />

buttarsi addosso niente.<br />

Invece noi abbiamo la pretesa<br />

di confrontarci con una<br />

serie di difficoltà maggiori,<br />

anche grazie, e innanzi tutto,<br />

a noi stessi e a molte delle<br />

Vittorio Greco<br />

La vita è un’esperienza che va<br />

[vissuta<br />

Intensamente e non mai<br />

[sottovalutata<br />

È come l’intensità della musica<br />

[o della danza<br />

O dell’amore<br />

È come un bimbo che corre<br />

[verso sua madre<br />

Che l’accoglie a braccia aperte<br />

È una farfalla che si posa<br />

Lentamente su un fiore<br />

nostre<br />

famiglie, con<br />

le quali facciamo<br />

di<br />

tutto per<br />

essere dei<br />

parassiti nei<br />

confronti<br />

della società.<br />

Gli altri dispongono<br />

di<br />

noi come<br />

voglio-no,<br />

perché gli<br />

facciamo fare quanto vogliono.<br />

Negli Stati Uniti, dove la<br />

società e la mentalità sono<br />

più aperte delle nostre, lì<br />

anche noi portatori di handicap<br />

abbiamo dei doveri e<br />

dei diritti inalienabili. Qui<br />

questi doveri sembra che<br />

non esistano, perché i perbenisti<br />

sono molto di più, e<br />

la gente ci crede dei santi<br />

come dice la Chiesa. Ma io<br />

amo la vita.<br />

Rivoluzione culturale!<br />

La macabra vocazione<br />

del sottosegretario<br />

Il 9 febbraio dello scorso anno, Eluana Englaro finiva di vivere la<br />

sua non-vita. E il sottosegretario alla salute ha promosso un’iniziativa<br />

legislativa per dichiarare questo triste evento Giornata<br />

Nazionale degli Stati Vegetativi. Si tratta di aderire alla richiesta<br />

delle associazioni dei familiari che hanno lavorato al Libro Bianco del<br />

Ministero della Salute, subito accolta dal sottosegretario Roccella, che<br />

vorrebbe trasformarla in legge, non più memoria che divide, ma<br />

momento di condivisione per tutti. Un ulteriore sfregio alla memoria<br />

di Eluana e alla coraggiosa ed estenuante lotta di Beppino, che ha fortemente<br />

voluto l’affermazione del diritto di decidere e di scegliere,<br />

una prerogativa della laicità dello Stato, affinchè la figlia non diventasse<br />

