Il sistema bancario italiano - Etudes économiques du Crédit Agricole
Il sistema bancario italiano - Etudes économiques du Crédit Agricole
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HORIZONS BANCAIRES NUMERO 340 - NOVEMBRE 2010<br />
<strong>Il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>:<br />
territori, attività e sfide<br />
http://etudes-economiques.credit-agricole.com
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
<strong>Il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>:<br />
territori, attività e sfide<br />
EDITORIALE .............................................................................................................................................................................................. 3<br />
JEAN-PAUL CHIFFLET, direttore generale, Crédit <strong>Agricole</strong> S.A.<br />
Le grandi tendenze<br />
Le caratteristiche del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>: evoluzione dell’attività<br />
e delle performance .................................................................................................................................................................................................. 5<br />
MARCELLO MESSORI, professore ordinario, Università di Roma “Tor Vergata”<br />
<strong>Il</strong> consolidamento del mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>: evoluzioni e prospettive ............................... 11<br />
ILARIA ROMAGNOLI, managing director, Head of FIG Italy, Rothschild<br />
Banche e antitrust: le specificità italiane ................................................................................................................................... 20<br />
SERGIO EREDE, socio fondatore, Bonelli Erede Pappalardo<br />
E MASSIMO MEROLA, responsabile dell’ufficio di Bruxelles, Bonelli Erede Pappalardo; professore, Collegio d’Europa<br />
<strong>Il</strong> mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> e l’evoluzione normativa di Basilea 3 ........................................................ 26<br />
ANDREA FERRETTI, executive director, Ernst & Young<br />
E GIUSEPPE QUAGLIA, partner, Ernst & Young<br />
Banche e territori<br />
<strong>Il</strong> rapporto tra banche e territori dopo la Grande Crisi del 2007-2009 ............................................. 37<br />
GIOVANNI FERRI, professore ordinario, Università di Bari<br />
<strong>Il</strong> ruolo delle banche del territorio nel <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> ............................................................... 44<br />
GIAMPIERO MAIOLI, amministratore delegato e direttore generale, Gruppo Cariparma Friuladria<br />
<strong>Il</strong> ruolo delle fondazioni come investitori istituzionali delle banche ...................................................... 49<br />
CARLO GABBI, presidente, Fondazione Cariparma<br />
I problemi di finanziamento delle PMI e il loro accesso ai mercati esteri ..................................... 53<br />
GIAMMARCO BOCCIA, responsabile corporate, Divisione nuovi mercati, SACE<br />
Le attività bancarie<br />
<strong>Il</strong> mercato immobiliare in Italia .................................................................................................................................................................. 56<br />
DANIELA PERCOCO, head of real estate, Nomisma<br />
E LUCA DONDI, economista, Nomisma<br />
E GUALTIERO TAMBURINI, presidente, Assoimmobiliare<br />
La distribuzione bancaria in italia: trend in atto,<br />
scenari evolutivi e possibili strategie competitive ......................................................................................................... 62<br />
VITTORIO RATTO, partner, Bain & Company, Milano<br />
E ALESSANDRO GERALDI, manager, Bain & Company, Milano<br />
<strong>Il</strong> credito al consumo in Italia ..................................................................................................................................................................... 68<br />
Tre domande a UMBERTO FILOTTO, segretario generale, Assofin; professore ordinario, Università di Roma “Tor Vergata”<br />
<strong>Il</strong> risparmio gestito in Italia ............................................................................................................................................................................. 70<br />
GINO GANDOLFI, professore ordinario, Università di Parma<br />
E GIACOMO NERI, partner, PricewaterhouseCoopers<br />
<strong>Il</strong> gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> in Italia .......................................................................................................................................................... 81<br />
ARIBERTO FASSATI, direttore e membro del Comitato Esecutivo del gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> S.A., presidente di Cariparma<br />
Servizio ai lettori .......................................................................................................................................................................................................... 84
HORIZONS BANCAIRES<br />
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HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
E D I T O R I A L E<br />
JEAN-PAUL CHIFFLET<br />
DIRETTORE GENERALE, CRÉDIT AGRICOLE S.A.<br />
Crédit <strong>Agricole</strong> ha scelto ormai da tempo l’Italia come suo secondo mercato domestico.<br />
Dal 2007 ad oggi, questa evoluzione si è consolidata mediante l’acquisizione<br />
di Cariparma e di Friuladria, la creazione di potenti partnership nel settore credito<br />
al consumo in collaborazione con player di primo piano del mondo economico <strong>italiano</strong><br />
e il crescente livello d’integrazione della struttura a cui appartengono le linee di business<br />
specializzate del Gruppo già presenti nel Paese.<br />
Una scelta strategica che è basata su varie motivazioni. La vicinanza geografica,<br />
culturale e commerciale con la Francia costituisce ovviamente una condizione<br />
essenziale per il successo. L’Italia presenta inoltre una configurazione unica nell’area<br />
Euro grazie alle sue caratteristiche di mercato maturo a forte potenziale, sia in termini<br />
di sviluppo che di livello di sofisticazione dei prodotti bancari e assicurativi, o alle sue<br />
prospettive di consolidamento. <strong>Il</strong> forte radicamento a livello regionale, la prossimità<br />
delle banche alla clientela, lo sviluppo di rapporti di lungo termine e il ruolo specifico<br />
delle fondazioni richiamano infine i valori cooperativi di Crédit <strong>Agricole</strong>.<br />
Crédit <strong>Agricole</strong> è oggi il 7° gruppo <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> e il 1° gruppo finanziario<br />
straniero della Penisola. La banca si è assicurata posizioni di leader in determinate<br />
regioni e nei settori del retail banking, dei servizi finanziari specializzati, dell’asset<br />
management, delle assicurazioni e del corporate & investment banking.<br />
È nostra intenzione continuare a svilupparci al servizio di tutti i nostri clienti, ai quali<br />
vogliamo fornire, grazie alla nostra costante attenzione alla prossimità e ai vantaggi<br />
offerti dalla dimensione mondiale del Gruppo, una qualità di servizio esemplare<br />
abbinata a soluzioni innovative e adeguate alle loro esigenze. L’estensione della nostra<br />
rete di retail banking, con l’acquisizione di Cassa di Risparmio della Spezia e di 96<br />
nuove agenzie, rappresenta un ulteriore passo in questa direzione.<br />
Le collaboratrici e i collaboratori italiani di Crédit <strong>Agricole</strong> possono quindi essere<br />
orgogliosi dello sviluppo e dei risultati del Gruppo nel loro Paese e rivendicare gli<br />
impegni e i valori di Crédit <strong>Agricole</strong>.<br />
◗<br />
Questo numero di Horizons Bancaires è dedicato all’Italia. Nella prima parte, centrata sulle principali tendenze del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong><br />
della Penisola, vengono esaminate le conseguenze della recente crisi e viene riservato ampio spazio alle prospettive per<br />
il futuro. La seconda parte è dedicata al tema del radicamento nel territorio, di cui vengono indivi<strong>du</strong>ati i fondamenti e descritte<br />
le pratiche. Una terza ed ultima parte analizza alcuni temi di attualità: la solidità del mercato immobiliare residenziale, le caratteristiche<br />
specifiche della distribuzione, della gestione del risparmio e del credito al consumo.<br />
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Le grandi tendenze<br />
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NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
Le caratteristiche del <strong>sistema</strong><br />
<strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>: evoluzione<br />
dell’attività e delle performance<br />
Anche se è stato relativamente poco<br />
colpito dalla crisi finanziaria del<br />
2007-2009, il <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong><br />
resta soggetto a forti pressioni in<br />
termini di redditività. Questo articolo ne<br />
analizza le cause e propone alcune<br />
soluzioni strutturali.<br />
MARCELLO MESSORI<br />
Professore ordinario, Università di Roma “Tor Vergata”<br />
Premessa<br />
Nell’ambito dei paesi economicamente avanzati, il settore<br />
<strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> è stato – insieme a quello canadese<br />
- fra i meno colpiti dalla crisi finanziaria del 2007-<br />
09. Nel caso <strong>italiano</strong>, nessun intermediario finanziario<br />
ha dovuto ricorrere ad aiuti pubblici in funzione di salvataggio,<br />
solo quattro gruppi bancari hanno trovato<br />
conveniente rafforzare la propria capitalizzazione<br />
mediante limitate emissioni di strumenti ibridi sottoscritti<br />
dal Ministero dell’economia (i cosiddetti “Tremonti<br />
bond”), solo uno dei maggiori gruppi bancari ha proce<strong>du</strong>to<br />
a ricapitalizzazioni di mercato. Eppure, negli ultimi<br />
<strong>du</strong>e anni, il settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> ha subito un drastico<br />
ridimensionamento della propria redditività e i<br />
gruppi quotati hanno sopportato gravi ca<strong>du</strong>te nei loro<br />
valori azionari; e anche le previsioni più ottimistiche sottolineano<br />
che, nei prossimi anni, in Italia la ripresa degli<br />
utili bancari (ROE) sarà gra<strong>du</strong>ale e inferiore a quella dei<br />
settori bancari più colpiti dalla crisi.<br />
Queste evidenze, apparentemente contraddittorie, trovano<br />
un’interpretazione coerente alla luce delle molte<br />
peculiarità che continuano a caratterizzare il settore <strong>bancario</strong><br />
<strong>italiano</strong> e che sono uno dei lasciti dei pur positivi<br />
processi di aggregazione e di riassetto proprietario<br />
realizzati fra i primi anni Novanta e il 2007. In quanto<br />
segue, si richiameranno alcune di tali peculiarità al fine<br />
di porre in evidenza tre aspetti: (i) la maggiore solidità,<br />
manifestata rispetto alla crisi finanziaria, dipende da vari<br />
fattori (per esempio, una più attenta vigilanza) ma<br />
soprattutto dalla specializzazione dei gruppi bancari e<br />
delle banche italiane in attività retail e di corporate tradizionale<br />
anziché in attività di investment; (ii) tale spe- <br />
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cializzazione implica che i gruppi e le banche italiane<br />
traggano una parte significativa dei loro profitti dai<br />
finanziamenti alle imprese e – soprattutto – dai servizi<br />
di allocazione della ricchezza finanziaria delle famiglie<br />
e che, quindi, siano particolarmente vulnerabili rispetto<br />
alle crisi ‘reali’; (iii) la recente crisi (finanziaria e reale)<br />
è stata così profonda da determinare forti aumenti<br />
nell’avversione al rischio dei detentori di ricchezza e da<br />
imporre, quindi, una revisione dei meccanismi di allocazione<br />
dei patrimoni finanziari delle famiglie.<br />
Alcune peculiarità<br />
delle banche italiane<br />
<strong>Il</strong> processo di aggregazione e di riassetto proprietario,<br />
che ha caratterizzato il settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> dall’inizio<br />
degli anni Novanta al 2007, è stato il più rapido e<br />
pervasivo fra quelli attuati nei grandi paesi europei<br />
<strong>du</strong>rante lo stesso periodo. Basti considerare, al riguardo,<br />
<strong>du</strong>e indicatori: se nei primi anni Novanta il peso della<br />
proprietà pubblica nel settore <strong>bancario</strong> sfiorava in Italia<br />
il 75% e superava così di più di 20 punti percentuali<br />
quello tedesco e di quasi 40 punti percentuali quello<br />
francese, all’inizio degli anni Duemila in Italia la presenza<br />
statale nelle banche era pressoché azzerata; se nel<br />
1990 il grado di concentrazione del mercato <strong>bancario</strong><br />
era pari in Italia a poco più della metà della media<br />
dell’Unione europea, già intorno al 2005 le distanze si<br />
erano annullate (cfr. per esempio: Messori 2002 e<br />
2007). Per giunta, questo processo di consolidamento<br />
è sfociato nella costruzione di <strong>du</strong>e fra i maggiori gruppi<br />
bancari europei (Unicredit e Intesa-San Paolo) e di<br />
un sottoinsieme di gruppi di dimensione nazionale collocati<br />
nelle aree più ‘forti’ del paese.<br />
Tali profonde trasformazioni non hanno, però, modificato<br />
il fattore di vantaggio comparato dell’attività bancaria<br />
in Italia: il radicamento territoriale che ha permesso di<br />
costruire rapporti di lunga <strong>du</strong>rata (seppure con diffuse<br />
pratiche di multiaffidamento) nei confronti delle piccole<br />
e medie imprese e di far prevalere l’amministrazione<br />
bancaria per l’allocazione della ricchezza finanziaria<br />
delle famiglie. Basti fare riferimento a tre indicatori:<br />
l’Italia è stato uno dei pochi paesi europei ad aumentare<br />
il numero degli sportelli bancari fino ad anni recenti (cfr.<br />
Affinito et al. 2006); nel confronto internazionale, in<br />
Italia il peso del risparmio amministrato rispetto a quello<br />
gestito è molto elevato (cfr. Lusignani 2010); alle<br />
soglie della crisi finanziaria, mentre gli attivi di bilancio<br />
delle altre grandi banche europee e di varie banche<br />
regionali non italiane erano dominati da servizi finanziari<br />
spesso a rischio molto elevato, gli attivi dei maggiori<br />
gruppi bancari italiani (anche di quelli con proiezione<br />
europea) riservavano il peso prevalente ai servizi tradizionali<br />
(cfr. Pierobon 2009).<br />
A fronte di una simile specializzazione, nel 2007 il settore<br />
<strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> soddisfaceva i requisiti patrimoniali<br />
regolamentari ma aveva un coefficiente di capitalizzazione<br />
inferiore a quello medio europeo. Anche in<br />
questo caso, si è trattato – almeno in parte – di un lascito<br />
del processo di consolidamento: specie fra la seconda<br />
metà del 1997 e il 2007, le aggregazioni si sono largamente<br />
fondate su scambi azionari che non hanno<br />
rafforzato il patrimonio dei nuovi gruppi; e una parte<br />
significativa delle limitate risorse aggiuntive, inserite<br />
nel settore nel corso degli anni Novanta, sono servite<br />
per interventi di salvataggio. Fatto è che, già nella<br />
prima fase della crisi finanziaria (inizio del 2008), l’insieme<br />
del settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> faceva registrare un<br />
coefficiente Tier 1 inferiore di circa mezzo punto percentuale<br />
rispetto al valore medio europeo; e tale divario<br />
si è accentuato (fino a superare i <strong>du</strong>e punti percentuali)<br />
fra l’autunno del 2008 e la primavera del<br />
2009, allorché gli altri grandi paesi dell’Unione europea<br />
hanno varato piani di ricapitalizzazione statale a favore<br />
dei loro intermediari finanziari anche in stato di solvibilità<br />
(cfr. Banca d’Italia 2009 e 2010). Solo negli ultimi<br />
trimestri i gruppi bancari e le banche italiane hanno<br />
incrementato i loro coefficienti patrimoniali più della<br />
media europea. In ogni caso, in termini di leva finanziaria,<br />
la vocazione tradizionale ha più che compensato<br />
la minore capitalizzazione: fin dal 2008, il grado medio<br />
di leverage del settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> è stato inferiore<br />
a quello caratterizzante gli altri principali paesi<br />
dell’Unione europea (cfr. Draghi 2010; Sironi 2010).<br />
La redditività delle banche italiane<br />
Le precedenti considerazioni possono, forse, giustificare<br />
la relativa solidità del settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong><br />
rispetto all’impatto della crisi finanziaria del<br />
2007-09; esse non sono, però, sufficienti per dar<br />
conto della possibile evoluzione di questo settore<br />
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Le caratteristiche del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>: evoluzione dell’attività e delle performance<br />
MARCELLO MESSORI<br />
nel dopo-crisi. Al riguardo, è necessario richiamare<br />
altre <strong>du</strong>e peculiarità: la dinamica della profittabilità<br />
del settore fra la fine degli anni Novanta e i primi anni<br />
del Duemila; il connesso ruolo, svolto dall’intermediazione<br />
bancaria, per l’allocazione della ricchezza<br />
finanziaria delle famiglie italiane.<br />
Superata la lunga crisi di metà degli anni Novanta, fra<br />
il 1998 e il 2000 il settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> ha ottenuto<br />
valori crescenti del ROE netto (da 7,4 a 11,6) e si è<br />
così avvicinato alla profittabilità media europea. Seppure<br />
in un quadro macroeconomico meno favorevole, fra il<br />
2001 e il 2003 esso ha mantenuto i valori del ROE netto<br />
fra il 6,2 e lo 8,8; e, dal 2004 al 2007, ha realizzato ROE<br />
netti oscillanti intorno al valore di 10 (arrivando alla<br />
soglia dello 11,8 nel 2006) (cfr. Banca d’Italia, vari<br />
anni). Tali dati indicano che, pur senza aver mai raggiunto<br />
i massimi livelli della redditività bancaria internazionale,<br />
fra la fine degli anni Novanta e il 2006 il<br />
settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> si è – dapprima – avvicinato e<br />
– poi – ha tenuto il passo con la profittabilità media delle<br />
banche europee. Ne deriva un ovvio interrogativo:<br />
come è stato possibile, per l’insieme delle banche italiane,<br />
recuperare i divari di redditività mantenendo una<br />
specializzazione tradizionale?<br />
Per rispondere a questo interrogativo, è necessario considerare<br />
che: il processo di consolidamento del periodo<br />
1990-2007 ha accresciuto il grado di concorrenza<br />
bancaria nei servizi alle imprese e ha, così, compresso<br />
i margini di interesse; dalla seconda metà degli<br />
anni Novanta, in Italia il rapporto prestiti bancari/depositi<br />
bancari è stato ampiamente superiore a 1 e più elevato<br />
di quello medio nell’area dell’euro e – a maggior<br />
ragione – di quello negli Stati Uniti (cfr. Messori 2009,<br />
pp. 81-2); dall’inizio degli anni Duemila, in Italia l’andamento<br />
di tale rapporto ha fatto sì che il capitale<br />
proprio non fosse sufficiente per compensare i divari fra<br />
le voci tradizionali dell’attivo e del passivo dei bilanci<br />
bancari; pertanto, l’insieme delle banche italiane è<br />
diventato un debitore netto nei mercati interbancari<br />
internazionali e, rafforzando la propria precedente funzione<br />
di riallocazione della ricchezza finanziaria delle<br />
famiglie dai titoli del debito pubblico a portafogli più articolati,<br />
ha collocato un elevato ammontare di obbligazioni<br />
(plain vanilla e strutturate) nei mercati finanziari<br />
nazionali; per di più, dato lo scarso peso degli investitori<br />
istituzionali italiani (fondi pensione e prodotti assicurativi<br />
“ramo vita”), a differenza che negli altri paesi<br />
europei queste obbligazioni sono state largamente<br />
ven<strong>du</strong>te nel mercato retail ossia inserite nei portafogli<br />
delle famiglie (cfr. Banca d’Italia, vari anni).<br />
Se si aggiunge che l’Italia vanta il più alto rapporto fra<br />
ricchezza finanziaria netta delle famiglie e Pil rispetto ai<br />
maggiori paesi dell’Europa continentale (cfr. Banca<br />
d’Italia 2010, p. 167), le precedenti considerazioni<br />
indicano che la redditività del settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong><br />
fra la fine degli anni Novanta e il 2006 ha tenuto il<br />
passo con quella media europea soprattutto grazie<br />
alla gestione e all’amministrazione della ricchezza finanziaria<br />
delle famiglie (ossia grazie al “risparmio gestito”,<br />
prima, e al “risparmio amministrato”, poi). Mentre i<br />
grandi gruppi bancari europei e alcune banche regionali<br />
specie tedesche reagivano alla calante redditività<br />
delle loro attività tradizionali e aumentavano anzi il proprio<br />
ROE grazie all’espansione di lucrose ma rischiose<br />
attività di investimento, il settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong><br />
sfruttava il proprio radicamento territoriale e la debolezza<br />
degli investitori istituzionali per assumere il quasi-monopolio<br />
nella gestione e nella amministrazione della ricchezza<br />
finanziaria delle famiglie e per estrarne le relative<br />
rendite. Ciò ha, però, determinato un’allocazione<br />
inefficiente di tale ricchezza. Prova ne sia che: negli anni<br />
Duemila precedenti lo scoppio della crisi finanziaria<br />
(maggio 2007), il rendimento medio di un ampio spettro<br />
di obbligazioni bancarie strutturate non è stato<br />
maggiore di quello dei titoli del debito pubblico <strong>italiano</strong><br />
con analoga scadenza e non ha, quindi, corrisposto<br />
alcun premio per la sua maggiore rischiosità e la sua<br />
minore liquidità; in quegli stessi anni, il tasso di crescita<br />
della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane è stato<br />
inferiore a quello di paesi con più bassa propensione<br />
al risparmio.<br />
Le prospettive delle banche italiane<br />
Le molte peculiarità degli assetti finanziari e bancari italiani,<br />
sopra esaminati, sapranno offrire – nel futuro<br />
prossimo – performance del settore soddisfacenti<br />
anche se inferiori a quelle pre-crisi? I dati e le previsioni<br />
indicano che, rispetto ad altri sistemi bancari, il settore<br />
<strong>italiano</strong> ha subito con ritardo l’impatto della crisi<br />
ma rischia di recuperare con ancora maggiore ritardo <br />
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HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
sufficienti livelli di redditività. Infatti nel 2008, pur segnando<br />
una significativa ca<strong>du</strong>ta, il ROE netto medio delle<br />
banche italiane si è mantenuto al valore di 4,5 mentre<br />
è sceso a 3,6 nel 2009; e l’aspettativa è che il ROE<br />
netto raggiunga solo nel 2012 valori non lontani da 5<br />
(cfr. AFO 2010).<br />
Queste previsioni non sorprendono e appaiono persino<br />
troppo ottimistiche. Specie per l’Europa, il quadro<br />
macroeconomico per i prossimi anni non è incoraggiante.<br />
Vi è una probabilità non bassa che, a causa dei<br />
vincoli posti dalla dinamica dei debiti sovrani e dal<br />
conseguente mancato rilancio della domanda interna,<br />
i paesi dell’area euro puntino su una crescita export led.<br />
Se però la stessa strategia verrà perseguita anche<br />
dagli Stati Uniti e dai paesi emergenti, la somma delle<br />
parti non potrà essere coerente con il tutto (problema<br />
di “fallacia dell’aggregazione”); e le aree sottoposte ai<br />
maggiori vincoli, come l’area dell’euro, non potranno<br />
realizzare i loro obiettivi di crescita e si condanneranno<br />
a una fase di stagnazione. Una situazione del genere<br />
prolungherebbe la politica dei bassi tassi di interesse,<br />
ma minerebbe anche la solvibilità di molte piccole<br />
e medie imprese e aggraverebbe la disoccupazione. In<br />
un tale quadro i detentori di ricchezza troverebbero<br />
buone giustificazioni per rafforzare l’avversione al<br />
rischio, già accresciuta <strong>du</strong>rante la crisi finanziaria, e per<br />
interrompere così i cauti processi di riallocazione dei loro<br />
portafogli verso scadenze di più lungo periodo.<br />
