Ischitella e il Varano dai primi insediamenti agli ultimi feudatari
Ischitella e il Varano dai primi insediamenti agli ultimi feudatari Ischitella e il Varano dai primi insediamenti agli ultimi feudatari
M. BELLOLI La vitaMemorie e ricordi di un Principe costituzione e concedere l’amnistia, con la quale rientrarono a Napoli tutti gli esiliati che avevano cospirato a Torino. Essi ricambiarono il favore venendo a cospirare contro il governo, chiamando i Piemontesi a Napoli per dar loro quella libertà che, a loro parere, non era sufficientemente ribadita nella costituzione del 1848, che si era avuto l’imbecillità di conservare, dopo l’esperienza fatta per ben due volte. Il ministero fu cambiato, ne fecero parte alcuni traditori. Dopo che la rivoluzione in Sicilia aveva reso Garibaldi padrone del paese, con i contatti di cui godeva, gli venne l’idea di riunire alcune navi nel canale e di sbarcare nel regno di Napoli. La nostra marina militare contava su alcuni capi che si dicevano molto devoti al re ed avevo consigliato di affidare il comando a loro, per andare a incendiare queste navi: nulla venne fatto. L’imperatore dei francesi aveva fatto proporre al governo inglese di agire di concerto per impedire a Garibaldi di passare sul continente. Quel governo si rifiutò: aveva deciso la perdita della dinastia. Si giudichi da che parte è venuta la rovina del paese. Ci sono persone il cui odio non si estingue mai. Quando il re ebbe dato la costituzione, mi spinse a prendere il comando della guardia nazionale, poiché il paese aveva fiducia nelle mie opinioni liberali e sarebbe stato contento. Il capo di stato maggiore era il duca di Cajanello. In una riunione dei generali che ebbe luogo a palazzo, il generale Pianell si commosse sino alle lacrime per le disgrazie dell’esercito; questa commedia diede l’idea al re di nominarlo ministro della guerra. Garibaldi sbarcò in Calabria, i tradimenti e le defezioni continuavano proprio come in Sicilia. A palazzo reale si comincia ad imballare, a fare preparativi per la partenza: ciò provocava proprio una cattiva impressione. La regina madre e tutta la sua giovane famiglia partirono per Gaeta. Da questo momento, cominciarono a circolare voci che il re voleva abbandonare il paese. Avendo io l’onore di veder il re mattina e sera, costantemente, ogni giorno, non mi esimevo ogni volta dal pregarlo, dal supplicarlo di non prendere la decisione di allontanarsi dalla città e dal regno: ho osato persino affermare che il suo dovere era restare. Non ho mancato di ricordargli cosa era accaduto a Carlo X e a Luigi Filippo. Il generale Pianell parlava sempre di mettersi alla testa di qualche battaglione e di imbarcarsi per andare in Calabria a combattere Garibaldi. Una notte tutto era pronto per l’imbarco delle truppe. Al momento dell’imbarco, lascio il palazzo reale alle due del mattino. Il giorno successivo, mi reco a palazzo e con mia grande sorpresa apprendo che la spedizione non era partita, che si era dato un contrordine. Ogni cosa era tradimento; si facevano arrivare dispacci telegrafici nei quali si segnalava che una divisione in Calabria, in defezione, riunitasi a Garibaldi ed al suo esercito, marciava su Napoli. Non vi era nulla di vero, Garibaldi aveva con lui solo la sua banda sbarcata in Sicilia. Il povero re era ingannato in modo indegno. Ebbe la benevolenza di concedere udienza a Villamarina, nei suoi ultimi giorni a Napoli, ricevendolo come
176 Ischitella dai primi insediamenti agli ultimi feudatari ministro di una potenza amica. Il giorno stesso, dopo l’udienza, non riuscii a fare a meno di condurre con me il duca di Cajanello per denunciargli tutto quello che era accaduto il giorno prima nel suo studio; l’alterco che avevo avuto con alcuni suoi ministri era stato riportato la sera da alcuni ufficiali piemontesi, che si permetteva di far ricevere, come amici, nelle logge degli ufficiali di marina, altro errore che produsse i suoi effetti. Con franchezza, ho fatto il nome di coloro che lo tradivano. Forse si sarebbe ancora fatto in tempo a por riparo alla catastrofe. Il re non prese alcuna risoluzione. C’era di che impazzire. Il re mi disse che voleva mettermi a capo dell’esercito, per marciare contro i rivoluzionari che venivano dalle pianure del salernitano; per far ciò avrei dovuto accordarmi con il suo ministro della guerra Pianell; ci siamo andati insieme al ministero della guerra; dopo molte discussioni, al momento di firmare il rapporto, il ministro rifiutò; io fui il solo a firmare, ed il rapporto venne presentato al re in questo modo. C’erano delle persone al ministero che ascoltavano le nostre discussioni, nelle quali mettevo molto calore; una sera, rientrando a cas, mi avvertirono che si voleva attentare alla mia vita. Ho disdegnato queste minacce: avevo fatto il mio dovere. Come maggior generale, ho ordinato a tutte le truppe delle diverse guarnigioni di venire a concentrarsi a Napoli, al fine di meglio assicurare la loro fedeltà. Avendo preso seriamente la notizia che il re mi avrebbe dato il comando delle truppe, ho dovuto inviargli le mie dimissioni da