martire dello stato vegetativo sine die. “Una finestra di visibilità<br />

per questi casi e per le famiglie che li accudiscono”. E magari<br />

un’occasione ghiotta, di maratona mediatica, una spettacolarizzazione<br />

di una “fiera del dolore”, da esibire negli show pomeridiani, ad uso<br />

di un pubblico senza troppe pretese, o, perché no, un espediente per<br />

aumentare l’audience del Vespa di turno, da contrapporre a chi sceglie<br />

di non-vivere una non-vita imposta da Stato e Chiesa. Non il<br />

silenzio per chi di fatto ha smesso di vivere, diciassette anni fa, quando<br />

un incidente ha messo la parola fine ai suoi progetti, alla sua<br />

voglia di vivere, come Eluana e come i tanti casi come Eluana, abbandonati<br />

da uno stato che sa solo imporre, senza agevolare l’assistenza<br />

di chi, tra mille problemi, ha la dolorosa incombenza di essere soltanto<br />

spettatore impotente. G. C.<br />

ogni ordine e grado,<br />

l’Amministrazione ha<br />

mostrato di essere insensibile<br />

e sorda alle istanze di questi<br />

cittadini, che hanno dovuto<br />

fare sentire la loro voce a<br />

suon di ricorsi al Tribunale<br />

Amministrativo: soltanto il<br />

“comitato l’autismo parla da<br />

solo” ne ha vinti ventisei. Si<br />

potrebbe fare riferimento<br />

anche ad una recente<br />

sentenza della Corte<br />

costituzionale che afferma<br />

che almeno i servizi a tutela<br />

degli alunni con disabilità<br />

nelle scuole devono essere<br />

mantenuti e non possono in<br />

nessun caso essere soppressi.<br />

Ma persino per mettere a<br />

punto il regolamento sulle<br />

scuole materne, discusso la<br />

settimana scorsa in<br />

Consiglio, è stato necessario<br />

studiare appositi correttivi<br />

per i bambini diversamente<br />

abili: un emendamento da<br />

me proposto e per fortuna<br />

approvato quasi<br />

all’unanimità, ha previsto<br />

interventi necessari come<br />

l’abbattimento delle barriere<br />

architettoniche, strategie per<br />

favorire l’integrazione e<br />

soprattutto la figura di un<br />

assistente che coadiuvi le<br />

maestre per la cura e l’igiene<br />

del bambino portatore di<br />

handicap. Questi dati si<br />

commentano da soli,<br />

confermando l’immagine di<br />

una città abbandonata a sé<br />

stessa e priva di strumenti<br />

idonei a garantire il minimo<br />

della vivibilità per tutti, dove<br />

per avere il riconoscimento<br />

di un proprio diritto si è<br />

costretti ad adire le vie<br />

legali. Poi ci sono altri<br />

ostacoli, non solo di ordine,<br />

per dire così, istituzionale:<br />

anzi, la loro<br />

rappresentazione fisica è<br />

piuttosto consistente. Le<br />

barriere che si frappongono<br />

al raggiungimento di una<br />

dimensione di elementare<br />

giustizia sociale, infatti,<br />

anche per quel che concerne<br />

la circolazione, riempiono la<br />

città, rendendo pressoché<br />

impossibile il movimento in<br />

carrozzina. Con il paradosso<br />

che Palermo è la terza città<br />

d’Italia per numero di pass<br />

destinati agli invalidi!<br />

12


...giurai a me stessa che niente mi avrebbe fermata<br />

Indossando la mia gabbia di ferro, cuoio e stringhe, tornai a scuola<br />

Paola Nepi<br />

Fotografia di Shobha<br />

Il seguito sono due gabbie<br />

di forza: ferro, cuoio, e<br />

stringhe. Una la devo<br />

indossare dalla mattina alla<br />

sera, come le scarpe, sentenzia<br />

“l’esperto”. L’altra è una strana<br />

branda notturna dove mi<br />

corico sul fianco destro e tutta<br />

la notte cerco di prendere<br />

sonno in una strana posizione<br />

ad arco. La mamma è di<br />

continuo intorno al mio letto<br />

di costrizione, poi vince la mia<br />

infanzia, il sonno mi abbraccia<br />

lo stesso.<br />

In ottobre, quando tornai a<br />

scuola, gli sguardi delle<br />

compagne erano diversi ma<br />

dovettero arrendersi, ero<br />

ancora io la più brava. Fu<br />

molto duro riprendere i giochi<br />

nella strada e nell’orto. La<br />

curiosa cattiveria dei compagni<br />

aveva multiformi espressioni.<br />

Gli sguardi erano fendenti che<br />

mi trapassavano. Per qualche<br />

tempo restai alla finestra a<br />

guardare la vita che continuava<br />

imperterrita a scorrere, poi mi<br />

ributtai nella mischia. Le<br />

prime a rimetterci furono le<br />

mie ginocchia, c’era sempre<br />

qualche sbadato che voleva<br />

cimentarsi con la mia posa<br />

aristocratica. Le spinte erano<br />

parte del gioco e iddio solo sa<br />

quanto annaspassi per non<br />

cadere come un sacco di<br />

patate. In seguito capii ogni<br />

trucco, aguzzai l’ingegno,<br />

imparai a prevedere, schivare<br />

le mosse altrui. La strada fu di<br />

nuovo il mio campo di<br />

battaglia, la fatica di farmi<br />

riaccettare fu presto<br />

dimenticata. Di nuovo ero in<br />

ballo e giurai a me stessa che<br />

niente mi avrebbe fermata. Ero<br />

“altra” ma c’ero, fuori dalla<br />

fila, col mio busto addosso e<br />

l’incoscienza di vedere come<br />

sarebbe andata. Per una vita<br />

ho cercato di non chiedermi il<br />

perché di tutto questo, ho<br />

vissuto i miei giorni con<br />

disperata contentezza. E a<br />

darmi quell’incoscienza, quella<br />

curiosità di aspettare un altro<br />

giorno, è stata proprio quella<br />

strada: Via Cennano. Quella<br />

via che mi accolse quasi in<br />

fasce, che mi regalò pareti,<br />

terra e giorni indimenticabili<br />

nelle gioie e nei dolori, che mi<br />

donò tutto ciò che poi è<br />

diventato il mio nocciolo, la<br />

mia ghianda, che mi ha fatto<br />

insomma quella che ancora<br />

sono.<br />

Paola Nepi “Storie di Via<br />

Cennano” Briciole di vita.<br />

Ed. Marco del Bucchia (Lucca)<br />

13


A caccia di vita, con un po’ di difficoltà<br />

Nicola Cipolla<br />

Per molti anni, fino a<br />

non molto tempo fa, ho<br />

sempre provato di<br />

trascurare, o di attenuare in<br />

ogni modo il mio handicap, e<br />

ho cercato, grazie al mio<br />

movimento frequente, di<br />

attenuare le mie difficoltà; ma<br />

quando ho deciso di partire<br />

per l’Erasmus mi sono reso<br />

conto delle mie oggettive<br />

difficoltà.<br />

Sono Nicola Cipolla, un<br />

ragazzo che vuole ad ogni<br />

costo vivere come gli altri,<br />

avere una sua cultura, essere<br />

laureato, stare con – avere –<br />

una o più ragazze con il<br />

dovuto rispetto, viaggiare<br />

autonomamente: questi sono<br />

gli obbiettivi che mi pongo per<br />

i prossimi anni, e penso sono<br />

obbiettivi che un po’ tutti gli<br />

invalidi dovrebbero avere. I<br />

soldi, ce li ho, non tanti per la<br />

verità, ma comunque, contro il<br />

consumismo invadente, cerco<br />

di usarli in modo appropriato<br />

e per le cose che amo, in<br />

questa società sempre più<br />

dispersiva.<br />

Cammino, viaggio, studio e<br />

scatto fotografie; ho fatto<br />

teatro e ho recitato in un film,<br />

non per dote naturale ma<br />

penso che sia stato frutto di un<br />

grande lavoro, che dalla<br />

nascita mi sono portato fin<br />

qui. Per tutta la mia vita ho<br />

sempre cercato di fare ogni<br />

cosa da solo, perché è da soli,<br />

in autonomia che possiamo<br />

trovare soluzioni ad ogni<br />

problema, e mi sono reso<br />

conto che ogni problema va<br />

risolto per quello che è: nella<br />

vita, nello studio, nel gioco,<br />

nella terapia ognuno trova un<br />

suo modo di imparare.<br />

Dal cibo, alle scarpe, a una<br />

matita per scrivere o per<br />

disegnare, alla tastiera del mio<br />

computer, sono stato sempre<br />

abituato a trovare soluzioni per<br />

ogni cosa. Ho fatto follie, tipo<br />

bagni a Mondello in pieno<br />

inverno, piscina, camminate in<br />

montagna, liceo classico e<br />

lettere, a bere un po’ di birra o<br />

vino: ma non potendo guidare<br />

conto su gli altri, e mi trovo ad<br />

osservare che non tutti,<br />

purtroppo, sono abituati a<br />

trattare gli invalidi in modo<br />

adeguato. Sono convinto che le<br />

soluzioni ad ogni problema le<br />

trovi nella vita, anche nei<br />

pericoli e attraverso gli errori.<br />

Esistono inoltre, grazie a varie<br />

lotte politiche, delle leggi che<br />

servono a rendere paritari gli<br />

invalidi con tutti gli altri<br />

cittadini. Lavorerò? Insegnerò?<br />

Con la mia voce? Con i tagli<br />

dei finanziamenti e dei posti di<br />

lavoro? La mia terapia ottima<br />

costa (e me la posso<br />

permettere), credo che sarebbe<br />

bello che fosse così per tutti. E<br />

pensare che ormai la politica si<br />

è trasformata in una specie di<br />

continua libido ed<br />

affermazione del proprio io, e<br />

non a ad uno sforzo di<br />

miglioramento reale della vita<br />

pubblica e delle condizioni<br />

delle persone. Basti pensare<br />

agli ultimi casi grotteschi di<br />

Berlusconi e delle sue escort; ci<br />

si può anche esprimere con un<br />

paradosso: che Berlusconi abbia<br />

una sua terapia personale,<br />

gratis, senza fatica!<br />

Il problema dei diversamente<br />

abili, bene affrontato nella<br />

nostra famiglia, ma non in<br />

tutte, non è quello di farsi<br />

imboccare, dal cibo allo studio,<br />

ma di trovare un loro modo di<br />

essere, in complicità con gli<br />

altri, e di individuare una<br />

strada per arrivare ad un<br />

obbiettivo: esistere insieme ad<br />

Indipendenza nonostante<br />

la dipendenza<br />

Le grandi organizzazioni come il movimento delle donne, i sindacati,<br />

Amnesty International, Unicef, Green Peace, i mass-media<br />

potrebbero divenire ottimi alleati, per diffondere idee e cultura<br />

nuova onnicomprensiva e ricca di valore …ma i membri di queste<br />

organizzazioni dovrebbero già essere illuminati e non lo sono.<br />

Rispondono che non rientra nei loro temi la difesa dei diritti umani<br />

di chi non può fare da sé, che non fa audience...<br />

Si spenda dunque per docenti, con o senza autonomia, consapevoli dell’attuale<br />

condizione disumana della dipendenza, per docenti che conoscano<br />

la storia dei movimenti di liberazione e vogliano ricondurvi anche<br />

le conquiste culturali e non di chi si trova nella condizione di dipendenza.<br />

