Il sistema bancario italiano - Etudes économiques du Crédit Agricole
Il sistema bancario italiano - Etudes économiques du Crédit Agricole
Il sistema bancario italiano - Etudes économiques du Crédit Agricole
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
sempre più finanza, che sono incoraggiate ad accrescere<br />
la propria redditività diversificando la propria<br />
offerta fuori dal credito tradizionale e verso le attività di<br />
finanza strutturata, l’affermarsi nella regolamentazione<br />
della logica del marking to market delle attività bancarie<br />
– logica alla base sia degli International Accounting<br />
Standards (IAS) che di Basilea 2: tutti questi elementi<br />
sono estrinsecazioni concrete di una subordinazione<br />
delle banche ai mercati finanziari.<br />
L’incarnazione più plastica dell’assoggettamento della<br />
banca al mercato finanziario la si ritrova nel teorizzare<br />
– come fa Bryan (1988), persona assai influente in<br />
quanto patron del tempo della McKinsey Consulting<br />
– che il modello <strong>bancario</strong> si deve trasformare dal<br />
desueto tradizionale originate to hold (OTH) al nuovo<br />
modello originate to distribute (OTD, fai il prestito e<br />
vendilo ai mercati finanziari). Nel modello OTH la<br />
banca fa il prestito e lo tiene in bilancio fino alla<br />
scadenza, mentre nel modello OTD appena la banca<br />
fa il prestito lo vende immediatamente mediante una<br />
cartolarizzazione.<br />
Vi sono importanti implicazioni del passaggio da OTH<br />
a OTD per il rapporto tra banca e territorio. Nel modello<br />
OTH la banca aveva forti incentivi a tenere rapporti<br />
stretti col territorio, perché l’attività di screening e<br />
monitoring le era essenziale, ma quegli incentivi cadono<br />
quando la banca si struttura sul modello OTD: essa<br />
si spossesserà subito del rischio di credito e i costosi<br />
investimenti per sapere vita morte e miracoli della<br />
clientela affidata non servono più.<br />
Subordinazione del modello <strong>bancario</strong><br />
stakeholder value a quello shareholder value<br />
Inoltre, si fa strada la convinzione che il modello societario<br />
più appropriato per favorire lo sviluppo finanziario<br />
sia quello della banca shareholder value, la quale,<br />
mirando alla massimizzazione del profitto di breve<br />
periodo, sarebbe meglio in grado di cogliere le opportunità<br />
insite nella trasformazione del modello <strong>bancario</strong><br />
da OTH a OTD. Viene perciò rappresentato come<br />
desueto il modello della banca cooperativa – il prototipo<br />
della banca stakeholder value – che, assegnando<br />
valore (anche) a obiettivi diversi dalla massimizzazione<br />
del profitto di breve periodo e equiparando<br />
(almeno sulla carta) – specie attraverso il principio<br />
“una testa un voto”, a prescindere dall’entità del possesso<br />
azionario – il peso nelle scelte aziendali di tutti<br />
gli azionisti, anche quelli minori, permette la rappresentanza<br />
di una più ampia platea di detentori d’interesse<br />
nella banca.<br />
Viene spesso messa in discussione la corporate<br />
governance delle banche cooperative che, si dice,<br />
contribuisce a generare una dirigenza pressoché inamovibile<br />
e che, perciò, corre il rischio di essere autoreferenziale.<br />
Sebbene nell’addebito di autoreferenzialità<br />
ci siano degli elementi concreti, tale<br />
ragionamento trascura la possibilità che questo sia<br />
proprio un prezzo inevitabile da pagare per consentire<br />
la rappresentanza degli stakeholders e il mantenimento<br />
di un focus localistico e al servizio delle piccole<br />
e medie imprese (De Bruyn e Ferri, 2005),<br />
intensamente basato sulle relazioni con la clientela (il<br />
c.d. relationship banking).<br />
Ne consegue che, in quanto maggiormente devote al<br />
relationship banking e <strong>du</strong>nque più idonee a ri<strong>du</strong>rre le<br />
asimmetrie informative nei confronti dei debitori, le<br />
banche stakeholder value sarebbero quelle più capaci<br />
di rimediare al fallimento del mercato che è all’origine<br />
della nascita della banca. Ma, lungi dal riconoscere ciò,<br />
per molti anni si è assistito a una sorta di disfavor nei<br />
loro confronti da parte del legislatore. Ciò determinava<br />
una doppia subordinazione delle banche stakeholder<br />
value: al pari delle banche shareholder value venivano<br />
ad essere sempre più subordinate ai mercati finanziari<br />
ma, in aggiunta, esse erano anche subordinate rispetto<br />
a quest’ultime nel modello societario.<br />
A testimoniare gli effetti concreti dell’impostazione che<br />
subordinava il modello <strong>bancario</strong> stakeholder value a<br />
quello shareholder value, la trasformazione di banche<br />
cooperative e mutualistiche – la c.d. demutualization –<br />
è stata una pratica molto diffusa, particolarmente negli<br />
USA e nel Regno Unito. Negli Stati Uniti, le Thrift<br />
Institutions – Savings Banks e Savings and Loans<br />
Banks – a partire dagli anni Ottanta vennero pressoché<br />
interamente trasformate in banche commerciali nella<br />
forma della società per azioni. Nel Regno Unito, al<br />
contempo, subirono la stessa sorte quasi tutte le<br />
Building Societies. Inoltre, anche nell’Europa continentale<br />
– ove la tendenza alla demutualizzazione era<br />
meno intensa – si sono avuti vari casi di trasformazio-<br />
40