Il pensiero di Antonio Rosmini sulla famiglia - Centro Internazionale ...
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<strong>Il</strong> <strong>pensiero</strong> <strong>di</strong> <strong>Antonio</strong> <strong>Rosmini</strong> <strong>sulla</strong> <strong>famiglia</strong><br />
Mons. Clemente Riva, preparando nel 1979 la prefazione per il libro <strong>di</strong> ANTONIO AUTIERO,<br />
Amore e coniugalità (Marietti 1980), così scriveva:<br />
«La <strong>famiglia</strong> è nell’occhio del ciclone della crisi <strong>di</strong> valori nel nostro tempo. Si sono fatti e si faranno<br />
ancora convegni sulle cause, <strong>sulla</strong> situazione e su possibili rime<strong>di</strong> ai mali della <strong>famiglia</strong> <strong>di</strong><br />
oggi. Generalmente in questi incontri <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o si de<strong>di</strong>ca il massimo del tempo e dell’impegno alla<br />
sociologia e alla psicologia della <strong>famiglia</strong>, preoccupati delle conseguenze esteriori ed eclatanti che<br />
l’opinione pubblica e i mass-me<strong>di</strong>a pongono in risalto. E ci si accorge che gli strumenti sociali e<br />
perfino legislativi sono insufficienti <strong>di</strong> fronte alla vorticosa e rapida trasformazione sociale, e alla<br />
rivoluzione culturale del mondo contemporaneo, che arriva al limite della negazione dell’istituto<br />
familiare attribuendogli la responsabilità <strong>di</strong> tanti altri mali sociali.<br />
Se de<strong>di</strong>cassimo invece un po’ più <strong>di</strong> tempo alla riflessione sull’uomo, <strong>sulla</strong> natura della socialità intrinseca<br />
alla natura umana; se de<strong>di</strong>cassimo un po’ più <strong>di</strong> tempo alla riflessione <strong>sulla</strong> natura della società<br />
coniugale e della <strong>famiglia</strong>; ossia, se avessimo meno pudore o meno timore <strong>di</strong> affrontare una<br />
filosofia dell’uomo e della <strong>famiglia</strong>, arrivando anche al coraggio <strong>di</strong> una teologia dell’uomo e della<br />
<strong>famiglia</strong>, forse porremmo dei pilastri soli<strong>di</strong> su caci poi costruire un’ascetica e un’eventuale politica<br />
della <strong>famiglia</strong>.<br />
Un’autentica filosofia e teologia della <strong>famiglia</strong> probabilmente ci farebbero consapevoli che le trasformazioni<br />
e le rivoluzioni culturali intorno alla natura e all’esistenza della realtà familiare, non sarebbero<br />
altro che un cambiamento <strong>di</strong> modelli sociologici <strong>di</strong> <strong>famiglia</strong>, e non un ra<strong>di</strong>cale mutamento<br />
dei valori, che latenti o manifesti, continuano o continueranno a vivere nonostante i tempi nuovi e la<br />
<strong>di</strong>versità delle culture».<br />
La tre<strong>di</strong>cesima “Cattedra <strong>Rosmini</strong>” <strong>di</strong> Stresa, nell’agosto 1980, fu de<strong>di</strong>cata proprio alla <strong>famiglia</strong><br />
con il titolo: “La società domestica. Matrimonio e <strong>famiglia</strong> nel <strong>pensiero</strong> <strong>di</strong> <strong>Antonio</strong> <strong>Rosmini</strong>”. Nella<br />
relazione d’apertura, sempre mons. Riva, metteva in evidenza come già in quegli anni ottanta fossero<br />
molti i convegni, gli stu<strong>di</strong> e i <strong>di</strong>battiti <strong>sulla</strong> <strong>famiglia</strong>. I criteri <strong>di</strong> analisi erano vari e complessi: bisognava<br />
tener conto <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi ambiti, quello economico, quello legislativo, quello culturale, quello<br />
religioso, a cui bisognava aggiungere la stretta interrelazione <strong>di</strong> questi ambiti tra <strong>di</strong> loro. Inoltre non<br />
si poteva esulare dal contesto in cui la <strong>famiglia</strong> nasce, cresce e si sviluppa: vi è un contesto privato e<br />
un contesto pubblico; ma vi è anche un altro contesto quello sociale, che troppo spesso viene ridotto<br />
a quello pubblico, quando invece vi è un sociale pubblico e un sociale privato.<br />
Quin<strong>di</strong> mons. Riva sottolineava come «per lo più si affrontano i problemi sociologici, psicologici<br />
e politici della <strong>famiglia</strong>. Sembra quasi che vi sia un certo pudore, se non ad<strong>di</strong>rittura un certo timore,<br />
ad affrontare ra<strong>di</strong>calmente la natura e l’essere della <strong>famiglia</strong>, ossia a fare della filosofia,<br />
dell’antropologia e della teologia della <strong>famiglia</strong>. Forse si potrebbero scoprire tra tutte le trasformazioni<br />
profonde e nelle pieghe del <strong>di</strong>venire storico, pilastri fondamentali per una politica ed una legislazione<br />
familiare sia al servizio delle persone che delle famiglie. Si scoprirebbe ancora che mutano<br />
i costumi, gli usi, i comportamenti, le situazioni, le con<strong>di</strong>zioni, anche profondamente, ma non la natura<br />
la sostanza della <strong>famiglia</strong>» 1<br />
Sono osservazioni che a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> poco più <strong>di</strong> trent’anni non hanno perso la loro attualità. Oggi<br />
più che mai, per usare un’espressione <strong>di</strong> Benedetto XVI a proposito dell'educazione, ci troviamo <strong>di</strong><br />
fronte ad una “emergenza familiare”, ossia al pressante bisogno <strong>di</strong> far emergere e riscoprire i veri e<br />
fondamenti valori della <strong>famiglia</strong>; .ancora una volta il beato <strong>Rosmini</strong> con le sue riflessioni e le sue<br />
opere può aiutarci in questo impegnativo compito.<br />
1. AA. VV:, La società domestica. Matrimonio e <strong>famiglia</strong> nel <strong>pensiero</strong> <strong>di</strong> <strong>Antonio</strong> <strong>Rosmini</strong>, Roma, Città Nuova E<strong>di</strong>trice, 1982, p.<br />
12-13.<br />
1
Dalla persona alla società, dalla società alla <strong>famiglia</strong><br />
Nel 1835 <strong>Rosmini</strong> parroco spiegava nelle catechesi ai suoi parrocchiani che l’uomo è «fornito<br />
della capacità veramente mirabile <strong>di</strong> congiungersi ad altri esseri, e non solo a quel modo che si legano<br />
e accoppiano insieme le creature insensitive, o anche meramente sensitive; ma in una maniera<br />
più vera, più intima, per la quale l’uomo quasi si mescola agli altri esseri, e li tramuta per così <strong>di</strong>re<br />
in se stesso, nella propria sostanza, cavandone da tal congiunzione piacere, o dolore». L’uomo lasciato<br />
solo, isolato dagli altri esseri è poverissimo ed inevitabilmente infelice: «Immaginate <strong>di</strong> poterlo<br />
isolare dalla società <strong>di</strong> tutti gli altri uomini, rimarrebbe ancora uomo intero, con tutto se stesso,<br />
ma quanto infelice! senza genitori, senza sposa, senza figli, senza amici, senza soccorso, senza conversazione,<br />
senza linguaggio, senza sviluppo intellettuale e morale!». Questo «desiderio interiore»,<br />
questo «bisogno infinito» <strong>di</strong> congiungersi <strong>di</strong> congiungersi con altri esseri, che non potrà mai essere<br />
interamente appagato in questo mondo, è «la madre <strong>di</strong> tutte le altre tendenze e passioni umane»;<br />
soltanto se in<strong>di</strong>rizzato verso il suo fine ultimo, la congiunzione con Dio, bene infinito, potrà ricevere<br />
il suo appagamento definitivo. Tutte le altre unioni sono vie, sempre migliori e sempre maggiori,<br />
per giungere al pieno appagamento; «il matrimonio stesso da dove viene, dove ha il suo fondamento<br />
se non in questa medesima tendenza che ha l’uomo <strong>di</strong> congiungersi ad un aiuto a sé simile, che lo<br />
provveda <strong>di</strong> figli e lo aiuti in tutte le molteplici necessità e bisogni della vita?» 2 .<br />
Ma è soprattutto nella Filosofia del <strong>di</strong>ritto che stu<strong>di</strong>a e sviluppa i principi che costituiscono la<br />