Chi si batte per le libertà inviolabili e non vi include coloro che nulla<br />

possono fare da sé, non può produrre cambiamenti buoni per tutte/i.<br />

E con ENIL – European Network on Indipendent Living - nato dal<br />

bisogno di indipendenza di un gruppo di studentesse e studenti<br />

americani, anche l’Italia dal ’90 si muove verso la liberazione. Quel<br />

gruppo di pionieri ottennero dal loro governo un budget mensile<br />

sufficiente per uscire dall’ospedale del campo di Berkeley e<br />

sparpagliarsi negli alloggi riservati alla popolazione studentesca, con<br />

le/i loro assistenti scelti e personalmente stipendiati. Via dalla<br />

condizione di ammalate/i per entrare in quella di individui e cittadini.<br />

I brani riprodotti sono tratti dal saggio “La Trappola”, di Miriam<br />

Massari. Per contattare ENIL: www.enil.it - info@enil.it<br />

Una guida<br />

Èstata pubblicata dall’Inca-Cgil una guida aggiornata che<br />

contiene tutta la legislazione relativa ai diritti di cittadinanza<br />

in favore delle persone disabili, comprese le più recenti<br />

modifiche. Nella introduzione Franca Gasparri, della presidenza<br />

Inca, afferma che nel nostro paese emergono due visioni<br />

contrapposte della società: da un lato quella che fonda le sue radici<br />

su un sistema di welfare residuale, cioè derivante da una concezione<br />

individualistica della società: dalla parte opposta quella di una<br />

società fondata sul rispetto dei diritti universali sanciti nella nostra<br />

Costituzione. E così conclude: “Occorre sconfiggere il tentativo di<br />

quanti vorrebbero cancellare i diritti delle persone disabili: in questo<br />

quadro rientra la difesa della legge 104, che segna il riconoscimento<br />

del lavoratore come persona, titolare di diritti inalienabili, come<br />

quelli della dignità, della salute e di una vita affettiva da tutelare”...<br />

altri, non farsi assistere,<br />

cambiare il mondo in allegria,<br />

riempiendolo di colori.<br />

Sono contrario a quel modo di<br />

rapportarsi che fa sentire un<br />

invalido inferiore agli altri e<br />

sono convinto che molti<br />

ritengono che non abbia le<br />

stesse capacità intellettive che<br />

hanno tutti gli altri. In molti<br />

atteggiamenti delle persone c’è<br />

riguardo all’handicap un<br />

atteggiamento di superiorità a<br />

priori - o meglio dire che<br />

comunque, in un modo o<br />

nell’altro, è uno sconfitto: nel<br />

lavoro, nel rapporto con gli<br />

altri e nel sesso, nella vita.<br />

Tutto questo è pietismo, che<br />

fallisce la propria filosofia<br />

quando si vuole vivere. E<br />

inoltre è una fuga dai problemi<br />

di una società intera. E di<br />

conseguenza esistono forme di<br />

assistenza sbagliate, che non<br />

creano un rapporto paritario<br />

tra individui, ma creano una<br />

sorta di dipendenza tra<br />

l’assistente e l’assistito. Chi<br />

decide di aiutare un invalido,<br />

deve vivere in sintonia con lui,<br />

capire quello che gli serve e<br />

quello che vuole, e quasi<br />

diventare un suo amico; se non<br />

lo diventa, per ovvii motivi di<br />

lavoro, almeno non lo deve<br />

soffocare.<br />

Mi piace, e ho vissuto sempre<br />

in questo modo, cercare e<br />

riuscire a fare le cose da solo, e<br />

trovare la mia strada per<br />

arrivare a un risultato anche<br />

difficile; così ho recitato in un<br />

film (“Mai più come prima”, di<br />

Giacomo Campiotti, nel 2004);<br />

ho cercato sempre di scavare<br />

nei libri e nella realtà, a Lettere<br />

filosofia come nei quartieri di<br />

Palermo, quelli del centro<br />

storico; i quattro amati<br />

mandamenti, girati in ogni<br />

dettaglio. Dov’è la vita e cosa<br />

studiamo? Sono queste le<br />

domande di uno studente di<br />

lettere pentito forse di non<br />

aver studiato filosofia. Parto<br />

per andare e leggo per andare,<br />

quante volte ho immaginato di<br />

realizzare un viaggio vero,<br />

come un dio comanda, anche<br />

difficile ma impegnativo, e<br />

dove io sono il protagonista,<br />

studiando, vivendo,<br />

guardando. Le lettere sono<br />

fumo e io amo il fumo, da tutti<br />

i lati in tutti i sensi, concreto e<br />

astratto.<br />

14


Scriveva Claudio Magris<br />

all’inizio di questo<br />

decennio (La cultura del<br />

romanzo, a cura di Franco<br />

Moretti, Einaudi, 2001) che<br />

“La media produzione<br />

romanzesca sembra fiorire<br />

rigogliosa, almeno sul piano<br />

quantitativo, nell’assoluta<br />

ignoranza del mondo e della<br />

sua trasformazione, nella<br />

tranquilla non presa d’atto<br />

della realtà (…) assomiglia<br />

sempre di più (…) a quei<br />

generi letterari invecchiati e<br />

stantii che il grande romanzo<br />

moderno, erompendo<br />

violentemente sulla scena,<br />

aveva spazzato via”.<br />

La constatazione del dilagare<br />

del romanzo e la parallela<br />

diagnosi sulla sua mancanza di<br />

rapporto con la realtà mi<br />

sembrarono subito convincenti<br />

e ne vidi una conferma nel<br />

volume di Feltrinelli “Scrivere<br />

sul fronte occidentale” (2002),<br />

che raccoglieva le opinioni di<br />

numerosi autori sui compiti<br />

dello scrittore dopo la tragedia<br />

delle torri gemelle. Parecchi<br />

degli interrogati, infatti,<br />

eleggevano a loro manifesto<br />

una frase del sudafricano<br />

André Brink, che si diceva<br />

contento che non ci fosse più<br />

l’apartheid nel suo paese, così<br />

poteva scrivere romanzi “con<br />

meno attenzione al sociale e<br />

più attenzione ai ghirigori del<br />

suo cervello” e lo facevano con<br />

un atteggiamento soddisfatto<br />

del tutto discordante<br />

dall’inquietudine che il<br />

Novecento ci ha abituato a<br />

considerare alimento<br />

dell’artista.<br />

Mi sembra che negli ultimi<br />

tempi le cose siano cambiate.<br />

Dove va la letteratura in questi<br />

Anni Zero è la domanda che si<br />

aggira su pagine culturali dei<br />

quotidiani, riviste, siti e blog<br />

letterari. In estate il<br />

domenicale del Sole 24 ore ha<br />

proposto una mappatura degli<br />

scrittori under 40, da cui<br />

emergeva nuovo interesse per<br />

un mondo più vasto di quello<br />

delle proprie viscere, nonché<br />

un dibattito molto partecipato<br />

su narrativa “passatempo” e<br />

narrativa che cerca di<br />

interrogare il nostro tempo.<br />

L’autunno, poi, scopre un<br />

interesse crescente per le<br />

scritture ibride, quelle che<br />

cercano di forzare i confini tra<br />

romanzo e saggio, invenzione e<br />

documento, immaginazione ed<br />

esperienza; i confini, anche, fra<br />

testo e testo, con la riscoperta<br />

dell’intertestualità, del<br />

pastiche, della citazione.<br />

Alla base di tutto questo<br />

discutere, due domande<br />

ricorrenti, quella sul rapporto<br />

fra finzione narrativa e realtà e<br />

quella sulla responsabilità di<br />

scrittori e intellettuali nei<br />

confronti di quel che accade<br />

nel mondo e della ricerca di<br />

linguaggi che riescano a darne<br />

conto, non appiattendosi sulle<br />

formule di un realismo sempre<br />

più tributario di moduli<br />

televisivi.<br />

Mi sembra che la stessa voglia<br />

di fare il punto su questi temi,<br />

in una maniera meno<br />

pacificata, narcisista e<br />

confusionaria di quanto non<br />

sia avvenuto negli ultimi anni<br />

sia un sintomo di vitalità.<br />

Dopo stagioni così sedute sul<br />

noir e su trionfalismi come<br />

quelli del manifesto New<br />

Italian Epic dei Wu Ming<br />

(2009) - che nel noir individua<br />

un punto avanzato della<br />

Fotografia di Loretta Lux Autoritratto, 2007<br />

Gli Anni Zero della letteratura<br />

Forse la cerchia dell’isolazionismo ed esoterismo<br />

soddisfatto di sé comincia a vacillare<br />

Beatrice Agnello<br />

ricerca di un rapporto<br />

realtà/scrittura, ignorando il<br />

frequente appiattimento del<br />

genere sui pruriti epidermici<br />

suscitati dall’intreccio e su<br />

linguaggi codificati e sciatti<br />

come parecchio giornalismo<br />

sensazionalistico – una boccata<br />

