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Il sistema bancario italiano - Etudes économiques du Crédit Agricole

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HORIZONS BANCAIRES NUMERO 340 - NOVEMBRE 2010<br />

<strong>Il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>:<br />

territori, attività e sfide<br />

http://etudes-economiques.credit-agricole.com


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

<strong>Il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>:<br />

territori, attività e sfide<br />

EDITORIALE .............................................................................................................................................................................................. 3<br />

JEAN-PAUL CHIFFLET, direttore generale, Crédit <strong>Agricole</strong> S.A.<br />

Le grandi tendenze<br />

Le caratteristiche del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>: evoluzione dell’attività<br />

e delle performance .................................................................................................................................................................................................. 5<br />

MARCELLO MESSORI, professore ordinario, Università di Roma “Tor Vergata”<br />

<strong>Il</strong> consolidamento del mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>: evoluzioni e prospettive ............................... 11<br />

ILARIA ROMAGNOLI, managing director, Head of FIG Italy, Rothschild<br />

Banche e antitrust: le specificità italiane ................................................................................................................................... 20<br />

SERGIO EREDE, socio fondatore, Bonelli Erede Pappalardo<br />

E MASSIMO MEROLA, responsabile dell’ufficio di Bruxelles, Bonelli Erede Pappalardo; professore, Collegio d’Europa<br />

<strong>Il</strong> mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> e l’evoluzione normativa di Basilea 3 ........................................................ 26<br />

ANDREA FERRETTI, executive director, Ernst & Young<br />

E GIUSEPPE QUAGLIA, partner, Ernst & Young<br />

Banche e territori<br />

<strong>Il</strong> rapporto tra banche e territori dopo la Grande Crisi del 2007-2009 ............................................. 37<br />

GIOVANNI FERRI, professore ordinario, Università di Bari<br />

<strong>Il</strong> ruolo delle banche del territorio nel <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> ............................................................... 44<br />

GIAMPIERO MAIOLI, amministratore delegato e direttore generale, Gruppo Cariparma Friuladria<br />

<strong>Il</strong> ruolo delle fondazioni come investitori istituzionali delle banche ...................................................... 49<br />

CARLO GABBI, presidente, Fondazione Cariparma<br />

I problemi di finanziamento delle PMI e il loro accesso ai mercati esteri ..................................... 53<br />

GIAMMARCO BOCCIA, responsabile corporate, Divisione nuovi mercati, SACE<br />

Le attività bancarie<br />

<strong>Il</strong> mercato immobiliare in Italia .................................................................................................................................................................. 56<br />

DANIELA PERCOCO, head of real estate, Nomisma<br />

E LUCA DONDI, economista, Nomisma<br />

E GUALTIERO TAMBURINI, presidente, Assoimmobiliare<br />

La distribuzione bancaria in italia: trend in atto,<br />

scenari evolutivi e possibili strategie competitive ......................................................................................................... 62<br />

VITTORIO RATTO, partner, Bain & Company, Milano<br />

E ALESSANDRO GERALDI, manager, Bain & Company, Milano<br />

<strong>Il</strong> credito al consumo in Italia ..................................................................................................................................................................... 68<br />

Tre domande a UMBERTO FILOTTO, segretario generale, Assofin; professore ordinario, Università di Roma “Tor Vergata”<br />

<strong>Il</strong> risparmio gestito in Italia ............................................................................................................................................................................. 70<br />

GINO GANDOLFI, professore ordinario, Università di Parma<br />

E GIACOMO NERI, partner, PricewaterhouseCoopers<br />

<strong>Il</strong> gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> in Italia .......................................................................................................................................................... 81<br />

ARIBERTO FASSATI, direttore e membro del Comitato Esecutivo del gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> S.A., presidente di Cariparma<br />

Servizio ai lettori .......................................................................................................................................................................................................... 84


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

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HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

E D I T O R I A L E<br />

JEAN-PAUL CHIFFLET<br />

DIRETTORE GENERALE, CRÉDIT AGRICOLE S.A.<br />

Crédit <strong>Agricole</strong> ha scelto ormai da tempo l’Italia come suo secondo mercato domestico.<br />

Dal 2007 ad oggi, questa evoluzione si è consolidata mediante l’acquisizione<br />

di Cariparma e di Friuladria, la creazione di potenti partnership nel settore credito<br />

al consumo in collaborazione con player di primo piano del mondo economico <strong>italiano</strong><br />

e il crescente livello d’integrazione della struttura a cui appartengono le linee di business<br />

specializzate del Gruppo già presenti nel Paese.<br />

Una scelta strategica che è basata su varie motivazioni. La vicinanza geografica,<br />

culturale e commerciale con la Francia costituisce ovviamente una condizione<br />

essenziale per il successo. L’Italia presenta inoltre una configurazione unica nell’area<br />

Euro grazie alle sue caratteristiche di mercato maturo a forte potenziale, sia in termini<br />

di sviluppo che di livello di sofisticazione dei prodotti bancari e assicurativi, o alle sue<br />

prospettive di consolidamento. <strong>Il</strong> forte radicamento a livello regionale, la prossimità<br />

delle banche alla clientela, lo sviluppo di rapporti di lungo termine e il ruolo specifico<br />

delle fondazioni richiamano infine i valori cooperativi di Crédit <strong>Agricole</strong>.<br />

Crédit <strong>Agricole</strong> è oggi il 7° gruppo <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> e il 1° gruppo finanziario<br />

straniero della Penisola. La banca si è assicurata posizioni di leader in determinate<br />

regioni e nei settori del retail banking, dei servizi finanziari specializzati, dell’asset<br />

management, delle assicurazioni e del corporate & investment banking.<br />

È nostra intenzione continuare a svilupparci al servizio di tutti i nostri clienti, ai quali<br />

vogliamo fornire, grazie alla nostra costante attenzione alla prossimità e ai vantaggi<br />

offerti dalla dimensione mondiale del Gruppo, una qualità di servizio esemplare<br />

abbinata a soluzioni innovative e adeguate alle loro esigenze. L’estensione della nostra<br />

rete di retail banking, con l’acquisizione di Cassa di Risparmio della Spezia e di 96<br />

nuove agenzie, rappresenta un ulteriore passo in questa direzione.<br />

Le collaboratrici e i collaboratori italiani di Crédit <strong>Agricole</strong> possono quindi essere<br />

orgogliosi dello sviluppo e dei risultati del Gruppo nel loro Paese e rivendicare gli<br />

impegni e i valori di Crédit <strong>Agricole</strong>.<br />

◗<br />

Questo numero di Horizons Bancaires è dedicato all’Italia. Nella prima parte, centrata sulle principali tendenze del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong><br />

della Penisola, vengono esaminate le conseguenze della recente crisi e viene riservato ampio spazio alle prospettive per<br />

il futuro. La seconda parte è dedicata al tema del radicamento nel territorio, di cui vengono indivi<strong>du</strong>ati i fondamenti e descritte<br />

le pratiche. Una terza ed ultima parte analizza alcuni temi di attualità: la solidità del mercato immobiliare residenziale, le caratteristiche<br />

specifiche della distribuzione, della gestione del risparmio e del credito al consumo.<br />

3


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

Le grandi tendenze<br />

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HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

Le caratteristiche del <strong>sistema</strong><br />

<strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>: evoluzione<br />

dell’attività e delle performance<br />

Anche se è stato relativamente poco<br />

colpito dalla crisi finanziaria del<br />

2007-2009, il <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong><br />

resta soggetto a forti pressioni in<br />

termini di redditività. Questo articolo ne<br />

analizza le cause e propone alcune<br />

soluzioni strutturali.<br />

MARCELLO MESSORI<br />

Professore ordinario, Università di Roma “Tor Vergata”<br />

Premessa<br />

Nell’ambito dei paesi economicamente avanzati, il settore<br />

<strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> è stato – insieme a quello canadese<br />

- fra i meno colpiti dalla crisi finanziaria del 2007-<br />

09. Nel caso <strong>italiano</strong>, nessun intermediario finanziario<br />

ha dovuto ricorrere ad aiuti pubblici in funzione di salvataggio,<br />

solo quattro gruppi bancari hanno trovato<br />

conveniente rafforzare la propria capitalizzazione<br />

mediante limitate emissioni di strumenti ibridi sottoscritti<br />

dal Ministero dell’economia (i cosiddetti “Tremonti<br />

bond”), solo uno dei maggiori gruppi bancari ha proce<strong>du</strong>to<br />

a ricapitalizzazioni di mercato. Eppure, negli ultimi<br />

<strong>du</strong>e anni, il settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> ha subito un drastico<br />

ridimensionamento della propria redditività e i<br />

gruppi quotati hanno sopportato gravi ca<strong>du</strong>te nei loro<br />

valori azionari; e anche le previsioni più ottimistiche sottolineano<br />

che, nei prossimi anni, in Italia la ripresa degli<br />

utili bancari (ROE) sarà gra<strong>du</strong>ale e inferiore a quella dei<br />

settori bancari più colpiti dalla crisi.<br />

Queste evidenze, apparentemente contraddittorie, trovano<br />

un’interpretazione coerente alla luce delle molte<br />

peculiarità che continuano a caratterizzare il settore <strong>bancario</strong><br />

<strong>italiano</strong> e che sono uno dei lasciti dei pur positivi<br />

processi di aggregazione e di riassetto proprietario<br />

realizzati fra i primi anni Novanta e il 2007. In quanto<br />

segue, si richiameranno alcune di tali peculiarità al fine<br />

di porre in evidenza tre aspetti: (i) la maggiore solidità,<br />

manifestata rispetto alla crisi finanziaria, dipende da vari<br />

fattori (per esempio, una più attenta vigilanza) ma<br />

soprattutto dalla specializzazione dei gruppi bancari e<br />

delle banche italiane in attività retail e di corporate tradizionale<br />

anziché in attività di investment; (ii) tale spe- <br />

5


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

cializzazione implica che i gruppi e le banche italiane<br />

traggano una parte significativa dei loro profitti dai<br />

finanziamenti alle imprese e – soprattutto – dai servizi<br />

di allocazione della ricchezza finanziaria delle famiglie<br />

e che, quindi, siano particolarmente vulnerabili rispetto<br />

alle crisi ‘reali’; (iii) la recente crisi (finanziaria e reale)<br />

è stata così profonda da determinare forti aumenti<br />

nell’avversione al rischio dei detentori di ricchezza e da<br />

imporre, quindi, una revisione dei meccanismi di allocazione<br />

dei patrimoni finanziari delle famiglie.<br />

Alcune peculiarità<br />

delle banche italiane<br />

<strong>Il</strong> processo di aggregazione e di riassetto proprietario,<br />

che ha caratterizzato il settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> dall’inizio<br />

degli anni Novanta al 2007, è stato il più rapido e<br />

pervasivo fra quelli attuati nei grandi paesi europei<br />

<strong>du</strong>rante lo stesso periodo. Basti considerare, al riguardo,<br />

<strong>du</strong>e indicatori: se nei primi anni Novanta il peso della<br />

proprietà pubblica nel settore <strong>bancario</strong> sfiorava in Italia<br />

il 75% e superava così di più di 20 punti percentuali<br />

quello tedesco e di quasi 40 punti percentuali quello<br />

francese, all’inizio degli anni Duemila in Italia la presenza<br />

statale nelle banche era pressoché azzerata; se nel<br />

1990 il grado di concentrazione del mercato <strong>bancario</strong><br />

era pari in Italia a poco più della metà della media<br />

dell’Unione europea, già intorno al 2005 le distanze si<br />

erano annullate (cfr. per esempio: Messori 2002 e<br />

2007). Per giunta, questo processo di consolidamento<br />

è sfociato nella costruzione di <strong>du</strong>e fra i maggiori gruppi<br />

bancari europei (Unicredit e Intesa-San Paolo) e di<br />

un sottoinsieme di gruppi di dimensione nazionale collocati<br />

nelle aree più ‘forti’ del paese.<br />

Tali profonde trasformazioni non hanno, però, modificato<br />

il fattore di vantaggio comparato dell’attività bancaria<br />

in Italia: il radicamento territoriale che ha permesso di<br />

costruire rapporti di lunga <strong>du</strong>rata (seppure con diffuse<br />

pratiche di multiaffidamento) nei confronti delle piccole<br />

e medie imprese e di far prevalere l’amministrazione<br />

bancaria per l’allocazione della ricchezza finanziaria<br />

delle famiglie. Basti fare riferimento a tre indicatori:<br />

l’Italia è stato uno dei pochi paesi europei ad aumentare<br />

il numero degli sportelli bancari fino ad anni recenti (cfr.<br />

Affinito et al. 2006); nel confronto internazionale, in<br />

Italia il peso del risparmio amministrato rispetto a quello<br />

gestito è molto elevato (cfr. Lusignani 2010); alle<br />

soglie della crisi finanziaria, mentre gli attivi di bilancio<br />

delle altre grandi banche europee e di varie banche<br />

regionali non italiane erano dominati da servizi finanziari<br />

spesso a rischio molto elevato, gli attivi dei maggiori<br />

gruppi bancari italiani (anche di quelli con proiezione<br />

europea) riservavano il peso prevalente ai servizi tradizionali<br />

(cfr. Pierobon 2009).<br />

A fronte di una simile specializzazione, nel 2007 il settore<br />

<strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> soddisfaceva i requisiti patrimoniali<br />

regolamentari ma aveva un coefficiente di capitalizzazione<br />

inferiore a quello medio europeo. Anche in<br />

questo caso, si è trattato – almeno in parte – di un lascito<br />

del processo di consolidamento: specie fra la seconda<br />

metà del 1997 e il 2007, le aggregazioni si sono largamente<br />

fondate su scambi azionari che non hanno<br />

rafforzato il patrimonio dei nuovi gruppi; e una parte<br />

significativa delle limitate risorse aggiuntive, inserite<br />

nel settore nel corso degli anni Novanta, sono servite<br />

per interventi di salvataggio. Fatto è che, già nella<br />

prima fase della crisi finanziaria (inizio del 2008), l’insieme<br />

del settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> faceva registrare un<br />

coefficiente Tier 1 inferiore di circa mezzo punto percentuale<br />

rispetto al valore medio europeo; e tale divario<br />

si è accentuato (fino a superare i <strong>du</strong>e punti percentuali)<br />

fra l’autunno del 2008 e la primavera del<br />

2009, allorché gli altri grandi paesi dell’Unione europea<br />

hanno varato piani di ricapitalizzazione statale a favore<br />

dei loro intermediari finanziari anche in stato di solvibilità<br />

(cfr. Banca d’Italia 2009 e 2010). Solo negli ultimi<br />

trimestri i gruppi bancari e le banche italiane hanno<br />

incrementato i loro coefficienti patrimoniali più della<br />

media europea. In ogni caso, in termini di leva finanziaria,<br />

la vocazione tradizionale ha più che compensato<br />

la minore capitalizzazione: fin dal 2008, il grado medio<br />

di leverage del settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> è stato inferiore<br />

a quello caratterizzante gli altri principali paesi<br />

dell’Unione europea (cfr. Draghi 2010; Sironi 2010).<br />

La redditività delle banche italiane<br />

Le precedenti considerazioni possono, forse, giustificare<br />

la relativa solidità del settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong><br />

rispetto all’impatto della crisi finanziaria del<br />

2007-09; esse non sono, però, sufficienti per dar<br />

conto della possibile evoluzione di questo settore<br />

6


Le caratteristiche del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>: evoluzione dell’attività e delle performance<br />

MARCELLO MESSORI<br />

nel dopo-crisi. Al riguardo, è necessario richiamare<br />

altre <strong>du</strong>e peculiarità: la dinamica della profittabilità<br />

del settore fra la fine degli anni Novanta e i primi anni<br />

del Duemila; il connesso ruolo, svolto dall’intermediazione<br />

bancaria, per l’allocazione della ricchezza<br />

finanziaria delle famiglie italiane.<br />

Superata la lunga crisi di metà degli anni Novanta, fra<br />

il 1998 e il 2000 il settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> ha ottenuto<br />

valori crescenti del ROE netto (da 7,4 a 11,6) e si è<br />

così avvicinato alla profittabilità media europea. Seppure<br />

in un quadro macroeconomico meno favorevole, fra il<br />

2001 e il 2003 esso ha mantenuto i valori del ROE netto<br />

fra il 6,2 e lo 8,8; e, dal 2004 al 2007, ha realizzato ROE<br />

netti oscillanti intorno al valore di 10 (arrivando alla<br />

soglia dello 11,8 nel 2006) (cfr. Banca d’Italia, vari<br />

anni). Tali dati indicano che, pur senza aver mai raggiunto<br />

i massimi livelli della redditività bancaria internazionale,<br />

fra la fine degli anni Novanta e il 2006 il<br />

settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> si è – dapprima – avvicinato e<br />

– poi – ha tenuto il passo con la profittabilità media delle<br />

banche europee. Ne deriva un ovvio interrogativo:<br />

come è stato possibile, per l’insieme delle banche italiane,<br />

recuperare i divari di redditività mantenendo una<br />

specializzazione tradizionale?<br />

Per rispondere a questo interrogativo, è necessario considerare<br />

che: il processo di consolidamento del periodo<br />

1990-2007 ha accresciuto il grado di concorrenza<br />

bancaria nei servizi alle imprese e ha, così, compresso<br />

i margini di interesse; dalla seconda metà degli<br />

anni Novanta, in Italia il rapporto prestiti bancari/depositi<br />

bancari è stato ampiamente superiore a 1 e più elevato<br />

di quello medio nell’area dell’euro e – a maggior<br />

ragione – di quello negli Stati Uniti (cfr. Messori 2009,<br />

pp. 81-2); dall’inizio degli anni Duemila, in Italia l’andamento<br />

di tale rapporto ha fatto sì che il capitale<br />

proprio non fosse sufficiente per compensare i divari fra<br />

le voci tradizionali dell’attivo e del passivo dei bilanci<br />

bancari; pertanto, l’insieme delle banche italiane è<br />

diventato un debitore netto nei mercati interbancari<br />

internazionali e, rafforzando la propria precedente funzione<br />

di riallocazione della ricchezza finanziaria delle<br />

famiglie dai titoli del debito pubblico a portafogli più articolati,<br />

ha collocato un elevato ammontare di obbligazioni<br />

(plain vanilla e strutturate) nei mercati finanziari<br />

nazionali; per di più, dato lo scarso peso degli investitori<br />

istituzionali italiani (fondi pensione e prodotti assicurativi<br />

“ramo vita”), a differenza che negli altri paesi<br />

europei queste obbligazioni sono state largamente<br />

ven<strong>du</strong>te nel mercato retail ossia inserite nei portafogli<br />

delle famiglie (cfr. Banca d’Italia, vari anni).<br />

Se si aggiunge che l’Italia vanta il più alto rapporto fra<br />

ricchezza finanziaria netta delle famiglie e Pil rispetto ai<br />

maggiori paesi dell’Europa continentale (cfr. Banca<br />

d’Italia 2010, p. 167), le precedenti considerazioni<br />

indicano che la redditività del settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong><br />

fra la fine degli anni Novanta e il 2006 ha tenuto il<br />

passo con quella media europea soprattutto grazie<br />

alla gestione e all’amministrazione della ricchezza finanziaria<br />

delle famiglie (ossia grazie al “risparmio gestito”,<br />

prima, e al “risparmio amministrato”, poi). Mentre i<br />

grandi gruppi bancari europei e alcune banche regionali<br />

specie tedesche reagivano alla calante redditività<br />

delle loro attività tradizionali e aumentavano anzi il proprio<br />

ROE grazie all’espansione di lucrose ma rischiose<br />

attività di investimento, il settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong><br />

sfruttava il proprio radicamento territoriale e la debolezza<br />

degli investitori istituzionali per assumere il quasi-monopolio<br />

nella gestione e nella amministrazione della ricchezza<br />

finanziaria delle famiglie e per estrarne le relative<br />

rendite. Ciò ha, però, determinato un’allocazione<br />

inefficiente di tale ricchezza. Prova ne sia che: negli anni<br />

Duemila precedenti lo scoppio della crisi finanziaria<br />

(maggio 2007), il rendimento medio di un ampio spettro<br />

di obbligazioni bancarie strutturate non è stato<br />

maggiore di quello dei titoli del debito pubblico <strong>italiano</strong><br />

con analoga scadenza e non ha, quindi, corrisposto<br />

alcun premio per la sua maggiore rischiosità e la sua<br />

minore liquidità; in quegli stessi anni, il tasso di crescita<br />

della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane è stato<br />

inferiore a quello di paesi con più bassa propensione<br />

al risparmio.<br />

Le prospettive delle banche italiane<br />

Le molte peculiarità degli assetti finanziari e bancari italiani,<br />

sopra esaminati, sapranno offrire – nel futuro<br />

prossimo – performance del settore soddisfacenti<br />

anche se inferiori a quelle pre-crisi? I dati e le previsioni<br />

indicano che, rispetto ad altri sistemi bancari, il settore<br />

<strong>italiano</strong> ha subito con ritardo l’impatto della crisi<br />

ma rischia di recuperare con ancora maggiore ritardo <br />

7


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

sufficienti livelli di redditività. Infatti nel 2008, pur segnando<br />

una significativa ca<strong>du</strong>ta, il ROE netto medio delle<br />

banche italiane si è mantenuto al valore di 4,5 mentre<br />

è sceso a 3,6 nel 2009; e l’aspettativa è che il ROE<br />

netto raggiunga solo nel 2012 valori non lontani da 5<br />

(cfr. AFO 2010).<br />

Queste previsioni non sorprendono e appaiono persino<br />

troppo ottimistiche. Specie per l’Europa, il quadro<br />

macroeconomico per i prossimi anni non è incoraggiante.<br />

Vi è una probabilità non bassa che, a causa dei<br />

vincoli posti dalla dinamica dei debiti sovrani e dal<br />

conseguente mancato rilancio della domanda interna,<br />

i paesi dell’area euro puntino su una crescita export led.<br />

Se però la stessa strategia verrà perseguita anche<br />

dagli Stati Uniti e dai paesi emergenti, la somma delle<br />

parti non potrà essere coerente con il tutto (problema<br />

di “fallacia dell’aggregazione”); e le aree sottoposte ai<br />

maggiori vincoli, come l’area dell’euro, non potranno<br />

realizzare i loro obiettivi di crescita e si condanneranno<br />

a una fase di stagnazione. Una situazione del genere<br />

prolungherebbe la politica dei bassi tassi di interesse,<br />

ma minerebbe anche la solvibilità di molte piccole<br />

e medie imprese e aggraverebbe la disoccupazione. In<br />

un tale quadro i detentori di ricchezza troverebbero<br />

buone giustificazioni per rafforzare l’avversione al<br />

rischio, già accresciuta <strong>du</strong>rante la crisi finanziaria, e per<br />

interrompere così i cauti processi di riallocazione dei loro<br />

portafogli verso scadenze di più lungo periodo.<br />

Rispetto al settore <strong>bancario</strong> europeo, ciò implicherebbe<br />

una ri<strong>du</strong>zione dei già bassi ricavi sui servizi tradizionali<br />

offerti alle imprese, un peggioramento nella dinamica<br />

dei crediti incagliati o in sofferenza e una ca<strong>du</strong>ta nei proventi<br />

derivanti dall’amministrazione della ricchezza<br />

delle famiglie a causa della loro fuga verso la liquidità<br />

o verso investimenti di breve termine. Per giunta, non<br />

sussistendo problemi di reperimento di liquidità privata<br />

da parte delle banche europee, la BCE potrebbe<br />

decidere di proseguire il gra<strong>du</strong>ale processo di sterilizzazione<br />

delle generose politiche di “mercato aperto”,<br />

varate <strong>du</strong>rante la crisi finanziaria, per concentrarsi sul<br />

sostegno alla domanda dei titoli di debito sovrano; il che<br />

prosciugherebbe una fonte di facile guadagno per il settore<br />

<strong>bancario</strong> europeo. Quest’ultimo avrebbe così un<br />

incentivo, rafforzato dalla mancata riforma delle regole<br />

e della vigilanza europea sui mercati finanziari, per<br />

espandere nuovamente quelle rischiose attività di investimento<br />

che ne hanno sostenuto la redditività fino a<br />

metà del 2007 ma che sono anche state un fattore<br />

determinante della crisi del 2007-09.<br />

Data la sua specializzazione tradizionale, il settore<br />

<strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> sarebbe particolarmente colpito da<br />

un’evoluzione così negativa del quadro macroeconomico<br />

e dell’attività bancaria europee. Per giunta, rispetto<br />

al periodo pre-crisi, esso potrebbe incontrare maggiori<br />

difficoltà a salvaguardare performance soddisfacenti<br />

grazie ai proventi dall’amministrazione della ricchezza<br />

finanziaria delle famiglie. Nel recente passato la forte<br />

avversione al rischio, che ha caratterizzato in media le<br />

scelte finanziarie delle famiglie italiane, ha probabilmente<br />

facilitato il collocamento di obbligazioni bancarie (anche<br />

strutturate) che offrivano, alla scadenza, rendimenti<br />

minimi garantiti. Prova ne sia che, come già accennato,<br />

le banche italiane non hanno incontrato difficoltà nel<br />

collocare tali attività a condizioni allineate a quelle dei<br />

meno rischiosi titoli del debito pubblico. Combinandosi<br />

con gli insegnamenti più evidenti della crisi finanziaria,<br />

un ulteriore rafforzamento dell’avversione al rischio<br />

potrebbe però spingere le famiglie italiane a meglio<br />

apprezzare i rischi di liquidità e di controparte delle<br />

obbligazioni bancarie che, in molti casi, sono attività<br />

finanziarie complesse o non negoziabili su mercati<br />

‘spessi’. In questo senso è interessante notare che, nel<br />

dopo crisi, le condizioni di collocamento delle obbligazioni<br />

bancarie italiane sono avvenute a condizioni relativamente<br />

più favorevoli per i sottoscrittori.<br />

Qualche conclusione<br />

Nei prossimi anni il settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> si troverà,<br />

quindi, a fronteggiare una nuova e difficile sfida.<br />

Anche a causa della nuova regolamentazione internazionale<br />

dei mercati finanziari, esso sarà costretto a<br />

proseguire nel proprio rafforzamento patrimoniale; il che<br />

richiederà di realizzare un’adeguata redditività per<br />

accrescere le risorse interne e per assicurare una<br />

remunerazione attraente agli investitori di mercato.<br />

D’altro canto però, nel dopo-crisi, i grandi gruppi bancari<br />

e le altre banche italiane dovranno finanziare<br />

mutuatari più rischiosi e collocare le proprie passività<br />

finanziarie presso risparmiatori più tutelati e più avversi<br />

al rischio; il che ri<strong>du</strong>rrà la fonte di quei facili, anche<br />

8


Le caratteristiche del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>: evoluzione dell’attività e delle performance<br />

MARCELLO MESSORI<br />

se distorsivi, guadagni nell’amministrazione della ricchezza<br />

finanziaria delle famiglie che hanno contribuito<br />

alle buone performance di tali gruppi bancari e<br />

banche nel decennio 1998-2007.<br />

La soluzione, caldeggiata in varie occasioni dal governatore<br />

della Banca d’Italia (cfr. per esempio: Draghi<br />

2009), si fonda su un miglioramento nella qualità dei servizi<br />

offerti e su un aumento dell’efficienza. All’apparenza,<br />

si tratta di un percorso simile a quello avviato con<br />

successo nel corso degli anni Novanta. Vari indicatori<br />

mostrano, infatti, che i consolidamenti e i riassetti proprietari<br />

di quegli anni hanno rafforzato il grado di efficienza<br />

e hanno migliorato i servizi retail e di corporate<br />

tradizionale offerti alle imprese nazionali (cfr. Panetta<br />

2004). Oggi, pare necessario proseguire nei processi<br />

di riorganizzazione aziendale e di miglioramento dei servizi<br />

retail offerti soprattutto alle famiglie, senza recedere<br />

dai progressi compiuti nei servizi offerti alle imprese. <strong>Il</strong><br />

problema è che, a differenza degli anni Novanta, all’inizio<br />

del secondo decennio del Duemila il settore <strong>bancario</strong><br />

<strong>italiano</strong> non può contare su un preminente fattore<br />

propulsivo di trasformazione. Vi è forse spazio per<br />

limitate aggregazioni e riassetti proprietari nell’ambito<br />

dei grandi gruppi bancari popolari che, pur continuando<br />

a riferirsi alla forma cooperativa, sono quotate<br />

in mercati regolamentati; tuttavia la stessa specializzazione<br />

del settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> impone che,<br />

accanto a pochi grandi gruppi di dimensione europea<br />

o nazionale, trovi spazio un insieme di banche<br />

locali con legami di lunga <strong>du</strong>rata nei confronti delle piccole<br />

imprese dell’area. Inoltre, almeno nel breve periodo,<br />

il miglioramento nei servizi retail offerti alle famiglie<br />

promette di ri<strong>du</strong>rre le aree di rendita bancaria piuttosto<br />

che di accrescerne i profitti; e la continuità nei servizi<br />

offerti alle imprese, che pure ha evitato in Italia il diffondersi<br />

del credit crunch anche nelle fasi più acute della<br />

crisi, accresce i prestiti bancari <strong>du</strong>bbi e spinge – di conseguenza<br />

– le banche ad aumentare costosi accantonamenti<br />

che hanno effetti negativi sui loro bilanci.<br />

In linea di principio questi problemi del settore <strong>bancario</strong><br />

<strong>italiano</strong>, acuiti ma non generati dalla crisi finanziaria<br />

del 2007-09, hanno <strong>du</strong>e possibili soluzioni strutturali.<br />

Una prima soluzione poggia sul ridimensionamento<br />

dell’attività bancaria nel mercato finanziario <strong>italiano</strong>:<br />

anziché continuare a detenere il quasi-monopolio nell’offerta<br />

di servizi alle imprese e alle famiglie, le banche<br />

italiane potrebbero lasciare spazio ad attori specializzati<br />

e indipendenti nella gestione del risparmio e nei servizi<br />

finanziari sofisticati. La debolezza degli investitori istituzionali<br />

italiani e la path dependence rendono, però,<br />

la realizzazione di tale prima alternativa irta di ostacoli.<br />

Una seconda soluzione poggia, invece, sulla ri<strong>du</strong>zione<br />

del richiamato squilibrio fra prestiti e depositi bancari in<br />

modo da allentare la necessità, per le banche italiane,<br />

di collocare un elevato ammontare di proprie passività<br />

finanziarie nel mercato retail. Questa alternativa<br />

rischia, però, di sanare le distorsioni nell’amministrazione<br />

bancaria della ricchezza finanziaria delle famiglie al<br />

prezzo di imporre vincoli stringenti all’offerta di prestiti<br />

bancari alle imprese. Per evitare di “cadere dalla<br />

padella nella brace”, sarebbe quindi necessario alleggerire<br />

l’attivo di bilancio <strong>bancario</strong> senza ri<strong>du</strong>rre l’ammontare<br />

dei prestiti erogati. Ciò è possibile mediante<br />

le cartolarizzazioni. Un aspetto rilevante dell’evoluzione<br />

del settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> dipende, quindi, dalla<br />

risposta al seguente interrogativo: è possibile attuare<br />

processi di cartolarizzazione che non sfocino nella<br />

piramide di prodotti strutturati, nelle opacità e nell’instabilità<br />

proprie al modello “originate to distribuite” alla<br />

base della crisi finanziaria recente? ◗<br />

9


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

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10


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMÉRO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

<strong>Il</strong> consolidamento del mercato<br />

<strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>: evoluzioni e<br />

prospettive<br />

Attraverso le fasi di privatizzazione e<br />

consolidamento, il <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong><br />

<strong>italiano</strong> ha conosciuto profonde e<br />

rapide trasformazioni negli ultimi venti<br />

anni. Un’ulteriore fase di<br />

concentrazione potrebbe essere<br />

possibile, ma con ritmi più lenti<br />

e dimensioni più contenute rispetto al<br />

recente passato.<br />

ILARIA ROMAGNOLI<br />

Managing Director, Head of FIG Italy, Rothschild<br />

<strong>Il</strong> consolidamento del mercato<br />

<strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> negli ultimi anni<br />

L’attuale fisionomia del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> è il risultato<br />

di un lungo processo di modernizzazione che lo ha<br />

condotto ad una piena integrazione nel mercato europeo<br />

e mondiale. I cardini fondamentali di questo percorso,<br />

iniziato con gli anni ’90, sono stati:<br />

• la riforma della normativa di settore e le seguenti privatizzazioni;<br />

• un’intensa fase di consolidamento tra il 1993 e il<br />

2002;<br />

• la progressiva apertura all’estero del <strong>sistema</strong> e un’ulteriore<br />

fase di consolidamento nel periodo 2005-2007.<br />

Evoluzione della normativa<br />

La legge bancaria del 1936 rappresenta la prima riforma<br />

organica dell’attività creditizia in Italia in risposta alle<br />

crisi che avevano minato l’attività delle banche dalla fine<br />

del XIX secolo. Tale riforma prevedeva la specializzazione<br />

temporale del credito 1 e quella territoriale o settoriale.<br />

Fino ad inizio anni ’90 le aziende di credito italiane<br />

erano suddivise tra:<br />

• Istituti di credito di diritto pubblico (Banco di Napoli,<br />

Banca Nazionale del Lavoro, Istituto Bancario San<br />

Paolo di Torino, Banco di Sicilia, Monte dei Paschi di<br />

Siena e Banco di Sardegna).<br />

<br />

1. Gli istituti si suddividevano tra quelli che dovevano gestire il credito a breve scadenza (entro 18 mesi) e quelli focalizzati sul medio e lungo termine.<br />

11


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

• Banche di interesse nazionale (Banca Commerciale<br />

italiana, Credito Italiano, Banco di Roma) posse<strong>du</strong>te<br />

dall’IRI.<br />

• Casse di Risparmio.<br />

• Monti di credito su pegno.<br />

• Banche Popolari.<br />

• Casse Rurali e Artigiane.<br />

• Banche private, le uniche di fatto di matrice non<br />

pubblica.<br />

Circa l’80% dei fondi intermediati dal <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong><br />

era ricon<strong>du</strong>cibile a banche a controllo pubblico<br />

(cfr. tavola 1).<br />

La legge n.218 del 30 luglio 1990, detta anche “legge<br />

Amato”, ha rappresentato una tappa fondamentale<br />

nel processo di riassetto del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>.<br />

La “legge Amato” ha permesso la trasformazione degli<br />

istituti di credito di diritto pubblico in società per azioni<br />

e la nascita di fondazioni bancarie, azioniste delle banche,<br />

a cui sono state trasferite tutte quelle attività non<br />

tipiche dell’impresa.<br />

L’evoluzione normativa di riferimento per il <strong>sistema</strong><br />

<strong>bancario</strong> è stata poi completata con il “Testo Unico delle<br />

leggi in materia bancaria e creditizia (TUB)” del 1993 e<br />

il “Testo Unico della Finanza (TUF)” del 1998 che hanno<br />

rimosso le segmentazioni nell’operatività degli intermediari<br />

e introdotto le forme giuridiche attualmente<br />

adottabili dalle banche: società per azioni e cooperative<br />

(banche popolari e banche di credito cooperativo)<br />

Privatizzazioni e prima fase di<br />

consolidamento (1993 – 2002)<br />

Oltre alle modifiche normative degli anni ’90, un’altra<br />

spinta fondamentale nell’evoluzione del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong><br />

<strong>italiano</strong> è stata rappresentata dal processo di<br />

privatizzazione delle “banche di interesse nazionale”<br />

posse<strong>du</strong>te dall’IRI.<br />

Nel 1993 l’IRI mise in vendita il 67% del capitale del<br />

Credito Italiano, il 40% attraverso un’Offerta Pubblica<br />

di Vendita (“OPV”, ovvero vendita al pubblico di titoli) e<br />

la quota rimanente attraverso un collocamento privato.<br />

Grandi azionisti del Credito Italiano privatizzato<br />

furono la Famiglia Pesenti, Allianz – Ras, Commercial<br />

Union, Société Générale, Natwest, il gruppo<br />

Caltagirone, i Benetton, i fondi Fininvest, Toro<br />

Assicurazioni e SAI.<br />

Nel 1994 fu la volta della privatizzazione della Banca<br />

Commerciale Italiana (“Comit”) attraverso un’OPV. Tra<br />

gli azionisti di comando della banca post privatizzazione<br />

spiccano le Assicurazioni Generali, Commerzbank,<br />

Paribas e, con quote minori, Lucchini, Pirelli, Della<br />

Valle e Stefanel.<br />

La privatizzazione del Banco di Roma seguì invece<br />

un percorso differente: nel 1992 l’IRI e l’Ente Cassa di<br />

Risparmio di Roma conferirono le loro partecipazioni di<br />

controllo rispettivamente in Banco di Roma e Banca di<br />

Santo Spirito (che negli anni precedenti aveva ricevuto<br />

in conferimento l’attività bancaria di Cassa di<br />

Risparmio di Roma) in una holding denominata Società<br />

Italiana di Partecipazioni Bancarie (“SIPBA”) che risultò<br />

detenuta al 65% dall’Ente Cassa di Risparmio di<br />

Roma e al 35% dall’IRI. Successivamente alla fusione<br />

tra Banco di Roma e Banca di Santo Spirito (la nuova<br />

realtà fu denominata Banca di Roma S.p.A.), nel 1997<br />

si diede luogo all’effettiva privatizzazione tramite (i)<br />

scioglimento di SIPBA e trasferimento delle azioni in<br />

Banca di Roma direttamente ai soci e (ii) un’operazio-<br />

TAVOLA 1. Dati <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> Italiano - 1990<br />

Categoria di banche N. di banche N. di sportelli % su totale attivo<br />

Istituti di credito di diritto pubblico 6 2 449 20,1<br />

Banche di interesse nazionale 3 1 459 12,9<br />

Casse di risparmio e Monti di credito 84 4 695 24,2<br />

Banche “pubbliche” 93 8 603 57,2<br />

Banche di credito ordinario 106 3 981 20,5<br />

Istituti centrali di categoria 5 5 2,4<br />

Banche popolari 108 3 290 14,2<br />

Casse rurali e artigiane 715 1 792 4,3<br />

Succursali di banche estere 37 50 1,6<br />

Totale 1 064 17 721 100<br />

12


<strong>Il</strong> consolidamento del mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>: evoluzioni e prospettive<br />