Rispetto al settore <strong>bancario</strong> europeo, ciò implicherebbe<br />
una ri<strong>du</strong>zione dei già bassi ricavi sui servizi tradizionali<br />
offerti alle imprese, un peggioramento nella dinamica<br />
dei crediti incagliati o in sofferenza e una ca<strong>du</strong>ta nei proventi<br />
derivanti dall’amministrazione della ricchezza<br />
delle famiglie a causa della loro fuga verso la liquidità<br />
o verso investimenti di breve termine. Per giunta, non<br />
sussistendo problemi di reperimento di liquidità privata<br />
da parte delle banche europee, la BCE potrebbe<br />
decidere di proseguire il gra<strong>du</strong>ale processo di sterilizzazione<br />
delle generose politiche di “mercato aperto”,<br />
varate <strong>du</strong>rante la crisi finanziaria, per concentrarsi sul<br />
sostegno alla domanda dei titoli di debito sovrano; il che<br />
prosciugherebbe una fonte di facile guadagno per il settore<br />
<strong>bancario</strong> europeo. Quest’ultimo avrebbe così un<br />
incentivo, rafforzato dalla mancata riforma delle regole<br />
e della vigilanza europea sui mercati finanziari, per<br />
espandere nuovamente quelle rischiose attività di investimento<br />
che ne hanno sostenuto la redditività fino a<br />
metà del 2007 ma che sono anche state un fattore<br />
determinante della crisi del 2007-09.<br />
Data la sua specializzazione tradizionale, il settore<br />
<strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> sarebbe particolarmente colpito da<br />
un’evoluzione così negativa del quadro macroeconomico<br />
e dell’attività bancaria europee. Per giunta, rispetto<br />
al periodo pre-crisi, esso potrebbe incontrare maggiori<br />
difficoltà a salvaguardare performance soddisfacenti<br />
grazie ai proventi dall’amministrazione della ricchezza<br />
finanziaria delle famiglie. Nel recente passato la forte<br />
avversione al rischio, che ha caratterizzato in media le<br />
scelte finanziarie delle famiglie italiane, ha probabilmente<br />
facilitato il collocamento di obbligazioni bancarie (anche<br />
strutturate) che offrivano, alla scadenza, rendimenti<br />
minimi garantiti. Prova ne sia che, come già accennato,<br />
le banche italiane non hanno incontrato difficoltà nel<br />
collocare tali attività a condizioni allineate a quelle dei<br />
meno rischiosi titoli del debito pubblico. Combinandosi<br />
con gli insegnamenti più evidenti della crisi finanziaria,<br />
un ulteriore rafforzamento dell’avversione al rischio<br />
potrebbe però spingere le famiglie italiane a meglio<br />
apprezzare i rischi di liquidità e di controparte delle<br />
obbligazioni bancarie che, in molti casi, sono attività<br />
finanziarie complesse o non negoziabili su mercati<br />
‘spessi’. In questo senso è interessante notare che, nel<br />
dopo crisi, le condizioni di collocamento delle obbligazioni<br />
bancarie italiane sono avvenute a condizioni relativamente<br />
più favorevoli per i sottoscrittori.<br />
Qualche conclusione<br />
Nei prossimi anni il settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> si troverà,<br />
quindi, a fronteggiare una nuova e difficile sfida.<br />
Anche a causa della nuova regolamentazione internazionale<br />
dei mercati finanziari, esso sarà costretto a<br />
proseguire nel proprio rafforzamento patrimoniale; il che<br />
richiederà di realizzare un’adeguata redditività per<br />
accrescere le risorse interne e per assicurare una<br />
remunerazione attraente agli investitori di mercato.<br />
D’altro canto però, nel dopo-crisi, i grandi gruppi bancari<br />
e le altre banche italiane dovranno finanziare<br />
mutuatari più rischiosi e collocare le proprie passività<br />
finanziarie presso risparmiatori più tutelati e più avversi<br />
al rischio; il che ri<strong>du</strong>rrà la fonte di quei facili, anche<br />
8
Le caratteristiche del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>: evoluzione dell’attività e delle performance<br />
MARCELLO MESSORI<br />
se distorsivi, guadagni nell’amministrazione della ricchezza<br />
finanziaria delle famiglie che hanno contribuito<br />
alle buone performance di tali gruppi bancari e<br />
banche nel decennio 1998-2007.<br />
La soluzione, caldeggiata in varie occasioni dal governatore<br />
della Banca d’Italia (cfr. per esempio: Draghi<br />
2009), si fonda su un miglioramento nella qualità dei servizi<br />
offerti e su un aumento dell’efficienza. All’apparenza,<br />
si tratta di un percorso simile a quello avviato con<br />
successo nel corso degli anni Novanta. Vari indicatori<br />
mostrano, infatti, che i consolidamenti e i riassetti proprietari<br />
di quegli anni hanno rafforzato il grado di efficienza<br />
e hanno migliorato i servizi retail e di corporate<br />
tradizionale offerti alle imprese nazionali (cfr. Panetta<br />
2004). Oggi, pare necessario proseguire nei processi<br />
di riorganizzazione aziendale e di miglioramento dei servizi<br />
retail offerti soprattutto alle famiglie, senza recedere<br />
dai progressi compiuti nei servizi offerti alle imprese. <strong>Il</strong><br />
problema è che, a differenza degli anni Novanta, all’inizio<br />
del secondo decennio del Duemila il settore <strong>bancario</strong><br />
<strong>italiano</strong> non può contare su un preminente fattore<br />
propulsivo di trasformazione. Vi è forse spazio per<br />
limitate aggregazioni e riassetti proprietari nell’ambito<br />
dei grandi gruppi bancari popolari che, pur continuando<br />
a riferirsi alla forma cooperativa, sono quotate<br />
in mercati regolamentati; tuttavia la stessa specializzazione<br />
del settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> impone che,<br />
accanto a pochi grandi gruppi di dimensione europea<br />
o nazionale, trovi spazio un insieme di banche<br />
locali con legami di lunga <strong>du</strong>rata nei confronti delle piccole<br />
imprese dell’area. Inoltre, almeno nel breve periodo,<br />
il miglioramento nei servizi retail offerti alle famiglie<br />
promette di ri<strong>du</strong>rre le aree di rendita bancaria piuttosto<br />
che di accrescerne i profitti; e la continuità nei servizi<br />
offerti alle imprese, che pure ha evitato in Italia il diffondersi<br />
del credit crunch anche nelle fasi più acute della<br />
crisi, accresce i prestiti bancari <strong>du</strong>bbi e spinge – di conseguenza<br />
– le banche ad aumentare costosi accantonamenti<br />
che hanno effetti negativi sui loro bilanci.<br />
In linea di principio questi problemi del settore <strong>bancario</strong><br />
<strong>italiano</strong>, acuiti ma non generati dalla crisi finanziaria<br />
del 2007-09, hanno <strong>du</strong>e possibili soluzioni strutturali.<br />
Una prima soluzione poggia sul ridimensionamento<br />
dell’attività bancaria nel mercato finanziario <strong>italiano</strong>:<br />
anziché continuare a detenere il quasi-monopolio nell’offerta<br />
di servizi alle imprese e alle famiglie, le banche<br />
italiane potrebbero lasciare spazio ad attori specializzati<br />
e indipendenti nella gestione del risparmio e nei servizi<br />
finanziari sofisticati. La debolezza degli investitori istituzionali<br />
italiani e la path dependence rendono, però,<br />
la realizzazione di tale prima alternativa irta di ostacoli.<br />
Una seconda soluzione poggia, invece, sulla ri<strong>du</strong>zione<br />
del richiamato squilibrio fra prestiti e depositi bancari in<br />
modo da allentare la necessità, per le banche italiane,<br />
di collocare un elevato ammontare di proprie passività<br />
finanziarie nel mercato retail. Questa alternativa<br />
rischia, però, di sanare le distorsioni nell’amministrazione<br />
bancaria della ricchezza finanziaria delle famiglie al<br />
prezzo di imporre vincoli stringenti all’offerta di prestiti<br />
bancari alle imprese. Per evitare di “cadere dalla<br />
padella nella brace”, sarebbe quindi necessario alleggerire<br />
l’attivo di bilancio <strong>bancario</strong> senza ri<strong>du</strong>rre l’ammontare<br />
dei prestiti erogati. Ciò è possibile mediante<br />
le cartolarizzazioni. Un aspetto rilevante dell’evoluzione<br />
del settore <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> dipende, quindi, dalla<br />
risposta al seguente interrogativo: è possibile attuare<br />
processi di cartolarizzazione che non sfocino nella<br />
piramide di prodotti strutturati, nelle opacità e nell’instabilità<br />
proprie al modello “originate to distribuite” alla<br />
base della crisi finanziaria recente? ◗<br />
9
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
Affinito, M., De Bonis, R., Farabullini, F. (2006), “Strutture finanziarie e sistemi bancari: differenze e analogie fra i paesi<br />
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Roma. pp. 179-218.<br />
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Draghi, M. (2009), “Intervento del Governatore della Banca d’Italia”, Giornata mondiale del risparmio del 2009, Roma,<br />
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dopo la crisi, a cura di P. Garonna e G. Sabatini, Bancaria Editrice, Roma, pp. 43-65.<br />
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Messori, M. (2007), <strong>Il</strong> potere delle banche, Università Bocconi Editore, Milano.<br />
Messori, M. (2009), The financial crisis: understanding it to overcome it, Assogestioni, Roma.<br />
Panetta, F. (a cura di) (2004), <strong>Il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> negli anni novanta. Gli effetti di una trasformazione, il Mulino,<br />
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finanziari, a cura di E. Barucci e M. Messori, Egea, Milano, pp. 77-97.<br />
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Banca Impresa Società, vol. XXIX, pp. 211-35.<br />
10
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMÉRO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
<strong>Il</strong> consolidamento del mercato<br />
<strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>: evoluzioni e<br />
prospettive<br />
Attraverso le fasi di privatizzazione e<br />
consolidamento, il <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong><br />
<strong>italiano</strong> ha conosciuto profonde e<br />
rapide trasformazioni negli ultimi venti<br />
anni. Un’ulteriore fase di<br />
concentrazione potrebbe essere<br />
possibile, ma con ritmi più lenti<br />
e dimensioni più contenute rispetto al<br />
recente passato.<br />
ILARIA ROMAGNOLI<br />
Managing Director, Head of FIG Italy, Rothschild<br />
<strong>Il</strong> consolidamento del mercato<br />
<strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> negli ultimi anni<br />
L’attuale fisionomia del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> è il risultato<br />
di un lungo processo di modernizzazione che lo ha<br />
condotto ad una piena integrazione nel mercato europeo<br />
e mondiale. I cardini fondamentali di questo percorso,<br />
iniziato con gli anni ’90, sono stati:<br />
• la riforma della normativa di settore e le seguenti privatizzazioni;<br />
• un’intensa fase di consolidamento tra il 1993 e il<br />
2002;<br />
• la progressiva apertura all’estero del <strong>sistema</strong> e un’ulteriore<br />
fase di consolidamento nel periodo 2005-2007.<br />
Evoluzione della normativa<br />
La legge bancaria del 1936 rappresenta la prima riforma<br />
organica dell’attività creditizia in Italia in risposta alle<br />
crisi che avevano minato l’attività delle banche dalla fine<br />
del XIX secolo. Tale riforma prevedeva la specializzazione<br />
temporale del credito 1 e quella territoriale o settoriale.<br />
Fino ad inizio anni ’90 le aziende di credito italiane<br />
erano suddivise tra:<br />
• Istituti di credito di diritto pubblico (Banco di Napoli,<br />
Banca Nazionale del Lavoro, Istituto Bancario San<br />
Paolo di Torino, Banco di Sicilia, Monte dei Paschi di<br />
Siena e Banco di Sardegna).<br />
<br />
1. Gli istituti si suddividevano tra quelli che dovevano gestire il credito a breve scadenza (entro 18 mesi) e quelli focalizzati sul medio e lungo termine.<br />
11
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
• Banche di interesse nazionale (Banca Commerciale<br />
italiana, Credito Italiano, Banco di Roma) posse<strong>du</strong>te<br />
dall’IRI.<br />
• Casse di Risparmio.<br />
• Monti di credito su pegno.<br />
• Banche Popolari.<br />
• Casse Rurali e Artigiane.<br />
• Banche private, le uniche di fatto di matrice non<br />
pubblica.<br />
Circa l’80% dei fondi intermediati dal <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong><br />
era ricon<strong>du</strong>cibile a banche a controllo pubblico<br />
(cfr. tavola 1).<br />
La legge n.218 del 30 luglio 1990, detta anche “legge<br />
Amato”, ha rappresentato una tappa fondamentale<br />
nel processo di riassetto del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>.<br />
La “legge Amato” ha permesso la trasformazione degli<br />
istituti di credito di diritto pubblico in società per azioni<br />
e la nascita di fondazioni bancarie, azioniste delle banche,<br />
a cui sono state trasferite tutte quelle attività non<br />
tipiche dell’impresa.<br />
L’evoluzione normativa di riferimento per il <strong>sistema</strong><br />
<strong>bancario</strong> è stata poi completata con il “Testo Unico delle<br />
leggi in materia bancaria e creditizia (TUB)” del 1993 e<br />
il “Testo Unico della Finanza (TUF)” del 1998 che hanno<br />
rimosso le segmentazioni nell’operatività degli intermediari<br />
e introdotto le forme giuridiche attualmente<br />
adottabili dalle banche: società per azioni e cooperative<br />
(banche popolari e banche di credito cooperativo)<br />
Privatizzazioni e prima fase di<br />
consolidamento (1993 – 2002)<br />
Oltre alle modifiche normative degli anni ’90, un’altra<br />
spinta fondamentale nell’evoluzione del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong><br />
<strong>italiano</strong> è stata rappresentata dal processo di<br />
privatizzazione delle “banche di interesse nazionale”<br />
posse<strong>du</strong>te dall’IRI.<br />
Nel 1993 l’IRI mise in vendita il 67% del capitale del<br />
Credito Italiano, il 40% attraverso un’Offerta Pubblica<br />
di Vendita (“OPV”, ovvero vendita al pubblico di titoli) e<br />
la quota rimanente attraverso un collocamento privato.<br />
Grandi azionisti del Credito Italiano privatizzato<br />
furono la Famiglia Pesenti, Allianz – Ras, Commercial<br />
Union, Société Générale, Natwest, il gruppo<br />
Caltagirone, i Benetton, i fondi Fininvest, Toro<br />
Assicurazioni e SAI.<br />
Nel 1994 fu la volta della privatizzazione della Banca<br />
Commerciale Italiana (“Comit”) attraverso un’OPV. Tra<br />
gli azionisti di comando della banca post privatizzazione<br />
spiccano le Assicurazioni Generali, Commerzbank,<br />
Paribas e, con quote minori, Lucchini, Pirelli, Della<br />
Valle e Stefanel.<br />
La privatizzazione del Banco di Roma seguì invece<br />
un percorso differente: nel 1992 l’IRI e l’Ente Cassa di<br />
Risparmio di Roma conferirono le loro partecipazioni di<br />
controllo rispettivamente in Banco di Roma e Banca di<br />
Santo Spirito (che negli anni precedenti aveva ricevuto<br />
in conferimento l’attività bancaria di Cassa di<br />
Risparmio di Roma) in una holding denominata Società<br />
Italiana di Partecipazioni Bancarie (“SIPBA”) che risultò<br />
detenuta al 65% dall’Ente Cassa di Risparmio di<br />
Roma e al 35% dall’IRI. Successivamente alla fusione<br />
tra Banco di Roma e Banca di Santo Spirito (la nuova<br />
realtà fu denominata Banca di Roma S.p.A.), nel 1997<br />
si diede luogo all’effettiva privatizzazione tramite (i)<br />
scioglimento di SIPBA e trasferimento delle azioni in<br />
Banca di Roma direttamente ai soci e (ii) un’operazio-<br />
TAVOLA 1. Dati <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> Italiano - 1990<br />
Categoria di banche N. di banche N. di sportelli % su totale attivo<br />
Istituti di credito di diritto pubblico 6 2 449 20,1<br />
Banche di interesse nazionale 3 1 459 12,9<br />
Casse di risparmio e Monti di credito 84 4 695 24,2<br />
Banche “pubbliche” 93 8 603 57,2<br />
Banche di credito ordinario 106 3 981 20,5<br />
Istituti centrali di categoria 5 5 2,4<br />
Banche popolari 108 3 290 14,2<br />
Casse rurali e artigiane 715 1 792 4,3<br />
Succursali di banche estere 37 50 1,6<br />
Totale 1 064 17 721 100<br />
12
<strong>Il</strong> consolidamento del mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>: evoluzioni e prospettive<br />
ILARIA ROMAGNOLI<br />
ne di collocamento di azioni e obbligazioni che portò<br />
l’Ente Cassa di Risparmio di Roma a scendere sotto il<br />
30% del capitale di Banca di Roma e all’uscita dell’IRI<br />
dall’azionariato della banca.<br />
<strong>Il</strong> processo di dismissione della proprietà statale si<br />
completò nel periodo 1997 -2001 attraverso la cessione<br />
delle quote detenute dal Ministero del Tesoro nel Banco<br />
di Napoli e nella Banca Nazionale del Lavoro (“BNL”).<br />
Contemporaneamente alle privatizzazioni, tra il 1993 e<br />
il 2002 ha avuto luogo un intenso processo di consolidamento<br />
delle banche che si indirizzava alla creazione<br />
di gruppi bancari dotati di maggiore capacità competitiva<br />
e che ha portato alla nascita, tra le altre, di:<br />
• Unicredito: nata dall’aggregazione nel tempo tra il<br />
Credito Italiano, Cassa di Risparmio di Torino, Cassa<br />
di Risparmio di Verona, Cassa Marca Trevigina, Credito<br />
Romagnolo, Cassa di Risparmio di Trieste, Carimonte<br />
e Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto.<br />
• Banca Intesa: nata dall’integrazione nel tempo tra<br />
Cassa di Risparmio delle Province Lombarde (“Cariplo”),<br />
Banco Ambrosiano Veneto e Comit.<br />
• Sanpaolo IMI: nato dalla fusione tra l’Istituto Bancario<br />
Sanpaolo di Torino e l’IMI (primaria banca d’affari e investimento),<br />
ente di diritto pubblico fondato nel 1931<br />
per sostenere la ricostruzione del <strong>sistema</strong> in<strong>du</strong>striale<br />
nazionale.<br />
• Capitalia: nata dall’aggregazione tra (i) la Banca di<br />
Roma post privatizzazione e acquisizione di Banco di<br />
Sicilia e Mediocredito Centrale e (ii) la Bipop – Carire,<br />
entità risultante dalla precedente fusione tra Bipop –<br />
Banca Popolare di Brescia (società per azioni) e la<br />
Cassa di Risparmio di Reggio Emilia.<br />
<strong>Il</strong> consolidamento descritto ha riguardato per lo più le<br />
ex banche nazionali di matrice pubblica, gli istituti di credito<br />
speciale e le casse di risparmio. Le banche popolari<br />
vennero toccate meno dal processo in atto, fondamentalmente<br />
a causa della loro forma giuridica di<br />
“cooperativa”, eccezioni in tal senso sono state la<br />
Banca Antonveneta e la Banca Popolare di Brescia che<br />
si sono trasformate in società per azioni e la Banca<br />
Agricola Mantovana che fu acquisita dal Monte dei<br />
Paschi di Siena dopo l’abolizione del voto capitario.<br />
Le banche popolari hanno seguito comunque processi<br />
di sviluppo, seppur meno intensi, che hanno<br />
portato a realizzare aggregazioni all’interno dello stesso<br />
settore quali quella tra Banca Popolare di Verona e<br />
Banca Popolare di Novara (creando Banca Popolare di<br />
Verona e Novara – BPVN) e quella tra Banca Popolare<br />
Commercio e In<strong>du</strong>stria e Banca Popolare di Bergamo<br />
– Credito Varesino che ha dato vita al Gruppo Banche<br />
Popolari Unite (“BPU”).<br />
Dal 1990 all’ottobre 2002 si sono registrate complessivamente<br />
566 operazioni di aggregazione con un<br />
picco nel 2002, anno nel quale si contano 77 operazioni<br />
di M&A<br />
<strong>Il</strong> biennio 2003 – 2004 ha registrato invece un rallentamento<br />
della fase di consolidamento principalmente<br />
legato all’atteggiamento di Banca d’Italia che<br />
considerava necessaria una fase di assestamento<br />
dopo una stagione di grandi aggregazioni tra gruppi<br />
bancari.<br />
La seconda fase di consolidamento del<br />
<strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong>: dal 2005 ad oggi<br />
A seguito del processo di privatizzazione e conseguente<br />
maggiore apertura del capitale delle banche al<br />
mercato, ad inizio 2005 molte delle principali banche<br />
italiane annoveravano banche straniere tra i propri<br />
azionisti di riferimento, ma in nessun caso le banche<br />
estere avevano il controllo dei principali istituti di credito<br />
italiani. Le partecipazioni delle banche straniere<br />
confluivano normalmente in patti di sindacato all’interno<br />
dei quali erano presenti fondazioni bancarie o azionisti<br />
privati di origine italiana.<br />
La tavola 2 riporta gli azionariati delle prime 10 banche<br />
italiane a fine 2004.<br />
Nel corso del 2005 aumentò l’interesse delle banche<br />
straniere sugli istituti italiani: buona parte degli azionisti<br />
esteri delle banche italiane manifestarono in<br />
modo più o meno velato la loro intenzione di incrementare<br />
la propria influenza, se non addirittura di<br />
acquisire il controllo delle banche in cui detenevano<br />
partecipazioni rilevanti.<br />
Fu così che a fine marzo del 2005 ABN Amro e BBVA<br />
promossero un’offerta pubblica di acquisto rispettivamente<br />
su Banca Antonveneta e BNL. Le <strong>du</strong>e offerte fallirono<br />
anche per via della costituzione di <strong>du</strong>e cordate<br />
italiane capeggiate da Banca Popolare Italiana (“BPI”) <br />
13
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
TAVOLA 2. Dati <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> - 2004<br />
Banche N. di sportelli Principali azionisti<br />
SanPaolo IMI 3,205 Compagnia San Paolo (14,27%); Fondazione CR di Padova e Rovigo (10,65%);<br />
Banco Santander Central Hispano (8,49%); Fondazione CR di Bologna (7,58%).<br />
Unicredito 3,137 Fondazione CR di Torino (8,74%); Fondazione CR di Verona, Vicenza, Belluno e<br />
Ancona (7,59%); Carimonte Holding (7,14%) ; Allianz (4,94%).<br />
Banca Intesa 3,080 Crédit <strong>Agricole</strong> SA (15,00%); Fondazione Cariplo (9,92%); Assicurazioni Generali<br />
(6,35%); Commerzbank (4,29%).<br />
Capitalia 1,950 ABN Amro (7,91%); Fondazione CR di Roma (5,19%); Fondazione Manodori<br />
(4,00%); Lehman Brothers International Europe (3,66%).<br />
MPS 1,824 Fondazione Monte dei Paschi di Siena (58,58%); Caltagirone Francesco Gaetano<br />
(3,81%); Hopa Spa (2,44%); Premafin Finanziaria (2,10%).<br />
BP U 1,204 Banca popolare: azionariato diffuso.<br />
BP VN 1,172 Banca popolare: azionariato diffuso.<br />
BP ER 1,105 Banca popolare: azionariato diffuso.<br />
Antonveneta 1,000 BPI (29,5%); ABN Amro (18,12%); Magiste International (4,99%); Fingruppo<br />
Holding (4,92%).<br />
BPI 970 Banca popolare: azionariato diffuso.<br />
(già Banca Popolare di Lodi) per Banca Antonveneta e<br />
Unipol per BNL, che comprarono azioni sul mercato e<br />
a loro volta lanciarono delle offerte pubbliche di acquisto<br />
sulle <strong>du</strong>e banche.<br />
Nel maggio 2005, tuttavia, la Procura di Milano aprì un<br />
fascicolo contro ignoti per la scalata di Banca<br />
Antonveneta ipotizzando il reato di aggiotaggio volto a<br />
far fallire l’offerta di ABN Amro.<br />
<strong>Il</strong> 25 luglio 2005 la Procura di Milano dispose il sequestro<br />
delle azioni che BPI e i suoi alleati detenevano in<br />
Banca Antonveneta: questo fu l’inizio di una serie di<br />
inchieste che riguardarono i vertici di BPI e che portarono<br />
alla cessione da BPI ad ABN Amro del 25,9% di<br />
Banca Antonveneta. La banca olandese venne così a<br />
detenere il 55,8% di Banca Antonveneta e lanciò successivamente<br />
l’opa obbligatoria.<br />
I vertici di Unipol vennero a loro volta coinvolti nell’inchiesta<br />
su BPI e il 10 gennaio 2006 Banca d’Italia<br />
bloccò l’offerta Unipol su BNL. Nel febbraio 2006,<br />
BNP Paribas ha acquisito il 48% di BNL da Unipol e i<br />
suoi alleati ed ha successivamente lanciato l’opa obbligatoria<br />
su tutto il capitale di BNL alla quale aderì anche<br />
il BBVA.<br />
Sempre nel corso del 2005, a fronte di istituti stranieri<br />
che cercavano di crescere in Italia, vi erano banche<br />
italiane che guardavano ad uno sviluppo internazionale:<br />
è il caso di Unicredito che nel giugno 2005 annunciò<br />
la fusione con la tedesca HVB.<br />
Gli avvenimenti dell’estate 2005 spinsero molte banche<br />
italiane a interrogarsi su eventuali operazioni di M&A alla<br />
luce di (i) crescente interesse delle banche estere per<br />