d’aria frizzante. Mi sembra che<br />

gli scrittori si interroghino di<br />

nuovo su quello che Calvino<br />

riteneva essere il loro compito,<br />

“dar voce a quel che non ha<br />

voce”, e che,<br />

contemporaneamente,<br />

riprendano una ricerca partita<br />

da Petrolio di Pasolini,<br />

romanzo-non romanzo, padre<br />

delle contaminazioni fra<br />

documentazione e invenzione<br />

ed esempio (non riuscito, ma<br />

sofferto e consapevole) di<br />

ricerca linguistica.<br />

Un altro sintomo positivo, sul<br />

fronte dei critici e degli analisti<br />

letterari, mi sembra il<br />

documentario di Andrea<br />

Cortellessa e Luca Archibugi<br />

“Senza scrittori”, che si pone il<br />

problema del rapporto fra<br />

scrittori e industria culturale e,<br />

soprattutto, lo fa cercando<br />

modalità espressive non<br />

banalizzanti ma non<br />

esoteriche, cioè non da élite<br />

chiusa in se stessa. Qui si<br />

dovrebbe aprire un discorso<br />

sulla critica letteraria (o sulla<br />

sua scomparsa, in favore di<br />

una guerra per bande editoriali<br />

e di una propaganda corriva<br />

mascherata da critica), ma mi<br />

limito a sottolineare quel che è<br />

sotto gli occhi di tutti: nel<br />

diluvio di scritture che si<br />

producono, c’è sempre più<br />

necessità di semafori che<br />

aiutino a orientarsi, mentre<br />

sempre meno gli addetti ai<br />

lavori, i critici, sono in grado<br />

di esercitare le loro funzioni<br />

con cognizione di causa o si<br />

mostrano liberi da interessi di<br />

bottega e faziosità. Che critici<br />

attenti, ma a volte affetti da<br />

un’aristocratica<br />

autoreferenzialità, come<br />

Cortellessa, cerchino<br />

l’interlocuzione con una più<br />

vasta e differenziata platea di<br />

lettori, è un segnale che forse<br />

la cerchia dell’esoterismo<br />

soddisfatto di sé comincia a<br />

scricchiolare.<br />

Come auspica Evelina<br />

Santangelo (Il Fatto<br />

quotidiano, 22 ottobre), forse<br />

oggi può essere determinante<br />

“una nuova postura spirituale,<br />

in cui insieme alla necessità di<br />

concepire e dar forma a<br />

visioni capaci di interrogare il<br />

proprio tempo si sentisse<br />

fortissimo il dovere di<br />

spezzare il proprio solipsismo<br />

più o meno egocentrico”, per<br />

intrecciare “quel genere di<br />

discorsi a più voci (…) che<br />

danno rilevanza a una società<br />

letteraria, intellettuale e<br />

artistica”, per “riannodare fili<br />

dispersi di intelligenze,<br />

immaginazioni, saperi”, per<br />

“innestare l’ordine dei discorsi<br />

specificatamente letterari o<br />

artistici in altri discorsi<br />

scientifici, politici, sociali,<br />

identitari, tutti quei discorsi di<br />

cui dovrebbe esser fatta la vita<br />

civile di un paese civile, in<br />

modo da ricostruirne<br />

l’ossatura spirituale”. Insieme<br />

allo sfondamento dei generi<br />

letterari, ci vorrebbe uno<br />

sfondamento dei muri di<br />

isolazionismo ed egocentrismo<br />

con cui si è creduto di<br />

difendersi dalla massificazione<br />

e dalla banalità. Forse qualche<br />

segnale in questo senso,<br />

finalmente, si vede.<br />

15


Letteratura del 2000 e dintorni<br />

Un panorama ricco di autrici giovanissime... e scomode<br />

Silvana Fernandez<br />

Ègiusto che lasciandoci<br />

alle spalle il ’900 ed il<br />

suo processo di<br />

evoluzione letterario attuato da<br />

scrittrici, tutte ugualmente<br />

ricche e diverse tra loro, oggi<br />

guardiamo con curiosità le<br />

giovanissime che, nate a fine<br />

secolo, saranno quelle che<br />

lasceranno una traccia nel<br />

futuro. Il panorama è ricco; si<br />

ha la sensazione che nessuna<br />

delle emergenti abbia<br />

abbandonato la lotta per<br />

l’affermazione femminile, anzi,<br />

sono diventate più incisive e<br />

precise. Incisiva e precisa è,<br />

infatti, Evelina Santangelo, una<br />

delle più “anziane” fra le<br />

giovani, nello scolpire<br />

personaggi femminili o<br />

maschili tutti coralmente<br />

testimoni del disagio dei tempi,<br />

di malessere, di spaesamento,<br />

di un sentirsi sempre altrove;<br />

personaggi che raggiungono<br />

l’apice espressivo nell’ultimo<br />

romanzo “I senza terra”.<br />

Ugualmente incisiva è la più<br />

giovane delle giovani: ha solo<br />

25 anni Silvia Avallone che al<br />

suo primo romanzo “Acciaio”,<br />

trascina e meraviglia per la<br />

potenza con cui descrive una<br />

classe operaia smarrita e senza<br />

identità, alla ricerca di uno<br />

status simbol che non le<br />

appartiene. Tutto è visto<br />

attraverso gli occhi di due<br />

ragazzine. Sono loro le<br />

protagoniste della storia: i loro<br />

primi risvegli alla vita e<br />

all’amore sono così ben<br />

tratteggiati da colpirci<br />

profondamente e da rimandare<br />

qualunque giudizio sulla<br />

scrittrice alla sua prossima<br />

opera. Silvia Avallone viene<br />

superata nella classifica del<br />

Campiello da Michela Murgia,<br />

prima classificata con<br />

“Accabadora” dove tocca i<br />

temi dell’eutanasia e<br />

dell’adozione risalendo ad<br />

antiche usanze e rituali sardi.<br />

Non ho incertezze nel dare un<br />

giudizio positivo alla Murgia<br />

che già ha fatto parlare di sé<br />

per la denunzia del mondo<br />

attuale non solo privo di valori,<br />

ma ostile ai valori medesimi.<br />

Nel suo primo libro “Il mondo<br />

deve sapere” ha descritto<br />

satiricamente la realtà degli<br />

operatori telemarketing<br />

all’interno del call center di<br />

un’importante multinazionale,<br />

mettendo in luce le condizioni<br />

di sfruttamento economico e la<br />

manipolazione psicologica a<br />

cui sono sottoposti i lavoratori<br />

precari. Il libro è diventato<br />

un’opera teatrale per merito di<br />

David Emmer ed ha ispirato la<br />

sceneggiatura del film “Tutta la<br />

vita davanti” di Paolo Virzì.<br />

Personaggi femminili ripescati<br />

nel tempo, vissuti attraverso<br />

l’occhio critico ma pacificato<br />

del presente, tratteggia Silvia<br />

Ballestra che ha superato da<br />

poco i quarant’anni. Vive a<br />

Milano e collabora a riviste e<br />

quotidiani: l’Unità, Il Corriere<br />

della Sera, Io donna. Proprio<br />

per un articolo pubblicato su<br />

l’Unità, fortemente critico a<br />

proposito del rapporto tra<br />

sessualità e potere, nel<br />

settembre 2009 insieme a<br />

Concita De Gregorio, è stata<br />

querelata da Silvio Berlusconi.<br />

D’altra parte Ballestra è stata<br />

sempre oppositiva e<br />

contestataria; ha fatto parte,<br />

giovanissima, del gruppo “I<br />

cannibali” dell’Einaudi. Ne è<br />

dimostrazione il “Compleanno<br />

dell’iguana” dove la sua<br />

giovinezza esplode nella<br />

descrizione del protagonista<br />

Antò, ragazzo che senza<br />

certezze, spacciando droga,<br />

cavalca la vita fino alla sua<br />

fatale conclusione. Maturando,<br />

da “Acciaio”<br />

di Silvia Avallone<br />

Nel cerchio sfocato della lente la figura si muoveva appena, senza testa.<br />

Uno spicchio di pelle zoomata in controluce. Quel corpo da un anno<br />

all’altro era cambiato, piano, sotto i vestiti. E adesso nel binocolo, nell’estate,<br />

esplodeva. L’occhio da lontano brucava i particolari: il laccio<br />

del costume, del pezzo di sotto, un filamento di alghe sul fianco. I<br />

muscoli tesi sopra il ginocchio, la curva del polpaccio, la caviglia sporca<br />

di sabbia. L’occhio ingrandiva e arrossiva a forza di scavare nella<br />

lente. Il corpo adolescente balzò fuori dal campo e si gettò in acqua. Un<br />

istante dopo, riposizionato l’obiettivo, calibrato il fuoco, ricomparve<br />

munito di una splendida chioma bionda. E una risata così violenta che<br />

anche da quella distanza, anche soltanto guardandola, ti scuoteva.<br />

Sembrava di entrarci davvero, tra i denti bianchi. E le fossette sulle<br />

guance, e la fossa tra le scapole, e quella dell'ombelico, e tutto il resto.<br />

da “I giorni della rotonda”<br />

di Silvia Ballestra<br />

Se solo sapeste qualcosa, se solo sapeste che un giorno era stato possibile…<br />