ILARIA ROMAGNOLI<br />

ne di collocamento di azioni e obbligazioni che portò<br />

l’Ente Cassa di Risparmio di Roma a scendere sotto il<br />

30% del capitale di Banca di Roma e all’uscita dell’IRI<br />

dall’azionariato della banca.<br />

<strong>Il</strong> processo di dismissione della proprietà statale si<br />

completò nel periodo 1997 -2001 attraverso la cessione<br />

delle quote detenute dal Ministero del Tesoro nel Banco<br />

di Napoli e nella Banca Nazionale del Lavoro (“BNL”).<br />

Contemporaneamente alle privatizzazioni, tra il 1993 e<br />

il 2002 ha avuto luogo un intenso processo di consolidamento<br />

delle banche che si indirizzava alla creazione<br />

di gruppi bancari dotati di maggiore capacità competitiva<br />

e che ha portato alla nascita, tra le altre, di:<br />

• Unicredito: nata dall’aggregazione nel tempo tra il<br />

Credito Italiano, Cassa di Risparmio di Torino, Cassa<br />

di Risparmio di Verona, Cassa Marca Trevigina, Credito<br />

Romagnolo, Cassa di Risparmio di Trieste, Carimonte<br />

e Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto.<br />

• Banca Intesa: nata dall’integrazione nel tempo tra<br />

Cassa di Risparmio delle Province Lombarde (“Cariplo”),<br />

Banco Ambrosiano Veneto e Comit.<br />

• Sanpaolo IMI: nato dalla fusione tra l’Istituto Bancario<br />

Sanpaolo di Torino e l’IMI (primaria banca d’affari e investimento),<br />

ente di diritto pubblico fondato nel 1931<br />

per sostenere la ricostruzione del <strong>sistema</strong> in<strong>du</strong>striale<br />

nazionale.<br />

• Capitalia: nata dall’aggregazione tra (i) la Banca di<br />

Roma post privatizzazione e acquisizione di Banco di<br />

Sicilia e Mediocredito Centrale e (ii) la Bipop – Carire,<br />

entità risultante dalla precedente fusione tra Bipop –<br />

Banca Popolare di Brescia (società per azioni) e la<br />

Cassa di Risparmio di Reggio Emilia.<br />

<strong>Il</strong> consolidamento descritto ha riguardato per lo più le<br />

ex banche nazionali di matrice pubblica, gli istituti di credito<br />

speciale e le casse di risparmio. Le banche popolari<br />

vennero toccate meno dal processo in atto, fondamentalmente<br />

a causa della loro forma giuridica di<br />

“cooperativa”, eccezioni in tal senso sono state la<br />

Banca Antonveneta e la Banca Popolare di Brescia che<br />

si sono trasformate in società per azioni e la Banca<br />

Agricola Mantovana che fu acquisita dal Monte dei<br />

Paschi di Siena dopo l’abolizione del voto capitario.<br />

Le banche popolari hanno seguito comunque processi<br />

di sviluppo, seppur meno intensi, che hanno<br />

portato a realizzare aggregazioni all’interno dello stesso<br />

settore quali quella tra Banca Popolare di Verona e<br />

Banca Popolare di Novara (creando Banca Popolare di<br />

Verona e Novara – BPVN) e quella tra Banca Popolare<br />

Commercio e In<strong>du</strong>stria e Banca Popolare di Bergamo<br />

– Credito Varesino che ha dato vita al Gruppo Banche<br />

Popolari Unite (“BPU”).<br />

Dal 1990 all’ottobre 2002 si sono registrate complessivamente<br />

566 operazioni di aggregazione con un<br />

picco nel 2002, anno nel quale si contano 77 operazioni<br />

di M&A<br />

<strong>Il</strong> biennio 2003 – 2004 ha registrato invece un rallentamento<br />

della fase di consolidamento principalmente<br />

legato all’atteggiamento di Banca d’Italia che<br />

considerava necessaria una fase di assestamento<br />

dopo una stagione di grandi aggregazioni tra gruppi<br />

bancari.<br />

La seconda fase di consolidamento del<br />

<strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong>: dal 2005 ad oggi<br />

A seguito del processo di privatizzazione e conseguente<br />

maggiore apertura del capitale delle banche al<br />

mercato, ad inizio 2005 molte delle principali banche<br />

italiane annoveravano banche straniere tra i propri<br />

azionisti di riferimento, ma in nessun caso le banche<br />

estere avevano il controllo dei principali istituti di credito<br />

italiani. Le partecipazioni delle banche straniere<br />

confluivano normalmente in patti di sindacato all’interno<br />

dei quali erano presenti fondazioni bancarie o azionisti<br />

privati di origine italiana.<br />

La tavola 2 riporta gli azionariati delle prime 10 banche<br />

italiane a fine 2004.<br />

Nel corso del 2005 aumentò l’interesse delle banche<br />

straniere sugli istituti italiani: buona parte degli azionisti<br />

esteri delle banche italiane manifestarono in<br />

modo più o meno velato la loro intenzione di incrementare<br />

la propria influenza, se non addirittura di<br />

acquisire il controllo delle banche in cui detenevano<br />

partecipazioni rilevanti.<br />

Fu così che a fine marzo del 2005 ABN Amro e BBVA<br />

promossero un’offerta pubblica di acquisto rispettivamente<br />

su Banca Antonveneta e BNL. Le <strong>du</strong>e offerte fallirono<br />

anche per via della costituzione di <strong>du</strong>e cordate<br />

italiane capeggiate da Banca Popolare Italiana (“BPI”) <br />

13


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

TAVOLA 2. Dati <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> - 2004<br />

Banche N. di sportelli Principali azionisti<br />

SanPaolo IMI 3,205 Compagnia San Paolo (14,27%); Fondazione CR di Padova e Rovigo (10,65%);<br />

Banco Santander Central Hispano (8,49%); Fondazione CR di Bologna (7,58%).<br />

Unicredito 3,137 Fondazione CR di Torino (8,74%); Fondazione CR di Verona, Vicenza, Belluno e<br />

Ancona (7,59%); Carimonte Holding (7,14%) ; Allianz (4,94%).<br />

Banca Intesa 3,080 Crédit <strong>Agricole</strong> SA (15,00%); Fondazione Cariplo (9,92%); Assicurazioni Generali<br />

(6,35%); Commerzbank (4,29%).<br />

Capitalia 1,950 ABN Amro (7,91%); Fondazione CR di Roma (5,19%); Fondazione Manodori<br />

(4,00%); Lehman Brothers International Europe (3,66%).<br />

MPS 1,824 Fondazione Monte dei Paschi di Siena (58,58%); Caltagirone Francesco Gaetano<br />

(3,81%); Hopa Spa (2,44%); Premafin Finanziaria (2,10%).<br />

BP U 1,204 Banca popolare: azionariato diffuso.<br />

BP VN 1,172 Banca popolare: azionariato diffuso.<br />

BP ER 1,105 Banca popolare: azionariato diffuso.<br />

Antonveneta 1,000 BPI (29,5%); ABN Amro (18,12%); Magiste International (4,99%); Fingruppo<br />

Holding (4,92%).<br />

BPI 970 Banca popolare: azionariato diffuso.<br />

(già Banca Popolare di Lodi) per Banca Antonveneta e<br />

Unipol per BNL, che comprarono azioni sul mercato e<br />

a loro volta lanciarono delle offerte pubbliche di acquisto<br />

sulle <strong>du</strong>e banche.<br />

Nel maggio 2005, tuttavia, la Procura di Milano aprì un<br />

fascicolo contro ignoti per la scalata di Banca<br />

Antonveneta ipotizzando il reato di aggiotaggio volto a<br />

far fallire l’offerta di ABN Amro.<br />

<strong>Il</strong> 25 luglio 2005 la Procura di Milano dispose il sequestro<br />

delle azioni che BPI e i suoi alleati detenevano in<br />

Banca Antonveneta: questo fu l’inizio di una serie di<br />

inchieste che riguardarono i vertici di BPI e che portarono<br />

alla cessione da BPI ad ABN Amro del 25,9% di<br />

Banca Antonveneta. La banca olandese venne così a<br />

detenere il 55,8% di Banca Antonveneta e lanciò successivamente<br />

l’opa obbligatoria.<br />

I vertici di Unipol vennero a loro volta coinvolti nell’inchiesta<br />

su BPI e il 10 gennaio 2006 Banca d’Italia<br />

bloccò l’offerta Unipol su BNL. Nel febbraio 2006,<br />

BNP Paribas ha acquisito il 48% di BNL da Unipol e i<br />

suoi alleati ed ha successivamente lanciato l’opa obbligatoria<br />

su tutto il capitale di BNL alla quale aderì anche<br />

il BBVA.<br />

Sempre nel corso del 2005, a fronte di istituti stranieri<br />

che cercavano di crescere in Italia, vi erano banche<br />

italiane che guardavano ad uno sviluppo internazionale:<br />

è il caso di Unicredito che nel giugno 2005 annunciò<br />

la fusione con la tedesca HVB.<br />

Gli avvenimenti dell’estate 2005 spinsero molte banche<br />

italiane a interrogarsi su eventuali operazioni di M&A alla<br />

luce di (i) crescente interesse delle banche estere per<br />

il mercato <strong>italiano</strong>, (ii) necessità di avere una massa critica<br />

sufficiente per competere nel mercato domestico<br />

in considerazione dei cambiamenti in atto e (iii) voglia<br />

delle principali banche italiane di giocare un ruolo rilevante<br />

anche nel panorama europeo.<br />

In questo contesto nell’estate del 2006 fu annunciata<br />

la fusione tra Banca Intesa e Sanpaolo IMI che<br />

diede vita a Intesa Sanpaolo, prima banca italiana<br />

per numero di sportelli (circa 6.200). Tale operazione<br />

comportò una diluizione degli azionisti esteri delle <strong>du</strong>e<br />

banche: Santander (azionista Sanpaolo IMI) decise<br />

di uscire dal capitale della nuova banca, mentre a<br />

Crédit <strong>Agricole</strong> SA (azionista Banca Intesa) fu proposta<br />

la possibilità di acquisire <strong>du</strong>e banche (Cariparma<br />

e Friuladria) e alcuni sportelli bancari ottenendo così<br />

una presenza diretta nel mercato <strong>italiano</strong>. La fusione<br />

tra Banca Intesa e Sanpaolo IMI ha rappresentato<br />

anche il primo caso <strong>italiano</strong> di adozione del <strong>sistema</strong> di<br />

governance <strong>du</strong>ale (consiglio di gestione e consiglio di<br />

sorveglianza) in sostituzione del più classico schema<br />

che prevedeva il consiglio di amministrazione e il collegio<br />

sindacale.<br />

Precedentemente alla nascita di Intesa Sanpaolo, per<br />

alcuni mesi si erano diffuse voci su una possibile operazione<br />

tra Banca Intesa e Capitalia. Tali voci furono sem-<br />

14


<strong>Il</strong> consolidamento del mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>: evoluzioni e prospettive<br />

ILARIA ROMAGNOLI<br />

pre smentite dal management di Banca Intesa, anche<br />

se è possibile che il tentativo di aggregazione sia stato<br />

in effetti frenato dalla mossa “difensiva” (acquisto del 2%<br />

di Banca Intesa) voluta dall’allora amministratore delegato<br />

di Capitalia. Nella primavera 2007 sono quindi<br />

iniziati i colloqui tra Capitalia e Unicredit che sono culminati<br />

con l’approvazione in data 20 maggio 2007<br />

della fusione per incorporazione di Capitalia in Unicredito.<br />

Tra le grandi banche italiane l’unico istituto che, nonostante<br />

varie speculazioni di mercato su possibili aggregazioni,<br />

fino al novembre 2007 non fu toccato dal risiko<br />

<strong>bancario</strong> era il Monte dei Paschi di Siena (“MPS”).<br />

Tuttavia in uno scenario in cui le principali banche italiane<br />

si rafforzavano significativamente sul territorio<br />

generando importanti economie di scala e le banche<br />

estere cominciavano a radicarsi in Italia, al fine di poter<br />

continuare ad avere un ruolo primario nel mercato<br />

domestico, MPS annunciò l’acquisizione di Banca<br />

Antonveneta da Santander (che ne aveva acquisito il<br />

controllo nell’ambito delle vicissitudini che portarono allo<br />

smembramento di ABN Amro), potendo in questo<br />

modo contare su una rete distributiva del gruppo di oltre<br />

3.000 sportelli.<br />

L’onda lunga dell’estate 2005 ha poi toccato anche il<br />

settore delle banche popolari coinvolgendo in operazioni<br />

(o tentativi) di aggregazione i principali istituti<br />

popolari italiani.<br />

BPI, uscita malconcia dalla vicenda Antonveneta e<br />

dai suoi strascichi giudiziari, avviò la ricerca di un partner<br />

per un’aggregazione, ricerca che culminò ad inizio<br />

2007 con la fusione tra Banca Popolare di Verona e<br />

Novara e BPI e la creazione del gruppo <strong>bancario</strong><br />

Banco Popolare.<br />

Più o meno nello stesso periodo ebbe luogo anche l’altra<br />

grande aggregazione che riguardò il mondo delle banche<br />

popolari; BPU e Banca Lombarda si fusero creando<br />

il nuovo gruppo UBI Banca. L’operazione rappresentò<br />

il primo caso di fusione tra una banca popolare e una<br />

banca SpA (Banca Lombarda) con mantenimento dello<br />

status di popolare da parte dell’entità risultante: tale<br />

transazione fu possibile data l’elevata frammentazione<br />

dell’azionariato di Banca Lombarda che in qualche<br />

modo la avvicinava al mondo delle popolari.<br />

<strong>Il</strong> primo semestre 2007 vide inoltre intense discussioni<br />

per una fusione tra Banca Popolare dell’Emilia<br />

Romagna (“BPER”) e Banca Popolare di Milano<br />

(“BPM”), rispettivamente la terza e la quarta banca<br />

popolare in Italia per dimensioni. L’aggregazione non<br />

andò poi a buon fine prevalentemente per l’opposizione<br />

dei sindacati interni a BPM.<br />

La tavola 3 riporta una sintesi degli elementi chiave delle<br />

principali fusioni che hanno interessato il mercato <strong>italiano</strong><br />

nel periodo 2006 – 2007 (dati all’annuncio dell’operazione).<br />

Attese di sviluppo per i prossimi anni<br />

<strong>Il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> attuale si presenta <strong>du</strong>nque<br />

molto più concentrato rispetto a alcuni anni fa. Nel<br />

mercato <strong>italiano</strong> esistono ad oggi circa 90 gruppi bancari/banche<br />

indipendenti (escludendo il credito cooperativo)<br />

attive nel retail banking di cui 36 di matrice<br />

“popolare”. Le casse di risparmio in cui la fondazione<br />

detiene ancora il controllo sono circa 19.<br />

La tavola 4 riporta i principali gruppi bancari italiani per<br />

sportelli in Italia e il relativo azionariato.<br />

Le banche presenti oggi in Italia possono essere suddivise<br />

da un punto di vista operativo nelle seguenti<br />

categorie:<br />

• Grandi banche Spa con copertura capillare di tutto<br />

il territorio nazionale (UniCredit, Intesa Sanpaolo e<br />

MPS) e in taluni casi forte vocazione europea.<br />

• Banche popolari “nazionali”, fortemente radicate nelle<br />

aree territoriali storiche, ma con una buona copertura<br />

di quasi tutte le regioni italiane: Banco Popolare e UBI.<br />

• Banche estere che vedono nell’Italia un mercato di<br />

riferimento: BNP Paribas (tramite BNL), Crédit <strong>Agricole</strong><br />

(tramite Cariparma/Fruladria), Barclays (presente direttamente<br />

tramite sportelli bancari) e Deutsche Bank.<br />

Altre Banche SpA con forte presenza nel territorio di riferimento<br />

ed, in alcuni casi, buona copertura di altre<br />

regioni italiane: tra queste Carige e Credem rappresentano<br />

gli istituti principali.<br />

• Banche popolari di dimensione media, con forte<br />

presenza nel territorio di riferimento ed, in alcuni casi,<br />

buona copertura di altre regioni italiane: tra queste le<br />

principali sono BPER, BPM, BP Vicenza, Veneto<br />

Banca, Credito Valtellinese e BP Sondrio, a cui si <br />

15


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

TAVOLA 3. Itala: principali fusioni 2006-2007<br />

Fusione Progetto in<strong>du</strong>striale Sinergie annunciate Governance<br />

Banca Intesa<br />

Creazione di un gruppo <strong>bancario</strong> €1,3mld di sinergie<br />

Sanpaolo IMI (2006) leader in Italia con il Network lorde entro il 2009<br />

distributivo più esteso<br />

• di cui sinergie di<br />

(QdM di c. 20%).<br />

costo : €1,0mld<br />

Rafforzamento della posizione<br />

internazionale con focus su CEE.<br />

Banche Popolari Unite - Creazione di un top player a livello<br />

Banca Lombarda Banca Lombarda (2007)<br />

(2007)<br />

nazionale con elevata<br />

complementarit territoriale.<br />

Banca Popolare di<br />

Verona e Novara -<br />

Banca Popolare<br />

Italiana (2007)<br />

Forte leadership nel nord Italia con<br />

QdM superiore al 15% in Lombardia.<br />

Primo esempio di fusione tra banca<br />

popolare e Spa con mantenimento<br />

dello status giuridico di banca<br />

popolare.<br />

Creazione del terzo gruppo<br />

<strong>bancario</strong> in Italia per sportelli<br />

e capitalizzazione di mercato.<br />

Prima banca popolare del paese.<br />

Unicredit- Capitalia Creazione di un gruppo di<br />

(2007) dimensione europea.<br />

Leader in 4 mercati domestici<br />

(Italia, Germania, Austria,<br />

Europa Centro Orientale).<br />

#1 Area Euro, #3 in Europa, #7 nel<br />

mondo per capitalizzazione.<br />

• di cui sinergie di<br />

ricavo : €0,3mld.<br />

€365mln di sinergie<br />

lorde entro<br />

il 2010<br />

• di cui sinergie di<br />

costo: €225mln<br />

• di cui sinergie di<br />

ricavo: €140mln.<br />

€0,5mld di sinergie<br />

lorde entro il 2010<br />

• di cui sinergie di<br />

costo: €0,2mld<br />

• di cui sinergie di<br />

ricavo: €0,3mld.<br />

€1,2mld di sinergie<br />

lorde entro il 2010<br />

• di cui sinergie di<br />

costo: €0,8mld;<br />

• di cui sinergie di<br />

ricavo: €0,4mld.<br />

Intro<strong>du</strong>zione del modello <strong>du</strong>alistico<br />

(consiglio di gestione e consiglio di<br />

sorveglianza).<br />

Nomina del presidente del consiglio<br />

di sorveglianza da parte di Banca Intesa<br />

e del presidente del consiglio di gestione<br />

da parte di Sanpaolo IMI.<br />

Consiglio di sorveglianza composto da<br />

19 membri.<br />

Intro<strong>du</strong>zione del modello <strong>du</strong>alistico<br />

Nomine consiglio di sorveglianza:<br />

23 membri di cui<br />

11 di espressione di BPU, 11 di Banca<br />

Lombarda e 1 delle liste di minoranza.<br />

Primo presidente del consiglio di<br />

sorveglianza espressione di Banca<br />

Lombarda mentre il presidente vicario<br />

espressione di BPU.<br />

Nomine consiglio di gestione: per i primi<br />

3 anni 10 membri di cui 5 nominati da<br />

BPU e 5 da Banca Lombarda. <strong>Il</strong><br />

presidente del consiglio di gestione<br />

nominato da BPU.<br />

Intro<strong>du</strong>zione del modello <strong>du</strong>alistico<br />

Nomine consiglio di sorveglianza<br />

• Anno 1: 10 membri di cui 4 di<br />

espressione BPI e 6 di espressione<br />

BPVN.<br />

• Anno 2: 15 membri di cui 6 BPI e<br />

9 BPVN.<br />

• Anno 3: 20 membri di 8 BPI e<br />

12 BPVN.<br />

<strong>Il</strong> presidente del consiglio di<br />

sorveglianza nominato da BPVN e il<br />

presidente del consiglio di gestione<br />

nominato da BPI.<br />

4 rappresentanti di Capitalia co-optati<br />

nel CdA di Unicredit, su un totale di 23<br />

membri.<br />

<strong>Il</strong> presidente di Capitalia sarà vice<br />

presidente vicario di Unicredit e<br />

responsabile per la gestione delle<br />

partecipazioni in Mediobanca, Generali,<br />

RCS e Pirelli, nonché presidente del<br />

comitato esecutivo di Unicredit.<br />

aggiungono alcuni gruppi minori dislocati in varie<br />

regioni italiane.<br />

• 16 Casse di risparmio locali (escludendo MPS, Carige<br />

e Banca delle Marche) controllate dalle rispettive fondazioni<br />

bancarie.<br />

In aggiunta sono presenti sul territorio <strong>italiano</strong> 426<br />

banche di credito cooperativo.<br />

La crisi economica iniziata nella seconda metà del<br />

2008 se da un lato ha decisamente raffreddato l’attività<br />

di M&A nel settore <strong>bancario</strong>, dall’altro ha anche<br />

16


<strong>Il</strong> consolidamento del mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>: evoluzioni e prospettive<br />

ILARIA ROMAGNOLI<br />

TAVOLA 4. Numero di sportelli e azionariato delle banche<br />

Banca<br />

Sportelli Totale attivo<br />

(2009) (2009, €mln)<br />

Principali azionisti<br />

Intesa Sanpaolo 6,041 624,844 Compagnia di San Paolo (9,89%); Crédit <strong>Agricole</strong> SA (5,49%);<br />

Assicurazioni Generali (4,97%); Fondazione Cariplo (4,68%).<br />

UniCredit 4,696 928,760 Mediobanca (6,76%); Fondazione Cassa di Risparmio di<br />

Verona Vicenza Belluno e Ancona (4,98%); Central Bank of<br />

Libya (4,61%); Blackrock Ine. (3,8%).<br />

MPS 3,001 224,815 Fondazione Monte dei Paschi di Siena (55,49%); JP Morgan<br />

Chase & co. Corporation (4,66 %); Catalgirone Francesco<br />

Gaetano (3,92%); Unicoop Firenze soc. Coop.va (2,43%).<br />

Banco Popolare 2,166 135,709 Banca popolare – Azionariato diffuso.<br />

UBI 1,955 122,313 Banca popolare – Azionariato diffuso.<br />

BPER 1,292 59,589 Banca popolare – Azionariato diffuso.<br />

Cariparma 901 40,773 Crédit <strong>Agricole</strong> SA (75,00%) ; Fondazione Cariparma<br />

(15,00 %) ; Sacam International (Gruppo Crédit <strong>Agricole</strong>).<br />

BNL 821 96,343 BNP Paribas (100 %).<br />

BPM 793 44,281 Banca popolare – Azionariato diffuso.<br />

Carige 644 36,299 Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia (43,37%);<br />

Caisses d’Epargne Participations (11,02 %) ; Assicurazioni.<br />

BP Vicenza 638 30,964 Banca popolare – Azionariato diffuso.<br />

Credem 575 26,439 Credito Emiliano Holding Spa (76,87 %) – società controllata<br />

dalla Famiglia Maramotti.<br />

Creval 515 24,896 Banca popolare – Azionariato diffuso.<br />

Veneto Banca 479 29,139 Banca popolare – Azionariato diffuso.<br />

Banca Sella 334 13,424 Famiglia Sella tramite le società Sofise (46,1 %) e Finanziaria<br />

1900 (45,09%).<br />

Banca delle Marche 324 19,606 Fondazione Cassa di Risparmio di Macerata (22,4%) ;<br />

Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro (22,4%) ;<br />

Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi (10,0%).<br />

UGF Banca 299 10,545 UGF (100%).<br />

Deutsche Bank 294 26,201 Deutsche Bank (100 %).<br />

BP Sondrio 278 23,455 Banca popolare – Azionariato diffuso.<br />

Banca Popolare di Bari 254 7,010 Banca popolare – Azionariato diffuso.<br />

Barclays Bank PLC 200 n.d. Filiale italiana del Gruppo Barclays<br />

posto alcuni interrogativi su quale possa essere l’effettiva<br />

redditività e sostenibilità degli istituti bancari nel<br />

tempo in uno scenario in cui gli spread si sono contratti,<br />

le commissioni applicate alla clientela sono sempre<br />

più oggetto di attenzione da parte delle autorità di<br />

vigilanza, le sofferenze sono in aumento e la richiesta<br />

di patrimonializzazione delle banche è crescente.<br />

Tali interrogativi potrebbero portare ulteriori “scosse<br />

di assestamento” (seppur in misura molto più limitata<br />

che in passato) nel <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> nei prossimi<br />

anni alla luce di:<br />

• Necessità di raggiungere economie di scala sufficienti<br />

a competere sul mercato: gli azionisti di alcune<br />

banche di medio - piccole dimensioni potrebbero valutare<br />

aggregazioni o cessioni al fine di incrementare la<br />

massa critica; tale processo potrà essere in parte<br />

frenato da poteri locali che non vorranno perdere il<br />

controllo del territorio di riferimento.<br />

• Volontà di alcune banche italiane di ricoprire un ruolo<br />

sempre più di primo piano a livello europeo.<br />

• Interesse delle banche straniere a continuare il processo<br />

di crescita della propria presenza in Italia.<br />

In aggiunta un ruolo importante in un’eventuale nuova fase<br />

di consolidamento potrà essere giocato dalle fondazioni<br />

bancarie che stanno sempre di più cercando di diversificare<br />

il proprio patrimonio ri<strong>du</strong>cendo il peso del proprio<br />

investimento nel capitale delle banche di riferimento.<br />

Le varie tipologie di banche potranno quindi essere<br />

coinvolte in operazioni di M&A che avranno sottostanti<br />

motivazioni differenti.<br />

<br />

17


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

Intesa Sanpaolo e UniCredit potrebbero guardare a<br />

operazioni internazionali che consolidino la propria<br />

presenza in Europa. Le fondazioni bancarie azioniste<br />

saranno probabilmente interessate ad operazioni che<br />

consentano loro di mantenere comunque una certa<br />

influenza sul gruppo risultante. Difficilmente tali banche<br />

potranno crescere ulteriormente in Italia (limiti antitrust)<br />

se non in regioni specifiche e con acquisizioni di<br />

dimensione limitata.<br />

Le banche estere e alcune banche italiane di medie<br />

dimensioni (Carige, Credem) potrebbero invece rappresentare<br />

i catalizzatori di una fase di consolidamento<br />

delle casse di risparmio e delle banche private minori.<br />

Molte fondazioni locali si stanno già interrogando sulla<br />

sostenibilità del modello della banca locale e una eventuale<br />

ripresa dei mercati azionari potrebbe favorire l’incontro<br />

sul prezzo tra domanda e offerta.<br />

Eventuali operazioni di M&A tra istituti di medie dimensioni<br />

potrebbero avvenire qualora qualche banca straniera<br />

ritenesse di voler uscire dall’Italia non avendo<br />

raggiunto una massa critica sufficiente ovvero qualche<br />

azionista privato decidesse di monetizzare il proprio<br />

investimento.<br />

<strong>Il</strong> settore delle banche popolari è stato quello meno<br />

toccato dalla fase di forte consolidamento che ha<br />

riguardato il mercato <strong>italiano</strong> negli ultimi 15 anni e per<br />

questo rappresenta uno degli ambiti verso cui si<br />

guarda maggiormente per future operazioni di consolidamento.<br />

Le attese di consolidamento sono soprattutto focalizzate<br />

sul settore delle banche di medie dimensioni che<br />

già in passato avevano avviato discussioni tra loro poi<br />

non andate a buon fine. <strong>Il</strong> tempo potrebbe smussare<br />

gli ostacoli del passato e permettere di definire assetti<br />

in<strong>du</strong>striali, di governance e di rappresentanza del territorio<br />

soddisfacenti per tutte le parti, dando<br />

vita a una nuova fase di concentrazione che potrà<br />

portare alla creazione di istituti popolari in grado di<br />

TAVOLA 5. Prospetive di consolidamento per settore di attività<br />

Settore 2005 – oggi Prospettiva<br />

Asset Management Al di là di alcune eccezioni (acquisto di Anima SGR<br />

da parte di BP Milano, acquisto di Prima SGR da<br />

parte di Clessidra) le operazioni di concentrazione<br />

avvenute sono state per lo più conseguenza delle<br />

fusioni tra gruppi bancari.<br />

Credito al consumo<br />

Leasing<br />

Bancassurance<br />

Banca depositaria<br />

Fase di concentrazione dovuta sia alle fusioni<br />

bancarie che alla crescita per linee esterne<br />

(aggregazione Agos - Ducato, acquisizione di Linea<br />

da parte di Compass, acquisizione di Findomestic<br />

da parte di BNP Paribas) di alcuni operatori. Tra i<br />

primi 6 player del settore, 4 sono controllati da<br />

banche straniere. Attività attualmente penalizzata<br />

dalla necessità di funding.<br />

Attività attualmente penalizzata dagli spread e dalla<br />

necessità di funding. Limitate operazioni di M&A<br />

nel recente passato.<br />

• Creazione di numerose JV nel vita: tra i principali<br />

gruppi bancari solamente Intesa Sanpaolo e Carige<br />

non hanno attualmente un partner assicurativo vita.<br />

• Le banche italiane hanno iniziato recentemente a<br />

guardare con interesse al bancassurance danni<br />

attraverso la creazione di partnership con operatori<br />

specializzati.<br />

Numerose operazioni di M&A che hanno portato<br />

all’ingresso/rafforzamento dei grandi operatori<br />

internazionali (State Street, BNP Paribas, Société<br />

Générale, RBC Dexia).<br />

Probabile fase di concentrazione con un<br />

incremento della presenza degli operatori<br />

specializzati (molte banche italiane sia di grandi<br />

che di medio - piccole dimensioni stanno<br />

valutando le alternative strategiche nel settore).<br />

Possibili operazioni di M&A con riferimento agli<br />

operatori di medie dimensioni.<br />

Eventuali operazioni guidate dalla necessità di<br />

ottenere una elevata massa critica per generare<br />

redditività.<br />

• Possibile ricerca di un partner vita da parte di<br />

Intesa Sanpaolo e Carige. Eventuali operazioni di<br />

sostituzione dei partner esistenti alla scadenza<br />

degli accordi distributivi.<br />

• Continuo sviluppo del bancassurance danni<br />

attraverso creazione di partnership strategiche da<br />

parte delle banche che non hanno ancora<br />

implementato JV.<br />

Alcune operazioni di M&A sono ancora possibili<br />

con riferimento alle banche popolari e ad alcune<br />

banche di medie dimensioni.<br />

18


<strong>Il</strong> consolidamento del mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>: evoluzioni e prospettive<br />

ILARIA ROMAGNOLI<br />

competere dimensionalmente con UBI e Banco<br />

Popolare.<br />

Le banche popolari con dimensioni apprezzabili potranno<br />

inoltre svolgere un ruolo acquisitivo nei confronti delle<br />

piccole banche indipendenti.<br />

Oltre ad eventuali ulteriori concentrazioni tra gruppi<br />

bancari, nel prossimo futuro il mercato dell’M&A potrà<br />

essere interessato da operazioni relative alle fabbriche<br />

prodotto, continuando un trend che per alcuni settori<br />

è già iniziato negli anni passati.<br />

La necessità per le banche di avere una patrimonializzazione<br />

adeguata (anche in vista dell’intro<strong>du</strong>zione di<br />

Basilea III) e l’esigenza di competenze specifiche e/o<br />

dimensioni rilevanti per competere nei segmenti complementari<br />

al retail banking, spingerà ancor di più molte<br />

banche italiane a focalizzarsi prevalentemente sulla<br />

distribuzione realizzando partnership di prodotto o<br />

uscendo definitivamente da alcuni settori di business<br />

(cfr. tavola 5).<br />

La storia degli ultimi 20 anni ha <strong>du</strong>nque cambiato profondamente<br />

il <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>. Un’ulteriore fase<br />

di concentrazione è possibile, ma con ritmi più cauti e<br />

dimensioni del fenomeno più contenute rispetto al<br />

passato; tuttavia i postumi della crisi economica, la globalizzazione<br />

dei mercati e l’intro<strong>du</strong>zione di nuove regole<br />

sul capitale potrebbero ancora riservare qualche<br />

sorpresa per il futuro. ◗<br />

19


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

Banche e antitrust: le specificità<br />

italiane<br />

Chapo I legami à fra venir concorrenti possono in<br />

teoria influenzare gli incentivi delle<br />

imprese interessate a farsi concorrenza.<br />

Pur essendo universalmente<br />

riconosciuto che tali legami non<br />

costituiscono pratiche<br />

anticoncorrenziali di per sé, le loro<br />

conseguenze sul gioco della<br />

concorrenza devono essere esaminate<br />

con attenzione.<br />

SERGIO EREDE<br />

Socio fondatore, Bonelli Erede Pappalardo<br />

MASSIMO MEROLA<br />

Responsabile dell’ufficio di Bruxelles, Bonelli Erede Pappalardo<br />

Professore, Collegio d’Europa<br />

OBIETTIVO PRINCIPALE DELLE POLITICHE della<br />

concorrenza è garantire che le normali dinamiche dei<br />

mercati non siano falsate da imprese che agiscono di<br />

concerto, che sfruttano abusivamente la loro posizione<br />

dominante o che acquistano un eccessivo potere di<br />

mercato mediante operazioni di fusione o acquisizione.<br />

L’obiettivo di tali politiche è promuovere un funzionamento<br />

più efficiente dei mercati, una migliore distribuzione<br />

delle risorse e, in ultima analisi, un maggiore<br />

benessere per il consumatore.<br />

Braccio “armato” di tali politiche, il diritto della concorrenza<br />

riguarda tutti i settori economici, ivi compreso<br />

il settore <strong>bancario</strong>. Rispetto alle altre imprese, le banche<br />

presentano tuttavia alcune specificità evidenti,<br />

legate alla loro missione sociale ed economica ma<br />

anche ai rischi sistemici legati alla loro attività.<br />

In Italia, il legislatore ha inizialmente riconosciuto la specificità<br />

del settore <strong>bancario</strong>, il quale ha, pertanto,<br />

go<strong>du</strong>to per qualche tempo di un trattamento speciale<br />

nell’applicazione del diritto della concorrenza. Questo<br />

articolo analizzerà succintamente la genesi della disciplina<br />

della concorrenza applicabile alle banche e il<br />

fenomeno, particolarmente sviluppato in Italia, delle<br />

partecipazioni e del cumulo di incarichi in società<br />

concorrenti (interlocking directorates), per cercare di<br />

determinarne l’incidenza concreta in termini di efficienza<br />

e di stabilità del settore, in particolare in questo<br />

periodo di crisi.<br />

20


Banche e antitrust: le specificità italiane<br />

SERGIO EREDE & MASSIMO MEROLA<br />

L’era della Banca d’Italia<br />

La prima legge italiana sulla tutela della concorrenza del<br />

1990 stabiliva un regime speciale per il settore <strong>bancario</strong>.<br />

La legge interveniva in una fase di transizione per il <strong>sistema</strong><br />

<strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>, appena uscito da una prima<br />

ondata di liberalizzazioni, ma che restava soggetto, in<br />

termini operativi, a pesanti vincoli legislativi e normativi.<br />

Poiché all’epoca l’opinione dominante, o almeno<br />

quella del legislatore, era che la stabilità del <strong>sistema</strong><br />

dovesse prevalere sulla sua efficienza, l’applicazione<br />

delle nuove regole della concorrenza doveva essere affidata<br />

necessariamente ad un’istituzione specializzata in<br />

questioni bancarie e monetarie, in grado di operare con<br />

la necessaria competenza. Indipendente e dotata di una<br />

reputazione inattaccabile, la Banca d’Italia assumeva<br />

quindi la responsabilità della supervisione delle regole<br />

della concorrenza nel settore <strong>bancario</strong>, al posto dell’autorità<br />

della concorrenza appena costituita, l’Autorità<br />

Garante della Concorrenza e del Mercato o AGCM, la<br />

cui competenza in questo settore si limitava alla possibilità<br />

di emettere un parere non vincolante sui casi esaminati<br />

dalla Banca d’Italia.<br />

Come era prevedibile, l’applicazione delle regole della<br />

concorrenza da parte di un’autorità non specializzata<br />

in questo campo si tra<strong>du</strong>ceva in un controllo meno<br />

penetrante sugli istituti bancari. L’AGCM, dal canto<br />

suo, maturava forse una certa frustrazione per l’impossibilità<br />

d’intervenire in un settore che non appariva<br />

particolarmente dinamico e concorrenziale, soprattutto<br />

a fronte del fenomeno crescente di despecializzazione<br />

che portava le banche ad allargare il proprio<br />

raggio d’azione a servizi non tradizionali e non più<br />

necessariamente legati all’interesse generale. In questo<br />

quadro, l’AGCM cercava pertanto di allargare la propria<br />

competenza alle attività che esulavano dai servizi<br />

tradizionalmente riservati per legge alle banche.<br />

L’entrata in campo dell’AGCM<br />

Confrontato al rischio crescente di conflitti di competenze<br />

fra l’AGCM e la Banca d’Italia e di fronte alla crisi<br />

d’immagine di quest’ultima, causata della sua opposizione<br />

all’acquisizione di grandi banche italiane da parte<br />

di istituti esteri – si pensi soprattutto alle vendite<br />

AntonVeneta e BNL –, il legislatore ha modificato nel<br />

2005 la legislazione sulla concorrenza, riattribuendo<br />

all’AGCM il controllo dell’applicazione delle regole della<br />

concorrenza agli istituti bancari. La legge italiana si è così<br />

allineata alla normativa europea. Alcune disposizioni, tuttavia,<br />

testimoniano tuttora l’attenzione particolare del<br />

legislatore <strong>italiano</strong> per il settore <strong>bancario</strong>: su richiesta<br />

della Banca d’Italia, per motivi legati rispettivamente<br />

all’efficienza dei pagamenti e alla stabilità dei mercati<br />

monetari, l’AGCM può infatti autorizzare accordi anche<br />

restrittivi dal punto di vista della concorrenza o concentrazioni<br />

che creino o rafforzino una posizione dominante,<br />

a condizione che tali restrizioni siano necessarie<br />

per conseguire l’obiettivo prefissato. Tali disposizioni<br />

non sono ancora mai state utilizzate, nemmeno <strong>du</strong>rante<br />

la crisi, il che non è però sorprendente se si considera<br />

che, a seguito della riforma, la Banca d’Italia si è<br />

concentrata sulla supervisione prudenziale degli istituti<br />

bancari e ha adottato un atteggiamento molto rispettoso<br />

nei confronti delle competenze tecniche dell’AGCM<br />

in materia di concorrenza. D’altra parte quest’ultima, da<br />

quando le è stato affidato il controllo del settore <strong>bancario</strong>,<br />

ha dato prova di grande rigore nell’applicazione<br />

agli istituti delle regole della concorrenza e i suoi rappresentanti<br />

hanno più volte dichiarato che non sarebbe<br />

stata concessa alcuna deroga, anche <strong>du</strong>rante la crisi,<br />

per non indebolire il settore nel lungo termine.<br />

L’AGCM ha in particolare chiaramente privilegiato la<br />

“regolamentazione” del settore, attraverso l’imposizione<br />

in capo alle imprese di obblighi di rimediare alle distorsioni<br />

della concorrenza da esse provocate con condotte<br />

positive, rispetto ad interventi puramente<br />

sanzionatori. In questo senso basterà ricordare, per<br />

citare solo qualche esempio, le iniziative dell’AGCM<br />

nei confronti dell’associazione bancaria italiana (ABI), con<br />

particolare riferimento alla modifica unilaterale delle<br />

condizioni dei conti correnti bancari, alle tariffe di interconnessione<br />

per i prelievi di contanti ed ai costi e condizioni<br />

interbancarie relativi al trattamento degli assegni.<br />

Nell’ambito della politica di controllo delle concentrazioni<br />

tra imprese, i suoi interventi hanno riguardato principalmente<br />

la cessione di sportelli in aree in cui le fusioni<br />

creavano sovrapposizioni eccessive, la ri<strong>du</strong>zione di<br />

alcuni costi legati ai prelievi di contanti e la rimozione dei<br />

legami fra concorrenti, attraverso la cessione di partecipazioni<br />

nel capitale di altre banche concorrenti o lo<br />

scioglimento di società compartecipate.<br />

<br />

21


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

La “crociata” contro i legami<br />

fra concorrenti<br />

I legami fra concorrenti sono stati, in particolare, oggetto<br />

di un’azione molto intensa dell’AGCM, che ha inoltre<br />

dedicato al tema un intero capitolo di un’inchiesta settoriale<br />

effettuata a fine 2008 (“Inchiesta sulla corporate<br />

governance delle banche e delle compagnie di assicurazioni”):<br />

secondo tale studio, negli organi di governance<br />

dell’80% delle banche, società di assicurazioni<br />

e società di gestione del risparmio quotate alla Borsa<br />

italiana siedono membri che cumulano mandati di questo<br />

tipo in altre società dello stesso settore. Questa percentuale<br />

è nettamente superiore a quella registrata<br />

nelle altre piazze finanziarie europee (rispettivamente in<br />

Euronext, Deutsche Börse e LSE solo il 26,7%, 43,8%<br />

e 47,1% di banche, compagnie di assicurazioni o società<br />

di gestione del risparmio contano “interlocking directorate”).<br />

Inoltre, 27 banche, compagnie di assicurazione<br />

o società di gestione patrimoniale italiane, che<br />

rappresentano da sole il 42,3% delle masse finanziarie<br />

delle società analizzate, contano fra i loro azionisti diretti<br />

di un’altra società appartenente alle stesse categorie.<br />

Nel suo rapporto, l’AGCM constata che né la legislazione<br />

applicabile (ad esempio, sul conflitto d’interessi), né<br />

l’autoregolamentazione da parte delle imprese del settore<br />

sono sufficienti a limitare il fenomeno del cumulo di<br />

mandati e delle partecipazioni incrociate.<br />

In assenza d’interventi di carattere normativo, l’AGCM<br />

ha colto l’occasione dell’ultima ondata di consolidamenti<br />

nel <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> per affrontare direttamente<br />

