Il sistema bancario italiano - Etudes économiques du Crédit Agricole
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HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
rare nel rispetto di obiettivi di efficienza e di crescita del<br />
valore e della redditività dell’investimento, traendone<br />
significativi benefici economici in termini di incremento<br />
patrimoniale e di disponibilità delle risorse da destinare<br />
ai propri fini istituzionali.<br />
La mia opinione è <strong>du</strong>nque che, se sul piano teorico<br />
potrebbe forse legittimamente ritenersi che le<br />
Fondazioni non debbano rimanere l’unico esempio<br />
così diffuso di investitore istituzionale nel capitale delle<br />
banche, sul piano pratico è difficile, ad oggi, immaginare<br />
un soggetto effettivamente alternativo alle<br />
Fondazioni.<br />
Un socio stabile ed orientato allo<br />
sviluppo del territorio<br />
Le fondazioni bancarie hanno ricoperto positivamente<br />
quel ruolo di soci stabili che, nella realtà italiana, altri<br />
investitori istituzionali non sono in grado di svolgere.<br />
Altre possibili alternative, quali le partecipazioni di<br />
imprese in<strong>du</strong>striali o di imprese assicurative, non<br />
potrebbero assumere il medesimo rilievo senza gravi<br />
rischi di conflitti di interesse.<br />
Giova ricordare, al riguardo, come la disciplina che<br />
regola l’attività delle fondazioni bancarie contenga un<br />
aspetto saliente, che valorizza il ruolo dalle stesse<br />
assunto nel mercato finanziario e caratterizza il loro agire<br />
come investitori istituzionali.<br />
Tale aspetto saliente va identificato nel riferimento fatto<br />
dal Legislatore (art. 7, comma 1, del D.Lgs. 153/99) alle<br />
“finalità istituzionali ed in particolare allo sviluppo del territorio”<br />
come principio guida di impiego del patrimonio;<br />
tale riferimento, da un lato, ribadisce il principio per cui<br />
il patrimonio deve essere gestito “in modo coerente con<br />
la natura delle Fondazioni quali enti senza scopi di<br />
lucro” enunciato dal 1° comma dell’art. 5 (il che impedisce<br />
che la fondazione possa gestire la propria finanza<br />
come un fondo speculativo o proporsi obiettivi di<br />
massimizzazione della redditività degli investimenti ai<br />
quali si accompagni l’assunzione di rischi molto elevati),<br />
dall’altro, indica un criterio preferenziale, in presenza di<br />
un adeguato ritorno economico, per quegli investimenti<br />
che possono fornire un supporto alle altre attività<br />
rientranti nei fini istituzionali delle fondazioni e allo sviluppo<br />
del territorio.<br />
Questa, oggettivamente, mi pare sia la logica che ispira<br />
la partecipazione delle fondazioni alle banche. Da un<br />
lato è un investimento che ha consentito di realizzare<br />
una notevole valorizzazione del patrimonio ed una<br />
adeguata redditività, dall’altro, ha dato l’opportunità di<br />
presidiare, quali soci stabili e influenti, l’interesse a che<br />
le banche partecipate, in un quadro di efficienza gestionale,<br />
non facciano venire meno il sostegno allo sviluppo<br />
dell’economia dei territori di riferimento.<br />
Le fondazioni bancarie non sono forse i soci stabili ideali<br />
(sul piano teorico) di una banca e non è detto che in<br />
futuro siano in grado di mantenere questo ruolo assicurando<br />
il necessario sostegno finanziario alla crescita<br />
delle banche partecipate, ma sembrano oggi decisamente<br />
migliori di altri che potrebbero prendere il<br />
loro posto.<br />
Non è nell’interesse delle Fondazioni, e tantomeno<br />
del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong>, tornare a quando la maggioranza<br />
di turno nominava gli amministratori delle banche<br />
e suggeriva i clienti di riguardo, ed in ciò le Fondazioni<br />
hanno svolto al meglio un ruolo di “diaframma” tra la<br />
politica e le banche, contribuendo alla stabilità del<br />
<strong>sistema</strong> nella convinzione che una cosa è il rispetto del<br />
territorio, altra è il legame con la politica. ◗<br />
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