Il sistema bancario italiano - Etudes économiques du Crédit Agricole
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HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
La “crociata” contro i legami<br />
fra concorrenti<br />
I legami fra concorrenti sono stati, in particolare, oggetto<br />
di un’azione molto intensa dell’AGCM, che ha inoltre<br />
dedicato al tema un intero capitolo di un’inchiesta settoriale<br />
effettuata a fine 2008 (“Inchiesta sulla corporate<br />
governance delle banche e delle compagnie di assicurazioni”):<br />
secondo tale studio, negli organi di governance<br />
dell’80% delle banche, società di assicurazioni<br />
e società di gestione del risparmio quotate alla Borsa<br />
italiana siedono membri che cumulano mandati di questo<br />
tipo in altre società dello stesso settore. Questa percentuale<br />
è nettamente superiore a quella registrata<br />
nelle altre piazze finanziarie europee (rispettivamente in<br />
Euronext, Deutsche Börse e LSE solo il 26,7%, 43,8%<br />
e 47,1% di banche, compagnie di assicurazioni o società<br />
di gestione del risparmio contano “interlocking directorate”).<br />
Inoltre, 27 banche, compagnie di assicurazione<br />
o società di gestione patrimoniale italiane, che<br />
rappresentano da sole il 42,3% delle masse finanziarie<br />
delle società analizzate, contano fra i loro azionisti diretti<br />
di un’altra società appartenente alle stesse categorie.<br />
Nel suo rapporto, l’AGCM constata che né la legislazione<br />
applicabile (ad esempio, sul conflitto d’interessi), né<br />
l’autoregolamentazione da parte delle imprese del settore<br />
sono sufficienti a limitare il fenomeno del cumulo di<br />
mandati e delle partecipazioni incrociate.<br />
In assenza d’interventi di carattere normativo, l’AGCM<br />
ha colto l’occasione dell’ultima ondata di consolidamenti<br />
nel <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> per affrontare direttamente<br />
il problema. Nell’ambito delle sue competenze<br />
di controllo delle concentrazioni, l’Autorità ha considerato<br />
che i legami fra i concorrenti avrebbero potuto<br />
aggravare gli effetti restrittivi derivanti dalle operazioni<br />
prese in esame. Sono state così previste misure correttive<br />
al fine di evitare che questi legami privassero le<br />
imprese degli stimoli necessari a svolgere una concorrenza<br />
effettiva. Nell’ambito della sua analisi delle principali<br />
fusioni bancarie italiane degli ultimi anni (Banca<br />
Intesa/Sanpaolo, Unicredit/Capitalia, Banche Popolari<br />
Unite/Banca Lombarda, Monte dei Paschi di<br />
Siena/Banca Antonveneta), l’AGCM ha sempre imposto<br />
come condizione la dissoluzione dei legami di azionariato<br />
e personali esistenti tra i partecipanti alla concentrazione<br />
e i loro concorrenti.<br />
Queste condizioni si sono in particolare tradotte nella<br />
cessione di partecipazioni, nella scissione di joint-venture<br />
specializzate (ad esempio nel settore della<br />
bancassurance o del credito al consumo), nel divieto<br />
di partecipare a patti di azionariato e in generale di mantenere<br />
un ruolo nella governance dei concorrenti, nel<br />
divieto del cumulo dei mandati di consigliere di amministrazione,<br />
nel divieto di partecipare alle assemblee o<br />
di esercitare i diritti di voto inerenti alle azioni di società<br />
concorrenti.<br />
Allo stesso modo, l’AGCM ha <strong>sistema</strong>ticamente imposto<br />
che le cessioni di agenzie avvenissero a favore di<br />
terzi non solo indipendenti secondo i normali criteri del<br />
diritto della concorrenza, ma anche e soprattutto non<br />
collegati tramite partecipazioni o in altro modo alla<br />
banca cedente. Così è stato in particolare per la cessione<br />
della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza e<br />
di Banca Friuladria a Crédit <strong>Agricole</strong>, che era stata<br />
proposta come impegno da parte di Banca Intesa e<br />
Sanpaolo al momento della loro fusione, al fine di risolvere<br />
i problemi di concentrazione di quote di mercato<br />
in alcune aree.<br />
Le iniziative intraprese dall’AGCM contro i legami fra<br />
concorrenti si fondano su una teoria economica ben<br />
consolidata, secondo la quale il possesso di partecipazioni<br />
di minoranza in un’impresa concorrente può<br />
rimettere in causa la naturale tendenza delle imprese<br />
interessate ad elaborare ed applicare strategie concorrenziali.<br />
Secondo questa teoria, tali legami possono<br />
ad esempio spingere i concorrenti ad adottare un<br />
comportamento di ottimizzazione comune degli utili,<br />
equivalente ad un patto di non concorrenza. Le imprese<br />
legate da partecipazioni di minoranza possono così<br />
ri<strong>du</strong>rre unilateralmente la loro pro<strong>du</strong>zione e/o aumentare<br />
i loro prezzi a danno dei consumatori, poiché<br />
sono in grado di recuperare le perdite in termini di<br />
vendite e ricavi attraverso gli utili generati dall’impresa<br />
collegata (meccanismo, quest’ultimo, attuabile senza<br />
necessità di coordinare l’azione delle imprese collegate).<br />
Si parla in tal caso di effetti “unilaterali” derivanti da legami<br />
azionari. Questo tipo di relazioni può inoltre agevolare<br />
lo scambio d’informazioni riservate o permettere ad<br />
un’impresa di influenzare la condotta di un’altra, con l’effetto<br />
di provocare comportamenti collusivi miranti ad<br />
ottenere il mantenimento di prezzi o condizioni sovra-<br />
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