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La storia dell’evoluzione dell’uomo<br />

Capitolo 2<br />

Appunti a cura di Sandro Caranzano , riservati<br />

ai fruitori del corso di archeologia presso<br />

l'Università Popolare di Torino 2007-2008.<br />

(Lezioni tenute il 17 e 24 novembre / 1 dicembre 2009)<br />

2.1 – La selezione naturale<br />

I principali artefici dell'evoluzione sono due: le mutazioni casuali e la selezione<br />

naturale. I geni contenuti nei cromosomi sono i responsabili della trasmissione delle<br />

caratteristiche particolari di ogni specie dai progenitori ai propri figli. In questo<br />

modo si salvaguardano le distinzioni tra le specie.<br />

Questo meccanismo rende la realtà statica, "conservatrice", avversa ad ogni<br />

cambiamento. Ma questo meccanismo non è perfetto. Ogni tanto si inceppa. Nella<br />

trascrizione delle informazioni genetiche si verifica qualche errore di copiatura,<br />

questo può portare a variazioni insignificanti oppure costituire la base per dare<br />

inizio ad un'altra varietà della specie.<br />

Questi errori sono chiamati “mutazioni” e sono assolutamente casuali. Su tutte le<br />

specie interviene l'azione della natura che elimina quelle meno adatte all'ambiente<br />

costituito. Le possibilità di sopravvivere dipendono dall’avere i geni giusti al<br />

momento giusto. Una combinazione puramente casuale di fattori può determinare la<br />

sopravvivenza di un individuo o della sua specie. Per gli uomini, il discorso è diverso,<br />

non dipende soltanto dai suoi geni come negli altri animali. Alla trasmissione dei<br />

geni, nel tempo si è aggiunta anche la trasmissione della conoscenza accumulata da<br />

una generazione all'altra.<br />

La storia dell'evoluzione dell'uomo così come quella degli altri mammiferi,<br />

incomincia con il declino dei grandi rettili che avevano dominato ogni angolo della<br />

terra. L'arma segreta di questi animali si dimostrò essere il sistema circolatorio<br />

sanguigno che riusciva a tenere la temperatura del corpo più stabile, in modo da farli<br />

sopravvivere e farli muovere liberamente entro una gamma di temperature molto<br />

più ampia di quella dei rettili, sia di giorno che di notte.<br />

I cambiamenti climatici, il clima più freddo e arido, si combinarono con l'aumento<br />

delle specie vegetali, degli insetti e di funghi patogeni diffusori di malattie. Molto<br />

probabilmente queste furono le cause della denatalità nei grandi rettili. Con la<br />

scomparsa dei dinosauri, i mammiferi ebbero la possibilità di diffondersi ovunque e<br />

soprattutto aumentò la loro varietà. Gli antenati delle proscimmie ebbero come<br />

competitori i piccoli roditori. Questi si fecero un'accanita concorrenza sia sugli alberi<br />

che sul terreno. Alcune specie di proscimmie si adattarono a vivere al suolo dove in<br />

un primo momento proliferarono ma alla fine si estinsero. Quelle che scelsero la vita<br />

sugli alberi ebbero maggiore fortuna ma non riuscendo ad eliminare i loro diretti<br />

concorrenti, furono costretti a dividerne lo spazio.<br />

Con il diffondersi delle foreste anche le piccole proscimmie si diffusero ovunque.<br />

L'uomo è nato nelle foreste e quindi ogni componente del suo <strong>org</strong>anismo si è<br />

formato per rispondere alle esigenze della vita in questi luoghi. Più precisamente le<br />

loro strutture di base, il cervello, gli <strong>org</strong>ani di senso, gli arti e gli <strong>org</strong>ani riproduttivi<br />

si svilupparono nelle foreste. Il corso degli eventi successivi rese necessarie in genere<br />

modifiche e rielaborazioni di quelle<br />

Rispetto ai volatili, i mammiferi che scelsero la vita tra gli alberi o sulla terra<br />

svilupparono corpi più grandi e cervelli più complessi. Questo perché a differenza<br />

degli uccelli che insieme ad una corporatura piccola e molto leggera associarono un<br />

comportamento routinario, le specie arboricole potevano evolversi con cervelli<br />

abbastanza grandi da permettere loro una notevole attività di apprendimento ed


inoltre le dimensioni erano tali da contenere i tessuti celebrali in grado di generare<br />

uno sviluppato potere visivo e una buona coordinazione sensoriale e muscolare. La<br />

vita sugli alberi, con i suoi cambiamenti di condizione, bruschi ed imprevedibili,<br />

generò una nuova e permanente insicurezza o incertezza. In questo modo si sviluppò<br />

una notevole capacità di decisione e di apprendimento. I secondi necessari per<br />

intraprendere una scelta, favorirono gli individui in grado di prendere decisioni<br />

rapide. La conseguenza era che, quelli che avevano meno incidenti, vivevano più a<br />

lungo.<br />

2.2 – La “scimmia vestita”: Non esiste problema più complesso di quello di definire se stessi, di<br />

stabilire chi siamo e da dove veniamo; ma, nel medesimo tempo, è difficile pensare<br />

ad una questione più affascinante e ineludibile la cui soluzione stimoli<br />

maggiormente la curiosità e muova l'intelligenza a cercare risposte sempre più<br />

esaurienti.<br />

La ricerca scientifica ci offre oggi i mezzi per riconoscere che l'uomo è un essere<br />

inserito nel grande meccanismo della natura. Peraltro, attraverso l'uso costante di<br />

manufatti l'uomo, unico tra gli animali, si è posto nella condizione non solo di<br />

adattarsi all'ambiente, ma anche di modificarlo.<br />

Si deve a Jean-Baptiste de Lamarck (1744-1829) il merito di aver intuito il<br />

concetto di evoluzione, a cui fa riferimento anche Charles Darwin (1809-1882).<br />

Il primo ritiene che gli esseri viventi siano in grado di sviluppare gradatamente,<br />

generazione dopo generazione, alcuni caratteri, in risposta al loro bisogno di<br />

migliorarsi rispetto all'ambiente (la giraffa avrebbe allungato gradatamente il collo<br />

per cibarsi delle foglie degli alberi più alti). Per Darwin invece all'interno di ogni<br />

specie esistono differenze tra i singoli individui che la compongono; pertanto,<br />

coloro che presenteranno caratteri più idonei all'ambiente in cui vivono saranno<br />

facilitati nella sopravvivenza e nella riproduzione (le giraffe che avevano il collo più<br />

lungo, potendo mangiare le foglie degli alberi più alti, si sarebbero affermate).<br />

Darwin è inoltre il primo ricercatore a strappare il velo di imbarazzo che copriva<br />

l'origine dell'uomo: egli afferma che noi non facciamo eccezione rispetto agli altri<br />

esseri, che anche noi siamo inseriti nella grande catena dell'evoluzione della vita<br />

sulla Terra e che anche l'uomo ha i suoi antenati fossili (antenati condivisi con<br />

alcune scimmie contemporanee come i gorilla e gli scimpanzé). Oltre cento anni di<br />

scoperte hanno permesso di riconoscere la sostanziale validità di questa posizione.<br />

Sia le ipotesi di Lamarck che, soprattutto, quelle di Darwin pongono l'accento sulla<br />

gradualità con cui si verificherebbe l'evoluzione, attraverso lente modificazioni in<br />

generazioni successive di individui. Il «puntualismo», elaborato a livello teorico<br />

proprio in questi ultimi anni, rappresenta una correzione a questa linea: in alcune<br />

situazioni si verificherebbero delle trasformazioni rapide che porterebbero alla<br />

nascita di nuove specie (ad esempio la capacità cranica dell'Homo habilis).<br />

4


In effetti è probabile che i meccanismi evolutivi siano piuttosto il frutto di<br />

situazioni puntuali, intervallate da fasi di sviluppo più o meno graduali.<br />

2.3 - Le origini del genere Homo: Le origini del genere Homo possono essere cercate attorno a<br />

circa milioni di anni fa. E’ necessario innanzitutto avere un’idea di quello che poteva<br />

essere il clima e la morfologia di Africa ed Europa in questo remoto periodo della<br />

preistoria. L’orogenesi delle Alpi e della catena dell’Hymalaia erano giù in uno stadio<br />

avanzato (quella delle Alpi è iniziata circa 25 milioni di anni fa per effetto dello<br />

scontro delle “placche” della Paleoafrica con la Paleoeuropa) ed il clima era di tipo<br />

continentale, ovvero caratterizzato dall’alternarsi di estate calde ed inverni freddi.<br />

