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Ossi lavorati d'età bizantina e normanno-sveva nella Puglia ...

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<strong>Ossi</strong> <strong>lavorati</strong> d’età <strong>bizantina</strong> e <strong>normanno</strong>-<strong>sveva</strong> <strong>nella</strong> <strong>Puglia</strong><br />

settentrionale: il caso di Canne (BA)<br />

di Margherita Corrado<br />

Situata su una modesta altura alla destra idrografica del fiume Ofanto, a pochi<br />

chilometri dalle città di Barletta e Canosa, Canne è nota al grande pubblico soprattutto per la<br />

battaglia che nel 216 a.C., durante la seconda guerra punica, oppose i Cartaginesi di<br />

Annibale alle legioni romane, uscite in fine sconfitte. Gli scavi archeologici condotti<br />

nell’area fin dagli anni Trenta del Novecento, ispirati inizialmente dal desiderio di trovare<br />

tracce di quell’evento clamoroso e precisarne il sito 1 , hanno raggiunto ed indagato in più<br />

occasioni le stratigrafie della cittadella medievale posta in cima alla collina, erede diretta di<br />

quella tardo-antica. Ciò ha permesso di esplorare, nel tempo - le più recenti campagne di<br />

scavo risalgono al 2000-2001 2 -, la cinta muraria e parte del castello, la cattedrale, alcune<br />

case e botteghe, oltre a numerose aree cimiteriali, coprendo l’intero arco di vita dell’abitato,<br />

esauritosi in età angioina.<br />

Se ne ricava l’immagine di un centro fiorente, che neppure la fine della dominazione<br />

<strong>bizantina</strong> sulla regione, segnata dalla conquista di Bari nel 1071 ad opera di Roberto il<br />

Guiscardo, ha potuto incrinare. Nonostante la distruzione del 1083 dovuta allo stesso<br />

Guglielmo, infatti, il kastron di Canne non decade ed anzi in breve tempo, anche in forza<br />

della sua posizione chiave nel sistema viario della <strong>Puglia</strong> centrale, riacquista l’antica<br />

prosperità. Se l’organizzazione amministrativa cambia alla luce della mutata situazione<br />

politica, l’agricoltura, principale risorsa economica degli abitanti e garanzia del loro<br />

benessere, unitamente alle attività artigianali ed a quelle commerciali a largo raggio, è<br />

gestita anche in età normanna soprattutto dal vescovo e da alcuni monasteri benedettini 3 .<br />

Solo la decisione di Federico II di promuovere a centro amministrativo e diocesano la vicina<br />

Barletta causerà il declino irreversibile di Canne, abbandonata alla fine del XIII secolo.<br />

Spia della continuità nel tempo del buon livello di vita degli abitanti e di un notevole<br />

dinamismo, sia economico sia culturale, sono anche i manufatti in osso che si presentano<br />

brevemente in questa sede, databili dall’epoca <strong>bizantina</strong> a quella <strong>normanno</strong>-<strong>sveva</strong> 4 .<br />

Recuperati per lo più occasionalmente, e perciò decontestualizzati, la varietà di funzioni e di<br />

livello qualitativo li rende comunque meritevoli di attenzione. La maggior parte di essi è<br />

esposta attualmente nelle vetrine dell’Antiquarium di Canne.<br />

_____________<br />

Il solo pezzo artistico presente tra i materiali che qui si esaminano è l’impugnatura<br />

d’avorio pubblicata nel 1994 da Luisa Derosa e presa in esame più di recente da chi scrive 5 ,<br />

datata al secondo quarto del XII secolo (figg. 1-3). Il manufatto, proveniente da<br />

un’abitazione situata davanti all’area delle basiliche, doveva essere connesso ad un arredo<br />

mobile in materiale diverso mediante i perni inseriti nei cinque fori che, in gruppi da due e<br />

1 Si veda, da ultimo, la sintesi proposta in Iorio 2006.<br />

2 Cfr. Postrioti 2001.<br />

3 I dati archeologici suggeriscono che grano ed olio, allora come oggi, fossero i prodotti principali di tale attività:<br />

ibidem, p. 139.<br />

4 Anche l’esame preliminare del vasellame vitreo coevo proveniente dagli scavi offre indicazioni in tal senso: Corrado<br />

c.d.s.<br />

5 Corrente-Corrado 2010.


da tre, si aprono <strong>nella</strong> parte inferiore, leggermente lacunosa, realizzati mediante un trapano<br />

ad archetto (fig. 4). Raffigura la testa di un drago che tiene stretto tra le fauci, afferrandolo<br />

saldamente per la vita, un giovane uomo in veste corta i cui arti fuoriescono dalle zanne del<br />

