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Il sistema bancario italiano - Etudes économiques du Crédit Agricole

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<strong>Il</strong> ruolo delle fondazioni come investitori istituzionali delle banche<br />

CARLO GABBI<br />

nella veste di controllanti, ma quali soci istituzionali di<br />

lungo termine, interessati ad una crescita di valore<br />

dell’investimento sostenibile nel tempo.<br />

La partecipazione delle Fondazioni<br />

al capitale delle banche e gli effetti<br />

sulla corporate governance<br />

Prima che la legge Ciampi prevedesse l’obbligatoria dismissione<br />

del controllo delle banche e, nel contempo,<br />

riconoscesse la natura privatistica delle fondazioni<br />

bancarie, la presenza di queste ultime, in qualità di controllanti,<br />

era considerata un elemento di anomalia<br />

nella corporate governance delle banche, in quanto<br />

espressione di quella proprietà “pubblica” cui veniva<br />

attribuita la principale responsabilità dell’arretratezza<br />

e dell’inefficienza del nostro <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> e il cui<br />

superamento veniva invocato come condizione indispensabile<br />

a consentirne un allineamento alle logiche<br />

di mercato e alle regole di efficienza, competitività<br />

e creazione di valore per gli azionisti che ne<br />

conseguono.<br />

Più di recente, una parte della dottrina ha ritenuto di<br />

estendere alle partecipazioni “influenti” nelle banche,<br />

ancorché non di controllo, quelle stesse ragioni di<br />

opportunità che avevano indotto il legislatore ad imporre<br />

la dismissione del controllo: osterebbero, a giudizio<br />

di tale dottrina, la natura delle fondazioni bancarie che,<br />

nonostante la formale qualifica di “persone giuridiche<br />

private”, continuerebbero a conservare significativi<br />

connotati pubblicistici; il rapporto con gli enti locali<br />

che le renderebbe particolarmente permeabili ad influenze<br />

di natura politica; il rischio di una ingessatura degli<br />

assetti proprietari che sarebbe di ostacolo ad una<br />

maggiore contendibilità ed efficienza delle banche.<br />

Non mancano, per contro, sostenitori dell’opportunità<br />

del mantenimento della presenza delle fondazioni nel<br />

capitale delle banche quali soci stabili, orientati ad<br />

uno sviluppo sostenibile e quindi più affidabili, come<br />

investitori di medio e lungo periodo, della gran parte dei<br />

possibili azionisti di riferimento degli istituti di credito.<br />

La partecipazione delle Fondazioni al capitale delle<br />

banche continua, pertanto, ad essere oggetto di un<br />

acceso dibattito che coinvolge, da un lato, la natura<br />

stessa e il ruolo delle fondazioni bancarie, quali peculiari<br />

investitori istituzionali o enti votati esclusivamente<br />

al perseguimento di finalità sociali e, dall’altro, il tema<br />

degli assetti proprietari, dello sviluppo e dell’efficienza<br />

del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong>.<br />

In proposito, a me pare di poter affermare, condividendo<br />

in ciò le autorevoli opinioni di più illustri commentatori,<br />

che le fondazioni bancarie sono state tra i pochi<br />

investitori che, come soci istituzionali delle banche<br />

partecipate, hanno svolto un ruolo attivo nella governance,<br />

indotto dal convincimento che la presenza nelle<br />

banche non costituisce un puro investimento finanziario,<br />

ma risponde anche a quella finalità di “promozione<br />

dello sviluppo economico” dei territori di riferimento che<br />

l’art. 2, comma 1°, D.Lgs. 17 maggio 1999, n. 153 indica<br />

tra gli scopi della fondazione.<br />

<strong>Il</strong> giudizio specifico sull’operato delle fondazioni bancarie<br />

quali soci istituzionali non può, certamente, essere<br />

univoco e generalizzato, senza tener conto cioè delle<br />

diverse situazioni che vedono, in taluni casi, una presenza<br />

maggioritaria nel capitale di una o più fondazioni,<br />

in altri una maggioranza relativa molto elevata, in altri<br />

ancora una presenza minoritaria rilevante di una sola<br />

fondazione o di più fondazioni; situazioni che nel loro<br />

diverso dispiegarsi a volte hanno concretamente alimentato<br />

il dibattito sopra accennato.<br />

Ma ugualmente, a mio avviso, non si può negare il ruolo<br />

positivo svolto in generale dalle fondazioni nel processo<br />

di rapida evoluzione in senso privatistico e di<br />

apertura al mercato del nostro <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> 1 , che<br />

ne ha certamente migliorato l’efficienza e la competitività<br />

molto di più di quanto non sia avvenuto in altri<br />

paesi europei, dove la presenza pubblica è ancora<br />

molto rilevante.<br />

Naturalmente, come è inevitabile in un processo di<br />

cambiamento cosí rapido, questa evoluzione non è<br />

avvenuta senza resistenze, tensioni e qualche comportamento<br />

contradditorio e discutibile, ma, nel complesso,<br />

le fondazioni hanno saputo, sino ad ora, ope- <br />

1. Dalla ricerca congiunta di Banca d’Italia e Consob su: The evolution of ownership and control structure in Italy in the last 15 years coordinata da M. Bianco e<br />

M. Bianchi e pubblicata nel dicembre 2008 si ricava che, tra le società quotate italiane, le banche sono nettamente quelle che presentano il più basso grado di<br />

concentrazione della proprietà, mentre la presenza pubblica nel capitale è completamente sparita.<br />

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