il problema. Nell’ambito delle sue competenze<br />

di controllo delle concentrazioni, l’Autorità ha considerato<br />

che i legami fra i concorrenti avrebbero potuto<br />

aggravare gli effetti restrittivi derivanti dalle operazioni<br />

prese in esame. Sono state così previste misure correttive<br />

al fine di evitare che questi legami privassero le<br />

imprese degli stimoli necessari a svolgere una concorrenza<br />

effettiva. Nell’ambito della sua analisi delle principali<br />

fusioni bancarie italiane degli ultimi anni (Banca<br />

Intesa/Sanpaolo, Unicredit/Capitalia, Banche Popolari<br />

Unite/Banca Lombarda, Monte dei Paschi di<br />

Siena/Banca Antonveneta), l’AGCM ha sempre imposto<br />

come condizione la dissoluzione dei legami di azionariato<br />

e personali esistenti tra i partecipanti alla concentrazione<br />

e i loro concorrenti.<br />

Queste condizioni si sono in particolare tradotte nella<br />

cessione di partecipazioni, nella scissione di joint-venture<br />

specializzate (ad esempio nel settore della<br />

bancassurance o del credito al consumo), nel divieto<br />

di partecipare a patti di azionariato e in generale di mantenere<br />

un ruolo nella governance dei concorrenti, nel<br />

divieto del cumulo dei mandati di consigliere di amministrazione,<br />

nel divieto di partecipare alle assemblee o<br />

di esercitare i diritti di voto inerenti alle azioni di società<br />

concorrenti.<br />

Allo stesso modo, l’AGCM ha <strong>sistema</strong>ticamente imposto<br />

che le cessioni di agenzie avvenissero a favore di<br />

terzi non solo indipendenti secondo i normali criteri del<br />

diritto della concorrenza, ma anche e soprattutto non<br />

collegati tramite partecipazioni o in altro modo alla<br />

banca cedente. Così è stato in particolare per la cessione<br />

della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza e<br />

di Banca Friuladria a Crédit <strong>Agricole</strong>, che era stata<br />

proposta come impegno da parte di Banca Intesa e<br />

Sanpaolo al momento della loro fusione, al fine di risolvere<br />

i problemi di concentrazione di quote di mercato<br />

in alcune aree.<br />

Le iniziative intraprese dall’AGCM contro i legami fra<br />

concorrenti si fondano su una teoria economica ben<br />

consolidata, secondo la quale il possesso di partecipazioni<br />

di minoranza in un’impresa concorrente può<br />

rimettere in causa la naturale tendenza delle imprese<br />

interessate ad elaborare ed applicare strategie concorrenziali.<br />

Secondo questa teoria, tali legami possono<br />

ad esempio spingere i concorrenti ad adottare un<br />

comportamento di ottimizzazione comune degli utili,<br />

equivalente ad un patto di non concorrenza. Le imprese<br />

legate da partecipazioni di minoranza possono così<br />

ri<strong>du</strong>rre unilateralmente la loro pro<strong>du</strong>zione e/o aumentare<br />

i loro prezzi a danno dei consumatori, poiché<br />

sono in grado di recuperare le perdite in termini di<br />

vendite e ricavi attraverso gli utili generati dall’impresa<br />

collegata (meccanismo, quest’ultimo, attuabile senza<br />

necessità di coordinare l’azione delle imprese collegate).<br />

Si parla in tal caso di effetti “unilaterali” derivanti da legami<br />

azionari. Questo tipo di relazioni può inoltre agevolare<br />

lo scambio d’informazioni riservate o permettere ad<br />

un’impresa di influenzare la condotta di un’altra, con l’effetto<br />

di provocare comportamenti collusivi miranti ad<br />

ottenere il mantenimento di prezzi o condizioni sovra-<br />

22


Banche e antitrust: le specificità italiane<br />

SERGIO EREDE & MASSIMO MEROLA<br />

concorrenziali. Si parla allora di effetti “coordinati”, i quali<br />

si manifestano tanto più frequentemente quanto più le<br />

partecipazioni sono incrociate e multiple in uno stesso<br />

settore, in presenza di un mercato oligopolistico o che<br />

presenta notevoli barriere all’ingresso. <strong>Il</strong> rischio è maggiore<br />

in caso di cumulo di mandati, che possono consentire<br />

allo stesso soggetto di assumere decisioni<br />

all’interno di un’impresa alla luce delle informazioni<br />

acquisite nell’ambito di organi sociali di un’impresa<br />

concorrente.<br />

<strong>Il</strong> pregiudizio negativo causato dal cumulo di mandati<br />

in società concorrenti si fonda su solide basi teoriche<br />

e giurisprudenziali. <strong>Il</strong> giudice Brandeis della Corte<br />

Suprema degli Stati Uniti definiva con grande enfasi<br />

questo fenomeno già quasi un secolo 1 fa:<br />

“The practice of interlocking directors is the practice of<br />

many evils. It offends laws, both human and divine.<br />

Applied to rival corporations, it tends to the suppression<br />

of competition... applied to corporations which deal<br />

with each other, it tends to disloyalty and violation of the<br />

fundamental law that no man can serve two masters.<br />

In either event, it tends to inefficiency for it removes<br />

incentives and destroys soundness of judgment...”.<br />

Sarebbe tuttavia errato ritenere che i legami fra concorrenti<br />

siano oggi necessariamente dannosi per la<br />

concorrenza, soprattutto nelle complesse situazioni<br />

sociali che caratterizzano il capitalismo odierno. L’analisi<br />

degli effetti derivanti dalla detenzione di una partecipazione<br />

di minoranza in un concorrente o di un cumulo<br />

di mandati deve infatti tener conto di fattori di varia<br />

natura, che possono influenzare le motivazioni dell’impresa<br />

a tenere comportamenti concorrenziali. Una<br />

partecipazione di minoranza permette di acquisire, in<br />

genere, solo informazioni frammentarie, che non consentono<br />

di per sé di prevedere la domanda o il comportamento<br />

degli operatori del mercato. Allo stesso<br />

modo, possono sussistere motivazioni esterne, per<br />

gli stessi titolari di più cariche sociali, che giustificano<br />

il mantenimento di una strategia basata sulla concorrenza<br />

nonostante l’esistenza di un legame con un<br />

concorrente. O ancora, l’influenza di un azionista può<br />

in certi casi essere esclusa a causa del funzionamento<br />

stesso degli organi decisionali o di supervisione di<br />

una società, i quali possono ad esempio essere composti<br />

da un numero molto elevato di membri e retti da<br />

regole miranti ad assicurare l’indipendenza di giudizio<br />

di questi ultimi. D’altra parte, i dirigenti che non siano<br />

nominati da un concorrente non hanno alcun interesse<br />

a favorire tale azionista di minoranza e, in ogni<br />

caso, potrebbero seguire una politica imprevedibile<br />

sul piano commerciale così come, ad esempio, nella<br />

distribuzione degli utili (la quale, come si è visto, può<br />

rivestire un ruolo determinante nel comportamento<br />

del concorrente azionista).<br />

In questo contesto, occorre anche sottolineare che una<br />

parte sempre più importante della teoria economica e<br />

la stessa Commissione europea considerano che gli<br />

scambi d’informazioni possono, in alcune circostanze,<br />

consentire una più efficiente allocazione delle risorse e<br />

avere quindi influssi benefici sul mercato. Non è pertanto<br />

possibile affermare, senza ulteriori e specifiche analisi<br />

da con<strong>du</strong>rre caso per caso, che l’accesso alle informazioni<br />

di un concorrente sia anticoncorrenziale per<br />

definizione.<br />

Proprio a causa della difficoltà di indivi<strong>du</strong>are e di dimostrare<br />

un legame diretto e accertato fra la detenzione<br />

di una partecipazione di minoranza e un comportamento<br />

concorrenziale, il possesso di tali partecipazioni<br />

è stato raramente sanzionato dalle autorità della<br />

concorrenza, essendo piuttosto oggetto di impegni<br />

presi dalle imprese al fine di dissipare i <strong>du</strong>bbi manifestati<br />

dalle autorità della concorrenza rispetto alla struttura<br />

di alcuni mercati.<br />

Italia v. Europa<br />

A differenza di quanto avviene altrove, come negli Stati<br />

Uniti o in Germania, dove l’acquisizione di quote di partecipazione<br />

di minoranza è soggetta al preventivo nullaosta<br />

dell’autorità della concorrenza, le regole europee<br />

ed italiane sono applicabili solo alle acquisizioni di partecipazioni<br />

che conferiscono il controllo della società target.<br />

È opinione comune delle autorità della concorrenza,<br />

<br />

1. Rapporto del Comitato Pujo (1914). <strong>Il</strong> comitato aveva condotto un’inchiesta sul “money trust”, un gruppo di banchieri di Wall Street che cumulava mandati in più<br />

società, soprattutto banche, assicurazioni e società di settori strategici (come ferrovie e public utilities) esercitando un esteso controllo su vari settori. <strong>Il</strong> rapporto ha<br />

anticipato l’intro<strong>du</strong>zione del Clayton Act e di una norma specifica che vietava il cumulo dei mandati.<br />

23


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

infatti, che le acquisizioni di partecipazioni di minoranza<br />

non siano di per sé assimilabili a pratiche restrittive<br />

della concorrenza 2 . Nonostante ciò, il controllo<br />

delle concentrazioni è stato utilizzato dalla Commissione<br />

europea e dall’AGCM come strumento per contrastare<br />

il fenomeno delle partecipazioni di minoranza incrociate<br />

fra concorrenti, in particolare nel settore <strong>bancario</strong>.<br />

L’approccio delle <strong>du</strong>e autorità al riguardo non è però<br />

del tutto uniforme, probabilmente a causa delle incertezze<br />

che sussistono riguardo agli effetti concreti derivanti<br />

da questo tipo di legami.<br />

Nei casi citati, l’AGCM ha costantemente adottato la<br />

posizione secondo la quale un’impresa o un gruppo<br />

con cui esistono legami di azionariato o personali<br />

non possa essere considerato come una terza parte<br />

indipendente. Per considerare <strong>du</strong>e gruppi come indipendenti,<br />

l’AGCM ha infatti <strong>sistema</strong>ticamente richiesto<br />

l’eliminazione delle partecipazioni incrociate nella<br />

loro interezza o, quanto meno, la loro ri<strong>du</strong>zione al di<br />

sotto di una soglia piuttosto bassa – di solito il 2% -<br />

unitamente alla rinuncia ai diritti amministrativi collegati<br />

a questa partecipazione. Con riferimento alle<br />

banche, gli sforzi operati dall’AGCM per obbligare le<br />

società interessate alla cessione delle partecipazioni<br />

incrociate hanno tuttavia incontrato notevoli difficoltà,<br />

<strong>du</strong>rante la crisi finanziaria, a causa del crollo delle<br />

quotazioni. L’AGCM ha dovuto prenderne atto e ha<br />

concesso la proroga dei termini di vendita, accompagnata<br />

tuttavia da misure volte ad assicurare la<br />

neutralità di tali partecipazioni sotto il profilo della<br />

concorrenza.<br />

<strong>Il</strong> comportamento della Commissione in questo ambito<br />

sembra più ricco di sfumature. Nella sua comunicazione<br />

del 2008 sulle misure correttive nell’ambito del<br />

controllo delle concentrazioni, la Commissione indica<br />

che, in presenza di una partecipazione di minoranza<br />

di una delle parti in un concorrente o in una jointventure<br />

con un concorrente, sarà normalmente<br />

necessaria la cessione della partecipazione. Se quest’ultima<br />

viene conservata, la Commissione esige la<br />

rinuncia ai diritti che danno un’influenza sul comportamento<br />

concorrenziale dell’impresa partecipata, in<br />

particolare la rappresentazione nel consiglio di amministrazione,<br />

i diritti di veto e i diritti all’informazione.<br />

Nella pratica, la Commissione si mostra più flessibile<br />

nella formulazione di misure correttive.<br />

Nel caso Generali/INA (2000), la Commissione ha<br />

adottato un orientamento molto severo, spingendo le<br />

parti alla fusione ad impegnarsi non solo a sbarazzarsi<br />

di una partecipazione minoritaria in Fondiaria ma<br />

anche a fare in modo che nessuno dei membri del loro<br />

comitato esecutivo o degli organi amministrativi dell’INA<br />

assumesse in seguito la stessa funzione in altre compagnie<br />

di assicurazione. In occasione delle fusioni<br />

Nordbanken/Postgirot e Allianz/Dresdner del 2001, la<br />

stessa Commissione ha mostrato invece minori riserve<br />

in merito a partecipazioni di minoranza detenute in<br />

un concorrente, accettando che venissero mantenute<br />

partecipazioni rispettivamente del 10% e del 20,5%, a<br />

patto che i rappresentanti negli organi sociali rassegnassero<br />

le proprie dimissioni. Allo stesso modo, con<br />

riferimento alla concentrazione Santander/Abbey<br />

National del 2004, la Commissione ha accettato alle<br />

stesse condizioni il mantenimento di una partecipazione<br />

incrociata fra l’impresa acquirente e Royal Bank of<br />

Scotland (RBS) del 2,5% e del 2,8%.<br />

Ma soprattutto, nell’ultima decisione importante relativa<br />

al settore <strong>bancario</strong>, BNP Paribas/Fortis, adottata<br />

appena dopo la Comunicazione sulle misure correttive,<br />

la Commissione non ha considerato necessario imporre<br />

misure relative alla partecipazione incrociata fra BNP<br />

Paribas e AXA (BNPP deteneva il 6,1% di AXA, che a<br />

sua volta deteneva il 5,9% nella banca), o alla partecipazione<br />

comune di queste ultime a joint-venture e ad<br />

accordi di cooperazione, considerando che il carattere<br />

limitato di questi legami non era sufficiente per ri<strong>du</strong>rre<br />

la pressione concorrenziale sul mercato. È legittimo<br />

chiedersi se la crisi dei mercati finanziari, che ha fatto<br />

da sfondo all’operazione, abbia rivestito un ruolo determinante<br />

in queste considerazioni.<br />

Conclusioni<br />

I legami fra concorrenti possono in teoria influenzare<br />

gli incentivi delle imprese interessate a farsi concorrenza.<br />

Pur essendo universalmente riconosciuto che<br />

questi legami non costituiscono, di per sé, pratiche<br />

2. Rapporto 2008 dell’OCSE sulle partecipazioni di minoranza fra concorrenti.<br />

24


Banche e antitrust: le specificità italiane<br />

SERGIO EREDE & MASSIMO MEROLA<br />

anticoncorrenziali, le loro conseguenze sul gioco della<br />

concorrenza devono essere esaminate con attenzione<br />

alla luce della loro frequenza, delle caratteristiche<br />

strutturali e normative dei mercati interessati nonché<br />

di tutti gli altri fattori che possono concretamente<br />

compensare questi eventuali incentivi a non “aggredire”<br />

il concorrente.<br />

In questo contesto, la particolare attenzione prestata<br />

dall’AGCM al settore <strong>bancario</strong> e in special modo alla<br />

problematica dei legami fra concorrenti, seppur giustificata<br />

e perseguita con coerenza, deve necessariamente<br />

tener conto della crisi economica e della fragilità<br />

dei mercati. Si dovrebbe evitare ad ogni costo che<br />

le iniziative intraprese per contrastare il fenomeno delle<br />

partecipazioni di minoranza in questo settore sfocino<br />

in posizioni talmente rigide da compromettere le più<br />

generali condizioni di stabilità dei mercati. Le ultime<br />

misure adottate dall’AGCM vanno nella giusta direzione<br />

ed è auspicabile che questa tendenza continui,<br />

tenendo conto delle specificità di ogni situazione e<br />

dell’impatto della crisi sul comportamento degli operatori.<br />

◗<br />

25


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

<strong>Il</strong> mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> e<br />

l’evoluzione normativa di Basilea 3<br />

Chapo L’ articolo à venir presenta le principali<br />

caratteristiche della nuova<br />

regolamentazione del Comitato di Basilea,<br />

con un approfondimento specifico sugli<br />

aspetti riguardanti i criteri di definizione del<br />

capitale e la gestione della liquidità. In<br />

conclusione vengono evidenziati i possibili<br />

impatti dell’applicazione del nuovo<br />

pacchetto regolamentare sul mercato<br />

<strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>.<br />

ANDREA FERRETTI<br />

Executive Director, Ernst & Young<br />

GIUSEPPE QUAGLIA<br />

Partner, Ernst & Young<br />

Overview sulla nuova<br />

regolamentazione<br />

<strong>Il</strong> Comitato di Basilea ha pubblicato lo scorso dicembre<br />

2009 <strong>du</strong>e documenti di consultazione su proposte<br />

di modifica alla regolamentazione prudenziale internazionale<br />

in materia di capitale e liquidità delle banche<br />

(cd Basilea 3) 1 , che intendono dare attuazione alle<br />

raccomandazioni approvate dal Financial Stability<br />

Board e dal G20. La nuova proposta di regolamentazione<br />

nasce dall’esigenza di armonizzare le regolamentazioni<br />

dei vari Paesi sulla stabilità dei sistemi bancari<br />

e creditizi attraverso la definizione di criteri omogenei<br />

maggiormente restrittivi rispetto ai precedenti, in tema<br />

di assunzione dei rischi e di copertura degli stessi con<br />

il capitale. Parallelamente alla fase di consultazione, nel<br />

corso del primo semestre del 2010 è stato svolto un<br />

articolato studio di impatto - QIS 2 (coordinato dalle<br />

Banche Centrali dei singoli Paesi) sulla base di dati e<br />

informazioni raccolte dalle stesse banche, al fine di<br />

valutare l’efficacia delle proposte regolamentari e di definire<br />

il livello di capitale che le banche saranno chiamate<br />

a detenere nei prossimi anni.<br />

1. Rif. Basel Committee on Banking Supervision: “Consultative Document Strengthening the resilience of the banking sector” e “International framework for liquidity<br />

risk measurement, standards and monitoring”, December 2009.<br />

2. Rif. Basel Committee on Banking Supervision: “Instructions for the comprehensive quantitative impact study”, February 2010.<br />

26


<strong>Il</strong> mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> e l’evoluzione normativa di Basilea 3<br />

ANDREA FERRETTI &<br />

GIUSEPPE QUAGLIA<br />

La nuova proposta di regolamentazione si pone in<br />

particolare i seguenti obiettivi 3 :<br />

• Innalzamento della qualità del patrimonio di vigilanza,<br />

al fine di aumentare la capacità delle banche di<br />

assorbire le perdite (derivanti dai rischi).<br />

• Maggiore copertura dei rischi complessivi assunti dalle<br />

banche: viene proposto un rafforzamento dei requisiti<br />

patrimoniali a fronte del rischio di controparte, con<br />

incentivi per favorire la concentrazione degli scambi<br />

presso controparti centrali.<br />

• Contenimento del grado di leva finanziaria del <strong>sistema</strong><br />

mediante l’intro<strong>du</strong>zione di un indicatore che vincoli l’espansione<br />

delle attività complessive, anche fuori bilancio,<br />

alla disponibilità di un’adeguata base patrimoniale.<br />

• Ri<strong>du</strong>zione della “prociclicità” della regolamentazione<br />

prudenziale attuale (Basilea 2), mediante l’intro<strong>du</strong>zione<br />

dell’obbligo per le banche di accantonare <strong>du</strong>rante le fasi<br />

espansive del ciclo economico risorse patrimoniali da<br />

utilizzare <strong>du</strong>rante i periodi di crisi (il Comitato sta inoltre<br />

promuovendo l’adozione di metodologie di calcolo<br />

degli accantonamenti per il rischio di credito basate<br />

sulla stima delle perdite attese 4 ).<br />

• Rafforzamento dei presidi a fronte del rischio di liquidità;<br />

mediante l’intro<strong>du</strong>zione di <strong>du</strong>e indicatori volti a<br />

garantire livelli di liquidità a breve, in condizione di<br />

instabilità dei mercati, e a medio-lungo termine.<br />

Focus su patrimonio e liquidità<br />

Qualità del Capitale<br />

Le principali innovazioni introdotte nella definizione del<br />

Patrimonio di Vigilanza riguardano i seguenti aspetti:<br />

• Viene definito il Common Equity, con l’esclusione dal<br />

capitale delle azioni di risparmio e delle azioni privilegiate.<br />

Nel Patrimonio di Vigilanza potranno quindi essere<br />

computate senza limiti solo le azioni “ordinarie” o<br />

azioni che attribuiscano un limitato privilegio nella distribuzione<br />

degli utili.<br />

• Relativamente agli strumenti innovativi e non innovativi<br />

di capitale 5 :<br />

– ne viene rafforzata la qualità patrimoniale, soprattutto<br />

in termini di flessibilità dei pagamenti e di capacità<br />

di assorbimento delle perdite;<br />

– vengono innalzati i limiti di computabilità per gli strumenti<br />

privi di incentivi al rimborso anticipato e viene<br />

introdotta una nuova categoria di strumenti computabili<br />

che prevedano la conversione obbligatoria in azioni<br />

ordinarie in caso di emergenza (mancato rispetto del<br />

requisito patrimoniale minimo) o su richiesta della<br />

Banca d’Italia;<br />

– la normativa prevede comunque un articolato regime<br />

transitorio (grandfathering) di <strong>du</strong>rata trentennale,<br />

che dispone la ri<strong>du</strong>zione progressiva della computabilità<br />

degli strumenti (azioni e strumenti innovativi e non<br />

innovativi) compresi nel patrimonio di vigilanza prima<br />

del 31.12.2010 che non rispettano i nuovi criteri di<br />

ammissibilità.<br />

• De<strong>du</strong>zione integrale dal Common Equity delle partecipazioni<br />

in enti finanziari e creditizi che superano il<br />

10% del capitale dell’ente partecipato 6 .<br />

• De<strong>du</strong>zione dal Common Equity delle Deferred Tax<br />

Asset - DTA nette (de<strong>du</strong>zione delle Attività per imposte<br />

anticipate al netto delle Passività per imposte differite).<br />

L’iscrizione nei bilanci delle DTA è influenzata dalle<br />

normative fiscali nazionali. Con riferimento alla situazione<br />

italiana, sono evidenti alcune peculiarità della normativa<br />

fiscale che tendono ad amplificare le differenze tra<br />

l’utile contabile e la base imponibile, con conseguente<br />

iscrizione di rilevanti importi di DTA. Tra le più significative,<br />

come identificate dall’ABI 7 , si citano le rettifiche<br />

di valore su crediti non de<strong>du</strong>cibili nell’anno, gli accantonamenti<br />

a fondi rischi e oneri non de<strong>du</strong>cibili e l’affrancamento<br />

dell’avviamento.<br />

Con riferimento alle de<strong>du</strong>zione delle DTA nette ed alle<br />

partecipazioni significative detenute in banche, società<br />

finanziarie ed assicurative, negli ultimi giorni del<br />

<br />

3. Rif. Comunicato Stampa di Banca d’Italia del 17.12.2009.<br />

4. Tale tematica è anche all’attenzione dello IASB che, nel mese di novembre del 2009, ha pubblicato un Exposure Draft, nel quale viene proposto un nuovo modello<br />

di impairment, fondato sul concetto di “Expected Loss” (in luogo dell’attuale modello contenuto nello IAS39, fondato sul concetto di “Incurred Loss”), in base al<br />

quale la stima iniziale delle perdite attese deve confluire nella determinazione del tasso di interesse effettivo dell’attività finanziaria.<br />

5. Per la definizione e le attuali modalità di computabilità nel Patrimonio di Vigilanza di tali «preferred shares» si faccia riferimento alla Circolare 263 (Tit. I, Cap. 2) di<br />

Banca d’Italia.<br />

6. Per le Banche che hanno adottato approcci IRB, la de<strong>du</strong>zione riguarda anche le eccedenze della perdita attesa rispetto alle rettifiche di valore complessive (le<br />

disposizioni correnti prevedono invece una de<strong>du</strong>zione al 50% dal Tier 1 e al 50% dal Tier 2).<br />

7. Rif. Giovanni Sabatini, Direttore Generale ABI: “<strong>Il</strong> dibattito sulle nuove architetture di regolamentazione e vigilanza in Europa”, 14 maggio 2010.<br />

27


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

FIGURA 1. Nuovi indicatori di controllo del livello di liquidità secondo le regole di Basilea 3<br />

LIQUIDITY COVERASE RATIO =<br />

LIQUIDITY BUFFER<br />

NET FLOWS (OUT-IN)<br />

≥ 100 %<br />

WITH STRESS WITHIN 30 DAYS<br />

NET STABLE FUNDING =<br />

STABLE FUNDING<br />

ILLIQUID ASSETS<br />

≥ 100 %<br />

mese di luglio, il Comitato di Basilea 8 ha apportato<br />

una modifica sostanziale alla proposta di de<strong>du</strong>zione<br />

integrale dal Common Equity inizialmente prevista.<br />

Tale modifica, prevede che il valore da de<strong>du</strong>rre di tali<br />

componenti sia subordinato al superamento di un<br />

valore di “franchigia” definito in funzione del common<br />

equity e delle componenti oggetto di de<strong>du</strong>zione. In particolare,<br />

dovrà essere dedotto dal patrimonio di base<br />

l’importo che, alternativamente:<br />

• per ciascuna componente oggetto di de<strong>du</strong>zione<br />

eccede il 10% del Common Equity;<br />

• aggregando tutte le componenti oggetto di de<strong>du</strong>zione<br />

eccede il 15% del Common Equity.<br />

La gestione della Liquidità<br />

Le principali innovazioni riguardano l’intro<strong>du</strong>zione di <strong>du</strong>e<br />

nuovi indicatori relativi ai livelli di liquidità da mantenere,<br />

la cui composizione viene descritta di seguito e<br />

schematizzata in figura 1.<br />

<strong>Il</strong> Liquidity Coverage Ratio confronta il buffer di attività<br />

liquide a disposizione dell’intermediario (numeratore)<br />

con i flussi di cassa attesi in condizioni di stress su<br />

un orizzonte temporale molto breve di 30 giorni (denominatore).<br />

In particolare:<br />

• il numeratore è composto da risorse liquide di “elevata<br />

qualità”, anche in una situazione di stress, che<br />

sono composte da Cassa, riserve presso la Banca<br />

Centrale, titoli di Stato e da Corporate Bond e Covered<br />

Bond di “elevata qualità”;<br />

• il denominatore, invece, è rappresentato dai deflussi<br />

di cassa attesi netti (flussi out – flussi in), sempre su<br />

un orizzonte temporale di 30 giorni e sottoposti ad uno<br />

scenario di stress predefinito dall’Autorità di Vigilanza 9 .<br />

<strong>Il</strong> Net Stable Funding stima gli eventuali squilibri strutturali<br />

nella composizione delle attività e passività di<br />

bilancio oltre l’orizzonte temporale dell’anno. In questo<br />

caso:<br />

• il numeratore rappresenta l’insieme delle fonti di<br />

finanziamento stabili, ed è composto dalla somma di<br />

fondi propri (Tier 1 e Tier 2), dei depositi a vista entro<br />

l’anno (la raccolta resi<strong>du</strong>ale con scadenza entro l’anno,<br />

tra cui quella proveniente da controparti bancarie,<br />

non viene considerata una fonte stabile e pertanto<br />

viene esclusa dal computo) e delle fonti di provvista con<br />

scadenza resi<strong>du</strong>a oltre l’anno;<br />

• il denominatore annovera invece le componenti meno<br />

liquide dell’attivo, che approssimano la necessità di<br />

funding stabile, i cui elementi principali sono azioni e<br />

obbligazioni con scadenza oltre l’anno, prestiti erogati<br />

con scadenza resi<strong>du</strong>a entro e oltre l’anno, a prescindere<br />

dalla controparte finanziata, immobili e partecipazioni,<br />

asset intangibles (es. avviamenti) e fuori bilancio (margini<br />

irrevocabili).<br />

La limitazione di non poter considerare come funding<br />

stabile la raccolta presso banche con scadenza resi<strong>du</strong>a<br />

entro l’anno appare coerente, seppur restrittiva, con<br />

l’operatività degli istituti creditizi laddove è possibile<br />

attuare una diversificazione delle modalità di finanziamento<br />

tramite la raccolta di depositi presso il pubblico,<br />

ma pro<strong>du</strong>ce un forte impatto negativo per altri<br />

intermediari non bancari (in Italia ad esempio gli intermediari<br />

ex-art. 107 del Testo Unico Bancario) le cui fonti<br />

8. BIS: “Review of the Basel Committee’s capital and liquidity reform package - Annex Amendment Basel 3”, 26 July 2010.<br />

9. Lo scenario di stress ipotizzato dal Comitato simula una crisi di mercato cui si aggiungono difficoltà di tipo idiosincratico. A titolo esemplificativo si citano: la<br />

“chiusura” del mercato inter<strong>bancario</strong> con deflusso di depositi al 100%, un deflusso completo del funding secured – pronti contro termine – per transazioni aventi<br />

come sottostanti titoli non governativi, un tiraggio completo dei margini irrevocabili per linee di liquidità concesse ad imprese corporate e clientela Financial, ecc.<br />

28


<strong>Il</strong> mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> e l’evoluzione normativa di Basilea 3<br />

ANDREA FERRETTI &<br />

GIUSEPPE QUAGLIA<br />

di finanziamento sono costituite prevalentemente da<br />

linee di liquidità bancarie. Un possibile approccio alternativo<br />

potrebbe consistere nella trasformazione delle<br />

scadenze del funding con controparti bancarie, portando<br />

tutte le maturity resi<strong>du</strong>e oltre l’anno: questo<br />

comporterebbe però una gestione non ottimale della<br />

liquidità in ottica ALM, dovendo trovare un matching tra<br />

liabilities con maturity oltre l’anno ed asset aventi maturity<br />

sia entro sia oltre l’anno.<br />

Le indicazioni di Banca d’Italia 10<br />

La Banca d’Italia ha sottolineato che la nuova proposta<br />

del Comitato di Basilea va nella direzione di semplificare<br />

la definizione di capitale, renderla più chiara e<br />

trasparente per il mercato (focus sul Common Equity<br />

e maggiore rigore nelle caratteristiche degli altri strumenti<br />

patrimoniali) ed eliminare divergenze applicative.<br />

In tale ambito, fa notare Banca d’Italia, ciò che serve<br />

non è semplicemente più capitale ma è “più capitale di<br />

migliore qualità” e qualità del capitale vuol dire:<br />

• disponibilità delle risorse patrimoniali in ogni momento<br />

(permanenza);<br />

• piena o elevata capacità di assorbimento delle perdite<br />

sia attraverso la cancellazione di interessi o dividendi<br />

(flessibilità nei pagamenti) sia attraverso il valore nominale<br />

degli strumenti.<br />

L’obiettivo deve essere quello di disegnare un regime<br />

prudenziale che sia coerente al proprio interno e che<br />

raggiunga un equilibrio fra la finalità di ri<strong>du</strong>rre i rischi di<br />

instabilità sistemica e quella di sostenere la crescita dell’economia.<br />

La Banca d’Italia ha evidenziato tuttavia che alcuni<br />

profili della definizione di capitale regolamentare potrebbero<br />

risultare effettivamente troppo penalizzanti. In<br />

particolare, con riferimento alla de<strong>du</strong>zione dal patrimonio<br />

delle attività per imposte anticipate, la de<strong>du</strong>zione integrale<br />

creerebbe incentivi distorti alle banche sul piano<br />

prudenziale, in quanto finirebbe per disincentivare<br />

un’adeguata politica degli accantonamenti e genererebbe<br />

forti disparità fra Paesi in ragione delle diversità<br />

nei regimi fiscali. In Italia, inoltre, si avrebbero effetti più<br />

rilevanti rispetto ad altri Paesi europei dato l’elevato valore<br />

di tali poste, a causa di inusuali vincoli alla de<strong>du</strong>cibilità<br />

fiscale delle perdite su crediti. La Banca d’Italia ha<br />

sostenuto nelle diverse sedi internazionali istituzionali,<br />

in coerenza con questa considerazione, che la de<strong>du</strong>zione<br />

dovrebbe riguardare l’importo che ecceda una<br />

determinata percentuale delle azioni ordinarie e delle<br />

riserve. Infine, il Governatore stesso ha posto l’attenzione<br />

sul fatto che il Legislatore, se lo riterrà opportuno<br />

al fine di evitare una ulteriore penalizzazione degli<br />

intermediari italiani, potrebbe valutare l’eliminazione<br />

dei limiti alla de<strong>du</strong>cibilità delle perdite su crediti, con<br />

un’imposta equivalente in termini di gettito che abbia<br />

effetti meno distorsivi.<br />

Per quanto concerne le altre principali de<strong>du</strong>zioni dal<br />

Patrimonio di Vigilanza previste da Basilea 3, Banca<br />

d’Italia ritiene siano necessari ulteriori approfondimenti,<br />

ed in particolare invita ad una maggiore riflessione sull’opportunità<br />

della de<strong>du</strong>zione integrale dal Core Tier 1<br />

degli interessi di minoranza e delle partecipazioni bancarie,<br />

finanziarie e assicurative.<br />

La previsione di un grandfathering della <strong>du</strong>rata di 30<br />

anni (con limiti di computabilità decrescenti dopo i<br />

primi 10 anni) secondo Banca d’Italia consentirà<br />

alle banche di gestire in modo ordinato la transizione<br />

al nuovo regime, per quanto riguarda sia le azioni<br />

sia gli strumenti ibridi emessi in base alla normativa<br />

vigente.<br />

Sulla gestione della liquidità, Banca d’Italia riconosce<br />

che la definizione della natura delle attività, che possono<br />

essere incluse nel buffer di attività liquide, rappresenta<br />

un tema rilevante, infatti la maggiore o minore estensione<br />

del novero delle attività ammissibili può determinare<br />

conseguenze importanti sulle politiche delle<br />

banche. È necessario <strong>du</strong>nque trovare il giusto equilibrio<br />

<br />

10. In questo paragrafo vengono riportate sinteticamente alcune considerazioni espresse dalla Banca d’Italia in sedi pubbliche riguardo a taluni aspetti affrontati<br />

dalla nuova proposta di regolamentazione prudenziale. Riferimenti:<br />

• Giovanni Carosio, Vice Direttore Generale della Banca d’Italia: “La riforma delle regole prudenziali”, Convegno ABI “Basilea 3: Banche e imprese verso il 2012”,<br />

Roma, 4-5 maggio 2010.<br />

• Giuseppe De Martino, Servizio Normativa e Politiche di Vigilanza di Banca d’Italia: “Qualità del capitale: principali novità e questioni aperte. Alcune riflessioni”,<br />

Convegno ABI “Basilea 3 - Banche e imprese verso il 2012”, Roma, 4-5 maggio 2010.<br />

• Stefano Mieli, Direttore Centrale per la Vigilanza bancaria e finanziaria di Banca d’Italia: “La revisione delle regole prudenziali sul capitale delle banche”, Convegno<br />

ABI “Markets & Investment Banking Conference”, Milano, 7 giugno 2010.<br />

• Intervento del Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi all’Assemblea Ordinaria dell’ABI, Roma, 15 luglio 2010.<br />

29


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

tra la necessità che gli intermediari mantengano profili<br />

di liquidità sufficientemente prudenti e quella di garantire<br />

adeguati flussi di credito verso la clientela. In questo<br />

senso, Banca d’Italia ritiene condivisibili le proposte<br />

avanzate dalle banche nel corso della consultazione<br />

volte, al fine di tener conto delle specificità dei mercati<br />

europei e italiani, a considerare nella definizione del<br />

buffer di liquidità anche i corporate e covered bonds di<br />

migliore qualità senza particolari restrizioni. Inoltre, in tale<br />

contesto operativo, secondo Banca d’Italia è importante<br />

che alle banche sia consentito di utilizzare nei momenti<br />

di maggiore difficoltà le risorse liquide accumulate: la<br />

soluzione proposta dalla Commissione europea, che<br />

ammette il temporaneo allontanamento dai requisiti<br />

imposti dai <strong>du</strong>e nuovi indicatori in condizioni di mercato<br />

sfavorevoli, intro<strong>du</strong>ce elementi di flessibilità nella gestione<br />

dei buffer.<br />

Infine, si noti che Banca d’Italia ha recentemente emanato<br />

<strong>du</strong>e disposizioni in consultazione che già recepiscono<br />

alcune delle nuove proposte del Comitato di<br />

Basilea per quanto concerne la disciplina del Patrimonio<br />

di Vigilanza e la gestione del rischio di liquidità 11 .<br />

La posizione dell’Associazione<br />

Bancaria Italiana<br />

L’Associazione Bancaria Italiana – ABI ritiene che sia<br />

necessaria un’attenta valutazione dell’impatto delle<br />

nuove proposte non solo sulla stabilità e redditività<br />

dei singoli intermediari, ma anche sul quadro macroeconomico<br />

nazionale e internazionale. Particolare attenzione<br />

dovrà essere prestata al trade-off tra la volontà<br />

di omogeneizzare la normativa e l’esigenza di tenere in<br />

adeguata considerazione, in fase di definizione della<br />

regolamentazione internazionale, le peculiarità nazionali.<br />

Di seguito si riporta una sintesi dei punti di attenzione<br />

rilevati dall’ABI in considerazione delle peculiarità del<br />

mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>, con focus sugli aspetti<br />

riguardanti il capitale e la liquidità 12 :<br />

• Appare necessario che le nuove proposte portino ad<br />

una migliore qualità del capitale senza necessariamente<br />

imporre penalizzazioni su strumenti che nella<br />

realtà italiana sono sostanzialmente equiparabili agli elementi<br />

indicati come computabili (es. azioni di risparmio,<br />

azioni privilegiate e azioni delle banche di credito cooperativo).<br />

• Appare necessaria la modifica di alcuni criteri considerati<br />

nel documento di consultazione per gli strumenti<br />

finanziari che rientrano nel Tier 1 (additional<br />

going concern capital) al fine di mantenere l’appetibilità<br />

degli strumenti per gli investitori “fixed income”.<br />

Infatti il profilo tipico degli investitori in strumenti di<br />

Tier 1 è generalmente rappresentato da investitori in<br />

strumenti di debito.<br />

• Per quanto riguarda la de<strong>du</strong>zione delle DTA nette, si<br />

propone lo stralcio integrale di tale previsione, anche in<br />

considerazione del fatto che le attività per imposte<br />

anticipate sono sottoposte periodicamente ad un specifico<br />

test (probability test) volto a verificarne la sostenibilità<br />

in relazione alla capacità della banca di pro<strong>du</strong>rre<br />

redditi imponibili nel futuro e che la normativa civilistica<br />

considera le DTA componenti del patrimonio disponibile<br />

e non prevede alcun vincolo di distribuzione per<br />

gli utili ad esse riferiti.<br />

• La de<strong>du</strong>zione dal Common Equity degli interessi di<br />

minoranza e delle partecipazioni in banche, finanziarie<br />

e assicurazioni appare particolarmente penalizzante<br />

e comporterebbe, altresì, effetti distorsivi sulla<br />

concorrenza tra conglomerati finanziari e, all’interno dei<br />

gruppi bancari, possibili inefficienze nell’allocazione<br />

del capitale.<br />

• <strong>Il</strong> nuovo framework sulla gestione della liquidità porterà<br />

ad una accresciuta domanda per quegli asset, in<br />

particolare titoli di debito pubblico, idonei a costituire<br />

i buffer di liquidità. Ciò verosimilmente ri<strong>du</strong>rrà in modo<br />

sensibile la domanda per strumenti emessi dal settore<br />

privato, perché saranno rimossi gli incentivi alla loro<br />

detenzione. <strong>Il</strong> funding, pertanto, potrebbe risultare fortemente<br />

influenzato dall’intro<strong>du</strong>zione di nuovi vincoli<br />

sugli strumenti di raccolta con riverberi sul pricing dei<br />

finanziamenti. In tale quadro, pur ritenendo corretta<br />

11. Banca d’Italia, Documento per la consultazione: “Disposizioni di Vigilanza Prudenziale per le Banche. Recepimento delle modifiche alle Direttive 2006/48/CE e<br />

