Il sistema bancario italiano - Etudes économiques du Crédit Agricole
Il sistema bancario italiano - Etudes économiques du Crédit Agricole
Il sistema bancario italiano - Etudes économiques du Crédit Agricole
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
cializzazione implica che i gruppi e le banche italiane<br />
traggano una parte significativa dei loro profitti dai<br />
finanziamenti alle imprese e – soprattutto – dai servizi<br />
di allocazione della ricchezza finanziaria delle famiglie<br />
e che, quindi, siano particolarmente vulnerabili rispetto<br />
alle crisi ‘reali’; (iii) la recente crisi (finanziaria e reale)<br />
è stata così profonda da determinare forti aumenti<br />
nell’avversione al rischio dei detentori di ricchezza e da<br />
imporre, quindi, una revisione dei meccanismi di allocazione<br />
dei patrimoni finanziari delle famiglie.<br />
Alcune peculiarità<br />
delle banche italiane<br />
<strong>Il</strong> processo di aggregazione e di riassetto proprietario,<br />
che ha caratterizzato il settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> dall’inizio<br />
degli anni Novanta al 2007, è stato il più rapido e<br />
pervasivo fra quelli attuati nei grandi paesi europei<br />
<strong>du</strong>rante lo stesso periodo. Basti considerare, al riguardo,<br />
<strong>du</strong>e indicatori: se nei primi anni Novanta il peso della<br />
proprietà pubblica nel settore <strong>bancario</strong> sfiorava in Italia<br />
il 75% e superava così di più di 20 punti percentuali<br />
quello tedesco e di quasi 40 punti percentuali quello<br />
francese, all’inizio degli anni Duemila in Italia la presenza<br />
statale nelle banche era pressoché azzerata; se nel<br />
1990 il grado di concentrazione del mercato <strong>bancario</strong><br />
era pari in Italia a poco più della metà della media<br />
dell’Unione europea, già intorno al 2005 le distanze si<br />
erano annullate (cfr. per esempio: Messori 2002 e<br />
2007). Per giunta, questo processo di consolidamento<br />
è sfociato nella costruzione di <strong>du</strong>e fra i maggiori gruppi<br />
bancari europei (Unicredit e Intesa-San Paolo) e di<br />
un sottoinsieme di gruppi di dimensione nazionale collocati<br />
nelle aree più ‘forti’ del paese.<br />
Tali profonde trasformazioni non hanno, però, modificato<br />
il fattore di vantaggio comparato dell’attività bancaria<br />
in Italia: il radicamento territoriale che ha permesso di<br />
costruire rapporti di lunga <strong>du</strong>rata (seppure con diffuse<br />
pratiche di multiaffidamento) nei confronti delle piccole<br />
e medie imprese e di far prevalere l’amministrazione<br />
bancaria per l’allocazione della ricchezza finanziaria<br />
delle famiglie. Basti fare riferimento a tre indicatori:<br />
l’Italia è stato uno dei pochi paesi europei ad aumentare<br />
il numero degli sportelli bancari fino ad anni recenti (cfr.<br />
Affinito et al. 2006); nel confronto internazionale, in<br />
Italia il peso del risparmio amministrato rispetto a quello<br />
gestito è molto elevato (cfr. Lusignani 2010); alle<br />
soglie della crisi finanziaria, mentre gli attivi di bilancio<br />
delle altre grandi banche europee e di varie banche<br />
regionali non italiane erano dominati da servizi finanziari<br />
spesso a rischio molto elevato, gli attivi dei maggiori<br />
gruppi bancari italiani (anche di quelli con proiezione<br />
europea) riservavano il peso prevalente ai servizi tradizionali<br />
(cfr. Pierobon 2009).<br />
A fronte di una simile specializzazione, nel 2007 il settore<br />
<strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> soddisfaceva i requisiti patrimoniali<br />
regolamentari ma aveva un coefficiente di capitalizzazione<br />
inferiore a quello medio europeo. Anche in<br />
questo caso, si è trattato – almeno in parte – di un lascito<br />
del processo di consolidamento: specie fra la seconda<br />
metà del 1997 e il 2007, le aggregazioni si sono largamente<br />
fondate su scambi azionari che non hanno<br />
rafforzato il patrimonio dei nuovi gruppi; e una parte<br />
significativa delle limitate risorse aggiuntive, inserite<br />
nel settore nel corso degli anni Novanta, sono servite<br />
per interventi di salvataggio. Fatto è che, già nella<br />
prima fase della crisi finanziaria (inizio del 2008), l’insieme<br />
del settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> faceva registrare un<br />
coefficiente Tier 1 inferiore di circa mezzo punto percentuale<br />
rispetto al valore medio europeo; e tale divario<br />
si è accentuato (fino a superare i <strong>du</strong>e punti percentuali)<br />
fra l’autunno del 2008 e la primavera del<br />
2009, allorché gli altri grandi paesi dell’Unione europea<br />
hanno varato piani di ricapitalizzazione statale a favore<br />
dei loro intermediari finanziari anche in stato di solvibilità<br />
(cfr. Banca d’Italia 2009 e 2010). Solo negli ultimi<br />
trimestri i gruppi bancari e le banche italiane hanno<br />
incrementato i loro coefficienti patrimoniali più della<br />
media europea. In ogni caso, in termini di leva finanziaria,<br />
la vocazione tradizionale ha più che compensato<br />
la minore capitalizzazione: fin dal 2008, il grado medio<br />
di leverage del settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> è stato inferiore<br />
a quello caratterizzante gli altri principali paesi<br />
dell’Unione europea (cfr. Draghi 2010; Sironi 2010).<br />
La redditività delle banche italiane<br />
Le precedenti considerazioni possono, forse, giustificare<br />
la relativa solidità del settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong><br />
rispetto all’impatto della crisi finanziaria del<br />
2007-09; esse non sono, però, sufficienti per dar<br />
conto della possibile evoluzione di questo settore<br />
6