Circa 1 milione mezzo di anni dopo, si assistette ad un irrigidimento del clima; come<br />

spesso accade in occasione dei fenomeni glaciali, grandi masse di acqua oceanica<br />

rimasero come imprigionate ai poli portando ad un abbassamento di qualche metro<br />

del mare sul livello delle coste. E’ quella che si chiama “regressione marina”.<br />

I geologi l’hanno verificata con chiarezza sulle coste dell’attuale Liguria proprio in<br />

questo periodo geologico. A causa di questo abbassamento del livello delle acque<br />

l’istmo di Suez si prosciugò per ampi tratti permettendo, tra l’altro, la migrazione di<br />

molte importanti specie animali dall’Africa in direzione dell’Asia.<br />

L’Africa, a causa della sua latitudine, era caratterizzata dalla<br />

presenza di foreste equatoriali attorno alle quali si erano<br />

sviluppate aree di savana. Proprio la savana venne a costituire<br />

un’importante fondale su cui si svolsero importanti eventi<br />

legati all’evoluzione umana. Come noto, la savana è un bioma<br />

tipicamente tropicale e subtropicale, caratterizzato da una<br />

vegetazione a prevalenza erbosa, con arbusti e alberi<br />

abbastanza distanziati da non dar luogo a una volta chiusa.<br />

Le savane tropicali e subtropicali sono determinate<br />

principalmente dalla scarsità e marcata stagionalità delle<br />

precipitazioni. Precipitazioni inferiori ai 100-200 mm all'anno<br />

sono infatti insufficienti allo sviluppo di alberi e arbusti, e<br />

determinano regioni di sola prateria erbosa, quali si trovano<br />

tipicamente ai margini dei deserti subtropicali. Spostandosi<br />

gradualmente verso latitudini più piovose (ovvero verso<br />

l'equatore) si osserva prima la comparsa di vegetazione<br />

arbustiva (fino a 300 mm) e poi di alberi isolati (fra i 300 mm<br />

e i 400 mm). Oltre i 400 mm annui, a meno che non<br />

intervengano altri fattori ambientali, gli alberi sono<br />

sufficientemente vicini e ricchi da formare una volta, che<br />

blocca la luce del sole e riduce la presenza erbosa: la savana<br />

cede quindi gradualmente il posto alla foresta.<br />

I mammiferi che vivendo in questo particolare ambiente erano<br />

obbligati a cibarsi di frutti coriacei dotati di guscio (come le<br />

noci), capaci di resistere all’ambiente particolarmente caldo;<br />

un’altra fonte di alimentazione poteva essere costituita da<br />

rizomi, radici succulente con un buon valore nutritivo.<br />

Probabilmente, fu proprio questo ambiente limite a mettere in moto un attività di<br />

selezione naturale che avrebbe presto condotto all’enuclearsi dei cosiddetti ominidi.<br />

I precursori degli ominidi (scimmie) vengono invece più correttamente chiamati<br />

ominoidi. Facendo un piccolo passo indietro, nel Miocene recente (tra i 16 e i 10<br />

milioni di anni fa) gli ominoidi erano presenti in Africa divisi in circa 15 specie. Tra<br />

queste, particolare importanza vennero ad avere i Cercopitechi (kèrkos=coda /<br />

pithekos = scimmia). Si trattava di scimmie erbivore che furono in grado di scendere<br />

sempre più frequentemente dagli alberi procurandosi una più ampia varietà di cibo.<br />

All’opposto i babbuini mantennero più a lungo il vecchio stile di vita, passando<br />

molto più tempo sugli alberi. I cercopitechi erano quadrumani, ovvero avevano i<br />

piedi sviluppati in modo tale da poter svolgere diverse funzioni simili a quelle<br />

esercitati dalle mani; un indubbio vantaggio. Il gomito era sviluppato in senso più<br />

moderno in modo da agevolare lo scavo di buche nel terreno per procurarsi del cibo<br />

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e polso e caviglie erano più sviluppati. Una delle scimmie che per lungo tempo è<br />

stata considerata un progenitore dell’uomo è il Ramapiteco. Al suo interno si<br />

possono distinguere il Silvapitheco, il Gigantopitheco e il Kenyapitheco. Versatili,<br />

questi ominoidi si muovevano sia sugli alberi che a terra. La loro non era una<br />

semplice quadrumania ma una quadrumania di tipo acrobatico. La brachiazione è<br />

infatti la capacità di muoversi di ramo in ramo sospendendosi a “penzoloni”. Si<br />

tratta di un passo in avanti rispetto alle abilità già sviluppate dal Cercopiteco. I<br />

Ramapitechi sono le uniche scimmie arboricole del Miocene capaci, anche se per<br />

breve tempo, di reggersi in piedi sulle gambe. Recenti studi sembrano dimostrare<br />

che questa specie era, tuttavia, poco più di un progenitore dell’Orang-Utan; visse in<br />

India e in Pakistan e non sembra essere collegato con la linea evolutiva umana.<br />

Il tipo di alimentazione, basata sulla raccolta di tuberi e frutti secchi, aveva indotto<br />

in loro lo sviluppo di denti con spessi strato di smalto e, sicuramente, erano degli<br />

ipermasticatori. La caratteristica di tutti questi ominoidi è comunque quella di<br />

potersi reggere in piedi solo per breve tempo e, dunque, di non potere permettersi<br />

lunghe deambulazioni come farà in seguito il genere Homo. In effetti, anche se può<br />

sembrare curioso, è stato dimostrato che la discriminante tra il genere Homo e le<br />

scimmie è proprio basato sulla postura eretta. Procedendo nel discorso sarà più<br />

chiara la ragione di questo punto di vista della moderna ricerca scientifica.<br />

Dai Ramapitechi, brachiatori, quadrumani, capaci di camminare brevemente anche<br />

a terra e – finalmente – con una lunghezza delle braccia paragonabile a quella delle<br />

gambe – si staccarono abbastanza presto il proto-gorilla e il proto-scimpanzè.<br />

Il genere Homo è però qualcosa di diverso dunque il famoso “anello mancante” va<br />

cercato in qualche altra direzione.<br />

La cosiddetta nascita dell’uomo: Le prime tracce archeologiche di una sicura<br />

posizione eretta vengono dalle famose orme di Laetoli, una località della Tanzania<br />

posta lungo la Rift Valley. La Rift Valley è una spaccatura naturale della crosta<br />

terrestre che si genera in prossimità del lago di Tiberiade, segue la valle del<br />

Giordano, passa sotto un tratto del Mar Rosso e quindi segna fisicamente un ampio<br />

tratto nord-sud di Etiopia, Tanzania e Kenya. La sua genesi è probabilmente legata<br />

al movimento delle placche continentali e, anche se il processo geologico è molto<br />

lento, è molto probabile che nei prossimi millenni si amplierà ulteriormente.<br />

La Rift Valley è un luogo privilegiato per la ricerca antropologica perché si presenta<br />

come un profondissimo canyon dove gli strati geologici scendono a ritroso per<br />

milioni di anni e si presentano alla vista lungo le falesie naturali. Assieme ai reperti<br />

geologici, le missioni scientifiche hanno qui avuto l’occasione di trovare anche le più<br />

antiche tracce di ominidi.<br />

Nel caso di Laetoli, 3,7 milioni di anni fa l’area era occupata da savana e vi si trovava<br />

un vulcano. A seguito di un’eruzione un’ingente massa di cenere a lapilli venne a<br />

depositarsi sul terreno basale. Su questo strato di ceneri ormai raffreddate<br />

passeggiarono due individui le cui orme dimostrano che disponevano di una piena<br />

postura eretta. Caso volle che poco dopo il loro passaggio si scatenasse un temporale<br />

che trasformò le ceneri vulcaniche in fanghiglia. Infine una nuova eruzione vulcanica<br />

sigillò le impronte fossili, restituendole allo sguardo allibito dei ricercatori negli anni<br />

’70. Ma a chi appartenevano queste orme?<br />

Nel 1974, nella regione dell’Hadar, in Etiopia, venne scoperto lo scheletro completo<br />

di un vero e proprio ominide, una femmina di 20 anni. Lo scheletro venne<br />

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soprannominato Lucy in onore della famosa canzone dei Beatles intitolata “Lucy in<br />

the sky” che veniva frequentemente suonata dalla radiolina disposizione dei<br />

paleontologi sul campo di scavo. Si trattava di uno individuo caratterizzato da<br />

matura bipedìa, con mandibola pronunciata e dentatura molto sviluppata,<br />

soprattutto al livello dei molari che erano necessari per masticare cibo molto<br />

coriaceo. Lo scheletro era naturalmente ancora piuttosto gracile, le braccia più corte<br />

di quelle dei Cercopitechi, le ali iliache abbastanza sviluppate per permettere<br />

l’inserzione dei tendini e dei muscoli che permettevano loro di procedere con la<br />

postura eretta. L’altezza era piuttosto modesta rispetto alla nostra e si aggirava su<br />

