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Il sistema bancario italiano - Etudes économiques du Crédit Agricole

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HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

zazione di lungo termine del proprio stesso investimento.<br />

La crisi ha mostrato come le Fondazioni possano<br />

andare al di là della funzione che ci si attende da<br />

un investitore istituzionale: questi ha una voce autorevole<br />

fintantoché i suoi clienti gli affidano i loro risparmi<br />

da gestire; si affievolisce e muore quando essi li ritirano.<br />

La voce delle Fondazioni non segue le alterne vicende<br />

dei mercati, il loro sguardo tende al periodo mediolungo.<br />

<strong>Il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>, dopo le grandi fusioni<br />

di <strong>du</strong>e anni fa, ha bisogno di stabilità per affrontare<br />

le sfide gestionali e strategiche che l’uscita dalla crisi<br />

richiede. Ha bisogno che le Fondazioni continuino ad<br />

accompagnarne il rafforzamento patrimoniale e perseverino<br />

in quel ruolo, di azionista presente ma non<br />

intrusivo nella gestione, che è stato negli ultimi anni alla<br />

base del loro successo”.<br />

Favorite dalle politiche condotte negli ultimi anni e<br />

dalle regole contabili di settore, le Fondazioni hanno<br />

infatti costituito un elemento di stabilità degli assetti proprietari<br />

in momenti di turbolenza dei mercati; hanno<br />

contribuito a sostenere la capitalizzazione dei principali<br />

gruppi bancari, con apporti diretti e rinunce sul versante<br />

dei dividendi.<br />

Più di recente, in occasione delle “Considerazioni finali”<br />

lette il 31 maggio 2010, il Governatore ha infine<br />

ribadito che il ruolo delle Fondazioni come azionisti<br />

delle banche non può che essere quello stabilito dalla<br />

legge: investitori il cui unico obiettivo sta nel valore<br />

economico dell’investimento.<br />

Le fondazioni bancarie tra passato,<br />

presente e futuro<br />

In un’ottica di lungo periodo tipica degli investitori istituzionali,<br />

le Fondazioni hanno svolto un ruolo positivo<br />

nell’accompagnare, a partire dagli anni ’90, il processo<br />

di privatizzazione, la ristrutturazione e il<br />

rafforzamento del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>.<br />

L’allentamento della presenza nel capitale delle banche<br />

è avvenuto in maniera ordinata e nel rispetto dei<br />

vincoli legislativi.<br />

Secondo dati riferiti a settembre 2009, 18 enti hanno<br />

scelto di non detenere più direttamente partecipazioni<br />

nelle società conferitarie (erano 9 nel 1999) e 15<br />

detengono una partecipazione superiore al 50 per<br />

cento del capitale (44 nel 1999); dei rimanenti 55<br />

detentori di partecipazioni di minoranza (36 nel 1999),<br />

solo 23 detengono più del 20 per cento.<br />

Rispetto a dieci anni fa, la presa delle fondazioni sul<br />

<strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> è quindi certamente meno diretta e<br />

l’entità della loro partecipazione è certamente diminuita,<br />

anche in conseguenza dei processi aggregativi che il<br />

nostro <strong>sistema</strong> ha vissuto negli ultimi anni. Le fondazioni<br />

hanno acquisito un loro statuto articolato, hanno<br />

visto riconosciuta la loro natura privata e hanno certamente<br />

potenziato la loro capacità di operare per il<br />

conseguimento dei fini sociali che ne giustificano l’esistenza.<br />

Le partecipazioni bancarie continuano comunque a<br />

costituire una parte importante degli attivi delle<br />

Fondazioni, mentre la presenza di altri investitori istituzionali<br />

nel capitale delle banche è ancora limitata.<br />

Resta da chiedersi se, anche rispetto alla ratio della riforma<br />

del 1999, la situazione presente, che vede le fondazioni<br />

in una posizione eminente, ma non di controllo,<br />

nei maggiori gruppi bancari italiani, possa<br />

considerarsi un punto di arrivo o solo una tappa di un<br />

processo in ulteriore evoluzione.<br />

Ciò equivale a chiedersi, in altre parole, se la struttura<br />

proprietaria dei maggiori gruppi bancari italiani, che vede<br />

in posizione eminente le Fondazioni, sia ottimale per il<br />

<strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong>, soprattutto in relazione alla possibilità<br />

teorica che le Fondazioni non siano in grado di<br />

assicurare, in futuro, un adeguato flusso di capitale proprio<br />

alle banche partecipate.<br />

In proposito, a me sembra di poter affermare che oggi,<br />

in un periodo in cui sono sentite fortemente le esigenze<br />

di stabilità proprietaria delle banche, e tenuto<br />

conto dell’inesistenza di alternative nazionali per rilevare<br />

le quote delle Fondazioni, queste sono viste quali interpreti<br />

di un ruolo di supplenza degli altri “investitori istituzionali”.<br />

Queste riflessioni si ricollegano, del resto, al dibattito che<br />

ha accompagnato il processo di privatizzazione del<br />

<strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> ed il passaggio dagli enti<br />

conferenti alle fondazioni, dibattito che, fin dall’origine,<br />

è stato contrassegnato da una netta contrapposizione<br />

tra i sostenitori della necessità di affrancare le banche<br />

da ogni influenza da parte delle fondazioni e coloro<br />

che valutavano in termini positivi la permanenza<br />

delle Fondazioni nel capitale delle banche, non più<br />

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