il mercato <strong>italiano</strong>, (ii) necessità di avere una massa critica<br />
sufficiente per competere nel mercato domestico<br />
in considerazione dei cambiamenti in atto e (iii) voglia<br />
delle principali banche italiane di giocare un ruolo rilevante<br />
anche nel panorama europeo.<br />
In questo contesto nell’estate del 2006 fu annunciata<br />
la fusione tra Banca Intesa e Sanpaolo IMI che<br />
diede vita a Intesa Sanpaolo, prima banca italiana<br />
per numero di sportelli (circa 6.200). Tale operazione<br />
comportò una diluizione degli azionisti esteri delle <strong>du</strong>e<br />
banche: Santander (azionista Sanpaolo IMI) decise<br />
di uscire dal capitale della nuova banca, mentre a<br />
Crédit <strong>Agricole</strong> SA (azionista Banca Intesa) fu proposta<br />
la possibilità di acquisire <strong>du</strong>e banche (Cariparma<br />
e Friuladria) e alcuni sportelli bancari ottenendo così<br />
una presenza diretta nel mercato <strong>italiano</strong>. La fusione<br />
tra Banca Intesa e Sanpaolo IMI ha rappresentato<br />
anche il primo caso <strong>italiano</strong> di adozione del <strong>sistema</strong> di<br />
governance <strong>du</strong>ale (consiglio di gestione e consiglio di<br />
sorveglianza) in sostituzione del più classico schema<br />
che prevedeva il consiglio di amministrazione e il collegio<br />
sindacale.<br />
Precedentemente alla nascita di Intesa Sanpaolo, per<br />
alcuni mesi si erano diffuse voci su una possibile operazione<br />
tra Banca Intesa e Capitalia. Tali voci furono sem-<br />
14
<strong>Il</strong> consolidamento del mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>: evoluzioni e prospettive<br />
ILARIA ROMAGNOLI<br />
pre smentite dal management di Banca Intesa, anche<br />
se è possibile che il tentativo di aggregazione sia stato<br />
in effetti frenato dalla mossa “difensiva” (acquisto del 2%<br />
di Banca Intesa) voluta dall’allora amministratore delegato<br />
di Capitalia. Nella primavera 2007 sono quindi<br />
iniziati i colloqui tra Capitalia e Unicredit che sono culminati<br />
con l’approvazione in data 20 maggio 2007<br />
della fusione per incorporazione di Capitalia in Unicredito.<br />
Tra le grandi banche italiane l’unico istituto che, nonostante<br />
varie speculazioni di mercato su possibili aggregazioni,<br />
fino al novembre 2007 non fu toccato dal risiko<br />
<strong>bancario</strong> era il Monte dei Paschi di Siena (“MPS”).<br />
Tuttavia in uno scenario in cui le principali banche italiane<br />
si rafforzavano significativamente sul territorio<br />
generando importanti economie di scala e le banche<br />
estere cominciavano a radicarsi in Italia, al fine di poter<br />
continuare ad avere un ruolo primario nel mercato<br />
domestico, MPS annunciò l’acquisizione di Banca<br />
Antonveneta da Santander (che ne aveva acquisito il<br />
controllo nell’ambito delle vicissitudini che portarono allo<br />
smembramento di ABN Amro), potendo in questo<br />
modo contare su una rete distributiva del gruppo di oltre<br />
3.000 sportelli.<br />
L’onda lunga dell’estate 2005 ha poi toccato anche il<br />
settore delle banche popolari coinvolgendo in operazioni<br />
(o tentativi) di aggregazione i principali istituti<br />
popolari italiani.<br />
BPI, uscita malconcia dalla vicenda Antonveneta e<br />
dai suoi strascichi giudiziari, avviò la ricerca di un partner<br />
per un’aggregazione, ricerca che culminò ad inizio<br />
2007 con la fusione tra Banca Popolare di Verona e<br />
Novara e BPI e la creazione del gruppo <strong>bancario</strong><br />
Banco Popolare.<br />
Più o meno nello stesso periodo ebbe luogo anche l’altra<br />
grande aggregazione che riguardò il mondo delle banche<br />
popolari; BPU e Banca Lombarda si fusero creando<br />
il nuovo gruppo UBI Banca. L’operazione rappresentò<br />
il primo caso di fusione tra una banca popolare e una<br />
banca SpA (Banca Lombarda) con mantenimento dello<br />
status di popolare da parte dell’entità risultante: tale<br />
transazione fu possibile data l’elevata frammentazione<br />
dell’azionariato di Banca Lombarda che in qualche<br />
modo la avvicinava al mondo delle popolari.<br />
<strong>Il</strong> primo semestre 2007 vide inoltre intense discussioni<br />
per una fusione tra Banca Popolare dell’Emilia<br />
Romagna (“BPER”) e Banca Popolare di Milano<br />
(“BPM”), rispettivamente la terza e la quarta banca<br />
popolare in Italia per dimensioni. L’aggregazione non<br />
andò poi a buon fine prevalentemente per l’opposizione<br />
dei sindacati interni a BPM.<br />
La tavola 3 riporta una sintesi degli elementi chiave delle<br />
principali fusioni che hanno interessato il mercato <strong>italiano</strong><br />
nel periodo 2006 – 2007 (dati all’annuncio dell’operazione).<br />
Attese di sviluppo per i prossimi anni<br />
<strong>Il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> attuale si presenta <strong>du</strong>nque<br />
molto più concentrato rispetto a alcuni anni fa. Nel<br />
mercato <strong>italiano</strong> esistono ad oggi circa 90 gruppi bancari/banche<br />
indipendenti (escludendo il credito cooperativo)<br />
attive nel retail banking di cui 36 di matrice<br />
“popolare”. Le casse di risparmio in cui la fondazione<br />
detiene ancora il controllo sono circa 19.<br />
La tavola 4 riporta i principali gruppi bancari italiani per<br />
sportelli in Italia e il relativo azionariato.<br />
Le banche presenti oggi in Italia possono essere suddivise<br />
da un punto di vista operativo nelle seguenti<br />
categorie:<br />
• Grandi banche Spa con copertura capillare di tutto<br />
il territorio nazionale (UniCredit, Intesa Sanpaolo e<br />
MPS) e in taluni casi forte vocazione europea.<br />
• Banche popolari “nazionali”, fortemente radicate nelle<br />
aree territoriali storiche, ma con una buona copertura<br />
di quasi tutte le regioni italiane: Banco Popolare e UBI.<br />
• Banche estere che vedono nell’Italia un mercato di<br />
riferimento: BNP Paribas (tramite BNL), Crédit <strong>Agricole</strong><br />
(tramite Cariparma/Fruladria), Barclays (presente direttamente<br />
tramite sportelli bancari) e Deutsche Bank.<br />
Altre Banche SpA con forte presenza nel territorio di riferimento<br />
ed, in alcuni casi, buona copertura di altre<br />
regioni italiane: tra queste Carige e Credem rappresentano<br />
gli istituti principali.<br />
• Banche popolari di dimensione media, con forte<br />
presenza nel territorio di riferimento ed, in alcuni casi,<br />
buona copertura di altre regioni italiane: tra queste le<br />
principali sono BPER, BPM, BP Vicenza, Veneto<br />
Banca, Credito Valtellinese e BP Sondrio, a cui si <br />
15
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
TAVOLA 3. Itala: principali fusioni 2006-2007<br />
Fusione Progetto in<strong>du</strong>striale Sinergie annunciate Governance<br />
Banca Intesa<br />
Creazione di un gruppo <strong>bancario</strong> €1,3mld di sinergie<br />
Sanpaolo IMI (2006) leader in Italia con il Network lorde entro il 2009<br />
distributivo più esteso<br />
• di cui sinergie di<br />
(QdM di c. 20%).<br />
costo : €1,0mld<br />
Rafforzamento della posizione<br />
internazionale con focus su CEE.<br />
Banche Popolari Unite - Creazione di un top player a livello<br />
Banca Lombarda Banca Lombarda (2007)<br />
(2007)<br />
nazionale con elevata<br />
complementarit territoriale.<br />
Banca Popolare di<br />
Verona e Novara -<br />
Banca Popolare<br />
Italiana (2007)<br />
Forte leadership nel nord Italia con<br />
QdM superiore al 15% in Lombardia.<br />
Primo esempio di fusione tra banca<br />
popolare e Spa con mantenimento<br />
dello status giuridico di banca<br />
popolare.<br />
Creazione del terzo gruppo<br />
<strong>bancario</strong> in Italia per sportelli<br />
e capitalizzazione di mercato.<br />
Prima banca popolare del paese.<br />
Unicredit- Capitalia Creazione di un gruppo di<br />
(2007) dimensione europea.<br />
Leader in 4 mercati domestici<br />
(Italia, Germania, Austria,<br />
Europa Centro Orientale).<br />
#1 Area Euro, #3 in Europa, #7 nel<br />
mondo per capitalizzazione.<br />
• di cui sinergie di<br />
ricavo : €0,3mld.<br />
€365mln di sinergie<br />
lorde entro<br />
il 2010<br />
• di cui sinergie di<br />
costo: €225mln<br />
• di cui sinergie di<br />
ricavo: €140mln.<br />
€0,5mld di sinergie<br />
lorde entro il 2010<br />
• di cui sinergie di<br />
costo: €0,2mld<br />
• di cui sinergie di<br />
ricavo: €0,3mld.<br />
€1,2mld di sinergie<br />
lorde entro il 2010<br />
• di cui sinergie di<br />
costo: €0,8mld;<br />
• di cui sinergie di<br />
ricavo: €0,4mld.<br />
Intro<strong>du</strong>zione del modello <strong>du</strong>alistico<br />
(consiglio di gestione e consiglio di<br />
sorveglianza).<br />
Nomina del presidente del consiglio<br />
di sorveglianza da parte di Banca Intesa<br />
e del presidente del consiglio di gestione<br />
da parte di Sanpaolo IMI.<br />
Consiglio di sorveglianza composto da<br />
19 membri.<br />
Intro<strong>du</strong>zione del modello <strong>du</strong>alistico<br />
Nomine consiglio di sorveglianza:<br />
23 membri di cui<br />
11 di espressione di BPU, 11 di Banca<br />
Lombarda e 1 delle liste di minoranza.<br />
Primo presidente del consiglio di<br />
sorveglianza espressione di Banca<br />
Lombarda mentre il presidente vicario<br />
espressione di BPU.<br />
Nomine consiglio di gestione: per i primi<br />
3 anni 10 membri di cui 5 nominati da<br />
BPU e 5 da Banca Lombarda. <strong>Il</strong><br />
presidente del consiglio di gestione<br />
nominato da BPU.<br />
Intro<strong>du</strong>zione del modello <strong>du</strong>alistico<br />
Nomine consiglio di sorveglianza<br />
• Anno 1: 10 membri di cui 4 di<br />
espressione BPI e 6 di espressione<br />
BPVN.<br />
• Anno 2: 15 membri di cui 6 BPI e<br />
9 BPVN.<br />
• Anno 3: 20 membri di 8 BPI e<br />
12 BPVN.<br />
<strong>Il</strong> presidente del consiglio di<br />
sorveglianza nominato da BPVN e il<br />
presidente del consiglio di gestione<br />
nominato da BPI.<br />
4 rappresentanti di Capitalia co-optati<br />
nel CdA di Unicredit, su un totale di 23<br />
membri.<br />
<strong>Il</strong> presidente di Capitalia sarà vice<br />
presidente vicario di Unicredit e<br />
responsabile per la gestione delle<br />
partecipazioni in Mediobanca, Generali,<br />
RCS e Pirelli, nonché presidente del<br />
comitato esecutivo di Unicredit.<br />
aggiungono alcuni gruppi minori dislocati in varie<br />
regioni italiane.<br />
• 16 Casse di risparmio locali (escludendo MPS, Carige<br />
e Banca delle Marche) controllate dalle rispettive fondazioni<br />
bancarie.<br />
In aggiunta sono presenti sul territorio <strong>italiano</strong> 426<br />
banche di credito cooperativo.<br />
La crisi economica iniziata nella seconda metà del<br />
2008 se da un lato ha decisamente raffreddato l’attività<br />
di M&A nel settore <strong>bancario</strong>, dall’altro ha anche<br />
16
<strong>Il</strong> consolidamento del mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>: evoluzioni e prospettive<br />
ILARIA ROMAGNOLI<br />
TAVOLA 4. Numero di sportelli e azionariato delle banche<br />
Banca<br />
Sportelli Totale attivo<br />
(2009) (2009, €mln)<br />
Principali azionisti<br />
Intesa Sanpaolo 6,041 624,844 Compagnia di San Paolo (9,89%); Crédit <strong>Agricole</strong> SA (5,49%);<br />
Assicurazioni Generali (4,97%); Fondazione Cariplo (4,68%).<br />
UniCredit 4,696 928,760 Mediobanca (6,76%); Fondazione Cassa di Risparmio di<br />
Verona Vicenza Belluno e Ancona (4,98%); Central Bank of<br />
Libya (4,61%); Blackrock Ine. (3,8%).<br />
MPS 3,001 224,815 Fondazione Monte dei Paschi di Siena (55,49%); JP Morgan<br />
Chase & co. Corporation (4,66 %); Catalgirone Francesco<br />
Gaetano (3,92%); Unicoop Firenze soc. Coop.va (2,43%).<br />
Banco Popolare 2,166 135,709 Banca popolare – Azionariato diffuso.<br />
UBI 1,955 122,313 Banca popolare – Azionariato diffuso.<br />
BPER 1,292 59,589 Banca popolare – Azionariato diffuso.<br />
Cariparma 901 40,773 Crédit <strong>Agricole</strong> SA (75,00%) ; Fondazione Cariparma<br />
(15,00 %) ; Sacam International (Gruppo Crédit <strong>Agricole</strong>).<br />
BNL 821 96,343 BNP Paribas (100 %).<br />
BPM 793 44,281 Banca popolare – Azionariato diffuso.<br />
Carige 644 36,299 Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia (43,37%);<br />
Caisses d’Epargne Participations (11,02 %) ; Assicurazioni.<br />
BP Vicenza 638 30,964 Banca popolare – Azionariato diffuso.<br />
Credem 575 26,439 Credito Emiliano Holding Spa (76,87 %) – società controllata<br />
dalla Famiglia Maramotti.<br />
Creval 515 24,896 Banca popolare – Azionariato diffuso.<br />
Veneto Banca 479 29,139 Banca popolare – Azionariato diffuso.<br />
Banca Sella 334 13,424 Famiglia Sella tramite le società Sofise (46,1 %) e Finanziaria<br />
1900 (45,09%).<br />
Banca delle Marche 324 19,606 Fondazione Cassa di Risparmio di Macerata (22,4%) ;<br />
Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro (22,4%) ;<br />
Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi (10,0%).<br />
UGF Banca 299 10,545 UGF (100%).<br />
Deutsche Bank 294 26,201 Deutsche Bank (100 %).<br />
BP Sondrio 278 23,455 Banca popolare – Azionariato diffuso.<br />
Banca Popolare di Bari 254 7,010 Banca popolare – Azionariato diffuso.<br />
Barclays Bank PLC 200 n.d. Filiale italiana del Gruppo Barclays<br />
posto alcuni interrogativi su quale possa essere l’effettiva<br />
redditività e sostenibilità degli istituti bancari nel<br />
tempo in uno scenario in cui gli spread si sono contratti,<br />
le commissioni applicate alla clientela sono sempre<br />
più oggetto di attenzione da parte delle autorità di<br />
vigilanza, le sofferenze sono in aumento e la richiesta<br />
di patrimonializzazione delle banche è crescente.<br />
Tali interrogativi potrebbero portare ulteriori “scosse<br />
di assestamento” (seppur in misura molto più limitata<br />
che in passato) nel <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> nei prossimi<br />
anni alla luce di:<br />
• Necessità di raggiungere economie di scala sufficienti<br />
a competere sul mercato: gli azionisti di alcune<br />
banche di medio - piccole dimensioni potrebbero valutare<br />
aggregazioni o cessioni al fine di incrementare la<br />
massa critica; tale processo potrà essere in parte<br />
frenato da poteri locali che non vorranno perdere il<br />
controllo del territorio di riferimento.<br />
• Volontà di alcune banche italiane di ricoprire un ruolo<br />
sempre più di primo piano a livello europeo.<br />
• Interesse delle banche straniere a continuare il processo<br />
di crescita della propria presenza in Italia.<br />
In aggiunta un ruolo importante in un’eventuale nuova fase<br />
di consolidamento potrà essere giocato dalle fondazioni<br />
bancarie che stanno sempre di più cercando di diversificare<br />
il proprio patrimonio ri<strong>du</strong>cendo il peso del proprio<br />
investimento nel capitale delle banche di riferimento.<br />
Le varie tipologie di banche potranno quindi essere<br />
coinvolte in operazioni di M&A che avranno sottostanti<br />
motivazioni differenti.<br />
<br />
17
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
Intesa Sanpaolo e UniCredit potrebbero guardare a<br />
operazioni internazionali che consolidino la propria<br />
presenza in Europa. Le fondazioni bancarie azioniste<br />
saranno probabilmente interessate ad operazioni che<br />
consentano loro di mantenere comunque una certa<br />
influenza sul gruppo risultante. Difficilmente tali banche<br />
potranno crescere ulteriormente in Italia (limiti antitrust)<br />
se non in regioni specifiche e con acquisizioni di<br />
dimensione limitata.<br />
Le banche estere e alcune banche italiane di medie<br />
dimensioni (Carige, Credem) potrebbero invece rappresentare<br />
i catalizzatori di una fase di consolidamento<br />
delle casse di risparmio e delle banche private minori.<br />
Molte fondazioni locali si stanno già interrogando sulla<br />
sostenibilità del modello della banca locale e una eventuale<br />
ripresa dei mercati azionari potrebbe favorire l’incontro<br />
sul prezzo tra domanda e offerta.<br />
Eventuali operazioni di M&A tra istituti di medie dimensioni<br />
potrebbero avvenire qualora qualche banca straniera<br />
ritenesse di voler uscire dall’Italia non avendo<br />
raggiunto una massa critica sufficiente ovvero qualche<br />
azionista privato decidesse di monetizzare il proprio<br />
investimento.<br />
<strong>Il</strong> settore delle banche popolari è stato quello meno<br />
toccato dalla fase di forte consolidamento che ha<br />
riguardato il mercato <strong>italiano</strong> negli ultimi 15 anni e per<br />
questo rappresenta uno degli ambiti verso cui si<br />
guarda maggiormente per future operazioni di consolidamento.<br />
Le attese di consolidamento sono soprattutto focalizzate<br />
sul settore delle banche di medie dimensioni che<br />
già in passato avevano avviato discussioni tra loro poi<br />
non andate a buon fine. <strong>Il</strong> tempo potrebbe smussare<br />
gli ostacoli del passato e permettere di definire assetti<br />
in<strong>du</strong>striali, di governance e di rappresentanza del territorio<br />
soddisfacenti per tutte le parti, dando<br />
vita a una nuova fase di concentrazione che potrà<br />
portare alla creazione di istituti popolari in grado di<br />
TAVOLA 5. Prospetive di consolidamento per settore di attività<br />
Settore 2005 – oggi Prospettiva<br />
Asset Management Al di là di alcune eccezioni (acquisto di Anima SGR<br />
da parte di BP Milano, acquisto di Prima SGR da<br />
parte di Clessidra) le operazioni di concentrazione<br />
avvenute sono state per lo più conseguenza delle<br />
fusioni tra gruppi bancari.<br />
Credito al consumo<br />
Leasing<br />
Bancassurance<br />
Banca depositaria<br />
Fase di concentrazione dovuta sia alle fusioni<br />
bancarie che alla crescita per linee esterne<br />
(aggregazione Agos - Ducato, acquisizione di Linea<br />
da parte di Compass, acquisizione di Findomestic<br />
da parte di BNP Paribas) di alcuni operatori. Tra i<br />
primi 6 player del settore, 4 sono controllati da<br />
banche straniere. Attività attualmente penalizzata<br />
dalla necessità di funding.<br />
Attività attualmente penalizzata dagli spread e dalla<br />
necessità di funding. Limitate operazioni di M&A<br />
nel recente passato.<br />
• Creazione di numerose JV nel vita: tra i principali<br />
gruppi bancari solamente Intesa Sanpaolo e Carige<br />
non hanno attualmente un partner assicurativo vita.<br />
• Le banche italiane hanno iniziato recentemente a<br />
guardare con interesse al bancassurance danni<br />
attraverso la creazione di partnership con operatori<br />
specializzati.<br />
Numerose operazioni di M&A che hanno portato<br />
all’ingresso/rafforzamento dei grandi operatori<br />
internazionali (State Street, BNP Paribas, Société<br />
Générale, RBC Dexia).<br />
Probabile fase di concentrazione con un<br />
incremento della presenza degli operatori<br />
specializzati (molte banche italiane sia di grandi<br />
che di medio - piccole dimensioni stanno<br />
valutando le alternative strategiche nel settore).<br />
Possibili operazioni di M&A con riferimento agli<br />
operatori di medie dimensioni.<br />
Eventuali operazioni guidate dalla necessità di<br />
ottenere una elevata massa critica per generare<br />
redditività.<br />
• Possibile ricerca di un partner vita da parte di<br />
Intesa Sanpaolo e Carige. Eventuali operazioni di<br />
sostituzione dei partner esistenti alla scadenza<br />
degli accordi distributivi.<br />
• Continuo sviluppo del bancassurance danni<br />
attraverso creazione di partnership strategiche da<br />
parte delle banche che non hanno ancora<br />
implementato JV.<br />
Alcune operazioni di M&A sono ancora possibili<br />
con riferimento alle banche popolari e ad alcune<br />
banche di medie dimensioni.<br />
18
<strong>Il</strong> consolidamento del mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>: evoluzioni e prospettive<br />
ILARIA ROMAGNOLI<br />
competere dimensionalmente con UBI e Banco<br />
Popolare.<br />
Le banche popolari con dimensioni apprezzabili potranno<br />
inoltre svolgere un ruolo acquisitivo nei confronti delle<br />
piccole banche indipendenti.<br />
Oltre ad eventuali ulteriori concentrazioni tra gruppi<br />
bancari, nel prossimo futuro il mercato dell’M&A potrà<br />
essere interessato da operazioni relative alle fabbriche<br />
prodotto, continuando un trend che per alcuni settori<br />
è già iniziato negli anni passati.<br />
La necessità per le banche di avere una patrimonializzazione<br />
adeguata (anche in vista dell’intro<strong>du</strong>zione di<br />
Basilea III) e l’esigenza di competenze specifiche e/o<br />
dimensioni rilevanti per competere nei segmenti complementari<br />
al retail banking, spingerà ancor di più molte<br />
banche italiane a focalizzarsi prevalentemente sulla<br />
distribuzione realizzando partnership di prodotto o<br />
uscendo definitivamente da alcuni settori di business<br />
(cfr. tavola 5).<br />
La storia degli ultimi 20 anni ha <strong>du</strong>nque cambiato profondamente<br />
il <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>. Un’ulteriore fase<br />
di concentrazione è possibile, ma con ritmi più cauti e<br />
dimensioni del fenomeno più contenute rispetto al<br />
passato; tuttavia i postumi della crisi economica, la globalizzazione<br />
dei mercati e l’intro<strong>du</strong>zione di nuove regole<br />
sul capitale potrebbero ancora riservare qualche<br />
sorpresa per il futuro. ◗<br />
19
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
Banche e antitrust: le specificità<br />
italiane<br />
Chapo I legami à fra venir concorrenti possono in<br />
teoria influenzare gli incentivi delle<br />
imprese interessate a farsi concorrenza.<br />
Pur essendo universalmente<br />
riconosciuto che tali legami non<br />
costituiscono pratiche<br />
anticoncorrenziali di per sé, le loro<br />
conseguenze sul gioco della<br />
concorrenza devono essere esaminate<br />
con attenzione.<br />
SERGIO EREDE<br />
Socio fondatore, Bonelli Erede Pappalardo<br />
MASSIMO MEROLA<br />
Responsabile dell’ufficio di Bruxelles, Bonelli Erede Pappalardo<br />
Professore, Collegio d’Europa<br />
OBIETTIVO PRINCIPALE DELLE POLITICHE della<br />
concorrenza è garantire che le normali dinamiche dei<br />
mercati non siano falsate da imprese che agiscono di<br />
concerto, che sfruttano abusivamente la loro posizione<br />
dominante o che acquistano un eccessivo potere di<br />
mercato mediante operazioni di fusione o acquisizione.<br />
L’obiettivo di tali politiche è promuovere un funzionamento<br />
più efficiente dei mercati, una migliore distribuzione<br />
delle risorse e, in ultima analisi, un maggiore<br />
benessere per il consumatore.<br />
Braccio “armato” di tali politiche, il diritto della concorrenza<br />
riguarda tutti i settori economici, ivi compreso<br />
il settore <strong>bancario</strong>. Rispetto alle altre imprese, le banche<br />
presentano tuttavia alcune specificità evidenti,<br />
legate alla loro missione sociale ed economica ma<br />
anche ai rischi sistemici legati alla loro attività.<br />
In Italia, il legislatore ha inizialmente riconosciuto la specificità<br />
del settore <strong>bancario</strong>, il quale ha, pertanto,<br />
go<strong>du</strong>to per qualche tempo di un trattamento speciale<br />
nell’applicazione del diritto della concorrenza. Questo<br />
articolo analizzerà succintamente la genesi della disciplina<br />
della concorrenza applicabile alle banche e il<br />
fenomeno, particolarmente sviluppato in Italia, delle<br />
partecipazioni e del cumulo di incarichi in società<br />
concorrenti (interlocking directorates), per cercare di<br />
determinarne l’incidenza concreta in termini di efficienza<br />
e di stabilità del settore, in particolare in questo<br />
periodo di crisi.<br />
20
Banche e antitrust: le specificità italiane<br />
SERGIO EREDE & MASSIMO MEROLA<br />
L’era della Banca d’Italia<br />
La prima legge italiana sulla tutela della concorrenza del<br />
1990 stabiliva un regime speciale per il settore <strong>bancario</strong>.<br />
La legge interveniva in una fase di transizione per il <strong>sistema</strong><br />
<strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>, appena uscito da una prima<br />
ondata di liberalizzazioni, ma che restava soggetto, in<br />
termini operativi, a pesanti vincoli legislativi e normativi.<br />