sauro. Quelli superiori sono spezzati in prossimità dei gomiti e quelli inferiori, più protetti<br />

perché premuti contro il collo della bestia nello sforzo che l’uomo compie per divincolarsi,<br />

mancano solo della punta del piede destro. Dalla parte opposta, un’altra testa maschile, con<br />

baffi e barba, si stacca dalla fascia dorsale del collo del mostro. Evidenti tracce di usura<br />

provano che essa era soggetta a sfregamento perché rivolta in alto e posta, si suppone, al<br />

limite esterno della metà orizzontale del bracciolo da rivestire, mentre il resto dell’oggetto si<br />

sviluppava in senso verticale contro l’asse (ligneo?) perpendicolare al primo. Affinità<br />

stilistiche ed iconografiche, legate soprattutto all’immagine dell’uomo che tenta di sottrarsi<br />

alla morsa del peccato, sono state rintracciate dalla Derosa negli avori di scuola anglonormanna<br />

e d in alcuni manufatti coevi in bronzo. La testa isolata è stata invece accostata a<br />

certi capitelli proto-romanici pugliesi diffusi<br />

soprattutto nel Barese e nel Brindisino 6 .<br />

Fig. 1<br />

Fig. 2<br />

Fig. 4<br />

Fig. 3<br />

6 Derosa 1994.


Passando ad oggetti d’uso e qualità più corrente, un coperchio di forma rettangolare (fig. 5),<br />

stretto e allungato, ricavato da un unico segmento d’osso, è relativo ad un astuccio (perduto)<br />

di forma analoga. Coperto da una decorazione incisa fitta ma abbastanza disorganica, che<br />

sulla faccia superiore associa tre file di ‘occhi di dado’ ad un cerchio in parte campito da<br />

triangoli e collocato in posizione alquanto decentrata, mentre sulle fasce laterali disegna<br />

soprattutto serie di triangoli (vuoti o campiti da linee oblique), ha superfici interne non<br />

rifinite. Quelle esterne, al contrario, sono levigate e polite perfettamente 7 . Due piccoli fori<br />

aperti presso le estremità fanno supporre che il coperchio fosse arricchito da piccole borchie<br />

in materiale diverso, forse metallico.<br />

Fig. 5<br />

Fig. 6<br />

Una sottile placca d’osso di forma rettangolare (fig. 6) doveva senz’altro rivestire un<br />

manufatto in materiale diverso, probabilmente legno. Farebbero pensare ad un cofanetto, e<br />

di nuovo al suo coperchio, oltre alle dimensioni ridotte della lamina (cm 10 x 2 circa), i<br />

margini sfrangiati dei due lati brevi, dovuti forse alla prevista parziale sovrapposizione delle<br />

fasce perimetrali a quelle interne, perciò non rifinite a dovere. Indicativa della funzione<br />

svolta è pure la presenza, alle due estremità, di un minuto ribattino in ferro necessario al<br />

fissaggio, mentre il retro lasciato grezzo non presenta i solchi o il tratteggio utili a garantire<br />

l’adesione tramite colla necessaria quando le lastre usate per l’impiallacciatura hanno<br />

dimensioni maggiori. La faccia anteriore della placca in esame è ben lisciata e lucidata,<br />

7 Sui metodi di politura vd. Mac Gregor, p. 58.


arricchita inoltre da una bella decorazione incisa che consiste in una lunga e sinuosa catena<br />

di ‘occhi di dado’ molto ravvicinati le cui volute abbracciano tre cerchi concentrici con<br />

punto centrale, incisi, posti a ciascuna estremità ed al centro. Se il decoro a cerchi<br />

concentrici di taglia variabile ricorre spesso nell’artigianato artistico bizantino, e soprattutto<br />

copto 8 , le tracce esigue di pigmento nero rimaste all’interno di alcune incisioni richiamano<br />

piuttosto certi avori incisi siculo-arabi e tedesco-renani loro affini datati ad età <strong>normanno</strong><strong>sveva</strong><br />