2006/49/CE (cd CRD II)”, Giugno 2010 e Banca d’Italia, Documento per la consultazione “Disposizioni in materia di governo e gestione del rischio di liquidità delle<br />

banche e dei gruppi bancari e degli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale”, Giugno 2010.<br />

12. Rif. ABI Comments on consultative documents issued by Basel Committee on Banking Supervision “Strengthening the resilience of the banking sector” and<br />

“International framework for liquidity risk measurement, standards and monitoring”, 19 Aprile 2010.<br />

30


<strong>Il</strong> mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> e l’evoluzione normativa di Basilea 3<br />

ANDREA FERRETTI &<br />

GIUSEPPE QUAGLIA<br />

l’intro<strong>du</strong>zione dei <strong>du</strong>e indicatori, si ritiene opportuno<br />

rivederne le modalità di costruzione rilasciando alcuni<br />

vincoli per mitigare la restrizione degli assets costitutivi<br />

del buffer di liquidità.<br />

• Al fine di agevolare l’efficacia e l’efficienza nella<br />

gestione del rischio di liquidità si dovrà permettere<br />

l’applicazione dei nuovi buffer unicamente a livello<br />

consolidato.<br />

L’ABI, al fine di rivedere l’impostazione normativa, considerata<br />

troppo penalizzante e non adeguata a valutare<br />

le peculiarità della struttura del mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>,<br />

propone il seguente approccio, da un punto di<br />

vista di metodo, nella definizione della nuova regolamentazione<br />

13 :<br />

• Valutazione di impatto (risultati QIS).<br />

• Seconda consultazione.<br />

• Implementazione generalizzata del nuovo framework<br />

secondo un calendario armonizzato e condiviso.<br />

• Level playing field tra soggetti (intermediari finanziari)<br />

e tra giurisdizioni.<br />

• Allineamento alla normativa contabile.<br />

Le analisi di impatto<br />

Si riportano di seguito alcuni commenti degli operatori<br />

del settore circa i possibili impatti delle nuove regole<br />

sul mercato <strong>italiano</strong>: sebbene non ancora definite in<br />

modo completo e dettagliato, le proposte appaiono,<br />

avere implicazioni di rilievo per le banche ed il <strong>sistema</strong><br />

economico.<br />

L’impatto a livello di <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>, secondo<br />

una recente ricerca presentata ad un convegno<br />

ABI 14 , si aggirerebbe sui 20-25 miliardi di euro (pari al<br />

1,3%-1,6% del PIL nominale 2009). Tale impatto<br />

sulle banche italiane risulta prevalentemente legato agli<br />

effetti derivanti dalle de<strong>du</strong>zioni delle DTA, degli interessi<br />

di minoranza e delle partecipazioni. Se questi parametri<br />

verranno ricalibrati al ribasso (ovvero non dedotti<br />

integralmente) l’effetto di Basilea 3 sul <strong>sistema</strong><br />

<strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> potrebbe ri<strong>du</strong>rsi a soli 6-10 miliardi<br />

di euro.<br />

In via generale, se confrontato con il resto d’Europa,<br />

l’impatto sul <strong>sistema</strong> <strong>italiano</strong> appare comunque minore:<br />

gli istituti di credito spagnoli potrebbero avere una<br />

incidenza simile in valori assoluti, 20-25 miliardi, ma<br />

maggiore sul PIL (1,9%-2,4%); ben più elevati, invece,<br />

sono stimati i costi a cui si andrà incontro in Germania<br />

(30-50 miliardi, l’1,2-2,1% del PIL) e soprattutto in<br />

Gran Bretagna e Francia, dove l’ammontare potrà<br />

sfiorare e forse anche superare i 100 miliardi di euro,<br />

pari a oltre il 5% del PIL.<br />

Tra i motivi dell’impatto relativamente più limitato della<br />

nuova regolamentazione nei confronti delle banche<br />

italiane figurano senz’altro elementi strutturali, come l’utilizzo<br />

più limitato della leva finanziaria e l’elevata liquidità<br />

dell’intero <strong>sistema</strong>.<br />

In un recente intervento, il prof. Sironi 15 della SDA<br />

Bocconi ha rilevato come non saranno trascurabili i<br />

potenziali impatti sulla redditività del capitale delle banche<br />

che un significativo rafforzamento, seppure ancora<br />

non precisamente quantificato, del requisito minimo<br />

associato alla componente core (Upper TIER 1) inevitabilmente<br />

comporta. Tali conseguenze andranno<br />

attentamente considerate, specie nell’attuale contesto<br />

di bassi tassi di interesse e di elevati tassi di sofferenza,<br />

che già influenza negativamente la redditività delle<br />

imprese bancarie. Esiste infatti il rischio che questa<br />

restrizione sul fronte dei requisiti patrimoniali venga<br />

dalle banche traslata sul mercato del credito mediante<br />

un innalzamento degli spread creditizi o una<br />

restrizione dell’offerta di credito. Per quanto concerne<br />

la liquidità, inoltre, si fa notare come i nuovi requisiti rappresentino<br />

strumenti efficaci per garantire che le banche<br />

conservino un’adeguata liquidità e siano <strong>du</strong>nque<br />

capaci di affrontare eventuali situazioni simili a quella<br />

verificatasi nel corso della crisi finanziaria recente.<br />

Entrambi gli indicatori proposti influiscono però in misura<br />

significativa sulla gestione di una banca e, in particolare,<br />

sulla relativa capacità di trasformazione delle<br />

scadenze, ed avranno <strong>du</strong>nque un impatto rilevante<br />

sulla redditività.<br />

Sulla stessa linea appare la posizione di Confin<strong>du</strong>stria<br />

che, attraverso il suo Direttore Generale 16 , denuncia<br />

<br />

13. Rif. Giovanni Sabatini, Direttore Generale ABI: “<strong>Il</strong> dibattito sulle nuove architetture di regolamentazione e vigilanza in Europ”», 14 maggio 2010.<br />

14. Studio Oliver & Wyman presentato al Convegno ABI “Markets & Investment Banking Conference”, Milano, 7 giugno 2010.<br />

15. Rif. Andrea Sironi: “Crisi finanziaria e riforma delle regole: quali implicazioni per le Banche e il Sistema Economico?”, Economia & Management, n.3 2010.<br />

16. Rif. <strong>Il</strong> Sole 24 Ore del 13.04.10.<br />

31


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

che i criteri di maggiore allocazione di capitale a fronte<br />

dei rischi assunti dalle banche, previsti dalla nuova normativa,<br />

impatteranno sul credito con una restrizione dei<br />

flussi creditizi verso le imprese. Infatti tale <strong>sistema</strong> di regole,<br />

pur non essendo ancora applicate, sta già impattando<br />

sul credito <strong>bancario</strong> alle imprese: già oggi mercati ed<br />

agenzie di rating valutano gli istituti di credito sulla loro<br />

capacità di aumentare la patrimonializzazione rispetto<br />

all’attivo rischioso, di conseguenza le banche stanno già<br />

ri<strong>du</strong>cendo gli attivi a rischio e quindi ri<strong>du</strong>cendo i crediti.<br />

Tale posizione è stata confermata dal Presidente 17<br />

della Confin<strong>du</strong>stria, che ha sottolineato come la riforma<br />

costerà alle banche europee 244 miliardi di euro e ciò<br />

di certo non favorirà i prestiti: “Basilea 3 rischia di togliere<br />

altro ossigeno alle imprese e di soffocarle” è il monito<br />

lanciato dagli in<strong>du</strong>striali italiani.<br />

Una simulazione EY<br />

È stato effettuato un esercizio simulativo volto a stimare,<br />

a livello macro e sotto una serie di assunzioni semplificative,<br />

l’impatto sul Patrimonio di Base e sul Patrimonio<br />

di Vigilanza a livello 18 aggregato delle prime cinque<br />

Banche italiane 19 derivante dall’applicazione delle nuove<br />

regole riguardanti il capitale.<br />

In particolare l’analisi ha preso in considerazione le<br />

seguenti assunzioni:<br />

• de<strong>du</strong>zione del capitale ricon<strong>du</strong>cibile alle azioni di<br />

risparmio e alle azioni privilegiate;<br />

• de<strong>du</strong>zione delle Attività per imposte anticipate al<br />

netto delle Passività per imposte differite;<br />

• de<strong>du</strong>zione integrale dal Tier 1 delle partecipazioni<br />

detenute in altre banche, società finanziarie ed assicurative<br />

nonché, delle eccedenze della perdita attesa<br />

rispetto alle rettifiche di valore complessive, che l’attuale<br />

disciplina prevede come elementi da de<strong>du</strong>rre per il<br />

50% dal Tier 1 e per il 50% dal Tier 2;<br />

• de<strong>du</strong>zione integrale dal Tier 1 delle partecipazioni in<br />

assicurazioni che l’attuale disciplina prevede come<br />

elementi da de<strong>du</strong>rre dal Patrimonio di Base e dal<br />

Patrimonio Supplementare;<br />

• ripresa del valore di affrancamento fiscale sull’avviamento<br />

in de<strong>du</strong>zione dal Patrimonio di Vigilanza tra i filtri<br />

prudenziali in de<strong>du</strong>zione al Tier 1 (per evitare il double<br />

counting con le DTA relative all’avviamento);<br />

• tutti gli strumenti ibridi di capitale sono stati considerati<br />

in ipotesi di grandfathering.<br />

I risultati delle analisi, data la bassa granularità dei<br />

dati a disposizione, non vogliono essere esaustivi e rappresentano,<br />

pertanto, solo degli ordini di grandezza di<br />

riferimento al fine di fornire ulteriori elementi di riflessione,<br />

a titolo esemplificativo, sui potenziali impatti<br />

delle nuove regole sul capitale dei principali Gruppi bancari<br />

italiani.<br />

I grafici seguenti (figura 2) illustrano l’impatto sul PV<br />

(Patrimonio di Vigilanza) e sul Tier 1 dell’applicazione<br />

delle regole di Basilea 3 sul capitale a livello aggregato,<br />

stimato sulla base delle assunzioni in precedenza illustrate<br />

(i dati di patrimonio sono stati normalizzati<br />

base 100), evidenziando il contributo delle componenti<br />

sulla diminuzione del Tier 1.<br />

A seguito di tali elaborazioni, risulta un impatto medio<br />

ponderato sul capitale aggregato dei prime cinque<br />

Gruppi bancari di circa il 25% per il Tier 1 e del 10% sul<br />

Patrimonio di Vigilanza. Si noti che l’abbassamento<br />

medio del Tier 1 pari al 25% è spiegato in larghissima<br />

parte dalla de<strong>du</strong>zione integrale delle DTA (53% circa).<br />

Infine, rielaborando le analisi con riferimento all’Annex<br />

BIS di Luglio (considerando la franchigia del 10%<br />

sulla sola componente riferibile alla DTA), l’impatto<br />

medio sul capitale risulterebbe minore e pari rispettivamente<br />

al 22% sul Tier 1 e al 9% sul Patrimonio di<br />

Vigilanza.<br />

Considerazioni conclusive<br />

<strong>Il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> è caratterizzato dalla prevalenza<br />

dell’attività creditizia a favore di famiglie e<br />

imprese, dal radicamento sul territorio, da una leva<br />

finanziaria contenuta e da una struttura di bilancio<br />

nel complesso equilibrata 20 . Tale configurazione, basa-<br />

17. Rif. <strong>Il</strong> Sole 24 Ore del 01.06.10.<br />

18. Sono stati considerati i dati e le informazioni presenti nei documenti di Informativa al Pubblico (Pillar 3) e nei Bilanci consolidati al 31.12.09, pubblicati sui siti<br />

internet dei Gruppi Bancari oggetto di analisi.<br />

19. I primi cinque Gruppi Bancari italiani rappresentano, per attivi complessivi al 31.12.09, circa il 53% dell’intero settore. Fonte: Relazione Annuale della Banca<br />

d’Italia, 31 maggio 2010.<br />

20. Rif. Relazione Annuale del Governato della Banca d’Italia, 31 maggio 2010.<br />

32


<strong>Il</strong> mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> e l’evoluzione normativa di Basilea 3<br />

ANDREA FERRETTI &<br />

GIUSEPPE QUAGLIA<br />

FIGURA 2. Stima impatti sul Tier 1 e sul PV (base 100) delle regole di Basilea 3 al 31.12.09<br />

100<br />

90<br />

10 %<br />

60<br />

50<br />

53 %<br />

80<br />

70<br />

60<br />

50<br />

25 %<br />

40<br />

30<br />

20<br />

18 % 18 %<br />

40<br />

30<br />

20<br />

10<br />

0<br />

B2 B3<br />

Patrimonio di vigilanza<br />

B2 B3<br />

Tier 1<br />

10<br />

0<br />

5 %<br />

De<strong>du</strong>zione azioni<br />

privilegiatee di risparmio<br />

De<strong>du</strong>zione delle DTA<br />

De<strong>du</strong>zione delle<br />

eccedenze del patr.<br />

supplementare<br />

6 %<br />

De<strong>du</strong>zione delle<br />

eccedenze del patr. di<br />

base e supplementare<br />

Ripresa affrancamento<br />

fiscale sull'avviamento<br />

ta su un modello di intermediazione tradizionale e<br />

sostenuta da un quadro regolamentare e da una vigilanza<br />

prudenti, ha di fatto permesso un impatto meno<br />

forte degli effetti della crisi internazionale sul <strong>sistema</strong><br />

<strong>bancario</strong>.<br />

In tale quadro, la selettività della Banca d’Italia nell’ammettere<br />

forme ibride nel calcolo del Patrimonio di<br />

Vigilanza si è riflessa in una qualità del capitale delle banche<br />

italiane comparativamente elevata, che potrebbe<br />

facilitare l’adattamento ai nuovi e più stringenti standard<br />

di Basilea. Occorre tuttavia evidenziare come le proposte<br />

del Comitato, prevedendo un significativo rafforzamento<br />

dei requisiti di capitale, potrebbero comunque<br />

incidere in misura più rilevante sulle banche<br />

attualmente meno capitalizzate.<br />

Appare chiaro che il nuovo framework di valutazione<br />

dell’adeguatezza patrimoniale disegnato da Basilea 3<br />

va nella direzione di definire ed implementare misure più<br />

efficaci nel tutelare maggiormente la solvibilità e la<br />

liquidità delle banche e pertanto la stabilità del <strong>sistema</strong><br />

finanziario, e, seppur passibile di modifiche ed aggiustamenti<br />

per rendere meno restrittivi certi criteri. Tale<br />

nuovo quadro regolamentare presenterà comunque<br />

costi rilevanti per la gestione bancaria, come evidenziato<br />

dalle stime emerse dalle analisi di impatto.<br />

La stessa Banca d’Italia 21 riconosce che le modifiche<br />

regolamentari proposte dal Comitato di Basilea richiederanno<br />

alle banche italiane adeguamenti non<br />

trascurabili e potrà determinare una contrazione dei<br />

profitti, sottolineando che i livelli di redditività registrati<br />

in passato, superiori a quelli degli altri settori pro<strong>du</strong>ttivi<br />

(molto spesso dovuti all’esposizione a rischi troppo elevati,<br />

non adeguatamente coperti da risorse patrimoniali<br />

e di liquidità), potranno difficilmente ripetersi in futuro.<br />

Tuttavia viene enfatizzato il fatto che l’insieme dei<br />

provvedimenti in discussione comporterà anche un<br />

positivo contenimento dei rischi assunti, contribuendo<br />

in modo rilevante alla stabilità finanziaria del <strong>sistema</strong><br />

economico e creando i presupposti perché gli<br />

operatori siano in condizione di affrontare possibili<br />

crisi future con maggiore solidità, ri<strong>du</strong>cendone i costi<br />

per la collettività.<br />

Stante tale quadro, si ritiene fondamentale che le banche<br />

approccino le nuove regole con un atteggiamen-<br />

<br />

21. Giovanni Carosio, Vice Direttore Generale della Banca d’Italia: “La riforma delle regole prudenziali”, Convegno ABI “Basilea 3: Banche e imprese verso il 2012”,<br />

Roma, 4-5 maggio 2010.<br />

33


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

to proattivo cercando di fare leva sugli investimenti<br />

necessari ad adeguarsi alla normativa per rivedere a<br />

livello organizzativo ed ottimizzare a livello operativo le<br />

proprie attività di intermediazione creditizia e finanziaria.<br />

Questo potrebbe significare, ad esempio 22 :<br />

• definire chiare politiche di gestione dei rischi (propensione<br />

al rischio, modalità di controllo e gestione, ecc.);<br />

• integrare le analisi e le valutazioni sui rischi e sul<br />

capitale nei processi di budgeting e pianificazione<br />

strategica;<br />

• utilizzare le prove di stress e le analisi di sensitività e<br />

di scenario come strumenti per la valutazione dell’evoluzione<br />

dell’esposizione ai rischi e dell’adeguatezza<br />

del capitale, al fine di stimarne gli impatti e pianificare<br />

eventuali interventi correttivi/migliorativi di natura gestionale<br />

e patrimoniale,<br />

• rivedere le politiche di gestione della liquidità al fine<br />

di trovare nuovi equilibri tra funding ed impieghi;<br />

• pianificare per il medio-lungo termine una struttura di<br />

funding in coerenza con la nuova regolamentazione;<br />

• approcciare i clienti e le politiche commerciali di sviluppo<br />

dei prodotti/servizi in un ottica di creazione di<br />

valore corretta per il rischio;<br />

• valutare possibili integrazioni con altre banche (simili<br />

per dimensione e standing) in modo da generare<br />

masse critiche e sfruttare economie di scopo e di<br />

scala, che soprattutto per realtà medio-piccole potrebbe<br />

risultare una opzione strategica rilevante.<br />

Aggiornamento Settembre 2010<br />

<strong>Il</strong> Comitato dei Governatori delle Banche Centrali ha<br />

approvato il 12.09.10 il framework regolamentare di<br />

Basilea 3 23 , prevedendo che l’entrata in vigore sia<br />

fatta in modo gra<strong>du</strong>ale, dal 1 gennaio 2013 per arrivare<br />

alla piena attuazione al primo gennaio 2019. <strong>Il</strong><br />

testo, dopo essere stato presentato allo Steering<br />

Committee del Financial Stability Board, verrà ratificato<br />

dal G20 di Seul il prossimo Novembre 2010. Nel<br />

documento vengono anche definiti i requisiti minimi<br />

regolamentari secondo lo seguente schema presentato<br />

in tavola 1.<br />

In tale contesto, l’ABI 24 ha commentato che “[...] mancano<br />

ancora le disposizioni di dettaglio per definire il calcolo<br />

del patrimonio di vigilanza e non è quindi ancora<br />

possibile valutare con precisione l’effettivo impatto dei<br />

nuovi standard, sia a livello macro che a livello di singolo<br />

paese e operatore. A fronte dei potenziali benefici<br />

che deriveranno da un maggior presidio della stabilità<br />

delle banche non mancheranno impatti sull’economia<br />

reale in aree geografiche, come l’Italia e in generale<br />

l’Europa continentale, dove la spinta allo sviluppo è<br />

strettamente collegata all’azione delle banche in particolare<br />

attraverso il credito”, ribadendo la propria posizione<br />

sugli aspetti che appaiono critici: “[…] il periodo<br />

transitorio previsto per l’effettiva applicazione della<br />

nuova normativa può rappresentare un elemento di<br />

supporto alla capacità di adeguamento alle nuove<br />

regole; ciò tanto più se prima che la nuova regolamentazione<br />

diventi vigente, sia possibile un confronto<br />

con le Istituzioni nazionali ed europee, che porti ad<br />

indivi<strong>du</strong>are soluzioni alle specificità delle imprese bancarie<br />

italiane; […] per le banche italiane, in particolare,<br />

è fondamentale che siano previste soluzioni che consentano,<br />

ai fini del computo del patrimonio di vigilanza,<br />

un equo trattamento degli avviamenti e delle imposte<br />

differite attive. Queste ultime in particolare non derivano<br />

da perdite di bilancio ma da un penalizzante regime<br />

fiscale degli accantonamenti su crediti [...]”. ◗<br />

Redatto il 16/09/2010<br />

22. Rif. G. Quaglia, Partner Ernst & Young, “Basilea 3: possibili impatti operativi per le banche”, presentazione alla sessione plenaria finale del Convegno ABI: Basilea<br />

3 - Banche e imprese verso il 2012, Roma 4-5 maggio 2010.<br />

23. Rif. Basel Committee on Banking Supervision: “Press release - Group of Governors and Heads of Supervision announces higher global minimum capital<br />

standards”, 12 September 2010.<br />

24. Rif. ABI Comunicati Stampa del 06.09.10 e del 13.09.10.<br />

34


<strong>Il</strong> mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> e l’evoluzione normativa di Basilea 3<br />

ANDREA FERRETTI &<br />

GIUSEPPE QUAGLIA<br />

TAVOLA 1. Nuovi standard (%) e timeline di basilea 3 (BIS, annex 2 - 12 sett. 2010)<br />

Ambito di intervento 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019<br />

Coefficenti di leva finanziara<br />

Monitoraggio Sviluppo parallelo Migra-<br />

A (Leverage Ratio)<br />

autorità annuncio del parametro – zione –<br />

di vigilanza previsto per il 01/01/2015 al Pillar 1<br />

B Coefficiente minimo di patrimonio di<br />

– – 3,5 4,0 4,5 4,5 4,5 4,5 4,5<br />

prima qualità<br />

Cuscinetto di conservazione del<br />

C<br />

– – – – – 0,625 1,25 1,875 2,50<br />

capitale<br />

D B + C – – 3,5 4,0 4,5 5,125 5,75 6,375 7,0<br />

E De<strong>du</strong>zioni dal patrimonio primario – – – 20 40 60 80 100 100<br />

(Tier 1)<br />

F Coefficiente minimo di patrimonio – – 4,5 5,5 6,0 6,0 6,0 6,0 6,0<br />

primario (Tier 1 Ratio)<br />

G<br />

Coefficiente patrimoniale totale – – 8,0 8,0 8,0 8,0 8,0 8,0 8,0<br />

(Total Capital Ratio)<br />

H C + G – – 8,0 8,0 8,0 8,625 9,25 9,875 10,5<br />

Strumenti di capitale cui viene tolta<br />

I la qualifica di patrimonio primario – – Eliminati in dieci anni a partire dal 2013<br />

principale<br />

L Coefficiente di liquidità di breve termine (Liquidity Coverage Ratio)<br />

(1) – – – (2) – – – –<br />

Coefficiente di finanziamento stabile<br />

M nel medio-lungo termine – (1) – – – – – (2) –<br />

(Net Stable Funding Ratio)<br />

Note : L’entrata in vigore delle misure è fissata per ogni anno all’1° gennaio (in grigio i periodi di transizione).<br />

(1) Inizio del perlado di osservazione<br />

(2) Intro<strong>du</strong>zione standard minimo.<br />

Fonte : <strong>Il</strong> Sole 24 Ore, rielaborazione EY<br />

BIS Press release 12.09.10, Annex 2 “Phase-in arrangements”<br />

35


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

Banche e territori<br />

36


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

<strong>Il</strong> rapporto tra banche e territori dopo<br />

la Grande Crisi del 2007-2009<br />

Grazie al suo ancoraggio forte al<br />

territorio ed anche al ruolo importante<br />

delle banche cooperative, il <strong>sistema</strong><br />

<strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> ha resistito<br />

particolarmente bene alla crisi finanziaria<br />

tra il 2007 e il 2009. Questa crisi ha<br />

posto le basi per un ripensamento<br />

dell’impostazione, precedentemente<br />

negativa, adottata nei confronti delle<br />

banche stakeholder value.<br />

GIOVANNI FERRI<br />

Professore ordinario, Università di Bari (1)<br />

Intro<strong>du</strong>zione<br />

Nei decenni precedenti la Grande Crisi del 2007-2009<br />

il <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> si era profondamente trasformato distaccandosi<br />

progressivamente da un tipo di banking<br />

imperniato sul rapporto personale per incardinarsi su<br />

rapporti più standardizzati e impersonali. Tale trasformazione,<br />

permessa dagli sviluppi della ICT, rispondeva<br />

al desiderio, da parte delle banche, di cogliere le opportunità<br />

loro offerte dalla liberalizzazione finanziaria e dalla<br />

necessità di ri<strong>du</strong>rre i costi di gestione, contribuendo così<br />

a innalzare i rendimenti del capitale verso i livelli, un<br />

tempo impensabili per le banche, loro richiesti da investitori<br />

sempre più esigenti. Così, il <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong><br />

dall’essere il settore più regolato e tradizionale era<br />

diventato uno dei più attraenti. E il mestiere del banchiere,<br />

che una volta veniva etichettato come quello sicuro<br />

ma noioso dei tre tre – il tasso sui mutui è al 3%, lo<br />

spread tra tassi attivi e passivi è al 3% e alle 3 del<br />

pomeriggio il banchiere va a giocare a golf (o a bowling<br />

se preferite) – si era convertito in uno dei più dinamici<br />

con banchieri remunerati sempre di più ma con sempre<br />

meno tempo libero. <strong>Il</strong> mutamento che doveva portare<br />

le istituzioni finanziarie nell’empireo degli alti rendimenti,<br />

teorizzato dalle grandi agenzie di consulenza americane,<br />

prescriveva di innervare le banche nei mercati<br />

finanziari modificandone il modello di business.<br />

Anche il rapporto delle banche con i territori serviti<br />

era perciò cambiato. La liberalizzazione, il desiderio di<br />

grandezza dei manager, la percezione (poi rivelatasi in<br />

gran parte infondata) di grandi vantaggi dalle economie<br />

di scala e forse anche la moda avevano prodotto un<br />

processo molto intenso di consolidamento <strong>bancario</strong>.<br />

<br />

L’autore è membro fondatore del Think Tank per lo studio del credito cooperativo creato nel 2008 presso la European Association of Co-operative Banks.<br />

37


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

Le banche si aggregavano in entità sempre più grandi,<br />

talora gigantesche e con attività totali maggiori dei<br />

bilanci pubblici degli Stati da cui promanavano. I loro<br />

centri decisionali si allontanavano dai territori serviti. La<br />

sostituzione del rapporto personale con quello mediatico<br />

– ATM, internet banking ecc. – si spingeva molto<br />

in avanti. Le persone a contatto con la clientela si<br />

ri<strong>du</strong>cevano a vantaggio del back-office e dei centri<br />

direzionali e il loro turnover si intensificava. Così, per il<br />

cliente minuto diveniva sempre più difficile identificare<br />

una persona che fungesse da interlocutore stabile alle<br />

sue esigenze bancarie.<br />

In verità, non tutte le banche seguivano quel trend o,<br />

quantomeno, non tutte correvano in quella direzione alla<br />

stessa velocità. In particolare, le banche cooperative<br />

erano meno coinvolte nella trasformazione. Esse erano<br />

ancorate al territorio dal permanere di specifiche regolamentazioni<br />

e, fors’anche di più, dal desiderio dei<br />

soci. Non sempre la loro partecipazione alle assemblee<br />

era assi<strong>du</strong>a, ma la gran parte dei soci si sarebbe<br />

opposta a trasformazioni che avrebbero portato via la<br />

“loro” banca. Però, le banche cooperative venivano<br />

generalmente giudicate arcaiche e ormai inadatte alle<br />

nuove e più sofisticate esigenze della clientela. Di più,<br />

anche da parte delle Autorità, le banche cooperative<br />

venivano guardate con sufficienza, se non con un<br />

certo pregiudizio negativo. In vari Paesi, anche risentendo<br />

del contesto, molte di esse venivano demutualizzate.<br />

Putroppo, si è capito solo dopo come la demutualizzazione<br />

non ponesse solo problemi di equità<br />

intergenerazionale – né le generazioni passate, che<br />

hanno contribuito a costruirla, né quelle future, che si<br />

ritroveranno senza quella banca cooperativa, votavano<br />

– ma anche, troppo spesso, aprisse la strada a<br />

gestioni disinvolte, foriere di fragilità e di crisi (cfr.<br />

OCMEB, 2009, per il caso del Regno Unito).<br />

Ma questo accadeva prima. Dopo la Grande Crisi del<br />

2007-2009 molto sta cambiando. Sembra che molte<br />

forze confluiscano a spingere le banche a un ritorno<br />

verso il modello di business tradizionale. Vi è un drastico<br />

ripensamento sulle virtù del consolidamento, con<br />

molti Paesi che valutano se smembrare i colossi finanziari<br />

formatisi in precedenza, al fine di ri<strong>du</strong>rre il rischio<br />

sistemico. La regolamentazione si sta inasprendo sui<br />

contratti finanziari più complessi e opachi, richiedendo<br />

di riportare su mercati regolamentati quello che veniva<br />

scambiato su mercati Over The Counter (OTC). Viene<br />

fortemente limitato, se non impedito, il proprietary<br />

trading (cioè il trading delle banche sui mercati finanziari<br />

in conto proprio). Gli schemi di remunerazione<br />

del top management delle banche sono sotto osservazione,<br />

per evitare le connesse distorsioni degli incentivi<br />

all’assunzione di rischi esagerati. Si va diffondendo<br />

la percezione che nel futuro della banca ci debbano<br />

essere più finanziamenti all’economia reale e meno<br />

coinvolgimento nei mercati finanziari e che i rendimenti<br />

del capitale debbano tornare per le banche ai livelli storici<br />

precedenti alla metamorfosi del loro modello di<br />

business. Taluni mettono in discussione l’opportunità<br />

di livelli di concorrenza elevata – che potrebbero spingere<br />

all’assunzione eccessiva di rischio – nel settore<br />

<strong>bancario</strong>. Insomma, con tutta probabilità, molto cambierà<br />

per le banche.<br />

Se le banche torneranno verso il modello d’affari tradizionale,<br />

una delle conseguenze sarà che esse torneranno<br />

a intessere rapporti più stretti con i propri<br />

territori, investendo maggiormente in questi rapporti e<br />

valorizzandone le potenzialità. Sarà interessante osservare<br />

questa evoluzione.<br />

Ma, prima che ciò si realizzi, è ancora oggi opportuno<br />

riflettere a fondo sugli errori che avevano portato ai<br />

mutamenti all’origine della crisi. In particolare, affronteremo<br />

questo tema dal particolare angolo visuale che<br />

giustappone le banche recanti l’obiettivo della massimizzazione<br />

del valore per gli azionisti – che chiameremo<br />

banche shareholder value –, soggetti resi omogenei<br />

dal privilegiare l’interesse per il valore dell’azione, a<br />

quelle che si pongono l’obiettivo di massimizzare il<br />

valore per una più ampia e composita platea di soggetti<br />

– che chiameremo banche stakeholder value (in primis<br />

le banche cooperative) – soggetti portatori di interessi<br />

tra di loro differenziati e che, perciò, vantano rapporti<br />

più stretti col territorio. In linea di massima, le prime sono<br />

approssimabili con le banche commerciali e d’investimento<br />

– prioritariamente, se non esclusivamente, orientate<br />

alla ricerca del profitto – costituite nella forma<br />

della società per azioni, mentre le banche stakeholder<br />

value sono identificabili con gli istituti di credito<br />

cooperativi e con gli altri intermediari con caratteristiche<br />

mutualistiche – per i quali la massimizzazione del pro-<br />

38


<strong>Il</strong> rapporto tra banche e territori dopo la Grande Crisi del 2007-2009<br />

GIOVANNI FERRI<br />

fitto non è né l’unico fine né, generalmente, quello<br />

prioritario.<br />

In effetti, a nostro modo di vedere, la spinta all’enfasi<br />

esasperata del profitto di breve periodo per le banche<br />

commerciali e quella alla diffusa trasformazione di banche<br />

stakeholder value in banche shareholder value – es.<br />

attraverso i processi di “demutualizzazione” – sono<br />

state <strong>du</strong>e forze determinanti nella genesi dei problemi<br />

poi sfociati nella crisi finanziaria.<br />

Per sintetizzare, ci sono tre aspetti principali connessi<br />

alla questione. In primo luogo, come detto, si è<br />

avuto un mutamento nel modello di affari <strong>bancario</strong>.<br />

Inoltre, come testé accennato, i sistemi bancari hanno<br />

sperimentato sostanziali ondate di demutualizzazione,<br />

in cui ampi segmenti del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> sono stati<br />

trasformati da uno status mutualistico o cooperativo in<br />

banche shareholder value. Da ultimo, la percezione che<br />

il rischio di credito potesse essere scomposto ha<br />

determinato una mancanza di considerazione – o,<br />

quantomeno, una sottostima – del grado in cui rompendo<br />

relazioni finanziarie complesse in contratti segmentati<br />

si sarebbe indebolita la capacità delle banche<br />

di valutare e governare la dimensione complessiva di<br />

quel rischio. Dal canto loro, del resto, la teoria economica<br />

prevalente e la regolamentazione bancaria hanno<br />

contribuito a diffondere questa visione erronea. Vi sono<br />

ovvie conseguenze sul rapporto tra banche e territorio.<br />

Nel resto del contributo, la seconda parte è dedicata alla<br />

doppia subordinazione delle banche stakeholder value:<br />

esse, in quanto banche, hanno condiviso con le altre<br />

banche la subordinazione della banca alle logiche del<br />

mercato finanziario e, inoltre, sono state insidiate da un<br />

orientamento prevalente in base al quale anch’esse<br />

sarebbero dovute convergere verso il modello della<br />

società per azioni. Nella terza parte si osserva e si svolgono<br />

alcune riflessioni sul fatto che la crisi finanziaria ha<br />

generato maggiore instabilità per le banche shareholder<br />

value rispetto a quelle stakeholder value. La quarta<br />

parte trae le principali lezioni della crisi per il tema onde<br />

trattasi e raccoglie le considerazioni conclusive.<br />

L’impostazione teorica:<br />

la doppia subordinazione delle<br />

banche stakeholder value 2<br />

Subordinazione della banca<br />

al mercato finanziario<br />

Le teorie di riferimento del <strong>sistema</strong> finanziario si suddividono<br />

in <strong>du</strong>e rami principali: la teoria dei mercati finanziari<br />

e la teoria della banca. La prima si basa su ipotesi<br />

di mercati completi e di informazione perfetta 3 . In<br />

particolare, se vale l’ipotesi dei mercati efficienti i prezzi<br />

delle attività finanziarie dovrebbero riflettere tutte le<br />

informazioni pubblicamente disponibili (Fama, 1970). Se<br />

le informazioni correnti e passate sono immediatamente<br />

incorporate nei prezzi correnti, allora solamente<br />

nuove informazioni potranno causare un cambiamento<br />

nei prezzi, i quali fanno riferimento sempre al<br />

funzionamento del meccanismo della domanda e dell’offerta.<br />

Dall’altro lato, la teoria della banca si basa su ipotesi di<br />

mercati incompleti e di informazione imperfetta.<br />

Dall’intuizione originaria di Stiglitz e Weiss (1981) la<br />

teoria degli intermediari evolve verso il monitoring sui<br />

debitori, delegato alle banche da parte dei risparmiatori/depositanti<br />

(Diamond, 1984). Ne segue che le<br />

banche svolgono una funzione essenziale di rimedio al<br />

fallimento del mercato del credito, dato che, accumulando<br />

informazioni sui debitori, possono ri<strong>du</strong>rre il grado<br />

di asimmetria informativa e impartire a questi ultimi gli<br />

incentivi corretti temperando i problemi di selezione<br />

avversa e di azzardo morale.<br />

Di conseguenza, sembra mancare un ponte tra le <strong>du</strong>e<br />

teorie: quella delle banche, che ci dice che esse esistono<br />

per rimediare a un fallimento del mercato, e<br />

quella dei mercati finanziari, che postula l’assenza di fallimenti<br />

del mercato 4 .<br />

Si è così generata un’incoerenza teorica di fondo<br />

quando, in seguito alla deregolamentazione e alla<br />

liberalizzazione finanziarie, prassi e regolamentazione<br />

bancarie si sono via via mosse verso modalità operative<br />

tipiche dei mercati finanziari. Le banche che fanno <br />

2. Per una più diffusa trattazione, si rimanda a Coco e Ferri (2010).<br />

3. Questo nonostante una crescente parte della letteratura abbia messo in discussione l’efficienza dei mercati finanziari in termini generali (es. Grossman e Stiglitz,<br />

1980) o ipotizzando che nel mercato operino soggetti disinformati, i cosiddetti noise traders (es. Delong e altri, 1990; Shleifer e Summers, 1990).<br />

4. Fanno eccezione alcuni autori (es. Allen e Gale, 2000) che hanno lavorato alla costruzione di questo ponte, concludendo che tra banche e mercati esistono forti<br />

complementarità, piuttosto che sostituibilità. Ma tale opera è ampiamente incompleta e, per di più, non ha avuto – almeno fino a prima della crisi – successo nel<br />

determinare l’impostazione delle prassi e della regolamentazione delle banche.<br />