<strong>famiglia</strong>.<br />
Due sono i mo<strong>di</strong> con cui l’uomo unisce a sé ciò che esiste: «L’unificazione che fa l’uomo con se<br />
stesso delle cose produce il fatto singolare della proprietà, mentre l'unificazione delle persone produce<br />
il fatto, altrettanto singolare, della società, soprattutto della società coniugale. Perché il matrimonio<br />
è l’unificazione non già <strong>di</strong> cose, ma <strong>di</strong> nature e <strong>di</strong> persone umane» 3 .<br />
La comunione che l’uomo desidera stringere con altre persone è chiamato da <strong>Rosmini</strong> vincolo<br />
sociale 4 ed ha quattro caratteristiche: 1. la cooperazione delle volontà <strong>di</strong> più persone per uno stesso<br />
fine, 2. la consapevolezza <strong>di</strong> questa cooperazione, 3. la volontà <strong>di</strong> cooperare e 4. la con<strong>di</strong>visione in<br />
comune nel cooperare 5 . Da questo vincolo nasce la società.<br />
<strong>Rosmini</strong> quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>stingue tre tipi <strong>di</strong> società necessarie ed in<strong>di</strong>spensabili:<br />
1. La società teocratica, che è «la società che gli uomini formano con Dio» 6 ; la quale si sviluppa<br />
in quattro gra<strong>di</strong>, primo: la società naturale degli uomini con Dio, secondo: quando Dio rivela se<br />
stesso agli uomini, terzo: quando oltre a rivelarsi Dio dona la grazia agli uomini, quarto e ultimo<br />
grado perfetto: quando il figlio <strong>di</strong> Dio s’incarna e incorpora a sé gli uomini nella Chiesa 7 .<br />
2. La società domestica, che è la <strong>famiglia</strong> in quanto unione <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui umani; essa si <strong>di</strong>stingue<br />
2. A. ROSMINI, Catechesi parrocchiali, E<strong>di</strong>zioni <strong>Rosmini</strong>ane, Stresa, 2012, p. 83-84.<br />
3. A. ROSMINI, Filosofia del <strong>di</strong>ritto, Diritto sociale, libro III: <strong>di</strong>ritto sociale speciale, n. 986.<br />
4. A. ROSMINI, La società e il suo fine, cap. I, in Filosofia della politica a cura <strong>di</strong> M. D’Ad<strong>di</strong>o, Roma, Città Nuova E<strong>di</strong>trice, 1997,<br />
p, 130: «L’uomo vincola ed unisce a sé anche le persone, e se stesso ad esse; ma questa congiunzione propria delle persone, è<br />
interamente <strong>di</strong>versa da quella dell’uomo colle cose: l’uomo non considera le persone come quelle che gli possono dare vantaggio;<br />
nel qual caso non le <strong>di</strong>stinguerebbe dalle cose; ma come quelle in compagnia delle quali egli può godere dei vantaggi che<br />
gli prestano le cose: le persone così unite fra loro vengono ad avere una comunione <strong>di</strong> beni: tutte insieme sono un fine solo; le<br />
cose non sono che dei mezzi per quel fine che tutte le persone hanno in comune: questo è un vincolo <strong>di</strong> società».<br />
5. Cfr. A. ROSMINI, Filosofia del <strong>di</strong>ritto, Diritto sociale, libro I, capitolo I, n. 34-35, 38; ed anche:capitolo II, n. 49: «L’atto dunque<br />
che forma la società è un complesso <strong>di</strong> atti contemporanei e consenzienti della volontà <strong>di</strong> più persone, le quali pongono in<br />
comunione qualche cosa; questo complesso d’atti, la pluralità delle persone, la cosa che esse pongono in comune; ecco i soli<br />
elementi, le con<strong>di</strong>zioni essenziali della società. Non ottiene dunque giustamente questo nome, per riassumerci, né la coesistenza,<br />
né la convivenza, né l’unione <strong>di</strong> più uomini nello stato <strong>di</strong> natura, fra i quali cada il rapporto <strong>di</strong> doveri e <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti in<strong>di</strong>viduali<br />
anche se stipulano tra loro dei contratti; non è neppure un’aggregazione che abbia per scopo il solo bene d’un in<strong>di</strong>viduo, come<br />
quella <strong>di</strong> dominio e <strong>di</strong> sud<strong>di</strong>tanza; né lo stato <strong>di</strong> semplice contemplazione, o <strong>di</strong> amore, quando si trovi in una sola persona. La<br />
natura <strong>di</strong> tutte queste relazioni è grandemente <strong>di</strong>versa dalla natura della società .<br />
6. A. ROSMINI, Filosofia del <strong>di</strong>ritto, Diritto sociale speciale, libro II, n. 679.<br />
7. Cfr. A. ROSMINI, Filosofia del <strong>di</strong>ritto, Diritto sociale speciale, libro II, n. 681-703.<br />
2
in due tipi <strong>di</strong> relazioni «rispondenti alle relazioni <strong>di</strong> coniugi e <strong>di</strong> parenti: due società intrecciate insieme<br />
che formano quel corpo <strong>di</strong> persone conviventi che si chiama <strong>famiglia</strong> e sono la coniugale e<br />
parentale» 8 .<br />
3. La società civile, che è composta dall’unione <strong>di</strong> famiglie: «La società civile è un'unione <strong>di</strong> famiglie,<br />
o <strong>di</strong> padri <strong>di</strong> <strong>famiglia</strong>. Nello stato <strong>di</strong> natura, una <strong>famiglia</strong> è in<strong>di</strong>pendente dalle altre, ma possono<br />
sorgere dei contenziosi con altre famiglie per <strong>di</strong>ritti incerti, può ricevere dalle altre danno od<br />
anche aiuto e vantaggio. Allora la società civile si vien formando al fine <strong>di</strong> regolare queste vertenze;<br />
è una istituzione tendente a provvedere, che la convivenza <strong>di</strong> più famiglie sia pacifica, a nessuna<br />
pregiu<strong>di</strong>zievole, a tutte vantaggiosa» 9 .<br />
<strong>Il</strong> matrimonio origine della <strong>famiglia</strong>, società domestica<br />
Stabiliti i principi fondamentale con cui <strong>Rosmini</strong> fonda e ra<strong>di</strong>ca la <strong>famiglia</strong> possiamo ora entrare<br />
in modo specifico nell’argomento.<br />
La <strong>famiglia</strong> nasce dall’«unione perfetta secondo natura, fra due in<strong>di</strong>vidui umani <strong>di</strong> sesso <strong>di</strong>verso»,<br />
costruendo col vincolo del matrimonio la società coniugale. Due sono le sue caratteristiche: la<br />
<strong>di</strong>versità dei sessi e l’unità perfetta: unità <strong>di</strong> cose materiali, unità <strong>di</strong> persone, unità <strong>di</strong> fede religiosa.<br />
Unità <strong>di</strong> natura, ma <strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong> persone: «Di due nature i coniugi giungono a formarne una, ma<br />
<strong>di</strong> due persone non possono. Per cui quando Dio, definendo l’unione coniugale, <strong>di</strong>sse che i coniugi<br />
dovevano essere una sola carne, <strong>di</strong>sse ancora che in quella carne essi saranno due» 10 .<br />
Tra i vari aspetti del Matrimonio, certamente è determinante sapere chiaramente qual è il suo fine,<br />
perché è l’oggetto specifico, la prima caratteristica necessaria perche si realizzi il vincolo sociale<br />
coniugale. Questo è la più piena comunione possibile tra due in<strong>di</strong>vidui <strong>di</strong> sesso <strong>di</strong>verso: «appunto,<br />
quella unione che esclusivamente ha luogo fra persone umane <strong>di</strong> sesso <strong>di</strong>verso e che forma<br />
l’oggetto dell’amore e il fine della società coniugale che ne consegue» 11 .<br />
Più oltre affrontando l’altro aspetto della <strong>famiglia</strong>, quando da società coniugale <strong>di</strong>viene società<br />
parentale allorché marito e moglie <strong>di</strong>vengono padre e madre e la <strong>famiglia</strong> acquisisce la presenza <strong>di</strong><br />
figli, <strong>di</strong>ce: «<strong>Il</strong> matrimonio è cercato dagli in<strong>di</strong>vidui umani per due beni: 1° per il bene della stessa<br />
società coniugale, perché essa è un bene; 2° per il bene che giace nell’effetto naturale della società<br />
coniugale, la figliolanza» 12 .<br />