Se solo qualcuno venisse a tendervi una mano, spiegare, raccontare.<br />

E invece no, dovete morire. Fare tutto da soli lentamente.<br />

Ballestra crea personaggi più<br />

pacificati con se stessi anche se<br />

sempre pieni di dubbi e<br />

conflitti. Ed è così che<br />

conosciamo protagoniste come<br />

Nina del romanzo “Signorina<br />

N. N” o come nonna Fernanda<br />

in “Tutto su mia nonna”.<br />

Isabella Santacroce, invece,<br />

autrice di romanzi culto come<br />

Fluo, Destroy, Luminal,<br />

Lovers, Revolver, Dark<br />

Demonia e Zo, non è mai<br />

pacificata con se stessa, ma<br />

proiettata nella ricerca<br />

aggressiva del mondo intorno<br />

alla famiglia.<br />

Dice in un’intervista: Non è<br />

mia intenzione divenire<br />

comoda, fingere, divenire<br />

codarda, opportunista, furba,<br />

ipocrita. La letteratura, è per<br />

me una verticale verso la luce,<br />

una scalata verso la bellezza,<br />

un’esaltante fatica che mi vedrà<br />

giungere in cima, toccare con le<br />

mani quella luce.<br />

Giovanissima, quasi agli<br />

esordi, è Valeria Parrello che<br />

però si è fatta conoscere bene<br />

per il suo libro “Mosca più<br />

balena” dove, da ogni<br />

racconto, traspare una Napoli<br />

viva e febbrile; un vero e<br />

proprio «generatore di storie»<br />

come fu per Anna Maria<br />

Ortese. Ma a definire la<br />

Parrello come scrittrice<br />

interessante è il romanzo “Lo<br />

Spazio bianco” in cui una vita<br />

che nasce prematuramente,<br />

crea un momento di irrealtà<br />

ma anche di verità nella<br />

protagonista, ben<br />

rappresentata da Margherita<br />

Bui nel film che la Comencini<br />

ha tratto dal libro.<br />

Concludo questa breve<br />

presentazione con Chiara<br />

Gamberale, nata a Roma nel<br />

1977, perché mi pare abbia<br />

tutti i segni della scrittrice del<br />

futuro. Infatti è un’ottima<br />

scrittrice ma ha anche grande<br />

dimestichezza con i mezzi<br />

televisivi e radiofonici. Con il<br />

suo primo libro “Una vita<br />

sottile” (1999), l’autrice si<br />

classifica al primo posto nella<br />

categoria opera prima dei<br />

premi “Orient Express”, “Un<br />

premio per l’estate” e “Librai<br />

di Padova”. La Rai ne ha tratto<br />

un tv-movie per la serie<br />

Generazioni. Seguono “Color<br />

lucciola” (2001) e “Arrivano i<br />

pagliacci” (2003). Nel 2002 ha<br />

cominciato a lavorare come<br />

autrice e conduttrice televisiva.<br />

Su Rai 3 ha condotto Parola<br />

mia; su Rai Uno, Gap e, di<br />

nuovo sulla terza rete, Quarto<br />

Piano Scala a Destra, di cui era<br />

anche ideatrice. Dal 2005 al<br />

2008 è stata autrice e<br />

conduttrice su Radio 24 della<br />

trasmissione Trovati un bravo<br />

ragazzo. Nel 2008 riceve il<br />

Premio Campiello per il libro<br />

“La zona cieca”. Collabora con<br />

La Stampa, Il Riformista e<br />

Vanity Fair. Dal gennaio 2010<br />

conduce Io, Chiara e l’Oscuro<br />

su Rai Radio 2. Pubblica con<br />

Mondadori “Le luci nelle case<br />

degli altri”, storia vissuta<br />

attraverso le vite degli abitanti<br />

di un condominio che, mentre<br />

si chiedono chi è il padre di<br />

Mandorla, bambina di sei anni<br />

orfana di madre, decidono di<br />

adottarla a turno. Mandorla<br />

conoscerà così con ognuno di<br />

loro, ma in modo diverso,<br />

quell’alchimia di rapporti<br />

familiari, tra paradiso e<br />

inferno, che da sempre è stata<br />

la famiglia.<br />

Mi piace di Chiara Gamberale<br />

una frase del romanzo, usata<br />

anche sulla quarta di<br />

copertina, dove definisce<br />

l’incertezza di ogni storia<br />

umana: Viviamo tutti all’oscuro<br />

di qualcosa che ci riguarda.<br />

16


Copertina del libro Sulle ferite dei suoi sogni, 2009<br />

Letizia Battaglia<br />

Sulle ferite dei suoi sogni<br />

In libreria, a cura di Giovanna Calvenzi, con interventi<br />

di Simona Mafai, Giuseppe di Piazza, Franco Zecchin,<br />

Alberto Roveri, Santi Caleca, Melissa Harris, Anne<br />

Winegad, Maria Chiara di Trapani, Leoluca Orlando.<br />

Editore Bruno Mondadori, € 17,00<br />

Cosa ha determinato la<br />

mia ormai lunga amicizia<br />

con Letizia Battaglia?<br />

L’amore per l’arte? La passione<br />

politica? La nostra consapevolezza<br />

del valore di essere donne<br />

e il desiderio di trasmettere un<br />

po’ della nostra forza alle altre?<br />

Tutte queste cose insieme.<br />

Letizia mi ha fatto scoprire l’arte<br />

della fotografia; in altre parole:<br />

mi ha regalato uno sguardo in<br />

più. Prima di conoscerla osservavo<br />

le fotografie con superficialità,<br />

come appendici dei testi in<br />

cui s’inserivano. Ah, è così…<br />

Questa è la montagna e quello il<br />

castello … Ecco come si sgranavano<br />

le pannocchie... Buffo l’uomo<br />

con questo cappellino... ...E<br />

subito andavo alla successiva<br />

pagina, a leggere l’articolo o il<br />

racconto. Attraverso le opere di<br />

Letizia, ho imparato ad osservare<br />

le fotografie come creazioni<br />

autonome e complete. Ho imparato<br />

ad entrarvi dentro, penetrando<br />

le immagini fermate dagli<br />

scatti, ed estraendone – come<br />

pepite d’oro dalle caverne – la<br />

realtà nascosta: le ferite dell’oltraggio,<br />

la tensione verso la rivolta,<br />

la tragedia dell’impotenza<br />

quando si giunge al confine in cui<br />

la speranza non abita più qui...<br />

Ma è stata anche la città dove<br />

Simona Mafai<br />

viviamo a fondare e tessere il<br />

nostro rapporto. Palermo,<br />

conglomerato umano affascinante<br />

e contraddittorio, invaso<br />

da sporcizia e violenza, soffocato<br />

dalle bugie e dalla retorica,<br />

che tuttavia donne e uomini<br />

onesti tentiamo ogni volta di<br />

risollevare, spiandone (e sostenendone)<br />

il più piccolo respiro<br />

vitale, per poi, ahimè, registrare<br />

nuove cadute e fallimenti.<br />

Definitivi? Chissà! Forse fino a<br />

una successiva rinascita.<br />

Preferendo sempre l’ingenuità<br />

al cinismo, Letizia ed io abbiamo<br />

marciato nei cortei, ascoltato<br />

convegni, firmato appelli,<br />

scritto un giornale…<br />

Alternando speranze e delusioni,<br />

come nell’antico mito di<br />

Sisifo.<br />

Per fortuna siamo donne.<br />

Abbiamo i nostri sentimenti, i<br />

nostri amori, le storie che<br />

abbiamo vissuto e che nessuno<br />

ci può togliere. Crediamo<br />

nelle energie femminili nascoste,<br />

possibili fermenti di un<br />

futuro riscatto collettivo.<br />

Amore per l’arte, speranza di<br />

una società migliore, femminismo<br />

senza fanatismi: su queste<br />

strade ci siamo incontrate e su<br />

queste, speriamo, continueremo<br />

a camminare.<br />

17


Quindici lettere sulla scuola: disagi e speranze<br />

Mila Spicola<br />

La scuola si è rotta<br />

Einaudi ed. - € 18,00<br />

“Per parlare di scuola in<br />

Sicilia – dice Mila<br />

Spicola, autrice del<br />

libro – bisogna partire subito<br />

da un dato quantitativo e<br />

strutturale che reca, per<br />

