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Il sistema bancario italiano - Etudes économiques du Crédit Agricole

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Banche e antitrust: le specificità italiane<br />

SERGIO EREDE & MASSIMO MEROLA<br />

concorrenziali. Si parla allora di effetti “coordinati”, i quali<br />

si manifestano tanto più frequentemente quanto più le<br />

partecipazioni sono incrociate e multiple in uno stesso<br />

settore, in presenza di un mercato oligopolistico o che<br />

presenta notevoli barriere all’ingresso. <strong>Il</strong> rischio è maggiore<br />

in caso di cumulo di mandati, che possono consentire<br />

allo stesso soggetto di assumere decisioni<br />

all’interno di un’impresa alla luce delle informazioni<br />

acquisite nell’ambito di organi sociali di un’impresa<br />

concorrente.<br />

<strong>Il</strong> pregiudizio negativo causato dal cumulo di mandati<br />

in società concorrenti si fonda su solide basi teoriche<br />

e giurisprudenziali. <strong>Il</strong> giudice Brandeis della Corte<br />

Suprema degli Stati Uniti definiva con grande enfasi<br />

questo fenomeno già quasi un secolo 1 fa:<br />

“The practice of interlocking directors is the practice of<br />

many evils. It offends laws, both human and divine.<br />

Applied to rival corporations, it tends to the suppression<br />

of competition... applied to corporations which deal<br />

with each other, it tends to disloyalty and violation of the<br />

fundamental law that no man can serve two masters.<br />

In either event, it tends to inefficiency for it removes<br />

incentives and destroys soundness of judgment...”.<br />

Sarebbe tuttavia errato ritenere che i legami fra concorrenti<br />

siano oggi necessariamente dannosi per la<br />

concorrenza, soprattutto nelle complesse situazioni<br />

sociali che caratterizzano il capitalismo odierno. L’analisi<br />

degli effetti derivanti dalla detenzione di una partecipazione<br />

di minoranza in un concorrente o di un cumulo<br />

di mandati deve infatti tener conto di fattori di varia<br />

natura, che possono influenzare le motivazioni dell’impresa<br />

a tenere comportamenti concorrenziali. Una<br />

partecipazione di minoranza permette di acquisire, in<br />

genere, solo informazioni frammentarie, che non consentono<br />

di per sé di prevedere la domanda o il comportamento<br />

degli operatori del mercato. Allo stesso<br />

modo, possono sussistere motivazioni esterne, per<br />

gli stessi titolari di più cariche sociali, che giustificano<br />

il mantenimento di una strategia basata sulla concorrenza<br />

nonostante l’esistenza di un legame con un<br />

concorrente. O ancora, l’influenza di un azionista può<br />

in certi casi essere esclusa a causa del funzionamento<br />

stesso degli organi decisionali o di supervisione di<br />

una società, i quali possono ad esempio essere composti<br />

da un numero molto elevato di membri e retti da<br />

regole miranti ad assicurare l’indipendenza di giudizio<br />

di questi ultimi. D’altra parte, i dirigenti che non siano<br />

nominati da un concorrente non hanno alcun interesse<br />

a favorire tale azionista di minoranza e, in ogni<br />

caso, potrebbero seguire una politica imprevedibile<br />

sul piano commerciale così come, ad esempio, nella<br />

distribuzione degli utili (la quale, come si è visto, può<br />

rivestire un ruolo determinante nel comportamento<br />

del concorrente azionista).<br />

In questo contesto, occorre anche sottolineare che una<br />

parte sempre più importante della teoria economica e<br />

la stessa Commissione europea considerano che gli<br />

scambi d’informazioni possono, in alcune circostanze,<br />

consentire una più efficiente allocazione delle risorse e<br />

avere quindi influssi benefici sul mercato. Non è pertanto<br />

possibile affermare, senza ulteriori e specifiche analisi<br />

da con<strong>du</strong>rre caso per caso, che l’accesso alle informazioni<br />

di un concorrente sia anticoncorrenziale per<br />

definizione.<br />

Proprio a causa della difficoltà di indivi<strong>du</strong>are e di dimostrare<br />

un legame diretto e accertato fra la detenzione<br />

di una partecipazione di minoranza e un comportamento<br />

concorrenziale, il possesso di tali partecipazioni<br />

è stato raramente sanzionato dalle autorità della<br />

concorrenza, essendo piuttosto oggetto di impegni<br />

presi dalle imprese al fine di dissipare i <strong>du</strong>bbi manifestati<br />

dalle autorità della concorrenza rispetto alla struttura<br />

di alcuni mercati.<br />

Italia v. Europa<br />

A differenza di quanto avviene altrove, come negli Stati<br />

Uniti o in Germania, dove l’acquisizione di quote di partecipazione<br />

di minoranza è soggetta al preventivo nullaosta<br />

dell’autorità della concorrenza, le regole europee<br />

ed italiane sono applicabili solo alle acquisizioni di partecipazioni<br />

che conferiscono il controllo della società target.<br />

È opinione comune delle autorità della concorrenza,<br />

<br />

1. Rapporto del Comitato Pujo (1914). <strong>Il</strong> comitato aveva condotto un’inchiesta sul “money trust”, un gruppo di banchieri di Wall Street che cumulava mandati in più<br />

società, soprattutto banche, assicurazioni e società di settori strategici (come ferrovie e public utilities) esercitando un esteso controllo su vari settori. <strong>Il</strong> rapporto ha<br />

anticipato l’intro<strong>du</strong>zione del Clayton Act e di una norma specifica che vietava il cumulo dei mandati.<br />

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