È la prima grande fondamentale affermazione che si <strong>di</strong>stacca da un sentire e pensare comune al<br />
suo tempo ed in parte ancora oggi. <strong>Il</strong> fine è unico ed è sempre il bene dei coniugi; caposaldo <strong>di</strong> questa<br />
affermazione è dal Roveretano in<strong>di</strong>viduato dalle parole che Dio esprime al momento della creazione<br />
dell’uomo: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda» 13 .<br />
Fino al Concilio Vaticano che ha voluto la riforma del Co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto canonico l'insegnamento<br />
della Chiesa, nella legislazione che co<strong>di</strong>ficava il matrimonio era rimasta la concezione <strong>di</strong> due fini:<br />
un fine primario, la procreazione, ed un fine secondario: il mutuo aiuto tra i coniugi e ciò che chiamava<br />
«reme<strong>di</strong>um concupiscentiae», ossia una certa regolazione della sessualità 14 . Con il Concilio,<br />
8. Cfr. A. ROSMINI, Filosofia del <strong>di</strong>ritto, Diritto sociale speciale, libro II, n. 981.<br />
9. Cfr. A. ROSMINI, Filosofia del <strong>di</strong>ritto, Diritto sociale speciale, libro IV, n. 1584.<br />
10. A. ROSMINI, Filosofia del <strong>di</strong>ritto, Diritto sociale speciale, libro III, n. 1065. <strong>Il</strong> testo biblico richiamato è Gen 2,24: «… i due<br />
saranno un’unica carne».<br />
11. A. ROSMINI, Filosofia del <strong>di</strong>ritto, Diritto sociale speciale, libro II, n. 995.<br />
12. A. ROSMINI, Filosofia del <strong>di</strong>ritto, Diritto sociale speciale, libro II, n. 1378.<br />
13. Gen 2,18. Cfr. A. ROSMINI, Filosofia del <strong>di</strong>ritto, Diritto sociale speciale, libro II, n. 1380.<br />
14. Co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto canonico del 1917, canone 1013, § 1: «Matrimonii finis primarius est procreatio atque educatio prolis; secundarius<br />
mutuum a<strong>di</strong>utorium et reme<strong>di</strong>um concupiscentiae»<br />
3
nella Costituzione pastorale Gau<strong>di</strong>um et spes, si è fatto qualche passo avanti 15 : i fini rimangono<br />
sempre due, ma posti pariteticamente sullo stesso piano: il patto matrimoniale per sua natura è or<strong>di</strong>nato<br />
al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole 16 .<br />
<strong>Rosmini</strong>, molto attento ad in<strong>di</strong>viduare anche nel matrimonio l’unità del fine, vede la procreazione<br />
come uno dei beni inglobato nell’unico fine-bene. Osserva che la frantumazione è dovuta agli effetti<br />
del peccato, che ha causato l’ungo l’arco della storia dell'umanità il prevalere ora dell’uno, ora<br />
dell’altro fine.<br />
Due principalmente sono le conseguenze <strong>di</strong> tale frantumazione. La prima e la svalutazione della<br />
<strong>di</strong>gnità della società coniugale che scade a livello <strong>di</strong> mezzo per la procreazione. È ad<strong>di</strong>rittura un atto<br />
immorale perche riduce le persone, che devono essere sempre trattate come fine, al rango <strong>di</strong> mezzi:<br />
«La persona, in tal caso, fa ingiuria alla persona con cui s accoppia, perché l’adopera come puro<br />
mezzo per i suoi fini, sia ch’egli cerchi in tale congiungimento il solo piacere sessuale, sia ancora<br />
che vi cerchi dei figli. Tutto questo è contro la natura del congiungimento, che, come vedemmo, è<br />
un congiungimento vitale, e operato dall’anima, la quale nell’uomo non è solamente sensitiva, ma<br />
ad un tempo sensitiva ed intellettiva. Non può l’anima essere adoperata quale mero istrumento e<br />
mezzo per un uomo, senza che sia avvilita la sua <strong>di</strong>gnità, e gli sia fatta gravissima ingiuria. Da qui il<br />
ribrezzo, <strong>di</strong> cui il buon senso <strong>di</strong> tutti i tempi e <strong>di</strong> tutti i luoghi ricopre la prostituta. Non può dunque<br />
l’in<strong>di</strong>viduo <strong>di</strong> un sesso usare l’in<strong>di</strong>viduo dell’altro, se non a con<strong>di</strong>zione d’amarlo come fine, che è<br />
quanto <strong>di</strong>re, come un sé stesso, e quin<strong>di</strong> d’aver con esso quell’unione piena, a cui la lingua <strong>di</strong> tutti i<br />
popoli ha riservato un nome proprio, ricco <strong>di</strong> decoro: quello <strong>di</strong> matrimonio» 17 .<br />
La seconda conseguenza è che il porre come fine del matrimonio la procreazione non esclude affatto<br />
né la poligamia, né la poliandria. Quando invece il bene dei coniugi «è il primo e completo fine<br />
del matrimonio che lo sottomette a quelle nobili leggi che escludono da esso tutti questi <strong>di</strong>fetti e<br />
gli aggiungono la sua naturale perfezione» 18 .<br />
Riassumendo possiamo <strong>di</strong>re che il fine del matrimonio è unico: il bene dei coniugi; se veramente<br />
si desidera il bene del coniuge, lo si desidera tutto, lo si desidera il più esteso possibile, lo si<br />
desidera nella maniera più duratura possibile. È un profondo desiderio <strong>di</strong> totalità ed eternità <strong>di</strong> questo<br />
bene-amore. Ma come l’uomo può realizzare questo desiderio? Facendo <strong>di</strong>ventare questo amore<br />
vita. I figli <strong>di</strong>ventano l’espressione concreta è vivente dell’intensità dell’amore scambievole <strong>di</strong> due<br />
coniugi. Per cui la procreazione <strong>di</strong>viene l'effetto del fine del matrimonio: il bene dei coniugi;<br />
l’amore è il fine, i figli sono il frutto generato dal fine 19 .<br />
Ma i figli non sono bambole, o cose; sono persone. E la persona umana non può mai essere ridotta<br />
a strumento (in questo caso uno strumento per realizzare il fine). La persona umana è per sua natura<br />
un bene, il bene più alto <strong>di</strong> tutto il creato.<br />
15. CONCILIO VATICANO II, Cost. Gau<strong>di</strong>um et spes, n. 50: «<strong>Il</strong> matrimonio e l’amore coniugale sono or<strong>di</strong>nati per loro natura alla<br />
procreazione ed educazione della prole. I figli infatti sono il dono più eccellente del matrimonio e contribuiscono grandemente<br />
al bene dei genitori stessi. Dio che <strong>di</strong>sse: “ non è bene che l’uomo sia solo” (Gn 2,18) e che “creò all’inizio l’uomo maschio e<br />
femmina “ (Mt 19,4), volendo comunicare all’uomo una speciale partecipazione nella sua opera creatrice, bene<strong>di</strong>sse l’uomo e<br />
la donna, <strong>di</strong>cendo loro: “crescete e moltiplicatevi” (Gn 1,28). Di conseguenza un amore coniugale vero e ben compreso e tutta<br />
la struttura familiare che ne nasce tendono, senza trascurare gli altri fini del matrimonio, a rendere i coniugi <strong>di</strong>sponibili a cooperare<br />
coraggiosamente con l’amore del Creatore e del Salvatore che attraverso <strong>di</strong> loro continuamente <strong>di</strong>lata e arricchisce la sua<br />
<strong>famiglia</strong>».<br />
16. Co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto canonico del 1983, canone 1055, §1: «<strong>Il</strong> patto matrimoniale con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la<br />
comunità <strong>di</strong> tutta la vita, per sua natura or<strong>di</strong>nata al bene dei coniugi e alla procreazione e educazione della prole, tra i battezzati<br />
è stato elevato da Cristo Signore alla <strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> sacramento».<br />
17. A. ROSMINI, Filosofia del <strong>di</strong>ritto, Diritto sociale speciale, libro III, n. 1084.<br />
18. A. ROSMINI, Filosofia del <strong>di</strong>ritto, Diritto sociale speciale, libro III, n. 1383.<br />
19. «La società coniugale germina nel proprio seno un’altra società, la parentale. I figli esistono quale conseguenza della piena<br />
unione attuale dei genitori <strong>di</strong> cui sono in un certo senso frutto e sviluppo; con i figli la società domestica si trova accresciuta <strong>di</strong><br />