1,30 m. con un peso corporeo di 35/40 kg. Il cervello aveva un volume stimabile in<br />

350 cm 3 , molto meno del nostro che si aggira sui 1200 cm 3 . E ‘probabile che gli<br />

autralopitechi disponessero di una pelle moderatamente nuda con parti glabre di<br />

colorito scuro. Dal punto di vista dell’alimentazione dovevano essere per lo più<br />

vegetariani ed erano essi stessi preda di animali carnivori. Non erano in grado,<br />

almeno nelle prime fasi, di costruire strumenti e così sfruttavano rami e sassi che<br />

raccoglievano nella savana. La masticazione prolungata era tanto più necessaria dal<br />

momento che l’Australopiteco non conosceva il fuoco.<br />

Riesaminando il complesso di resti ossei conservati nei diversi musei del mondo e<br />

confrontando le diverse ricerche scientifiche è possibile risalire a ritroso fino al<br />

primo esemplare mai scoperto che risale a oltre cinquant’anni prima. E’ noto infatti<br />

che nel 1925, in una cava a Taung in Botswana, un anatomista di nome Raymond<br />

Dart scoprì un cranietto infantile molto arcaico che fu presentato alla comunità<br />

scientifica. Fu proprio Raymond Dart ad attribuirgli il nome convenzionale di<br />

“australopiteco” (ovvero “scimmia del sud”) un nome che è rimasto in uso nella<br />

comunità scientifica sino ad oggi.<br />

Gli Australopiteci sopravvissero sino ad 1 milione di anni fa, dopo di che si estinsero<br />

definitivamente lasciando spazio a diverse famiglie evolutive sparse su un ampio<br />

territorio.<br />

All’interno della specie austrolopitecina si possono distinguere alcune varianti di cui<br />

diamo qui breve cenno. L’Australopiteco afarensis prende il nome dalla<br />

depressione dell’Afar. Fa parte di questa variante la stessa Lucy. L’Australopitecus<br />

africanus visse nello stesso periodo e si caratterizzava per un cervello più<br />

sviluppato, di circa 500 cm 3 . L’Australopiteco robustus aveva un volume<br />

celebrale leggermente maggiore, una cresta sagittale sul capo e potenti muscoli<br />

masticatori. Secondo alcuni studiosi africanus e robustus rappresentano non due<br />

diversi rami evolutivi ma, semplicemente, la manifestazione di un diformismo<br />

sessuale. Il robustus corrisponderebbe dunque al maschio e l’africanus alla<br />

femmina.<br />

Una breve parentesi va anche riservata al cosiddetto Pitecantropo scoperto<br />

nell’isola di Giava. Per lungo tempo fu considerato l’anello mancante ma si trattava<br />

di un errore; il suo scheletro ha caratteri molto più moderni ed appartiene ad un<br />

ominide del genere erectus, vissuto molto tempo più tardi.<br />

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Naturalmente negli ultimi decenni sono fatte diverse piccole scoperte che sembrano<br />

aiutarci a colmare quello che comunemente viene detto “anello mancante” ovvero<br />

fossili compresi tra i 6 e gli 8 milioni di anni fa. In questo senso possiamo ricordare<br />

la scoperta dell’Ardapithecus ramidus, i cui resti sono datati a 4,4 milioni di anni<br />

fa o quella dell’Australopthecus anamensis. A questi potremmo aggiungere<br />

molti altri tipi di Homo ma la brevità di questa trattazione non permette un<br />

eccessivo livello di approfondimento.<br />

2.4 - L’Homo Habilis e la capacità progettuale: L’Homo habilis è stato identificato sempre<br />

nell’area africana nel corso degli anni ’70. Si tratta di una tipologia di ominide molto<br />

interessante, caratterizzata da un corpo più gracile degli ominoidi, braccia e gambe<br />

di lunghezza sempre più simile, maggiore sviluppo degli incisivi rispetto ai molari<br />

che implicano una diete più diversificata, presenza del pollice opponibile e di una<br />

buona capacità mentale (circa 700 cm 3 ). Il nome di habilis gli è stato dato per il fatto<br />

che a questo tipo di Homo si associa per la prima volta la capacità di produrre<br />

strumenti scheggiati. Questo passo in avanti è molto importante perché sottintende<br />

la capacità progettuale ovvero quella di immaginare astrattamente un prodotto finito<br />

che verrà poi realizzato con una serie di operazioni meccaniche sequenziali.<br />

Gli strumenti tipicamente associati all’Homo Habilis sono i cosiddetti chopper,<br />

ciottoli fluviali che sono stati spaccati in alcuni punti ben definiti con l’azione di<br />

percussione diretta per mezzo di un altro ciottolo. La percussione, in effetti, può<br />

avvenire in due modi: in modo diretto (battendo un ciottolo – chiamato “percussore”<br />

- su un altro – chiamato “nucleo”) o utilizzando una sorta di scalpello (percussione<br />

indiretta). L’uso di uno scalpello poi colpito con un percussore per staccare schegge<br />

da un nucleo sarà una conquista fatta dall’uomo molto più tardi e permetterà di<br />

realizzare lame molto più ricercate, di forma e lunghezza voluta.<br />

In realtà l’Homo Habilis non era ancora un cacciatore: capace di procurarsi tuberi e<br />

radici approfittava delle carcasse di animali abbandonati per lo più da predatori (ad<br />

es. felini) continuando a praticare lo scavening. Potremmo insomma dire che più<br />

che predatore era egli stesso predato. I più antichi oggetti scheggiati dall’umanità<br />

sembrerebbero in verità risalire a 2 milioni e mezzo di anni fa. Questo dovrebbe<br />

quindi implicare che i primi ominidi “abili” furono gli stessi australopiteci; oppure la<br />

datazione dell’habilis va portata ancora più indietro.<br />

2.5 - Come si è evoluto il corpo umano: E’ ora opportuno fare un piccolo riepilogo dei caratteri<br />

che contraddistinguono la specie umana nel corso della sua evoluzione. Come noto,<br />

gli antropologi hanno a disposizione solamente i resti scheletrici che sono veramente<br />

molto parziali. Tuttavia la conformazione delle parti ossee è sempre collegata alla<br />

sua funzione di supporto ai tendini e ai muscoli. Così è possibile risalire a molti dati<br />

sull’aspetto complessivo dei primi ominidi.<br />

Un primo elemento da tenere in considerazione è la dentatura e il tipo di<br />

masticazione. Abbiamo visto che lo sviluppo di molari molto grandi è caratteristico<br />

delle prime fasi storiche dell’uomo perché con i molari è possibile disgregare e<br />

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endere digeribili tuberi e frutti secchi, tipici di quella alimentazione vegetariana<br />

consentita agli autralopiteci. Con Homo Habilis osserviamo un avanzarsi del mento<br />

e uno sviluppo accentuato di incisivi e canini. Questo permette di incidere e<br />

strappare meglio, una cosa particolarmente utile soprattutto quando la dieta si fa<br />

onnivora e comprende anche la carne. E’ inoltre chiaro che nel corso dell’evoluzione<br />

il cervello umano andò ingrandendosi e con esso la scatola cranica. Molto<br />

lentamente, la fronte si fece sempre più verticale (quella umana lo è molto di più di<br />

quella delle scimmie) permettendo un migliore alloggiamento del cervello.<br />

In realtà ci si potrebbe chiedere perché con l’evolversi della specie il cervello si sia<br />

ingrandito. Che rapporto esiste tra la grandezza del cervello e l’intelligenza?<br />

Possiamo ad esempio considerare che l’elefante ha un cervello quattro volte più<br />

grande dell’uomo ma ha un peso corporeo molto più elevato. Se però teniamo in<br />

considerazione il rapporto tra peso corporeo e peso cerebrale osserveremo che<br />

nell’uomo il cervello rappresenta il 2% del peso corporeo e nel lemure raggiunge il<br />

3%. Un risultato non molto prestigioso per la nostra specie. Sembra dunque che la<br />

vera differenza tra i primati e gli altri mammiferi vada cercata nella fase prenatale.<br />

Se infatti confrontiamo le dimensioni del cervello di un feto umano con quello di<br />

una scimmia di pari peso, vedremo che il bimbo umano presenta un cervello molto<br />

più sviluppato. La differenza verrà colmata nel corso della crescita postatale.<br />

