Il sistema bancario italiano - Etudes économiques du Crédit Agricole
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HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
Le banche si aggregavano in entità sempre più grandi,<br />
talora gigantesche e con attività totali maggiori dei<br />
bilanci pubblici degli Stati da cui promanavano. I loro<br />
centri decisionali si allontanavano dai territori serviti. La<br />
sostituzione del rapporto personale con quello mediatico<br />
– ATM, internet banking ecc. – si spingeva molto<br />
in avanti. Le persone a contatto con la clientela si<br />
ri<strong>du</strong>cevano a vantaggio del back-office e dei centri<br />
direzionali e il loro turnover si intensificava. Così, per il<br />
cliente minuto diveniva sempre più difficile identificare<br />
una persona che fungesse da interlocutore stabile alle<br />
sue esigenze bancarie.<br />
In verità, non tutte le banche seguivano quel trend o,<br />
quantomeno, non tutte correvano in quella direzione alla<br />
stessa velocità. In particolare, le banche cooperative<br />
erano meno coinvolte nella trasformazione. Esse erano<br />
ancorate al territorio dal permanere di specifiche regolamentazioni<br />
e, fors’anche di più, dal desiderio dei<br />
soci. Non sempre la loro partecipazione alle assemblee<br />
era assi<strong>du</strong>a, ma la gran parte dei soci si sarebbe<br />
opposta a trasformazioni che avrebbero portato via la<br />
“loro” banca. Però, le banche cooperative venivano<br />
generalmente giudicate arcaiche e ormai inadatte alle<br />
nuove e più sofisticate esigenze della clientela. Di più,<br />
anche da parte delle Autorità, le banche cooperative<br />
venivano guardate con sufficienza, se non con un<br />
certo pregiudizio negativo. In vari Paesi, anche risentendo<br />
del contesto, molte di esse venivano demutualizzate.<br />
Putroppo, si è capito solo dopo come la demutualizzazione<br />
non ponesse solo problemi di equità<br />
intergenerazionale – né le generazioni passate, che<br />
hanno contribuito a costruirla, né quelle future, che si<br />
ritroveranno senza quella banca cooperativa, votavano<br />
– ma anche, troppo spesso, aprisse la strada a<br />
gestioni disinvolte, foriere di fragilità e di crisi (cfr.<br />
OCMEB, 2009, per il caso del Regno Unito).<br />
Ma questo accadeva prima. Dopo la Grande Crisi del<br />
2007-2009 molto sta cambiando. Sembra che molte<br />
forze confluiscano a spingere le banche a un ritorno<br />
verso il modello di business tradizionale. Vi è un drastico<br />
ripensamento sulle virtù del consolidamento, con<br />
molti Paesi che valutano se smembrare i colossi finanziari<br />
formatisi in precedenza, al fine di ri<strong>du</strong>rre il rischio<br />
sistemico. La regolamentazione si sta inasprendo sui<br />
contratti finanziari più complessi e opachi, richiedendo<br />
di riportare su mercati regolamentati quello che veniva<br />
scambiato su mercati Over The Counter (OTC). Viene<br />
fortemente limitato, se non impedito, il proprietary<br />
trading (cioè il trading delle banche sui mercati finanziari<br />
in conto proprio). Gli schemi di remunerazione<br />
del top management delle banche sono sotto osservazione,<br />
per evitare le connesse distorsioni degli incentivi<br />
all’assunzione di rischi esagerati. Si va diffondendo<br />
la percezione che nel futuro della banca ci debbano<br />
essere più finanziamenti all’economia reale e meno<br />
coinvolgimento nei mercati finanziari e che i rendimenti<br />
del capitale debbano tornare per le banche ai livelli storici<br />
precedenti alla metamorfosi del loro modello di<br />
business. Taluni mettono in discussione l’opportunità<br />
di livelli di concorrenza elevata – che potrebbero spingere<br />
all’assunzione eccessiva di rischio – nel settore<br />
<strong>bancario</strong>. Insomma, con tutta probabilità, molto cambierà<br />
per le banche.<br />
Se le banche torneranno verso il modello d’affari tradizionale,<br />
una delle conseguenze sarà che esse torneranno<br />
a intessere rapporti più stretti con i propri<br />
territori, investendo maggiormente in questi rapporti e<br />
valorizzandone le potenzialità. Sarà interessante osservare<br />
questa evoluzione.<br />
Ma, prima che ciò si realizzi, è ancora oggi opportuno<br />
riflettere a fondo sugli errori che avevano portato ai<br />
mutamenti all’origine della crisi. In particolare, affronteremo<br />
questo tema dal particolare angolo visuale che<br />
giustappone le banche recanti l’obiettivo della massimizzazione<br />
del valore per gli azionisti – che chiameremo<br />
banche shareholder value –, soggetti resi omogenei<br />
dal privilegiare l’interesse per il valore dell’azione, a<br />
quelle che si pongono l’obiettivo di massimizzare il<br />
valore per una più ampia e composita platea di soggetti<br />
– che chiameremo banche stakeholder value (in primis<br />
le banche cooperative) – soggetti portatori di interessi<br />
tra di loro differenziati e che, perciò, vantano rapporti<br />
più stretti col territorio. In linea di massima, le prime sono<br />
approssimabili con le banche commerciali e d’investimento<br />
– prioritariamente, se non esclusivamente, orientate<br />
alla ricerca del profitto – costituite nella forma<br />
della società per azioni, mentre le banche stakeholder<br />
value sono identificabili con gli istituti di credito<br />
cooperativi e con gli altri intermediari con caratteristiche<br />
mutualistiche – per i quali la massimizzazione del pro-<br />
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