persone, e composta <strong>di</strong> due società meravigliosamente intrecciate fra loro: quella dei coniugi, e quella dei coniugi con i figli<br />
che prende il nome <strong>di</strong> parentale». A. ROSMINI, Filosofia del <strong>di</strong>ritto, Diritto sociale speciale, libro III, n. 1444.<br />
4
Quin<strong>di</strong> è un effetto speciale che ha valore <strong>di</strong> fine. I figli <strong>di</strong>vengono l’incarnazione del fine del<br />
matrimonio, l’espressione vivente dell’amore-bene dei coniugi. <strong>Il</strong> che non significa «fare una squadra<br />
<strong>di</strong> calcio», ma «paternità e maternità responsabile». Se i figli sono l’effetto del bene dei coniugi,<br />
vanno curati e cresciuti in modo da essere l’espressione più vera e più totale <strong>di</strong> questo bene. <strong>Il</strong> numero<br />
<strong>di</strong> figli è subor<strong>di</strong>nato alla possibilità <strong>di</strong> realizzare nella maniera migliore possibile questo bene<br />
del matrimonio 20 .<br />
Da <strong>famiglia</strong> a <strong>famiglia</strong> cristiana<br />
<strong>Il</strong> matrimonio esprime decisamente il vertice della comunione umana, esso realizza il livello<br />
più alto dell’amore perché nell’unione dell’uomo e della donna realizza tutte le unioni umane possibili:<br />
materiale, affettiva, fisica, intellettiva, spirituale, fino al dono incon<strong>di</strong>zionato <strong>di</strong> sé e alla scelta<br />
<strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre con un’altra creatura il proprio fine. È prima <strong>di</strong> tutto fatto naturale, non perciò qualche<br />
cosa proveniente dal <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> lui. Le antiche religioni e la cultura classica vi vedevano invece<br />
qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>vino e <strong>di</strong> sacro perché non riuscivano a spiegarsi il mistero dell’origine della vita che<br />
ritenevano appartenente solo agli dei. Fu la rivelazione ebraico-cristiana a desacralizzare il matrimonio<br />
riportandolo nella categoria delle normali azioni umane.<br />
Per conseguenza le sue caratteristiche <strong>di</strong> unicità, totalità, in<strong>di</strong>ssolubilità non sono un'aggiunta del<br />
credo religioso, ma appartengono <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto alla sua natura umana 21 .<br />
Nel contrarre matrimonio <strong>di</strong> è il desiderio <strong>di</strong> volere il bene, tutto il bene possibile del coniuge<br />
scelto. Se veramente si desidera il suo bene non è possibile riservare nessuna porzione <strong>di</strong> amore coniugale<br />
per altri fini o per altre persone. <strong>Il</strong> coniuge <strong>di</strong>venta il proprio tutto su cui riversare ogni bene<br />
e col quale realizzare tutto il bene possibile. Se è vero, non può non desiderare la stabilità, perché<br />
solo l’ipotesi che prima o poi debba terminare, significa limitarlo: significa non volere tutto il bene<br />
ma solo una parte; per quanto grande sia rimane solo una parte e non la totalità. Da questa considerazione<br />
deriva quel concetto che si chiama in<strong>di</strong>ssolubilità: se è amore vero, desidera un legame che<br />
non abbia mai termine. Perciò l’in<strong>di</strong>ssolubilità non è un’aggiunta cristiana, ma è qualcosa che fa<br />
parte naturale dell’idea <strong>di</strong> matrimonio.<br />
Tuttavia quest’idea va calata nella realtà dei limiti e della fragilità umana: per quanto la persona<br />
si sforzi e si impegni, nessuno è così perfetto da riuscire a mantenere umanamente questa intenzione<br />
splen<strong>di</strong>da. Prima o poi intervengono errori e comportamenti che minacciano obiettivamente la realizzazione<br />
<strong>di</strong> questo sogno d’amore. Qui si inserisce la <strong>di</strong>mensione cristiana della fede che chiede a<br />
Dio <strong>di</strong> sostenere e costruire quei valori che la persona desidera, ma che sa <strong>di</strong> non riuscire da sola a<br />
realizzare.<br />
La <strong>di</strong>mensione sacramentale non si sostituisce alla <strong>di</strong>mensione naturale del matrimonio, ma lo<br />
completa e perfeziona. L’uomo e la donna che vivono la propria fede, non possono scegliere <strong>di</strong> porre<br />
la propria scelta <strong>di</strong> vita insieme al <strong>di</strong> fuori della <strong>di</strong>mensione cristiana. Perciò decidono <strong>di</strong> porre<br />
nelle mani <strong>di</strong> Dio se stessi e Lo chiamano ad essere parte attiva anche nel loro matrimonio. Dio interviene<br />
quin<strong>di</strong> con il suo “regalo <strong>di</strong> nozze”: la forza <strong>di</strong> dare stabilità ad un amore umano vero ma<br />
20. Nel <strong>di</strong>scorso che <strong>Rosmini</strong> tenne nel 1842, in occasione del matrimonio del fratello Giuseppe, parlando degli impegni personali<br />
derivanti dalla responsabilità dell’amore vicendevole deduce quattro obbligazioni: «La prima riguarda Dio, ed è che il matrimonio<br />
dei <strong>di</strong>scepoli <strong>di</strong> Cristo vuole essere un’unione spirituale; la seconda riguarda gli sposi, ed è che devono avere fra loro<br />
una perpetua <strong>di</strong>lezione; la terza riguarda il corpo della nuova <strong>famiglia</strong> a cui danno l’essere, ed è che da essi sia governata prudentemente;<br />
la quarta infine riguarda i figli che nascessero dal loro matrimonio, ed è che provvedano alla loro buona educazione».<br />
Pubblicato in Scritti sul matrimonio, Roma, Forzani, 1902, p. 326.<br />
21. Benedetto XVI il 6 aprile 2006 incontrando i giovani della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Roma in preparazione alla XXI Giornata Mon<strong>di</strong>ale della<br />
Gioventù, alla domanda <strong>di</strong> una giovane rispondeva: «… il matrimonio … è’ un sacramento del Creatore dell’universo, iscritto<br />
quin<strong>di</strong> proprio nell’essere umano stesso, che è orientato verso questo cammino, nel quale l’uomo abbandona i genitori e si unisce<br />
alla sua donna per formare una sola carne, perché i due <strong>di</strong>ventino un’unica esistenza. Quin<strong>di</strong> il sacramento del matrimonio<br />
non è invenzione della Chiesa, è realmente “con-creato” con l’uomo come tale, come frutto del <strong>di</strong>namismo dell’amore, nel quale<br />
l’uomo e la donna si trovano a vicenda e così trovano anche il Creatore che li ha chiamati all’amore».<br />
5
fragile. È la grazia sacramentale del matrimonio.<br />
La <strong>famiglia</strong>: “piccola chiesa domestica”<br />
Ma il matrimonio cristiano non esaurisce qui la sua ricchezza e il suo fine. Cristo si fa presente<br />
nella nuova <strong>famiglia</strong> in modo del tutto originale assai simile a quello con cui fonda la sua Chiesa.<br />
L’effetto del matrimonio cristiano è dunque quello <strong>di</strong> costruire la Chiesa. È la piccola chiesa domestica.<br />
La <strong>famiglia</strong> «è cresciuta bella, d’una bellezza non mai veduta prima del Redentore, è <strong>di</strong>venuta il<br />
simbolo, il compen<strong>di</strong>o della Chiesa universale, fondata <strong>sulla</strong> medesima pietra. E questa, quasi piccola<br />
Chiesa racchiusa tra le pareti domestiche, si perpetua insieme con la gran Chiesa, e si sviluppa<br />
e fiorisce con essa» 22 .<br />
Ritroviamo lo stesso <strong>pensiero</strong> nei documenti del Concilio Vaticano II: « Da questo matrimonio<br />
[quello cristiano], infatti, procede la <strong>famiglia</strong>, nella quale nascono i nuovi citta<strong>di</strong>ni della società u-<br />
mana, i quali per la grazia dello Spirito santo sono elevati col battesimo allo stato <strong>di</strong> figli <strong>di</strong> Dio, per<br />
perpetuare attraverso i secoli il suo popolo. In questa che si potrebbe chiamare chiesa domestica, i<br />
genitori devono essere per i loro figli, con la parola e con l’esempio, i primi annunciatori della fede,<br />