forza di cose, una disparità<br />

qualitativa. Alcuni numeri:<br />

in Cina e India 50 ore di<br />

scuola alla settimana<br />

obbligatorie per tutti i<br />

ragazzi; nel Nord Italia 40 o<br />

37 ore a scelta, in Sicilia, 30<br />

ore o 27.”<br />

Il divario tra Nord e Sud è<br />

abissale, alla faccia del diritto<br />

costituzionale all’istruzione;<br />

tuttavia la Sicilia spende<br />

molto più della Lombardia<br />

per gli affitti di edifici<br />

scolastici, per lo più obsoleti,<br />

fatiscenti e insicuri. Un caso<br />

per tutti è l’Istituto Tecnico<br />

Commerciale “Volta” di<br />

Palermo, la scuola più grande<br />

della Sicilia: 2.800 studenti,<br />

300 professori. Il canone<br />

annuo è di un milione di<br />

euro.<br />

Mila Spicola, insegnante<br />

d’arte e immagine alla scuola<br />

media “Padre Puglisi” (luogo<br />

tristemente noto) a<br />

Brancaccio, aggiunge: “Per<br />

chi opera nella periferia di<br />

Palermo è dura, aree a rischio<br />

dove la percentuale di<br />

dispersione scolastica è<br />

altissima, luoghi che gridano<br />

vendetta per la trascuratezza<br />

e per l’assenza di regole.”<br />

Mila lo sa bene, perché lo ha<br />

provato sulla sua pelle negli<br />

anni d’insegnamento, e ce lo<br />

racconta in una<br />

corrispondenza di 15 lettere<br />

che denunciano il disastro<br />

della scuola italiana, rivolte a<br />

don Milani (autore della<br />

famosissima “Lettera a una<br />

professoressa”), a una<br />

mamma, a una collega, al<br />

Ministro della Pubblica<br />

Istruzione, al Presidente della<br />

Repubblica e, più dolorosa di<br />

tutte, una lettera indirizzata<br />

al “primo degli ultimi della<br />

classe”, come egli stesso si<br />

definisce, compiacendosene:<br />

Tony T.<br />

“Io insegnavo arte e tu<br />

disegnavi come Bernini –<br />

scrive Mila nella lettera –<br />

disegnavi senza carta<br />

trasparente, bravo e matto ti<br />

firmavi: “ Il capo dei capi”, non<br />

sedevi mai al tuo posto ma sul<br />

davanzale della finestra e non<br />

parlavi in italiano come gli<br />

altri. Sei vissuto in una<br />

dimensione di disastro civile,<br />

Tony; ma devi cominciare a<br />

Donne forti e belle<br />

Gemma Mannino Contin<br />

Amiche mie, donne bellissime - Storie e leggende siciliane<br />

Istituto Poligrafico Europeo, Palermo 2010, pp. 157 - € 10,00<br />

leggere la differenza tra la<br />

furbizia e la rettitudine. Se<br />

riesco a insegnarti questo è<br />

fatta.”<br />

Unico rimpianto per<br />

l’insegnante, non averne avuto<br />

il tempo. Oggi Tony T. è in<br />

carcere, come suo padre - cella<br />

46, carcere di Pagliarelli.<br />

Un libro pieno di orgoglio e di<br />

passione, dalla parte di chi<br />

rivendica l’importanza (da<br />

molti negata) della propria<br />

professione, e la speranza che<br />

per questi ragazzi la scuola<br />

pubblica torni ad essere luogo<br />

di vera formazione culturale e<br />

civica.<br />

Forse un po’ di retorica. Ma,<br />

come dice la stessa autrice: “se<br />

non sei retorica, ti<br />

ascolterebbero?”<br />

Adriana Palmeri<br />

Sono dodici storie<br />

preziose quelle che<br />

vengono raccontate in<br />

questo libro. Dodici ritratti di<br />

donna diversi tra loro che<br />

sanno parlare della Sicilia<br />

tessendo un arazzo complicato<br />

e bellissimo. Un universo fatto<br />

di vite tra di loro diversissime<br />

come quelle di Elvira Sellerio o<br />

Giuliana Saladino ma anche<br />

quelle di Francesca e Isabella e<br />

delle loro storie meno<br />

conosciute ma non meno<br />

intense e uniche.<br />

Storie e leggende siciliane<br />

come recita il sottotitolo,<br />

leggende come quella di Laura<br />

Lanza, la famosa baronessa di<br />

Carini e storie come quella di<br />

Marisa Bellisario, manager in<br />

una Sicilia che non sa spesso,<br />

ancora oggi, cosa sia fare<br />

impresa con onestà e<br />

dedizione. Gemma Contin,<br />

giornalista, da tanti anni segue<br />

la storia delle donne siciliane<br />

da siciliana d’adozione, con<br />

grande garbo e dolcezza, in<br />

questo suo secondo libro edito<br />

dall’Istituto Poligrafico<br />

Europeo, sceglie di proporci<br />

alcuni racconti esemplari,<br />

storie che non possono essere<br />

dimenticate perché ci aiutano a<br />

leggere l’oggi con una<br />

consapevolezza più piena.<br />

Amiche mie, donne bellissime,<br />

è un tributo o meglio un<br />

ringraziamento a tutte le<br />

“compagne” che Contin nella<br />

vita ha incontrato seguendo ed<br />

essendo parte del lungo<br />

cammino del Partito Comunista<br />

in Sicilia, o è forse ancor di più<br />

un contributo alla memoria<br />

delle donne siciliane perché<br />

non perdano mai quella loro<br />

stupenda testardaggine e quella<br />

loro voglia di fare, superare,<br />

trasmettere e insegnare.<br />

Stefania Savoia<br />

Chi è il colpevole?<br />

L’angoscia seguita alla sparizione di Sarah Scazzi, e alla terribile scoperta del suo destino, è ancora accompagnata dai mille dubbi su come<br />

effettivamente siano andate le cose. Da quel 6 ottobre in cui lo zio, Michele Misseri, viene arrestato con l’accusa di avere ucciso la nipote,<br />

la vicenda è ancora drammaticamente avvolta nell’oscurità. Lo zio Michele e sua figlia Sabrina continuano ad accusarsi reciprocamente, a<br />

fronte di un racconto mediatico che è servito a riempire pullmann di curiosi diretti ad Avetrana, nella casa dell’orrore. Chiavi di lettura<br />

utili per affrontare giornalisticamente un caso come questo, ancora irrisolto sotto il profilo giudiziario, sono rimaste invece marginali, confinate<br />

cioè a pochi editoriali e rubriche. Il rinfacciarsi le accuse tra padre e figlia, le parole della moglie e madre Cosima, l’attaccamento e<br />

la rivalità delle due cugine, il legame dello zio con la nipote, le versioni continue, discordanti e sempre accennate in rapporto ad un faccia<br />

a faccia con la figlia, fornite da Michele Misseri ad avvocati ed inquirenti, manifestano l’indissolubilità tra i membri della famiglia propria<br />

del vecchio modello contadino. Tutti questi aspetti sono assimilabili a retaggi di quel passato agricolo del Salento studiato dagli antropologi<br />

attraverso la magia e i tarantolati. Una realtà storica che si crede perduta per sempre, in cui cercare vie di fuga nella religiosità pagana<br />

fatta di filtri e scongiuri è la norma, la testimonianza stessa dell’esistenza di una cultura autonoma nel bene ma anche nel male.<br />

Sono i retaggi di una famiglia dagli stretti vincoli di parentela e di comparaggio, più attuale di quanto non si creda. Una famiglia dai comportamenti<br />

solidali forti quanto ambigui, e non predominanti rispetto alle relazioni verticali tra contadini e proprietari, protettori e beneficiati.<br />

Una famiglia sfuggente allo Stato e alle sue regole, non estranea a rivalità di tutti i tipi, amore compreso, accelerate da un’apparenza<br />

superficiale di unione. Una famiglia che proietta ancora i suoi retaggi, conditi da quella finta modernità che spesso è oggi la televisione.<br />