39


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

sempre più finanza, che sono incoraggiate ad accrescere<br />

la propria redditività diversificando la propria<br />

offerta fuori dal credito tradizionale e verso le attività di<br />

finanza strutturata, l’affermarsi nella regolamentazione<br />

della logica del marking to market delle attività bancarie<br />

– logica alla base sia degli International Accounting<br />

Standards (IAS) che di Basilea 2: tutti questi elementi<br />

sono estrinsecazioni concrete di una subordinazione<br />

delle banche ai mercati finanziari.<br />

L’incarnazione più plastica dell’assoggettamento della<br />

banca al mercato finanziario la si ritrova nel teorizzare<br />

– come fa Bryan (1988), persona assai influente in<br />

quanto patron del tempo della McKinsey Consulting<br />

– che il modello <strong>bancario</strong> si deve trasformare dal<br />

desueto tradizionale originate to hold (OTH) al nuovo<br />

modello originate to distribute (OTD, fai il prestito e<br />

vendilo ai mercati finanziari). Nel modello OTH la<br />

banca fa il prestito e lo tiene in bilancio fino alla<br />

scadenza, mentre nel modello OTD appena la banca<br />

fa il prestito lo vende immediatamente mediante una<br />

cartolarizzazione.<br />

Vi sono importanti implicazioni del passaggio da OTH<br />

a OTD per il rapporto tra banca e territorio. Nel modello<br />

OTH la banca aveva forti incentivi a tenere rapporti<br />

stretti col territorio, perché l’attività di screening e<br />

monitoring le era essenziale, ma quegli incentivi cadono<br />

quando la banca si struttura sul modello OTD: essa<br />

si spossesserà subito del rischio di credito e i costosi<br />

investimenti per sapere vita morte e miracoli della<br />

clientela affidata non servono più.<br />

Subordinazione del modello <strong>bancario</strong><br />

stakeholder value a quello shareholder value<br />

Inoltre, si fa strada la convinzione che il modello societario<br />

più appropriato per favorire lo sviluppo finanziario<br />

sia quello della banca shareholder value, la quale,<br />

mirando alla massimizzazione del profitto di breve<br />

periodo, sarebbe meglio in grado di cogliere le opportunità<br />

insite nella trasformazione del modello <strong>bancario</strong><br />

da OTH a OTD. Viene perciò rappresentato come<br />

desueto il modello della banca cooperativa – il prototipo<br />

della banca stakeholder value – che, assegnando<br />

valore (anche) a obiettivi diversi dalla massimizzazione<br />

del profitto di breve periodo e equiparando<br />

(almeno sulla carta) – specie attraverso il principio<br />

“una testa un voto”, a prescindere dall’entità del possesso<br />

azionario – il peso nelle scelte aziendali di tutti<br />

gli azionisti, anche quelli minori, permette la rappresentanza<br />

di una più ampia platea di detentori d’interesse<br />

nella banca.<br />

Viene spesso messa in discussione la corporate<br />

governance delle banche cooperative che, si dice,<br />

contribuisce a generare una dirigenza pressoché inamovibile<br />

e che, perciò, corre il rischio di essere autoreferenziale.<br />

Sebbene nell’addebito di autoreferenzialità<br />

ci siano degli elementi concreti, tale<br />

ragionamento trascura la possibilità che questo sia<br />

proprio un prezzo inevitabile da pagare per consentire<br />

la rappresentanza degli stakeholders e il mantenimento<br />

di un focus localistico e al servizio delle piccole<br />

e medie imprese (De Bruyn e Ferri, 2005),<br />

intensamente basato sulle relazioni con la clientela (il<br />

c.d. relationship banking).<br />

Ne consegue che, in quanto maggiormente devote al<br />

relationship banking e <strong>du</strong>nque più idonee a ri<strong>du</strong>rre le<br />

asimmetrie informative nei confronti dei debitori, le<br />

banche stakeholder value sarebbero quelle più capaci<br />

di rimediare al fallimento del mercato che è all’origine<br />

della nascita della banca. Ma, lungi dal riconoscere ciò,<br />

per molti anni si è assistito a una sorta di disfavor nei<br />

loro confronti da parte del legislatore. Ciò determinava<br />

una doppia subordinazione delle banche stakeholder<br />

value: al pari delle banche shareholder value venivano<br />

ad essere sempre più subordinate ai mercati finanziari<br />

ma, in aggiunta, esse erano anche subordinate rispetto<br />

a quest’ultime nel modello societario.<br />

A testimoniare gli effetti concreti dell’impostazione che<br />

subordinava il modello <strong>bancario</strong> stakeholder value a<br />

quello shareholder value, la trasformazione di banche<br />

cooperative e mutualistiche – la c.d. demutualization –<br />

è stata una pratica molto diffusa, particolarmente negli<br />

USA e nel Regno Unito. Negli Stati Uniti, le Thrift<br />

Institutions – Savings Banks e Savings and Loans<br />

Banks – a partire dagli anni Ottanta vennero pressoché<br />

interamente trasformate in banche commerciali nella<br />

forma della società per azioni. Nel Regno Unito, al<br />

contempo, subirono la stessa sorte quasi tutte le<br />

Building Societies. Inoltre, anche nell’Europa continentale<br />

– ove la tendenza alla demutualizzazione era<br />

meno intensa – si sono avuti vari casi di trasformazio-<br />

40


<strong>Il</strong> rapporto tra banche e territori dopo la Grande Crisi del 2007-2009<br />

GIOVANNI FERRI<br />

ne (es. alcune ex banche popolari in Italia). La trasformazione<br />

ha ovunque modificato profondamente gli<br />

incentivi per gli amministratori di quelle banche.<br />

Generalmente ne è risultato un accorciamento nell’orizzonte<br />

temporale se non addirittura un mutamento nel<br />

modello d’affari.<br />

La crisi finanziaria:<br />

maggiore instabilità per le<br />

banche shareholder value<br />

La crisi finanziaria ha colpito i sistemi bancari in tutto il<br />

mondo. Ma, quello che qui più rileva, a essere colpite<br />

di meno dalla crisi sono state proprio le banche che<br />

meno si erano adeguate alla subordinazione richiamata<br />

al par. precedente. Analizzando la performance di<br />

Borsa di 226 banche quotate si nota che vi è una correlazione<br />

negativa e statisticamente significativa tra la<br />

dimensione e i rendimenti anormali medi sperimentati<br />

dall’azione della banca in <strong>du</strong>e cruciali eventi della crisi:<br />

il 9 agosto 2007, giorno in cui le principali Banche<br />

Centrali furono costrette a intervenire per fornire liquidità<br />

per evitare il collasso del mercato inter<strong>bancario</strong><br />

conseguente all’esplodere della crisi subprime, e il<br />

15 settembre 2008, giorno in cui il fallimento di Lehman<br />

Brothers impartì un secondo shock negativo su scala<br />

globale 5 . Inoltre, è per noi ancor più interessante notare<br />

come la penalizzazione, in termini di rendimenti anormali,<br />

inflitta dai mercati alle banche quotate sia stata<br />

maggiore per le banche che più si erano distaccate dal<br />

modello OTH per andare verso quello OTD. Sebbene<br />

misurare un tale attributo sia piuttosto complesso, una<br />

proxy del fenomeno ci è offerta da un rapporto tra <strong>du</strong>e<br />

voci di conto economico: il rapporto tra margine di<br />

interesse e margine di intermediazione. Dal momento<br />

che il divario tra margine di intermediazione e margine<br />

di interesse tende ad ampliarsi allorché crescono i ricavi<br />

netti non derivanti dall’attività di intermediazione creditizia<br />

tradizionale, va da sé che valori più elevati del rapporto<br />

tendono a identificare banche le quali si sono più<br />

spostate verso il modello OTD e, viceversa, valori inferiori<br />

del rapporto a indicare banche rimaste più ancorate<br />

al modello OTH.<br />

Ebbene, come mostrano Bongini e altri (2009), vi è una<br />

correlazione positiva – e statisticamente significativa –<br />

tra i rendimenti anormali medi e il rapporto margine di<br />

interesse/margine di intermediazione. Ciò pare confermare<br />

che nei momenti decisivi della crisi i mercati<br />

hanno penalizzato di più chi si era maggiormente avvicinato<br />

al modello OTD e di meno le banche rimaste più<br />

fedeli al modello OTH. In altri termini, i mercati azionari<br />

sembrano aver premiato il relationship banking, contraddicendo<br />

palesemente la subordinazione della banca<br />

ai mercati finanziari, orientamento che aveva prevalso<br />

negli scorsi decenni.<br />

E, non a caso, prendendo i valori medi per paese (per<br />

i paesi con almeno 5 banche quotate) ponderati in<br />

base alla dimensione dell’attivo delle singole banche,<br />

si nota che la penalizzazione in termini di rendimenti<br />

anormali è stata minima per l’Italia e la Spagna –<br />

paesi per i quali il rapporto margine di interesse/margine<br />

di intermediazione segnalava un minore allontanamento<br />

dal modello OTH – e ben maggiore per la<br />

Francia e la Germania, le cui banche quotate si erano<br />

invece avvicinate di più al modello d’affari OTD<br />

(cfr. figura 1) 6 .<br />

Dunque, anche per la seconda subordinazione, i dati<br />

disponibili paiono contraddire quello che era stato<br />

’orientamento degli anni prima della crisi.<br />

A ulteriore suffragio di ciò, va anche ricordato che le<br />

banche cooperative sono state pressoché ovunque<br />

oggetto di una sorta di “ricerca della fi<strong>du</strong>cia” da parte<br />

dei depositanti che, specie nel dopo Lehman Brothers,<br />

a frotte hanno fatto confluire grandi quantitativi di<br />

depositi verso le banche stakeholder value. Infine, va<br />

osservato che, forse non a caso, alcuni dei più notevoli<br />

casi di bancarotta degli intermediari finanziari hanno<br />

riguardato banche demutualizzate: ad esempio, per<br />

citare solo i casi più noti, Northern Rock e Halifax<br />

Bank of Scotland nel Regno Unito; Washington Mutual<br />

negli USA.<br />

<br />

5. I dati qui ripresi sono stati calcolati, mediante la tecnica dell’event study, da Bongini e altri (2009) sull’insieme di tutte le 226 banche quotate per le quali è stato<br />

possibile reperire le informazioni rilevanti. L’insieme include 4 banche della regione baltica/scandinava, 2 del Belgio, 7 della Francia, 8 della Germania, 15 dell’Italia,<br />

91 del Giappone, 2 dei Paesi Bassi, 9 della Spagna, 6 del Regno Unito e 82 degli Stati Uniti.<br />

6. Questa indicazione non è però confermata per il Giappone, probabilmente in ragione di effetti specifici nazionali in un paese ove il <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> ha sofferto a<br />

lungo della crisi deflazionistica avviatasi ai primi anni Novanta.<br />

41


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

FIGURA 1. Propensione al modello OTH e rendimenti anormali<br />

1<br />

0,503<br />

0,353 0,351<br />

0,567 0,643 0,563 0,484 0,482 0,488<br />

0<br />

- 1<br />

- 0,358<br />

- 0,143<br />

- 0,102<br />

- 0,965<br />

- 0,637<br />

- 2<br />

- 3<br />

- 2,266<br />

- 1,795<br />

- 1,549<br />

- 4<br />

- 5<br />

Regione Baltica<br />

- 4,227<br />

Francia Germania Italia Giappone Spagna Regno-Unito USA Totale<br />

MINS/MITD ponderato<br />

AR medio ponderato (%)<br />

Lezioni della crisi e conclusioni<br />

<strong>Il</strong> modello <strong>bancario</strong> basato sul relationship banking –<br />

tipico, sebbene non esclusivo, delle banche cooperative<br />

e caratteristico di più stretti rapporti banca-territorio<br />

– è il vero vincitore in seguito alla profonda instabilità<br />

finanziaria del 2007-09. Oggi, con il beneficio dell’inventario,<br />

è chiaro che il diffuso utilizzo del modello<br />

OTD è stato uno dei fattori fondamentali dietro alla<br />

perdita generalizzata di comportamenti responsabili<br />

da parte delle banche. In particolare, è abbastanza logico<br />

che, quando la banca sa ex ante che – mediante le<br />

cartolarizzazioni – venderà subito quei prestiti che si<br />

appresta erogare, per essa vengono meno gli appropriati<br />

incentivi a esercitare diligentemente le sue funzioni<br />

di selezione (screening) e controllo (monitoring) sugli affidati.<br />

Perciò, sarà molto probabile un generale abbassamento<br />

degli standard creditizi, un fenomeno particolarmente<br />

preoccupante in contesti nei quali il rischio<br />

di default dei debitori è assai alto, così come nel caso<br />

del segmento dei mutui subprime. Ma, come si è<br />

argomentato, la crisi deriva anche da errori teorici più<br />

profondi.<br />

La percezione che i rischi potessero essere segmentati<br />

– in primis con le cartolarizzazioni – trascurava<br />

il problema che parcellizzare relazioni finanziarie complesse<br />

in contratti segmentati determina, con tutta<br />

probabilità, un indebolimento della capacità degli<br />

intermediari di giudicare e governare la dimensione<br />

complessiva di quei rischi. Infatti, se un debitore affida<br />

tutti i suoi affari finanziari a una sola banca controparte,<br />

quella banca (mediante il relationship banking:<br />

Boot, 2000) potrà avere accesso a informazioni<br />

privilegiate (soft information), che andranno invece<br />

perse quando quel cliente ripartisca i suoi affari con<br />

diverse banche controparti. Al tempo stesso, nell’ambito<br />

di una relazione bancaria singola, la banca ha<br />

gli incentivi appropriati a svolgere lo screening e il<br />

monitoring dei debitori, così acquisendo informazioni<br />

private su di essi.<br />

Dal canto suo, la regolamentazione ha contribuito a plasmare<br />

un <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> meno sicuro, ad esempio<br />

attraverso gli IAS e Basilea 2, che hanno introdotto un<br />

incentivo regolamentare a usare tecnologie di<br />

rating/scoring. Limitiamoci a considerare gli andamenti<br />

prociclici potenzialmente indotti dalla diffusione del<br />

credit rating/scoring e disseminati ai requisiti di capitale<br />

attraverso i modelli di rating interni delle banche. Questo<br />

può essere etichettato come il `lato oscuro’ del credit<br />

rating/scoring (Ferri, 2001). Essendo legato alla situazione<br />

corrente piuttosto che alle prospettive future, il<br />

credit rating/scoring può in<strong>du</strong>rre fluttuazioni procicliche<br />

nel costo e nella disponibilità di credito, il che potrebbe<br />

amplificare le fluttuazioni nell’offerta di credito e, quindi,<br />

nell’attività economica.<br />

42


<strong>Il</strong> rapporto tra banche e territori dopo la Grande Crisi del 2007-2009<br />

GIOVANNI FERRI<br />

La crisi segna l’esigenza di un ripensamento anche per<br />

l’impostazione (in precedenza) negativa nei confronti<br />

delle banche stakeholder value che, non a caso, si sono<br />

comportate meglio dei quelle shareholder value. In<br />

particolare va ribadito che gli intermediari del primo tipo<br />

paiono maggiormente propensi a seguire modelli d’affari<br />

più orientati al lungo periodo e, pertanto, idonei a<br />

rafforzare il relationship banking, a favorire così comportamenti<br />

responsabili, in luogo di quelli irresponsabili<br />

all’origine della crisi e a mantenere solide radici nel<br />

territorio.<br />

<strong>Il</strong> compito è difficile – perché occorre correggere molte<br />

credenze erronee – ma non impossibile e, soprattutto,<br />

è importante. ◗<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

Allen, F. e Gale, D. (2000), Comparing Financial Systems, MIT Press: Cambridge, Mass.<br />

Bongini, P., Ferri, G. e Lacitignola, P. (2009), “Was there a “small-bank” anomaly in the subprime crisis?”, in G. Bracchi e Masciandaro,<br />

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Bryan, L.L. (1988), Breaking up the bank. Rethinking an in<strong>du</strong>stry under siege, Dow Jones-Irwin: Homewood, <strong>Il</strong>l.<br />

Boot, A.W.A. (2000), “Relationship Banking: What Do We Know?”, Journal of Financial Intermediation 9 (1):7-25.<br />

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Delong, J.B., Shleifer, A., Summers, L.H. e Waldmann, R.J. (1990), “Noise Trader Risk in Financial Markets”, Journal of Political<br />

Economy 98 (4):703-738.<br />

Diamond, D.W. (1984), “Financial Intermediation and Delegated Monitoring”, The Review of Economic Studies 51 (3):393-414.<br />

Fama, E.F. (1970), “Efficient Capital Markets: A Review of Theory and Empirical Work”, Journal of Finance 25 (2): 383–417.<br />

Ferri, G. (2001), “Opening Remarks”, as guest editor, of the special issue (No. 3/2001) of Economic Notes on “Capital Adequacy Requirements:<br />

Impact and Evolution”.<br />

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Shleifer, A. e Summers, L.H. (1990), “The Noise Trader Approach to Finance”, Journal of Economic Perspectives 4 (2):19-33.<br />

Stiglitz, J.E. e Weiss, A.M. (1981), “Credit Rationing in Markets with Imperfect Information”, American Economic Review 71: 393-410.<br />

43


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMÉRO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

<strong>Il</strong> ruolo delle banche del territorio nel<br />

<strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong><br />

Cariparma e Friuladria per loro natura e<br />

storia si sono sempre caratterizzate<br />

come Banche del Territorio. Essere<br />

Banca del Territorio è un’attitudine; non<br />

si tratta solo di vicinanza territoriale, ma<br />

soprattutto di un approccio verso il<br />

territorio inteso in senso ampio. Essere<br />

Banca del Territorio significa essere<br />

vicini al mondo del cliente.<br />

GIAMPIERO MAIOLI<br />

Amministratore delegato e direttore generale,<br />

Gruppo Cariparma Friuladria<br />

Banca del territorio come “attitudine”<br />

La crisi economica in atto ha riportato al centro dell’attenzione<br />

il tema della vicinanza al territorio da parte<br />

delle banche. <strong>Il</strong> concetto di Banca del Territorio è stato<br />

a volte utilizzato più come uno slogan che per gli effettivi<br />

contenuti. In realtà, l’attualità di questi argomenti deriva<br />

dall’esplicita esigenza della clientela di interfacciarsi<br />

con una banca che gli sia vicina; esigenza che non<br />

sempre ha trovato una risposta.<br />

<strong>Il</strong> concetto di Banca del Territorio non è un concetto<br />

geografico né un fatto dimensionale ma è un’attitudine;<br />

non si tratta solo di vicinanza territoriale, ma soprattutto<br />

di un approccio verso il territorio inteso in senso<br />

ampio. Un rapporto continuo con i diversi stakeholders<br />

che genera un circolo “virtuoso”. In questo senso,<br />

Cariparma e Friuladria per loro natura e storia si sono<br />

sempre caratterizzate come Banche del Territorio.<br />

Fare banca come Banca del Territorio significa plasmare<br />

la propria azione e la propria struttura sulle esigenze e<br />

sulle caratteristiche dei soggetti con cui si interagisce,<br />

siano essi imprese, famiglie o istituzioni.<br />

<strong>Il</strong> contesto economico <strong>italiano</strong> si caratterizza per un tessuto<br />

pro<strong>du</strong>ttivo con una componente di piccole e<br />

medie imprese superiore rispetto alla media dei paesi<br />

più avanzati: 3,7 milioni di imprese (2,2 milioni in<br />

Francia) che generano quasi <strong>du</strong>e terzi del PIL <strong>italiano</strong><br />

(51% del PIL in Francia). La dimensione media delle<br />

imprese italiane risulta pari a 4 addetti contro i<br />

6,4 addetti dell’Unione Europea, 12,2 della Germania,<br />

5,9 per la Francia. A questa frammentazione e capillarità<br />

hanno fatto però da contraltare alcune caratteristiche<br />

tipiche delle imprese: flessibilità, velocità e reattività ai<br />

44


<strong>Il</strong> ruolo delle banche del territorio nel <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong><br />

GIAMPIERO MAIOLI<br />

mutevoli contesti economici, in un mercato del lavoro<br />

ancora rigido e condizionato da regimi fiscali non favorevoli<br />

(l’Italia figura al primo posto nell’Unione Europea<br />

per tassazione del lavoro dipendente con il 43% contro<br />

il 34,4% della Unione Europea). Inoltre, la specializzazione<br />

di gruppi di imprese in determinate aree<br />

geografiche ha dato vita ai distretti in<strong>du</strong>striali: fare<br />

impresa in alcune aree del Paese è cosa diversa dall’esercitare<br />

attività economica in altre aree.<br />

CARTA 1. Distribuzione dei distretti in<strong>du</strong>striali in Italia<br />

L’evoluzione e la sopravvivenza dei distretti in<strong>du</strong>striali<br />

post crisi è peraltro legata in maniera indissolubile alla<br />

capacità degli stessi di reinventarsi in termini di internazionalizzazione<br />

e di ricerca di nuovi mercati. In questo<br />

senso il processo si è già innescato: nel primo trimestre<br />

2010, rispetto allo stesso trimestre dell’anno<br />

precedente, si è registrata una variazione positiva delle<br />

esportazioni (+6,6%), ponendo fine a quasi <strong>du</strong>e anni di<br />

andamenti negativi.<br />

Inoltre, ci sono le famiglie che rappresentano una risorsa<br />

inestimabile per l’intero <strong>sistema</strong> Paese, sia sotto il<br />

profilo economico e del risparmio, che per i valori di cui<br />

sono portatrici. La loro propensione al risparmio rimane<br />

tra le più alte in Europa con una percentuale del 14%<br />

contro una media dell’Unione Europea del 13,3%,<br />

anche se risulta in progressiva ri<strong>du</strong>zione.<br />

In quest’ottica, fare banca significa essere radicati fortemente<br />

sul territorio, sviluppare esperienza nel fornire<br />

prodotti e servizi a misura del cliente e avere la<br />

necessaria solidità patrimoniale per affrontare i<br />

momenti di crisi. In altre parole, essere vicini al<br />

mondo del cliente. Gli elementi che qualificano tutto<br />

ciò sono ben chiari. Si tratta soprattutto di consentire<br />

una più facile accessibilità al credito anche per la<br />

creazione di nuove imprese, con i poteri di decisione<br />

nell’erogazione dei finanziamenti collocati più in<br />

basso. Va garantito un rapporto di fi<strong>du</strong>cia <strong>du</strong>raturo e<br />

personalizzato con la clientela, anche attraverso la<br />

maggiore permanenza dello staff operativo e il presidio<br />

degli sportelli nei piccoli comuni. La banca così<br />

interpretata crea uno stretto legame con le sorti economiche<br />

della comunità in cui opera, diventando<br />

motore attivo di sviluppo. <strong>Il</strong> tutto viene sostenuto<br />

da forme societarie diversificate (società cooperative,<br />

banche popolari, società per azioni), dalle caratteristiche<br />

dei propri soci, e da entità importanti quali<br />

le fondazioni bancarie. Queste ultime hanno un rilevante<br />

ruolo nella vita sociale ed economica del Paese<br />

sia per finalità sociali e di promozione dello sviluppo<br />

economico, sia nella veste di investitori istituzionali.<br />

Con gli utili derivanti dalla gestione dei loro patrimoni,<br />

traggono le risorse per sostenere attività d’interesse<br />

collettivo.<br />

Questo modo di vedere il <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> è importante<br />

anche alla luce di quanto è avvenuto negli ultimi <strong>du</strong>e<br />

anni sui mercati finanziari internazionali.<br />

L’innovazione finanziaria e la deregolamentazione<br />

hanno cambiato il ruolo svolto da molte banche, il loro<br />

stesso modello di business. Le Banche del Territorio,<br />

intese nel senso che abbiamo visto, non l’hanno<br />

fatto. Sono rimaste fedeli alla loro mission. Sono<br />

rimaste vicine alle imprese, hanno continuato a fornire<br />

il proprio sostegno all’economia reale impegnata a<br />

resistere ai contraccolpi della crisi internazionale.<br />

L’andamento dei prestiti bancari negli ultimi anni lo<br />

conferma: in un contesto economico che ha visto un<br />

calo del PIL del 5% nel 2009, c’è stata una crescita<br />

nelle erogazioni da parte delle banche con forte vocazione<br />

territoriale (banche piccole e di credito cooperativo)<br />

e un ritmo molto più contenuto da parte dei<br />

primi cinque gruppi bancari.<br />

<br />

45


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

In particolare, il Gruppo Cariparma Friuladria nel 2009<br />

ha registrato una crescita degli impieghi alla clientela del<br />

5,5%, contro una crescita a livello di <strong>sistema</strong> intorno al<br />

2%. La sola Cariparma ha stipulato, nel 2009, circa<br />

14.500 mutui (+78% rispetto all’anno precedente) e ha<br />

incrementato del 15,1% i prestiti alle imprese. Gli<br />

accordi con le associazioni di categoria e con i Consorzi<br />

di garanzia fidi (Confidi) sono aumentati, per garantire<br />

i finanziamenti erogati alle piccole e medie imprese. A<br />

questi vanno aggiunti interventi di natura “sociale” con<br />

una vasta gamma di soluzioni per rispondere efficacemente<br />

ai bisogni contingenti di famiglie e imprese.<br />

Questi dati confermano che un contesto pro<strong>du</strong>ttivo con<br />

relazioni e valori non standardizzabili ha difficoltà a<br />

ritrovarsi a pieno nei modelli organizzativi dei grandi<br />

gruppi bancari. Per questa ragione è cresciuto il ruolo<br />

delle Banche del Territorio che associano una profonda<br />

conoscenza delle realtà dove sono insediate con la<br />

disponibilità di risorse, di strumenti innovativi e magari<br />

anche di una proiezione internazionale, grazie all’inserimento<br />

in reti di maggiori dimensioni, come è il<br />

caso di Cariparma e Friuladria in Crédit <strong>Agricole</strong>.<br />

Un modello organizzativo per<br />

minimizzare le distanze<br />

<strong>Il</strong> legame fra banche, territorio e cliente si concretizza<br />

in un modello organizzativo che incarna “l’approccio”<br />

e “l’attitudine” verso il territorio. Lo scopo è quello di<br />

creare i presupposti organizzativi che minimizzino le<br />

distanze operative e funzionali. Per distanza intendiamo<br />

lo spazio che separa i clienti dalla banca e,<br />

come detto, si esplica su <strong>du</strong>e ambiti. Da un lato c’è la<br />

distanza “operativa”, fisica, che è influenzata dalla distribuzione<br />

degli sportelli bancari, dalle scelte di penetrazione<br />

in un determinato territorio. Dall’altro lato c’è<br />

la distanza “funzionale”, che separa i centri decisionali<br />

delle banche dai sistemi locali: tanto più accentuata è<br />

questa distanza, minore sarà la sensibilità verso le<br />

richieste differenziate della clientela e minore sarà l’offerta<br />

“su misura” del servizio. Quindi, organizzazioni<br />

snelle, leve decisionali corte e strutture sempre più<br />

focalizzate sulla clientela.<br />

Sono queste le caratteristiche del Gruppo Cariparma<br />

Friuladria che ha mo<strong>du</strong>lato le sue strutture sui territori<br />

di riferimento, recependo le esigenze dei propri stakeholders,<br />

facendo leva su quei valori di solidità, fi<strong>du</strong>cia<br />

e flessibilità che rappresentano il tratto distintivo di<br />

quei territori. L’inserimento in un primario gruppo <strong>bancario</strong><br />

mondiale quale il Gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> consente<br />

poi di sviluppare la capacità di innovare, la solidità<br />

patrimoniale e l’apertura internazionale necessaria<br />

per rispondere alle crescenti esigenze di una clientela<br />

sempre più attenta. Una banca “corta” fortemente<br />

radicata nell’economia e nel contesto sociale<br />

dei territori in cui opera: questo in sintesi il Gruppo<br />

Cariparma Friuladria.<br />

20<br />

15<br />

FIGURA 1. Prestiti bancari per gruppo dimensionale di banca (dati mensili)<br />

Variazioni percentuali sui 12 mesi<br />

20<br />

15<br />

10<br />

10<br />

5<br />

0<br />

- 5<br />

Primi 5 gruppi<br />

Altre banche grandi<br />

Benche piccole<br />

Benche di credito cooperativo<br />

Totale<br />

2004 2005 2006 2007 2008 2009 10<br />

5<br />

0<br />

- 5<br />

Fonte: Relazione Annuale Banca d’Italia 2009 – segnalazioni di vigilanza<br />

46


<strong>Il</strong> ruolo delle banche del territorio nel <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong><br />

GIAMPIERO MAIOLI<br />

Tre drivers strategici:<br />

responsabilità sociale, “fare utili<br />

sostenibili” e “fare sviluppo”<br />

Le Banche del Territorio si trovano oggi ad interpretare<br />

il ruolo di motori propulsivi per la crescita della<br />

comunità di riferimento. Come detto, per fare questo<br />

bisogna conoscere in modo adeguato i propri clienti.<br />

Non è facile e forse oggi è diventato ancora più difficile,<br />

in particolare con le imprese, perché è il mondo economico<br />

che ha aumentato la propria complessità.<br />

L’acronimo “glocal” (globalizzazione/localismo) sintetizza<br />

i nuovi scenari:<br />

• globalizzazione, con mercati finanziari e reali sempre<br />

più ampi e informazione standardizzata e diffusa;<br />

• localismo, con la valorizzazione delle peculiarità dei<br />

diversi assetti sociali, organizzativi e pro<strong>du</strong>ttivi che<br />

caratterizzano i sistemi locali.<br />

Le Banche del Territorio, in particolare, hanno il difficile<br />

ma ineludibile compito di capire le imprese conciliando<br />

questi <strong>du</strong>e aspetti. L’apertura ai mercati globali<br />

può servire da stimolo a superare barriere protettive ed<br />

inefficienze dei sistemi locali. La valorizzazione dei<br />

punti di forza del localismo può fornire elementi competitivi<br />

per operare sui mercati globali. Solo creando i<br />

presupposti per rivitalizzare il territorio, inteso nel senso<br />

in cui l’abbiamo descritto, saremo in grado di rilanciare<br />

la pro<strong>du</strong>ttività e la crescita del Paese.<br />

Sintetizzando, quindi, per le Banche del Territorio si<br />

esplicitano tre diversi ordini di responsabilità:<br />

• La responsabilità sociale, che vede la banca come<br />

un <strong>sistema</strong> aperto che interagisce con una molteplicità<br />

di “portatori di interesse” (indivi<strong>du</strong>i e Gruppi) che concorrono<br />

ai suoi risultati e ne ricavano dei benefici. Negli<br />

ultimi anni un numero sempre crescente di aziende,<br />

compreso il Gruppo Cariparma Friuladria, ha realizzato<br />

bilanci sociali, codici etici ed altri strumenti di attuazione<br />

della Responsabilità sociale d’Impresa (CSR).<br />

L’integrazione volontaria di istanze etiche, sociali ed<br />

ambientali dentro le attività commerciali dell’impresa e<br />

nei suoi rapporti con gli stakeholders è fondamentale.<br />

Questo vale per qualsiasi tipo di impresa evoluta ed è<br />

particolarmente significativo per un’impresa come la<br />

banca che fonda la sua attività sulla fi<strong>du</strong>cia. <strong>Il</strong> Gruppo<br />

Cariparma Friuladria è da sempre attento alle comunità<br />

in cui opera. A conferma di ciò basti pensare che nell’ultimo<br />

triennio sono state effettuate più di 1.000<br />

assunzioni e che nel solo 2009 sono stati erogati quasi<br />

5 milioni di euro per iniziative di welfare locale, realizzate<br />

con il coinvolgimento di enti ed associazioni.<br />

• La responsabilità dell’efficienza gestionale, che<br />

pone al centro dell’attenzione l’azienda come soggetto<br />

che deve scegliere le soluzioni organizzative e operative<br />

più efficienti in termini di redditività (“fare utili”), ma<br />

anche di sicurezza, di capacità innovativa, di qualità del<br />

<br />

<strong>Il</strong> capitale sociale<br />

<strong>Il</strong> capitale economico<br />

Distribuzione territoriale filiali<br />

Gruppo Cariparma Friuladria<br />

FIGURA 2<br />

Popolazione residente<br />

Tasso di variazione medio annuo 2001-2008.<br />

PIL pro capite (Italia = 100) dati 2008<br />

Numero di agenzie per provincia<br />

variazione negativa<br />

0,0 - 0,73<br />

0,74 - 0,99<br />

1,00 e oltre<br />

Fino a 75,0<br />

75,1 - 100,0<br />

100,1 - 125,0<br />

125,1 e oltre<br />

Quota di mercato (agenzie) > 9%<br />

Quota di mercato (agenzie) 3,5 - 9%<br />

Quota di mercato (agenzie) < 3,5%<br />

Prossimi distaccamenti CRP<br />

47


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

capitale umano. In definitiva, si tratta di percorrere un<br />

sentiero di crescita sostenibile privilegiando la redditività<br />

e la permanenza di lungo periodo della relazione<br />

bancaria (evitando i guadagni facili e di breve termine).<br />

• la responsabilità dello sviluppo territoriale, che<br />

valorizza le diverse potenzialità dei sistemi locali (“fare<br />

sviluppo”), dove le banche concorrono con una pluralità<br />

di altri attori a determinare la crescita. Non si tratta semplicemente<br />

di quantità di credito erogato e di condizioni<br />

applicate, ma anche di capacità di selezionare progetti,<br />

di incentivare le innovazioni, di valutare le potenzialità<br />

delle imprese locali, di affermare i principi di trasparenza,<br />

di fi<strong>du</strong>cia e di merito professionale. Le banche assumono<br />

il ruolo strategico di agente di sviluppo che non<br />

si limita a finanziare le imprese, ma soprattutto contribuisce<br />

a far maturare una cultura dello sviluppo e a formare<br />

una classe dirigente locale di imprenditori, di<br />

professionisti, di amministratori.<br />

I gruppi bancari di maggiori dimensioni che agiscono<br />

prevalentemente sui grandi circuiti di intermediazione,<br />

tendono a privilegiare l’efficienza gestionale rispetto<br />

a quella territoriale. Le banche locali realizzano un<br />

legame più solido con il territorio di appartenenza e risultano<br />

più direttamente coinvolte nel suo sviluppo, senza<br />

perdere di vista l’efficienza e la creazione di valore.<br />

Promuovere cultura in un contesto<br />

favorevole<br />

Riassumendo, la missione delle Banche del Territorio<br />

è quella di promuovere una nuova cultura imprenditoriale,<br />

tenendo bene in mente quali sono le<br />

responsabilità e i compiti che sono chiamate a<br />

svolgere.<br />

Solo così può essere supportato e favorito lo sviluppo<br />

del capitale sociale del nostro Paese. Creare<br />

capitale sociale significa creare le premesse per<br />

lo sviluppo economico. <strong>Il</strong> primo è il prerequisito perché<br />

il secondo possa esistere e la compresenza<br />

dei <strong>du</strong>e crea contesti favorevoli e di benessere collettivo.<br />

<strong>Il</strong> modello di Banca del Territorio è stato un modello vincente<br />

fino ad oggi ma non può permettersi di restare<br />

un modello statico e consolidato di fronte alle nuove<br />

sfide che l’attendono. <strong>Il</strong> mondo delle famiglie e delle<br />

imprese sta reagendo alla crisi con modalità diversificate<br />

che richiedono ancora maggiore “prossimità” per<br />

essere colte. Quindi, è necessario essere sempre più<br />

vicini al mondo del cliente, cosa su cui Cariparma e<br />

Friuladria, in linea con i valori del Gruppo Crédit <strong>Agricole</strong>,<br />

hanno sempre cre<strong>du</strong>to e da cui deriva una parte importante<br />

della loro legittimazione. ◗<br />

48


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

<strong>Il</strong> ruolo delle Fondazioni come<br />

investitori istituzionali delle banche<br />

Le Fondazioni costituiscono un<br />

elemento di stabilità degli assetti<br />

proprietari delle banche. Esse ricoprono<br />

positivamente quel ruolo di soci stabili<br />

che, nella realtà italiana, altri investitori<br />

istituzionali non sarebbero in grado di<br />

svolgere.<br />

CARLO GABBI<br />

Presidente, Fondazione Cariparma<br />

Un investitore stabile con lo<br />

sguardo al lungo periodo<br />

Ad oltre dieci anni dalla legge sulle Fondazioni bancarie<br />

del 1999, si può affermare senza ombra di <strong>du</strong>bbio<br />

che il progetto che ne stava alla base è stato sostanzialmente<br />

attuato: il <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> ha continuato<br />

la profonda trasformazione avviata negli anni<br />

’90 con il contributo essenziale delle Fondazioni, dimostratesi<br />

capaci di interpretare in maniera costruttiva<br />

ed efficace il proprio particolare ruolo in un contesto normativo<br />

e finanziario profondamente mutato.<br />

Intervenendo nell’ottobre 2009 alla Giornata Mondiale<br />

del Risparmio, nel momento più acuto e incerto dallo<br />

scoppio della crisi, il Governatore della Banca d’Italia<br />

Mario Draghi richiamava le Fondazioni a continuare a<br />

svolgere il proprio ruolo di azionisti delle banche con lungimiranza<br />

e dinamismo.<br />

Significativo, in un periodo di notevoli difficoltà dei<br />

mercati finanziari, è stato l’importante riconoscimento<br />

del ruolo delle Fondazioni espresso dal Governatore in<br />

M. Drophi la quale ha evidenziato che “le Fondazioni<br />

sono state un’ancora per le banche italiane. Le hanno<br />

accompagnate, anche nella fase più tempestosa della<br />

crisi finanziaria, nel rafforzamento patrimoniale; le stanno<br />

accompagnando ora nella debole ripresa che si prospetta.<br />

Molte hanno accettato sacrifici nell’immediato,<br />

contribuendo alla solidità del <strong>sistema</strong>, alla capacità<br />

delle banche di fare credito all’economia, alla valoriz- <br />

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HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

zazione di lungo termine del proprio stesso investimento.<br />

La crisi ha mostrato come le Fondazioni possano<br />

andare al di là della funzione che ci si attende da<br />

un investitore istituzionale: questi ha una voce autorevole<br />

fintantoché i suoi clienti gli affidano i loro risparmi<br />

da gestire; si affievolisce e muore quando essi li ritirano.<br />

La voce delle Fondazioni non segue le alterne vicende<br />

dei mercati, il loro sguardo tende al periodo mediolungo.<br />

<strong>Il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>, dopo le grandi fusioni<br />

di <strong>du</strong>e anni fa, ha bisogno di stabilità per affrontare<br />

le sfide gestionali e strategiche che l’uscita dalla crisi<br />

richiede. Ha bisogno che le Fondazioni continuino ad<br />

accompagnarne il rafforzamento patrimoniale e perseverino<br />

in quel ruolo, di azionista presente ma non<br />

intrusivo nella gestione, che è stato negli ultimi anni alla<br />

base del loro successo”.<br />

Favorite dalle politiche condotte negli ultimi anni e<br />

dalle regole contabili di settore, le Fondazioni hanno<br />

infatti costituito un elemento di stabilità degli assetti proprietari<br />

in momenti di turbolenza dei mercati; hanno<br />

contribuito a sostenere la capitalizzazione dei principali<br />

gruppi bancari, con apporti diretti e rinunce sul versante<br />

dei dividendi.<br />

Più di recente, in occasione delle “Considerazioni finali”<br />

lette il 31 maggio 2010, il Governatore ha infine<br />

ribadito che il ruolo delle Fondazioni come azionisti<br />

delle banche non può che essere quello stabilito dalla<br />

legge: investitori il cui unico obiettivo sta nel valore<br />

economico dell’investimento.<br />

Le fondazioni bancarie tra passato,<br />

presente e futuro<br />

In un’ottica di lungo periodo tipica degli investitori istituzionali,<br />

le Fondazioni hanno svolto un ruolo positivo<br />

nell’accompagnare, a partire dagli anni ’90, il processo<br />

di privatizzazione, la ristrutturazione e il<br />

rafforzamento del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>.<br />

L’allentamento della presenza nel capitale delle banche<br />

è avvenuto in maniera ordinata e nel rispetto dei<br />

vincoli legislativi.<br />

Secondo dati riferiti a settembre 2009, 18 enti hanno<br />

scelto di non detenere più direttamente partecipazioni<br />

nelle società conferitarie (erano 9 nel 1999) e 15<br />

detengono una partecipazione superiore al 50 per<br />

cento del capitale (44 nel 1999); dei rimanenti 55<br />

detentori di partecipazioni di minoranza (36 nel 1999),<br />

solo 23 detengono più del 20 per cento.<br />

Rispetto a dieci anni fa, la presa delle fondazioni sul<br />

<strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> è quindi certamente meno diretta e<br />

l’entità della loro partecipazione è certamente diminuita,<br />

anche in conseguenza dei processi aggregativi che il<br />

nostro <strong>sistema</strong> ha vissuto negli ultimi anni. Le fondazioni<br />

hanno acquisito un loro statuto articolato, hanno<br />

visto riconosciuta la loro natura privata e hanno certamente<br />

potenziato la loro capacità di operare per il<br />

conseguimento dei fini sociali che ne giustificano l’esistenza.<br />

Le partecipazioni bancarie continuano comunque a<br />

costituire una parte importante degli attivi delle<br />

Fondazioni, mentre la presenza di altri investitori istituzionali<br />

nel capitale delle banche è ancora limitata.<br />

Resta da chiedersi se, anche rispetto alla ratio della riforma<br />

del 1999, la situazione presente, che vede le fondazioni<br />

in una posizione eminente, ma non di controllo,<br />

nei maggiori gruppi bancari italiani, possa<br />

considerarsi un punto di arrivo o solo una tappa di un<br />

processo in ulteriore evoluzione.<br />

Ciò equivale a chiedersi, in altre parole, se la struttura<br />

proprietaria dei maggiori gruppi bancari italiani, che vede<br />

in posizione eminente le Fondazioni, sia ottimale per il<br />

<strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong>, soprattutto in relazione alla possibilità<br />

teorica che le Fondazioni non siano in grado di<br />

assicurare, in futuro, un adeguato flusso di capitale proprio<br />

alle banche partecipate.<br />

In proposito, a me sembra di poter affermare che oggi,<br />

in un periodo in cui sono sentite fortemente le esigenze<br />

di stabilità proprietaria delle banche, e tenuto<br />

conto dell’inesistenza di alternative nazionali per rilevare<br />

le quote delle Fondazioni, queste sono viste quali interpreti<br />

di un ruolo di supplenza degli altri “investitori istituzionali”.<br />

Queste riflessioni si ricollegano, del resto, al dibattito che<br />

ha accompagnato il processo di privatizzazione del<br />

<strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> ed il passaggio dagli enti<br />

conferenti alle fondazioni, dibattito che, fin dall’origine,<br />

è stato contrassegnato da una netta contrapposizione<br />

tra i sostenitori della necessità di affrancare le banche<br />

da ogni influenza da parte delle fondazioni e coloro<br />

che valutavano in termini positivi la permanenza<br />

delle Fondazioni nel capitale delle banche, non più<br />

50


<strong>Il</strong> ruolo delle fondazioni come investitori istituzionali delle banche<br />