e secondare la vocazione propria <strong>di</strong> ognuno, e quella sacra in modo speciale» 23 .<br />
I coniugi, per il fatto <strong>di</strong> essere cristiani, partecipano del sacerdozio comune conferito ad ogni fedele<br />
dal battesimo e nella loro nuova vita coniugale e familiare esercitano il sacerdozio domestico.<br />
Nella Filosofia del <strong>di</strong>ritto approfondendo le qualità della Chiesa, qui chiamata Società teocratica,<br />
<strong>Rosmini</strong> sviluppa quello che chiama sacerdozio dei fedeli.<br />
In forza della consacrazione battesimale Dio «riveste l’uomo <strong>di</strong> un carattere e <strong>di</strong>gnità sacerdotale,<br />
che poi accresce nella Confermazione, e si compie nell’Or<strong>di</strong>ne sacro». Ora questo sacerdozio<br />
regale è «il principio <strong>di</strong> tutti i <strong>di</strong>ritti, che hanno o possono avere i fedeli cristiani» 24<br />
In virtù <strong>di</strong> esso il cristiano è abilitato a partecipare in un certo modo ai sette poteri della Chiesa<br />
originati dai sette Sacramenti, <strong>Rosmini</strong> li chiama: potere costituente (può amministrare il battesimo:<br />
il «fedele, col fare quest’atto in caso <strong>di</strong> necessità, egli esercita il suo sacerdozio privato»); potere<br />
liturgico (partecipazione attiva alla liturgia); potere eucaristico (lo rende atto a ricevere l’eucaristia<br />
e «in caso <strong>di</strong> necessità amministrare a sé stesso ed agli altri battezzati un tale sacramento»); potere<br />
<strong>di</strong> sciogliere e legale e potere me<strong>di</strong>cinale (può ricevere il sacramento della penitenza e il sacramento<br />
dell’unzione degli infermi); potere <strong>di</strong>dattico («anche il semplice fedele è in parte chiamato al ministero<br />
della parola»); potere or<strong>di</strong>nativo («I semplici fedeli influiscono ed hanno <strong>di</strong>ritto d’influire<br />
nel governo della Chiesa in una certa misura e modo determinato e acconsentito e riconosciuto dai<br />
pastori stessi della Chiesa») 25 .<br />
Abbiamo lasciato per ultimo quello che il Roveretano chiama potere ierogenetico ed è relativo al<br />
matrimonio che fa sì che il matrimonio per i cristiani è sacramento e che ministri <strong>di</strong> questo sacramento<br />
siano gli stessi sposi: «In virtù del carattere dei battezzati avviene anche che il contratto matrimoniale,<br />
fornito delle formalità stabilite dalla Chiesa, rappresenti l’unione <strong>di</strong> Cristo e della Chiesa<br />
e a questa rappresentazione risponda il conferimento della grazia; avviene, in una parola, che il contratto<br />
matrimoniale dei cristiani sia in pari tempo un sacramento. - Di che consegue, che i cristiani,<br />
in forza del carattere sacerdotale <strong>di</strong> cui sono insigniti (secondo l’opinione più comune, e ch’io credo<br />
certa), siano ministri <strong>di</strong> questo sacramento. Così mentre, rispetto agli altri sacramenti, il carattere<br />
impresso dà loro solamente la facoltà passiva <strong>di</strong> riceverli; rispetto al sacramento del matrimonio dà<br />
22. A. ROSMINI, Discorso in occasione del matrimonio del fratello Giuseppe, in: Scritti sul matrimonio, p. 329.<br />
23. CONCILIOVATICANO II, Lumen Gentium, Costituzione dogmatica <strong>sulla</strong> Chiesa, 11.<br />
24. A. ROSMINI, Filosofia del <strong>di</strong>ritto, Diritto sociale speciale, libro II, n. 892.<br />
25. Cfr. A. ROSMINI, Filosofia del <strong>di</strong>ritto, Diritto sociale speciale, libro II, n. 896-919.<br />
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loro anche la facoltà attiva <strong>di</strong> amministrarlo, e <strong>di</strong> formarlo» 26 .<br />
Nel <strong>di</strong>scorso che tenne al matrimonio del fratello, <strong>Rosmini</strong> riprende e spiega questo particolarissimo<br />
aspetto del sacerdozio domestico e della <strong>famiglia</strong>, piccola chiesa domestica:<br />
«… allorquando due fedeli <strong>di</strong> vario sesso intendono perpetuamente unirsi in quella unione perfetta<br />
e compiuta che è il matrimonio, allora si uniscono non solo in ciò che hanno <strong>di</strong> naturale, ma ben<br />
anche in ciò che hanno <strong>di</strong> soprannaturale, succedendo così la comunicazione del carattere indelebile<br />
delle loro anime. E quin<strong>di</strong> il culto cristiano della <strong>famiglia</strong>: poiché non solo ciascuno dei due in<strong>di</strong>vidui<br />
per il carattere sacerdotale ricevuto nel battesimo, e confermato nella cresima, ha potestà <strong>di</strong> far<br />
atti <strong>di</strong> culto cristiano grati a Dio; ma quei due <strong>di</strong>venuti un solo per il matrimonio possono <strong>di</strong> più prestare<br />
congiuntamente un solo culto a Dio; il quale conviene principalmente che sia prestato<br />
dall’uomo, siccome capo, insieme colla sua sposa, siccome corpo <strong>di</strong> lui.<br />
È dunque il matrimonio dei cristiani una unione soprannaturale, per la quale viene costituito un<br />
solo sacerdozio domestico. Di che non deve far più meraviglia, se ministri del Sacramento siano gli<br />
stessi contraenti, giacché si sa che per il carattere indelebile impresso nelle loro anime, essi partecipano<br />
del mistico sacerdozio <strong>di</strong> Cristo, per il quale fatto della loro unione <strong>di</strong>viene anch’esso un atto<br />
<strong>di</strong> culto.<br />
E, presupposta l’istituzione <strong>di</strong> Cristo, <strong>di</strong>viene ancora un Sacramento. Perché il consenso in tale<br />
unione rappresenta vivamente l’unione <strong>di</strong> Cristo coi fedeli che formano la sua Chiesa, ed anche la<br />
produce o per <strong>di</strong>r meglio la perfeziona negli sposi. E veramente in che consiste l’unione <strong>di</strong> Cristo<br />
cogli uomini se non nel comunicare ad essi sé stesso, da una parte la sua <strong>di</strong>vina natura, dall’altra le<br />
sue sacre carni? Dalle quali esce la virtù dell’acqua battesimale e degli altri Sacramenti. Esse poi si<br />
uniscono nel modo più intimo e stupendo alle carni dei fedeli nell’Eucaristia. Così dello sposo e<br />
della sposa si fa una carne, e <strong>di</strong> ciò che vi è <strong>di</strong> <strong>di</strong>vino nello sposo e nella sposa si fa un sacerdozio.<br />
Non è un sacerdozio nuovo, per cui il Sacramento del matrimonio non imprime carattere indelebile,<br />
ma è l’unione <strong>di</strong> due sacerdozi in uno che dura solo quanto dura l’unione, cioè quanto la vita dei<br />
coniugi» 27 .<br />
Prospettive degli impegni della <strong>famiglia</strong> cristiana<br />
È proprio in forza del sacerdozio domestico che <strong>Antonio</strong> <strong>Rosmini</strong>, quando <strong>di</strong>venne parroco e<br />
arciprete della sua città, Rovereto, il 5 ottobre 1834 nell’omelia che fece nel suo solenne ingresso<br />
nella parrocchia citta<strong>di</strong>na <strong>di</strong> S. Marco, concluse chiedendo la fattiva collaborazione a tutte le famiglie.<br />
<strong>Il</strong> linguaggio e la forma risente certamente della cultura del suo tempo, per cui l’appello è rivolto<br />
ai padri <strong>di</strong> <strong>famiglia</strong>, ma il contesto ed il contenuto riguarda sia i padri che le madri.<br />
«… Anche a voi dunque, o padri, qui in<strong>di</strong>rizzo le mie parole: anche da voi chiedo speciale cooperazione<br />
nel mio gravissimo ufficio <strong>di</strong> procurare la salvezza <strong>di</strong> tutto il popolo; poiché, educando<br />
bene i vostri figli, santificate voi stessi e lasciate buona quella generazione che vi succede. A voi <strong>di</strong>rò<br />
dunque: ricordatevi che noi sacerdoti siamo istituiti per sopperire a quello che non potete far voi,<br />
non per scaricarvi <strong>di</strong> quello che potete fare, e <strong>di</strong> cui (essendo vostro dovere naturale confermato dalla<br />