comandante delle guardie nazionali, titolo incompatibile con la mia posizione. Il generale De Sauget mi ha sostituito: Questa dimissione, in questo momento, ha messo contro di me la guardia nazionale. Sarebbe mai possibile credere che il comando dell’esercito, di cui il re voleva incaricarmi, non mi sarebbe mai stato dato e che persone attorno a lui lo facevano dubitare della mia fedeltà, dopo tutto quello che avevo fatto? Poiché avevo detto al re che non avrebbe potuto salvarsi se non con l’aiuto dell’imperatore dei Francesi, una quindicina, forse, di giorni prima di lasciare Napoli, mi ha fatto dire di volermi inviare in missione da lui, per esporre la sua posizione e cercare di farlo intervenire in suo favore. Mi sono rifiutato: era troppo tardi. Il duca di Cajanello è andato al mio posto. Era a Napoli che potevo essergli utile, se solo lo avesse voluto. Avevamo 40.000 uomini riuniti attorno alla capitale, che non avrebbero né disertato né tradito se avessero avuto alla loro testa qualcuno su cui poter contare. Forse dieci giorni prima di andarsene, il re si decise a cambiare i suoi ministri. Volle assolutamente incaricarmi di formargli un ministero. Con la miglior volontà, feci tutto il possibile per servirlo, ma tutti rifiutarono di divenire ministri in quel momento, quando era tangibile la dissoluzione del reame: non volevano compromettersi. Il 5 settembre, di mattina, il re ricevette i dodici capi di battaglione della guardia nazionale, si congedò da loro pregandoli di mantenere l’ordine in città. Tutto questo
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a loro parere, non era sufficientemente ribadita nella costituzione del 1848, che si<br />
era avuto l’imbec<strong>il</strong>lità di conservare, dopo l’esperienza fatta per ben due volte.<br />
Il ministero fu cambiato, ne fecero parte alcuni traditori. Dopo che la rivoluzione<br />
in Sic<strong>il</strong>ia aveva reso Garibaldi padrone del paese, con i contatti di cui godeva, gli<br />
venne l’idea di riunire alcune navi nel canale e di sbarcare nel regno di Napoli. La<br />
nostra marina m<strong>il</strong>itare contava su alcuni capi che si dicevano molto devoti al re ed<br />
avevo consigliato di affidare <strong>il</strong> comando a loro, per andare a incendiare queste navi:<br />
nulla venne fatto. L’imperatore dei francesi aveva fatto proporre al governo inglese<br />
di agire di concerto per impedire a Garibaldi di passare sul continente. Quel governo<br />
si rifiutò: aveva deciso la perdita della dinastia. Si giudichi da che parte è venuta<br />
la rovina del paese. Ci sono persone <strong>il</strong> cui odio non si estingue mai. Quando <strong>il</strong> re<br />
ebbe dato la costituzione, mi spinse a prendere <strong>il</strong> comando della guardia nazionale,<br />
poiché <strong>il</strong> paese aveva fiducia nelle mie opinioni liberali e sarebbe stato contento.<br />
Il capo di stato maggiore era <strong>il</strong> duca di Cajanello. In una riunione dei generali<br />
che ebbe luogo a palazzo, <strong>il</strong> generale Pianell si commosse sino alle lacrime per le<br />
disgrazie dell’esercito; questa commedia diede l’idea al re di nominarlo ministro<br />
della guerra. Garibaldi sbarcò in Calabria, i tradimenti e le defezioni continuavano<br />
proprio come in Sic<strong>il</strong>ia. A palazzo reale si comincia ad imballare, a fare preparativi<br />
per la partenza: ciò provocava proprio una cattiva impressione.<br />
La regina madre e tutta la sua giovane famiglia partirono per Gaeta.<br />
Da questo momento, cominciarono a circolare voci che <strong>il</strong> re voleva abbandonare<br />
<strong>il</strong> paese. Avendo io l’onore di veder <strong>il</strong> re mattina e sera, costantemente, ogni<br />
giorno, non mi esimevo ogni volta dal pregarlo, dal supplicarlo di non prendere<br />
la decisione di allontanarsi dalla città e dal regno: ho osato persino affermare che<br />
<strong>il</strong> suo dovere era restare. Non ho mancato di ricordargli cosa era accaduto a Carlo<br />
X e a Luigi F<strong>il</strong>ippo.<br />
Il generale Pianell parlava sempre di mettersi alla testa di qualche batt<strong>agli</strong>one<br />
e di imbarcarsi per andare in Calabria a combattere Garibaldi. Una notte tutto era<br />
pronto per l’imbarco delle truppe. Al momento dell’imbarco, lascio <strong>il</strong> palazzo reale<br />
alle due del mattino.<br />
Il giorno successivo, mi reco a palazzo e con mia grande sorpresa apprendo<br />
che la spedizione non era partita, che si era dato un contrordine. Ogni cosa era<br />
tradimento; si facevano arrivare dispacci telegrafici nei quali si segnalava che una<br />
divisione in Calabria, in defezione, riunitasi a Garibaldi ed al suo esercito, marciava<br />
su Napoli. Non vi era nulla di vero, Garibaldi aveva con lui solo la sua banda sbarcata<br />
in Sic<strong>il</strong>ia. Il povero re era ingannato in modo indegno. Ebbe la benevolenza di<br />
concedere udienza a V<strong>il</strong>lamarina, nei suoi <strong>ultimi</strong> giorni a Napoli, ricevendolo come