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Ischitella e il Varano dai primi insediamenti agli ultimi feudatari

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T. M. RAUZINO La vitaI Pinto Principi di <strong>Ischitella</strong> e Peschici 77<br />

maggiore. Il patrimonio spettò quasi interamente al primogenito, che migliorò la<br />

sua condizione con centom<strong>il</strong>a ducati in più rispetto alla sua porzione 19 .<br />

Il Montecco ci informa che Don Louise fu sepolto a Napoli nella Chiesa di<br />

Santo Spirito dei Padri Predicatori, di fronte al Palazzo Regio 20 , e precisamente<br />

nella seconda Cappella a sinistra dell’entrata della Chiesa per la Porta maggiore 21 .<br />

Ci segnala che proprio qui venne posta un’epigrafe, con una lunga iscrizione commemorativa.<br />

Tralascia di trascriverla, per brevità potendola ogn’un uedere (vedere),<br />

mettendo però fortemente in dubbio che quanto è stato scritto nell’epigrafe tombale<br />

di Don Louise, a vanto della nob<strong>il</strong>tà del personaggio e della sua casata, corrisponda<br />

ad effettiva verità: la menzogna è tanto evidente che salta <strong>agli</strong> occhi anche degli<br />

20<br />

A Napoli <strong>il</strong> vecchio Palazzo-fortezza, voluto da don Pedro de Toledo, e costruito a metà del secolo<br />

XVI da Ferdinando Manlio, era insufficiente alle nuove esigenze dei Vicerè. Il “nuovo” palazzo,<br />

citato dal Montecco, venne ubicato a fianco del “vecchio”, più vicino al mare, affacciato sulla Darsena<br />

e contiguo a Castel Nuovo, alla fine dell’importante asse di Via Toledo e all’inizio della zona di<br />

espansione verso Chiaia e Pos<strong>il</strong>lipo. La progettazione fu affidata dal Viceré Ferrante Ruiz de Castro,<br />

conte di Lemos, all’architetto Domenico Fontana (1543-1607), tra i più famosi del tempo, disegnatore<br />

della Roma sistina e attivo a Napoli in opere di sistemazione urbanistica come Ingegnere Maggiore<br />

del Regno. Il palazzo, costruito nel 1600, davanti aveva un ampio slargo, ut<strong>il</strong>e per parate m<strong>il</strong>itari e<br />

manifestazioni di popolo, che prese <strong>il</strong> nome di Largo di Palazzo, l’odierna Piazza Plebiscito; dietro<br />

aveva una zona verde recintata e tenuta a giardino fin <strong>dai</strong> tempi degli Angioini, come è documentato<br />

dalla tavola Strozzi a Capodimonte. Subì delle trasformazioni nel Settecento: Luigi Vanvitelli, a seguito<br />

di problemi statici, per rafforzarne le strutture murarie, chiuse alternatamente gli archi della facciata.<br />

Danneggiato da un incendio nel 1837, l’edificio venne restaurato da Gaetano Genovese, autore dello<br />

scalone monumentale e della sistemazione del lato meridionale, con <strong>il</strong> cort<strong>il</strong>e del Belvedere e <strong>il</strong> giardino<br />

pens<strong>il</strong>e. Nelle nicchie furono collocate, nel 1888, le statue dei re di Napoli, da Ruggero <strong>il</strong> Normanno<br />

a Vittorio Emanuele II. Le sale più antiche del piano nob<strong>il</strong>e, oggi Museo dell’Appartamento Storico,<br />

conservano l’arredo e le decorazioni delle famiglie reali: <strong>il</strong> Teatro di Corte, la splendida Sala degli<br />

Ambasciatori, la Sala del Trono, la Sala d’Ercole, la Cappella Palatina dedicata all’Assunta. Fu sede<br />

dei viceré, dei Borbone e saltuariamente dei Re d’Italia; oggi ospita la Biblioteca nazionale.<br />

21<br />

A Napoli, la Chiesa e <strong>il</strong> monastero di Santo Spirito erano ubicati nel sito dell’attuale Palazzo della<br />

Prefettura, che si affaccia su Piazza Plebiscito. La Chiesa di Santo Spirito, in cui fu sepolto <strong>il</strong> capostipite<br />

napoletano dei principi Pinto, era la sede dell’Arciconfraternita di S. Ferdinando di Palazzo di<br />

Nostra Signora dei Sette Dolori, risalente al 1522, che trovò successiva sede nella Chiesa omonima,<br />

costruita tra <strong>il</strong> 1622 e <strong>il</strong> 1655, dedicata nel 1769 da Ferdinando I di Borbone al suo santo protettore.<br />

Di questa nob<strong>il</strong>issima arciconfraternita fecero parte i re di Napoli, a cominciare da Carlo di Borbone,<br />

le regine, alcuni pontefici, e dopo l’Unità d’Italia, i re sabaudi fino ad Umberto II. Anche nel laico<br />

decennio francese, <strong>il</strong> sodalizio ebbe la “protezione” di Giuseppe Bonaparte. Con <strong>il</strong> bando di concorso<br />

del febbraio 1809, Gioacchino Murat iniziò la trasformazione dell’intera area proprio con la demolizione<br />

delle chiese di San Luigi e Santo Spirito. Con <strong>il</strong> successivo concorso, bandito <strong>il</strong> 6 settembre<br />

1815 da Ferdinando IV, Pietro Bianchi curò la realizzazione della chiesa di San Francesco di Paola.<br />

Parte integrante della nuova piazza, furono la costruzione dell’edificio, oggi sede della Prefettura, ad<br />

opera di Leopoldo Laperuta (1812-1815), originariamente destinato a Foresteria del Real Palazzo, e<br />

la risistemazione del Palazzo Salerno, già trasformato, tra <strong>il</strong> 1792 e <strong>il</strong> 1798 da Francesco Securo, in<br />

Palazzo dei Ministri di Stato Borbonici.<br />

22<br />

E. MONTECCO, cit.; pp. 3-4. Le motivazioni che spinsero i Pinto ad insistere a fregiarsi dell’abito<br />

di Alcantara piuttosto che di quello di Avis ci sono sconosciute. Forse preferirono dimenticare, e far

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