Una teoria molto interessante è che la crescita del cervello sia correlata alle<br />

disponibilità energetiche che quella data specie si può permettere in un dato<br />

ambiente. Le scimmie ragno, per es., sono frugifere e hanno una dieta più ricca delle<br />

scimmie ragno che invece di nutrono di foglie raccolte sul terreno. Le prime hanno<br />

una massa celebrale maggiore perché hanno una dieta più ricca mentre le seconde<br />

impiegano molto più tempo nella masticazione e nella digestione con un apporto<br />

calorico finale modesto. Questo ha permesso alle scimmie ragno di deambulare più<br />

ampiamente e di avere relazioni sociali un po’ più complesse. Analogamente, il<br />

genere Homo, nello stadio fetale, sembra consumare una grande quantità di risorse<br />

energetiche che gli sono fornite dalla madre. Si pensi, a questo proposito, che i<br />

bambini nella fase prenatale consumano il 60% dell’energia fornita dalla madre<br />

sotto forma di attività cerebrale. Questa è una eccezione. Così il cervello umano, nei<br />

millenni, ha continuato a crescere potendoselo permettere grazie al graduale<br />

miglioramento della dieta. Negli ultimi millenni il cervello umano sta invece<br />

andando incontro per la prima volta a una diminuzione delle dimensioni se è vero<br />

che l’uomo di Neanderthal aveva un cervello più grande del nostro. A tutto questo si<br />

può aggiungere l’osservazione che l’Australopiteco inventò i primissimi strumenti<br />

quando il suo cervello non si era ancora distanziato di molto in dimensione da quello<br />

delle scimmie. Come si vede il discorso è molto complesso e coinvolge anche la<br />

forma della rete neuronale.<br />

Il capitolo più interessante è invece quello che riguarda la deambulazione, il vero<br />

elemento che distingue le scimmie dell’uomo. La posizione eretta comporta una<br />

serie di svantaggi sperimentabili da ognuno di noi. I quadrupedi piegando la caviglia<br />

tramite i flessori plantari hanno la possibilità di essere immediatamente proiettati in<br />

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avanti e, anche distendendo il ginocchio, ottengono un effetto propulsivo. Tutto<br />

questo dipende dal fatto che il loro baricentro è spostato in avanti. L’uomo invece ha<br />

il baricentro verticale. Dunque quando piega i flessori plantari fa un semplice salto<br />

sullo stesso posto e non procede di un millimetro. Per questo motivo i quadrupedi<br />

hanno una deambulazione molto più veloce della nostra e non soffrono di quel mal<br />

di schiena che affigge molti di noi, soprattutto nella vecchiaia.<br />

L’uomo per spostarsi deve innanzitutto squilibrarsi in avanti: alziamo una gamba<br />

che per un breve istante rimane sospesa nell’aria. Provvedono alla sua locomozione i<br />

muscoli dei glutei e in particolare i bicipiti del femore che collegano le ali iliache del<br />

bacino al retro del femore. La gamba mentre è sospesa in aria tende ad oscillare<br />

anche lateralmente ed è quindi necessario fare intervenire dei muscoli che ne<br />

controllino la posizione. Si tratta dei muscoli abduttori che si agganciano sulle ali<br />

iliache e sono collegati al femore. Per permettere il loro funzionamento il bacino<br />

umano, durante l’evoluzione, si è incurvato così che le nostre ali iliache sono<br />

sp<strong>org</strong>enti. Quelle delle scimmie sono invece piatte. Sbilanciati in avanti, a questo<br />

punto, siamo costretti ad appoggiare il tallone a terra. Per evitare di cadere è<br />

necessario fare intervenire altri muscoli e cioè i quadricipiti del femore che<br />

scavalcano la patella del ginocchio. Trovato un momentaneo equilibrio possiamo ora<br />

sollevare l’altra gamba e continuare a camminare. E’ dunque evidente quanto<br />

macchinosa e complessa sia la locomozione umana. Perché dunque i primi ominidi<br />

si sforzarono di raggiungere questo stadio? Si crede innanzitutto per liberare le mani<br />

e permettere la raccolta e il trasporto di cibo per sé e i propri figli e poi soprattutto<br />

avere una migliore visione di ciò che li circondava. E’ anche per questo che gli occhi<br />

si sono progressivamente avvicinati permettendo una visione stereometrica della<br />

realtà. Gli ominidi presenteranno progressivamente una serie di evoluzioni<br />

strutturali che sono funzionali alla deambulazione eretta: angolo del ginocchio<br />

tendente ai 180°, rafforzamento del tallone per reggere il peso del corpo,<br />

accorciamento delle braccia, perdita dell’opponibilità dell’alluce del piede che<br />

originariamente era utile per appendersi ai rami degli alberi.<br />

2.6 - Homo Erectus: Un esemplare rappresentativo del genere Erectus è il cosiddetto Uomo del<br />

Turkana, scoperto nel 1985 ad ovest del Lago Turkana. Si tratta di un’adolescente<br />

che avrebbe raggiunto, in età matura, l’altezza di 1,70 m.; il corpo era piuttosto<br />

slanciato, le gambe più lunghe delle braccia, il cervello da 1000 cm 3 , aveva una<br />

formidabile masticazione anteriore ed una scatola cranica piuttosto spessa.<br />

All’Homo erectus, vissuto a partire da 1.600.000 anni fa, si associa<br />

tradizionalmente la colonizzazione degli ambienti extra africani che fino a questo<br />

momento – almeno fino a prova contraria - non avevano mai visto la presenza di<br />

alcun tipo di genere umano. Da questo momento troviamo infatti ominidi in Cina<br />

(da cui proviene un reperto battezzato “uomo di Pechino” di ben 500.000 anni,<br />

attualmente, perduto), nell’isola di Giava, in Europa meridionale, in Francia, in<br />

Germania (da cui proviene una delle più antiche scatole craniche d’Europa datata a<br />

600.000 anni fa – loc. Mauer) e in Grecia (cranio di Petralona). Questo nuovo tipo<br />

di ominide ebbe soprattutto la capacità di adattarsi ad ecosistemi e climi molto<br />

differenti da quelli che si potevano trovare nella savana. Distribuendosi su territori<br />

così estesi egli dette probabilmente il via anche alla genesi delle varie razze. A lui si<br />

deve probabilmente l’invenzione di prime capanne usate per brevi periodi durante<br />

gli spostamenti nei territori di caccia e l’accensione dei primi focolari.<br />

Recentemente è stato osservato che l’Homo Erectus, diffusosi all’esterno dell’Africa,<br />

non utilizzava la tecnica di scheggiatura più evoluta che convenzionalmente<br />

chiamiamo acheuleana. Così gli archeologi si sono chiesti per quale ragione non<br />

l’avesse portata con sé visto che nello stesso periodo la si trova nell’area africana.<br />

La cosa è complicata dal fatto che recenti datazioni di reperti di ominidi scoperti<br />

fuori dall’Africa (ad es. l’uomo di Giava e quello di Dmanisi scoperto in Ge<strong>org</strong>ia)<br />

hanno offerto una datazione più antica di quanto supposto fino a poco tempo fa:<br />

circa 1 milione e ottocentomila anni. Dunque l’esodo dall’Africa avvenne prima di<br />

quanto ritenuto sino a ieri. Possiamo dunque dire che fu davvero l’Homo erectus il<br />

responsabile di questa migrazione planetaria?<br />

10


Riosservando i reperti osteologici del periodo della migrazione si è dunque giunti<br />

alla conclusione che sia più corretto attribuirli ad un precursore dell’Homo Erectus<br />

che è stato denominato Homo Ergaster. Costui, vissuto in Africa circa 1.800.000<br />

anni fa non era in grado di andare oltre la realizzazione dei choppers (come l’Homo<br />

Habilis). Quando migro dall’Africa in Asia portò con sé questa tecnica di<br />

scheggiatura primitiva. Solo 1 milione e 400.000 anni fa i suoi discendenti, sempre<br />

in Africa, misero a punto quella tecnica che viene per l’appunto detta acheuleiana<br />

e con cui fu possibile ricavare i primi strumenti a goccia. Il ramo di Erectus sembra<br />

essere un ramo secco nella catena evolutiva. Probabilmente seguì lo stesso destino<br />

dei Neanderthaliani europei che furono eliminati dai Sapiens<br />

Ma che cosa accadeva in quegli anni in Europa? I più antichi resti osteologici sono<br />

relativamente recenti perché non vanno oltre gli 800.000 anni. In particolare,<br />

grandi passi in avanti sono stati fatti negli scavi della Gran Dolina, nella caverna di<br />