Se fino ad ora non è stato possibile avere la certezza del colpevole, si può dire comunque che, in questo delitto, c’entra tutta la famiglia.<br />

Marcella Geraci<br />

18


Preso a prestito, secondo<br />

la stessa Spero, da<br />

Gertrude Stein, il<br />

concetto di “presente continuo”<br />

costituisce una chiave efficace<br />

per leggere l’opera dell’artista<br />

americana scomparsa un anno<br />

fa e di cui si è appena aperta<br />

una retrospettiva al Centro<br />

Pompidou. La poetica di NS<br />

ha, infatti, al suo centro il nesso<br />

e la continuità fra antico e<br />

contemporaneo, espressi<br />

attraverso la figura femminile,<br />

un principio che consente<br />

all’artista di mettere in<br />

questione il racconto ufficiale<br />

della storia maschile e di<br />

mostrare, di contro, che quella<br />

storia può essere riscritta. Il suo<br />

racconto si svolge, così, fra<br />

sacro e profano, archetipo e<br />

stereotipo, personale e politico,<br />

come appreso dalla politica<br />

delle donne. Senza mai scadere<br />

nel didascalico o nella<br />

propaganda, NS fa del politico<br />

una constante del suo discorso,<br />

a partire dalla rabbia ed<br />

estraneità provate, come donna<br />

e artista, nei confronti del<br />

mondo dell’arte newyorkese ed<br />

espresse già nel Codice Artaud<br />

(1971-2). Qui l’artista fa suo il<br />

racconto di alienazione e<br />

marginalizzazione di Artaud,<br />

traducendolo in una forma<br />

visiva frammentata e incoerente<br />

che inaugura, sul piano formale,<br />

un nuovo linguaggio basato sul<br />

collage di immagini e testo su<br />

Il “presente continuo”<br />

di Nancy Spero<br />

un supporto di lunghe strisce di<br />

carta incollate fra loro, un<br />

richiamo ai papiri egizi e ai<br />

rotoli cinesi. Appare anche, per<br />

la prima volta, un’immagine<br />

tipica della sua iconografia: la<br />

bocca da cui fuoriesce una<br />

lingua, di chiara connotazione<br />

fallica, che rappresenta sia<br />

l’organo fisico sia quello del<br />

discorso. E’ la lingua-fallo<br />

dell’ordine simbolico patriarcale<br />

ma “fare le linguacce al mondo”<br />

è la strategia per minare<br />

quell’ordine, se la lingua protesa<br />

può distruggere la griglia del<br />

testo. Negli anni ’70, se prima<br />

l’artista darà forma visiva alla<br />

violenza sulle donne, già con<br />

Notes in time on women (1979)<br />

il suo sguardo si sposterà al<br />

simbolico: citazioni sulle donne,<br />

tratte dal discorso maschile di<br />

scienza, filosofia, letteratura,<br />

mito e anche dai mass-media si<br />

combinano ad immagini di dee,<br />

eroine, atlete, donne incinte,<br />

danzatrici, tratte dal mito, dalla<br />

storia dell’arte, dalla letteratura,<br />

dai giornali, immagini -anche<br />

irriverenti- di un femminile che<br />

non lascia l’ultima parola al<br />

Mariella Pasinati<br />

discorso maschile<br />

dell’oppressione e della<br />

misoginia. Siamo ad una svolta:<br />

una forte spinta interiore porta<br />

NS a cercare una<br />

rappresentazione del femminile<br />

che sfugga al paradigma del<br />

vittimismo, senza dimenticare la<br />

vittima. Le sue immagini di<br />

donne, in posizioni acrobatiche,<br />

erotiche, di lotta e danza, attive<br />

e vitali attestano l’esigenza di<br />

una potenza femminile cui<br />

rapportarsi, la necessità di<br />

immaginarci in un altro modo.<br />

Nasce un’iconografia dell’azione<br />

e della libertà: con la dildo<br />

dancer, con la dea celtica Sheelana-Gig<br />

che mostra con orgoglio<br />

una grande vagina, a sovvertire<br />

la rappresentazione del sesso<br />

femminile come mancanza<br />

(Chorus Line, 1985), con la dea<br />

egizia del cielo Nut, fra le altre.<br />

Ma in The Goddess Nut (1989)<br />

NS propone anche il tema della<br />

degradazione legando, sul piano<br />

simbolico, lo sfruttamento della<br />

sessualità alla morte (una porn<br />

queen e uno scheletro) cui<br />

corrisponde, sul piano di realtà,<br />

l’immagine di una donna<br />

Pannello di Nancy Spero, Goddess nut, 1989<br />

vittima della Gestapo. Questa<br />

foto storica verrà riproposta nel<br />

’93 sui muri del museo ebraico<br />

di New York con i testi di<br />

Brecht (La Ballata di Marie<br />

Sanders) e Nelly Sachs (Che i<br />

perseguitati non diventino i<br />

persecutori) in una narrazione di<br />

sofferenza, morte e resistenza<br />

che però l’artista compensa<br />

sempre con la speranza: nelle<br />

immagini di forza e<br />

collaborazione di donne ebree e<br />

palestinesi, nell’esortazione a<br />

cominciare a dar senso alle<br />

nostre condizioni di difficoltà,<br />

come si legge alla fine del<br />

poema di Brecht. Alla fiducia<br />

nelle possibilità dell’arte, infatti,<br />

NS non rinuncia mai, nemmeno<br />

nell’opera che si può<br />

considerare il suo testamento<br />

spirituale, Cri du Coeur (2005),<br />

realizzata a un anno dalla morte<br />

del compagno di una vita,<br />

l’artista Leon Golub: figure di<br />

donne che levano un lamento<br />

funebre (riprese dalla tomba<br />

egizia di Ramose) si svolgono in<br />

una processione continua alla<br />

base delle pareti della Galleria<br />

d’Arte Contemporanea di<br />

Santiago de Compostela.<br />

Sebbene le immagini siano<br />

annerite, segnate da macchie di<br />

blu e rossi cupi, la sequenza<br />

procede verso toni sempre più<br />

luminosi di verde e giallo e il<br />

dolore personale dell’artista,<br />

diventato dolore universale, si<br />

apre alla speranza.<br />

19


La nascita di uno Stato, quello italiano, costruito su basi<br />

equivoche e ambigue, raccontato in un film che fa discutere<br />

Giusi Catalfamo<br />

Mario Martone nel<br />

suo film Noi<br />

credevamo, prova a<br />

raccontare due Risorgimenti<br />

contrapposti, quello ufficiale<br />

di Cavour e dei Savoia e<br />

quello dei repubblicani di<br />

Mazzini e dei democratici, un<br />

po’ troppo confusi e idealisti.<br />

Il regista sceglie il secondo,<br />

affidandone la narrazione a<br />

tre protagonisti marginali:<br />

Angelo, Salvatore e<br />

Domenico, ispirati a tre<br />

figure reali: Giuseppe Andrea<br />

Pieri (Angelo), il terrorista<br />

del gruppo, e per questo<br />

ghigliottinato insieme ad<br />

Andrea Orsini: Antonio<br />

Sciandra (Salvatore), il più<br />

debole, di origini contadine,<br />

il più compromissorio, che<br />

sceglie la strada più sicura,<br />

quella di Francesco Crispi e<br />

della monarchia, ucciso da<br />

Angelo, perché traditore della<br />

causa; Domenico Lopresti<br />

(Domenico), mazziniano<br />

convinto, quello che riesce a<br />

raccontare la storia. La<br />

sceneggiatura, scritta da<br />

Giancarlo De Cataldo, è<br />

liberamente tratta dal<br />

romanzo di Anna Banti. Il<br />

film vuole raccontare la parte<br />

meno conosciuta del<br />

Risorgimento, forse la sua<br />

parte più vera. I tre<br />

protagonisti scelgono Mazzini<br />

e la Giovane Italia, dopo aver<br />

visto, ancora adolescenti, la<br />

feroce repressione borbonica<br />

contro i contadini del<br />

Cilento, ma solo Domenico<br />

riuscirà a raccontarne<br />

l’epilogo: un’altra non meno<br />

feroce repressione<br />

dell’esercito “regolare” dei<br />

piemontesi ancora nel<br />

Cilento, contro i “traditori”.<br />

Come dire, dalla padella nella<br />

brace e, per dirlo con una<br />

frase di gattopardiana<br />

memoria, cambiare tutto per<br />

non cambiare niente. Devo<br />

confessare che ho visto il film<br />

perché spinta dalla voglia di<br />

capire un periodo della<br />

nostra storia, di cui avevo<br />

una conoscenza scolastica e<br />

che è stato poco raccontato;<br />

ma, non mi ha aggiunto nulla,<br />

e continuo a non capire<br />

perché oggi ci sia tanta enfasi<br />

nel celebrare i 150 anni. I<br />

miei tanti dubbi sono rimasti.<br />

Non mi ha chiarito per<br />

Una vita tranquilla<br />

Quando il passato che si vuole<br />

dimenticare presenta il conto<br />

Un magnifico Toni Servillo quello di Una vita<br />

tranquilla di Claudio Cupellini, una storia cupa<br />

quella che racconta con una trama essenziale,<br />

quasi schematica, che tuttavia, nel suo snodarsi rapido e<br />

imprevedibile, ha dei momenti irrisolti. Rosario è un<br />

italiano di mezza età, un tranquillo e valido ristoratore<br />

di un albergo ristorante ben avviato nel nord della<br />

Germania. È un uomo, mite, molto conviviale, parla<br />

correntemente il tedesco con la moglie tedesca e un<br />

figlio non ancora adolescente che adora e a cui ha<br />

regalato un cane. Tutto sembra procedere bene, fino al<br />

giorno in cui si presentano due italiani che vogliono<br />

una camera. L’espressione di Rosario inquadrato<br />

mentre, sorridente, si accinge alla presentazione di un<br />

suo piatto molto coreografico, è difficile da descrivere:<br />

sorpresa, sgomento, incredulità, disappunto, fanno<br />

prevedere che l’arrivo dei due ospiti cambierà la sua<br />

vita. Lo intuiamo subito ed è la straordinaria mobilità<br />

espressiva di Toni Servillo, a far capire che qualcosa di<br />

grosso sta per accadere. Ma chi sono questi due italiani<br />

che vengono a turbare la sua vita e che all’inizio del<br />

film abbiamo visto fuggire dalla loro terra: da una realtà<br />

pericolosa o per un regolamento di conti? Non è<br />

difficile per lo spettatore prepararsi ad un finale sempre<br />

più drammatico. Rosario, in passato boss feroce<br />

creduto morto, era riuscito a salvarsi, anche se in<br />

maniera confusa, da una esecuzione camorristica.<br />

Scampato all’agguato, era sfuggito, abbandonando<br />

moglie e figlio, rifugiandosi appunto, in Germania,<br />

assumendo un’altra identità. Dovrà costruirsene una<br />

nuova, abbandonando ancora una volta l’altra moglie e<br />

l’altro figlio, come ha già fatto in passato. La trama di<br />

Una vita tranquilla è ispirata ad un fatto di cronaca<br />

vera, forse la strage di Duisburg. Il film, anche se molti<br />

nodi restano irrisolti, scorre bene e avvince; Toni<br />

Servillo cattura lo spettatore con la sua incredibile<br />

bravura e, meritatamente, la giuria gli ha assegnato il<br />

Marco Aurelio d’oro alla Festa del cinema di Roma. La<br />

narrazione lascia molti dubbi, specie all’inizio e alla<br />

fine. I personaggi principali, a parte Rosario, restano in<br />

una dimensione di opacità, anche se gli attori che li<br />

interpretano sono molto bravi ed efficaci nella loro<br />

caratterizzazione. Un buon film, comunque, e Claudio<br />

Cupellini è un regista da tener presente perché prova a<br />

raccontare con efficacia certa realtà del nostro tempo.<br />

esempio se Mazzini è stato un<br />

“cattivo maestro”, idealista e<br />

autoreferenziale, se Garibaldi<br />

è stato un eroe, almeno per<br />

noi meridionali; la sua figura<br />

aleggia ma non si vede mai,<br />

quanto ai garibaldini, sembra<br />

che facciano una brutta fine.<br />

L’unica conferma, questa sì<br />

amara, è la convinzione che la<br />

storia si ripete implacabile,<br />

da una repressione all’altra,<br />

ogni qualvolta si provi<br />

soltanto a rialzare la testa e<br />

provare a ribellarsi.<br />

Cambiano i padroni, ma le<br />

speranze di cambiamento si<br />

infrangono in nome della real<br />

politik. C’è anche una<br />

luminosa figura femminile,<br />

Cristina di Belgioioso,<br />

interpretata da Francesca<br />

Inaudi-Anna Bonaiuto, una<br />

donna che crede nella causa e<br />

che la sostiene, molto lucida<br />

nella sua analisi quando<br />

afferma che un movimento<br />

d’avanguardia, non<br />

supportato dalle masse, è<br />

destinato al fallimento. Vive a<br />

Parigi, in esilio, ma non ha<br />

più fondi per la causa. I tre<br />

passano da Torino a Parigi a<br />

Ginevra e ancora nel sud<br />

Italia, lottano, pagano prezzi<br />

altissimi, come il carcere e la<br />

morte, ma non condizionano<br />

la storia.<br />

Il loro fallimento mi porta ad<br />

un’amara considerazione: uno<br />

Stato costruito su basi<br />

sbagliate, non fa che<br />

aggiungere errori ad errori,<br />

accumula vizi senza<br />

guadagnare virtù. Non sento<br />

quindi di unirmi<br />

all’entusiamo della critica, e a<br />

riguardo, devo dire che il film<br />

non mi ha per niente<br />

emozionato, lo considero<br />

lacunoso, sfocato e a tratti<br />

noioso, forse perché ha un<br />

insopportabile registro da<br />

sceneggiato televisivo, e dove<br />

un grande attore come Toni<br />

Servillo, mi è sembrato<br />

sprecato e messo un po’ in<br />

ombra, nel ruolo di un<br />

Mazzini statico.<br />

Buona, come sempre<br />

l’interpretazione di Luigi Lo<br />

Cascio, Domenico. Martone<br />

non è certo Visconti e<br />

neanche Bertolucci;<br />

Noi credevamo non è Il<br />

Gattopardo, e non è neanche<br />

L’ultimo imperatore.<br />

20


Viaggi e identità femminile<br />

Francesca Saieva<br />

Fotografia di Shobha, Sicilia 2005<br />

Se la territorializzazione conferisce al viaggio un riconoscimento delle identità sessuali e se per tradizione il viaggio è stato usato come autoconferma<br />

maschile, è, altresì, noto come l’incremento nell’industria dei viaggi abbia cancellato una ben precisa impronta maschile del viaggio,<br />

grazie alla diffusione dei racconti delle scrittrici viaggiatrici nella prima età del viaggio industrializzato. Il viaggio al femminile va al di là di<br />

una semplice rivalsa d’identità; piuttosto un’avventura della mente tra esperienze di doppia estraneazione. Sono, infatti, gli incontri con le<br />

zone d’ombra a costituire riti di passaggio che mettono, dapprima, in crisi le identità, rafforzate poi, da nuove consapevolezze. È nell’attraversamento<br />

della soglia che avviene la metamorfosi e la ricostruzione di una coscienza del sé, ridefinizione dello spazio. Numerose le viaggiatrici-scrittrici:<br />

Lady Mary Worthley, Hester Lynch Piozzi, Mary Shelley, Vita Sackville-West, soltanto per citarne alcune, che nell’arco di tutto<br />

l’Ottocento e parte del Novecento fanno dell’esperienza di viaggio uno strumento simbolico al fine di “liberare il desiderio di conoscenza, di<br />

