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Ischitella e il Varano dai primi insediamenti agli ultimi feudatari

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100 <strong>Ischitella</strong> <strong>dai</strong> <strong>primi</strong> <strong>insediamenti</strong> <strong>agli</strong> <strong>ultimi</strong> <strong>feudatari</strong><br />

Ad ultimare la costruzione della chiesa e a provvedere <strong>agli</strong> arredi, arricchendola<br />

di pregevoli dipinti ci pensò <strong>il</strong> principe Francesco Emanuele. Le tele di Gennaro<br />

Abbate, commissionate dal principe, rappresentano una Deposizione dalla Croce;<br />

Gesù Bambino con Sant’Antonio, San Nicola, San Francesco di Paola, San Francesco<br />

d’Assisi e Sant’Antonio Abate.<br />

A completare l’arredo iconografico della Chiesa di San Michele pensò Alfonso<br />

Pinto 67 , devotissimo di San Gennaro che donò una tela rappresentante <strong>il</strong> Santo<br />

pred<strong>il</strong>etto, la Madonna del Carmine e la Sacra Famiglia. Lo stesso principe donò<br />

altresì una Natività di Cristo ed una Crocifi ssione alla Chiesa del Convento di San<br />

Francesco.<br />

Nel 1784, Pasquale Pinto, dopo un contenzioso con <strong>il</strong> capitolo di Santa Maria<br />

Maggiore 68 , ottenne dall’arcivescovo Francone la facoltà di istituire, per la sua<br />

chiesa, uno speciale Collegium Cappellanorum. A capo di questo capitolo, venne<br />

nominato Don Andrea Santamaria di Rodi Garganico. Il Principe stipendiò, a<br />

proprie spese, ben sette cappellani, scelti tra le famiglie borghesi di <strong>Ischitella</strong>, che<br />

esercitarono le regolari funzioni officiate in tutte le chiese della diocesi di Siponto.<br />

In cambio di 72 ducati all’anno, corrisposti a ognuno di loro dall’Illustre Possessore,<br />

erano tenuti a recitare tutti insieme l’Ufficio Divino; celebravano messa nei<br />

giorni feriali ed una messa cantata in quelli festivi. Durante le funzioni interne ed<br />

esterne, indossavano la mozzetta cinerina: era un priv<strong>il</strong>egio loro concesso dall’arcivescovo<br />

Francone.<br />

La chiesa era ben servita e richiamava la frequenza del popolo per l’esercizio<br />

regolare del culto. Le vicende dei tempi, seguite all’eversione della feudalità dopo<br />

<strong>il</strong> decreto Zurlo, non permisero alla Casa Pinto di pagare gli onorari dovuti ai<br />

cappellani. E costoro non si sentirono più in obbligo di rispettare <strong>il</strong> loro impegno.<br />

La chiesa materiale e formale fu così abbandonata, ed <strong>il</strong> popolo restò defraudato<br />

dalle normali funzioni ecclesiastiche che un tempo vi si eseguivano con regolarità<br />

e solennità. A ciò, si aggiunse <strong>il</strong> pubblico dispiacere di vedere, di anno in anno,<br />

deteriorato un tempio di architettura d’ordine toscano dell’ampiezza di palmi quadrati<br />

2142, e ormai ridotto quasi a stalla.<br />

A causa di questa deplorevole situazione, a molti buoni cittadini venne <strong>il</strong> desiderio<br />

non solo di ristorare e fare delle riparazioni a questo sacro edifi cio, ma<br />

anche di proporre al comune di <strong>Ischitella</strong> di acquistare la chiesa di San Michele,<br />

trasferendo dalla vecchia chiesa di Sant’Eustachio l’altare e la statua del protettore<br />

Nel 1772 ottenne una sentenza favorevole, ma Pasquale Pinto ricorse in appello all’arcivescovo, che<br />

gli diede ragione.<br />

69<br />

ARCHIVIO COMUNALE ISCHITELLA, Delibere Decurionato, 1836<br />

70<br />

M. MANICONE, La Fisica Appula, Napoli, 1806-1807, voll.5, pag 713<br />

71<br />

Ivi.<br />

72<br />

Ivi, pp.713-714.

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