Atapuerca, nel nord della Spagna, ad opera di Eudald Carbonell. Qui si sono<br />

trovate tracce di individui che non sembrano conoscere la tecnica acheuluiana ma<br />

che presentano caratteri fisici ancora diversi da quelli dall’erectus asiatico. Questi<br />

ominidi europeisono stati battezzati Homo Rudolfensis. Questi ominidi pare<br />

abbiano seguito un proprio modus evolutivo dando poi luogo, tempo dopo, al<br />

famoso uomo di Neanderthal. Da dove proveniva l’Homo Rudolfenis? Sembra<br />

anch’esso dall’Africa ove se ne sono trovati esemplari vecchi di circa 600.000 anni<br />

fa. Dunque l’Europa sarebbe stata colonizzata da un’ondata differente da quella<br />

asiatica (Erectus) e sviluppatasi ben più tardi.<br />

Esistono molti interrogativi riguardo la possibilità che Homo erectus abbia avuto un<br />

mondo di credenze e di pratiche rituali, per quanto abbastanza primitive.<br />

Nell’ambito del dibattito che si è aperto sin dagli anni ’70, un ruolo significativo è<br />

stato giocato dalla scoperta di un cranio frantumato in centinaia di pezzi nel 1976<br />

nella valle del fiume Awash. (Etiopia) Nella zona degli zigomi e delle arcate orbitali<br />

vi sono stati infatti riconosciute tracce di taglio molto sospette ed eseguite con l’aiuto<br />

di una piccola selce. L’ipotesi è che, dopo la morte dell’individuo, esse siano state<br />

praticate sul cranio per forme di cannibalismo rituale. L’osservazione ha facilitato il<br />

riesame di alcune vecchie testimonianze relative al cosiddetto ominide di<br />

Choukoutien (in Cina) i cui resti sono però andati perduti durante la seconda<br />

Guerra Mondiale. Nella grotta cinese fu scoperta una quantità di crani<br />

preponderante rispetto ai resti scheletrici, una cosa anomala che aveva indotto gli<br />

studiosi a chiedersi se questi ultimi non fossero stati introdotti intenzionalmente<br />

come “sepolture secondarie”. Tracce di rottura su alcune ossa facevano inoltre<br />

pensare che si fosse tentato in qualche modo di raggiungere la massa cerebrale.<br />

L’antropofagia è attestata tra popolazioni di età storica; gli esploratori hanno<br />

riferito di gruppi umani che trattenevano le teste dei defunti come trofei<br />

partecipando, dopo la loro essicazione, a forme di pasto rituale. Il cranio di Bodo<br />

(così fu soprannominato il cranio scoperto ad Awash) si data tra 200 e 500 milioni<br />

di anni fa e dunque potrebbe essere appartenuto ad un Homo ergaster, ma anche su<br />

questo permangono dubbi.<br />

11


2.7 - La nascita delle prime capanne: Un luogo comune sulla preistoria, analogo all'etichetta di<br />

«età della pietra», è sicuramente la definizione di «uomo delle caverne».<br />

L'immagine dei nostri più lontani antenati che, abbandonata la foresta, cercano<br />

disperatamente un rifugio nelle grotte e magari le contendono ad animali feroci ha<br />

avuto un discreto successo; per la verità è una ricostruzione che dovrebbe far<br />

sorridere. Prima di tutto bisogna riconoscere che la culla dell'umanità, in particolare<br />

le regioni vulcaniche del Kenia e della Tanzania, sono davvero povere di<br />

caverne: quindi, se l'Homo habilis avesse abitudini cavernicole, dovrebbe sentire<br />

più di noi il problema della casa, per quanto sia una specie ancora poco numerosa.<br />

Né ci devono ingannare le tracce di esseri umani o di animali entrati in grotte per<br />

cause naturali: è il caso degli inghiottitoi di Sterkfontein e di Swartkrans, in<br />

Sudafrica; si tratta di caverne-pozzo che hanno svolto la funzione di imbuto,<br />

inghiottendo quanto trasportato dalle acque di superficie o che comunque vi è<br />

caduto, ossa di australopiteci e di Homo habilis comprese.<br />

Le tracce archeologiche dei primi accampamenti umani sono tutte all'aperto e, fatto<br />

ancora più sorprendente, rivelano resti di probabili capanne. La località di<br />

riferimento è, ancora una volta, la gola di Olduvai: l'Homo habilis, circa 1800 000<br />

anni fa, costruisce un cerchio di ciottoli di circa 4 metri di diametro ed alto sino ad<br />

una trentina di centimetri; la struttura è interpretata come la base d'appoggio per<br />

rami che formano l'ossatura di una capanna. Olduvai non è un caso isolato:<br />

ammassi di ciottoli disposti ad ellisse od a cerchio e con dimensioni variabili tra 3 e<br />

6 metri sono stati scoperti nel sito contemporaneo ad Olduvai di Melka Kunturé<br />

(Etiopia). La base, sempre più o meno circolare, è dovuta al fatto che coincide con<br />

il modo più semplice per costruire la capanna: i rami sono appoggiati<br />

obliquamente uno contro l'altro e l'abitazione assume una forma conica. L'analisi<br />

dei pollini ha inoltre dimostrato un'occupazione prevalentemente invernale delle<br />

capanne, il che conferma la funzione anti-intemperie di queste strutture. Anche<br />

l'Homo erectus mostra di preferire gli abitati all'aperto. È esemplare la serie di<br />

grandi stanziamenti scoperta alla periferia di Isernia (località La Pineta): qui<br />

le tribù di Homo rudolfenisis, circa 700 000 anni fa, si accampano sulle rive di<br />

un fiume, occupando uno spazio di alcune migliaia di metri quadrati. Per la verità,<br />

non mancano stanziamenti in caverna, concentrati soprattutto in Europa ed in<br />

Asia settentrionale: tra questi, i più importanti sono quelli di Choukoutien, che<br />

hanno rivelato i resti del cosiddetto Sinantropo.<br />

La scelta dell'accampamento in caverna o all'aperto sembra così dovuta a più<br />

fattori, come la disponibilità locale di rifugi naturali, il clima e la durata prevista<br />

del soggiorno.<br />

2.8 - La scoperta del fuoco: In alcuni siti esplorati nell'Etiopia e nel Kenia si individuano tracce<br />

della presenza del fuoco, databili a partire da un milione e mezzo di anni fa. Ma si<br />

tratta di indizi troppo incerti, che non permettono di asserire che l'uomo usasse già<br />

così anticamente il fuoco.<br />

In realtà, da quello che ci è dato sapere oggi, ben più tardi, meno di mezzo milione di<br />

anni fa, l'Homo erectus scopre l'uso del fuoco: infatti non si conoscono tracce di<br />

focolari precedenti alla glaciazione alpina Mindel. Quelli, ad esempio, degli accampamenti<br />

all'aperto di Terra Amata, ad est di Nizza, o degli abitati nella grotta<br />

di Choukoutien, databili tra i 450 000 ed i 300 000 anni fa, sono dunque fra i più<br />

antichi focolari tutt'oggi noti sulla Terra. Nel caso di Terra Amata (accampamento<br />

datato a quasi 400 000 anni fa) si osserva che i focolari sono costruiti con cura: si<br />

trovano dentro la capanna e vengono accesi o su un piccolo basamento di ciottoli o<br />

su una conca scavata nel terreno; inoltre un mucchio di ciottoli tenuto insieme con<br />

della sabbia protegge il fuoco dai venti di nord-ovest ancora oggi dominanti. Come<br />

se non bastasse, l'Homo erectus a Terra Amata sa che il legno resinoso si incendia<br />

più facilmente e lo predilige: così ci informa l'analisi dei carboni che provengono dai<br />

focolari.<br />

Non ci possono quindi essere dubbi sul fatto che l'uomo ha ormai raggiunto una<br />

discreta confidenza con la fiamma: il che fa supporre che sia già trascorso molto<br />

tempo dal primo impatto, dal primo uso del fuoco.<br />

Una conferma sembra provenire dalla località di Torralba, circa 150 km a nord-est<br />

di Madrid. È uno dei tanti giacimenti preistorici venuti in luce il secolo scorso per<br />