CARLO GABBI<br />

nella veste di controllanti, ma quali soci istituzionali di<br />

lungo termine, interessati ad una crescita di valore<br />

dell’investimento sostenibile nel tempo.<br />

La partecipazione delle Fondazioni<br />

al capitale delle banche e gli effetti<br />

sulla corporate governance<br />

Prima che la legge Ciampi prevedesse l’obbligatoria dismissione<br />

del controllo delle banche e, nel contempo,<br />

riconoscesse la natura privatistica delle fondazioni<br />

bancarie, la presenza di queste ultime, in qualità di controllanti,<br />

era considerata un elemento di anomalia<br />

nella corporate governance delle banche, in quanto<br />

espressione di quella proprietà “pubblica” cui veniva<br />

attribuita la principale responsabilità dell’arretratezza<br />

e dell’inefficienza del nostro <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> e il cui<br />

superamento veniva invocato come condizione indispensabile<br />

a consentirne un allineamento alle logiche<br />

di mercato e alle regole di efficienza, competitività<br />

e creazione di valore per gli azionisti che ne<br />

conseguono.<br />

Più di recente, una parte della dottrina ha ritenuto di<br />

estendere alle partecipazioni “influenti” nelle banche,<br />

ancorché non di controllo, quelle stesse ragioni di<br />

opportunità che avevano indotto il legislatore ad imporre<br />

la dismissione del controllo: osterebbero, a giudizio<br />

di tale dottrina, la natura delle fondazioni bancarie che,<br />

nonostante la formale qualifica di “persone giuridiche<br />

private”, continuerebbero a conservare significativi<br />

connotati pubblicistici; il rapporto con gli enti locali<br />

che le renderebbe particolarmente permeabili ad influenze<br />

di natura politica; il rischio di una ingessatura degli<br />

assetti proprietari che sarebbe di ostacolo ad una<br />

maggiore contendibilità ed efficienza delle banche.<br />

Non mancano, per contro, sostenitori dell’opportunità<br />

del mantenimento della presenza delle fondazioni nel<br />

capitale delle banche quali soci stabili, orientati ad<br />

uno sviluppo sostenibile e quindi più affidabili, come<br />

investitori di medio e lungo periodo, della gran parte dei<br />

possibili azionisti di riferimento degli istituti di credito.<br />

La partecipazione delle Fondazioni al capitale delle<br />

banche continua, pertanto, ad essere oggetto di un<br />

acceso dibattito che coinvolge, da un lato, la natura<br />

stessa e il ruolo delle fondazioni bancarie, quali peculiari<br />

investitori istituzionali o enti votati esclusivamente<br />

al perseguimento di finalità sociali e, dall’altro, il tema<br />

degli assetti proprietari, dello sviluppo e dell’efficienza<br />

del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong>.<br />

In proposito, a me pare di poter affermare, condividendo<br />

in ciò le autorevoli opinioni di più illustri commentatori,<br />

che le fondazioni bancarie sono state tra i pochi<br />

investitori che, come soci istituzionali delle banche<br />

partecipate, hanno svolto un ruolo attivo nella governance,<br />

indotto dal convincimento che la presenza nelle<br />

banche non costituisce un puro investimento finanziario,<br />

ma risponde anche a quella finalità di “promozione<br />

dello sviluppo economico” dei territori di riferimento che<br />

l’art. 2, comma 1°, D.Lgs. 17 maggio 1999, n. 153 indica<br />

tra gli scopi della fondazione.<br />

<strong>Il</strong> giudizio specifico sull’operato delle fondazioni bancarie<br />

quali soci istituzionali non può, certamente, essere<br />

univoco e generalizzato, senza tener conto cioè delle<br />

diverse situazioni che vedono, in taluni casi, una presenza<br />

maggioritaria nel capitale di una o più fondazioni,<br />

in altri una maggioranza relativa molto elevata, in altri<br />

ancora una presenza minoritaria rilevante di una sola<br />

fondazione o di più fondazioni; situazioni che nel loro<br />

diverso dispiegarsi a volte hanno concretamente alimentato<br />

il dibattito sopra accennato.<br />

Ma ugualmente, a mio avviso, non si può negare il ruolo<br />

positivo svolto in generale dalle fondazioni nel processo<br />

di rapida evoluzione in senso privatistico e di<br />

apertura al mercato del nostro <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> 1 , che<br />

ne ha certamente migliorato l’efficienza e la competitività<br />

molto di più di quanto non sia avvenuto in altri<br />

paesi europei, dove la presenza pubblica è ancora<br />

molto rilevante.<br />

Naturalmente, come è inevitabile in un processo di<br />

cambiamento cosí rapido, questa evoluzione non è<br />

avvenuta senza resistenze, tensioni e qualche comportamento<br />

contradditorio e discutibile, ma, nel complesso,<br />

le fondazioni hanno saputo, sino ad ora, ope- <br />

1. Dalla ricerca congiunta di Banca d’Italia e Consob su: The evolution of ownership and control structure in Italy in the last 15 years coordinata da M. Bianco e<br />

M. Bianchi e pubblicata nel dicembre 2008 si ricava che, tra le società quotate italiane, le banche sono nettamente quelle che presentano il più basso grado di<br />

concentrazione della proprietà, mentre la presenza pubblica nel capitale è completamente sparita.<br />

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HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

rare nel rispetto di obiettivi di efficienza e di crescita del<br />

valore e della redditività dell’investimento, traendone<br />

significativi benefici economici in termini di incremento<br />

patrimoniale e di disponibilità delle risorse da destinare<br />

ai propri fini istituzionali.<br />

La mia opinione è <strong>du</strong>nque che, se sul piano teorico<br />

potrebbe forse legittimamente ritenersi che le<br />

Fondazioni non debbano rimanere l’unico esempio<br />

così diffuso di investitore istituzionale nel capitale delle<br />

banche, sul piano pratico è difficile, ad oggi, immaginare<br />

un soggetto effettivamente alternativo alle<br />

Fondazioni.<br />

Un socio stabile ed orientato allo<br />

sviluppo del territorio<br />

Le fondazioni bancarie hanno ricoperto positivamente<br />

quel ruolo di soci stabili che, nella realtà italiana, altri<br />

investitori istituzionali non sono in grado di svolgere.<br />

Altre possibili alternative, quali le partecipazioni di<br />

imprese in<strong>du</strong>striali o di imprese assicurative, non<br />

potrebbero assumere il medesimo rilievo senza gravi<br />

rischi di conflitti di interesse.<br />

Giova ricordare, al riguardo, come la disciplina che<br />

regola l’attività delle fondazioni bancarie contenga un<br />

aspetto saliente, che valorizza il ruolo dalle stesse<br />

assunto nel mercato finanziario e caratterizza il loro agire<br />

come investitori istituzionali.<br />

Tale aspetto saliente va identificato nel riferimento fatto<br />

dal Legislatore (art. 7, comma 1, del D.Lgs. 153/99) alle<br />

“finalità istituzionali ed in particolare allo sviluppo del territorio”<br />

come principio guida di impiego del patrimonio;<br />

tale riferimento, da un lato, ribadisce il principio per cui<br />

il patrimonio deve essere gestito “in modo coerente con<br />

la natura delle Fondazioni quali enti senza scopi di<br />

lucro” enunciato dal 1° comma dell’art. 5 (il che impedisce<br />

che la fondazione possa gestire la propria finanza<br />

come un fondo speculativo o proporsi obiettivi di<br />

massimizzazione della redditività degli investimenti ai<br />

quali si accompagni l’assunzione di rischi molto elevati),<br />

dall’altro, indica un criterio preferenziale, in presenza di<br />

un adeguato ritorno economico, per quegli investimenti<br />

che possono fornire un supporto alle altre attività<br />

rientranti nei fini istituzionali delle fondazioni e allo sviluppo<br />

del territorio.<br />

Questa, oggettivamente, mi pare sia la logica che ispira<br />

la partecipazione delle fondazioni alle banche. Da un<br />

lato è un investimento che ha consentito di realizzare<br />

una notevole valorizzazione del patrimonio ed una<br />

adeguata redditività, dall’altro, ha dato l’opportunità di<br />

presidiare, quali soci stabili e influenti, l’interesse a che<br />

le banche partecipate, in un quadro di efficienza gestionale,<br />

non facciano venire meno il sostegno allo sviluppo<br />

dell’economia dei territori di riferimento.<br />

Le fondazioni bancarie non sono forse i soci stabili ideali<br />

(sul piano teorico) di una banca e non è detto che in<br />

futuro siano in grado di mantenere questo ruolo assicurando<br />

il necessario sostegno finanziario alla crescita<br />

delle banche partecipate, ma sembrano oggi decisamente<br />

migliori di altri che potrebbero prendere il<br />

loro posto.<br />

Non è nell’interesse delle Fondazioni, e tantomeno<br />

del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong>, tornare a quando la maggioranza<br />

di turno nominava gli amministratori delle banche<br />

e suggeriva i clienti di riguardo, ed in ciò le Fondazioni<br />

hanno svolto al meglio un ruolo di “diaframma” tra la<br />

politica e le banche, contribuendo alla stabilità del<br />

<strong>sistema</strong> nella convinzione che una cosa è il rispetto del<br />

territorio, altra è il legame con la politica. ◗<br />

52


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

I problemi di finanziamento delle PMI<br />

e il loro accesso ai mercati esteri<br />

Una dimensione modesta e una forte<br />

dipendenza dal credito <strong>bancario</strong><br />

rendono talvolta difficile l’operatività<br />

delle PMI italiane nei mercati esteri.<br />

Tuttavia, una collaborazione tra banca<br />

presente sul territorio e<br />

assicuratore può contribuire ad<br />

ampliare la disponibilità di credito delle<br />

PMI e sostenerle nei loro progetti di<br />

crescita.<br />

GIAMMARCO BOCCIA<br />

Responsabile corporate, Divisione nuovi mercati, SACE<br />

IN UN’ECONOMIA ITALIANA caratterizzata da imprese<br />

di piccole e medie dimensioni, tipicamente dipendenti<br />

dal canale <strong>bancario</strong>, la contrazione del credito<br />

indotta dalla crisi economica internazionale e l’aumento<br />

del costo della liquidità hanno fatto emergere<br />

situazioni di squilibrio nel rapporto tra imprenditori e<br />

<strong>sistema</strong> finanziario.<br />

In particolare la struttura del passivo delle PMI italiane,<br />

caratterizzata mediamente da un’incidenza dei debiti<br />

finanziari sul patrimonio netto significativamente più<br />

elevata rispetto agli altri paesi europei, e la restrizione<br />

delle politiche di selezione del credito a causa del<br />

deterioramento della qualità degli attivi, hanno determinato<br />

un inasprimento delle condizioni di accesso al<br />

credito.<br />

In questo contesto, una collaborazione di <strong>sistema</strong> che<br />

coniughi la presenza stabile sul territorio del <strong>sistema</strong><br />

<strong>bancario</strong> con l’intervento di assicuratori del rischio di<br />

credito quali Export Credit Agencies (ECAs) e Confidi,<br />

può contribuire ad ampliare la disponibilità di credito per<br />

le imprese e in particolare per le PMI, limitando la<br />

richiesta di garanzie collaterali. Attraverso il trasferimento<br />

del rischio di credito all’assicuratore, la banca libera<br />

risorse per ulteriori impieghi a favore del <strong>sistema</strong> (“effetto<br />

volano”), grazie ai minori accantonamenti prudenziali.<br />

Tale collaborazione viene generalmente definita nell’ambito<br />

di accordi quadro tra banca ed ECA che<br />

disciplinano la tipologia dei finanziamenti assicurabili<br />

(spesso nell’ambito di programmi di sostegno all’internazionalizzazione),<br />

le modalità di analisi del merito<br />

creditizio e di definizione del pricing.<br />

Oltre ai benefici per le imprese, anche tra banca ed assicuratore<br />

si realizzano sinergie:<br />

• L’assicuratore (i) è un operatore unfunded e, al di fuori<br />

del credito commerciale (tipicamente a breve termine), <br />

53


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

deve collaborare con un soggetto finanziario che eroghi<br />

il credito ii) non avendo una rete distributiva propria<br />

comparabile a quella bancaria, deve avvalersi della<br />

collaborazione di partner presenti capillarmente sul<br />

territorio.<br />

• La banca fa leva sul rapporto di credito con l’azienda<br />

per promuovere business ancillare a maggiore redditività<br />

e limita la propria esposizione trasferendo parte del<br />

rischio all’assicuratore, con cui peraltro non è in diretta<br />

competizione.<br />

Al tempo stesso, la collaborazione presenta alcuni<br />

elementi di potenziale contrapposizione: i) qualora la<br />

banca non consideri la relazione in una prospettiva di<br />

lungo termine tenderà a proporre in garanzia le operazioni<br />

più rischiose/meno redditizie (moral hazard); ii)<br />

sebbene la distribuzione del premio per il rischio avvenga<br />

pro-quota, la redditività complessiva della posizione<br />

per la banca è legata anche al business ancillare, e<br />

può causare asimmetrie tra le parti.<br />

Inoltre l’assicuratore è soggetto al rischio di non accumulare<br />

un portafoglio crediti granulare e diversificato,<br />

nel caso in cui la banca non promuova adeguatamente<br />

l’accordo quadro presso la propria rete commerciale.<br />

La crisi che ha colpito l’economia mondiale negli ultimi<br />

anni ed in modo particolarmente pesante quella italiana<br />

ha messo in evidenza le conseguenze di tali rischi,<br />

con un livello di sinistri più elevato rispetto alle previsioni<br />

risultanti dai modelli statistici di default: per l’assicuratore<br />

i rischi economico-finanziari non sono “attuariali” e<br />

prevedere i default sulla base delle serie storiche lascia<br />

margini di incertezza molto elevati, con possibili riflessi<br />

sul costo dell’assicurazione.<br />

La ripresa dell’economia globale unita ad un migliore<br />

allineamento degli interessi delle controparti consentiranno<br />

di rafforzare una collaborazione capace di favorire<br />

l’assunzione di rischi nei momenti in cui il mercato si<br />

ripiega su sé stesso, giocando un ruolo anti-ciclico<br />

ma sostenibile nel tempo. ◗<br />

54


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

Le attività bancarie<br />

55


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

<strong>Il</strong> mercato immobiliare in Italia<br />

Le specificità strutturali del mercato<br />

immobiliare <strong>italiano</strong> hanno attenuato<br />

gli effetti negativi della recente crisi<br />

finanziaria. Tuttavia, l’attuale quadro<br />

macroeconomico condiziona<br />

negativamente le aspettative sul<br />

mercato che non potrà riavviarsi e<br />

ri-sperimentare i tassi di crescita del<br />

recente passato senza un’ auspicata<br />

normalizzazione del contesto.<br />

DANIELA PERCOCO<br />

Head of Real Estate, Nomisma<br />

LUCA DONDI<br />

Economista, Nomisma<br />

GUALTIERO TAMBURINI<br />

Presidente, Assoimmobiliare<br />

Un impatto limitato della crisi<br />

finanziaria per il settore in Italia<br />

La recente crisi finanziaria, scaturita dall’accumularsi di<br />

eccessi speculativi, ha pesantemente condizionato le<br />

dinamiche immobiliari di tutte le economie occidentali.<br />

La dimensione globale della finanza e l’ormai evidente<br />

integrazione ed interdipendenza dei mercati hanno,<br />

infatti, determinato inevitabili rica<strong>du</strong>te su un settore<br />

che già mostrava segnali di fragilità.<br />

Spinto da un quadro macroeconomico di evidente<br />

favore, l’immobiliare aveva visto gonfiare quotazioni e<br />

transazioni per circa un decennio, archiviando di fatto<br />

la pesante fase recessiva che lo aveva caratterizzato per<br />

gran parte degli anni ’90. Proprio quando erano già<br />

apprezzabili le avvisaglie di un imminente epilogo della<br />

fase espansiva e i più ottimisti preconizzavano l’approssimarsi<br />

di un soft landing per un mercato ormai<br />

saturo, si è abbattuto sul settore il ciclone finanziario,<br />

che ha avuto nella vicenda dei mutui subprime americani<br />

niente più che un innesco in un contesto evidentemente<br />

esplosivo.<br />

L’identificazione dei mutui come causa del crollo, associata<br />

all’indissolubile legame stabilitosi negli anni del<br />

boom dell’indebitamento ed espansione immobiliare,<br />

ha finito per rinsaldare il legame tra le dinamiche di settore<br />

e la congiuntura economica generale.<br />

Si tratta di un fenomeno globale a cui neanche i Paesi<br />

connotati da una finanziarizzazione relativamente blanda<br />

hanno potuto in qualche modo sottrarsi. Di conseguenza,<br />

realtà come l’Italia, pur forti di una posizione solida<br />

in materia di crediti immobiliari e teoricamente al riparo<br />

da una crisi endogena e strutturale, sono risultate evidentemente<br />

esposte al tracollo finanziario statunitense.<br />

Vero è che le specificità strutturali e congiunturali del mercato<br />

immobiliare <strong>italiano</strong> lo hanno preservato dai crolli che<br />

si sono abbattuti altrove. Tra i principali elementi che<br />

hanno attutito i colpi della crisi in Italia vi è da ad<strong>du</strong>rre il<br />

fatto che le famiglie italiane non sono molto indebitate (è<br />

56


<strong>Il</strong> mercato immobiliare in Italia<br />

DANIELA PERCOCO &<br />

LUCA DONDI & GUALTIERO TAMBURINI<br />

aumentato il debito, ma è sempre inferiore al livello di<br />

indebitamento delle famiglie nel resto d’Europa). Pertanto<br />

le “frugali” famiglie italiane non hanno avuto bisogno di<br />

vendere/svendere l’abitazione in tempi brevi per poter<br />

ripagare rate del mutuo come, al contrario, è avvenuto<br />

ad esempio negli Stati Uniti o nel Regno Unito.<br />

Inoltre i prezzi in Italia non erano cresciuti così tanto<br />

come era avvenuto altrove e così il ribasso nei valori non<br />

è stato così violento.<br />

Infine, in Italia non si è avuta una massiccia costruzione<br />

di immobili così come all’estero (ad esempio in<br />

Spagna ogni anno si costruivano case pari a circa tre<br />

volte il numero delle nuove famiglie) complici un atteggiamento<br />

piuttosto restrittivo delle nostre amministrazioni<br />

locali nel rilascio dei permessi da costruire oltre ad<br />

una erogazione del credito <strong>bancario</strong> più restrittivo<br />

rispetto all’estero.<br />

In ogni caso, seppure, con i distinguo sopra enunciati,<br />

la percezione di rischiosità degli impieghi interbancari<br />

ha enormemente accresciuto l’onerosità dei finanziamenti,<br />

imponendo politiche di razionamento del<br />

credito, che non potevano non avere pesanti riflessi sul<br />

mercato immobiliare (cfr. figura 1).<br />

Se dal punto di vista dei livelli di attività le conseguenze<br />

sono risultate da subito eclatanti, da quello dei<br />

prezzi la rigidità dell’offerta e la modesta diffusione di<br />

eccessi hanno rallentato l’avvio delle spirali recessive<br />

che hanno, invece, interessato molti Paesi occidentali<br />

(Stati Uniti, Regno Unito, Irlanda, Spagna e, in misura<br />

minore, Francia e Danimarca). La progressiva attenuazione<br />

di tale rigidità ha portato a flessioni importanti<br />

sul fronte dei prezzi residenziali superiori talora al 20-<br />

25% negli ultimi <strong>du</strong>e anni.<br />

Dopo la recente crisi il<br />

mercato immobiliare mostra<br />

segnali di ripresa in Europa<br />

Nella prima parte del 2010 l’economia mondiale è<br />

cresciuta ad un tasso annualizzato superiore al 5%,<br />

migliorando le aspettative soprattutto in ragione di una<br />

più rapida ascesa delle economie asiatiche. Anche in<br />

corrispondenza delle realtà più avanzate si sono<br />

comunque evidenziati incoraggianti segnali sul fronte<br />

della domanda privata, con indicatori robusti relativamente<br />

all’attività economica reale (pro<strong>du</strong>zione in<strong>du</strong>striale,<br />

scambi commerciali, fi<strong>du</strong>cia dei consumatori,<br />

tasso di occupazione). Nella prima parte dell’anno,<br />

l’evoluzione delle grandezze macroeconomiche globali<br />

ha, ovunque, evidenziato una modesta, ma salda,<br />

ripresa delle economie più avanzate ed una forte<br />

crescita di quelle emergenti.<br />

Le recenti turbolenze sui mercati finanziari – riflesso di<br />

una flessione brusca della fi<strong>du</strong>cia su sostenibilità fiscale,<br />

indirizzi di politica economica e prospettive generali<br />

di crescita – hanno, tuttavia, contribuito ad acuire<br />

l’incertezza sulle previsioni future.<br />

<br />

FIGURA 1. Prezzi delle abitazioni <strong>du</strong>rante la crisi in alcuni mercati internazionali (numeri indice, IV Trimestre 2007 = 100)<br />

105<br />

100<br />

95<br />

90<br />

85<br />

80<br />

75<br />

70<br />

IV 07<br />

I 08 II 08 III 08 IV 08 I 09 II 09 III 09 IV 09 I 10 II 10<br />

Italia<br />

Francia<br />

Spagna<br />

Irlanda<br />

Stati Uniti (Case Shiller)<br />

Gran Bretagna<br />

Fonte: The Economist<br />

57


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

TAVOLA 1. Condizioni di finanziamento per immobili e tenant prime, Marzo 2010<br />

Paese Dimensione massima prestito (mil €) Massimo LTV (%)<br />

Francia 75 65<br />

Germania 50 70<br />

Italia 50 65<br />

Paesi Bassi 40 70<br />

Spagna 50 65<br />

Regno-Unito 75 (mil £) 70<br />

Trend europeo Stabile Crescita<br />

Fonte: CB Richard Ellis<br />

<strong>Il</strong> clima di preoccupazione sul rischio sovrano ha, in<br />

particolare, contagiato nuovamente il settore <strong>bancario</strong>,<br />

rialimentando, in tal modo, la pressione sulla restrizione<br />

del credito nei mercati interbancari, al punto da<br />

minare i presupposti della ripresa economica.<br />

Se l’economia mondiale è destinata a crescere di<br />

quasi cinque punti nel 2010, dopo la flessione di qualche<br />

decimo di punto registrata lo scorso anno, per<br />

l’Area Euro è previsto uno sviluppo in misura di un<br />

punto nel 2010 e dell’1,3% nel 2011 (con performance<br />

piuttosto variegate a seconda dei Paesi), non molto<br />

diversamente dalle previsioni per l’Italia che si attestano<br />

rispettivamente allo 0,9% e 1,1%.<br />

In tale contesto l’investimento immobiliare in Europa ha<br />

raggiunto nel primo trimestre 2010 quota 23,5 miliardi<br />

di euro, segnando un incremento dell’80% rispetto<br />

allo stesso periodo del 2009, a conferma di un generale<br />

ritorno di interesse per il settore real estate, che porterà<br />

a raggiungere a fine 2010 un volume complessivo di<br />

circa 100-110 miliardi di euro, a fronte dei 73 miliardi<br />

di Euro del 2009.<br />

Nei primi mesi di quest’anno si è confermato il buon<br />

interesse degli investitori per alcuni mercati, quali<br />

Regno Unito, Germania, penisola iberica e paesi scandinavi,<br />

incentrato primariamente sul settore commerciale,<br />

che in tali mercati ha rappresentato oltre la metà<br />

degli investimenti complessivi.<br />

In termini generali, nella prima parte del 2010 si è assistito<br />

sui mercati europei ad un miglioramento diffuso<br />

delle aspettative degli investitori immobiliari. E’ però vero<br />

che tale tendenza è riscontrabile limitatamente alla<br />

fascia prime del mercato e per lo più circoscritta a<br />

coloro che investono con prevalenza di capitale proprio.<br />

Con riferimento alla stretta creditizia, va tuttavia segnalato<br />

che ben poco è cambiato rispetto alla seconda<br />

parte del 2009, se si eccettuano piccoli incrementi<br />

nei livelli massimi di LTV per gli investimenti in corrispondenza<br />

di immobili prime, per i quali nei principali<br />

mercati europei ci si attesta al 65% o poco al di sopra<br />

di tale soglia (cfr. tavola 1).<br />

Relativamente alla redditività degli investimenti immobiliari,<br />

nel 2009 si è registrato a livello globale un Total<br />

Return negativo, pari a -7,3% misurato in valuta locale.<br />

Una perdita imputabile alla flessione in conto capitale<br />

(-12,8%), non pienamente assorbita dall’Income<br />

Return (6,2%). Se l’Eurozona ha garantito un risultato<br />

sostanzialmente neutro (+0,2%), il “resto dell’Europa”,<br />

che costituisce la quota più esigua di capitale investita<br />

nel real estate, ha invece fornito un contributo positivo<br />

all’esito complessivo. Ne deriva che il risultato<br />

negativo dell’anno sia imputabile alla combinazione<br />

della performance fortemente negativa, associata ad un<br />

peso in valore piuttosto rilevante, registrata nel resto del<br />

mondo, in particolare negli Stati Uniti e in Giappone.<br />

Con riferimento al contesto europeo, l’indice Paneuropeo<br />

costituito da 16 mercati nazionali, mostra un<br />

Total Return dell’1,4% (è dello 0,2% per l’Area Euro),<br />

composto da un Income Return del 5,9% e da una<br />

Capital Growth del -4,3% (per l’Area Euro tali indicatori<br />

si attestano rispettivamente a 5,6% e -5,1%).<br />

Come è possibile osservare dal grafico (cfr. figura 2), la<br />

variabilità fra le performance dei vari Paesi è notevole,<br />

mentre a livello settoriale (cfr. figura 3) sono il retail ed<br />

il residenziale ad essere risultati quelli più premianti.<br />

La fragilità della ripresa economica<br />

rallenta la crescita del settore in Italia<br />

In tale contesto l’Italia ha sottoperformato il mercato<br />

europeo garantendo un esiguo 0,8% (5,7% Income<br />

Return e -4,6% Capital Growth), con gli uffici che si sono<br />

58


<strong>Il</strong> mercato immobiliare in Italia<br />

DANIELA PERCOCO &<br />

LUCA DONDI & GUALTIERO TAMBURINI<br />

FIGURA 2. Total Return degli investimenti immobiliari in Europa nel 2009 misurato in valuta locale<br />

(valori percentuali)<br />

Svizzera<br />

Norvegia<br />

Danimarca<br />

Austria<br />

Finlandia<br />

Gran Bretagna<br />

Belgio<br />

Germania<br />

IPD PAN-European<br />

Sviezia<br />

Italia<br />

Portogallo<br />

Olanda<br />

Francia<br />

Polonia<br />

Spagna<br />

Irlanda<br />

- 25 % - 20 % - 15 % - 10 % - 5 % 0 % 5 % 10 %<br />

Fonte: IPD<br />

confermati il settore più performante (Total Return 1,5%).<br />

A livello di mercato <strong>italiano</strong> retail, la domanda di immobili<br />

si sta tendenzialmente stabilizzando solamente per<br />

il settore delle abitazioni, mentre la richiesta di spazi per<br />

le attività di impresa è tuttora carente, complice la lentezza<br />

della ripresa economica e la per<strong>du</strong>rante incertezza<br />

sulla evoluzione della congiuntura. Le conseguenze<br />

sono piuttosto evidenti, anche in ragione di una crescita<br />

diffusa dell’offerta.<br />

Le transazioni sono cresciute rispetto all’inizio dell’anno<br />

scorso solo in corrispondenza delle abitazioni<br />

(+4,2%), mentre per gli immobili non residenziali si<br />

registrano ancora diminuzioni nei volumi scambiati,<br />

ancorché contenute (intorno ad un punto percentuale)<br />

rispetto al ritmo di ca<strong>du</strong>ta che per tutto il 2009 è stato<br />

in doppia cifra. Si resta, comunque, lontani dai livelli<br />

record del 2007.<br />

<strong>Il</strong> mercato si conferma, <strong>du</strong>nque, sostanzialmente ingessato,<br />

connotato da tempi di vendita che si sono stabilizzati<br />

poco al di sopra dei 6 mesi per le abitazioni ma che<br />

superano i 7 per i negozi ed anche i 7 e mezzo per il settore<br />

direzionale. La lieve contrazione degli sconti che si<br />

<br />

FIGURA 3. Performance degli investimenti immobiliari in Europa nel 2009<br />

in base al settore e misurato in valuta locale<br />

8 %<br />

6 %<br />

4 %<br />

2 %<br />

0 %<br />

- 2 %<br />

- 4 %<br />

- 6 %<br />

- 8 %<br />

1,4 2,0<br />

Tutti gli<br />

immobili<br />

Retail<br />

2,0<br />

0,7<br />

- 0,1<br />

Uffici In<strong>du</strong>striale Residenziale<br />

Total Return<br />

Income Return<br />

Capital Growth<br />

Fonte: IPD<br />

59


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

FIGURA 4. Variazioni annue delle erogazioni di mutui per acquisto di abitazioni da parte delle famiglie (valori %)<br />

2002<br />

17,6<br />

2003<br />

21,3<br />

2004<br />

2005<br />

13,9<br />

15,3<br />

2006<br />

11,7<br />

2007<br />

- 0,7<br />

2008<br />

2009<br />

- 10,7<br />

- 9,2<br />

Fonte: Elaborazioni Nomisma su dati Banca d’Italia<br />

registrano nelle compravendite al momento della transazione<br />

(rappresentati dal divario tra prezzo inizialmente<br />

richiesto e prezzo effettivo), dopo aver comunque raggiunto<br />

livelli record, testimonia l’accresciuta consapevolezza<br />

dell’offerta rispetto alle difficoltà congiunturali.<br />

In evidente impasse si conferma anche il mercato della<br />

locazione, con canoni in ri<strong>du</strong>zione e tempi di locazione<br />

in progressivo aumento, che non riesce evidentemente<br />

a trarre vantaggio dalla congiuntura negativa<br />

attraversata dal mercato della compravendita.<br />

Con riferimento alle modalità di acquisto, continua a<br />

crescere la quota di transazioni residenziali attraverso l’utilizzo<br />

di capitale proprio, a conferma dell’interesse per il<br />

settore degli investitori dotati di liquidità anche in ragione<br />

dello scarso appeal degli impieghi alternativi. <strong>Il</strong> basso<br />

costo del denaro non riesce a compensare le difficoltà<br />

incontrate dalle famiglie nell’accesso al credito <strong>bancario</strong>.<br />

Si tratta di un fenomeno significativo se si considera che<br />

nel periodo 2001-2009 i mutui erogati per l’acquisto di<br />

immobili sono cresciuti del 69%, passando dai 30,1<br />

miliardi di euro del 2001 ai 50,8 miliardi erogati nel<br />

2009, a fronte di una flessione delle transazioni da<br />

681 mila a 609 mila.<br />

Dopo il crollo delle compravendite assistite da mutuo,<br />

avvenuto nel 2008 (-27% rispetto al 2007), anche nel<br />

2009-2010 questa modalità di acquisto dell’abitazione<br />

fa registrare una flessione lievemente superiore rispetto<br />

al calo complessivo, a conferma della per<strong>du</strong>rante<br />

selettività del <strong>sistema</strong> creditizio (cfr. figura 4).<br />

Le per<strong>du</strong>ranti difficoltà sul fronte della domanda hanno<br />

determinato ancora un ulteriore flessione per quanto<br />

riguarda i prezzi e, in misura più accentuata, i canoni<br />

di locazione per tutte le tipologie immobiliari. I primi flettono<br />

di circa un punto percentuale rispetto alla fine del<br />

2009, mentre i secondi si ri<strong>du</strong>cono fra il punto e mezzo<br />

ed i <strong>du</strong>e punti. <strong>Il</strong> ridimensionamento registrato nella<br />

prima parte dell’anno risulta, in ogni caso, il più<br />

contenuto dell’ultimo biennio, facendo prefigurare un<br />

percorso di gra<strong>du</strong>ale stabilizzazione che, tuttavia, non<br />

porterà ad aumenti dei valori prima del 2012.<br />

Dall’inizio della fase negativa del mercato, nelle grandi<br />

città italiane si è registrata una flessione dei prezzi del<br />

TAVOLA 2. Media 13 grandi città – Variazioni % semestrali ed annuali dei prezzi degli immobili<br />

Variazioni % semestrali (I 10/II 09) Variazioni % annuali (I 10/I 09)<br />

Abitazioni -1,0 -2,6<br />

Uffici -1,2 -2,8<br />

Negozi -0,8 -2,3<br />

Box auto/Garage – -0,8<br />

Fonte: Nomisma<br />

60


<strong>Il</strong> mercato immobiliare in Italia<br />

DANIELA PERCOCO &<br />

LUCA DONDI & GUALTIERO TAMBURINI<br />

FIGURA 5. Media 13 grandi città – Prezzi reali degli immobili (numeri indice, 1992 = 100)<br />

130 %<br />

120 %<br />

Abitazioni Uffici Negozi<br />

110 %<br />

100 %<br />

90 %<br />

80 %<br />

70 %<br />

60 %<br />

I 92 II 93 I 95 I II 96 I 98 II 99 I 01 II 02 I 04 II 05 I 07 II 08 I 10<br />

Fonte: Nomisma<br />

5% in sede nominale e di circa il 7% dei canoni, riportando<br />

i valori reali sui livelli di 5 anni fa (cfr. figura 5).<br />

Previsioni positive per il<br />

settore in Italia ma in un’ottica<br />

di medio periodo<br />

Riguardo all’evoluzione del mercato nel breve-medio<br />

periodo, le risultanze dei modelli previsionali volti ad interpretare<br />

la dinamica della media dei prezzi in funzione di<br />

alcune variabili esogene fortemente correlate con le<br />

dinamiche del settore (tassi di interesse, spesa per<br />

consumi delle famiglie italiane, investimenti in costruzioni,<br />

ecc.), confermano il superamento della fase più acuta<br />

della crisi anche sul versante dei valori.<br />

Dall’esame della serie storica dei tassi di variazione<br />

annuali dei prezzi correnti delle abitazioni nuove, a<br />

partire dal 1992 si può rilevare che, dopo aver raggiunto<br />

nel 2009 punte negative solo lievemente meno marcate<br />

rispetto a quelle sperimentate <strong>du</strong>rante la pesante crisi<br />

del mercato immobiliare dei primi anni ’90, i tassi di<br />

variazione hanno invertito la tendenza, confermando<br />

l’avvenuto superamento della fase recessiva, sebbene<br />

per una ripresa vera e propria del mercato occorrerà<br />

ancora attendere almeno 12-18 mesi. ◗<br />

FIGURA 6. Abitazioni nuove - Serie storica delle variazioni medie annuali dei prezzi correnti nelle 13 grandi città<br />

15<br />

(valori percentuali)<br />

10<br />

5<br />

0<br />

- 5<br />

Previsione<br />

- 10<br />

I 92 II 93 I 95 II 96 I 98 II 99 I 01 II 02 I 04 II 05 I 07 II 08 I 10 II 11<br />

Semestri<br />

Fonte: Elaborazioni Nomisma su fonti varie<br />

61


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

La distribuzione bancaria in italia:<br />

trend in atto, scenari evolutivi e<br />

possibili strategie competitive<br />

Negli ultimi anni la struttura distributiva<br />

bancaria è profondamente cambiata<br />

sulla spinta dei processi di<br />

aggregazione, liberalizzazione e di<br />

espansione territoriale. Differenti<br />

cambiamenti strutturali globali e locali<br />

stanno spingendo le banche a<br />

ripensare ed innovare i modelli<br />

distributivi consolidati.<br />

NOM AUTEUR Fonction à venir<br />

VITTORIO RATTO<br />

Partner, Bain & Company, Milano<br />

ALESSANDRO GERALDI<br />

Manager, Bain & Company, Milano<br />

NEL 1992, L’ALLORA PRESIDENTE DEL<br />

CONSIGLIO GIULIANO AMATO descrisse il <strong>sistema</strong><br />

<strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> come “una foresta pietrificata”, un’espressione<br />

che attecchì subito. In<strong>du</strong>bbiamente qualche<br />

ragione era dalla sua parte: il <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> rispondeva<br />

a regole di competizione e controllo che vincolavano<br />

in modo forte la possibilità delle banche di<br />

competere imprenditorialmente. Lo Stato era proprietario<br />

in modo diretto o indiretto della più parte delle banche:<br />

dalle Casse di Risparmio locali fino alle Banche di<br />

Interesse Nazionali (BIN); il <strong>sistema</strong> distributivo stesso<br />

era ingessato, risultando estremamente complesso<br />

attivare la crescita organica attraverso l’apertura di<br />

filiali al di fuori delle zone storiche di ogni banca.<br />

Tra il 1990 e il 1993, l’opera congiunta di Amato e di<br />

Carlo Azeglio Ciampi, Governatore della Banca d’Italia<br />

e futuro Presidente della Repubblica, pose le basi dell’apertura<br />

e privatizzazione del mercato <strong>bancario</strong>, attraverso<br />

la creazione delle Fondazioni e la quotazione sul<br />

mercato delle BIN. Ci si muoveva in un contesto profondamente<br />

diverso rispetto ad oggi, basti pensare<br />

che il tasso ufficiale di sconto della Banca d’Italia variò<br />

tra l’11% ed il 15% tra il 1992 e 1993; quelle prime innovazioni<br />

legislative innescarono un processo di profondo<br />

cambiamento, modernizzazione e creazione di valore<br />

che è proseguito sino ad oggi e che si è riflesso nella<br />

articolazione ed evoluzione delle strutture distributive.<br />

Se guardiamo, infatti, il <strong>sistema</strong> nel suo complesso<br />

possiamo dire che, pur con qualche scossone, sono<br />

stati raggiunti importanti traguardi che hanno consentito<br />

di costruire un <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> solido e competitivo,<br />

aperto agli investimenti esterni, in grado di espri-<br />

62


La distribuzione bancaria in italia: trend in atto, scenari evolutivi e possibili strategie competitive<br />

VITTORIO RATTO & ALESSANDRO GERALDI<br />

mere più di un operatore di livello europeo, che ha retto<br />

la crisi mondiale senza necessità di salvataggi strutturali<br />

e che, su molti assi, è in grado di esprimere delle<br />

punte di eccellenza a livello europeo.<br />

Dal punto di vista della struttura distributiva i cambiamenti<br />

che hanno accompagnato questo percorso<br />

sono stati profondi e tuttora in corso. E’ possibile indivi<strong>du</strong>are<br />

alcuni trend legati sia ai cambiamenti strutturali<br />

dal lato dell’offerta che della domanda, che influenzano<br />

le scelte di assetto e di presidio della clientela degli<br />

operatori bancari. L’attuale crisi finanziaria ed economica<br />

e la conseguente ri<strong>du</strong>zione dei margini e della<br />

redditività complessiva ha dato una ulteriore spinta di<br />

accelerazione ai processi di revisione degli attuali<br />

assetti distributivi.<br />

Razionalizzazione ed apertura<br />

del mercato <strong>bancario</strong><br />

<strong>Il</strong> processo di razionalizzazione e di aggregazione, che<br />

ha coinvolto i principali gruppi bancari italiani, ha avuto<br />

come conseguenza una redistribuzione e concentrazione<br />

delle quote di mercato per sportello: i primi dieci<br />

gruppi hanno conseguito una quota di mercato crescente,<br />

passando dal 34% del 1995 al 64% del 2009.<br />

In parallelo al processo di concentrazione e di creazione<br />

di campioni nazionali, il mercato <strong>italiano</strong> si è anche<br />

aperto ai grandi istituti stranieri (Crédit <strong>Agricole</strong>, BNPP,<br />