Poiché all’epoca l’opinione dominante, o almeno<br />
quella del legislatore, era che la stabilità del <strong>sistema</strong><br />
dovesse prevalere sulla sua efficienza, l’applicazione<br />
delle nuove regole della concorrenza doveva essere affidata<br />
necessariamente ad un’istituzione specializzata in<br />
questioni bancarie e monetarie, in grado di operare con<br />
la necessaria competenza. Indipendente e dotata di una<br />
reputazione inattaccabile, la Banca d’Italia assumeva<br />
quindi la responsabilità della supervisione delle regole<br />
della concorrenza nel settore <strong>bancario</strong>, al posto dell’autorità<br />
della concorrenza appena costituita, l’Autorità<br />
Garante della Concorrenza e del Mercato o AGCM, la<br />
cui competenza in questo settore si limitava alla possibilità<br />
di emettere un parere non vincolante sui casi esaminati<br />
dalla Banca d’Italia.<br />
Come era prevedibile, l’applicazione delle regole della<br />
concorrenza da parte di un’autorità non specializzata<br />
in questo campo si tra<strong>du</strong>ceva in un controllo meno<br />
penetrante sugli istituti bancari. L’AGCM, dal canto<br />
suo, maturava forse una certa frustrazione per l’impossibilità<br />
d’intervenire in un settore che non appariva<br />
particolarmente dinamico e concorrenziale, soprattutto<br />
a fronte del fenomeno crescente di despecializzazione<br />
che portava le banche ad allargare il proprio<br />
raggio d’azione a servizi non tradizionali e non più<br />
necessariamente legati all’interesse generale. In questo<br />
quadro, l’AGCM cercava pertanto di allargare la propria<br />
competenza alle attività che esulavano dai servizi<br />
tradizionalmente riservati per legge alle banche.<br />
L’entrata in campo dell’AGCM<br />
Confrontato al rischio crescente di conflitti di competenze<br />
fra l’AGCM e la Banca d’Italia e di fronte alla crisi<br />
d’immagine di quest’ultima, causata della sua opposizione<br />
all’acquisizione di grandi banche italiane da parte<br />
di istituti esteri – si pensi soprattutto alle vendite<br />
AntonVeneta e BNL –, il legislatore ha modificato nel<br />
2005 la legislazione sulla concorrenza, riattribuendo<br />
all’AGCM il controllo dell’applicazione delle regole della<br />
concorrenza agli istituti bancari. La legge italiana si è così<br />
allineata alla normativa europea. Alcune disposizioni, tuttavia,<br />
testimoniano tuttora l’attenzione particolare del<br />
legislatore <strong>italiano</strong> per il settore <strong>bancario</strong>: su richiesta<br />
della Banca d’Italia, per motivi legati rispettivamente<br />
all’efficienza dei pagamenti e alla stabilità dei mercati<br />
monetari, l’AGCM può infatti autorizzare accordi anche<br />
restrittivi dal punto di vista della concorrenza o concentrazioni<br />
che creino o rafforzino una posizione dominante,<br />
a condizione che tali restrizioni siano necessarie<br />
per conseguire l’obiettivo prefissato. Tali disposizioni<br />
non sono ancora mai state utilizzate, nemmeno <strong>du</strong>rante<br />
la crisi, il che non è però sorprendente se si considera<br />
che, a seguito della riforma, la Banca d’Italia si è<br />
concentrata sulla supervisione prudenziale degli istituti<br />
bancari e ha adottato un atteggiamento molto rispettoso<br />
nei confronti delle competenze tecniche dell’AGCM<br />
in materia di concorrenza. D’altra parte quest’ultima, da<br />
quando le è stato affidato il controllo del settore <strong>bancario</strong>,<br />
ha dato prova di grande rigore nell’applicazione<br />
agli istituti delle regole della concorrenza e i suoi rappresentanti<br />
hanno più volte dichiarato che non sarebbe<br />
stata concessa alcuna deroga, anche <strong>du</strong>rante la crisi,<br />
per non indebolire il settore nel lungo termine.<br />
L’AGCM ha in particolare chiaramente privilegiato la<br />
“regolamentazione” del settore, attraverso l’imposizione<br />
in capo alle imprese di obblighi di rimediare alle distorsioni<br />
della concorrenza da esse provocate con condotte<br />
positive, rispetto ad interventi puramente<br />
sanzionatori. In questo senso basterà ricordare, per<br />
citare solo qualche esempio, le iniziative dell’AGCM<br />
nei confronti dell’associazione bancaria italiana (ABI), con<br />
particolare riferimento alla modifica unilaterale delle<br />
condizioni dei conti correnti bancari, alle tariffe di interconnessione<br />
per i prelievi di contanti ed ai costi e condizioni<br />
interbancarie relativi al trattamento degli assegni.<br />
Nell’ambito della politica di controllo delle concentrazioni<br />
tra imprese, i suoi interventi hanno riguardato principalmente<br />
la cessione di sportelli in aree in cui le fusioni<br />
creavano sovrapposizioni eccessive, la ri<strong>du</strong>zione di<br />
alcuni costi legati ai prelievi di contanti e la rimozione dei<br />
legami fra concorrenti, attraverso la cessione di partecipazioni<br />
nel capitale di altre banche concorrenti o lo<br />
scioglimento di società compartecipate.<br />
<br />
21
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
La “crociata” contro i legami<br />
fra concorrenti<br />
I legami fra concorrenti sono stati, in particolare, oggetto<br />
di un’azione molto intensa dell’AGCM, che ha inoltre<br />
dedicato al tema un intero capitolo di un’inchiesta settoriale<br />
effettuata a fine 2008 (“Inchiesta sulla corporate<br />
governance delle banche e delle compagnie di assicurazioni”):<br />
secondo tale studio, negli organi di governance<br />
dell’80% delle banche, società di assicurazioni<br />
e società di gestione del risparmio quotate alla Borsa<br />
italiana siedono membri che cumulano mandati di questo<br />
tipo in altre società dello stesso settore. Questa percentuale<br />
è nettamente superiore a quella registrata<br />
nelle altre piazze finanziarie europee (rispettivamente in<br />
Euronext, Deutsche Börse e LSE solo il 26,7%, 43,8%<br />
e 47,1% di banche, compagnie di assicurazioni o società<br />
di gestione del risparmio contano “interlocking directorate”).<br />
Inoltre, 27 banche, compagnie di assicurazione<br />
o società di gestione patrimoniale italiane, che<br />
rappresentano da sole il 42,3% delle masse finanziarie<br />
delle società analizzate, contano fra i loro azionisti diretti<br />
di un’altra società appartenente alle stesse categorie.<br />
Nel suo rapporto, l’AGCM constata che né la legislazione<br />
applicabile (ad esempio, sul conflitto d’interessi), né<br />
l’autoregolamentazione da parte delle imprese del settore<br />
sono sufficienti a limitare il fenomeno del cumulo di<br />
mandati e delle partecipazioni incrociate.<br />
In assenza d’interventi di carattere normativo, l’AGCM<br />
ha colto l’occasione dell’ultima ondata di consolidamenti<br />
nel <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> per affrontare direttamente<br />
il problema. Nell’ambito delle sue competenze<br />
di controllo delle concentrazioni, l’Autorità ha considerato<br />
che i legami fra i concorrenti avrebbero potuto<br />
aggravare gli effetti restrittivi derivanti dalle operazioni<br />
prese in esame. Sono state così previste misure correttive<br />
al fine di evitare che questi legami privassero le<br />
imprese degli stimoli necessari a svolgere una concorrenza<br />
effettiva. Nell’ambito della sua analisi delle principali<br />
fusioni bancarie italiane degli ultimi anni (Banca<br />
Intesa/Sanpaolo, Unicredit/Capitalia, Banche Popolari<br />
Unite/Banca Lombarda, Monte dei Paschi di<br />
Siena/Banca Antonveneta), l’AGCM ha sempre imposto<br />
come condizione la dissoluzione dei legami di azionariato<br />
e personali esistenti tra i partecipanti alla concentrazione<br />
e i loro concorrenti.<br />
Queste condizioni si sono in particolare tradotte nella<br />
cessione di partecipazioni, nella scissione di joint-venture<br />
specializzate (ad esempio nel settore della<br />
bancassurance o del credito al consumo), nel divieto<br />
di partecipare a patti di azionariato e in generale di mantenere<br />
un ruolo nella governance dei concorrenti, nel<br />
divieto del cumulo dei mandati di consigliere di amministrazione,<br />
nel divieto di partecipare alle assemblee o<br />
di esercitare i diritti di voto inerenti alle azioni di società<br />
concorrenti.<br />
Allo stesso modo, l’AGCM ha <strong>sistema</strong>ticamente imposto<br />
che le cessioni di agenzie avvenissero a favore di<br />
terzi non solo indipendenti secondo i normali criteri del<br />
diritto della concorrenza, ma anche e soprattutto non<br />
collegati tramite partecipazioni o in altro modo alla<br />
banca cedente. Così è stato in particolare per la cessione<br />
della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza e<br />
di Banca Friuladria a Crédit <strong>Agricole</strong>, che era stata<br />
proposta come impegno da parte di Banca Intesa e<br />
Sanpaolo al momento della loro fusione, al fine di risolvere<br />
i problemi di concentrazione di quote di mercato<br />
in alcune aree.<br />
Le iniziative intraprese dall’AGCM contro i legami fra<br />
concorrenti si fondano su una teoria economica ben<br />
consolidata, secondo la quale il possesso di partecipazioni<br />
di minoranza in un’impresa concorrente può<br />
rimettere in causa la naturale tendenza delle imprese<br />
interessate ad elaborare ed applicare strategie concorrenziali.<br />
Secondo questa teoria, tali legami possono<br />
ad esempio spingere i concorrenti ad adottare un<br />
comportamento di ottimizzazione comune degli utili,<br />
equivalente ad un patto di non concorrenza. Le imprese<br />
legate da partecipazioni di minoranza possono così<br />
ri<strong>du</strong>rre unilateralmente la loro pro<strong>du</strong>zione e/o aumentare<br />
i loro prezzi a danno dei consumatori, poiché<br />
sono in grado di recuperare le perdite in termini di<br />
vendite e ricavi attraverso gli utili generati dall’impresa<br />
collegata (meccanismo, quest’ultimo, attuabile senza<br />
necessità di coordinare l’azione delle imprese collegate).<br />
Si parla in tal caso di effetti “unilaterali” derivanti da legami<br />
azionari. Questo tipo di relazioni può inoltre agevolare<br />
lo scambio d’informazioni riservate o permettere ad<br />
un’impresa di influenzare la condotta di un’altra, con l’effetto<br />
di provocare comportamenti collusivi miranti ad<br />
ottenere il mantenimento di prezzi o condizioni sovra-<br />
22
Banche e antitrust: le specificità italiane<br />
SERGIO EREDE & MASSIMO MEROLA<br />
concorrenziali. Si parla allora di effetti “coordinati”, i quali<br />
si manifestano tanto più frequentemente quanto più le<br />
partecipazioni sono incrociate e multiple in uno stesso<br />
settore, in presenza di un mercato oligopolistico o che<br />
presenta notevoli barriere all’ingresso. <strong>Il</strong> rischio è maggiore<br />
in caso di cumulo di mandati, che possono consentire<br />
allo stesso soggetto di assumere decisioni<br />
all’interno di un’impresa alla luce delle informazioni<br />
acquisite nell’ambito di organi sociali di un’impresa<br />
concorrente.<br />
<strong>Il</strong> pregiudizio negativo causato dal cumulo di mandati<br />
in società concorrenti si fonda su solide basi teoriche<br />
e giurisprudenziali. <strong>Il</strong> giudice Brandeis della Corte<br />
Suprema degli Stati Uniti definiva con grande enfasi<br />
questo fenomeno già quasi un secolo 1 fa:<br />
“The practice of interlocking directors is the practice of<br />
many evils. It offends laws, both human and divine.<br />
Applied to rival corporations, it tends to the suppression<br />
of competition... applied to corporations which deal<br />
with each other, it tends to disloyalty and violation of the<br />
fundamental law that no man can serve two masters.<br />
In either event, it tends to inefficiency for it removes<br />
incentives and destroys soundness of judgment...”.<br />
Sarebbe tuttavia errato ritenere che i legami fra concorrenti<br />
siano oggi necessariamente dannosi per la<br />
concorrenza, soprattutto nelle complesse situazioni<br />
sociali che caratterizzano il capitalismo odierno. L’analisi<br />
degli effetti derivanti dalla detenzione di una partecipazione<br />
di minoranza in un concorrente o di un cumulo<br />
di mandati deve infatti tener conto di fattori di varia<br />
natura, che possono influenzare le motivazioni dell’impresa<br />
a tenere comportamenti concorrenziali. Una<br />
partecipazione di minoranza permette di acquisire, in<br />
genere, solo informazioni frammentarie, che non consentono<br />
di per sé di prevedere la domanda o il comportamento<br />
degli operatori del mercato. Allo stesso<br />
modo, possono sussistere motivazioni esterne, per<br />
gli stessi titolari di più cariche sociali, che giustificano<br />
il mantenimento di una strategia basata sulla concorrenza<br />
nonostante l’esistenza di un legame con un<br />
concorrente. O ancora, l’influenza di un azionista può<br />
in certi casi essere esclusa a causa del funzionamento<br />
stesso degli organi decisionali o di supervisione di<br />
una società, i quali possono ad esempio essere composti<br />
da un numero molto elevato di membri e retti da<br />
regole miranti ad assicurare l’indipendenza di giudizio<br />
di questi ultimi. D’altra parte, i dirigenti che non siano<br />
nominati da un concorrente non hanno alcun interesse<br />
a favorire tale azionista di minoranza e, in ogni<br />
caso, potrebbero seguire una politica imprevedibile<br />
sul piano commerciale così come, ad esempio, nella<br />
distribuzione degli utili (la quale, come si è visto, può<br />
rivestire un ruolo determinante nel comportamento<br />
del concorrente azionista).<br />
In questo contesto, occorre anche sottolineare che una<br />
parte sempre più importante della teoria economica e<br />
la stessa Commissione europea considerano che gli<br />
scambi d’informazioni possono, in alcune circostanze,<br />
consentire una più efficiente allocazione delle risorse e<br />
avere quindi influssi benefici sul mercato. Non è pertanto<br />
possibile affermare, senza ulteriori e specifiche analisi<br />
da con<strong>du</strong>rre caso per caso, che l’accesso alle informazioni<br />
di un concorrente sia anticoncorrenziale per<br />
definizione.<br />
Proprio a causa della difficoltà di indivi<strong>du</strong>are e di dimostrare<br />
un legame diretto e accertato fra la detenzione<br />
di una partecipazione di minoranza e un comportamento<br />
concorrenziale, il possesso di tali partecipazioni<br />
è stato raramente sanzionato dalle autorità della<br />
concorrenza, essendo piuttosto oggetto di impegni<br />
presi dalle imprese al fine di dissipare i <strong>du</strong>bbi manifestati<br />
dalle autorità della concorrenza rispetto alla struttura<br />
di alcuni mercati.<br />
Italia v. Europa<br />
A differenza di quanto avviene altrove, come negli Stati<br />
Uniti o in Germania, dove l’acquisizione di quote di partecipazione<br />
di minoranza è soggetta al preventivo nullaosta<br />
dell’autorità della concorrenza, le regole europee<br />
ed italiane sono applicabili solo alle acquisizioni di partecipazioni<br />
che conferiscono il controllo della società target.<br />
È opinione comune delle autorità della concorrenza,<br />
<br />
1. Rapporto del Comitato Pujo (1914). <strong>Il</strong> comitato aveva condotto un’inchiesta sul “money trust”, un gruppo di banchieri di Wall Street che cumulava mandati in più<br />
società, soprattutto banche, assicurazioni e società di settori strategici (come ferrovie e public utilities) esercitando un esteso controllo su vari settori. <strong>Il</strong> rapporto ha<br />
anticipato l’intro<strong>du</strong>zione del Clayton Act e di una norma specifica che vietava il cumulo dei mandati.<br />
23
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
infatti, che le acquisizioni di partecipazioni di minoranza<br />
non siano di per sé assimilabili a pratiche restrittive<br />
della concorrenza 2 . Nonostante ciò, il controllo<br />
delle concentrazioni è stato utilizzato dalla Commissione<br />
europea e dall’AGCM come strumento per contrastare<br />
il fenomeno delle partecipazioni di minoranza incrociate<br />
fra concorrenti, in particolare nel settore <strong>bancario</strong>.<br />
L’approccio delle <strong>du</strong>e autorità al riguardo non è però<br />
del tutto uniforme, probabilmente a causa delle incertezze<br />
che sussistono riguardo agli effetti concreti derivanti<br />
da questo tipo di legami.<br />
Nei casi citati, l’AGCM ha costantemente adottato la<br />
posizione secondo la quale un’impresa o un gruppo<br />
con cui esistono legami di azionariato o personali<br />
non possa essere considerato come una terza parte<br />
indipendente. Per considerare <strong>du</strong>e gruppi come indipendenti,<br />
l’AGCM ha infatti <strong>sistema</strong>ticamente richiesto<br />
l’eliminazione delle partecipazioni incrociate nella<br />
loro interezza o, quanto meno, la loro ri<strong>du</strong>zione al di<br />
sotto di una soglia piuttosto bassa – di solito il 2% -<br />
unitamente alla rinuncia ai diritti amministrativi collegati<br />
a questa partecipazione. Con riferimento alle<br />
banche, gli sforzi operati dall’AGCM per obbligare le<br />
società interessate alla cessione delle partecipazioni<br />
incrociate hanno tuttavia incontrato notevoli difficoltà,<br />
<strong>du</strong>rante la crisi finanziaria, a causa del crollo delle<br />
quotazioni. L’AGCM ha dovuto prenderne atto e ha<br />
concesso la proroga dei termini di vendita, accompagnata<br />
tuttavia da misure volte ad assicurare la<br />
neutralità di tali partecipazioni sotto il profilo della<br />
concorrenza.<br />
<strong>Il</strong> comportamento della Commissione in questo ambito<br />
sembra più ricco di sfumature. Nella sua comunicazione<br />
del 2008 sulle misure correttive nell’ambito del<br />
controllo delle concentrazioni, la Commissione indica<br />
che, in presenza di una partecipazione di minoranza<br />
di una delle parti in un concorrente o in una jointventure<br />
con un concorrente, sarà normalmente<br />
necessaria la cessione della partecipazione. Se quest’ultima<br />
viene conservata, la Commissione esige la<br />
rinuncia ai diritti che danno un’influenza sul comportamento<br />
concorrenziale dell’impresa partecipata, in<br />
particolare la rappresentazione nel consiglio di amministrazione,<br />
i diritti di veto e i diritti all’informazione.<br />
Nella pratica, la Commissione si mostra più flessibile<br />
nella formulazione di misure correttive.<br />
Nel caso Generali/INA (2000), la Commissione ha<br />
adottato un orientamento molto severo, spingendo le<br />
parti alla fusione ad impegnarsi non solo a sbarazzarsi<br />
di una partecipazione minoritaria in Fondiaria ma<br />
anche a fare in modo che nessuno dei membri del loro<br />
comitato esecutivo o degli organi amministrativi dell’INA<br />
assumesse in seguito la stessa funzione in altre compagnie<br />
di assicurazione. In occasione delle fusioni<br />
Nordbanken/Postgirot e Allianz/Dresdner del 2001, la<br />
stessa Commissione ha mostrato invece minori riserve<br />
in merito a partecipazioni di minoranza detenute in<br />
un concorrente, accettando che venissero mantenute<br />
partecipazioni rispettivamente del 10% e del 20,5%, a<br />
patto che i rappresentanti negli organi sociali rassegnassero<br />
le proprie dimissioni. Allo stesso modo, con<br />
riferimento alla concentrazione Santander/Abbey<br />
National del 2004, la Commissione ha accettato alle<br />
stesse condizioni il mantenimento di una partecipazione<br />
incrociata fra l’impresa acquirente e Royal Bank of<br />
Scotland (RBS) del 2,5% e del 2,8%.<br />
Ma soprattutto, nell’ultima decisione importante relativa<br />
al settore <strong>bancario</strong>, BNP Paribas/Fortis, adottata<br />
appena dopo la Comunicazione sulle misure correttive,<br />
la Commissione non ha considerato necessario imporre<br />
misure relative alla partecipazione incrociata fra BNP<br />
Paribas e AXA (BNPP deteneva il 6,1% di AXA, che a<br />
sua volta deteneva il 5,9% nella banca), o alla partecipazione<br />
comune di queste ultime a joint-venture e ad<br />
accordi di cooperazione, considerando che il carattere<br />
limitato di questi legami non era sufficiente per ri<strong>du</strong>rre<br />
la pressione concorrenziale sul mercato. È legittimo<br />
chiedersi se la crisi dei mercati finanziari, che ha fatto<br />
da sfondo all’operazione, abbia rivestito un ruolo determinante<br />
in queste considerazioni.<br />
Conclusioni<br />
I legami fra concorrenti possono in teoria influenzare<br />
gli incentivi delle imprese interessate a farsi concorrenza.<br />
Pur essendo universalmente riconosciuto che<br />
questi legami non costituiscono, di per sé, pratiche<br />
2. Rapporto 2008 dell’OCSE sulle partecipazioni di minoranza fra concorrenti.<br />
24
Banche e antitrust: le specificità italiane<br />
SERGIO EREDE & MASSIMO MEROLA<br />
anticoncorrenziali, le loro conseguenze sul gioco della<br />
concorrenza devono essere esaminate con attenzione<br />
alla luce della loro frequenza, delle caratteristiche<br />
strutturali e normative dei mercati interessati nonché<br />
di tutti gli altri fattori che possono concretamente<br />
compensare questi eventuali incentivi a non “aggredire”<br />
il concorrente.<br />
In questo contesto, la particolare attenzione prestata<br />
dall’AGCM al settore <strong>bancario</strong> e in special modo alla<br />
problematica dei legami fra concorrenti, seppur giustificata<br />
e perseguita con coerenza, deve necessariamente<br />
tener conto della crisi economica e della fragilità<br />
dei mercati. Si dovrebbe evitare ad ogni costo che<br />
le iniziative intraprese per contrastare il fenomeno delle<br />
partecipazioni di minoranza in questo settore sfocino<br />
in posizioni talmente rigide da compromettere le più<br />
generali condizioni di stabilità dei mercati. Le ultime<br />
misure adottate dall’AGCM vanno nella giusta direzione<br />
ed è auspicabile che questa tendenza continui,<br />
tenendo conto delle specificità di ogni situazione e<br />
dell’impatto della crisi sul comportamento degli operatori.<br />
◗<br />
25
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
<strong>Il</strong> mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> e<br />
l’evoluzione normativa di Basilea 3<br />
Chapo L’ articolo à venir presenta le principali<br />
caratteristiche della nuova<br />
regolamentazione del Comitato di Basilea,<br />
con un approfondimento specifico sugli<br />
aspetti riguardanti i criteri di definizione del<br />
capitale e la gestione della liquidità. In<br />
conclusione vengono evidenziati i possibili<br />
impatti dell’applicazione del nuovo<br />
pacchetto regolamentare sul mercato<br />
<strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>.<br />
ANDREA FERRETTI<br />
Executive Director, Ernst & Young<br />
GIUSEPPE QUAGLIA<br />
Partner, Ernst & Young<br />
Overview sulla nuova<br />
regolamentazione<br />
<strong>Il</strong> Comitato di Basilea ha pubblicato lo scorso dicembre<br />
2009 <strong>du</strong>e documenti di consultazione su proposte<br />
di modifica alla regolamentazione prudenziale internazionale<br />
in materia di capitale e liquidità delle banche<br />
(cd Basilea 3) 1 , che intendono dare attuazione alle<br />
raccomandazioni approvate dal Financial Stability<br />
Board e dal G20. La nuova proposta di regolamentazione<br />
nasce dall’esigenza di armonizzare le regolamentazioni<br />
dei vari Paesi sulla stabilità dei sistemi bancari<br />
e creditizi attraverso la definizione di criteri omogenei<br />
maggiormente restrittivi rispetto ai precedenti, in tema<br />
di assunzione dei rischi e di copertura degli stessi con<br />
il capitale. Parallelamente alla fase di consultazione, nel<br />
corso del primo semestre del 2010 è stato svolto un<br />
articolato studio di impatto - QIS 2 (coordinato dalle<br />
Banche Centrali dei singoli Paesi) sulla base di dati e<br />
informazioni raccolte dalle stesse banche, al fine di<br />
valutare l’efficacia delle proposte regolamentari e di definire<br />
il livello di capitale che le banche saranno chiamate<br />
a detenere nei prossimi anni.<br />
1. Rif. Basel Committee on Banking Supervision: “Consultative Document Strengthening the resilience of the banking sector” e “International framework for liquidity<br />
risk measurement, standards and monitoring”, December 2009.<br />