12


caso: nel 1888, gli operai che dovevano tracciare la strada ferrata si trovarono di<br />

fronte ad ossa di elefante. Quasi cento anni di ricerche permettono una ricostruzione<br />

abbastanza attendibile di battute di caccia avvenute 300 000 anni fa: l'Homo erectus<br />

sarebbe riuscito a spingere mandrie di elefanti dalla prateria verso zone paludose, in<br />

cui i pachidermi sarebbero sprofondati, diventando più facile preda dei cacciatori; lo<br />

strumento usato per cacciare in trappola questi giganteschi animali sarebbe proprio<br />

il fuoco (legni carbonizzati provengono dalle superfici su cui gli elefanti sono stati<br />

uccisi e macellati).<br />

Le tracce di combustione e i focolari veri e propri diventano numerosi solo più tardi,<br />

a partire da giacimenti contemporanei alla glaciazione alpina Riss (200 000 anni fa)<br />

e la loro varietà aumenta naturalmente man mano si procede verso tempi più<br />

recenti. Qualunque sia il modo con cui l'uomo prende padronanza del fuoco e riesce<br />

a produrlo, sta di fatto che questo prodotto migliora sensibilmente la qualità della<br />

vita: oltre al vantaggio di disporre di cibo cotto, più tenero e più digeribile, va detto<br />

che il calore e la sicurezza che la fiamma fornisce favoriscono la stabilità e la<br />

coesione tra i membri delle comunità. Inoltre il dominio del fuoco è di grande utilità<br />

in situazioni climatiche critiche e solo grazie al fuoco è possibile estendere la zona<br />

d'influenza dell'uomo alle aree fredde. Anche il ritmo giorno/notte imposto dalla<br />

luce solare è in parte superato: così si accresce l'attività giornaliera e, con essa,<br />

l'opportunità per l'uomo di estendere i propri interessi ad un ventaglio ben più<br />

ampio di operazioni (il che è uno stimolo alla creatività umana).<br />

Il fuoco offre dei vantaggi ma impone anche qualche vincolo: la sorveglianza e<br />

la cura continua di cui necessita implicano una più alta complessità ed<br />

<strong>org</strong>anizzazione delle mansioni di ogni individuo, conducendo a una maggiore<br />

specializzazione del lavoro. La cottura degli alimenti ne è un esempio: una parte<br />

del tempo disponibile deve essere speso per procurare il combustibile, per<br />

approntare il focolare e quindi per cuocere.<br />

2.9 - L’Homo Neanderthalenis: Nel 1856, alcuni operai all’opera nella Valle di Neander (presso la<br />

grotta di Feldhofen), in Germania – non lontano da Dusserdolf – portarono alla luce<br />

i resti di un ominide dai caratteri del tutto insoliti. Si trattava dei resti di un<br />

individuo piuttosto robusto con una notevole capacità cranica ma caratteri piuttosto<br />

arcaici: fosse orbitali molto segnate, zigomi inclinati verso il basso, fronte sfuggente,<br />

eccezionale capacità cranica. Solo un anno dopo, William King, attribuiva a questo<br />

individuo il nome di Homo neanderthalensis, denominazione che è rimasta<br />

valida sino ad oggi.<br />

Osservando questi resti umani l'anatomista H. Schaaffhausen si convinceva di<br />

avere di fronte le ossa di una specie umana estinta. Ma Darwin avrebbe esposto le<br />

sue idee sull'evoluzione degli esseri viventi solo due anni dopo: ne conseguì che per<br />

lo studioso tedesco quelle ossa non potevano appartenere ad un nostro antenato.<br />

Egli pensava piuttosto che si trattasse di un individuo di una razza particolarmente<br />

selvaggia, vissuta nel nord Europa al tempo dei Romani.<br />

13


Uno studioso francese, Marcellin Boule, dopo aver analizzato ossa simili scoperte<br />

presso il sito francese di Le Chapelle aux-Saint - nel 1908 - giunse alla<br />

conclusione che si trattava di un essere involuto a metà strada tra la scimmia e<br />

l’uomo moderno. Nelle ricostruzioni dell’epoca, effettivamente, l’uomo di<br />

Neanderthal appare un po’ caricaturale, con la gobba, le gambe un po’ curve, i piedi<br />

ruotati e modestissime possibilità di comunicare con il linguaggio. In questa<br />

accezione l’uomo di Neanderthal appariva come un essere aberrante, una sorta di<br />

mostruosità deforme frutto di una degenerazione genetica. In realtà, oggi sappiamo<br />

che i neandertaliani furono abili cacciatori, che approfittarono dell’ampia<br />

disponibilità di fauna in un particolare periodo climatico caratterizzato da un brusco<br />

abbassamento delle temperatura. L’apogeo di Neanderthal coincide infatti con il<br />

periodo delle glaciazioni. A livello strutturale presentavano scheletri robustissimi,<br />

un cranio leggermente più basso del nostro, arcate sopraorbitali sp<strong>org</strong>enti, un<br />

cervello addirittura più sviluppato volumetricamente di quello dell’uomo moderno<br />

(1650 cm 3 ), una fonte ancora abbastanza sfuggente all’indietro, mascella superiore<br />

molto massiccia, narici larghe e un cranio sp<strong>org</strong>ente lungo la linea mediana, cosa a<br />

cui corrispondeva una certa specializzazione degli incisivi. Per quanto riguarda gli<br />

arti, gli avambracci e le gambe erano molto corti se rapportati alle braccia ed alle<br />

cosce: curiosamente questo carattere si riscontra ancora fra i Lapponi e gli<br />

Eschimesi attuali e viene generalmente interpretato come una forma di<br />

adattamento ad un clima più freddo. Infine, nonostante la struttura ossea e<br />

muscolare nella zona orale fosse massiccia, vi sono buone ragioni per pensare che i<br />

neandertaliani fossero in grado di esprimere una forma di linguaggio piuttosto<br />

articolato.<br />

In molte mandibole neanderthaliane si nota un diastema tra i molari abbastanza<br />

insolito; per spiegarlo si ipotizzato che questi ominidi conciassero le pelli<br />

masticandole. Le inserzioni dei muscoli sulle ossa sono molto segnate e questo fa<br />

pensare che fossero molto forti. Come noto, l’apparato muscolare si aggancia<br />

all’apparato scheletrico tramite i tendini ed i tendini lasciano sulle ossa segni ben<br />

riconoscibili. Nel corso del lungo meccanismo evolutivo prevalgono quelle strutture<br />

scheletriche conformate in modo da favore l’azione muscolare. Nel caso dei<br />

Neanderthaliani l’astragalo – un osso della caviglia – era piatto per rinforzare la<br />

caviglia stessa, anche l’arcata plantare e le dita dei piedi erano più robuste del<br />

normale ed i polpastrelli avevano una protuberanza tuberosa che doveva conferire<br />

alle dita una certa presa. Nelle scapole si nota un incavo che favorisce l’inserzione di<br />

un muscolo chiamato rotondo piccolo – che lega scapole ed omero - ; esso viene<br />

sfruttato soprattutto durante il getto. Il rotondo piccolo, contraendosi, avvicina<br />

l’omero alle scapole e permette il controllo del braccio durante il lancio. Una cavità<br />

sulle scapole facilita la funzione di questo muscolo; nei neanderthalani essa è molto<br />

ben sviluppata.<br />

14


I neanderthalani avevano anche un arco superiore del bacino alleggerito che creava<br />

un foro tra le ossa pelviche più sviluppato così da avvantaggiare il parto, tanto più<br />

che, come abbiamo visto, le dimensioni del cranio erano intanto notevolmente<br />

cresciute. I neanderthaliani hanno lasciato anche una cultura materiale di grande<br />

livello. Producevano raschiatoi, punte di freccia, pugnali molto raffinati con una<br />

capacità di progettazione che sottintende una certa capacità di astrazione.<br />

L'industria musteriana costituisce, grosso modo, un aspetto della cultura materiale<br />

prodotta dall’Uomo di Neanderthal. E come costui è una figura dai contorni un po'<br />

sfumati, sia nello spazio che nel tempo, così sono altrettanto annebbiate le origini e<br />

l'area di diffusione dell'industria musteriana. Certo è possibile riconoscere<br />

soprattutto un aspetto che si diffonde con essa e che ne fa qualcosa di nuovo e<br />

rivoluzionario rispetto ai prodotti dell'Homo erectus. Si tratta di una tecnica di<br />

scheggiatura della pietra che aveva lo scopo di controllare la grandezza e la forma<br />

della scheggia che si voleva estrarre, facendo subire al ciottolo una scheggiatura<br />

preliminare (il ciottolo pre-lavorato assume la denominazione di nucleo).<br />

Per procedere nella scheggiatura era necessario sezionare, a livello immaginario, il<br />

ciottolo con una linea orizzontale e poi effettuare una serie di scheggiature di<br />

preparazione. A seguito di questo, il blocco poteva dare molte schegge allungate<br />

senza deteriorarsi ma anzi presentando sempre nuove superfici pronte per essere<br />

lavorate. La grande importanza di questa tecnica sta nel fatto che i nuclei e le<br />

schegge sono dei prodotti di forma e dimensioni standardizzate e, quindi,<br />

estremamente funzionali. Questa tecnica viene definita levalloisiana, dal nome di<br />

un sobb<strong>org</strong>o nordoccidentale di Parigi, Levallois-Perret, in cui già nel secolo scorso<br />

si raccoglievano strumenti di selce lavorati in questo modo.<br />

Oggetti di questo tipo si diffonderanno ben oltre la zona di sviluppo dei neandertaliani:<br />

sono attestati, ad esempio, in Cina, in India e in Sudafrica.<br />

2.10 – La cura dei defunti: I neanderthalani sono anche responsabili dei primi atti di cura dei<br />

defunti.La sepoltura - cioè la deposizione intenzionale di un cadavere nel terreno ed il<br />

suo ricoprimento che ne esclude la vista agli altri uomini ed agli animali - può<br />

motivarsi solo con la convinzione che la morte sia un fatto temporaneo, che esista un<br />