legge <strong>di</strong>vina) nessuno potrebbe <strong>di</strong>spensarvi.<br />
E chi erano al tempo della legge <strong>di</strong> natura i sacerdoti, se non voi, padri <strong>di</strong> <strong>famiglia</strong>? non cre<strong>di</strong>ate<br />
che vi sia cessata questa <strong>di</strong>gnità dopo l’istituzione del sacerdozio mosaico, o <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> Cristo. Voi<br />
siete ancora, nelle vostre famiglie, gli antichi sacerdoti; dovete ancora offrire a Dio ogni giorno i<br />
vostri figli, la moglie, i familiari; dovete annunziar loro la sua legge, insegnarne la pratica<br />
coll’esempio, e soprattutto educare nel timore dell’Altissimo la prole. È dunque vostro dovere naturale,<br />
o padri, dare una mano a me vostro pastore; io lavoro per il bene e la santificazione delle vo-<br />
26. A. ROSMINI, Filosofia del <strong>di</strong>ritto, Diritto sociale speciale, libro II, n. 906-907.<br />
27. A. ROSMINI, Discorso in occasione del matrimonio del fratello Giuseppe, in: Scritti sul matrimonio, p. 349-351.<br />
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stre famiglie e dei figli; e voi mi rifiuterete l’unirvi strettamente con me, soccorrendomi <strong>di</strong> tutto il<br />
vostro potere in tanto mio <strong>pensiero</strong> e travaglio? Padri <strong>di</strong> <strong>famiglia</strong>, miei concitta<strong>di</strong>ni, vi notifico che<br />
lo scopo del buon pastore non si può ottenere senza la vostra cooperazione; vi <strong>di</strong>chiaro che io ho accettato<br />
una così immensa briga, che mi fa padre <strong>di</strong> tutte le vostre famiglie e che accumula sulle mie<br />
spalle tutti i vostri doveri, perché ho pensato: i padri <strong>di</strong> <strong>famiglia</strong> miei concitta<strong>di</strong>ni mi aiuteranno, io<br />
avrò in essi altrettanti domestici sacerdoti, altrettanti cooperatori parrocchiali …».<br />
In merito poi all’alta <strong>di</strong>gnità della <strong>famiglia</strong> cristiana come piccola chiesa domestica, il Concilio Vaticano<br />
II ha in<strong>di</strong>cato chiaramente quale responsabilità e impegni abbia nella Chiesa per la sua missione<br />
evangelizzatrice nel mondo.<br />
«La <strong>famiglia</strong> stessa ha ricevuto da Dio questa missione affinché sia la prima e vitale cellula della<br />
società. Adempirà tale missione se, me<strong>di</strong>ante il mutuo affetto dei membri e l’orazione fatta a Dio in<br />
comune, si presenta come il santuario domestico della chiesa; se tutta la <strong>famiglia</strong> si inserisce nel<br />
culto liturgico della chiesa; se infine la <strong>famiglia</strong> offre una fattiva ospitalità, se promuove la giustizia<br />
e le altre opere buone a servizio <strong>di</strong> tutti i fratelli che si trovano in necessità. Fra le varie opere<br />
dell’apostolato familiare si può enumerare le seguenti: adottare come figli i bambini abbandonati,<br />
accogliere con benevolenza i forestieri, dare il proprio contributo nella <strong>di</strong>rezione delle scuole, assistere<br />
gli adolescenti con il consiglio e con mezzi economici, aiutare i fidanzati a prepararsi meglio<br />
al matrimonio, collaborare alla catechesi, sostenere i coniugi e le famiglie che si trovano in <strong>di</strong>fficoltà<br />
materiale e morale, provvedere ai vecchi non solo il necessario, ma anche renderli partecipi e-<br />
quamente dei frutti del progresso economico. Le famiglie cristiane che in tutta la loro vita si mostrano<br />
coerenti al vangelo e offrono l’esempio <strong>di</strong> un matrimonio cristiano, danno al mondo una preziosissima<br />
testimonianza del Cristo, sempre e dovunque» 28 .<br />
La <strong>famiglia</strong> nella spiritualità rosminiana<br />
Quando <strong>Rosmini</strong> <strong>di</strong>ede l’avvio della sua congregazione religiosa, l’Istituto della Carità, ideò un<br />
progetto dal respiro universale che desse la possibilità a qualsiasi persona, anche non legata ad essa<br />
da una specifica professione religiosa, <strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre lo stesso fine e gli stessi doni. Pensò quin<strong>di</strong> ad<br />
una forma particolarissima che chiamo «Ascrizione» 29 . Pre<strong>di</strong>sponendo per gli Ascritti un corpo <strong>di</strong><br />
regole le sud<strong>di</strong>vise in quattro gran<strong>di</strong> capitoli, il terzo dei quali lo de<strong>di</strong>ca alla «carità verso la propria<br />
<strong>famiglia</strong>» 30 .<br />
Un ascritto che abbia una <strong>famiglia</strong> o viva in essa, dopo d’essersi proposto come fine <strong>di</strong> cercare<br />
tutto il bene a lui possibile, «si propone <strong>di</strong> praticare la carità verso la propria <strong>famiglia</strong>, poiché la <strong>di</strong>vina<br />
Provvidenza coll’averlo circondato <strong>di</strong> quelle persone che compongono la sua <strong>famiglia</strong>, gli ha<br />
mostrato essere questa la volontà <strong>di</strong> Dio, che egli eserciti in primo luogo la carità verso <strong>di</strong> esse come<br />
a lui più prossime, essendo espressa così la Legge dell’Amore “Amerai il prossimo tuo come te<br />
stesso”».<br />
Sarà dunque sua cura evitare <strong>di</strong> essere causa <strong>di</strong> <strong>di</strong>visione e <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>a; si impegnerà a smorzare le<br />
28. CONCILIOVATICANO II, Apostolicam actuositatem, Decreto sull’apostolato dei laici, n 11.<br />
29. In una lettera da lui scritta a Don Giambattista Pagani, superiore in Inghilterra, del 24 gennaio 1841, così spiegava: «Lo spirito<br />
dell’ascrizione consiste in due cose: 1° unione dei cattolici per stimolarsi scambievolmente ed aiutarsi a praticare la legge <strong>di</strong><br />
perfezione insegnataci dal nostro Signor Gesù Cristo, affinché tutti i cattolici vivano uniti insieme coi più stretti vincoli <strong>di</strong> carità<br />
… 2° esercizio della carità universale, secondo le parole <strong>di</strong> S. Paolo (Fil 4,8), ed inesausta, secondo le parole del Cantico dei<br />
Cantici (Ct 8,7); ma senza sforzo alcuno, con libertà <strong>di</strong> spirito e <strong>di</strong> volontà, non obbligando nessuno a niente <strong>di</strong> determinato, ma<br />
lasciando che ognuno operi secondo il suo spirito nel Signore, e noi coltivando con allegrezza tutti gli spiriti buoni, affinché<br />
ogni vivente <strong>di</strong>a lode al Signore» (Cfr. Epistolario completo, Lettera 4177, vol. VII, p. 537-538).<br />
30. Le prime le compose nel 1833, a cinque anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza dalla fondazione dell’Istituto al Sacro Monte Calvario <strong>di</strong> Domodossola<br />
e ad un anno <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza dalla stesura delle prime regole per le “Suore della Provvidenza” (che poi verranno chiamate “<strong>Rosmini</strong>ane”);<br />
sono le Regole comuni degli Ascritti all’Istituto della Carità sotto la invocazione <strong>di</strong> GESÙ paziente e <strong>di</strong> MARIA Addolorata.<br />
<strong>Il</strong> primo capitolo spiega il “Fine dell’ascrizione ed i mezzi per ottenerlo”; il secondo: “La carità verso se stesso”; il<br />
quarto: “La carità verso tutti”.<br />
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spigolosità del proprio carattere coltivando la dolcezza e l’affabilità; cercherà <strong>di</strong> avere sempre una<br />
premurosa e affettuosa attenzione ai bisogni <strong>di</strong> tutti fino alle minime cose, <strong>di</strong>sposto a preferire gli<br />
altri a se stesso e a cedere anche quando è dalla parte della ragione pur <strong>di</strong> raggiungere il bene, la<br />
tranquillità e la serenità dei suoi familiari.<br />
<strong>Il</strong> cristiano - e tanto più l’ascritto - vivendo in <strong>famiglia</strong>, si impegnerà a «santificare in se stesso i<br />
vincoli e gli affetti naturali» orientandoli « alla carità universale, per la quale si amano gli uomini<br />