2. Rif. Basel Committee on Banking Supervision: “Instructions for the comprehensive quantitative impact study”, February 2010.<br />
26
<strong>Il</strong> mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> e l’evoluzione normativa di Basilea 3<br />
ANDREA FERRETTI &<br />
GIUSEPPE QUAGLIA<br />
La nuova proposta di regolamentazione si pone in<br />
particolare i seguenti obiettivi 3 :<br />
• Innalzamento della qualità del patrimonio di vigilanza,<br />
al fine di aumentare la capacità delle banche di<br />
assorbire le perdite (derivanti dai rischi).<br />
• Maggiore copertura dei rischi complessivi assunti dalle<br />
banche: viene proposto un rafforzamento dei requisiti<br />
patrimoniali a fronte del rischio di controparte, con<br />
incentivi per favorire la concentrazione degli scambi<br />
presso controparti centrali.<br />
• Contenimento del grado di leva finanziaria del <strong>sistema</strong><br />
mediante l’intro<strong>du</strong>zione di un indicatore che vincoli l’espansione<br />
delle attività complessive, anche fuori bilancio,<br />
alla disponibilità di un’adeguata base patrimoniale.<br />
• Ri<strong>du</strong>zione della “prociclicità” della regolamentazione<br />
prudenziale attuale (Basilea 2), mediante l’intro<strong>du</strong>zione<br />
dell’obbligo per le banche di accantonare <strong>du</strong>rante le fasi<br />
espansive del ciclo economico risorse patrimoniali da<br />
utilizzare <strong>du</strong>rante i periodi di crisi (il Comitato sta inoltre<br />
promuovendo l’adozione di metodologie di calcolo<br />
degli accantonamenti per il rischio di credito basate<br />
sulla stima delle perdite attese 4 ).<br />
• Rafforzamento dei presidi a fronte del rischio di liquidità;<br />
mediante l’intro<strong>du</strong>zione di <strong>du</strong>e indicatori volti a<br />
garantire livelli di liquidità a breve, in condizione di<br />
instabilità dei mercati, e a medio-lungo termine.<br />
Focus su patrimonio e liquidità<br />
Qualità del Capitale<br />
Le principali innovazioni introdotte nella definizione del<br />
Patrimonio di Vigilanza riguardano i seguenti aspetti:<br />
• Viene definito il Common Equity, con l’esclusione dal<br />
capitale delle azioni di risparmio e delle azioni privilegiate.<br />
Nel Patrimonio di Vigilanza potranno quindi essere<br />
computate senza limiti solo le azioni “ordinarie” o<br />
azioni che attribuiscano un limitato privilegio nella distribuzione<br />
degli utili.<br />
• Relativamente agli strumenti innovativi e non innovativi<br />
di capitale 5 :<br />
– ne viene rafforzata la qualità patrimoniale, soprattutto<br />
in termini di flessibilità dei pagamenti e di capacità<br />
di assorbimento delle perdite;<br />
– vengono innalzati i limiti di computabilità per gli strumenti<br />
privi di incentivi al rimborso anticipato e viene<br />
introdotta una nuova categoria di strumenti computabili<br />
che prevedano la conversione obbligatoria in azioni<br />
ordinarie in caso di emergenza (mancato rispetto del<br />
requisito patrimoniale minimo) o su richiesta della<br />
Banca d’Italia;<br />
– la normativa prevede comunque un articolato regime<br />
transitorio (grandfathering) di <strong>du</strong>rata trentennale,<br />
che dispone la ri<strong>du</strong>zione progressiva della computabilità<br />
degli strumenti (azioni e strumenti innovativi e non<br />
innovativi) compresi nel patrimonio di vigilanza prima<br />
del 31.12.2010 che non rispettano i nuovi criteri di<br />
ammissibilità.<br />
• De<strong>du</strong>zione integrale dal Common Equity delle partecipazioni<br />
in enti finanziari e creditizi che superano il<br />
10% del capitale dell’ente partecipato 6 .<br />
• De<strong>du</strong>zione dal Common Equity delle Deferred Tax<br />
Asset - DTA nette (de<strong>du</strong>zione delle Attività per imposte<br />
anticipate al netto delle Passività per imposte differite).<br />
L’iscrizione nei bilanci delle DTA è influenzata dalle<br />
normative fiscali nazionali. Con riferimento alla situazione<br />
italiana, sono evidenti alcune peculiarità della normativa<br />
fiscale che tendono ad amplificare le differenze tra<br />
l’utile contabile e la base imponibile, con conseguente<br />
iscrizione di rilevanti importi di DTA. Tra le più significative,<br />
come identificate dall’ABI 7 , si citano le rettifiche<br />
di valore su crediti non de<strong>du</strong>cibili nell’anno, gli accantonamenti<br />
a fondi rischi e oneri non de<strong>du</strong>cibili e l’affrancamento<br />
dell’avviamento.<br />
Con riferimento alle de<strong>du</strong>zione delle DTA nette ed alle<br />
partecipazioni significative detenute in banche, società<br />
finanziarie ed assicurative, negli ultimi giorni del<br />
<br />
3. Rif. Comunicato Stampa di Banca d’Italia del 17.12.2009.<br />
4. Tale tematica è anche all’attenzione dello IASB che, nel mese di novembre del 2009, ha pubblicato un Exposure Draft, nel quale viene proposto un nuovo modello<br />
di impairment, fondato sul concetto di “Expected Loss” (in luogo dell’attuale modello contenuto nello IAS39, fondato sul concetto di “Incurred Loss”), in base al<br />
quale la stima iniziale delle perdite attese deve confluire nella determinazione del tasso di interesse effettivo dell’attività finanziaria.<br />
5. Per la definizione e le attuali modalità di computabilità nel Patrimonio di Vigilanza di tali «preferred shares» si faccia riferimento alla Circolare 263 (Tit. I, Cap. 2) di<br />
Banca d’Italia.<br />
6. Per le Banche che hanno adottato approcci IRB, la de<strong>du</strong>zione riguarda anche le eccedenze della perdita attesa rispetto alle rettifiche di valore complessive (le<br />
disposizioni correnti prevedono invece una de<strong>du</strong>zione al 50% dal Tier 1 e al 50% dal Tier 2).<br />
7. Rif. Giovanni Sabatini, Direttore Generale ABI: “<strong>Il</strong> dibattito sulle nuove architetture di regolamentazione e vigilanza in Europa”, 14 maggio 2010.<br />
27
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
FIGURA 1. Nuovi indicatori di controllo del livello di liquidità secondo le regole di Basilea 3<br />
LIQUIDITY COVERASE RATIO =<br />
LIQUIDITY BUFFER<br />
NET FLOWS (OUT-IN)<br />
≥ 100 %<br />
WITH STRESS WITHIN 30 DAYS<br />
NET STABLE FUNDING =<br />
STABLE FUNDING<br />
ILLIQUID ASSETS<br />
≥ 100 %<br />
mese di luglio, il Comitato di Basilea 8 ha apportato<br />
una modifica sostanziale alla proposta di de<strong>du</strong>zione<br />
integrale dal Common Equity inizialmente prevista.<br />
Tale modifica, prevede che il valore da de<strong>du</strong>rre di tali<br />
componenti sia subordinato al superamento di un<br />
valore di “franchigia” definito in funzione del common<br />
equity e delle componenti oggetto di de<strong>du</strong>zione. In particolare,<br />
dovrà essere dedotto dal patrimonio di base<br />
l’importo che, alternativamente:<br />
• per ciascuna componente oggetto di de<strong>du</strong>zione<br />
eccede il 10% del Common Equity;<br />
• aggregando tutte le componenti oggetto di de<strong>du</strong>zione<br />
eccede il 15% del Common Equity.<br />
La gestione della Liquidità<br />
Le principali innovazioni riguardano l’intro<strong>du</strong>zione di <strong>du</strong>e<br />
nuovi indicatori relativi ai livelli di liquidità da mantenere,<br />
la cui composizione viene descritta di seguito e<br />
schematizzata in figura 1.<br />
<strong>Il</strong> Liquidity Coverage Ratio confronta il buffer di attività<br />
liquide a disposizione dell’intermediario (numeratore)<br />
con i flussi di cassa attesi in condizioni di stress su<br />
un orizzonte temporale molto breve di 30 giorni (denominatore).<br />
In particolare:<br />
• il numeratore è composto da risorse liquide di “elevata<br />
qualità”, anche in una situazione di stress, che<br />
sono composte da Cassa, riserve presso la Banca<br />
Centrale, titoli di Stato e da Corporate Bond e Covered<br />
Bond di “elevata qualità”;<br />
• il denominatore, invece, è rappresentato dai deflussi<br />
di cassa attesi netti (flussi out – flussi in), sempre su<br />
un orizzonte temporale di 30 giorni e sottoposti ad uno<br />
scenario di stress predefinito dall’Autorità di Vigilanza 9 .<br />
<strong>Il</strong> Net Stable Funding stima gli eventuali squilibri strutturali<br />
nella composizione delle attività e passività di<br />
bilancio oltre l’orizzonte temporale dell’anno. In questo<br />
caso:<br />
• il numeratore rappresenta l’insieme delle fonti di<br />
finanziamento stabili, ed è composto dalla somma di<br />
fondi propri (Tier 1 e Tier 2), dei depositi a vista entro<br />
l’anno (la raccolta resi<strong>du</strong>ale con scadenza entro l’anno,<br />
tra cui quella proveniente da controparti bancarie,<br />
non viene considerata una fonte stabile e pertanto<br />
viene esclusa dal computo) e delle fonti di provvista con<br />
scadenza resi<strong>du</strong>a oltre l’anno;<br />
• il denominatore annovera invece le componenti meno<br />
liquide dell’attivo, che approssimano la necessità di<br />
funding stabile, i cui elementi principali sono azioni e<br />
obbligazioni con scadenza oltre l’anno, prestiti erogati<br />
con scadenza resi<strong>du</strong>a entro e oltre l’anno, a prescindere<br />
dalla controparte finanziata, immobili e partecipazioni,<br />
asset intangibles (es. avviamenti) e fuori bilancio (margini<br />
irrevocabili).<br />
La limitazione di non poter considerare come funding<br />
stabile la raccolta presso banche con scadenza resi<strong>du</strong>a<br />
entro l’anno appare coerente, seppur restrittiva, con<br />
l’operatività degli istituti creditizi laddove è possibile<br />
attuare una diversificazione delle modalità di finanziamento<br />
tramite la raccolta di depositi presso il pubblico,<br />
ma pro<strong>du</strong>ce un forte impatto negativo per altri<br />
intermediari non bancari (in Italia ad esempio gli intermediari<br />
ex-art. 107 del Testo Unico Bancario) le cui fonti<br />
8. BIS: “Review of the Basel Committee’s capital and liquidity reform package - Annex Amendment Basel 3”, 26 July 2010.<br />
9. Lo scenario di stress ipotizzato dal Comitato simula una crisi di mercato cui si aggiungono difficoltà di tipo idiosincratico. A titolo esemplificativo si citano: la<br />
“chiusura” del mercato inter<strong>bancario</strong> con deflusso di depositi al 100%, un deflusso completo del funding secured – pronti contro termine – per transazioni aventi<br />
come sottostanti titoli non governativi, un tiraggio completo dei margini irrevocabili per linee di liquidità concesse ad imprese corporate e clientela Financial, ecc.<br />
28
<strong>Il</strong> mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> e l’evoluzione normativa di Basilea 3<br />
ANDREA FERRETTI &<br />
GIUSEPPE QUAGLIA<br />
di finanziamento sono costituite prevalentemente da<br />
linee di liquidità bancarie. Un possibile approccio alternativo<br />
potrebbe consistere nella trasformazione delle<br />
scadenze del funding con controparti bancarie, portando<br />
tutte le maturity resi<strong>du</strong>e oltre l’anno: questo<br />
comporterebbe però una gestione non ottimale della<br />
liquidità in ottica ALM, dovendo trovare un matching tra<br />
liabilities con maturity oltre l’anno ed asset aventi maturity<br />
sia entro sia oltre l’anno.<br />
Le indicazioni di Banca d’Italia 10<br />
La Banca d’Italia ha sottolineato che la nuova proposta<br />
del Comitato di Basilea va nella direzione di semplificare<br />
la definizione di capitale, renderla più chiara e<br />
trasparente per il mercato (focus sul Common Equity<br />
e maggiore rigore nelle caratteristiche degli altri strumenti<br />
patrimoniali) ed eliminare divergenze applicative.<br />
In tale ambito, fa notare Banca d’Italia, ciò che serve<br />
non è semplicemente più capitale ma è “più capitale di<br />
migliore qualità” e qualità del capitale vuol dire:<br />
• disponibilità delle risorse patrimoniali in ogni momento<br />
(permanenza);<br />
• piena o elevata capacità di assorbimento delle perdite<br />
sia attraverso la cancellazione di interessi o dividendi<br />
(flessibilità nei pagamenti) sia attraverso il valore nominale<br />
degli strumenti.<br />
L’obiettivo deve essere quello di disegnare un regime<br />
prudenziale che sia coerente al proprio interno e che<br />
raggiunga un equilibrio fra la finalità di ri<strong>du</strong>rre i rischi di<br />
instabilità sistemica e quella di sostenere la crescita dell’economia.<br />
La Banca d’Italia ha evidenziato tuttavia che alcuni<br />
profili della definizione di capitale regolamentare potrebbero<br />
risultare effettivamente troppo penalizzanti. In<br />
particolare, con riferimento alla de<strong>du</strong>zione dal patrimonio<br />
delle attività per imposte anticipate, la de<strong>du</strong>zione integrale<br />
creerebbe incentivi distorti alle banche sul piano<br />
prudenziale, in quanto finirebbe per disincentivare<br />
un’adeguata politica degli accantonamenti e genererebbe<br />
forti disparità fra Paesi in ragione delle diversità<br />
nei regimi fiscali. In Italia, inoltre, si avrebbero effetti più<br />
rilevanti rispetto ad altri Paesi europei dato l’elevato valore<br />
di tali poste, a causa di inusuali vincoli alla de<strong>du</strong>cibilità<br />
fiscale delle perdite su crediti. La Banca d’Italia ha<br />
sostenuto nelle diverse sedi internazionali istituzionali,<br />
in coerenza con questa considerazione, che la de<strong>du</strong>zione<br />
dovrebbe riguardare l’importo che ecceda una<br />
determinata percentuale delle azioni ordinarie e delle<br />
riserve. Infine, il Governatore stesso ha posto l’attenzione<br />
sul fatto che il Legislatore, se lo riterrà opportuno<br />
al fine di evitare una ulteriore penalizzazione degli<br />
intermediari italiani, potrebbe valutare l’eliminazione<br />
dei limiti alla de<strong>du</strong>cibilità delle perdite su crediti, con<br />
un’imposta equivalente in termini di gettito che abbia<br />
effetti meno distorsivi.<br />
Per quanto concerne le altre principali de<strong>du</strong>zioni dal<br />
Patrimonio di Vigilanza previste da Basilea 3, Banca<br />
d’Italia ritiene siano necessari ulteriori approfondimenti,<br />
ed in particolare invita ad una maggiore riflessione sull’opportunità<br />
della de<strong>du</strong>zione integrale dal Core Tier 1<br />
degli interessi di minoranza e delle partecipazioni bancarie,<br />
finanziarie e assicurative.<br />
La previsione di un grandfathering della <strong>du</strong>rata di 30<br />
anni (con limiti di computabilità decrescenti dopo i<br />
primi 10 anni) secondo Banca d’Italia consentirà<br />
alle banche di gestire in modo ordinato la transizione<br />
al nuovo regime, per quanto riguarda sia le azioni<br />
sia gli strumenti ibridi emessi in base alla normativa<br />
vigente.<br />
Sulla gestione della liquidità, Banca d’Italia riconosce<br />
che la definizione della natura delle attività, che possono<br />
essere incluse nel buffer di attività liquide, rappresenta<br />
un tema rilevante, infatti la maggiore o minore estensione<br />
del novero delle attività ammissibili può determinare<br />
conseguenze importanti sulle politiche delle<br />
banche. È necessario <strong>du</strong>nque trovare il giusto equilibrio<br />
<br />
10. In questo paragrafo vengono riportate sinteticamente alcune considerazioni espresse dalla Banca d’Italia in sedi pubbliche riguardo a taluni aspetti affrontati<br />
dalla nuova proposta di regolamentazione prudenziale. Riferimenti:<br />
• Giovanni Carosio, Vice Direttore Generale della Banca d’Italia: “La riforma delle regole prudenziali”, Convegno ABI “Basilea 3: Banche e imprese verso il 2012”,<br />
Roma, 4-5 maggio 2010.<br />
• Giuseppe De Martino, Servizio Normativa e Politiche di Vigilanza di Banca d’Italia: “Qualità del capitale: principali novità e questioni aperte. Alcune riflessioni”,<br />
Convegno ABI “Basilea 3 - Banche e imprese verso il 2012”, Roma, 4-5 maggio 2010.<br />
• Stefano Mieli, Direttore Centrale per la Vigilanza bancaria e finanziaria di Banca d’Italia: “La revisione delle regole prudenziali sul capitale delle banche”, Convegno<br />
ABI “Markets & Investment Banking Conference”, Milano, 7 giugno 2010.<br />
• Intervento del Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi all’Assemblea Ordinaria dell’ABI, Roma, 15 luglio 2010.<br />
29
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
tra la necessità che gli intermediari mantengano profili<br />
di liquidità sufficientemente prudenti e quella di garantire<br />
adeguati flussi di credito verso la clientela. In questo<br />
senso, Banca d’Italia ritiene condivisibili le proposte<br />
avanzate dalle banche nel corso della consultazione<br />
volte, al fine di tener conto delle specificità dei mercati<br />
europei e italiani, a considerare nella definizione del<br />
buffer di liquidità anche i corporate e covered bonds di<br />
migliore qualità senza particolari restrizioni. Inoltre, in tale<br />
contesto operativo, secondo Banca d’Italia è importante<br />
che alle banche sia consentito di utilizzare nei momenti<br />
di maggiore difficoltà le risorse liquide accumulate: la<br />
soluzione proposta dalla Commissione europea, che<br />
ammette il temporaneo allontanamento dai requisiti<br />
imposti dai <strong>du</strong>e nuovi indicatori in condizioni di mercato<br />
sfavorevoli, intro<strong>du</strong>ce elementi di flessibilità nella gestione<br />
dei buffer.<br />
Infine, si noti che Banca d’Italia ha recentemente emanato<br />
<strong>du</strong>e disposizioni in consultazione che già recepiscono<br />
alcune delle nuove proposte del Comitato di<br />
Basilea per quanto concerne la disciplina del Patrimonio<br />
di Vigilanza e la gestione del rischio di liquidità 11 .<br />
La posizione dell’Associazione<br />
Bancaria Italiana<br />
L’Associazione Bancaria Italiana – ABI ritiene che sia<br />
necessaria un’attenta valutazione dell’impatto delle<br />
nuove proposte non solo sulla stabilità e redditività<br />
dei singoli intermediari, ma anche sul quadro macroeconomico<br />
nazionale e internazionale. Particolare attenzione<br />
dovrà essere prestata al trade-off tra la volontà<br />
di omogeneizzare la normativa e l’esigenza di tenere in<br />
adeguata considerazione, in fase di definizione della<br />
regolamentazione internazionale, le peculiarità nazionali.<br />
Di seguito si riporta una sintesi dei punti di attenzione<br />
rilevati dall’ABI in considerazione delle peculiarità del<br />
mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>, con focus sugli aspetti<br />
riguardanti il capitale e la liquidità 12 :<br />
• Appare necessario che le nuove proposte portino ad<br />
una migliore qualità del capitale senza necessariamente<br />
imporre penalizzazioni su strumenti che nella<br />
realtà italiana sono sostanzialmente equiparabili agli elementi<br />
indicati come computabili (es. azioni di risparmio,<br />
azioni privilegiate e azioni delle banche di credito cooperativo).<br />
• Appare necessaria la modifica di alcuni criteri considerati<br />
nel documento di consultazione per gli strumenti<br />
finanziari che rientrano nel Tier 1 (additional<br />
going concern capital) al fine di mantenere l’appetibilità<br />
degli strumenti per gli investitori “fixed income”.<br />
Infatti il profilo tipico degli investitori in strumenti di<br />
Tier 1 è generalmente rappresentato da investitori in<br />
strumenti di debito.<br />
• Per quanto riguarda la de<strong>du</strong>zione delle DTA nette, si<br />
propone lo stralcio integrale di tale previsione, anche in<br />
considerazione del fatto che le attività per imposte<br />
anticipate sono sottoposte periodicamente ad un specifico<br />
test (probability test) volto a verificarne la sostenibilità<br />
in relazione alla capacità della banca di pro<strong>du</strong>rre<br />
redditi imponibili nel futuro e che la normativa civilistica<br />
considera le DTA componenti del patrimonio disponibile<br />
e non prevede alcun vincolo di distribuzione per<br />
gli utili ad esse riferiti.<br />
• La de<strong>du</strong>zione dal Common Equity degli interessi di<br />
minoranza e delle partecipazioni in banche, finanziarie<br />
e assicurazioni appare particolarmente penalizzante<br />
e comporterebbe, altresì, effetti distorsivi sulla<br />
concorrenza tra conglomerati finanziari e, all’interno dei<br />
gruppi bancari, possibili inefficienze nell’allocazione<br />
del capitale.<br />
• <strong>Il</strong> nuovo framework sulla gestione della liquidità porterà<br />
ad una accresciuta domanda per quegli asset, in<br />
particolare titoli di debito pubblico, idonei a costituire<br />
i buffer di liquidità. Ciò verosimilmente ri<strong>du</strong>rrà in modo<br />
sensibile la domanda per strumenti emessi dal settore<br />
privato, perché saranno rimossi gli incentivi alla loro<br />
detenzione. <strong>Il</strong> funding, pertanto, potrebbe risultare fortemente<br />
influenzato dall’intro<strong>du</strong>zione di nuovi vincoli<br />
sugli strumenti di raccolta con riverberi sul pricing dei<br />
finanziamenti. In tale quadro, pur ritenendo corretta<br />
11. Banca d’Italia, Documento per la consultazione: “Disposizioni di Vigilanza Prudenziale per le Banche. Recepimento delle modifiche alle Direttive 2006/48/CE e<br />
2006/49/CE (cd CRD II)”, Giugno 2010 e Banca d’Italia, Documento per la consultazione “Disposizioni in materia di governo e gestione del rischio di liquidità delle<br />
banche e dei gruppi bancari e degli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale”, Giugno 2010.<br />
12. Rif. ABI Comments on consultative documents issued by Basel Committee on Banking Supervision “Strengthening the resilience of the banking sector” and<br />
“International framework for liquidity risk measurement, standards and monitoring”, 19 Aprile 2010.<br />
30
<strong>Il</strong> mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> e l’evoluzione normativa di Basilea 3<br />
ANDREA FERRETTI &<br />
GIUSEPPE QUAGLIA<br />
l’intro<strong>du</strong>zione dei <strong>du</strong>e indicatori, si ritiene opportuno<br />
rivederne le modalità di costruzione rilasciando alcuni<br />
vincoli per mitigare la restrizione degli assets costitutivi<br />
del buffer di liquidità.<br />
• Al fine di agevolare l’efficacia e l’efficienza nella<br />
gestione del rischio di liquidità si dovrà permettere<br />
l’applicazione dei nuovi buffer unicamente a livello<br />
consolidato.<br />
L’ABI, al fine di rivedere l’impostazione normativa, considerata<br />
troppo penalizzante e non adeguata a valutare<br />
le peculiarità della struttura del mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>,<br />
propone il seguente approccio, da un punto di<br />
vista di metodo, nella definizione della nuova regolamentazione<br />
13 :<br />
• Valutazione di impatto (risultati QIS).<br />
• Seconda consultazione.<br />
• Implementazione generalizzata del nuovo framework<br />
secondo un calendario armonizzato e condiviso.<br />
• Level playing field tra soggetti (intermediari finanziari)<br />
e tra giurisdizioni.<br />
• Allineamento alla normativa contabile.<br />
Le analisi di impatto<br />
Si riportano di seguito alcuni commenti degli operatori<br />
del settore circa i possibili impatti delle nuove regole<br />
sul mercato <strong>italiano</strong>: sebbene non ancora definite in<br />
modo completo e dettagliato, le proposte appaiono,<br />
avere implicazioni di rilievo per le banche ed il <strong>sistema</strong><br />
economico.<br />
L’impatto a livello di <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>, secondo<br />
una recente ricerca presentata ad un convegno<br />
ABI 14 , si aggirerebbe sui 20-25 miliardi di euro (pari al<br />
1,3%-1,6% del PIL nominale 2009). Tale impatto<br />
sulle banche italiane risulta prevalentemente legato agli<br />
effetti derivanti dalle de<strong>du</strong>zioni delle DTA, degli interessi<br />
di minoranza e delle partecipazioni. Se questi parametri<br />
verranno ricalibrati al ribasso (ovvero non dedotti<br />
integralmente) l’effetto di Basilea 3 sul <strong>sistema</strong><br />
<strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> potrebbe ri<strong>du</strong>rsi a soli 6-10 miliardi<br />
di euro.<br />
In via generale, se confrontato con il resto d’Europa,<br />
l’impatto sul <strong>sistema</strong> <strong>italiano</strong> appare comunque minore:<br />
gli istituti di credito spagnoli potrebbero avere una<br />