Oltretomba; solo in questo caso, in vista di un eventuale ritorno alla vita, si impone<br />

che il corpo sia protetto dagli agenti disgregatori che operano sulla superficie.<br />

Come abbiamo detto, non si può affatto escludere che già tempo prima del s<strong>org</strong>ere<br />

della cultura musteriana i cadaveri fossero oggetto di un trattamento specifico, di cui<br />

può non è rimasta alcuna traccia. Tuttavia le molte sepolture di neandertaliani,<br />

rinvenute a partire dal secolo scorso, non lasciano dubbi sul fatto che è solo con i<br />

gruppi musteriani che questa pratica si diffuse.<br />

A prima vista il quadro finora delineato potrebbe suggerire l'idea che la cultura<br />

musteriana sia un fatto molto esteso nel tempo e nello spazio e, per di più, dotato di<br />

grande omogeneità. In realtà essa è certamente contraddistinta da alcuni elementichiave<br />

comuni (ad esempio, la tecnica levalloisiana e la sepoltura dei morti), ma per<br />

tutto il resto di omogeneo vi è assai poco.<br />

15


Già nel 1914, durante gli scavi presso la grotta di Le Moustier, furono individuate<br />

due sepolture neanderthaliane in fossa terrigna (una di adulto e una di bambino) che<br />

sembravano essere state volontariamente sigillate con alcune pietre poste di piatto.<br />

Sei anni dopo, nel riparo francese di La Ferrassie, l’archeologo Denis Peyrony<br />

portò alla luce una serie di sepolture in fossa spesso affiancate da piccoli monticelli<br />

di terra o di scagliette di pietra. I corpi non disponevano di corredo – l’esistenza di<br />

ricchi corredi, indice di una differenziazione sociale, è infatti attribuibile per la<br />

prima volta solo all’Homo Sapiens Sapiens - ma alcune scagliette di osso e pietra<br />

poste nella fossa sembrano essere stati una forma di omaggio al defunto.<br />

A Shanidar, una grotta situata nell’Irak curdo nei Monti dello Zagros, sono state<br />

trovate diverse sepolture. Alcune erano di individui morti a seguito del crollo di una<br />

parte della grotta; alcune scagliette di pietra furono poste sopra le fosse sepolcrali<br />

come segno di rispetto. Un altro individuo sembra sia stato colpito da una punta di<br />

freccia al torace e morto di morte violenta. C’è chi ha visto in questo evento la prova<br />

di una scontro tra i Sapiens che possedevano già l’arco e le frecce ed i neandertaliani,<br />

in una competizione che avrebbe visto vittorioso il nostro ramo evolutivo ma… una<br />

“rondine non fa necessariamente primavera”. Ciò che invece è significativo è che i<br />

congiunti deposero fiori gialli e azzurri ai lati della tomba, (giacinto selvatico, altea<br />

rosata, senecio) anticipando un comportamento che potremmo definire moderno. In<br />

Uzbekistan a Tekis Tas, a 100 km da Samarcanda, dei palchi di cranio di stambecco<br />

(ovis siberiensis) furono deposti in cerchio attorno alla sepoltura di un bambino di<br />

8-9 anni.<br />

Infine, possiamo citare il caso del sito di Kebara, in Israele, ove un neanderthaliano<br />

fu sepolto in una fossa in posizione supina ma mutilato della testa (la mandibola<br />

invece si trovava al suo posto), privo della gamba destra e con la gamba sinistra<br />

incompleta. Secondo gli scopritori, il corpo fu inserito a forza contro una delle pareti<br />

della roccia. E’ interessante che tutto il resto dello scheletro era ancora in<br />

connessione anatomica, dunque le pratiche di mutilazione avvennero quando le<br />

parti molli non si erano ancora decomposte.<br />

Si tratta di tutti segni che dimostrano una sviluppata sensibilità del genere<br />

Neanderthal. Anche in Tunisia, a El-Guettar è stato portato alla luce un cumulo di<br />

pietre artificiale alto 75 cm e con un diametro di 1m e 35 cm., realizzato da<br />

neanderthaliani facendo uso di pietre opportunamente arrotondate; fu costruito per<br />

coprire resti ossei, denti e selci scheggiate parte di un qualche misterioso rito<br />

religioso.<br />

I neanderthalani si svilupparono nella fascia compresa tra Gibilterra e l’Estremo<br />

Oriente tra 150.000 anni fa e 35.,000 anni fa. Durante tutta la loro permanenza in<br />

questa fascia essi non incontrarono presumibilmente ne Erectus né Sapiens Sapiens.<br />

E’ però certo che attorno ai 35.000 anni fa scomparsero lasciandoci ampio spazio.<br />

Da tempo ci si chiede come questo sia potuto accadere. Secondo alcuni scienziati i<br />

Neanderthal si sarebbero fusi con i nuovi venuti (Sapiens) e, avendo caratteri geetici<br />

regressivi, avrebbero lasciato in noi un a modesta eredità. Se fossi così una parte di<br />

sangue neanderthaliano scorrerebbe anche nelle nostre vene. Questa ipotesi però è<br />

molto problematica da sostenere. Infatti lo spazio di tempo intercorso tra gli ultimi<br />

individui noti del primo tipo ed i primi del secondo è troppo breve perché si sia potuta<br />

verificare un'evoluzione sia graduale che puntuata dall'uno all'altro. Recenti analisi<br />

sul DNA mitocondriale hanno recentemente dimostrato che l’ipotesi è molto remota.<br />

Secondo un’altra teoria, i Sapiens Sapiens, già insediati in Africa e in Australia<br />

avrebbero iniziato una lenta invasione dell’Europa sottomettendo e decimando i<br />

Neanderthal che disponevano di armi meno sofisticate. L’ipotesi non è però<br />

facilmente sostenibile dal momento che, abbiamo visto, i Neanderthal disponevano<br />

di buone competenze tecnologiche. Alcuni puntano il dito sulle variazioni del clima e<br />

in particolare sulla possibilità di carenze energetiche derivate dall’esaurirsi delle<br />

glaciazioni, un fenomeno che certamente portò ad un precoce esaurimento della<br />

fauna di grandi mammiferi che popolava l’Europa (mammuth, tigri dai denti a<br />

sciabola, orsi Speleus etc). L’Homo Sapiens necessitando di minore risorse<br />

16


energetiche e capace di costruire archi e frecce (strumento micidiale e molto preciso,<br />

capace di uccidere al primo colpo anche piccola selvaggina) avrebbe avuto la meglio.<br />

Un’altra teoria è quella epidemiologica per cui i sapiens avrebbero avuto alcuni<br />

anticorpi capaci di farli sopravvivere ad una epidemia particolarmente aggressiva.<br />

Come dimostra la varietà delle teoria, la scomparsa repentina di Neanderthal dal<br />

quadro europeo è un fitto mistero.<br />

2.11 - Cro Magnon, L’uomo moderno: Quando nel 1868 si stava costruendo la ferrovia Agen-<br />

Périgueux, mentre si lavorava a pochi metri dalle case di Les Eyzies de-Tayac (Francia<br />

sudoccidentale), venivano portati alla luce i resti di cinque individui che furono<br />

riconosciuti come appartenenti ad una razza fossile sconosciuta. In realtà quello di<br />

Cro-Magnon non è che uno dei primi esemplari europei di uomo moderno,<br />

dell'Homo sapiens sapiens. Il successo dell'Homo sapiens sapiens è veramente<br />

straordinario. Tra i 40 000 ed i 30 000 anni fa, nel cuore dell'ultimo episodio glaciale,<br />

alla fine del Pleistocene, egli conquista tutti i continenti, spingendosi con successo<br />

anche in America ed in Australia e penetrando persino nelle regioni artiche. In realtà,<br />

però, è tutt'altro che chiarito da quale continente o regione i sapiens sapiens abbiano<br />

iniziato la loro straordinaria avventura. Gli studi più moderni hanno permesso di<br />

mettere a punto due teorie: secondo la prima l’Homo sapiens sapiens sarebbe una<br />

evoluzione dell’Homo Ergaster/Erectus. E’ però possibile che i nostri progenitori si<br />

siano distinti evolutivamente in un periodo relativamente recente (150.000 anni fa)<br />

sempre in Africa e da qui abbiano attuato una colonizzazione del mondo a spese<br />

degli ominidi più vecchi: neanderthaliani in occidente, Erectus in Oriente.<br />