Barclays, Deutsche Bank) che rappresentano ad oggi<br />

oltre il 6% del mercato complessivo, rispetto ad una<br />

posizione di fatto marginale solo 5-10 anni fa. Questo<br />

fenomeno è di sicuro beneficio per il mercato nel suo<br />

complesso in quanto consente alle famiglie e alle<br />

imprese di poter accedere a piattaforme di prodotto /<br />

servizio di scala europea.<br />

Crescita del numero di filiali:<br />

la “corsa allo sportello”<br />

La filiale bancaria è il perno della struttura distributiva:<br />

il numero complessivo negli ultimi anni è cresciuto evidenziando<br />

di fatti una sorta di “corsa allo sportello” da<br />

parte delle banche. Al crescere della concentrazione<br />

delle quote distributive, non ha seguito una razionalizzazione<br />

delle reti ma, al contrario, un’ulteriore attività di<br />

espansione dei network distributivi, perseguita con<br />

l’obiettivo di rinforzare i presidi territoriali attraverso un<br />

modello a maglie strette.<br />

Si è passati da c.a 23.000 filiali nel 1994 a oltre 34.000<br />

nel 2008, con un incremento del 48% rispetto ad una<br />

crescita del PIL in termini reali nel corso dello stesso<br />

periodo di c.a il 20% (nello stesso periodo raccolta<br />

diretta +28% e impieghi +104%). L’incremento del<br />

numero di filiali per abitante ha registrato un allineamento<br />

con i valori degli altri paesi europei comparabili,<br />

soprattutto se si considera anche la penetrazione<br />

degli sportelli BancoPosta.<br />

<strong>Il</strong> modello di presenza territoriale capillare è stato, di<br />

fatto, anche la scelta che più ha premiato gli operatori<br />

esteri che l’hanno perseguita come strategia d’ingresso<br />

sul mercato <strong>italiano</strong>.<br />

Omogeneità dei modelli distributivi<br />

Dal punto di vista delle dinamiche competitive, si è assistito<br />

allo sviluppo di modelli distributivi con un ridotto<br />

livello di differenziazione, soprattutto in termini di modelli<br />

gestionali (modello di servizio, segmentazione e portafogliazione)<br />

e di mo<strong>du</strong>li di filiale Retail.<br />

<strong>Il</strong> maggior focus di fatto è stato sull’integrazione delle<br />

nuove entità e sull’implementazione di modelli replicabili<br />

in modo da massimizzare le sinergie di costo legate ai<br />

processi d’integrazione.<br />

Le maggiori banche hanno sostanzialmente adottato<br />

una segmentazione omogenea guidata dall’ottimizzazione<br />

del cost to serve, più che da una lettura<br />

sofisticata dei bisogni dei clienti 1 . A ogni segmento<br />

è associata una modalità di gestione mediante<br />

la costituzione di portafogli assegnati a gestori<br />

commerciali dedicati, con dimensione del numero di<br />

clienti per portafoglio 2 definita in funzione della capacità<br />

di ripagare i costi del servizio. In considerazione dei<br />

numeri in gioco si è assistito spesso ad una gestione<br />

reattiva del rapporto. Si è di fatto confuso il canale con<br />

il segmento.<br />

<br />

1. Per quanto riguarda il mercato retail, la tipica classificazione prevede: Mass market fino a 50-100K euro di patrimonio presso la banca; Affuent fino a 500-1000K<br />

euro di patrimonio e Private per soglie superiori; Small Business clienti imprese con fatturato fino a 1,5-5 mln di fatturato.<br />

2. c.a 200-300 clienti per i gestori Affluent / Small Business e c.a 1000-2000 clienti Mass Market per addetto commerciale.<br />

63


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

La differenziazione dei modelli di filiale è rimasta relegata<br />

alla costituzione di modelli distinti in funzione<br />

della dimensione della filiale e quindi di popolamento<br />

con figure commerciali.<br />

Sul fronte del modello di servizio la sperimentazione è<br />

stata poca e sporadica, limitata per esempio a: estensioni<br />

degli orari di apertura (sperimentata da alcuni<br />

gruppi, ma di fatti non perseguita con costanza) e alla<br />

vendita di servizi non bancari (es. biglietti di eventi,<br />

consulenza fiscale...).<br />

Dal lato dell’offerta è necessario anche fronteggiare<br />

la crescente pressione dei category killer che si sono<br />

focalizzati su singoli bisogni / servizi e attorno a questi<br />

hanno costruito un’offerta specializzata (es. lancio<br />

di mutui low cost, prodotti di raccolta ad alto rendimento),<br />

spesso antieconomica per le banche<br />

generaliste, anche alla luce del possibile effetto cannibalizzazione<br />

sui propri ricavi. Nei fatti i category killer<br />

hanno parzialmente disintermediato le filiali tradizionali.<br />

Crescita dei canali alternativi<br />

Se dal lato dell’offerta si è assistito alla cosiddetta<br />

corsa allo sportello, dal lato della domanda emerge<br />

chiaro un trend di progressivo maggior utilizzo dei<br />

canali alternativi.<br />

Nel dichiarato i clienti continuano a privilegiare la prossimità<br />

come uno dei maggiori fattori di scelta della Banca<br />

(e questo è vero sempre negli ultimi 10 anni, sulla base<br />

delle ricerche Eurisko), ma i dati evidenziano un progressivo<br />

maggior peso nell’utilizzo dei canali alternativi.<br />

I clienti mostrano di essere più propensi ed in grado di<br />

interagire con canali remoti (soprattutto ATM, internet<br />

e call center) e di fatti stanno spostando il loro canale<br />

di interazione dalla Filiale ad altre modalità (cfr. tavola 1).<br />

Allo stesso tempo molte ricerche testimoniano una<br />

ri<strong>du</strong>zione dei tempo libero che i clienti possono dedicare<br />

alla filiale 3 . In sostanza: i clienti hanno meno<br />

tempo libero da dedicare alle attività bancarie e quello<br />

che hanno preferiscono impiegarlo su canali diversi<br />

dalla filiale.<br />

Le sfide competitive: possibili scenari<br />

per l’evoluzione degli assetti distributivi<br />

Alla luce dei trend sopra evidenziati il Retail Banking<br />

deve rispondere alla sfida di trasformare i modelli distributivi<br />

attuali e tradizionali per poter meglio rispondere<br />

all’evoluzione del contesto competitivo.<br />

TAVOLA 1. Evoluzione livello di utilizzo della filiale<br />

Perdita importanza contatto con la clientela<br />

10 %<br />

90 %<br />

% di vendite per canale<br />

15 %<br />

25 %<br />

85 %<br />

75 %<br />

40 %<br />

60 %<br />

Altro (1)<br />

Filiale<br />

2000<br />

50 %<br />

50 %<br />

2000<br />

2005<br />

2010F<br />

% di transazioni dispositive per canale<br />

60%<br />

70%<br />

40%<br />

30%<br />

2005<br />

2010F<br />

Visite medie mensili in filiale per cliente<br />

2015F<br />

90%<br />

10%<br />

2015F<br />

Altro (1)<br />

Filiale<br />

2,0<br />

1,8<br />

1,6<br />

1,0<br />

2000<br />

2005<br />

2010F<br />

2015F<br />

(1)<br />

Internet, ATM, call center e IVR, altri canali distributivi diversi dagli sportelli bancari.<br />

Fonte: elaborazione su dati: Finalta 2009, Osservatorio E-Committee 2009, ABI;<br />

E-Retail Finance KPMG 2008, Assofin, analisi Bain<br />

3. Cfr. Special Focus: Measuring Leisure in OECD Countries – OECD 2009.<br />

64


La distribuzione bancaria in italia: trend in atto, scenari evolutivi e possibili strategie competitive<br />

VITTORIO RATTO & ALESSANDRO GERALDI<br />

Tuttavia il mercato <strong>italiano</strong> presenta delle opportunità di<br />

crescita, legate sia all’incremento della penetrazione dei<br />

prodotti esistenti (si rileva un gap di penetrazione<br />

rispetto agli altri paesi europei comparabili sulle principali<br />

aree di bisogno: mutui, credito al consumo, carte di credito,<br />

fondi, prodotti previdenziali ed assicurativi –<br />

cfr. tavola 2), sia alla nascita di nuovi bisogni (legati alla<br />

crisi, quali protezione e sicurezza) e di nuove fasce di<br />

clientela. In questo senso i forti investimenti effettuati in<br />

aperture di filiali per potenziare la capillarità distributiva<br />

potranno essere un fattore di successo nonostante<br />

una prevista persistenza di pressioni sui margini e<br />

sulla redditività.<br />

<strong>Il</strong> costo della liquidità a regime rimane un punto di<br />

incertezza, potrebbe mitigarsi come effetto di un ritorno<br />

alla “nuova normalità”, senza però arrivare ai livelli<br />

pre-crisi.<br />

ll costo del rischio rimarrà una priorità ma sarà meno<br />

pressante rispetto alla crescita registrata nel corso del<br />

2009, per effetto della ripresa dell’economia.<br />

<strong>Il</strong> costo del capitale rimarrà invece una priorità per<br />

effetto degli impatti di Basilea 3.<br />

La somma di questi effetti avrà un’incidenza diretta sugli<br />

economics di base dei sottosegmenti retail, imponendo<br />

scelte di revisione del cost to serve e di conseguenza<br />

degli assetti distributivi.<br />

La redditività sul margine di interesse potrebbe beneficiare<br />

della ripresa attesa dei tassi di mercato, con<br />

effetto benefico sul mark down, rimarranno però le<br />

pressioni sui margini commissionali unitari dei prodotti,<br />

anche per effetto di interventi legislativi, quali (a<br />

titolo di esempio):<br />

• la portabilità dei mutui;<br />

• la revisione delle commissioni di massimo scoperto;<br />

• la calmierazione dei prezzi sul credito al consumo<br />

(come sta avvenendo sulla Cessione del Quinto dello<br />

Stipendio);<br />

• la possibile revisione della modalità di definizione<br />

dei regimi commissionali sul wealth management, che<br />

saranno sempre meno basati sui c.d up-front.<br />

In relazione alla struttura distributiva nascono pertanto<br />

alcuni importanti punti di domanda:<br />

• come sfruttare al meglio il patrimonio di filiali / personale<br />

ottimizzando il costo dell’investimento e del<br />

servizio per ottenere un adeguato ritorno a fronte di<br />

margini più contenuti, ottimizzando il cost to serve<br />

per segmento?<br />

• come innovare a partire dagli attuali modelli di filiale<br />

per rispondere meglio ai bisogni di una clientela più<br />

frammentata?<br />

• come integrare l’attuale modello di filiale con i canali<br />

alternativi per rispondere a segmenti di clientela che<br />

utilizzeranno meno il canale tradizionale (es. generazione<br />

digitale)?<br />

<br />

TAVOLA 2. Benchmark penetrazione principali prodotti<br />

Indicatore<br />

Italia 2008<br />

Francia 2008<br />

Germania 2008<br />

Spagna 2008<br />

Media<br />

2008 (1)<br />

(escluso Italia)<br />

Upside<br />

potenziale<br />

(media vs Italia)<br />

Mutual funds share of HH<br />

assets (2)<br />

4,8<br />

8,4<br />

11,5<br />

8,7<br />

9,5<br />

2,0x<br />

Insurance and pension<br />

funds share of HH assets (%) (2)<br />

12,3<br />

39,1<br />

34,4<br />

14,9<br />

29,5<br />

2,4x<br />

Payment cards<br />

transactions per capita per year<br />

24,5<br />

102,5<br />

27,9<br />

46,0<br />

58,8<br />

2,4x<br />

Consumer Credit/GDP<br />

4 %<br />

11 %<br />

9 %<br />

11 %<br />

10 %<br />

2,7x<br />

Mortgage/GDP<br />

21 %<br />

48 %<br />

50 %<br />

68 %<br />

55 %<br />

2,9x<br />

(1) Media 2008 per Francia, Germania, Spagna, esclusa Italia (2) Incidenza dei fondi sul totale attività finanziarie delle famiglie.<br />

Fonte: OECD, Banca Italia (relazione Annuale 2008-2009)<br />

65


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

Possibili strategie per il futuro:<br />

qualche riflessione<br />

Non è ambizione di questo articolo definire in modo<br />

definitivo le strategie possibili, ma illustrare alcune<br />

aree di riflessione, attorno alle quali costruire delle<br />

risposte differenzianti. Rimaniamo convinti che il<br />

modello territoriale sia ancora vincente nel lungo<br />

periodo sul mercato <strong>italiano</strong>, e che se correttamente<br />

interpretato e innovato possa rappresentare un motore<br />

di crescita.<br />

Tre sono le linee di azioni prioritarie.<br />

Ripensare il modello distributivo adottando le logiche<br />

del c.d. “Light Retail”. Si tratta di fatti di rivedere<br />

e semplificare il modello di filiale, implementando<br />

modalità di interrelazione con il cliente che portino a<br />

ri<strong>du</strong>rre significativamente la struttura di costo (cfr. tavola<br />

3); quali:<br />

• Filiali leggere con operatività a 360 gradi:<br />

– con personale ridotto (massimo 4 FTE) prevalentemente<br />

a focalizzazione commerciale;<br />

– presenza di ATM evoluti,<br />

– con vendita di prodotti semplici e di facile attivazione;<br />

• Filiali leggere specializzate (es su clientela Affluent):<br />

– personale ridotto (2 FTE);<br />

– possibilità di accedere a relationship manager e specialisti<br />

di prodotto via remoto in video conference;<br />

– sottoscrizione dei contratti via remoto – paperless (con<br />

firma digitale);<br />

– assenza della cassa grazie agli ATM evoluti e concierge<br />

a supporto dell’interazione cliente – ATM (alla<br />

stregua di quanto è avvenuto nel self check-in aeroportuali).<br />

La sfida sarà quella di ri<strong>du</strong>rre i costi, provando a tenere<br />

a livelli costanti i ricavi.<br />

Adottare un approccio al cliente in ottica “New<br />

Retail”. Semplificare la struttura di costo non basterà:<br />

sarà comunque necessario “deliziare” il cliente e<br />

adottare approcci commerciali che si rifanno al mondo<br />

distributivo tipico dei beni di consumo, mutuando<br />

tecniche e modalità di gestione tipiche del mondo<br />

consumer (per esempio su: gestione della customer<br />

experience, evoluzione del layout di filiale, gestione<br />

della loyalty) e definendo format specialistici per<br />

sotto-segmenti rilevanti.<br />

In tale ambito occorrerà passare da una logica di segmentazione<br />

della clientela basata su parametri semplici<br />

a logiche più articolate che rimettano il cliente al centro<br />

delle decisioni strategiche. Questo vuol dire rileggere la<br />

clientela non solo in termini di ricchezza detenuta ma<br />

attraverso una interpretazione vera dei bisogni e una<br />

lettura delle modalità di acquisizione e la ridefinizione<br />

del modello di servizio. La sfida si giocherà sulla<br />

capacità di combinare:<br />

• un’offerta semplice e da scaffale, centrata su<br />

singoli bisogni / prodotti, dove è il cliente che si<br />

autosegmenta;<br />

TAVOLA 3. Sviluppo di filiali a basso costo ed alta innovazione<br />

Possibile impatto della filiale leggera o virtuale<br />

Filiale<br />

leggera<br />

"Mass"<br />

Filiale<br />

leggera<br />

"affluent"<br />

(age &<br />

flow)<br />

Modello di funzionamento<br />

• Sizing 4 FTE<br />

• ATM evoluto (con funzionalità di: bonifici,<br />

pagamenti utenze e bolette, deposito<br />

assegni e contanti…)<br />

• Concierge a supporto delle attività "fai da te"<br />

del cliente<br />

• Prevalenza di personale con focus commerciale<br />

(75% FTE)<br />

• Specialisti di prodotto raggiungibili via video conference<br />

• Orario di apertura mo<strong>du</strong>lato sulle esigenze dei clienti<br />

(es orario continuato)<br />

• Sizing 2 FTE<br />

• Presenza di personale esclusivamente commerciale<br />

per la sottoscrizione dei pro dotti base (depositi, conti,<br />

monetica, finanziamenti, …) e relationship manager e<br />

specialisti di prodotto accessibile via remoto<br />

e video conference<br />

• ATM evoluto e concierge<br />

• Sottoscrizionica (anche via Internet)<br />

• Orario di apertura mo<strong>du</strong>lato sulle esigenze dei clienti<br />

(es chiusura il lunedi e apertura il sabato)<br />

Base 100<br />

Ribaltati<br />

Diretti<br />

Personale<br />

Potenziale impatto economico<br />

Costo medio per filiale<br />

100<br />

-35%<br />

20<br />

12 65<br />

68<br />

Filiale<br />

tradizionale<br />

20<br />

35<br />

Filiale<br />

leggera<br />

-70%<br />

30<br />

5<br />

20 5<br />

Filiale leggera<br />

affluent<br />

(Age & flow)<br />

Fonte: Analisi Bain<br />

66


La distribuzione bancaria in italia: trend in atto, scenari evolutivi e possibili strategie competitive<br />

VITTORIO RATTO & ALESSANDRO GERALDI<br />

• un’offerta di consulenza / supporto evoluto, per i segmenti<br />

con maggiore complessità di bisogni e redditività,<br />

con un approccio mo<strong>du</strong>lare in funzione delle fasi del<br />

ciclo di vita e della sofisticazione dei bisogni.<br />

Cogliere le opportunità per servire al meglio la c.d.<br />

“generazione digitale”. Si tratta della fascia giovane<br />

della popolazione “sempre connessa”, con un rapporto<br />

di assoluta dimistichezza con le nuove tecnologie<br />

ma con una sorta di insofferenza nell’uso della<br />

filiale tradizionale.<br />

Bisognerà prepararsi a servire al meglio i bisogni di questa<br />

generazione, sviluppando:<br />

– nuovi servizi finanziari veicolati per il tramite delle<br />

nuove tecnologie (es pagamenti contactless via mobile<br />

phone);<br />

– nuove modalità di erogazione dei servizi esistenti<br />

(utilizzo dei canali di interazione innovativi);<br />

– nuovi processi interni (uso dei social network interni<br />

per abilitare il knowledge sharing e il senso di appartenenza).<br />

◗<br />

67


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

<strong>Il</strong> credito al consumo in Italia:<br />

tre domande a Umberto Filotto<br />

Dopo una fase di adattamento alle<br />

nuove regole, i grandi attori del credito<br />

al consumo avranno l'opportunità di<br />

reinventare il business senza subire il<br />

condizionamento di operatori di tipo<br />

marginale di cui il mercato avrà avuto<br />

ragione.<br />

UMBERTO FILOTTO<br />

Segretario generale, Assofin<br />

Professore ordinario, Università di Roma “Tor Vergata”<br />

Quali sono stati gli effetti della crisi finanziaria sul<br />

settore del credito al consumo in Italia?<br />

Nel 2009 e nei primi mesi del 2010 il settore del credito<br />

al consumo in Italia evidenzia il consolidarsi di alcuni<br />

fenomeni strutturali e il manifestarsi di alcuni profili<br />

congiunturali relativamente nuovi e che segnano<br />

comunque un punto di discontinuità rispetto al passato.<br />

Partendo da questi ultimi il dato più evidente è che dopo<br />

oltre quindici anni di crescita ininterrotta il mercato<br />

chiude in flessione di oltre l’11% in termini di erogazioni.<br />

Le ragioni di questo trend sono in gran parte ovvie e<br />

ricon<strong>du</strong>cibili alla crisi economica che, ci si augura<br />

abbia termine quanto prima, ma merita comunque sottolineare<br />

che gli effetti sulla struttura dell’in<strong>du</strong>stry e<br />

sulle caratteristiche degli operatori sono destinati ad<br />

essere permanenti. Infatti una condizione di maggior difficoltà<br />

di mercato innesca da un lato fenomeni significativi<br />

di consolidamento nel comparto e di razionalizzazione<br />

tra gli operatori, dall’altro determina lo sviluppo<br />

di una cultura più attenta all’efficienza dei processi,<br />

al presidio dei rischi, allo sviluppo di modelli distributivi<br />

capaci di coniugare efficacia commerciale<br />

redditività specifica e tutela dei consumatori.<br />

Quale potrà essere l’impatto dei recenti sviluppi<br />

regolamentari?<br />

L’approvazione del Decreto Legislativo 141/2010<br />

costituisce un vero e proprio spartiacque per il mercato.<br />

Accanto al recepimento della direttiva sul credito<br />

ai consumatori, che intro<strong>du</strong>ce novità assolute per<br />

il mercato <strong>italiano</strong> come il diritto di ripensamento, la<br />

responsabilità del creditore per l’inadempimento grave<br />

del commerciante e così via, la norma disciplina in<br />

modo radicalmente innovativo gli intermediari del<br />

credito, definisce in modo molto più severo le caratteristiche<br />

degli operatori ammessi a concedere cre-<br />

68


<strong>Il</strong> credito al consumo in Italia<br />

UMBERTO FILOTTO<br />

dito, intro<strong>du</strong>ce nuove regole di trasparenza. Per quanto<br />

riguarda la distribuzione dei finanziamenti, ferma<br />

restando la possibilità di distribuire credito finalizzato<br />

presso i punti di vendita (possibilità che <strong>du</strong>rante il<br />

dibattito svoltosi nella fase di definizione della normativa<br />

era sta messa in <strong>du</strong>bbio), dobbiamo registrare<br />

un significativo innalzamento dei requisiti professionali<br />

e di onorabilità di agenti e mediatori creditizi.<br />

Ugualmente la riforma degli intermediari finanziari<br />

non bancari uniforma il <strong>sistema</strong> dei controlli abolendo<br />

l’anomalia per la quale sul mercato potevano operare<br />

soggetti vigilati, accanto a soggetti non vigilati; la<br />

sottoposizione di tutti gli operatori all’attività di supervisione<br />

della Banca d’Italia garantisce maggiormente<br />

la clientela ma elimina anche evidenti disparità<br />

competitive. Parallelamente alla disciplina sin qui<br />

ricordata vengono riformate le norme di trasparenza<br />

per adeguarle ai più recenti sviluppi anche di prassi e<br />

per favorire la loro “fruibilità” rendendo le norme più<br />

efficienti e meno formalistiche.<br />

Come potrebbe evolvere il settore in Italia?<br />

L’evoluzione del settore a valle della crisi economica e<br />

dell’approvazione della nuova normativa sarà prevedibilmente<br />

distinta in <strong>du</strong>e fasi: nella prima la necessità di<br />

adeguarsi ad un nuovo mercato ed alle nuove regole<br />

costringerà gli operatori ad un pesante sforzo di adeguamento<br />

delle loro strutture, delle loro proce<strong>du</strong>re ma,<br />

più ancora, delle loro culture. In questa fase, sicuramente<br />

le difficoltà della transizione tenderanno a mettere<br />

in secondo piano le opportunità che offre un<br />

nuovo mercato. Nella seconda fase saranno invece le<br />

nuove possibilità offerte da uno scenario non più cristallizzato<br />

a emergere in modo evidente. Per gli operatori<br />

di maggiori dimensioni vi saranno opportunità di<br />

reinventare il business senza subire il condizionamento<br />

di operatori di tipo marginale di cui il mercato avrà<br />

avuto ragione. Non vi è quindi <strong>du</strong>bbio che in uno scenario<br />

come questo gli operatori come quelli che fanno<br />

capo al Gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> abbiano ben più di una<br />

carta da giocare. ◗<br />

69


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

<strong>Il</strong> risparmio gestito in Italia<br />

Chapo<br />

L’articolo<br />

à venir<br />

presenta un’analisi del settore<br />

del risparmio gestito <strong>italiano</strong>, definito<br />

nella maniera più ampia possibile,<br />

comprendendo un’analisi del contesto<br />

macroeconomico e dell’ambiente<br />

competitivo, le caratteristiche ed i trend<br />

della domanda e dell’offerta, un focus<br />

sul private banking e alcune conclusioni<br />

sull’ evoluzione del settore.<br />

GINO GANDOLFI 1<br />

Professore ordinario, Università di Parma<br />

GIACOMO NERI 2<br />

Partner, PricewaterhouseCoopers<br />

Analisi dello scenario di riferimento<br />

<strong>Il</strong> settore del risparmio gestito si sta muovendo in un<br />

contesto ancora fortemente instabile dal punto di vista<br />

economico e sempre più complesso dal punto di vista<br />

regolamentare.<br />

Dal punto di vista economico, l’economia italiana nel<br />

2008 e nel 2009 è stata caratterizzata da una forte ri<strong>du</strong>zione<br />

del PIL e da un’instabilità dei mercati finanziari<br />

sulla scia della crisi internazionale. Se da un lato il<br />

<strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> ha risentito meno della crisi<br />

rispetto agli altri paesi europei, il <strong>sistema</strong> pro<strong>du</strong>ttivo sta<br />

ancora soffrendo della crisi dell’economia reale, a<br />

causa di una struttura medio piccola delle imprese<br />

italiane che si caratterizzano, peraltro, per una minor<br />

pro<strong>du</strong>ttività ed efficienza del lavoro rispetto ai paesi<br />

europei.<br />

<strong>Il</strong> settore del risparmio gestito è stato chiaramente<br />

influenzato anche da una crisi dei mercati finanziari<br />

senza precedenti nel 2008; la volatilità dei mercati ha<br />

raggiunto livelli che non aveva mai raggiunto negli ultimi<br />

60 anni e ad esso si è associato un significativo crollo<br />

dei corsi azionari, talmente rilevante che nemmeno<br />

i recuperi del 2009 sono stati sufficienti per ritornare ai<br />

livelli precedenti alla crisi del 2008. La crisi iniziata a<br />

1. Professore Ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari presso la Facoltà di Economia dell’Università di Parma e docente senior presso la SDA Bocconi.<br />

Cofondatore dell’Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie.<br />

2. Partner in Charge Financial Services e Strategy Leader PricewaterhouseCoopers Advisory; Professore di Strategia e Politica Aziendale Università Cattolica del<br />

Sacro Cuore Milano; Consigliere di Amministrazione AIPB, AICIB, ASAM, cofondatore dell’Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie.<br />

70


<strong>Il</strong> risparmio gestito in Italia<br />

GINO GANDOLFI &<br />

GIACOMO NERI<br />

causa del crollo dei mutui subprime americani ed<br />

aggravata dal fallimento di Lehman Brothers ha, dapprima,<br />

colpito le banche di investimento e, in particolare,<br />

il modello di intermediazione originate-to-distribute e,<br />

successivamente, ha coinvolto in maniera significativa<br />

tutti gli intermediari finanziari, quelli americani ed europei<br />

su tutti.<br />

Per quanto riguarda gli aspetti politici e normativi, il mercato<br />

sta vivendo una fase di adeguamento a diversi<br />

regolamenti emanati a livello europeo (si pensi, a puro<br />

titolo d’esempio, alla MiFID, alla UCITS IV) e <strong>italiano</strong><br />

(quali la legge 262, legge 231, Regolamenti vari emanati<br />

dai Regulators italiani, ecc).<br />

È probabile che una delle conseguenze della crisi sarà<br />

un ulteriore innalzamento del livello di regolamentazione<br />

del <strong>sistema</strong> finanziario, risparmio gestito compreso;<br />

gli operatori dovranno quindi essere pronti a cogliere le<br />

opportunità e ad anticipare e prevenire le minacce<br />

derivanti dal probabile nuovo contesto normativo.<br />

Dal punto di vista politico e fiscale sono attese da<br />

parte dei governi manovre finalizzate a reperire risorse<br />

finanziarie a causa della citata crisi. In effetti, i sostanziosi<br />

interventi dei governi finalizzati a ri<strong>du</strong>rre gli impatti<br />

della crisi hanno avuto un costo significativo ed è<br />

in<strong>du</strong>bbio che la società dovrà sopportare il costo di questi<br />

interventi attraverso una crescita della pressione<br />

fiscale. Alternativamente i governi hanno iniziato una<br />

ricerca di risorse senza confine. Le nazioni del G8 e del<br />

G20 hanno intrapreso una attività di cooperazione sul<br />

tema della lotta ai paradisi fiscali al fine di attivare sanzioni<br />

coordinate e multilaterali.<br />

Coerentemente con questa linea politica il governo<br />

<strong>italiano</strong> ha introdotto lo scudo fiscale. <strong>Il</strong> procedimento<br />

ha consentito un rientro di capitali complessivo tra il<br />

2009 ed il 2010 di quasi 100 miliardi di euro. Asset<br />

finanziari che, in tale situazione di mercato, sono ancora<br />

detenuti dalla clientela prevalentemente sotto forma<br />

di liquidità e depositi ma, presumibilmente, nei prossimi<br />

mesi verranno in parte spostati verso asset class e<br />

prodotti differenti, fornendo una boccata di ossigeno<br />

non solo alle banche private, ma anche agli operatori<br />

del risparmio gestito. Nel corso del 2011 assisteremo,<br />

probabilmente, ad un riallineamento dei capitali scudati<br />

verso l’asset mix tipico della clientela private, con uno<br />

spostamento di ricchezza finanziaria verso prodotti di<br />

risparmio gestito. In particolare, ci aspettiamo che<br />

circa 30 dei 100 miliardi rientrati verranno veicolati<br />

verso prodotti obbligazionari dove la parte del leone la<br />

faranno senz’altro le obbligazioni bancarie, una parte<br />

rilevante, circa 20 miliardi, verrà invece veicolata verso<br />

prodotti di risparmio gestito, dove ci aspettiamo che un<br />

ruolo rilevante, circa 15 miliardi, sarà ricoperto dai prodotti<br />

core del private banking, fondi comuni d’investimento,<br />

SICAV e gestioni patrimoniali. I prodotti assicurativi,<br />

infine, si presume attireranno circa 4 miliardi 3 .<br />

Dal punto di vista fiscale è opportuno ricordare come<br />

il settore <strong>italiano</strong> del risparmio gestito risenta di uno<br />

svantaggio fiscale derivante dalla diversa modalità di<br />

applicazione delle aliquote rispetto al contesto internazionale.<br />

In effetti, si ricorda che l’attuale disciplina<br />

legislativa prevede che i redditi dei fondi comuni italiani<br />

siano tassati per “maturazione”, con imposta annuale<br />

del 12,5% sul risultato maturato di gestione (incremento<br />

di valore registrato dalle attività finanziarie gestite<br />

nell’anno solare) direttamente a carico dello stesso<br />

fondo e, quindi, a prescindere dal fatto che i sottoscrittori<br />

li abbiano o meno percepiti. Al contrario, i redditi<br />

dei fondi comunitari armonizzati sono tassati per<br />

cassa e a carico dei partecipanti, ossia solo al momento<br />

in cui vengono effettivamente percepiti da parte di<br />

questi ultimi; il prelievo dell’imposta è quindi differito fino<br />

al momento del riscatto delle quote di partecipazione<br />

e i rendimenti dei fondi resi pubblici sono lordi.<br />

I fondi italiani, inoltre, in caso di ri<strong>du</strong>zione di valore<br />

della massa gestita, contabilizzano un “risparmio d’imposta”,<br />

che può essere compensato con le imposte che<br />

il fondo dovrà pagare nei periodi successivi ovvero<br />

con quelle dovute da altri fondi gestiti dalla medesima<br />

SGR.<br />

Detto risparmio d’imposta, che viene rilevato nell’attivo<br />

patrimoniale, incrementa il valore della quota, ma ne<br />

rappresenta una posta immobilizzata e infruttifera,<br />

ricollegabile ai risultati negativi di gestione accumulati<br />

nel passato. L’ammontare dei relativi rendimenti resi<br />

pubblici è sempre al netto dell’imposta.<br />

Tale differenza di trattamento risulta penalizzante per i<br />

<br />

3. Osservatorio Private Banking 2010, PricewaterhouseCoopers Advisory.<br />

71


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

prodotti dell’in<strong>du</strong>stria “domestica” da almeno <strong>du</strong>e<br />

diversi punti di vista:<br />

• non comparabilità (in assenza di condizioni univoche)<br />

dei rendimenti offerti rispetto ai fondi armonizzati di altri<br />

Paesi UE;<br />

• difficoltà di gestione (a causa della questione del<br />

“risparmio d’imposta” sopraccitata) di portafogli gravati<br />

da una posta dell’attivo illiquida e infruttifera.<br />

Dal punto di vista politico e normativo è da segnalare<br />

inoltre la spinta del Regolatore ad una separazione<br />

tra distribuzione e pro<strong>du</strong>zione, separazione che<br />

contribuirà alla ridefinizione degli equilibri dell’arena<br />

competitiva.<br />

Per quanto riguarda i fattori sociali ed ambientali, si ritiene<br />

opportuno segnalare la crisi di fi<strong>du</strong>cia della clientela<br />

verso le banche e la crescente percezione di insicurezza<br />

verso tutti i prodotti finanziari. Dopo le “scottature del<br />

mercato” non stupisce la conseguente ricerca da parte<br />

della clientela di prodotti poco rischiosi, “plan vanilla”,<br />

semplici e trasparenti.<br />

Dall’ultima relazione annuale della Banca d’Italia risulta<br />

in crescita lo stock di ricchezza finanziaria delle<br />

famiglie anche se aumenta la concentrazione della<br />

ricchezza e dei redditi. Aumenta la distribuzione della<br />

ricchezza a favore delle famiglie più “ricche”, mentre il<br />

potere d’acquisto segue un trend negativo da cui deriva<br />

una diminuzione del risparmio che impatta soprattutto<br />

le famiglie di reddito medio e medio-basso.<br />

Dal punto di vista tecnologico risulta evidente il miglioramento<br />

della gestione degli scambi grazie all’utilizzo<br />

di piattaforme più avanzate, all’incremento degli<br />

strumenti informatici a presidio del rischio e della<br />

gestione di strumenti finanziari complessi, allo sviluppo<br />

di strumenti di Personal Financial Planning sempre<br />

più completi e coerenti con le esigenze della clientela.<br />

L’innovazione tecnologica sta inoltre sicuramente giocando<br />

un ruolo fondamentale nel permettere un incremento<br />

della trasparenza informativa richiesta anche<br />

dalla regolamentazione.<br />

A conclusione dell’analisi, si ritiene opportuno evidenziare<br />

come il sentiment degli operatori dell’Asset<br />

Management risulti ancora poco favorevole in termini<br />

di aspettative per il 2011, a causa della generale<br />

instabilità economica e finanziaria globale ma soprattutto<br />

a causa delle difficoltà strutturali dell’in<strong>du</strong>stria in<br />

Italia e ciò nonostante l’atteso aumento della ricchezza<br />

e del risparmio complessivo, guidato dal rientro<br />

di capitali.<br />

Analisi dell’ambiente competitivo<br />

I potenziali entranti<br />

In Italia le maggiori barriere all’ingresso per i potenziali<br />

entranti si identificano nell’accesso alla rete distributiva<br />

e nell’identità di brand. <strong>Il</strong> peso del canale <strong>bancario</strong> nella<br />

distribuzione di prodotti bancari è preponderante. La<br />

necessità di disporre di una rete distributiva diventa<br />

quindi fondamentale. Nessuno dei primi 10 player del<br />

settore risulta essere indipendente da un gruppo<br />

Bancario/Assicurativo: a dicembre 2008 gli attori<br />

indipendenti si contendevano, infatti, poco meno del 5%<br />

dell’AuM 4 e nel 2009 la situazione non appare cambiata.<br />

È quindi la commercializzazione dei prodotti lo scoglio<br />

più difficile da superare nell’attuale contesto<br />

dell’Investment Management <strong>italiano</strong>. La tipicità del<br />

settore, che vede i prodotti “captive” farla da padrone,<br />

rende molto difficile, di fatto, l’ingresso di potenziali nuovi<br />

competitors sul mercato.<br />

La scarsa minaccia di nuovi potenziali entranti nel<br />

mercato dell’Investment Management ha un impatto<br />

molto positivo sull’attrattività del mercato stesso.<br />

Essendo molto difficile l’ingresso di nuovi player in<br />

grado di modificare gli assetti già consolidati del settore,<br />

la situazione competitiva non viene modificata,<br />

creando di fatto un vantaggio per la redditività degli<br />

insiders.<br />

I prodotti sostitutivi<br />

Nei prodotti sostitutivi, la minaccia maggiore arriva dai<br />

prodotti canalizzati verso il cliente finale (retail/<br />

institutional) dalla rete bancaria. Sono, quindi, i prodotti<br />

tipicamente bancari (obbligazioni/certificati) e quelli di<br />

bancassurance (polizze assicurative di ramo I, unit/index<br />

linked) i maggiori indiziati come capacità sostitutiva,<br />

soprattutto in termini di volumi di sostituzione.<br />

Non va sottovalutata, però, la crescita dei prodotti<br />

4. Fonte: ORFEO - Osservatorio sui risparmi delle famiglie – <strong>Il</strong> settore del risparmio gestito in Italia, 2009.<br />

72


<strong>Il</strong> risparmio gestito in Italia<br />

GINO GANDOLFI &<br />

GIACOMO NERI<br />

ETF/ETC che, per i minori costi di gestione e per la<br />

maggior trasparenza, risultano essere dei forti<br />

concorrenti “interni” ai fondi tradizionali così come i<br />

conti di deposito online che, pur presentando una<br />

redditività modesta, hanno il pregio di essere liquidi,<br />

trasparenti e di essere percepiti come sicuri dalla<br />

clientela.<br />

La minaccia di prodotti sostitutivi ha un impatto molto<br />

negativo sull’attrattività del settore. Per il distributore,<br />

infatti, i prodotti bancari (obbligazioni proprie, etc.)<br />

garantiscono una redditività maggiore e, di conseguenza,<br />

possono costituire un pericolo per la redditività<br />

attuale e futura del settore.<br />

I fornitori<br />

Nel panorama <strong>italiano</strong> dell’Investment Management si<br />

ritiene che i fornitori (broker, technology provider,<br />

outsourcer, gestori terzi, head hunter ecc.) non siano<br />

in grado di esercitare una forza tale da avere impatti<br />

sulla redditività dei players del settore e ciò in ragione<br />

soprattutto della numerosità/concorrenzialità degli<br />

stessi rispetto agli acquirenti (società di gestione del<br />

risparmio).<br />

I bassi costi di intermediazione e la forte concorrenzialità<br />

dei brokers, la bassa propensione negli investimenti IT,<br />

la quota resi<strong>du</strong>ale gestita in delega da gestori esteri e,<br />

per ultimo, il ricorso resi<strong>du</strong>ale a servizi di outsourcing<br />

depongono tutti a favore della tesi di cui sopra.<br />

Clienti e canali distributivi<br />

Nel contesto <strong>italiano</strong>, ma non solo, il potere contrattuale<br />

dei clienti aumenta all’aumentare della loro fascia di ricchezza/capacità<br />

di investimento. L’attuale target di<br />

clientela del settore vede la clientela retail prevalere su<br />

quella istituzionale e private, sia in termini di numerosità<br />

e di AuM (la quota media del retail, per operatore in<br />

Italia, si aggira intorno all’80%) sia in termini di redditività.<br />

La clientela retail ha un basso potere contrattuale e, di<br />

conseguenza, subisce le politiche di pricing e di<br />

prodotto delle banche distributrici, mentre la clientela<br />

private ed istituzionale, grazie ad un maggior potere<br />

contrattuale, riesce talvolta ad incidere sulle politiche di<br />

prodotto e di prezzo degli operatori.<br />

Ad onor del vero, però, il vero cliente dell’asset manager<br />

<strong>italiano</strong> è la distribuzione. Molto forte risulta il potere<br />

contrattuale del distributore con cui il cliente finale si<br />

interfaccia. La rete distributiva ha una forza contrattuale<br />

altissima nei confronti degli operatori del settore, cui praticamente<br />

drena tutti gli utili sotto forma di retrocessioni<br />

e dividendi.<br />

L’impatto andrebbe quindi considerato nell’ottica di<br />

una strategia comune “fabbrica-distributore” che la<br />

struttura proprietaria di gruppo pone in essere, strategia<br />

che pone la redditività del canale distributivo ad un livello<br />

di importanza superiore rispetto alla redditività della<br />

singola fabbrica prodotto.<br />

Incumbents<br />

I players presenti nel contesto <strong>italiano</strong> dell’Investment<br />

Management sono caratterizzati da entità legali differenti:<br />

SGR, Sicav, Gestori Esteri, SIM, Banche, Società<br />

Assicurative.<br />

Nonostante la numerosità e l’eterogeneità del gruppo<br />

indivi<strong>du</strong>ato, che dovrebbe far pensare ad un mercato<br />

aperto e concorrenziale, la tipicità del contesto <strong>italiano</strong>,<br />

che vede i diversi operatori identificati in precedenza non<br />

operare in modo indipendente ma, al contrario, nel<br />

contesto di un gruppo Bancario/Assicurativo “conglomerato”,<br />

fa sì che il mercato diventi chiuso, molto<br />

concentrato e di conseguenza poco concorrenziale.<br />

La concentrazione 5 e la chiusura del mercato associata<br />

alla bassa concorrenzialità hanno un impatto sulla redditività<br />

degli operatori.<br />

La valutazione complessiva evidenzia una situazione<br />

reddituale del settore poco attrattiva in ragione della<br />

forza espressa dai canali distributivi e della minaccia<br />

esercitata dai prodotti sostitutivi.<br />

Infatti, nonostante il settore sia in grado di pro<strong>du</strong>rre nel<br />