per Id<strong>di</strong>o in Gesù Cristo suo figlio».<br />
Se genitore, sia «un modello <strong>di</strong> <strong>di</strong>ligenza nell’educare santamente i figli, conducendoli alle catechesi<br />
parrocchiali e ammaestrandoli non solo per mezzo <strong>di</strong> altri, ma per quanto può anche da se<br />
stesso, trattandoli sempre con giustizia e con dolcezza, e proponendo loro dei fini <strong>di</strong> operare retti e<br />
nobili» 31 .<br />
La cura pastorale della <strong>famiglia</strong> in <strong>Rosmini</strong> parroco<br />
Fin dal suo ingresso come parroco ed arciprete a Rovereto, nella parrocchia <strong>di</strong> S. Marco, nella<br />
mente <strong>di</strong> <strong>Rosmini</strong> la <strong>famiglia</strong> occupò un posto privilegiato. Già nella sua prima omelia, in cui delineava<br />
quale sia il ministero che il parroco deve svolgere, conclude rivolgendosi alle famiglie, o più<br />
esattamente secondo la cultura etica <strong>di</strong> allora ai padri <strong>di</strong> <strong>famiglia</strong>, per ricordar loro come nella educazione<br />
e formazione dei figli la prima responsabilità sia loro: «… educando bene i vostri figli, santificate<br />
voi stessi e lasciate buona quella generazione che vi succede». Mentre al parroco e agli altri<br />
sacerdoti spetta il compito <strong>di</strong> «sopperire a quello che non potete far voi, non per scaricarvi <strong>di</strong> quello<br />
che potete fare, e <strong>di</strong> cui nessuno potrebbe <strong>di</strong>spensarvi».<br />
La forza del suo argomento, si basava su una verità cristiana che al suo tempo era ancora molto<br />
in ombra - e lo rimase fino al Concilio Vaticano II -: il carattere sacerdotale che il battesimo imprime<br />
in ogni cristiano. È il Sacerdozio regale o “Sacerdozio dei fedeli”: Voi siete ancora, nelle vostre<br />
famiglie, gli antichi sacerdoti; dovete ancora offrire a Dio ogni giorno i vostri figli, la moglie, i familiari;<br />
dovete annunziar loro la sua legge, insegnarne la pratica coll’esempio, e soprattutto educare<br />
nel timore dell’Altissimo la prole. È dunque vostro dovere naturale, o padri, dare una mano a me<br />
vostro pastore; io lavoro per il bene e la santificazione delle vostre famiglie e dei figli; e voi mi rifiuterete<br />
l’unirvi strettamente con me, soccorrendomi <strong>di</strong> tutto il vostro potere in tanto mio <strong>pensiero</strong> e<br />
travaglio? Padri <strong>di</strong> <strong>famiglia</strong>, miei concitta<strong>di</strong>ni, […] vi <strong>di</strong>chiaro che io ho accettato una così immensa<br />
briga, che mi fa padre <strong>di</strong> tutte le vostre famiglie e che accumula sulle mie spalle tutti i vostri doveri,<br />
perché ho pensato: i padri <strong>di</strong> <strong>famiglia</strong> miei concitta<strong>di</strong>ni mi aiuteranno, io avrò in essi altrettanti domestici<br />
sacerdoti, altrettanti cooperatori parrocchiali […]» 32 .<br />
Altra fondamentale occasione <strong>di</strong> rivolgersi alle famiglie fu la promulgazione delle Regole per la<br />
catechesi dell’iniziazione cristiana, che pubblicò e presentò ai suoi parrocchiani nel marzo 1835. La<br />
lettera introduttiva è in<strong>di</strong>rizzata «A tutti i nostri operai della dottrina cristiana dei fanciulli e delle<br />
fanciulle, ai padri e alle madri, ai tutori, ai padrini, ai maestri <strong>di</strong> scuola ed ai padroni <strong>di</strong> casa». In<br />
essa, rivolgendosi ai genitori definisce la loro collaborazione come «aiuto fondamentalissimo e a<br />
mio avviso il più naturale ed il più necessario <strong>di</strong> tutti, e <strong>di</strong>spone che i padri e le madri debbano essere<br />
assai <strong>di</strong> frequente avvisati dai pulpiti <strong>di</strong> come “loro dovere sia quello d’abbeverare la propria prole<br />
dei misteri della nostra religione e qualora non vi siano idonei, almeno <strong>di</strong> condurre i figli alle<br />
chiese, nelle quali si spiegano i precetti della legge <strong>di</strong>vina”. Quanto è sacro, o genitori, questo vostro<br />
dovere! quanto potreste aiutare noi parroci, adempiendolo saggiamente! quanto potrebbe giovare<br />
alla vostra progenie e voi stessi! perché l’avere in casa dei buoni e morigerati figli, è tra tutte la<br />
maggiore e la più vera consolazione che possano avere i genitori; è un pegno <strong>di</strong> bene<strong>di</strong>zioni celesti<br />
31. Cfr. A. ROSMINI, Regole comuni degli Ascritti …, 1833, cap. 3, n. 1-4.<br />
32. Cfr. A. <strong>Rosmini</strong>, Discorso primo recitato il giorno 5 ottobre 1834 in occasione del prender possesso della parrocchia, in Discorsi<br />
Parrocchiali, Roma, Città Nuova E<strong>di</strong>trice, 1986, ECR 44, p. 67-70. In questa parte del suo <strong>di</strong>scorso non manca<br />
l’attenzione alle numerose famiglie povere e al degrado morale della vita familiare.<br />
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per le vostre famiglie e non c’è niente <strong>di</strong> più vantaggioso agli interessi stessi della vita presente,<br />
nonché alle speranze immortali della futura» 33 .<br />
Non mancarono neppure, riferimenti, richiami ed esortazioni durante le omelie domenicali. Così<br />
ad esempio il 14 giugno 1835, “seconda festa <strong>di</strong> Pentecoste”, commentando la frase evangelica,<br />
chiunque fa il male, o<strong>di</strong>a la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere (Gv<br />
3,20), si rivolge con forte autorità ai genitori mettendoli in guar<strong>di</strong>a contro la superficialità con cui<br />
avviano al sacramento della confermazione i loro figli: «Considerino bene qui i genitori che mi a-<br />
scoltano, quanto <strong>di</strong>ligente, quanto grande deva esser la cura che si prendono dell’innocenza dei loro<br />
fanciulli, perché non avvenga che operino il male prima del tempo […]per cui se poi i figli non a-<br />
scoltano volentieri la parola <strong>di</strong> Dio, non le prestano attenzione, non pongono il cuore a praticarla, la<br />
colpa <strong>di</strong> chi sarà? se non in gran parte dei padri e delle madri; i quali negligenti ed incauti […]non<br />
custo<strong>di</strong>rono bene i loro figli».<br />
E continua poi descrivendo una situazione che non è affatto <strong>di</strong>versa da quella che spesso anche<br />
noi possiamo osservare oggi: «Quale meraviglia dunque, o miei fedeli, che si veda al giorno d’oggi<br />
tanta gioventù irreligiosa, se si vedono pure tanti genitori negligenti nell'educare la loro prole? Quale<br />
meraviglia che, se vi guardate intorno, voi notate qui così pochi fanciulli devoti? E non vi accusa,<br />
e padri e madri , anche solo il <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne che si scorge <strong>di</strong>nanzi alle porte <strong>di</strong> questa nostra parrocchia,<br />
dove si trattengono tanti fanciulli in ozio, e nel gioco, e talora perfino durante il tempo delle sacre<br />
funzioni? I genitori che vengono in chiesa li vedono; ma passano loro innanzi senza <strong>di</strong>r nulla. Non<br />
viene loro dunque in mente <strong>di</strong> farli entrare nella casa del Signore e d’insegnar loro ad adorarlo con<br />
affetto, e ad u<strong>di</strong>re la spiegazione della sua legge con riverenza? Questo, che pur sarebbe un atto <strong>di</strong><br />
gran<strong>di</strong>ssima carità che ogni uomo per bene, passando, potrebbe fare a pro degli abbandonati fanciulli,<br />
è per voi, o genitori, un dover rigoroso, uno stretto obbligo» 34 .<br />
Responsabilità del clero nell’educare e formare al matrimonio e alla <strong>famiglia</strong><br />
Un’altra particolare attenzione <strong>Rosmini</strong> la riservò ai sacerdoti - particolarmente ai parroci - chiamati<br />
con il loro ministero pastorale ad educare i fedeli anche al matrimonio cristiano ed alla <strong>famiglia</strong>.<br />