libertà e di affermazione” (L. Borghi, N. L. Bacci, U. Treder, 1988)<br />

In quest’ottica d’incontro di<br />

culture, occupa però un<br />

posto di rilievo Vita<br />

Sackville-West nell’ambito<br />

della tradizione del travel-book,<br />

grazie al suo noto Passenger to<br />

Teheran, scritto nel 1926.<br />

La fortuna di questo diario di<br />

viaggio è legata al contesto<br />

storico inglese dell’epoca.<br />

Attraverso il “travel-book”<br />

l’Islam fa il suo “ingresso in<br />

Occidente”, coinvolgendo<br />

uomini e donne, quest’ultime<br />

per lo più appartenenti alla<br />

borghesia e aristocrazia, in<br />

viaggi avventurosi verso la<br />

Persia. Bisogno di emergere, di<br />

affermarsi, di uscire dalla<br />

routine accomunano queste<br />

donne nell’intraprendere il<br />

cammino verso l’Oriente.<br />

Dalle descrizioni, pervenuteci<br />

dalle viaggiatrici, è possibile<br />

cogliere l’attrazione che<br />

l’Oriente suscita in loro, senza<br />

che esse si lascino mai andare.<br />

Rispettose di un’educazione<br />

vittoriana, celano le loro<br />

emozioni, cimentandosi in<br />

minuziose e precise<br />

descrizioni, utili ancor oggi per<br />

gli studiosi appassionati<br />

dell’Oriente.<br />

In A Passenger to Teheran della<br />

Sackville-West, il viaggio in<br />

Persia è prima di tutto<br />

un’avventura della mente alla<br />

riscoperta della propria<br />

identità. Ma è soprattutto un<br />

percorso di maturazione in cui<br />

la scrittrice sperimenta una<br />

doppia estraneità. Estranea alla<br />

realtà circostante ed estranea<br />

alla terra di partenza.<br />

Le molteplici emozioni<br />

spingono la scrittrice a far<br />

tesoro della sua esperienza<br />

interiore, cercando di<br />

conciliarla con quella esteriore<br />

del vedere, sentire e gustare.<br />

Conflittualità di sentimenti e di<br />

atteggiamenti dunque, nei<br />

confronti di tutto ciò che è<br />

nuovo, ma irrinunciabile.<br />

Scrive, infatti, la Sackville-<br />

West: “Avevo pensato di<br />

conquistare una sorta di<br />

emancipazione dall’Inghilterra,<br />

ma qui in Persia scopro di aver<br />

messo le mie radici” (V.<br />

Sackville-West, A Passenger to<br />

Teheran, 1926, ed. 1988).<br />

Alla luce di quanto detto, è,<br />

forse, possibile concordare con<br />

Rita Monticelli e Vita<br />

Fortunati, quando dicono che<br />

lo “sguardo e la scrittura del<br />

viaggio rivelano molto del<br />

soggetto che vede e trascrive la<br />

realtà e contaminano<br />

profondamente la visione del<br />

mondo ‘altro’. In questo senso<br />

sembra possibile parlare di un<br />

diverso sguardo delle<br />

viaggiatrici sull’Oriente,<br />

rispetto a quello maschile” (R.<br />

Monticelli, V. Fortunati in P.<br />

Nerozzi Bellman, V. Matera,<br />

2001).<br />

Tale differenza, tra viaggiatori<br />

e viaggiatrici, è determinata,<br />

dunque dal diverso<br />

posizionamento delle donne nei<br />

confronti del colonialismo e<br />

del potere patriarcale.<br />

Colonialismo e ordine<br />

patriarcale suggeriscono due<br />

tipi di relazione nella sfera<br />

maschile, ovvero quello di<br />

padre/padrone e quello di<br />

subordinazione, tipica, per<br />

secoli, del rapporto<br />

uomo/donna. Lo sguardo delle<br />

viaggiatrici in genere è regolato<br />

da “un occhio impassibile” e<br />

da censure emotive, giustificate<br />

da una forte impronta<br />

vittoriana. La precisione delle<br />

descrizioni produce minute<br />

“ricostruzioni dei costumi e<br />

delle usanze” e lascia trapelare<br />

il “diverso fascino che<br />

l’Oriente esercita sulle donne”<br />

(R. Monticelli, V. Fortunati in<br />

P. Nerozzi Bellman, V. Matera,<br />

2001). L’Oriente è lo “spazio”<br />

in cui proiettare i propri<br />

desideri di solitudine, di silenzi<br />

e di libertà.<br />

“Ma la cosa più bella che ho<br />

visto a Isfahan, una di quelle<br />

cose la cui bellezza rimane<br />

nella mente come una<br />

melodia, è la Madrasseh, che<br />

significa scuola, ma se si tratta<br />

davvero di una scuola, allora è<br />

una scuola per pensare, per la<br />

contemplazione, per il ritiro<br />

spirituale, una scuola in cui<br />

s’impara a essere soli. …Un<br />

luogo di ritiro e armonia,<br />

aperto a tutti, ma ove ognuno<br />

potrebbe andare a godere il<br />

privilegio della riservatezza e<br />

della vita privata, …ove<br />

arrivare o partire, senza essere<br />

notati, senza che vengano fatte<br />

domande, in quella<br />

indipendenza che poche<br />

comunità capiscono o<br />

vogliono accordare. Si è liberi<br />

di essere soli qui, mentre in<br />

molte comunità civili nessuno<br />

è libero di rimanere solo, la<br />

raffinatezza della solitudine<br />

non è compresa” (V. Sackville<br />

-West, 1926, ed. 1988).<br />

21


Casablanca: un giornale che ci somiglia<br />

Prodotto a Catania, diretto da Graziella Proto, esce ogni mese e pone al centro della sua<br />

attenzione: la lotta alle mafie e la presenza delle donne nel fronte della democrazia. Nel<br />

numero di novembre, articoli di Franca Imbergamo (magistrato) e Ombretta Ingrascì<br />

(studiosa), ed una inchiesta molto strutturata sulla ‘ndrangheta calabrese (che ormai si<br />

ritiene abbia superato in violenza ed affari “cosa nostra” siciliana). Due originali interviste:<br />

a Patrizia Maniaci, moglie di Pino Maniaci – noto direttore di Telejato, la piccola televisione<br />

siciliana antimafiosa prodotta a Partinico; ed alla deputata Angela Napoli, componente<br />

della Commissione nazionale antimafia, protagonista di un accidentato percorso<br />

che l’ha portata dal Pdl al gruppo dei finiani. Il giornale è solo on line. Per consultarlo,<br />

cliccare: www.lesiciliane.org/casablanca<br />

A Roma, una casa comune<br />

per le donne in difficoltà<br />

Una struttura abbandonata dall’Azienda trasporti cittadina, vecchia sottostazione di un<br />

tram, occupata due anni e mezzo fa da Action A (collettivo femminista di Action) è diventato<br />

uno spazio di accoglienza “abitativa e sociale” per le donne e gestita da donne. “Una<br />

casa – dice, tra l’altro, il loro manifesto – dove razzismo ed egoismo sociali non hanno cittadinanza…una<br />

casa dove costruire un’altra idea di famiglia, basata su rapporti veri e reali,<br />

qualsiasi essi siano”. Il nome: Lucha y Siesta. L’indirizzo: via Lucio Sestio, 10, Roma<br />

Il prossimo Nobel per la pace<br />

alle donne africane?<br />

A tutte le donne africane, nel loro insieme: questo l’obbiettivo lanciato da un seminario<br />

tenutosi a Dakar, con 150 partecipanti, prevalentemente donne dell’Africa. Si sta preparando<br />

una carovana che partirà dal Sud Africa, attraverserà vari paesi del continente africano,<br />

giungerà l’8 marzo al Parlamento europeo a Bruxelles, e proseguirà per Stoccolma:<br />

si propone un “premio collettivo”. L’attivismo femminile in Africa è presente in numerosi<br />

campi, realtà dove donne animano azioni di cura, di nuova economia, ed ogni progetto<br />

volto ad aumentare la scolarizzazione. L’appello che promuove questa campagna inizia<br />

con le parole: L’AFRICA CAMMINA SUI PIEDI DELLE DONNE.<br />

A “<strong>Mezzocielo</strong>” il premio speciale<br />

teleacras - punto fermo 2010 per l’editoria<br />

Motivazione: Per la importante presenza, al femminile, nel mondo editoriale siciliano,<br />

aprendo e approfondendo tematiche sociali e di costume con il coraggio e l’obbiettività di<br />

quante – dirigenti e collaboratrici – propongono riflessioni di ampio respiro critico, di<br />

profonda sensibilità culturale, per il rinnovamento di resistenti superati schemi inter-sociali.<br />

Agrigento, 13 dicembre 2010<br />

Il Premio viene assegnato al nostro periodico, all’inizio del 20° anno di attività (primo<br />

numero di <strong>Mezzocielo</strong>: dicembre 1991). Ne siamo felici, e chiamiamo a condividere la<br />

nostra gioia tutte le redattrici e le collaboratrici, che, nel corso di questi quasi venti anni,<br />

hanno prestato con generosità la loro opera gratuita a <strong>Mezzocielo</strong>.<br />

Con il medesimo spirito ringraziamo calorosamente abbonate ed abbonati (sì, sì: abbiamo<br />

anche abbonati uomini) che, con il loro costante sostegno finanziario, ci hanno aiutato<br />

a realizzare questo piccolo miracolo giornalistico siciliano.<br />

Direzione<br />

Rosanna Pirajno (direttrice responsabile)<br />

Letizia Battaglia (art director)<br />

Simona Mafai (coordinamento)<br />

Redazione<br />

Beatrice Agnello<br />

Carla Aleo Nero<br />

Giusi Catalfamo<br />

Silvana Fernandez<br />

Gisella Modica<br />

Leontine Regine<br />

Maria Concetta Sala<br />

Stefania Savoia<br />

Shobha<br />

Francesca Traína<br />

<strong>Imp</strong>aginazione<br />

Letizia Battaglia<br />

Giusi Catalfamo<br />

Hanno collaborato<br />

Elena Ciofalo<br />

Nicola Cipolla<br />

Alessandra Dino<br />

Mariachiara Di Trapani<br />

Vittorio Greco<br />

Monica Lanfranco<br />

Miriam Massari<br />

Antonella Monastra<br />

Paola Nepi<br />

Salvatore Nicosia<br />

Mariella Pasinati<br />

Martina Quatra<br />

Cynthia Rodriguez<br />

Francesca Saieva<br />

Francesca Vassallo<br />

Editore<br />

Associazione <strong>Mezzocielo</strong><br />

Responsabile Editoriale<br />

Adriana Palmeri<br />

e-mail:<br />

mezzocielo.posta@yahoo.it<br />

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Il lavoro redazionale<br />

e le collaborazioni<br />

sono forniti gratuitamente<br />

Stampa<br />

Istituto Poligrafico Europeo srl<br />

Contrada Zaccanelli<br />

Roccapalumba (Palermo)<br />

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Reg. al Trib. di Palermo il 19-3-’92<br />

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ordinaria: € 30,00<br />

sostenitrice: € 60,00<br />

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V.le F. Scaduto, 14 - 90144 Palermo<br />

22


Calcutta, Fotografie di Shobha, dedicate a Letizia, dicembre 2010


Obiettivo non dimenticare<br />

Hermila Garcia<br />

Avvocato, 38 anni, capo della polizia di frontiera messicana,<br />

uccisa con tre colpi di pistola in volto, dopo 50<br />

giorni dall’inizio del suo mandato, mentre, la mattina<br />

del 30 novembre 2010, si recava in macchina al lavoro,<br />

senza scorta e senza armi “per dimostrare di non<br />

aver paura”. Lasciata riversa sull’ asfalto in una pozza<br />

di sangue. Nessun testimone.<br />

Messico - Hermila Garcia, avvocato, aveva accettato di diventare capo della sicurezza<br />

pubblica di Meoqui, un paese a 70 chilometri a sud di Chihuahua. È la prima donna nella<br />

storia ad essere impegnata nella guerra ai narcos messicani. Ruolo rifiutato da molti<br />

uomini della polizia locale, spaventati dalla violenza dei massacri causati dagli scontri tra<br />

le due famiglie avversarie di criminali e trafficanti che controllano il territorio. Da qui<br />

transita la droga di tutto il Sudamerica e dello stesso Messico, verso gli Stati Uniti. Una<br />

linea di confine in balìa della rivalità tra cartelli per il dominio sul contrabbando. Dal<br />

2006 ad oggi, vani gli sforzi delle autorità politiche e delle polizie di frontiera. 30.000<br />

le vittime, 45.000 i soldati impegnati a combattere questa battaglia. La sua morte puà<br />

essere considerata un avvertimento alle altre tre donne dotate di coraggio che come<br />

lei hanno scelto di assumere ruoli di polizia rimasti vacanti, donne che insieme lottano<br />

contro il narcotraffico, la violenza ed il machismo dominante.<br />

Mc.Dt

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