2009 circa 13 mld. € di ricavi 6 , gli stessi – al netto dei<br />

costi, pari a circa 2,9 mld. € – sono “drenati” dalla rete<br />

distributiva bancaria sotto forma di commissioni di<br />

retrocessione (7,7 mld. €) e dividendi.<br />

<br />

5. I primi 10 player gestiscono circa l’80% del patrimonio promosso complessivo, fonte dati societari aggiornati a ottobre 2009. Elaborazione ORFEO - Osservatorio<br />

sui risparmi delle famiglie – <strong>Il</strong> settore del risparmio gestito in Italia, 2009.<br />

6. Fonte: elaborazione PwC Advisory su dati societari.<br />

73


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

FIGURA 1. Ricchezza delle famiglie italiane<br />

mld di €<br />

10 000<br />

9 000<br />

8 000<br />

7 000<br />

6 000<br />

5 000<br />

4 000<br />

3 000<br />

2 000<br />

1 000<br />

0<br />

+ 4,5 %<br />

9 227 9 480<br />

8 818<br />

9 088<br />

8 287<br />

7 749<br />

7 260<br />

3 480<br />

3 678<br />

3 633<br />

3 374<br />

3 487<br />

3 280<br />

3 079<br />

461<br />

475<br />

492<br />

442<br />

436<br />

413<br />

432<br />

3 769 4 036 4 364 4 743 5 089 5 240 5 508<br />

2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009<br />

Totale patrimonio immobiliare Totale attività reali Totale attività finanzianie<br />

%<br />

CAGR<br />

Totale ricchezza delle famiglie<br />

Fonte: ORFEO, Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie, il settore del Risparmio gestito in Italia, 2009<br />

La ricchezza delle famiglie in Italia<br />

In Italia la ricchezza delle famiglie, da sempre fortemente<br />

legata alle attività reali e in particolare al patrimonio<br />

immobiliare, dopo il declino registrato nel 2008 è tornata<br />

a crescere nel 2009 raggiungendo il massimo<br />

storico di 9.480 Miliardi di Euro. Come mostrano i<br />

grafici sottostanti, la crescita media annua dal 2003-<br />

2009 è stata del 4,5%.<br />

Analizzando in particolare i dati di Banca d’Italia riferiti<br />

alla composizione del portafoglio delle famiglie, emerge<br />

il grande peso dell’investimento immobiliare in crescita<br />

e la cui incidenza risulta superiore in Italia rispetto<br />

a quello di altri Paesi europei (cfr. figura 1) 7 .<br />

<strong>Il</strong> peso delle attività finanziarie nel portafoglio delle<br />

famiglie italiane è, invece, calato del 5%, (passando dal<br />

42% del 2003 al 37% del 2009), attestandosi a<br />

mld di €<br />

4 000<br />

3 500<br />

3 000<br />

2 500<br />

2 000<br />

1 500<br />

1 000<br />

500<br />

0<br />

FIGURA 2. Andamento della ricchezza finanziaria delle famiglie<br />

+ 1,8%<br />

3 633 3 678<br />

3 487<br />

3 480<br />

3 280<br />

3 374<br />

109 112<br />

3 079<br />

111<br />

2 952 2 927 2 966<br />

110<br />

114<br />

100<br />

667 726<br />

94 86 91<br />

94<br />

642<br />

674<br />

766<br />

745<br />

504 562 622<br />

624<br />

853<br />

921 962<br />

667<br />

707<br />

806<br />

1 064<br />

730<br />

768<br />

1 026<br />

904<br />

972 1 025 1 008<br />

815 784<br />

787<br />

858<br />

717<br />

761<br />

388 327<br />

338 321 331 302<br />

454<br />

264<br />

164 181<br />

330 370 413 468 521 578 611 607 587 619<br />

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009<br />

Prestiti e altri crediti,<br />

CAGR 1,9 %<br />

Titoli, CAGR 4,4 %<br />

Moneta e depositi,<br />

CAGR 5,3 %<br />

Azioni e partecipazioni,<br />

CAGR - 1,9 %<br />

Fondi comuni,<br />

CAGR - 9,7 %<br />

Assicurazioni e fondi<br />

pensione, CAGR 7,2 %<br />

%<br />

CAGR 2000-2009<br />

Totale<br />

Fonte: ORFEO, 2009<br />

7. Ricchezza definita come attività finanziarie (depositi bancari, risparmio postale, monete, prestiti dei soci alle cooperative, titoli pubblici italiani ed esteri, riserve<br />

tecniche di assicurazione, fondi comuni di investimento, azioni e partecipazioni in società di capitali e quasi-società, altri conti attivi), attività reali (Oggetti di valore,<br />

impianti, macchinari, attrezzature, scorte e avviamenti) e patrimonio immobiliare (abitazioni, fabbricati non residenziali, terreni).<br />

74


<strong>Il</strong> risparmio gestito in Italia<br />

GINO GANDOLFI &<br />

GIACOMO NERI<br />

FIGURA 3. Segmentazione della ricchezza delle famiglie italiane (mld di €)<br />

Istituzionali<br />

517<br />

Risparmio Gestito<br />

1 466<br />

238<br />

711<br />

Ricchezza<br />

delle famiglie<br />

italiane<br />

Risparmio<br />

Amministrato<br />

+ Circolante<br />

644<br />

1 887<br />

3 480<br />

2 531<br />

Elaborazione PwC Advisory – Stime 2009<br />

su dati Banca d’Italia al III trimestre 2009–<br />

Dati espressi in mld di Euro<br />

private<br />

882<br />

retail + small business<br />

2 598<br />

Investitori Istituzionali<br />

Richezza famiglie private<br />

Richezza altre famiglie<br />

Risparmio Gestito<br />

Fonte: ORFEO, 2009<br />

3.480 miliardi di Euro. Questa ricchezza è ricon<strong>du</strong>cibile<br />

per il 27% in prodotti di risparmio gestito e per il 73%<br />

in risparmio amministrato e circolante.<br />

In particolare, l’Italia presenta un livello di ricchezza<br />

finanziaria, in proporzione al valore delle attività pro<strong>du</strong>ttive,<br />

relativamente elevato (pari a circa tre volte il PIL)<br />

e superiore ai principali Paesi escluso il Regno Unito<br />

che, insieme con Svizzera e Stati Uniti, risulta tra i<br />

Paesi con il maggiore tasso di finanziarizzazione dell’economia<br />

in Occidente<br />

<strong>Il</strong> trend della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane<br />

mostra, inoltre, come a fronte di un incremento medio<br />

della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane pari<br />

all’1,8% nel periodo 2000-2009, le attività investite in<br />

fondi comuni hanno fornito un contributo negativo in termini<br />

di crescita media (-9,7%). Nello stesso periodo i<br />

prodotti assicurativi (riserve tecniche) e fondi pensione<br />

sono stati caratterizzati da un netto rialzo (+7.2%). E’<br />

importante rilevare come a seguito della crisi occorsa<br />

nel 2008 il livello di ricchezza finanziaria sia tornato ai<br />

dati del 2005 (cfr. figura 2).<br />

Nel 2009 il settore del risparmio gestito ha raggiunto un<br />

valore del patrimonio promosso complessivo pari a<br />

1.466 mld di euro. Si può stimare che i prodotti siano<br />

destinati per circa il 35% alla clientela istituzionale<br />

(circa 517 miliardi) e per il restante 65% alle famiglie<br />

italiane (circa 949 miliardi), di cui 238 ricon<strong>du</strong>cibili alla<br />

clientela private e 711 miliardi ricon<strong>du</strong>cibile alla clientela<br />

retail e small business 8 (cfr. figura 3).<br />

Da evidenziare come, in realtà, una gran parte della<br />

ricchezza finanziaria delle famiglie italiane sia in realtà<br />

“immobilizzata”. Se analizziamo in dettaglio i dati<br />

Banca d’Italia emerge che gli investimenti azionari<br />

includono anche le partecipazioni in<strong>du</strong>striali e le quote<br />

delle S.r.l. che nella percezione delle famiglie italiane<br />

non rappresentano sicuramente un investimento<br />

finanziario.<br />

Andamento storico e trend<br />

del Risparmio Gestito<br />

L’evoluzione storica del settore evidenzia che, dopo un<br />

biennio di crescita del patrimonio gestito complessivo<br />

(2005-2006), nel 2007 il trend si è invertito portando una<br />

ri<strong>du</strong>zione del patrimonio nel 2008 di circa il 21%.<br />

Secondo le stime effettuate, si rileva una ripresa nel<br />

2009 (+16%) e si prevede per il 2011 il ritorno ai livelli<br />

<br />

8. Elaborazione ORFEO - Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie – Stime 2009 su dati Banca d’Italia al III trimestre 2009.<br />

75


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

mld di €<br />

1 800<br />

1 600<br />

1 400<br />

1 200<br />

1 000<br />

800<br />

600<br />

400<br />

200<br />

0<br />

FIGURA 4. L’in<strong>du</strong>stria del risparmio gestito - Segmentazione per prodotti<br />

+ 0,8%<br />

1 642 1 605<br />

1 637<br />

1 559<br />

60,4% 60,9%<br />

1 466<br />

59,3%<br />

332<br />

323<br />

345 1 265<br />

428<br />

51,1% 373<br />

51,1%<br />

49,9%<br />

40,7%<br />

259<br />

48,9% 50,1% 48,9%<br />

247<br />

251<br />

39,6% 39,1%<br />

317<br />

52<br />

314<br />

46<br />

58<br />

284<br />

353<br />

241<br />

94<br />

318<br />

339<br />

75<br />

61<br />

333<br />

288<br />

246<br />

624 646 612<br />

400 446 467<br />

2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011<br />

70%<br />

60%<br />

50%<br />

% CAGR 2005-2011<br />

Totale AUM<br />

QM prodotti Assicurativi<br />

Unit/Index Linked, CAGR 4,8%<br />

40% Polizze assicurative, CAGR 4,1%<br />

Fondi Pensione, CAGR 12,7%<br />

30%<br />

QM prodotti Bancari<br />

20% Gestioni indivi<strong>du</strong>ali, CAGR 0,8%<br />

10% Gestioni collettive, CAGR -4,7%<br />

Forecast<br />

0%<br />

Elaborazione PwC Advisory su dati Assogestioni e dati societari -Dati espressi in mld di Euro<br />

Fonte: ORFEO, 2009<br />

di picco del 2006. Considerando invece un arco<br />

temporale di sette anni, dal 2005 al 2011, si stima un<br />

tasso medio di crescita positivo del patrimonio gestito<br />

complessivo pari a circa lo 0,8% 9 .<br />

Nel biennio 2005-2006 l’andamento del patrimonio<br />

promosso, scomposto nelle 5 principali macrocategorie<br />

di prodotto, evidenzia un andamento positivo destinato<br />

ad arrestarsi a partire dall’anno successivo per il calo<br />

dei fondi comuni d’investimento e delle gestioni<br />

patrimoniali. A partire dal 2007, le gestioni collettive e<br />

indivi<strong>du</strong>ali subiscono una sensibile ri<strong>du</strong>zione, mentre i<br />

Fondi Pensione presentano un incremento di oltre il 6%<br />

(cfr. figura 4).<br />

Nel triennio 2005-2007 il peso dei diversi prodotti<br />

del risparmio gestito sull’AuM non ha subìto rilevanti<br />

cambiamenti; le variazioni, infatti, sono state di<br />

circa l’1% tra un anno e l’altro. A partire dal 2008, i<br />

Fondi Comuni ri<strong>du</strong>cono sensibilmente il loro peso<br />

percentuale, mentre si affermano prodotti di tipo<br />

assicurativo come unit/index linked e polizze<br />

assicurative tradizionali.<br />

In termini assoluti, si osserva come, dal 2006 ad oggi,<br />

l’andamento degli investimenti in prodotti obbligazionari<br />

ed azionari ha registrato un costante calo, mentre<br />

gli investimenti in altri prodotti, quali hedge, immobiliari<br />

e “non classificati”, hanno mostrato una crescita<br />

costante nel triennio 2005-2007. Nel 2008, si assiste<br />

ad una ri<strong>du</strong>zione del patrimonio promosso per tutte le<br />

tipologie di prodotti; per il triennio 2009-2011 si stima<br />

una lieve ripresa dello stesso, in termini assoluti, per<br />

alcune tipologie di prodotto obbligazionari e monetari<br />

in particolare 10 (cfr. figura 5).<br />

I canali distributivi del Risparmio Gestito<br />

L’analisi conferma la prevalenza del canale <strong>bancario</strong> per<br />

la distribuzione dei prodotti di risparmio gestito: nel 2008<br />

quasi il 70% delle masse promosse è stato intermediato<br />

attraverso sportelli bancari. L’analisi svolta mostra,<br />

però, come la quota percentuale di AuM riferita al<br />

canale <strong>bancario</strong> sia diminuita nell’arco temporale 2005-<br />

2008 e, secondo le stime effettuate, diminuirà nei<br />

prossimi anni. La ridistribuzione è dovuta principalmente<br />

all’aumento di quota di mercato di altri canali quali<br />

agenti/broker assicurativi – anche per la crescita della<br />

presenza di Gruppi Assicurativi nel settore del risparmio<br />

gestito – reti di promotori finanziari e consulenti<br />

indipendenti nonché dei canali alternativi (Poste Italiane)<br />

(cfr. figura 6).<br />

9. Elaborazione ORFEO - Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie su dati societari.<br />

10. Dati del grafico in milioni di euro. Ns elaborazione su dati Assogestioni e dati societari.<br />

76


<strong>Il</strong> risparmio gestito in Italia<br />

GINO GANDOLFI &<br />

GIACOMO NERI<br />

FIGURA 5. L’in<strong>du</strong>stria del risparmio gestito - Segmentazione per asset class<br />

mld di €<br />

1 800<br />

1 600<br />

1 400<br />

1 200<br />

1 000<br />

800<br />

600<br />

400<br />

200<br />

0<br />

1 559<br />

956<br />

342<br />

182<br />

28<br />

51<br />

1 641<br />

989<br />

385<br />

182<br />

41<br />

45<br />

1 605<br />

904<br />

365<br />

219<br />

57<br />

61<br />

+ 0,8%<br />

1 265<br />

783<br />

178<br />

205<br />

64<br />

34<br />

2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011<br />

1 465<br />

903<br />

215<br />

237<br />

72<br />

39<br />

1 549<br />

959<br />

225<br />

249<br />

75<br />

40<br />

1 637<br />

1 019<br />

236<br />

261<br />

77<br />

42<br />

% CGAR<br />

Obbligazionari<br />

Azionari<br />

Fondi di Liquidità<br />

Real Estate<br />

Hedge<br />

Fonte: ORFEO, 2009<br />

Domanda ed offerta e business arena<br />

In generale, la domanda degli investitori risulta polarizzata<br />

tra esigenze primarie della clientela retail ed<br />

esigenze avanzate della clientela private ed istituzionale.<br />

A tale polarizzazione fa fronte una diversa offerta di prodotti<br />

(standardizzazione Vs specializzazione) e differenti<br />

player di mercato.<br />

Analizzando nel loro complesso le principali variabili<br />

utilizzate per l’analisi dei poli pro<strong>du</strong>ttivi del settore 11 e<br />

il range di prodotti offerti per ciascuna tipologia di<br />

player, risulta che i prodotti bancari e quelli assicurativi<br />

si spartiscono più o meno equamente il mercato<br />

(51% bancari e 49% assicurativi).<br />

<br />

FIGURA 6. L’in<strong>du</strong>stria del risparmio gestito – Canali distributivi<br />

mld di €<br />

1 800<br />

1 600<br />

1 400<br />

1 200<br />

1 000<br />

800<br />

600<br />

400<br />

200<br />

0<br />

1 559 1 642 1 605 1 265 1 466 1 637<br />

74,7 %<br />

74,1 %<br />

72,5 %<br />

69,8 %<br />

68,7 %<br />

64,1 %<br />

1 164<br />

203<br />

78<br />

70<br />

43<br />

13,0 %<br />

5,0 %<br />

1 217<br />

218<br />

86<br />

70<br />

50<br />

13,3 %<br />

5,3 %<br />

1 165<br />

227<br />

94<br />

68<br />

52<br />

14,2 %<br />

5,9 %<br />

+ 0,8 %<br />

883<br />

173<br />

97<br />

64<br />

48<br />

13,7 %<br />

1 007<br />

120<br />

74<br />

56<br />

2005 2006 2007 2008 2009 2011<br />

7,7 %<br />

210<br />

14,3 %<br />

8,2 %<br />

14,6 %<br />

10,9 %<br />

1 049<br />

239<br />

178<br />

91<br />

79<br />

80 %<br />

70 %<br />

60 %<br />

50 %<br />

40 %<br />

30 %<br />

20 %<br />

10 %<br />

0 %<br />

% CAGR 2005-2011<br />

Total AUM<br />

Canale <strong>bancario</strong>, CAGR - 2%<br />

Promotori/IFA/SIM, CAGR 3%<br />

Agenti/broker, CAGR 4%<br />

Canale diretto, CAGR 15%<br />

Altro, CAGR 11%<br />

QM Agenti/broker<br />

QM promotori/IFA/SIM<br />

QM canale <strong>bancario</strong><br />

Forecast<br />

Fonte: ORFEO, 2009<br />

11. Fonte: Ns. elaborazione su dati Assogestioni e dati societari.<br />

77


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

FIGURA 7. Principali economics business arena<br />

AuM per<br />

prodotto<br />

% AuM<br />

sul tot.<br />

Poli di<br />

Asset<br />

Mngt<br />

Poli<br />

Assicurativi<br />

Poli<br />

Bancari<br />

460 282 368 71 285<br />

Tot.AuM<br />

CAGR AuM<br />

31,4 % 19,3 % 25,1 % 4,8 % 19,5 %<br />

1.466<br />

2005 - 2009<br />

Prod. Bancari<br />

(742mln€ - 51 %)<br />

Gestioni Collettive<br />

Gestioni Indivi<strong>du</strong>ali<br />

Unite Index Linked<br />

Totale<br />

Prod. Assicurativi<br />

(724mln€ – 49 %)<br />

Fondi Pensione<br />

Polizze Assicurative Vita<br />

AuM Ricavi Utili<br />

1005 8,1 1,3<br />

AuM Ricavi Utili<br />

AuM Ricavi Utili<br />

mld €<br />

Redd.<br />

Lorda<br />

(bps)<br />

Redd.<br />

Lorda<br />

(bps)<br />

Redd.<br />

Lorda<br />

(bps)<br />

Redd.<br />

Netta<br />

(bps)<br />

Redd.<br />

Netta<br />

(bps)<br />

Redd.<br />

Netta<br />

(bps)<br />

Marginalità<br />

(%)<br />

81 13 16 %<br />

Marginalità<br />

(%)<br />

375 4,1 1,2 109 33 30 %<br />

Marginalità<br />

(%)<br />

85 0,7 0,4 85 43 50 %<br />

1 466 13 2,9 88 20 23 %<br />

Best<br />

- 1,9 %<br />

- 0,5 %<br />

- 0,8 %<br />

Worst<br />

Fonte: ORFEO, 2009<br />

I poli assicurativi presentano una redditività lorda più alta,<br />

ma sono i poli bancari ad avere la redditività netta e la<br />

marginalità migliori; i poli di asset management risultano<br />

essere i meno efficienti (cfr. figura 7).<br />

I clienti High Net Worth<br />

Una parte rilevante della ricchezza finanziaria<br />

delle famiglie italiane (pari a circa il 25%) 12 è detenuta<br />

dalle famiglie più ricche, che rientrano nel novero<br />

FIGURA 8. Gli High Net Worth Indivi<strong>du</strong>als in Italia<br />

stime<br />

Ricchezza<br />

finanziaria<br />

(mld €)<br />

670<br />

710<br />

786<br />

4,7 %<br />

818 829<br />

740<br />

882<br />

929<br />

CAGR<br />

(2003-2009)<br />

Forecast<br />

N famiglie<br />

('000)<br />

Portafoglio<br />

medio (mln €)<br />

2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 E<br />

6,0 % 10,7 % 4,1 % 1,3 % - 10,7 % 19,2 % 5,3 %<br />

n.a. 646 692 703 694 586 640<br />

n.a.<br />

7,1 % 1,6 % - 1,3 % - 15,6 % 9,1 %<br />

n.a. 1,10 1,14 1,16 1,19 1,26 1,38<br />

Ricchezza definita come attività finanziarie (depositi e liquidità, titoli obbligazionari, azioni quotate, fondi comuni, polizze vita e fondi<br />

pensioni) detenute de famiglie con patrimoni superiori a 500.000 euro. 2010 stimato sulla base dello scenario politico, economico,<br />

finanziario al 31 gennaio 2010.<br />

12. Osservatorio Private Banking, PwC Advisory.<br />

YoY<br />

YoY<br />

Fonte: Osservatorio Private Banking, PwC<br />

78


<strong>Il</strong> risparmio gestito in Italia<br />

GINO GANDOLFI &<br />

GIACOMO NERI<br />

della clientela cosiddetta private o High Net Worth.<br />

Questo segmento di clientela è oggetto di particolare<br />

attenzione da parte dei players del Settore del<br />

Risparmio Gestito sia per l’elevata dimensione media<br />

del patrimonio di ogni cliente, sia per l’opportunità di<br />

offrire prodotti e servizi dedicati che non potrebbero<br />

essere collocati presso la clientela retail, quali prodotti<br />

speculativi e fondi chiusi, servizi di ottimizzazione<br />

fiscale, sviluppo di family office, fondi di private equity,<br />

eccetera.<br />

L’aumento di redditività del segmento (+1,2 miliardi di<br />

Euro di ricavi e un +0,4 degli utili) stimato in seguito allo<br />

scudo e quindi all’ampliamento della base cliente (da<br />

586 mila a 640 mila famiglie) e delle masse (aumento<br />

del portafoglio medio da 1,26 a 1,38 milioni) fa del private<br />

banking un notevole punto di interesse da parte<br />

degli operatori di asset management.<br />

L’analisi dell’AuM della clientela private mostra che<br />

dopo una sostanziale diminuzione avvenuta nel corso<br />

del 2008, nel 2009 si segnala un incremento del 19,2%<br />

della ricchezza nel mercato <strong>italiano</strong> degli High Net<br />

Worth Indivi<strong>du</strong>al (HNWI), con una stima di circa 882<br />

miliardi di euro detenuti da circa 640 mila famiglie<br />

HNW.<br />

Tale incremento è ricon<strong>du</strong>cibile per 54 mld alla performance<br />

(+7,3%), per 3 mld a nuovi conferimenti (+0,4%)<br />

e per circa 85 miliardi (+11,5%) allo scudo fiscale. Gli<br />

effetti dello scudo 2010, sono stimabili, ad oggi, in<br />

circa 10 mld (+1,1%) (cfr. figura 8, 9).<br />

Nel mercato del private banking un ruolo decisivo lo ha<br />

sicuramente ricoperto lo scudo fiscale.<br />

Circa 100 miliardi sono rientrati tra il 2009 ed il 2010.<br />

Da segnalare che una gran parte di questi capitali<br />

(circa il 50%) sono detenuti in liquidità, circostanza<br />

che rappresenta una grande opportunità per le banche<br />

private ma anche per gli asset managers. Si stima<br />

che, a partire dai prossimi mesi (probabilmente dal<br />

2011), la componente liquida dei capitali rimpatriati<br />

verranno destinati verso prodotti di risparmio gestito<br />

attraverso intermediari specializzati non generalisti<br />

(private banking) ed asset managers che detengono il<br />

know-how, le competenze e le risorse necessarie per<br />

gestirli. ◗<br />

FIGURA 9. Evoluzione degli asset detenuti dagli High Net Worth Indivi<strong>du</strong>als in Italia<br />

Var % vs<br />

anno prec.<br />

stime<br />

Effetto<br />

performance<br />

+ 2,9 % + 1,1 % + 4,1 % + 1,0 % + 0,3 % + 1,3 % - 11,3 % + 1,1 % -10,7 % + 7,3 % + 0,4 % + 11,5 % +19,2 % + 5,7 % -1,5 % +1,1 % +5,3 %<br />

+23 +9<br />

Net<br />

inflow<br />

Effetto<br />

performance<br />

+8<br />

Net<br />

inflow<br />

+3<br />

Effetto<br />

performance<br />

Net<br />

-98 inflow<br />

+9<br />

Effetto<br />

performance<br />

+54<br />

Net<br />

inflow<br />

+3<br />

Scudo<br />

2009<br />

+85<br />

Effetto<br />

performance<br />

+50<br />

Net<br />

Scudo<br />

2010<br />

inflow*<br />

+10<br />

-13<br />

786<br />

818 829 740 882 929<br />

2005 2006 2007 2008 2009 2010 E<br />

Forecast<br />

2010 stimato sulla base dello scenario politico, economico, finanziario al 31 gennaio 2010.<br />

(*): Raccolta 2010: raccolta negativa influenzata da un consistente spostamento di parte del patrimonio finanziario scudato nel corso<br />

del 2009 da parte della clientela private da attività finanziarie verso attività reali (immobili/aziende), solo parzialmente compensato<br />

da una crescita della raccolta positiva derivante da ricchezza reale.<br />

Fonte: Osservatorio Private Banking, PwC<br />

79


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

Assogestioni – Annuario, vari anni.<br />

Banca d’Italia, intervento del Dott. Carosio, Assemblea Annuale Assogestioni, “Fondi Comuni e Crisi dei Mercati –<br />

L’impatto della crisi finanziaria sui fondi comuni” 18 marzo 2010.<br />

Banca d’Italia - Supplementi al Bollettino Statistico - Conti Finanziari 2010.<br />

Banca d’Italia - Relazione Annuale– Roma, 31 maggio 2010 - Considerazioni finali del Governatore.<br />

F. M. De Rossi, D. Gariboldi, G. Leggieri, A. Russo, Consob, QdF – “<strong>Il</strong> marketing dei Fondi comuni italiani” –<br />

Gennaio 2008.<br />

IMF - World Economic Outlook - Financial Stress, Downturns, and Recoveries, IMF October 2008.<br />

IMRE Advisory – Market turmoil – issues and challenges for asset managers – December 2008.<br />

Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie, Focus Paper - Global Fund Distribution 2009 e posizionamento dell’Italia,<br />

Ottobre 2009.<br />

Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie - “<strong>Il</strong> risparmio delle famiglie italiane: una risorsa strategica per il Paese e<br />

le opportunità dello scudo fiscale”, 8 marzo 2010.<br />

Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie – Relazione al seminario “La Gestione del Risparmio delle Famiglie oltre<br />

la Crisi” – Parma, 30 Giugno 2009.<br />

Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie – <strong>Il</strong> settore del Risparmio Gestito in Italia, 2009.<br />

PricewaterhouseCoopers, “L’in<strong>du</strong>stria del risparmio gestito e del private banking : evoluzione e cambiamenti in<br />

corso”, Convegno ABI-AIPB-Assogestioni, 27 febbraio 2009.<br />

PricewaterhouseCoopers - “Financial Crisis of 2008: Navigating and Mitigating Risks”, PwC Banking & Capital<br />

Markets November 2008.<br />

PricewaterhouseCoopers - DAVOS - World Economic Forum Annual Meeting 2010. Materiale preparato da PwC per<br />

il World Economic Forum.<br />

PricewaterhouseCoopers - The day after tomorrow – Presente e futuro della gestione del risparmio, Ottobre 2009.<br />

80


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

<strong>Il</strong> gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> in Italia<br />

<strong>Il</strong> gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> sviluppa in Italia<br />

l’insieme delle sue attività, talvolta con<br />

delle posizioni tra i leader del mercato.<br />

Queste attività beneficiano di marchi<br />

molto forti e riconosciuti. Esse possono<br />

avvalersi al tempo stesso di partner<br />

italiani di alta qualità e della competenza<br />

che può fornire uno dei primi gruppi<br />

finanziari europei. L’Italia è il secondo<br />

mercato del gruppo dopo la Francia.<br />

ARIBERTO FASSATI<br />

Direttore e membro del Comitato Esecutivo del gruppo<br />

Crédit <strong>Agricole</strong> S.A.<br />

Presidente di Cariparma<br />

Una presenza di lunga <strong>du</strong>rata<br />

<strong>Il</strong> Gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> è presente in Italia da oltre<br />

40 anni.<br />

La sua crescita è avvenuta sia in modo organico sia<br />

come conseguenza delle diverse acquisizioni fatte<br />

dalla Casa Madre. La Banque Indosuez, il Crédit<br />

Lyonnais, Sofinco avevano tutte una presenza operativa<br />

nel paese che si è sviluppata sia in modo autonomo,<br />

sia integrandosi con le altre attività del Gruppo.<br />

<strong>Il</strong> primo investimento diretto del gruppo Crédit <strong>Agricole</strong><br />

in Italia è stata l’acquisizione del 30% del Banco<br />

Ambrosiano nel 1989. La piccola banca privata in difficoltà<br />

è stata risanata e con continui successivi aumenti<br />

di capitale sempre sottoscritti dal Gruppo, per la<br />

sua quota, è diventata Banca Intesa, prima banca italiana.<br />

In questo periodo, vista l’opposizione delle<br />

Autorità Monetarie a che importanti banche italiane<br />

fossero acquisite da gruppi esteri, la strategia di Crédit<br />

<strong>Agricole</strong> era di sviluppare joint-ventures di dimensione<br />

europea con Banca Intesa in diversi settori quali l’asset<br />

management, il credito al consumo e la banca privata<br />

ecc.<br />

La fusione tra Banca Intesa e Istituto San Paolo di<br />

Torino ha comportato per il gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> un<br />

cambio di strategia anche per rispettare le indicazioni<br />

date dall’Antitrust. <strong>Il</strong> gruppo Crédit <strong>Agricole</strong>, pur avendone<br />

la facoltà, non si è opposto alla nascita di questa<br />

grande banca italiana considerando legittima l’aspirazione<br />

del Paese di avere una grande banca<br />

nazionale di dimensione europea. Ha però chiesto in<br />

cambio la creazione di una propria banca che si è<br />

concretizzata all’inizio del 2007 con l’acquisto da<br />

Banca Intesa del Gruppo Cariparma Friuladria composto<br />

da oltre 700 filiali localizzate nelle zone più ricche<br />

del Paese.<br />

Al momento della creazione di questa nuova banca il<br />

management ha comunicato gli obbiettivi principali di<br />

questo investimento. <strong>Il</strong> primo era di raggiungere una<br />

dimensione di circa 1000 sportelli. <strong>Il</strong> secondo, pur<br />

creando con Cariparma Crédit <strong>Agricole</strong> la capogruppo <br />

81


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

del nuovo gruppo <strong>bancario</strong>, di mantenere l’autonomia<br />

della Banca Popolare Friuladria ricreando così, sull’esempio<br />

delle Caisses régionales in Francia, un modello<br />

<strong>bancario</strong> composto da banche fortemente radicate<br />

al territorio.<br />

In questi ultimi mesi è stato raggiunto il primo obbiettivo<br />

con la firma dell’accordo di acquisizione della<br />

Cassa di Risparmio Della Spezia e di ulteriori 100 sportelli<br />

che saranno ripartiti tra Cariparma e Friuladria. Al termine<br />

dell’operazione, la presenza bancaria del Crédit<br />

<strong>Agricole</strong> in Italia sarà composta quindi da Cariparma,<br />

che controlla la maggioranza assoluta di Friuladria, e da<br />

CR della Spezia per un totale, compresi i centri impresa<br />

corporate e private, che si avvicina ai 1000 punti vendita<br />

divenendo così la settima banca italiana per numero<br />

di agenzie. <strong>Il</strong> Gruppo <strong>bancario</strong> avrà oltre 9000<br />

dipendenti, impieghi per circa 33.000 mln di euro, una<br />

raccolta diretta di circa 35.000 mln di euro, un Tier 1<br />

intorno all’8% ed un indice di liquidità tra i migliori<br />

d’Italia, intorno a 0,93. <strong>Il</strong> Gruppo Cariparma Friuladria<br />

è stato inoltre la migliore banca italiana per costo del credito<br />

nel 2009 e con 311 mln di euro di utile netto si è<br />

posizionata al terzo posto tra le banche italiane.<br />

La presenza del gruppo Crédit<br />

<strong>Agricole</strong> in Italia si estende oltre la<br />

banca commerciale<br />

Nel Credito al Consumo la joint venture Agos Ducato<br />

controllata al 60% dal gruppo Crédit <strong>Agricole</strong>, con il<br />

Banco Popolare al 40%, è di gran lunga il leader <strong>italiano</strong><br />

con una quota di mercato del 16% mentre il secondo<br />

concorrente ha meno del 10%. Agos Ducato dispone<br />

di oltre 250 agenzie proprie e può contare su una rete<br />

di circa 3000 agenzie per distribuire i suoi prodotti.<br />

Sempre nel settore del credito al consumo, il gruppo<br />

Crèdit <strong>Agricole</strong> è socio al 50% con Fiat in FGA, società<br />

leader in Europa nel credito automobilistico. La<br />

società che è presente in diciotto paesi europei opera<br />

per tutto il gruppo Fiat e recentemente si sono aggiunti<br />

i marchi Jaguar, Rover e il gruppo Chrysler.<br />

Nel settore delle assicurazioni il gruppo è presente<br />

con Crédit <strong>Agricole</strong> Vita, ottava compagnia del mercato<br />

<strong>italiano</strong> di bancassicurazione e con CA Assicurazioni di<br />

recente costituzione che, adattando il modello di<br />

Pacifica alle caratteristiche del mercato <strong>italiano</strong>, ha<br />

riscosso nel primo anno di attività risultati migliori alle<br />

aspettative nell’assicurazione auto e casa.<br />

Nell’assicurazione crediti con CACI il gruppo é tra i leader<br />

del mercato.<br />

Nel settore del Coporate & Investment Banking da più<br />

di quaranta anni il Gruppo è un attore tra i più importanti<br />

e qualificati del mercato con Crédit <strong>Agricole</strong><br />

Corporate & Investiment Banking (ex Indosuez e Calyon)<br />

ed esercita tre tipi di attività:<br />

•<strong>Il</strong> Capital Market nelle sue diverse funzioni: nel fixed<br />

income, dal forex ai bonds pubblici e privati, alla cartolarizzazione<br />

e nel mercato azionario con Cheuvreux<br />

una delle principali case di ricerca e brokeraggio sulla<br />

borsa italiana.<br />

• La banca di finanziamento, rivolta ai grandi gruppi<br />

italiani con specialisti nel project financing, e l’acquisition<br />

finance, il credito all’esportazione, il credito immobiliare<br />

e lo shipping.<br />

• L’acquisizione e la ristrutturazione di non performing<br />

loans dove la banca è presente da diversi anni sul<br />

mercato dei mutui.<br />

Di più recente creazione sono Crédit <strong>Agricole</strong> Leasing<br />

ed Eurofactor che grazie alle reti bancarie hanno già<br />

acquisito posizioni rilevanti nei rispettivi mercati del<br />

Leasing e del Factoring. Infine, nell’asset management,<br />

Amundi è l’ottava società di gestione del risparmio<br />

in Italia con 25 mld di euro di masse amministrate.<br />

La società é il braccio operativo in Italia di Amundi<br />

SA, controllata al 75% dal gruppo Crédit <strong>Agricole</strong>, che<br />

con 680 Mld di asset è uno dei leader europei del<br />

risparmio gestito.<br />

Maggiore integrazione nel tessuto<br />

economico grazie a partnerships<br />

strategiche<br />

Oltre alla rete bancaria la società, grazie alla qualità e<br />

alle capacità innovative dei suoi prodotti, opera anche<br />

con investitori istituzionali nel paese. Una delle caratteristiche<br />

che differenziano il gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> dagli<br />

altri gruppi esteri presenti in Italia è la grande capacità<br />

di stringere alleanze e operare con partners.<br />

Dopo un’alleanza <strong>du</strong>rata venti anni con Banca Intesa,<br />

il Gruppo è oggi socio di Fondazione Cariparma che<br />

detiene il 15% di Cariparma. Con la Fondazione che<br />

ha voluto reinvestire nella propria banca al momento<br />

82


<strong>Il</strong> gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> in Italia<br />

ARIBERTO FASSATI<br />

del passaggio da Banca Intesa a Crédit <strong>Agricole</strong> i<br />

rapporti sono particolarmente solidi. La joint-venture<br />

riesce ad abbinare le tecnologie di un grande gruppo<br />

<strong>bancario</strong> internazionale come Crédit <strong>Agricole</strong> alla forte<br />

presenza ed influenza locale della Fondazione. Questa<br />

positiva esperienza andrà ripetuta con la Cassa di<br />

Risparmio Della Spezia dove la Fondazione della<br />

Cassa di Risparmio Della Spezia detiene il 20% del<br />

capitale. Nel capitale di Banca Popolare Friuladria<br />

hanno investito oltre 12.000 azionisti privati che sono<br />

spesso soci/clienti e quindi nostri ambasciatori sul<br />

territorio. La joint-venture con Fiat abbina la forza<br />

finanziaria e la tecnologia nel credito al consumo del<br />

gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> alla potenza commerciale e<br />

in<strong>du</strong>striale di uno dei principali operatori automobilistici<br />

europei. L’alleanza con Banco Popolare permette ad<br />

Agos Ducato di utilizzare la rete della quarta banca<br />

italiana.<br />

Questa capacità di operare con partner italiani fa del<br />

gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> non solo la più importante<br />

banca estera in Italia ma anche la più integrata nel<br />

tessuto economico e sociale del paese. ◗<br />

83


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

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325 À nos marques !<br />

326 Agriculture et ruralité dans les pays en développement<br />

327 Banque de financement et d’investissement : modèles et développements<br />

328 Face aux risques extrêmes : banques et assurances<br />

329 Conformité : pourquoi et comment<br />

330 Les services à la personne<br />

331 Le Financement des PME en France<br />

332 Des PME et des territoires<br />

333 Banque privée : mutations et défis<br />

334 La microfinance au carrefour <strong>du</strong> social et de la finance<br />

335 Dynamiques démographiques : une révolution socioéconomique<br />

336 Dynamiques démographiques : quelles stratégies bancaires ?<br />

337 Partenariats public-privé : un nouvel élan pour la commande publique<br />

338 Les moyens de paiement, pierre angulaire de l’intermédiation financière<br />

339 Banque de détail et innovations technologiques<br />

340 <strong>Il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> : territori, attività e sfide<br />

84


HORIZONS BANCAIRES<br />

NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />

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