Pre<strong>di</strong>cando varie volte gli esercizi spirituali al clero non tralasciò <strong>di</strong> sottolinearne la loro responsabilità,<br />
ricordando come il matrimonio sia «quel sacramento da cui scaturisce tutta la società umana»,<br />
e quin<strong>di</strong> come sia «importante oltre ogni <strong>di</strong>re» che i fedeli siano formati e consapevoli della<br />
propria decisione <strong>di</strong> sposarsi e formare una <strong>famiglia</strong>; infatti «le maggiori <strong>di</strong>visioni nelle famiglie, le<br />
<strong>di</strong>scor<strong>di</strong>e e la moltiplicazione dei miserabili privi <strong>di</strong> sostentamento e <strong>di</strong> educazione hanno origine<br />
anche da matrimoni non ponderati». Tale mancanza <strong>di</strong> consapevolezza negli si ripercuote poi <strong>sulla</strong><br />
vita della <strong>famiglia</strong> e soprattutto nella « cattiva educazione dei figli».<br />
Compito irrinunciabile del parroco dunque, è quello del formare i suoi fedeli per tempo e non solo<br />
poco prima del Matrimonio. E, nella conclusione, <strong>Rosmini</strong> afferma: « Ecco ciò che dobbiamo ripensare<br />
seriamente fra noi. […] Non è da dubitare che - riformandosi i sacerdoti su tutti questi punti,<br />
o perfezionandosi - la Chiesa e il popolo <strong>di</strong> Dio ne debbono trarre infinito vantaggio» 35 .<br />
Responsabilità e <strong>di</strong>ritti dei genitori nell’educazione scolastica dei figli.<br />
Altra occasione che spinse <strong>Rosmini</strong> ad occuparsi <strong>di</strong> un delicato compito della <strong>famiglia</strong>, quale<br />
quello dell’educazione e dell’istruzione scolastica dei figli, fu nel 1854 un progetto <strong>di</strong> legge del Re-<br />
33. A. ROSMINI, Catechesi parrocchiali, a cura <strong>di</strong> G. Picenar<strong>di</strong>, Stresa, E<strong>di</strong>zioni <strong>Rosmini</strong>ane, 2012, p. 180.<br />
34. Cfr. A. ROSMINI, Pre<strong>di</strong>cazione – Discorsi vari, Milano, Pogliani, 1843: Discorsi <strong>di</strong> vario argomento, Discorso terzo: Della luce<br />
dello Spirito Santo, p. 262-263.<br />
35. A ROSMINI, Conferenze sui doveri ecclesiastici, Torino, Speirani 1880, “Conferenza XIII: L’amministrazione dei Sacramenti: il<br />
matrimonio”, p. 246-248.<br />
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gno <strong>di</strong> Sardegna per la riforma della scuola. Scrisse una serie <strong>di</strong> articoli che furono poi raccolti insieme<br />
sotto il titolo: Della libertà d’insegnamento 36 .<br />
In questi articoli, stabilisce che «La libertà è l’esercizio non impe<strong>di</strong>to dei propri <strong>di</strong>ritti»; che «i<br />
<strong>di</strong>ritti sono anteriori alle leggi civili» e «fondamento della tirannia è la dottrina che insegna il contrario»;<br />
ne deduce poi che «La libertà dell’insegnamento è “l’esercizio non impe<strong>di</strong>to del <strong>di</strong>ritto<br />
d’insegnare e d’imparare”» e che tale <strong>di</strong>ritto è anteriore ad ogni legge civile. Anche se ogni <strong>di</strong>ritto<br />
presenta dei limiti e con<strong>di</strong>zioni, oltre i quali cessa <strong>di</strong> esistere come <strong>di</strong>ritto. Quin<strong>di</strong> passa ad esaminare<br />
chi sia titolare <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>ritto e quale titolarità ne abbia e come debbano interagire tra <strong>di</strong> loro; ne<br />
in<strong>di</strong>vidua sei, e sono: 1. la Chiesa cattolica, 2. i dotti, 3. i padri <strong>di</strong> <strong>famiglia</strong>, 4. coloro che economicamente<br />
mantengono istitutori e maestri, 5. la Provincia e i Comuni, 6 il Governo Civile.<br />
Prendendo in considerazione il terzo soggetto, parla <strong>di</strong> «Qual sia il <strong>di</strong>ritto circa l’istruzione e<br />
l’educazione che compete i padri <strong>di</strong> <strong>famiglia</strong>» 37 , oggi la nostra sensibilità ed il progresso civile e<br />
morale <strong>sulla</strong> pari <strong>di</strong>gnità dei coniugi, ci fa attribuire questo <strong>di</strong>ritto all’intera <strong>famiglia</strong> ma la sostanza<br />
dei principi non varia.<br />
<strong>Il</strong> <strong>di</strong>ritto che ha la <strong>famiglia</strong> <strong>di</strong> scegliere maestri ed educatori per i propri figli, viene dalla natura e<br />
non dalla legge civile, per cui lo stato può solo regolare le modalità <strong>di</strong> tale <strong>di</strong>ritto, non toglierlo od<br />
attribuirlo. Di conseguenza spetta alla <strong>famiglia</strong> decidere dove far stu<strong>di</strong>are i propri figli, nella propria<br />
nazione o all’estero, in scuole pubbliche o private. <strong>Il</strong> compito educativo è per sua natura dei genitori,<br />
«i quali non possono mai rimetterla totalmente ad altre mani, e soltanto parzialmente agli educatori,<br />
conviene sia che questi ultimi riconoscano ragionevolmente l’autorità dei primi, sia che gli uni<br />
e gli altri siano in pieno accordo e procedano con una perfetta coerenza ed unità».<br />
Ma anche il <strong>di</strong>ritto dei genitori ha dei limiti, il primo dei quali è quello che hanno i figli <strong>di</strong> non<br />
essere obbligati a subire un’educazione perversa, «e se un governo civile prende sotto la sua tutela<br />
questi <strong>di</strong>ritti dei figli, senza invadere, con questo pretesto, la sfera dei <strong>di</strong>ritti paterni, esercita una legittima<br />
autorità ed adempie ad un suo dovere, perché il governo è istituito principalmente per tutelare<br />
i <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> tutti».<br />
Altri limiti sono quelli legati al <strong>di</strong>ritto degli altri soggetti educativi, il buon andamento infatti<br />
dall’azione educativa <strong>di</strong>pende da una serena collaborazione tra i <strong>di</strong>versi soggetti.<br />
Un’ultima osservazione, molto attuale anche oggi, fatta da <strong>Rosmini</strong> è la seguente: « Vi sono tra<br />
noi dei teorici in materia, che riconoscono nei padri il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> far istruire i loro figli da persone <strong>di</strong><br />
loro fiducia, scelte senza impe<strong>di</strong>mento, ma poi aggiungono: “Ciò nonostante al presente non conviene<br />
lasciare questa libertà ai padri <strong>di</strong> <strong>famiglia</strong>, perché non ne sanno usare, hanno molti pregiu<strong>di</strong>zi<br />
ere<strong>di</strong>tati dal passato. Conviene dunque per ora privarli <strong>di</strong> quella libertà, fino a quando siano formati<br />
alle nuove idee <strong>di</strong> oggi; allora poi gliela concederemo”. Quelli che ragionano così sono falsi liberali,<br />
il che è quanto <strong>di</strong>re non liberali, sono testoline incoerenti, senza principi. Col loro ragionamento <strong>di</strong>struggono<br />
ad un tempo il concetto del <strong>di</strong>ritto e quello della morale; nel fondo <strong>di</strong> questi animi è rimasto<br />
solo l'utilitarismo, sotto la parola d’opportunità, e forse anche senza che lo sappiano essi stessi.<br />
Infatti, qual principio seguono mai costoro? Nessuno per ripeterlo».<br />
36. Pubblicati a partire dall'aprile 1854 per il giornale Armonia <strong>di</strong> Torino, sono scritti in stile giornalistico e giuri<strong>di</strong>co che a partire<br />
dalla nozione e fondamento giuri<strong>di</strong>co della libertà d’insegnamento svolgono in polemica con molte opinioni opposte dell’epoca<br />
il <strong>di</strong>ritto-dovere d'insegnare e <strong>di</strong> apprendere. Ve<strong>di</strong>: A ROSMINI, Scritti pedagogici, a cura <strong>di</strong> Gianni Picenar<strong>di</strong>, E<strong>di</strong>zioni <strong>Rosmini</strong>ane,<br />
Stresa 2009, parte seconda, p. 71-168.<br />
37. A. ROSMINI, Della libertà d’insegnamento, in Scritti pedagogici, cit., parte II, p. 92-100.<br />
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