Anche il Vicino Oriente spesso viene candidato a ruolo di punto di origine dei Sapiens<br />

perché una delle poche regioni extraeuropee ad essere oggetto di importanti indagini.<br />

In realtà sono state avanzate di recente ipotesi basate sullo studio del patrimonio<br />

genetico delle popolazioni attuali: dalle somiglianze e differenze così emerse, si ritiene<br />

che l'uomo moderno abbia la sua origine in Africa, secondo uno schema che quindi si<br />

ripropone dai tempi dell'Homo erectus.<br />

2.12 - La tecnologia dell’uomo moderno: L’Homo sapiens sapiens introdusse, indubitabilmente,<br />

nuove tecniche di scheggiatura della pietra. Ferma restando la parentela di queste<br />

tecnologie con la cultura musteriana, è comunque innegabile che la nuova tecnologia<br />

di produzione delle schegge sia un aspetto rivoluzionario: lo si avverte soprattutto se<br />

si considera che essa determina importanti conseguenze sulle abitudini dei gruppi<br />

umani; inoltre si associa ad altri fatti che non coinvolgono soltanto il mondo della<br />

tecnica, ma anche l'economia ed il pensiero. Insomma, ve n'è quanto basta per<br />

definire una nuova fase delle culture umane, il paleolitico superiore<br />

L'aspetto che più salta all'occhio osservando le schegge prodotte con la nuova tecnica<br />

è che sono lunghe e strette e dal bordo piuttosto regolare. Per ottenere questo<br />

risultato il nucleo di selce deve essere preparato in modo da raggiungere la forma di<br />

una specie di prisma o di piramide; a questo punto, scheggiando il bordo a partire<br />

dalla base del nucleo e seguendone il perimetro, si ottengono non una, ma più schegge<br />

allungate (che sono definite «lame»).<br />

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I vantaggi che derivano dall'uso di questa tecnica sono notevoli. Innanzitutto è<br />

evidente il risparmio di materia prima: da un nucleo si ottengono più strumenti e<br />

questo fatto costituisce un vantaggio non trascurabile, soprattutto nelle regioni in<br />

cui rocce come la selce sono scarsamente a disposizione. Inoltre le lame sono dei<br />

prodotti più utili delle semplici schegge perché, essendo più lunghe, possono essere<br />

più facilmente inserite in manici o possono essere ritoccate alle due estremità (ad<br />

esempio su un'estremità si può ottenere uno strumento utile a perforare e sull'altra<br />

un oggetto atto a pulire le pelli). Per di più, dato che le lame mostrano i bordi più<br />

rettilinei delle schegge, sono di per sé più adatte a fare da lame di coltelli e sono<br />

invece più penetranti se sono state prodotte per farne punte di lance. Questa tecnica<br />

di base è poi soggetta a continui perfezionamenti. Ma non è solo con l'industria in<br />

pietra che si manifesta questa rinnovata ingegnosità perché contemporaneamente si<br />

sviluppa e si diversifica la produzione di strumenti in osso. Stupefacenti sono gli<br />

aghi,i punteruoli-pugnali, gli elementi di collane, ma soprattutto gli arpioni, prodotti<br />

in corno e sorprendentemente simili a quelli della tradizione esquimese. Ad essi si<br />

associano i propulsori, bastoni dotati di uncino ed utilizzati per gettare lance (così<br />

si moltiplica la capacità di lancio del semplice braccio). Questi strumenti si adattano<br />

particolarmente alla caccia di grossi animali su spazi aperti, su praterie, che devono<br />

essere particolarmente estese in Europa settentrionale durante l'ultima espansione<br />

dei ghiacci (la fase più acuta della glaciazione Wurm, secondo la serie definita sulle<br />

Alpi).<br />

Questo intenso utilizzo dell'osso è reso possibile grazie all'introduzione di un<br />

attrezzo di pietra (che gli archeologi definiscono «bulino», per analogia<br />

con l'omonimo strumento moderno), ottenuto appuntendo l'estremità di una lama.<br />

Con questo strumento viene anche lavorato il legno, ma in questo caso i reperti sono<br />

ovviamente scarsi. Inoltre, anche se mancano prove archeologiche dirette, deve<br />

essere in uso una sorta di trapano perché pietre e conchiglie, denti di cervo o altri<br />

oggetti di osso, con cui si producono collane, sono forati alla perfezione. Se non si<br />

osserva nella tecnologia una netta cesura tra il mondo dei neandertaliani e quanto<br />

segue, è pur vero che le novità sopra illustrate si affermano definitivamente solo fra<br />

le comunità di uomini moderni. Un'ulteriore testimonianza dello straordinario<br />

sviluppo culturale che sembra coincidere con l'affermarsi in Europa dell'uomo<br />

moderno è costituita dalla cosiddetta arte rupestre.<br />

2.13 – Epipaleolitico/Mesolitico e cacciatori post-glaciali:<br />

L'esaurimento dell'ultimo fenomeno glaciale (glaciazione Wurm secondo la serie<br />

definita sulle Alpi) determina importanti conseguenze anche sull'ambiente europeo.<br />

Ad esempio, il paesaggio di tundra e di prateria, che doveva essere il più<br />

caratteristico del nostro continente, viene progressivamente sostituito dalla foresta.<br />

Di conseguenza tendono a ridursi gli spazi per le mandrie di grandi animali, come i<br />

mammuth, i bisonti, i cavalli e le renne. L'adattamento dell'uomo a questi<br />

mutamenti ambientali è una questione di sopravvivenza e coinvolge il campo delle<br />

tecnologie, dell'<strong>org</strong>anizzazione sociale ed anche le scelte alimentari. È un complesso<br />

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di realtà nuove che ha portato molti archeologi a riconoscervi una specifica fase dello<br />

sviluppo delle culture umane (Mesolitico).<br />

Impossibilitate a condurre grandi battute di caccia ai branchi di mammiferi di grossa<br />

taglia, le tribù trovano sostentamento nella caccia a selvaggina di piccola taglia o<br />

comunque ad animali non gregari che abitano la foresta, nella raccolta di prodotti<br />

vegetali, nella pesca e soprattutto nella raccolta di molluschi che assumono ora un<br />

ruolo importante nell'alimentazione. È in pratica la prima volta che l'acqua (i fiumi, i<br />

laghi ed i mari) attira l'attenzione dei cercatori di cibo. Una dimostrazione di cosa<br />

significhi la raccolta dei molluschi per queste comunità è data dagli enormi accumuli<br />

di conchiglie che costituiscono la «spazzatura» di accampamenti, soprattutto lungo<br />

le coste atlantiche dell'Europa. A questi nuovi orientamenti dell'alimentazione corrispondono<br />

nuovi strumenti. Basterebbe pensare all'invenzione degli ami, delle reti e<br />

delle trappole da pesca che si accompagnano a questo interesse per l'ambiente<br />

acquatico. Ma il manufatto più caratteristico di questa fase è sicuramente l'arco. La<br />

testimonianza più esplicita dell'uso dell'arco è costituita da una serie di piccole<br />

pitture scoperte in caverne della Spagna orientale. Contrariamente alle precedenti<br />

testimonianze di arte rupestre, le figure sono stilizzate, ma sono anche descritte delle<br />

vere e proprie scene nelle quali, spesso, l'arco è il protagonista.<br />

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L'arco è sicuramente uno strumento formidabile per i cacciatori: esso infatti è come<br />

una molla che lancia un dardo ad una velocità di gran lunga superiore rispetto al<br />

semplice braccio o al propulsore; in tal modo la freccia acquista una capacità di<br />

penetrazione enorme e la possibilità di sorprendere la selvaggina diventa maggiore;<br />

inoltre le frecce sono più piccole e leggere delle lance e quindi il cacciatore può<br />

portarne con sé un numero elevato e lanciarne a ripetizione con velocità.<br />

In base agli aspetti qui elencati, si può intuire che l'alimentazione di queste comunità<br />

sia più varia rispetto a quella dei cacciatori delle praterie e della tundra glaciali. Ciò significa<br />

anche la capacità di sfruttare più sistematicamente le risorse offerte<br />

dall'ambiente: questa tendenza è riscontrabile addirittura nella produzione di<br />

strumenti in pietra, in cui si punta a realizzare oggetti con il minore spreco di selce e<br />

quindi a ridurre la dipendenza dalle zone di affioramento della materia prima. La<br />

logica conseguenza è che l'uomo dispone di mezzi ed effettua delle scelte che gli<br />

consentono di spostarsi sempre meno, portandolo verso una forma di semisedentarietà.<br />

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