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Il sistema bancario italiano - Etudes économiques du Crédit Agricole

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Le caratteristiche del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>: evoluzione dell’attività e delle performance<br />

MARCELLO MESSORI<br />

nel dopo-crisi. Al riguardo, è necessario richiamare<br />

altre <strong>du</strong>e peculiarità: la dinamica della profittabilità<br />

del settore fra la fine degli anni Novanta e i primi anni<br />

del Duemila; il connesso ruolo, svolto dall’intermediazione<br />

bancaria, per l’allocazione della ricchezza<br />

finanziaria delle famiglie italiane.<br />

Superata la lunga crisi di metà degli anni Novanta, fra<br />

il 1998 e il 2000 il settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> ha ottenuto<br />

valori crescenti del ROE netto (da 7,4 a 11,6) e si è<br />

così avvicinato alla profittabilità media europea. Seppure<br />

in un quadro macroeconomico meno favorevole, fra il<br />

2001 e il 2003 esso ha mantenuto i valori del ROE netto<br />

fra il 6,2 e lo 8,8; e, dal 2004 al 2007, ha realizzato ROE<br />

netti oscillanti intorno al valore di 10 (arrivando alla<br />

soglia dello 11,8 nel 2006) (cfr. Banca d’Italia, vari<br />

anni). Tali dati indicano che, pur senza aver mai raggiunto<br />

i massimi livelli della redditività bancaria internazionale,<br />

fra la fine degli anni Novanta e il 2006 il<br />

settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> si è – dapprima – avvicinato e<br />

– poi – ha tenuto il passo con la profittabilità media delle<br />

banche europee. Ne deriva un ovvio interrogativo:<br />

come è stato possibile, per l’insieme delle banche italiane,<br />

recuperare i divari di redditività mantenendo una<br />

specializzazione tradizionale?<br />

Per rispondere a questo interrogativo, è necessario considerare<br />

che: il processo di consolidamento del periodo<br />

1990-2007 ha accresciuto il grado di concorrenza<br />

bancaria nei servizi alle imprese e ha, così, compresso<br />

i margini di interesse; dalla seconda metà degli<br />

anni Novanta, in Italia il rapporto prestiti bancari/depositi<br />

bancari è stato ampiamente superiore a 1 e più elevato<br />

di quello medio nell’area dell’euro e – a maggior<br />

ragione – di quello negli Stati Uniti (cfr. Messori 2009,<br />

pp. 81-2); dall’inizio degli anni Duemila, in Italia l’andamento<br />

di tale rapporto ha fatto sì che il capitale<br />

proprio non fosse sufficiente per compensare i divari fra<br />

le voci tradizionali dell’attivo e del passivo dei bilanci<br />

bancari; pertanto, l’insieme delle banche italiane è<br />

diventato un debitore netto nei mercati interbancari<br />

internazionali e, rafforzando la propria precedente funzione<br />

di riallocazione della ricchezza finanziaria delle<br />

famiglie dai titoli del debito pubblico a portafogli più articolati,<br />

ha collocato un elevato ammontare di obbligazioni<br />

(plain vanilla e strutturate) nei mercati finanziari<br />

nazionali; per di più, dato lo scarso peso degli investitori<br />

istituzionali italiani (fondi pensione e prodotti assicurativi<br />

“ramo vita”), a differenza che negli altri paesi<br />

europei queste obbligazioni sono state largamente<br />

ven<strong>du</strong>te nel mercato retail ossia inserite nei portafogli<br />

delle famiglie (cfr. Banca d’Italia, vari anni).<br />

Se si aggiunge che l’Italia vanta il più alto rapporto fra<br />

ricchezza finanziaria netta delle famiglie e Pil rispetto ai<br />

maggiori paesi dell’Europa continentale (cfr. Banca<br />

d’Italia 2010, p. 167), le precedenti considerazioni<br />

indicano che la redditività del settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong><br />

fra la fine degli anni Novanta e il 2006 ha tenuto il<br />

passo con quella media europea soprattutto grazie<br />

alla gestione e all’amministrazione della ricchezza finanziaria<br />

delle famiglie (ossia grazie al “risparmio gestito”,<br />

prima, e al “risparmio amministrato”, poi). Mentre i<br />

grandi gruppi bancari europei e alcune banche regionali<br />

specie tedesche reagivano alla calante redditività<br />

delle loro attività tradizionali e aumentavano anzi il proprio<br />

ROE grazie all’espansione di lucrose ma rischiose<br />

attività di investimento, il settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong><br />

sfruttava il proprio radicamento territoriale e la debolezza<br />

degli investitori istituzionali per assumere il quasi-monopolio<br />

nella gestione e nella amministrazione della ricchezza<br />

finanziaria delle famiglie e per estrarne le relative<br />

rendite. Ciò ha, però, determinato un’allocazione<br />

inefficiente di tale ricchezza. Prova ne sia che: negli anni<br />

Duemila precedenti lo scoppio della crisi finanziaria<br />

(maggio 2007), il rendimento medio di un ampio spettro<br />

di obbligazioni bancarie strutturate non è stato<br />

maggiore di quello dei titoli del debito pubblico <strong>italiano</strong><br />

con analoga scadenza e non ha, quindi, corrisposto<br />

alcun premio per la sua maggiore rischiosità e la sua<br />

minore liquidità; in quegli stessi anni, il tasso di crescita<br />

della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane è stato<br />

inferiore a quello di paesi con più bassa propensione<br />

al risparmio.<br />

Le prospettive delle banche italiane<br />

Le molte peculiarità degli assetti finanziari e bancari italiani,<br />

sopra esaminati, sapranno offrire – nel futuro<br />

prossimo – performance del settore soddisfacenti<br />

anche se inferiori a quelle pre-crisi? I dati e le previsioni<br />

indicano che, rispetto ad altri sistemi bancari, il settore<br />

<strong>italiano</strong> ha subito con ritardo l’impatto della crisi<br />

ma rischia di recuperare con ancora maggiore ritardo <br />

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