incidenza simile in valori assoluti, 20-25 miliardi, ma<br />
maggiore sul PIL (1,9%-2,4%); ben più elevati, invece,<br />
sono stimati i costi a cui si andrà incontro in Germania<br />
(30-50 miliardi, l’1,2-2,1% del PIL) e soprattutto in<br />
Gran Bretagna e Francia, dove l’ammontare potrà<br />
sfiorare e forse anche superare i 100 miliardi di euro,<br />
pari a oltre il 5% del PIL.<br />
Tra i motivi dell’impatto relativamente più limitato della<br />
nuova regolamentazione nei confronti delle banche<br />
italiane figurano senz’altro elementi strutturali, come l’utilizzo<br />
più limitato della leva finanziaria e l’elevata liquidità<br />
dell’intero <strong>sistema</strong>.<br />
In un recente intervento, il prof. Sironi 15 della SDA<br />
Bocconi ha rilevato come non saranno trascurabili i<br />
potenziali impatti sulla redditività del capitale delle banche<br />
che un significativo rafforzamento, seppure ancora<br />
non precisamente quantificato, del requisito minimo<br />
associato alla componente core (Upper TIER 1) inevitabilmente<br />
comporta. Tali conseguenze andranno<br />
attentamente considerate, specie nell’attuale contesto<br />
di bassi tassi di interesse e di elevati tassi di sofferenza,<br />
che già influenza negativamente la redditività delle<br />
imprese bancarie. Esiste infatti il rischio che questa<br />
restrizione sul fronte dei requisiti patrimoniali venga<br />
dalle banche traslata sul mercato del credito mediante<br />
un innalzamento degli spread creditizi o una<br />
restrizione dell’offerta di credito. Per quanto concerne<br />
la liquidità, inoltre, si fa notare come i nuovi requisiti rappresentino<br />
strumenti efficaci per garantire che le banche<br />
conservino un’adeguata liquidità e siano <strong>du</strong>nque<br />
capaci di affrontare eventuali situazioni simili a quella<br />
verificatasi nel corso della crisi finanziaria recente.<br />
Entrambi gli indicatori proposti influiscono però in misura<br />
significativa sulla gestione di una banca e, in particolare,<br />
sulla relativa capacità di trasformazione delle<br />
scadenze, ed avranno <strong>du</strong>nque un impatto rilevante<br />
sulla redditività.<br />
Sulla stessa linea appare la posizione di Confin<strong>du</strong>stria<br />
che, attraverso il suo Direttore Generale 16 , denuncia<br />
<br />
13. Rif. Giovanni Sabatini, Direttore Generale ABI: “<strong>Il</strong> dibattito sulle nuove architetture di regolamentazione e vigilanza in Europ”», 14 maggio 2010.<br />
14. Studio Oliver & Wyman presentato al Convegno ABI “Markets & Investment Banking Conference”, Milano, 7 giugno 2010.<br />
15. Rif. Andrea Sironi: “Crisi finanziaria e riforma delle regole: quali implicazioni per le Banche e il Sistema Economico?”, Economia & Management, n.3 2010.<br />
16. Rif. <strong>Il</strong> Sole 24 Ore del 13.04.10.<br />
31
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
che i criteri di maggiore allocazione di capitale a fronte<br />
dei rischi assunti dalle banche, previsti dalla nuova normativa,<br />
impatteranno sul credito con una restrizione dei<br />
flussi creditizi verso le imprese. Infatti tale <strong>sistema</strong> di regole,<br />
pur non essendo ancora applicate, sta già impattando<br />
sul credito <strong>bancario</strong> alle imprese: già oggi mercati ed<br />
agenzie di rating valutano gli istituti di credito sulla loro<br />
capacità di aumentare la patrimonializzazione rispetto<br />
all’attivo rischioso, di conseguenza le banche stanno già<br />
ri<strong>du</strong>cendo gli attivi a rischio e quindi ri<strong>du</strong>cendo i crediti.<br />
Tale posizione è stata confermata dal Presidente 17<br />
della Confin<strong>du</strong>stria, che ha sottolineato come la riforma<br />
costerà alle banche europee 244 miliardi di euro e ciò<br />
di certo non favorirà i prestiti: “Basilea 3 rischia di togliere<br />
altro ossigeno alle imprese e di soffocarle” è il monito<br />
lanciato dagli in<strong>du</strong>striali italiani.<br />
Una simulazione EY<br />
È stato effettuato un esercizio simulativo volto a stimare,<br />
a livello macro e sotto una serie di assunzioni semplificative,<br />
l’impatto sul Patrimonio di Base e sul Patrimonio<br />
di Vigilanza a livello 18 aggregato delle prime cinque<br />
Banche italiane 19 derivante dall’applicazione delle nuove<br />
regole riguardanti il capitale.<br />
In particolare l’analisi ha preso in considerazione le<br />
seguenti assunzioni:<br />
• de<strong>du</strong>zione del capitale ricon<strong>du</strong>cibile alle azioni di<br />
risparmio e alle azioni privilegiate;<br />
• de<strong>du</strong>zione delle Attività per imposte anticipate al<br />
netto delle Passività per imposte differite;<br />
• de<strong>du</strong>zione integrale dal Tier 1 delle partecipazioni<br />
detenute in altre banche, società finanziarie ed assicurative<br />
nonché, delle eccedenze della perdita attesa<br />
rispetto alle rettifiche di valore complessive, che l’attuale<br />
disciplina prevede come elementi da de<strong>du</strong>rre per il<br />
50% dal Tier 1 e per il 50% dal Tier 2;<br />
• de<strong>du</strong>zione integrale dal Tier 1 delle partecipazioni in<br />
assicurazioni che l’attuale disciplina prevede come<br />
elementi da de<strong>du</strong>rre dal Patrimonio di Base e dal<br />
Patrimonio Supplementare;<br />
• ripresa del valore di affrancamento fiscale sull’avviamento<br />
in de<strong>du</strong>zione dal Patrimonio di Vigilanza tra i filtri<br />
prudenziali in de<strong>du</strong>zione al Tier 1 (per evitare il double<br />
counting con le DTA relative all’avviamento);<br />
• tutti gli strumenti ibridi di capitale sono stati considerati<br />
in ipotesi di grandfathering.<br />
I risultati delle analisi, data la bassa granularità dei<br />
dati a disposizione, non vogliono essere esaustivi e rappresentano,<br />
pertanto, solo degli ordini di grandezza di<br />
riferimento al fine di fornire ulteriori elementi di riflessione,<br />
a titolo esemplificativo, sui potenziali impatti<br />
delle nuove regole sul capitale dei principali Gruppi bancari<br />
italiani.<br />
I grafici seguenti (figura 2) illustrano l’impatto sul PV<br />
(Patrimonio di Vigilanza) e sul Tier 1 dell’applicazione<br />
delle regole di Basilea 3 sul capitale a livello aggregato,<br />
stimato sulla base delle assunzioni in precedenza illustrate<br />
(i dati di patrimonio sono stati normalizzati<br />
base 100), evidenziando il contributo delle componenti<br />
sulla diminuzione del Tier 1.<br />
A seguito di tali elaborazioni, risulta un impatto medio<br />
ponderato sul capitale aggregato dei prime cinque<br />
Gruppi bancari di circa il 25% per il Tier 1 e del 10% sul<br />
Patrimonio di Vigilanza. Si noti che l’abbassamento<br />
medio del Tier 1 pari al 25% è spiegato in larghissima<br />
parte dalla de<strong>du</strong>zione integrale delle DTA (53% circa).<br />
Infine, rielaborando le analisi con riferimento all’Annex<br />
BIS di Luglio (considerando la franchigia del 10%<br />
sulla sola componente riferibile alla DTA), l’impatto<br />
medio sul capitale risulterebbe minore e pari rispettivamente<br />
al 22% sul Tier 1 e al 9% sul Patrimonio di<br />
Vigilanza.<br />
Considerazioni conclusive<br />
<strong>Il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> è caratterizzato dalla prevalenza<br />
dell’attività creditizia a favore di famiglie e<br />
imprese, dal radicamento sul territorio, da una leva<br />
finanziaria contenuta e da una struttura di bilancio<br />
nel complesso equilibrata 20 . Tale configurazione, basa-<br />
17. Rif. <strong>Il</strong> Sole 24 Ore del 01.06.10.<br />
18. Sono stati considerati i dati e le informazioni presenti nei documenti di Informativa al Pubblico (Pillar 3) e nei Bilanci consolidati al 31.12.09, pubblicati sui siti<br />
internet dei Gruppi Bancari oggetto di analisi.<br />
19. I primi cinque Gruppi Bancari italiani rappresentano, per attivi complessivi al 31.12.09, circa il 53% dell’intero settore. Fonte: Relazione Annuale della Banca<br />
d’Italia, 31 maggio 2010.<br />
20. Rif. Relazione Annuale del Governato della Banca d’Italia, 31 maggio 2010.<br />
32
<strong>Il</strong> mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> e l’evoluzione normativa di Basilea 3<br />
ANDREA FERRETTI &<br />
GIUSEPPE QUAGLIA<br />
FIGURA 2. Stima impatti sul Tier 1 e sul PV (base 100) delle regole di Basilea 3 al 31.12.09<br />
100<br />
90<br />
10 %<br />
60<br />
50<br />
53 %<br />
80<br />
70<br />
60<br />
50<br />
25 %<br />
40<br />
30<br />
20<br />
18 % 18 %<br />
40<br />
30<br />
20<br />
10<br />
0<br />
B2 B3<br />
Patrimonio di vigilanza<br />
B2 B3<br />
Tier 1<br />
10<br />
0<br />
5 %<br />
De<strong>du</strong>zione azioni<br />
privilegiatee di risparmio<br />
De<strong>du</strong>zione delle DTA<br />
De<strong>du</strong>zione delle<br />
eccedenze del patr.<br />
supplementare<br />
6 %<br />
De<strong>du</strong>zione delle<br />
eccedenze del patr. di<br />
base e supplementare<br />
Ripresa affrancamento<br />
fiscale sull'avviamento<br />
ta su un modello di intermediazione tradizionale e<br />
sostenuta da un quadro regolamentare e da una vigilanza<br />
prudenti, ha di fatto permesso un impatto meno<br />
forte degli effetti della crisi internazionale sul <strong>sistema</strong><br />
<strong>bancario</strong>.<br />
In tale quadro, la selettività della Banca d’Italia nell’ammettere<br />
forme ibride nel calcolo del Patrimonio di<br />
Vigilanza si è riflessa in una qualità del capitale delle banche<br />
italiane comparativamente elevata, che potrebbe<br />
facilitare l’adattamento ai nuovi e più stringenti standard<br />
di Basilea. Occorre tuttavia evidenziare come le proposte<br />
del Comitato, prevedendo un significativo rafforzamento<br />
dei requisiti di capitale, potrebbero comunque<br />
incidere in misura più rilevante sulle banche<br />
attualmente meno capitalizzate.<br />
Appare chiaro che il nuovo framework di valutazione<br />
dell’adeguatezza patrimoniale disegnato da Basilea 3<br />
va nella direzione di definire ed implementare misure più<br />
efficaci nel tutelare maggiormente la solvibilità e la<br />
liquidità delle banche e pertanto la stabilità del <strong>sistema</strong><br />
finanziario, e, seppur passibile di modifiche ed aggiustamenti<br />
per rendere meno restrittivi certi criteri. Tale<br />
nuovo quadro regolamentare presenterà comunque<br />
costi rilevanti per la gestione bancaria, come evidenziato<br />
dalle stime emerse dalle analisi di impatto.<br />
La stessa Banca d’Italia 21 riconosce che le modifiche<br />
regolamentari proposte dal Comitato di Basilea richiederanno<br />
alle banche italiane adeguamenti non<br />
trascurabili e potrà determinare una contrazione dei<br />
profitti, sottolineando che i livelli di redditività registrati<br />
in passato, superiori a quelli degli altri settori pro<strong>du</strong>ttivi<br />
(molto spesso dovuti all’esposizione a rischi troppo elevati,<br />
non adeguatamente coperti da risorse patrimoniali<br />
e di liquidità), potranno difficilmente ripetersi in futuro.<br />
Tuttavia viene enfatizzato il fatto che l’insieme dei<br />
provvedimenti in discussione comporterà anche un<br />
positivo contenimento dei rischi assunti, contribuendo<br />
in modo rilevante alla stabilità finanziaria del <strong>sistema</strong><br />
economico e creando i presupposti perché gli<br />
operatori siano in condizione di affrontare possibili<br />
crisi future con maggiore solidità, ri<strong>du</strong>cendone i costi<br />
per la collettività.<br />
Stante tale quadro, si ritiene fondamentale che le banche<br />
approccino le nuove regole con un atteggiamen-<br />
<br />
21. Giovanni Carosio, Vice Direttore Generale della Banca d’Italia: “La riforma delle regole prudenziali”, Convegno ABI “Basilea 3: Banche e imprese verso il 2012”,<br />
Roma, 4-5 maggio 2010.<br />
33
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
to proattivo cercando di fare leva sugli investimenti<br />
necessari ad adeguarsi alla normativa per rivedere a<br />
livello organizzativo ed ottimizzare a livello operativo le<br />
proprie attività di intermediazione creditizia e finanziaria.<br />
Questo potrebbe significare, ad esempio 22 :<br />
• definire chiare politiche di gestione dei rischi (propensione<br />
al rischio, modalità di controllo e gestione, ecc.);<br />
• integrare le analisi e le valutazioni sui rischi e sul<br />
capitale nei processi di budgeting e pianificazione<br />
strategica;<br />
• utilizzare le prove di stress e le analisi di sensitività e<br />
di scenario come strumenti per la valutazione dell’evoluzione<br />
dell’esposizione ai rischi e dell’adeguatezza<br />
del capitale, al fine di stimarne gli impatti e pianificare<br />
eventuali interventi correttivi/migliorativi di natura gestionale<br />
e patrimoniale,<br />
• rivedere le politiche di gestione della liquidità al fine<br />
di trovare nuovi equilibri tra funding ed impieghi;<br />
• pianificare per il medio-lungo termine una struttura di<br />
funding in coerenza con la nuova regolamentazione;<br />
• approcciare i clienti e le politiche commerciali di sviluppo<br />
dei prodotti/servizi in un ottica di creazione di<br />
valore corretta per il rischio;<br />
• valutare possibili integrazioni con altre banche (simili<br />
per dimensione e standing) in modo da generare<br />
masse critiche e sfruttare economie di scopo e di<br />
scala, che soprattutto per realtà medio-piccole potrebbe<br />
risultare una opzione strategica rilevante.<br />
Aggiornamento Settembre 2010<br />
<strong>Il</strong> Comitato dei Governatori delle Banche Centrali ha<br />
approvato il 12.09.10 il framework regolamentare di<br />
Basilea 3 23 , prevedendo che l’entrata in vigore sia<br />
fatta in modo gra<strong>du</strong>ale, dal 1 gennaio 2013 per arrivare<br />
alla piena attuazione al primo gennaio 2019. <strong>Il</strong><br />
testo, dopo essere stato presentato allo Steering<br />
Committee del Financial Stability Board, verrà ratificato<br />
dal G20 di Seul il prossimo Novembre 2010. Nel<br />
documento vengono anche definiti i requisiti minimi<br />
regolamentari secondo lo seguente schema presentato<br />
in tavola 1.<br />
In tale contesto, l’ABI 24 ha commentato che “[...] mancano<br />
ancora le disposizioni di dettaglio per definire il calcolo<br />
del patrimonio di vigilanza e non è quindi ancora<br />
possibile valutare con precisione l’effettivo impatto dei<br />
nuovi standard, sia a livello macro che a livello di singolo<br />
paese e operatore. A fronte dei potenziali benefici<br />
che deriveranno da un maggior presidio della stabilità<br />
delle banche non mancheranno impatti sull’economia<br />
reale in aree geografiche, come l’Italia e in generale<br />
l’Europa continentale, dove la spinta allo sviluppo è<br />
strettamente collegata all’azione delle banche in particolare<br />
attraverso il credito”, ribadendo la propria posizione<br />
sugli aspetti che appaiono critici: “[…] il periodo<br />
transitorio previsto per l’effettiva applicazione della<br />
nuova normativa può rappresentare un elemento di<br />
supporto alla capacità di adeguamento alle nuove<br />
regole; ciò tanto più se prima che la nuova regolamentazione<br />
diventi vigente, sia possibile un confronto<br />
con le Istituzioni nazionali ed europee, che porti ad<br />
indivi<strong>du</strong>are soluzioni alle specificità delle imprese bancarie<br />
italiane; […] per le banche italiane, in particolare,<br />
è fondamentale che siano previste soluzioni che consentano,<br />
ai fini del computo del patrimonio di vigilanza,<br />
un equo trattamento degli avviamenti e delle imposte<br />
differite attive. Queste ultime in particolare non derivano<br />
da perdite di bilancio ma da un penalizzante regime<br />
fiscale degli accantonamenti su crediti [...]”. ◗<br />
Redatto il 16/09/2010<br />
22. Rif. G. Quaglia, Partner Ernst & Young, “Basilea 3: possibili impatti operativi per le banche”, presentazione alla sessione plenaria finale del Convegno ABI: Basilea<br />
3 - Banche e imprese verso il 2012, Roma 4-5 maggio 2010.<br />
23. Rif. Basel Committee on Banking Supervision: “Press release - Group of Governors and Heads of Supervision announces higher global minimum capital<br />
standards”, 12 September 2010.<br />
24. Rif. ABI Comunicati Stampa del 06.09.10 e del 13.09.10.<br />
34
<strong>Il</strong> mercato <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> e l’evoluzione normativa di Basilea 3<br />
ANDREA FERRETTI &<br />
GIUSEPPE QUAGLIA<br />
TAVOLA 1. Nuovi standard (%) e timeline di basilea 3 (BIS, annex 2 - 12 sett. 2010)<br />
Ambito di intervento 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019<br />
Coefficenti di leva finanziara<br />
Monitoraggio Sviluppo parallelo Migra-<br />
A (Leverage Ratio)<br />
autorità annuncio del parametro – zione –<br />
di vigilanza previsto per il 01/01/2015 al Pillar 1<br />
B Coefficiente minimo di patrimonio di<br />
– – 3,5 4,0 4,5 4,5 4,5 4,5 4,5<br />
prima qualità<br />
Cuscinetto di conservazione del<br />
C<br />
– – – – – 0,625 1,25 1,875 2,50<br />
capitale<br />
D B + C – – 3,5 4,0 4,5 5,125 5,75 6,375 7,0<br />
E De<strong>du</strong>zioni dal patrimonio primario – – – 20 40 60 80 100 100<br />
(Tier 1)<br />
F Coefficiente minimo di patrimonio – – 4,5 5,5 6,0 6,0 6,0 6,0 6,0<br />
primario (Tier 1 Ratio)<br />
G<br />
Coefficiente patrimoniale totale – – 8,0 8,0 8,0 8,0 8,0 8,0 8,0<br />
(Total Capital Ratio)<br />
H C + G – – 8,0 8,0 8,0 8,625 9,25 9,875 10,5<br />
Strumenti di capitale cui viene tolta<br />
I la qualifica di patrimonio primario – – Eliminati in dieci anni a partire dal 2013<br />
principale<br />
L Coefficiente di liquidità di breve termine (Liquidity Coverage Ratio)<br />
(1) – – – (2) – – – –<br />
Coefficiente di finanziamento stabile<br />
M nel medio-lungo termine – (1) – – – – – (2) –<br />
(Net Stable Funding Ratio)<br />
Note : L’entrata in vigore delle misure è fissata per ogni anno all’1° gennaio (in grigio i periodi di transizione).<br />
(1) Inizio del perlado di osservazione<br />
(2) Intro<strong>du</strong>zione standard minimo.<br />
Fonte : <strong>Il</strong> Sole 24 Ore, rielaborazione EY<br />
BIS Press release 12.09.10, Annex 2 “Phase-in arrangements”<br />
35
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
Banche e territori<br />
36
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
<strong>Il</strong> rapporto tra banche e territori dopo<br />
la Grande Crisi del 2007-2009<br />
Grazie al suo ancoraggio forte al<br />
territorio ed anche al ruolo importante<br />
delle banche cooperative, il <strong>sistema</strong><br />
<strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> ha resistito<br />
particolarmente bene alla crisi finanziaria<br />
tra il 2007 e il 2009. Questa crisi ha<br />
posto le basi per un ripensamento<br />
dell’impostazione, precedentemente<br />
negativa, adottata nei confronti delle<br />
banche stakeholder value.<br />
GIOVANNI FERRI<br />
Professore ordinario, Università di Bari (1)<br />
Intro<strong>du</strong>zione<br />
Nei decenni precedenti la Grande Crisi del 2007-2009<br />
il <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> si era profondamente trasformato distaccandosi<br />
progressivamente da un tipo di banking<br />
imperniato sul rapporto personale per incardinarsi su<br />
rapporti più standardizzati e impersonali. Tale trasformazione,<br />
permessa dagli sviluppi della ICT, rispondeva<br />
al desiderio, da parte delle banche, di cogliere le opportunità<br />
loro offerte dalla liberalizzazione finanziaria e dalla<br />
necessità di ri<strong>du</strong>rre i costi di gestione, contribuendo così<br />
a innalzare i rendimenti del capitale verso i livelli, un<br />
tempo impensabili per le banche, loro richiesti da investitori<br />
sempre più esigenti. Così, il <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong><br />
dall’essere il settore più regolato e tradizionale era<br />
diventato uno dei più attraenti. E il mestiere del banchiere,<br />
che una volta veniva etichettato come quello sicuro<br />
ma noioso dei tre tre – il tasso sui mutui è al 3%, lo<br />
spread tra tassi attivi e passivi è al 3% e alle 3 del<br />
pomeriggio il banchiere va a giocare a golf (o a bowling<br />
se preferite) – si era convertito in uno dei più dinamici<br />
con banchieri remunerati sempre di più ma con sempre<br />
meno tempo libero. <strong>Il</strong> mutamento che doveva portare<br />
le istituzioni finanziarie nell’empireo degli alti rendimenti,<br />
teorizzato dalle grandi agenzie di consulenza americane,<br />
prescriveva di innervare le banche nei mercati<br />
finanziari modificandone il modello di business.<br />
Anche il rapporto delle banche con i territori serviti<br />
era perciò cambiato. La liberalizzazione, il desiderio di<br />
grandezza dei manager, la percezione (poi rivelatasi in<br />
gran parte infondata) di grandi vantaggi dalle economie<br />
di scala e forse anche la moda avevano prodotto un<br />
processo molto intenso di consolidamento <strong>bancario</strong>.<br />
<br />
L’autore è membro fondatore del Think Tank per lo studio del credito cooperativo creato nel 2008 presso la European Association of Co-operative Banks.<br />
37
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
Le banche si aggregavano in entità sempre più grandi,<br />
talora gigantesche e con attività totali maggiori dei<br />
bilanci pubblici degli Stati da cui promanavano. I loro<br />
centri decisionali si allontanavano dai territori serviti. La<br />
sostituzione del rapporto personale con quello mediatico<br />
– ATM, internet banking ecc. – si spingeva molto<br />
in avanti. Le persone a contatto con la clientela si<br />
ri<strong>du</strong>cevano a vantaggio del back-office e dei centri<br />
direzionali e il loro turnover si intensificava. Così, per il<br />
cliente minuto diveniva sempre più difficile identificare<br />
una persona che fungesse da interlocutore stabile alle<br />
sue esigenze bancarie.<br />
In verità, non tutte le banche seguivano quel trend o,<br />
quantomeno, non tutte correvano in quella direzione alla<br />
stessa velocità. In particolare, le banche cooperative<br />
erano meno coinvolte nella trasformazione. Esse erano<br />
ancorate al territorio dal permanere di specifiche regolamentazioni<br />
e, fors’anche di più, dal desiderio dei<br />
soci. Non sempre la loro partecipazione alle assemblee<br />
era assi<strong>du</strong>a, ma la gran parte dei soci si sarebbe<br />
opposta a trasformazioni che avrebbero portato via la<br />
“loro” banca. Però, le banche cooperative venivano<br />
generalmente giudicate arcaiche e ormai inadatte alle<br />
nuove e più sofisticate esigenze della clientela. Di più,<br />
anche da parte delle Autorità, le banche cooperative<br />
venivano guardate con sufficienza, se non con un<br />
certo pregiudizio negativo. In vari Paesi, anche risentendo<br />
del contesto, molte di esse venivano demutualizzate.<br />
Putroppo, si è capito solo dopo come la demutualizzazione<br />
non ponesse solo problemi di equità<br />
intergenerazionale – né le generazioni passate, che<br />
hanno contribuito a costruirla, né quelle future, che si<br />
ritroveranno senza quella banca cooperativa, votavano<br />
– ma anche, troppo spesso, aprisse la strada a<br />
gestioni disinvolte, foriere di fragilità e di crisi (cfr.<br />
OCMEB, 2009, per il caso del Regno Unito).<br />
Ma questo accadeva prima. Dopo la Grande Crisi del<br />
2007-2009 molto sta cambiando. Sembra che molte<br />
forze confluiscano a spingere le banche a un ritorno<br />
verso il modello di business tradizionale. Vi è un drastico<br />
ripensamento sulle virtù del consolidamento, con<br />
molti Paesi che valutano se smembrare i colossi finanziari<br />
formatisi in precedenza, al fine di ri<strong>du</strong>rre il rischio<br />
sistemico. La regolamentazione si sta inasprendo sui<br />
contratti finanziari più complessi e opachi, richiedendo<br />
di riportare su mercati regolamentati quello che veniva<br />
scambiato su mercati Over The Counter (OTC). Viene<br />
fortemente limitato, se non impedito, il proprietary<br />
trading (cioè il trading delle banche sui mercati finanziari<br />
in conto proprio). Gli schemi di remunerazione<br />
del top management delle banche sono sotto osservazione,<br />
per evitare le connesse distorsioni degli incentivi<br />
all’assunzione di rischi esagerati. Si va diffondendo<br />
la percezione che nel futuro della banca ci debbano<br />