9 .<br />

Fig. 8<br />

Fig. 7<br />

Una placchetta d’osso conformata a pianta di piede umano o suola di calzatura (fig. 7) è<br />

lisciata su entrambe le facce ma in modo così poco accurato da far presumere che una, più<br />

grezza, non fosse a vista, e sull’altra fosse applicato un rivestimento. Confermano<br />

quest’impressione le lievi tracce superstiti di doratura 10 . Trovata nel 1959 all’interno<br />

dell’abitato, la sua destinazione rimane incerta.<br />

Aveva funzione d’immanicatura il cilindro (fig. 8) ricavato dalla diafisi di un osso lungo di<br />

diametro e spessore ridotti. Questo è decorato ad intaglio con tre fasce disposte a distanze<br />

regolari e campite a reticolo (due) o mediante semplici linee oblique (una), delimitate da<br />

coppie di filettature. Presso un’estremità che, in quanto prossima all’epifisi, si allarga<br />

appena ed ha un profilo solo leggermente convesso, si apre il piccolo foro circolare<br />

realizzato in funzione dell’inserimento del ribattino per il fissaggio sul manico sottile, forse<br />

in legno.<br />

Rivestiva forse anch’esso un manufatto, ma di più difficile identificazione, un breve cilindro<br />

d’avorio (figg. 9-10) ridotto, nel terzo mediano, a due strette fasce attraversate centralmente<br />

da un minuscolo foro trasversale. Le estremità, invece, private volutamente l’una della<br />

faccia anteriore e l’altra di quella posteriore, si differenziano anche per il profilo esterno<br />

sub-rettangolare della prima e convesso della seconda; il profilo interno è sempre<br />

trapezoidale ma con uno sviluppo non perfettamente uniforme. Tutte le superfici a vista, ben<br />

8 Si veda, ad esempio, Török 1993, tavv. XCVII-CI.<br />

9 Cfr. Grasso 1994, con bibliografia precedente.<br />

10 Sulle tecniche di applicazione della doratura all’osso e all’avorio cfr. Lapatin 2001, pp. 19-20.


polite, sono decorate con minuscoli ‘occhi di dado’. Più suggestiva ma dubbia, fondata su<br />

certe affinità morfologiche con un reperto da livelli di XIII-XV secolo degli scavi di Otranto<br />

(LE), è l’ipotesi che il piccolo cilindro appartenesse ad una chiave per l’accordatura di<br />

strumenti musicali 11 .<br />

Figg. 9-10<br />

Un anello, poi, anch’esso d’avorio (fig. 11), che consiste in una fascia scandita all’esterno<br />

da 5 listelli rilevati prodotti da profonde incisioni parallele, dotato com’è di una quinta linea<br />

incisa corrente nello spessore del cerchio ma su un lato soltanto, rivela una destinazione non<br />

digitale e fa supporre che si abbia a che fare con elemento di raccordo, relativo però ad un<br />

manufatto d’identità incerta.<br />

Tra gli strumenti merita un rapido accenno quello che potrebbe essere uno stilo scrittorio<br />

(fig. 12) di età classica o più probabilmente medievale 12 , oppure un punteruolo per la<br />

foratura delle pelli, dotato di un’estremità appuntita e di un’altra tondeggiante decorata ad<br />

intaglio da un motivo a ‘spina di pesce’ reso in modo piuttosto corsivo. Le fessurazioni<br />

sembrano suggerire che l’oggetto fu ottenuto da avorio di elefante 13 e l’usura del terzo<br />

inferiore lo dice adoperato per lungo tempo. Poiché essa non sembra intaccare la punta <strong>nella</strong><br />

stessa misura, la prima ipotesi interpretativa è preferibile alla seconda.<br />

Fig. 11<br />

Fig. 12<br />

11 Hicks, Hicks 1992, p. 313, fig. 10:15, n. 196.<br />

12 Cfr. Davidson 1952, nn. 1371, 1376 (Corinto, IX-XI/XII sec.); Hicks, Hicks 1992, p. 311, fig. 10:15, n. 185 (Otranto,<br />

IX – tardo XI sec.).<br />

13 Cfr. Krzyszkowska 1990, p. 34.


Quattro fusaiole coniche ricavate da osso di corno, cioè pesi utili a stabilizzare il movimento<br />

rotatorio impresso al fuso allo scopo di torcere le fibre, rendono testimonianza dello<br />

svolgimento di operazioni di filatura e indirettamente della diffusione dell’allevamento degli<br />

ovini, importante risorsa economica per questa parte della regione fin da tempi remoti 14 .<br />

Fig. 13a Fig. 13b Fig. 14<br />

Tutte provengono dalla cittadella medievale ma i dati circa il contesto di rinvenimento sono<br />

purtroppo vaghi o nulli. Solo in un caso essi autorizzano a prendere in considerazione la<br />

possibilità che l’oggetto sia stato trovato all’interno di una sepoltura, dove spesso in età<br />

alto-medievale simili manufatti erano associati come corredo di accompagno ai fusi e/o ai<br />

pettini metallici per la cardatura della lana e ai coltelli 15 . La cronologia dei reperti in esame<br />

è perciò dubbia ma il profilo conico unito alle notevoli dimensioni 16 , queste ultime legate al<br />

tipo di fibra da filare ed al desiderio di accrescerne regolarità e resistenza, potrebbero<br />

orientare verso il pieno o addirittura il basso Medioevo.<br />

Fig. 15a<br />

Fig. 15b<br />

Fig. 16<br />

Quanto alla decorazione, in due casi (figg. 13a-b - 14), tre se si aggiunge quello dell’unico<br />

esemplare eseguito interamente al tornio (fig. 15a-b), essa interessa sia la superficie del<br />

14 Il gran numero di pesi da telaio in terracotta rinvenuti nelle stratigrafie basso-medievali della cittadella testimonia a<br />

sua volta con quanta intensità fosse praticata la tessitura: cfr. Postrioti 2001, p. 139.<br />

15 Cfr. Cunja 1996, p. 87, con relativa bibliografia.<br />

16 L’altezza varia da cm 2 a cm 3,3; il diametro massimo da cm 3,9 a cm 5; il diametro del foro circolare passante da cm<br />

0,8 a cm 1,2. Per forma e dimensioni, appunto, le fusaiole in esame possono essere confrontate con quella trovata a<br />

Bovino (FG), in località Casale, pubblicata come pertinente ad età protostorica benché fuori contesto: Bovino, p. 278, n.<br />

420.


corpo sia la base maggiore di ciascuna fusaiola, mentre nel quarto si estende solo sulla<br />

faccia superiore e disegna una croce con bracci ad estremità svasate (fig. 16), motivo ben<br />

attestato in età alto-medievale ad esempio nei Balcani 17 . L’intaglio è sempre ottenuto a<br />

bulino quando si vogliono realizzare linee profonde, isolate o incrociate fra loro; le più esili<br />

sono invece graffite con un coltello a mano libera. Si adoperano compassi con apertura fissa<br />

o c.d. centre-bits, poi, per disegnare cerchi concentrici, compresi i minuscoli ‘occhi di<br />

dado’ 18 .<br />

Fig. 17 Fig. 18 Fig. 19 Fig. 20<br />

Cinque dischi a sezione piano-convessa con foro centrale passante, uno d’avorio (fig. 17) e<br />

quattro in osso (figg. 18-21), che si distinguono da analoghe fusaiole solo per le dimensioni<br />

ridotte, trovano puntuale riscontro nei bottoni dei vecchi scavi di Corinto datati tra il X e, al<br />

più tardi, il XII secolo. Lo stesso vale per un sesto bottone di forma, invece, biconica 19 , di<br />

un colore rosa molto intenso (fig. 22). Tutti questi oggetti sono stati <strong>lavorati</strong> al tornio, forati<br />

con il trapano ad archetto e decorati con cerchi concentrici incisi cui si aggiungono ‘occhi di<br />

dado’ o semplici tacche oblique in prossimità del margine inferiore (e in tal caso il colore<br />

rosa pallido delle superfici sopperisce alla sobrietà dell’ornato 20 ), quindi levigati<br />

perfettamente sulla faccia a vista e lucidati.<br />

Fig. 21 Fig. 22<br />

17 Cfr. Cunja 1996, p. 88, con relativa bibliografia.<br />

18 Cfr. Bianchi 2007, pp. 365-366, con relativa bibliografia.<br />

19 I primi hanno un diametro che va da cm 2,4 a cm 2,6 ed un’altezza compresa tra cm 0,6 e 0,7, con foro circolare<br />

passante ampio da cm da 0,4 a 0,6; il quinto misura cm 2,6 x 2. Cfr. Davidson 1952, pp. 300, tav. 123, n. 2541; 301; nn.<br />

2550 ss; 302, tav. 124, nn. 2584-2586.<br />

20 Sul tema dell’applicazione del colore sui manufatti in avorio e osso, si veda Connor 1998.


Restando in tema di elementi accessori dell’abbigliamento, in osso è anche una piccola<br />

fibbia (fig. 23) di tradizione <strong>bizantina</strong> a placca fissa traforata, con largo anello ovale oggi<br />

privo dell’ardiglione, connessa in origine ad una cintura in cuoio di larghezza e spessore<br />

esigui. Già attribuita al X secolo, discende senz’altro da certe fibbie metalliche per cintura<br />

multipla risalenti al VII 21 , talvolta imitate in osso o avorio così come le relative placchette 22 .<br />

Fig. 23<br />

2012. Margherita Corrado<br />

21 Cfr. Ricci, Luccerini 2001, p. 377.<br />

22 Cfr. Török 1993, pp. 65-66, tavv. XCVIII-XCIX, Q3-Q4, Q9.


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