essere più finanziamenti all’economia reale e meno<br />
coinvolgimento nei mercati finanziari e che i rendimenti<br />
del capitale debbano tornare per le banche ai livelli storici<br />
precedenti alla metamorfosi del loro modello di<br />
business. Taluni mettono in discussione l’opportunità<br />
di livelli di concorrenza elevata – che potrebbero spingere<br />
all’assunzione eccessiva di rischio – nel settore<br />
<strong>bancario</strong>. Insomma, con tutta probabilità, molto cambierà<br />
per le banche.<br />
Se le banche torneranno verso il modello d’affari tradizionale,<br />
una delle conseguenze sarà che esse torneranno<br />
a intessere rapporti più stretti con i propri<br />
territori, investendo maggiormente in questi rapporti e<br />
valorizzandone le potenzialità. Sarà interessante osservare<br />
questa evoluzione.<br />
Ma, prima che ciò si realizzi, è ancora oggi opportuno<br />
riflettere a fondo sugli errori che avevano portato ai<br />
mutamenti all’origine della crisi. In particolare, affronteremo<br />
questo tema dal particolare angolo visuale che<br />
giustappone le banche recanti l’obiettivo della massimizzazione<br />
del valore per gli azionisti – che chiameremo<br />
banche shareholder value –, soggetti resi omogenei<br />
dal privilegiare l’interesse per il valore dell’azione, a<br />
quelle che si pongono l’obiettivo di massimizzare il<br />
valore per una più ampia e composita platea di soggetti<br />
– che chiameremo banche stakeholder value (in primis<br />
le banche cooperative) – soggetti portatori di interessi<br />
tra di loro differenziati e che, perciò, vantano rapporti<br />
più stretti col territorio. In linea di massima, le prime sono<br />
approssimabili con le banche commerciali e d’investimento<br />
– prioritariamente, se non esclusivamente, orientate<br />
alla ricerca del profitto – costituite nella forma<br />
della società per azioni, mentre le banche stakeholder<br />
value sono identificabili con gli istituti di credito<br />
cooperativi e con gli altri intermediari con caratteristiche<br />
mutualistiche – per i quali la massimizzazione del pro-<br />
38
<strong>Il</strong> rapporto tra banche e territori dopo la Grande Crisi del 2007-2009<br />
GIOVANNI FERRI<br />
fitto non è né l’unico fine né, generalmente, quello<br />
prioritario.<br />
In effetti, a nostro modo di vedere, la spinta all’enfasi<br />
esasperata del profitto di breve periodo per le banche<br />
commerciali e quella alla diffusa trasformazione di banche<br />
stakeholder value in banche shareholder value – es.<br />
attraverso i processi di “demutualizzazione” – sono<br />
state <strong>du</strong>e forze determinanti nella genesi dei problemi<br />
poi sfociati nella crisi finanziaria.<br />
Per sintetizzare, ci sono tre aspetti principali connessi<br />
alla questione. In primo luogo, come detto, si è<br />
avuto un mutamento nel modello di affari <strong>bancario</strong>.<br />
Inoltre, come testé accennato, i sistemi bancari hanno<br />
sperimentato sostanziali ondate di demutualizzazione,<br />
in cui ampi segmenti del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> sono stati<br />
trasformati da uno status mutualistico o cooperativo in<br />
banche shareholder value. Da ultimo, la percezione che<br />
il rischio di credito potesse essere scomposto ha<br />
determinato una mancanza di considerazione – o,<br />
quantomeno, una sottostima – del grado in cui rompendo<br />
relazioni finanziarie complesse in contratti segmentati<br />
si sarebbe indebolita la capacità delle banche<br />
di valutare e governare la dimensione complessiva di<br />
quel rischio. Dal canto loro, del resto, la teoria economica<br />
prevalente e la regolamentazione bancaria hanno<br />
contribuito a diffondere questa visione erronea. Vi sono<br />
ovvie conseguenze sul rapporto tra banche e territorio.<br />
Nel resto del contributo, la seconda parte è dedicata alla<br />
doppia subordinazione delle banche stakeholder value:<br />
esse, in quanto banche, hanno condiviso con le altre<br />
banche la subordinazione della banca alle logiche del<br />
mercato finanziario e, inoltre, sono state insidiate da un<br />
orientamento prevalente in base al quale anch’esse<br />
sarebbero dovute convergere verso il modello della<br />
società per azioni. Nella terza parte si osserva e si svolgono<br />
alcune riflessioni sul fatto che la crisi finanziaria ha<br />
generato maggiore instabilità per le banche shareholder<br />
value rispetto a quelle stakeholder value. La quarta<br />
parte trae le principali lezioni della crisi per il tema onde<br />
trattasi e raccoglie le considerazioni conclusive.<br />
L’impostazione teorica:<br />
la doppia subordinazione delle<br />
banche stakeholder value 2<br />
Subordinazione della banca<br />
al mercato finanziario<br />
Le teorie di riferimento del <strong>sistema</strong> finanziario si suddividono<br />
in <strong>du</strong>e rami principali: la teoria dei mercati finanziari<br />
e la teoria della banca. La prima si basa su ipotesi<br />
di mercati completi e di informazione perfetta 3 . In<br />
particolare, se vale l’ipotesi dei mercati efficienti i prezzi<br />
delle attività finanziarie dovrebbero riflettere tutte le<br />
informazioni pubblicamente disponibili (Fama, 1970). Se<br />
le informazioni correnti e passate sono immediatamente<br />
incorporate nei prezzi correnti, allora solamente<br />
nuove informazioni potranno causare un cambiamento<br />
nei prezzi, i quali fanno riferimento sempre al<br />
funzionamento del meccanismo della domanda e dell’offerta.<br />
Dall’altro lato, la teoria della banca si basa su ipotesi di<br />
mercati incompleti e di informazione imperfetta.<br />
Dall’intuizione originaria di Stiglitz e Weiss (1981) la<br />
teoria degli intermediari evolve verso il monitoring sui<br />
debitori, delegato alle banche da parte dei risparmiatori/depositanti<br />
(Diamond, 1984). Ne segue che le<br />
banche svolgono una funzione essenziale di rimedio al<br />
fallimento del mercato del credito, dato che, accumulando<br />
informazioni sui debitori, possono ri<strong>du</strong>rre il grado<br />
di asimmetria informativa e impartire a questi ultimi gli<br />
incentivi corretti temperando i problemi di selezione<br />
avversa e di azzardo morale.<br />
Di conseguenza, sembra mancare un ponte tra le <strong>du</strong>e<br />
teorie: quella delle banche, che ci dice che esse esistono<br />
per rimediare a un fallimento del mercato, e<br />
quella dei mercati finanziari, che postula l’assenza di fallimenti<br />
del mercato 4 .<br />
Si è così generata un’incoerenza teorica di fondo<br />
quando, in seguito alla deregolamentazione e alla<br />
liberalizzazione finanziarie, prassi e regolamentazione<br />
bancarie si sono via via mosse verso modalità operative<br />
tipiche dei mercati finanziari. Le banche che fanno <br />
2. Per una più diffusa trattazione, si rimanda a Coco e Ferri (2010).<br />
3. Questo nonostante una crescente parte della letteratura abbia messo in discussione l’efficienza dei mercati finanziari in termini generali (es. Grossman e Stiglitz,<br />
1980) o ipotizzando che nel mercato operino soggetti disinformati, i cosiddetti noise traders (es. Delong e altri, 1990; Shleifer e Summers, 1990).<br />
4. Fanno eccezione alcuni autori (es. Allen e Gale, 2000) che hanno lavorato alla costruzione di questo ponte, concludendo che tra banche e mercati esistono forti<br />
complementarità, piuttosto che sostituibilità. Ma tale opera è ampiamente incompleta e, per di più, non ha avuto – almeno fino a prima della crisi – successo nel<br />
determinare l’impostazione delle prassi e della regolamentazione delle banche.<br />
39
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
sempre più finanza, che sono incoraggiate ad accrescere<br />
la propria redditività diversificando la propria<br />
offerta fuori dal credito tradizionale e verso le attività di<br />
finanza strutturata, l’affermarsi nella regolamentazione<br />
della logica del marking to market delle attività bancarie<br />
– logica alla base sia degli International Accounting<br />
Standards (IAS) che di Basilea 2: tutti questi elementi<br />
sono estrinsecazioni concrete di una subordinazione<br />
delle banche ai mercati finanziari.<br />
L’incarnazione più plastica dell’assoggettamento della<br />
banca al mercato finanziario la si ritrova nel teorizzare<br />
– come fa Bryan (1988), persona assai influente in<br />
quanto patron del tempo della McKinsey Consulting<br />
– che il modello <strong>bancario</strong> si deve trasformare dal<br />
desueto tradizionale originate to hold (OTH) al nuovo<br />
modello originate to distribute (OTD, fai il prestito e<br />
vendilo ai mercati finanziari). Nel modello OTH la<br />
banca fa il prestito e lo tiene in bilancio fino alla<br />
scadenza, mentre nel modello OTD appena la banca<br />
fa il prestito lo vende immediatamente mediante una<br />
cartolarizzazione.<br />
Vi sono importanti implicazioni del passaggio da OTH<br />
a OTD per il rapporto tra banca e territorio. Nel modello<br />
OTH la banca aveva forti incentivi a tenere rapporti<br />
stretti col territorio, perché l’attività di screening e<br />
monitoring le era essenziale, ma quegli incentivi cadono<br />
quando la banca si struttura sul modello OTD: essa<br />
si spossesserà subito del rischio di credito e i costosi<br />
investimenti per sapere vita morte e miracoli della<br />
clientela affidata non servono più.<br />
Subordinazione del modello <strong>bancario</strong><br />
stakeholder value a quello shareholder value<br />
Inoltre, si fa strada la convinzione che il modello societario<br />
più appropriato per favorire lo sviluppo finanziario<br />
sia quello della banca shareholder value, la quale,<br />
mirando alla massimizzazione del profitto di breve<br />
periodo, sarebbe meglio in grado di cogliere le opportunità<br />
insite nella trasformazione del modello <strong>bancario</strong><br />
da OTH a OTD. Viene perciò rappresentato come<br />
desueto il modello della banca cooperativa – il prototipo<br />
della banca stakeholder value – che, assegnando<br />
valore (anche) a obiettivi diversi dalla massimizzazione<br />
del profitto di breve periodo e equiparando<br />
(almeno sulla carta) – specie attraverso il principio<br />
“una testa un voto”, a prescindere dall’entità del possesso<br />
azionario – il peso nelle scelte aziendali di tutti<br />
gli azionisti, anche quelli minori, permette la rappresentanza<br />
di una più ampia platea di detentori d’interesse<br />
nella banca.<br />
Viene spesso messa in discussione la corporate<br />
governance delle banche cooperative che, si dice,<br />
contribuisce a generare una dirigenza pressoché inamovibile<br />
e che, perciò, corre il rischio di essere autoreferenziale.<br />
Sebbene nell’addebito di autoreferenzialità<br />
ci siano degli elementi concreti, tale<br />
ragionamento trascura la possibilità che questo sia<br />
proprio un prezzo inevitabile da pagare per consentire<br />
la rappresentanza degli stakeholders e il mantenimento<br />
di un focus localistico e al servizio delle piccole<br />
e medie imprese (De Bruyn e Ferri, 2005),<br />
intensamente basato sulle relazioni con la clientela (il<br />
c.d. relationship banking).<br />
Ne consegue che, in quanto maggiormente devote al<br />
relationship banking e <strong>du</strong>nque più idonee a ri<strong>du</strong>rre le<br />
asimmetrie informative nei confronti dei debitori, le<br />
banche stakeholder value sarebbero quelle più capaci<br />
di rimediare al fallimento del mercato che è all’origine<br />
della nascita della banca. Ma, lungi dal riconoscere ciò,<br />
per molti anni si è assistito a una sorta di disfavor nei<br />
loro confronti da parte del legislatore. Ciò determinava<br />
una doppia subordinazione delle banche stakeholder<br />
value: al pari delle banche shareholder value venivano<br />
ad essere sempre più subordinate ai mercati finanziari<br />
ma, in aggiunta, esse erano anche subordinate rispetto<br />
a quest’ultime nel modello societario.<br />
A testimoniare gli effetti concreti dell’impostazione che<br />
subordinava il modello <strong>bancario</strong> stakeholder value a<br />
quello shareholder value, la trasformazione di banche<br />
cooperative e mutualistiche – la c.d. demutualization –<br />
è stata una pratica molto diffusa, particolarmente negli<br />
USA e nel Regno Unito. Negli Stati Uniti, le Thrift<br />
Institutions – Savings Banks e Savings and Loans<br />
Banks – a partire dagli anni Ottanta vennero pressoché<br />
interamente trasformate in banche commerciali nella<br />
forma della società per azioni. Nel Regno Unito, al<br />
contempo, subirono la stessa sorte quasi tutte le<br />
Building Societies. Inoltre, anche nell’Europa continentale<br />
– ove la tendenza alla demutualizzazione era<br />
meno intensa – si sono avuti vari casi di trasformazio-<br />
40
<strong>Il</strong> rapporto tra banche e territori dopo la Grande Crisi del 2007-2009<br />
GIOVANNI FERRI<br />
ne (es. alcune ex banche popolari in Italia). La trasformazione<br />
ha ovunque modificato profondamente gli<br />
incentivi per gli amministratori di quelle banche.<br />
Generalmente ne è risultato un accorciamento nell’orizzonte<br />
temporale se non addirittura un mutamento nel<br />
modello d’affari.<br />
La crisi finanziaria:<br />
maggiore instabilità per le<br />
banche shareholder value<br />
La crisi finanziaria ha colpito i sistemi bancari in tutto il<br />
mondo. Ma, quello che qui più rileva, a essere colpite<br />
di meno dalla crisi sono state proprio le banche che<br />
meno si erano adeguate alla subordinazione richiamata<br />
al par. precedente. Analizzando la performance di<br />
Borsa di 226 banche quotate si nota che vi è una correlazione<br />
negativa e statisticamente significativa tra la<br />
dimensione e i rendimenti anormali medi sperimentati<br />
dall’azione della banca in <strong>du</strong>e cruciali eventi della crisi:<br />
il 9 agosto 2007, giorno in cui le principali Banche<br />
Centrali furono costrette a intervenire per fornire liquidità<br />
per evitare il collasso del mercato inter<strong>bancario</strong><br />
conseguente all’esplodere della crisi subprime, e il<br />
15 settembre 2008, giorno in cui il fallimento di Lehman<br />
Brothers impartì un secondo shock negativo su scala<br />
globale 5 . Inoltre, è per noi ancor più interessante notare<br />
come la penalizzazione, in termini di rendimenti anormali,<br />
inflitta dai mercati alle banche quotate sia stata<br />
maggiore per le banche che più si erano distaccate dal<br />
modello OTH per andare verso quello OTD. Sebbene<br />
misurare un tale attributo sia piuttosto complesso, una<br />
proxy del fenomeno ci è offerta da un rapporto tra <strong>du</strong>e<br />
voci di conto economico: il rapporto tra margine di<br />
interesse e margine di intermediazione. Dal momento<br />
che il divario tra margine di intermediazione e margine<br />
di interesse tende ad ampliarsi allorché crescono i ricavi<br />
netti non derivanti dall’attività di intermediazione creditizia<br />
tradizionale, va da sé che valori più elevati del rapporto<br />
tendono a identificare banche le quali si sono più<br />
spostate verso il modello OTD e, viceversa, valori inferiori<br />
del rapporto a indicare banche rimaste più ancorate<br />
al modello OTH.<br />
Ebbene, come mostrano Bongini e altri (2009), vi è una<br />
correlazione positiva – e statisticamente significativa –<br />
tra i rendimenti anormali medi e il rapporto margine di<br />
interesse/margine di intermediazione. Ciò pare confermare<br />
che nei momenti decisivi della crisi i mercati<br />
hanno penalizzato di più chi si era maggiormente avvicinato<br />
al modello OTD e di meno le banche rimaste più<br />
fedeli al modello OTH. In altri termini, i mercati azionari<br />
sembrano aver premiato il relationship banking, contraddicendo<br />
palesemente la subordinazione della banca<br />
ai mercati finanziari, orientamento che aveva prevalso<br />
negli scorsi decenni.<br />
E, non a caso, prendendo i valori medi per paese (per<br />
i paesi con almeno 5 banche quotate) ponderati in<br />
base alla dimensione dell’attivo delle singole banche,<br />
si nota che la penalizzazione in termini di rendimenti<br />
anormali è stata minima per l’Italia e la Spagna –<br />
paesi per i quali il rapporto margine di interesse/margine<br />
di intermediazione segnalava un minore allontanamento<br />
dal modello OTH – e ben maggiore per la<br />
Francia e la Germania, le cui banche quotate si erano<br />
invece avvicinate di più al modello d’affari OTD<br />
(cfr. figura 1) 6 .<br />
Dunque, anche per la seconda subordinazione, i dati<br />
disponibili paiono contraddire quello che era stato<br />
’orientamento degli anni prima della crisi.<br />
A ulteriore suffragio di ciò, va anche ricordato che le<br />
banche cooperative sono state pressoché ovunque<br />
oggetto di una sorta di “ricerca della fi<strong>du</strong>cia” da parte<br />
dei depositanti che, specie nel dopo Lehman Brothers,<br />
a frotte hanno fatto confluire grandi quantitativi di<br />
depositi verso le banche stakeholder value. Infine, va<br />
osservato che, forse non a caso, alcuni dei più notevoli<br />
casi di bancarotta degli intermediari finanziari hanno<br />
riguardato banche demutualizzate: ad esempio, per<br />
citare solo i casi più noti, Northern Rock e Halifax<br />
Bank of Scotland nel Regno Unito; Washington Mutual<br />
negli USA.<br />
<br />
5. I dati qui ripresi sono stati calcolati, mediante la tecnica dell’event study, da Bongini e altri (2009) sull’insieme di tutte le 226 banche quotate per le quali è stato<br />
possibile reperire le informazioni rilevanti. L’insieme include 4 banche della regione baltica/scandinava, 2 del Belgio, 7 della Francia, 8 della Germania, 15 dell’Italia,<br />
91 del Giappone, 2 dei Paesi Bassi, 9 della Spagna, 6 del Regno Unito e 82 degli Stati Uniti.<br />
6. Questa indicazione non è però confermata per il Giappone, probabilmente in ragione di effetti specifici nazionali in un paese ove il <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> ha sofferto a<br />
lungo della crisi deflazionistica avviatasi ai primi anni Novanta.<br />
41
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
FIGURA 1. Propensione al modello OTH e rendimenti anormali<br />
1<br />
0,503<br />
0,353 0,351<br />
0,567 0,643 0,563 0,484 0,482 0,488<br />
0<br />
- 1<br />
- 0,358<br />
- 0,143<br />
- 0,102<br />
- 0,965<br />
- 0,637<br />
- 2<br />
- 3<br />
- 2,266<br />
- 1,795<br />
- 1,549<br />
- 4<br />
- 5<br />
Regione Baltica<br />
- 4,227<br />
Francia Germania Italia Giappone Spagna Regno-Unito USA Totale<br />
MINS/MITD ponderato<br />
AR medio ponderato (%)<br />
Lezioni della crisi e conclusioni<br />
<strong>Il</strong> modello <strong>bancario</strong> basato sul relationship banking –<br />
tipico, sebbene non esclusivo, delle banche cooperative<br />
e caratteristico di più stretti rapporti banca-territorio<br />
– è il vero vincitore in seguito alla profonda instabilità<br />
finanziaria del 2007-09. Oggi, con il beneficio dell’inventario,<br />
è chiaro che il diffuso utilizzo del modello<br />
OTD è stato uno dei fattori fondamentali dietro alla<br />
perdita generalizzata di comportamenti responsabili<br />
da parte delle banche. In particolare, è abbastanza logico<br />
che, quando la banca sa ex ante che – mediante le<br />
cartolarizzazioni – venderà subito quei prestiti che si<br />
appresta erogare, per essa vengono meno gli appropriati<br />
incentivi a esercitare diligentemente le sue funzioni<br />
di selezione (screening) e controllo (monitoring) sugli affidati.<br />
Perciò, sarà molto probabile un generale abbassamento<br />
degli standard creditizi, un fenomeno particolarmente<br />
preoccupante in contesti nei quali il rischio<br />
di default dei debitori è assai alto, così come nel caso<br />
del segmento dei mutui subprime. Ma, come si è<br />
argomentato, la crisi deriva anche da errori teorici più<br />
profondi.<br />
La percezione che i rischi potessero essere segmentati<br />
– in primis con le cartolarizzazioni – trascurava<br />
il problema che parcellizzare relazioni finanziarie complesse<br />
in contratti segmentati determina, con tutta<br />
probabilità, un indebolimento della capacità degli<br />
intermediari di giudicare e governare la dimensione<br />
complessiva di quei rischi. Infatti, se un debitore affida<br />
tutti i suoi affari finanziari a una sola banca controparte,<br />
quella banca (mediante il relationship banking:<br />
Boot, 2000) potrà avere accesso a informazioni<br />
privilegiate (soft information), che andranno invece<br />
perse quando quel cliente ripartisca i suoi affari con<br />
diverse banche controparti. Al tempo stesso, nell’ambito<br />
di una relazione bancaria singola, la banca ha<br />
gli incentivi appropriati a svolgere lo screening e il<br />
monitoring dei debitori, così acquisendo informazioni<br />
private su di essi.<br />
Dal canto suo, la regolamentazione ha contribuito a plasmare<br />
un <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> meno sicuro, ad esempio<br />
attraverso gli IAS e Basilea 2, che hanno introdotto un<br />
incentivo regolamentare a usare tecnologie di<br />
rating/scoring. Limitiamoci a considerare gli andamenti<br />
prociclici potenzialmente indotti dalla diffusione del<br />
credit rating/scoring e disseminati ai requisiti di capitale<br />
attraverso i modelli di rating interni delle banche. Questo<br />
può essere etichettato come il `lato oscuro’ del credit<br />
rating/scoring (Ferri, 2001). Essendo legato alla situazione<br />
corrente piuttosto che alle prospettive future, il<br />
credit rating/scoring può in<strong>du</strong>rre fluttuazioni procicliche<br />
nel costo e nella disponibilità di credito, il che potrebbe<br />
amplificare le fluttuazioni nell’offerta di credito e, quindi,<br />
nell’attività economica.<br />
42
<strong>Il</strong> rapporto tra banche e territori dopo la Grande Crisi del 2007-2009<br />
GIOVANNI FERRI<br />
La crisi segna l’esigenza di un ripensamento anche per<br />
l’impostazione (in precedenza) negativa nei confronti<br />
delle banche stakeholder value che, non a caso, si sono<br />
comportate meglio dei quelle shareholder value. In<br />
particolare va ribadito che gli intermediari del primo tipo<br />
paiono maggiormente propensi a seguire modelli d’affari<br />
più orientati al lungo periodo e, pertanto, idonei a<br />
rafforzare il relationship banking, a favorire così comportamenti<br />
responsabili, in luogo di quelli irresponsabili<br />
all’origine della crisi e a mantenere solide radici nel<br />
territorio.<br />
<strong>Il</strong> compito è difficile – perché occorre correggere molte<br />
credenze erronee – ma non impossibile e, soprattutto,<br />
è importante. ◗<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
Allen, F. e Gale, D. (2000), Comparing Financial Systems, MIT Press: Cambridge, Mass.<br />
Bongini, P., Ferri, G. e Lacitignola, P. (2009), “Was there a “small-bank” anomaly in the subprime crisis?”, in G. Bracchi e Masciandaro,<br />
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Bryan, L.L. (1988), Breaking up the bank. Rethinking an in<strong>du</strong>stry under siege, Dow Jones-Irwin: Homewood, <strong>Il</strong>l.<br />
Boot, A.W.A. (2000), “Relationship Banking: What Do We Know?”, Journal of Financial Intermediation 9 (1):7-25.<br />
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Delong, J.B., Shleifer, A., Summers, L.H. e Waldmann, R.J. (1990), “Noise Trader Risk in Financial Markets”, Journal of Political<br />
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Fama, E.F. (1970), “Efficient Capital Markets: A Review of Theory and Empirical Work”, Journal of Finance 25 (2): 383–417.<br />
Ferri, G. (2001), “Opening Remarks”, as guest editor, of the special issue (No. 3/2001) of Economic Notes on “Capital Adequacy Requirements:<br />
Impact and Evolution”.<br />
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Shleifer, A. e Summers, L.H. (1990), “The Noise Trader Approach to Finance”, Journal of Economic Perspectives 4 (2):19-33.<br />
Stiglitz, J.E. e Weiss, A.M. (1981), “Credit Rationing in Markets with Imperfect Information”, American Economic Review 71: 393-410.<br />
43
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMÉRO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
<strong>Il</strong> ruolo delle banche del territorio nel<br />
<strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong><br />
Cariparma e Friuladria per loro natura e<br />
storia si sono sempre caratterizzate<br />
come Banche del Territorio. Essere<br />
Banca del Territorio è un’attitudine; non<br />
si tratta solo di vicinanza territoriale, ma<br />
soprattutto di un approccio verso il<br />
territorio inteso in senso ampio. Essere<br />
Banca del Territorio significa essere<br />
vicini al mondo del cliente.<br />
GIAMPIERO MAIOLI<br />
Amministratore delegato e direttore generale,<br />
Gruppo Cariparma Friuladria<br />
Banca del territorio come “attitudine”<br />
La crisi economica in atto ha riportato al centro dell’attenzione<br />
il tema della vicinanza al territorio da parte<br />
delle banche. <strong>Il</strong> concetto di Banca del Territorio è stato<br />
a volte utilizzato più come uno slogan che per gli effettivi<br />
contenuti. In realtà, l’attualità di questi argomenti deriva<br />
dall’esplicita esigenza della clientela di interfacciarsi<br />
con una banca che gli sia vicina; esigenza che non<br />
sempre ha trovato una risposta.<br />
<strong>Il</strong> concetto di Banca del Territorio non è un concetto<br />
geografico né un fatto dimensionale ma è un’attitudine;<br />
non si tratta solo di vicinanza territoriale, ma soprattutto<br />
di un approccio verso il territorio inteso in senso<br />
ampio. Un rapporto continuo con i diversi stakeholders<br />
che genera un circolo “virtuoso”. In questo senso,<br />
Cariparma e Friuladria per loro natura e storia si sono<br />
sempre caratterizzate come Banche del Territorio.<br />
Fare banca come Banca del Territorio significa plasmare<br />
la propria azione e la propria struttura sulle esigenze e<br />
sulle caratteristiche dei soggetti con cui si interagisce,<br />
siano essi imprese, famiglie o istituzioni.<br />
<strong>Il</strong> contesto economico <strong>italiano</strong> si caratterizza per un tessuto<br />
pro<strong>du</strong>ttivo con una componente di piccole e<br />
medie imprese superiore rispetto alla media dei paesi<br />
più avanzati: 3,7 milioni di imprese (2,2 milioni in<br />
Francia) che generano quasi <strong>du</strong>e terzi del PIL <strong>italiano</strong><br />
(51% del PIL in Francia). La dimensione media delle<br />
imprese italiane risulta pari a 4 addetti contro i<br />
6,4 addetti dell’Unione Europea, 12,2 della Germania,<br />
5,9 per la Francia. A questa frammentazione e capillarità<br />
hanno fatto però da contraltare alcune caratteristiche<br />
tipiche delle imprese: flessibilità, velocità e reattività ai<br />
44
<strong>Il</strong> ruolo delle banche del territorio nel <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong><br />
GIAMPIERO MAIOLI<br />
mutevoli contesti economici, in un mercato del lavoro<br />
ancora rigido e condizionato da regimi fiscali non favorevoli<br />
(l’Italia figura al primo posto nell’Unione Europea<br />
per tassazione del lavoro dipendente con il 43% contro<br />
il 34,4% della Unione Europea). Inoltre, la specializzazione<br />
di gruppi di imprese in determinate aree<br />
geografiche ha dato vita ai distretti in<strong>du</strong>striali: fare<br />
impresa in alcune aree del Paese è cosa diversa dall’esercitare<br />
attività economica in altre aree.<br />
CARTA 1. Distribuzione dei distretti in<strong>du</strong>striali in Italia<br />
L’evoluzione e la sopravvivenza dei distretti in<strong>du</strong>striali<br />
post crisi è peraltro legata in maniera indissolubile alla<br />
capacità degli stessi di reinventarsi in termini di internazionalizzazione<br />
e di ricerca di nuovi mercati. In questo<br />
senso il processo si è già innescato: nel primo trimestre<br />
2010, rispetto allo stesso trimestre dell’anno<br />
precedente, si è registrata una variazione positiva delle<br />
esportazioni (+6,6%), ponendo fine a quasi <strong>du</strong>e anni di<br />
andamenti negativi.<br />
Inoltre, ci sono le famiglie che rappresentano una risorsa<br />
inestimabile per l’intero <strong>sistema</strong> Paese, sia sotto il<br />
profilo economico e del risparmio, che per i valori di cui<br />
sono portatrici. La loro propensione al risparmio rimane<br />
tra le più alte in Europa con una percentuale del 14%<br />
contro una media dell’Unione Europea del 13,3%,<br />
anche se risulta in progressiva ri<strong>du</strong>zione.<br />
In quest’ottica, fare banca significa essere radicati fortemente<br />
sul territorio, sviluppare esperienza nel fornire<br />
prodotti e servizi a misura del cliente e avere la<br />
necessaria solidità patrimoniale per affrontare i<br />
momenti di crisi. In altre parole, essere vicini al<br />
mondo del cliente. Gli elementi che qualificano tutto<br />
ciò sono ben chiari. Si tratta soprattutto di consentire<br />
una più facile accessibilità al credito anche per la<br />
creazione di nuove imprese, con i poteri di decisione<br />
nell’erogazione dei finanziamenti collocati più in<br />
basso. Va garantito un rapporto di fi<strong>du</strong>cia <strong>du</strong>raturo e<br />
personalizzato con la clientela, anche attraverso la<br />
maggiore permanenza dello staff operativo e il presidio<br />
degli sportelli nei piccoli comuni. La banca così<br />
interpretata crea uno stretto legame con le sorti economiche<br />
della comunità in cui opera, diventando<br />
motore attivo di sviluppo. <strong>Il</strong> tutto viene sostenuto<br />
da forme societarie diversificate (società cooperative,<br />
banche popolari, società per azioni), dalle caratteristiche<br />
dei propri soci, e da entità importanti quali<br />
le fondazioni bancarie. Queste ultime hanno un rilevante<br />
ruolo nella vita sociale ed economica del Paese<br />
sia per finalità sociali e di promozione dello sviluppo<br />
economico, sia nella veste di investitori istituzionali.<br />
Con gli utili derivanti dalla gestione dei loro patrimoni,<br />
traggono le risorse per sostenere attività d’interesse<br />
collettivo.<br />
Questo modo di vedere il <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> è importante<br />
anche alla luce di quanto è avvenuto negli ultimi <strong>du</strong>e<br />
anni sui mercati finanziari internazionali.<br />
L’innovazione finanziaria e la deregolamentazione<br />
hanno cambiato il ruolo svolto da molte banche, il loro<br />
stesso modello di business. Le Banche del Territorio,<br />
intese nel senso che abbiamo visto, non l’hanno<br />
fatto. Sono rimaste fedeli alla loro mission. Sono<br />
rimaste vicine alle imprese, hanno continuato a fornire<br />
il proprio sostegno all’economia reale impegnata a<br />
resistere ai contraccolpi della crisi internazionale.<br />
L’andamento dei prestiti bancari negli ultimi anni lo<br />
conferma: in un contesto economico che ha visto un<br />
calo del PIL del 5% nel 2009, c’è stata una crescita<br />
nelle erogazioni da parte delle banche con forte vocazione<br />
territoriale (banche piccole e di credito cooperativo)<br />
e un ritmo molto più contenuto da parte dei<br />
primi cinque gruppi bancari.<br />
<br />
45
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
In particolare, il Gruppo Cariparma Friuladria nel 2009<br />
ha registrato una crescita degli impieghi alla clientela del<br />
5,5%, contro una crescita a livello di <strong>sistema</strong> intorno al<br />
2%. La sola Cariparma ha stipulato, nel 2009, circa<br />
14.500 mutui (+78% rispetto all’anno precedente) e ha<br />
incrementato del 15,1% i prestiti alle imprese. Gli<br />
accordi con le associazioni di categoria e con i Consorzi<br />
di garanzia fidi (Confidi) sono aumentati, per garantire<br />
i finanziamenti erogati alle piccole e medie imprese. A<br />
questi vanno aggiunti interventi di natura “sociale” con<br />
una vasta gamma di soluzioni per rispondere efficacemente<br />
ai bisogni contingenti di famiglie e imprese.<br />
Questi dati confermano che un contesto pro<strong>du</strong>ttivo con<br />
relazioni e valori non standardizzabili ha difficoltà a<br />
ritrovarsi a pieno nei modelli organizzativi dei grandi<br />
gruppi bancari. Per questa ragione è cresciuto il ruolo<br />
delle Banche del Territorio che associano una profonda<br />
conoscenza delle realtà dove sono insediate con la<br />
disponibilità di risorse, di strumenti innovativi e magari<br />
anche di una proiezione internazionale, grazie all’inserimento<br />
in reti di maggiori dimensioni, come è il<br />
caso di Cariparma e Friuladria in Crédit <strong>Agricole</strong>.<br />
Un modello organizzativo per<br />
minimizzare le distanze<br />
<strong>Il</strong> legame fra banche, territorio e cliente si concretizza<br />
in un modello organizzativo che incarna “l’approccio”<br />
e “l’attitudine” verso il territorio. Lo scopo è quello di<br />
creare i presupposti organizzativi che minimizzino le<br />
distanze operative e funzionali. Per distanza intendiamo<br />
lo spazio che separa i clienti dalla banca e,<br />
come detto, si esplica su <strong>du</strong>e ambiti. Da un lato c’è la<br />
distanza “operativa”, fisica, che è influenzata dalla distribuzione<br />
degli sportelli bancari, dalle scelte di penetrazione<br />
in un determinato territorio. Dall’altro lato c’è<br />
la distanza “funzionale”, che separa i centri decisionali<br />
delle banche dai sistemi locali: tanto più accentuata è<br />
questa distanza, minore sarà la sensibilità verso le<br />
richieste differenziate della clientela e minore sarà l’offerta<br />
“su misura” del servizio. Quindi, organizzazioni<br />
snelle, leve decisionali corte e strutture sempre più<br />
focalizzate sulla clientela.<br />
Sono queste le caratteristiche del Gruppo Cariparma<br />
Friuladria che ha mo<strong>du</strong>lato le sue strutture sui territori<br />
di riferimento, recependo le esigenze dei propri stakeholders,<br />
facendo leva su quei valori di solidità, fi<strong>du</strong>cia<br />
e flessibilità che rappresentano il tratto distintivo di<br />
quei territori. L’inserimento in un primario gruppo <strong>bancario</strong><br />
mondiale quale il Gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> consente<br />
poi di sviluppare la capacità di innovare, la solidità<br />
patrimoniale e l’apertura internazionale necessaria<br />
per rispondere alle crescenti esigenze di una clientela<br />
sempre più attenta. Una banca “corta” fortemente<br />
radicata nell’economia e nel contesto sociale<br />
dei territori in cui opera: questo in sintesi il Gruppo<br />
Cariparma Friuladria.<br />
20<br />
15<br />
FIGURA 1. Prestiti bancari per gruppo dimensionale di banca (dati mensili)<br />
Variazioni percentuali sui 12 mesi<br />
20<br />
15<br />
10<br />
10<br />
5<br />
0<br />
- 5<br />
Primi 5 gruppi<br />
Altre banche grandi<br />
Benche piccole<br />
Benche di credito cooperativo<br />
Totale<br />
2004 2005 2006 2007 2008 2009 10<br />
5<br />
0<br />
- 5<br />
Fonte: Relazione Annuale Banca d’Italia 2009 – segnalazioni di vigilanza<br />
46
<strong>Il</strong> ruolo delle banche del territorio nel <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong><br />
GIAMPIERO MAIOLI<br />
Tre drivers strategici:<br />
responsabilità sociale, “fare utili<br />
sostenibili” e “fare sviluppo”<br />
Le Banche del Territorio si trovano oggi ad interpretare<br />
il ruolo di motori propulsivi per la crescita della<br />
comunità di riferimento. Come detto, per fare questo<br />
bisogna conoscere in modo adeguato i propri clienti.<br />
Non è facile e forse oggi è diventato ancora più difficile,<br />
in particolare con le imprese, perché è il mondo economico<br />
che ha aumentato la propria complessità.<br />
L’acronimo “glocal” (globalizzazione/localismo) sintetizza<br />
i nuovi scenari:<br />
• globalizzazione, con mercati finanziari e reali sempre<br />
più ampi e informazione standardizzata e diffusa;<br />
• localismo, con la valorizzazione delle peculiarità dei<br />
diversi assetti sociali, organizzativi e pro<strong>du</strong>ttivi che<br />
caratterizzano i sistemi locali.<br />
Le Banche del Territorio, in particolare, hanno il difficile<br />
ma ineludibile compito di capire le imprese conciliando<br />
questi <strong>du</strong>e aspetti. L’apertura ai mercati globali<br />
può servire da stimolo a superare barriere protettive ed<br />
inefficienze dei sistemi locali. La valorizzazione dei<br />
punti di forza del localismo può fornire elementi competitivi<br />
per operare sui mercati globali. Solo creando i<br />
presupposti per rivitalizzare il territorio, inteso nel senso<br />
in cui l’abbiamo descritto, saremo in grado di rilanciare<br />
la pro<strong>du</strong>ttività e la crescita del Paese.<br />
Sintetizzando, quindi, per le Banche del Territorio si<br />
esplicitano tre diversi ordini di responsabilità:<br />
• La responsabilità sociale, che vede la banca come<br />
un <strong>sistema</strong> aperto che interagisce con una molteplicità<br />
di “portatori di interesse” (indivi<strong>du</strong>i e Gruppi) che concorrono<br />
ai suoi risultati e ne ricavano dei benefici. Negli<br />
ultimi anni un numero sempre crescente di aziende,<br />
compreso il Gruppo Cariparma Friuladria, ha realizzato<br />
bilanci sociali, codici etici ed altri strumenti di attuazione<br />
della Responsabilità sociale d’Impresa (CSR).<br />
L’integrazione volontaria di istanze etiche, sociali ed<br />
ambientali dentro le attività commerciali dell’impresa e<br />
nei suoi rapporti con gli stakeholders è fondamentale.<br />
Questo vale per qualsiasi tipo di impresa evoluta ed è<br />
particolarmente significativo per un’impresa come la<br />
banca che fonda la sua attività sulla fi<strong>du</strong>cia. <strong>Il</strong> Gruppo<br />
Cariparma Friuladria è da sempre attento alle comunità<br />
in cui opera. A conferma di ciò basti pensare che nell’ultimo<br />
triennio sono state effettuate più di 1.000<br />
assunzioni e che nel solo 2009 sono stati erogati quasi<br />
5 milioni di euro per iniziative di welfare locale, realizzate<br />
con il coinvolgimento di enti ed associazioni.<br />
• La responsabilità dell’efficienza gestionale, che<br />
pone al centro dell’attenzione l’azienda come soggetto<br />
che deve scegliere le soluzioni organizzative e operative<br />
più efficienti in termini di redditività (“fare utili”), ma<br />
anche di sicurezza, di capacità innovativa, di qualità del<br />
<br />
<strong>Il</strong> capitale sociale<br />
<strong>Il</strong> capitale economico<br />
Distribuzione territoriale filiali<br />
Gruppo Cariparma Friuladria<br />
FIGURA 2<br />
Popolazione residente<br />
Tasso di variazione medio annuo 2001-2008.<br />
PIL pro capite (Italia = 100) dati 2008<br />
Numero di agenzie per provincia<br />
variazione negativa<br />
0,0 - 0,73<br />
0,74 - 0,99<br />
1,00 e oltre<br />
Fino a 75,0<br />
75,1 - 100,0<br />
100,1 - 125,0<br />
125,1 e oltre<br />
Quota di mercato (agenzie) > 9%<br />
Quota di mercato (agenzie) 3,5 - 9%<br />
Quota di mercato (agenzie) < 3,5%<br />
Prossimi distaccamenti CRP<br />
47
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
capitale umano. In definitiva, si tratta di percorrere un<br />
sentiero di crescita sostenibile privilegiando la redditività<br />
e la permanenza di lungo periodo della relazione<br />
bancaria (evitando i guadagni facili e di breve termine).<br />
• la responsabilità dello sviluppo territoriale, che<br />
valorizza le diverse potenzialità dei sistemi locali (“fare<br />
sviluppo”), dove le banche concorrono con una pluralità<br />
di altri attori a determinare la crescita. Non si tratta semplicemente<br />
di quantità di credito erogato e di condizioni<br />
applicate, ma anche di capacità di selezionare progetti,<br />
di incentivare le innovazioni, di valutare le potenzialità<br />
delle imprese locali, di affermare i principi di trasparenza,<br />
di fi<strong>du</strong>cia e di merito professionale. Le banche assumono<br />
il ruolo strategico di agente di sviluppo che non<br />
si limita a finanziare le imprese, ma soprattutto contribuisce<br />
a far maturare una cultura dello sviluppo e a formare<br />
una classe dirigente locale di imprenditori, di<br />
professionisti, di amministratori.<br />
I gruppi bancari di maggiori dimensioni che agiscono<br />
prevalentemente sui grandi circuiti di intermediazione,<br />
tendono a privilegiare l’efficienza gestionale rispetto<br />
a quella territoriale. Le banche locali realizzano un<br />
legame più solido con il territorio di appartenenza e risultano<br />
più direttamente coinvolte nel suo sviluppo, senza<br />
perdere di vista l’efficienza e la creazione di valore.<br />
Promuovere cultura in un contesto<br />
favorevole<br />
Riassumendo, la missione delle Banche del Territorio<br />
è quella di promuovere una nuova cultura imprenditoriale,<br />
tenendo bene in mente quali sono le<br />
responsabilità e i compiti che sono chiamate a<br />
svolgere.<br />
Solo così può essere supportato e favorito lo sviluppo<br />
del capitale sociale del nostro Paese. Creare<br />
capitale sociale significa creare le premesse per<br />
lo sviluppo economico. <strong>Il</strong> primo è il prerequisito perché<br />
il secondo possa esistere e la compresenza<br />
dei <strong>du</strong>e crea contesti favorevoli e di benessere collettivo.<br />
<strong>Il</strong> modello di Banca del Territorio è stato un modello vincente<br />
fino ad oggi ma non può permettersi di restare<br />
un modello statico e consolidato di fronte alle nuove<br />
sfide che l’attendono. <strong>Il</strong> mondo delle famiglie e delle<br />
imprese sta reagendo alla crisi con modalità diversificate<br />
che richiedono ancora maggiore “prossimità” per<br />
essere colte. Quindi, è necessario essere sempre più<br />
vicini al mondo del cliente, cosa su cui Cariparma e<br />
Friuladria, in linea con i valori del Gruppo Crédit <strong>Agricole</strong>,<br />
hanno sempre cre<strong>du</strong>to e da cui deriva una parte importante<br />
della loro legittimazione. ◗<br />
48
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
<strong>Il</strong> ruolo delle Fondazioni come<br />
investitori istituzionali delle banche<br />
Le Fondazioni costituiscono un<br />
elemento di stabilità degli assetti<br />
proprietari delle banche. Esse ricoprono<br />
positivamente quel ruolo di soci stabili<br />
che, nella realtà italiana, altri investitori<br />
istituzionali non sarebbero in grado di<br />
svolgere.<br />
CARLO GABBI<br />
Presidente, Fondazione Cariparma<br />
Un investitore stabile con lo<br />
sguardo al lungo periodo<br />
Ad oltre dieci anni dalla legge sulle Fondazioni bancarie<br />
del 1999, si può affermare senza ombra di <strong>du</strong>bbio<br />
che il progetto che ne stava alla base è stato sostanzialmente<br />
attuato: il <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> ha continuato<br />
la profonda trasformazione avviata negli anni<br />
’90 con il contributo essenziale delle Fondazioni, dimostratesi<br />
capaci di interpretare in maniera costruttiva<br />
ed efficace il proprio particolare ruolo in un contesto normativo<br />
e finanziario profondamente mutato.<br />
Intervenendo nell’ottobre 2009 alla Giornata Mondiale<br />
del Risparmio, nel momento più acuto e incerto dallo<br />
scoppio della crisi, il Governatore della Banca d’Italia<br />
Mario Draghi richiamava le Fondazioni a continuare a<br />
svolgere il proprio ruolo di azionisti delle banche con lungimiranza<br />
e dinamismo.<br />
Significativo, in un periodo di notevoli difficoltà dei<br />
mercati finanziari, è stato l’importante riconoscimento<br />
del ruolo delle Fondazioni espresso dal Governatore in<br />
M. Drophi la quale ha evidenziato che “le Fondazioni<br />
sono state un’ancora per le banche italiane. Le hanno<br />
accompagnate, anche nella fase più tempestosa della<br />
crisi finanziaria, nel rafforzamento patrimoniale; le stanno<br />
accompagnando ora nella debole ripresa che si prospetta.<br />
Molte hanno accettato sacrifici nell’immediato,<br />
contribuendo alla solidità del <strong>sistema</strong>, alla capacità<br />
delle banche di fare credito all’economia, alla valoriz- <br />
49
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
zazione di lungo termine del proprio stesso investimento.<br />
La crisi ha mostrato come le Fondazioni possano<br />
andare al di là della funzione che ci si attende da<br />
un investitore istituzionale: questi ha una voce autorevole<br />
fintantoché i suoi clienti gli affidano i loro risparmi<br />
da gestire; si affievolisce e muore quando essi li ritirano.<br />
La voce delle Fondazioni non segue le alterne vicende<br />
dei mercati, il loro sguardo tende al periodo mediolungo.<br />
<strong>Il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>, dopo le grandi fusioni<br />
di <strong>du</strong>e anni fa, ha bisogno di stabilità per affrontare<br />
le sfide gestionali e strategiche che l’uscita dalla crisi<br />
richiede. Ha bisogno che le Fondazioni continuino ad<br />
accompagnarne il rafforzamento patrimoniale e perseverino<br />
in quel ruolo, di azionista presente ma non<br />
intrusivo nella gestione, che è stato negli ultimi anni alla<br />
base del loro successo”.<br />
Favorite dalle politiche condotte negli ultimi anni e<br />
dalle regole contabili di settore, le Fondazioni hanno<br />
infatti costituito un elemento di stabilità degli assetti proprietari<br />
in momenti di turbolenza dei mercati; hanno<br />
contribuito a sostenere la capitalizzazione dei principali<br />
gruppi bancari, con apporti diretti e rinunce sul versante<br />
dei dividendi.<br />
Più di recente, in occasione delle “Considerazioni finali”<br />
lette il 31 maggio 2010, il Governatore ha infine<br />
ribadito che il ruolo delle Fondazioni come azionisti<br />
delle banche non può che essere quello stabilito dalla<br />
legge: investitori il cui unico obiettivo sta nel valore<br />
economico dell’investimento.<br />
Le fondazioni bancarie tra passato,<br />
presente e futuro<br />
In un’ottica di lungo periodo tipica degli investitori istituzionali,<br />
le Fondazioni hanno svolto un ruolo positivo<br />
nell’accompagnare, a partire dagli anni ’90, il processo<br />
di privatizzazione, la ristrutturazione e il<br />
rafforzamento del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong>.<br />
L’allentamento della presenza nel capitale delle banche<br />
è avvenuto in maniera ordinata e nel rispetto dei<br />
vincoli legislativi.<br />
Secondo dati riferiti a settembre 2009, 18 enti hanno<br />
scelto di non detenere più direttamente partecipazioni<br />
nelle società conferitarie (erano 9 nel 1999) e 15<br />
detengono una partecipazione superiore al 50 per<br />
cento del capitale (44 nel 1999); dei rimanenti 55<br />
detentori di partecipazioni di minoranza (36 nel 1999),<br />
solo 23 detengono più del 20 per cento.<br />
Rispetto a dieci anni fa, la presa delle fondazioni sul<br />
<strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> è quindi certamente meno diretta e<br />
l’entità della loro partecipazione è certamente diminuita,<br />
anche in conseguenza dei processi aggregativi che il<br />
nostro <strong>sistema</strong> ha vissuto negli ultimi anni. Le fondazioni<br />
hanno acquisito un loro statuto articolato, hanno<br />
visto riconosciuta la loro natura privata e hanno certamente<br />
potenziato la loro capacità di operare per il<br />
conseguimento dei fini sociali che ne giustificano l’esistenza.<br />
Le partecipazioni bancarie continuano comunque a<br />
costituire una parte importante degli attivi delle<br />
Fondazioni, mentre la presenza di altri investitori istituzionali<br />
nel capitale delle banche è ancora limitata.<br />
Resta da chiedersi se, anche rispetto alla ratio della riforma<br />
del 1999, la situazione presente, che vede le fondazioni<br />
in una posizione eminente, ma non di controllo,<br />
nei maggiori gruppi bancari italiani, possa<br />
considerarsi un punto di arrivo o solo una tappa di un<br />
processo in ulteriore evoluzione.<br />
Ciò equivale a chiedersi, in altre parole, se la struttura<br />
proprietaria dei maggiori gruppi bancari italiani, che vede<br />
in posizione eminente le Fondazioni, sia ottimale per il<br />
<strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong>, soprattutto in relazione alla possibilità<br />
teorica che le Fondazioni non siano in grado di<br />
assicurare, in futuro, un adeguato flusso di capitale proprio<br />
alle banche partecipate.<br />
In proposito, a me sembra di poter affermare che oggi,<br />
in un periodo in cui sono sentite fortemente le esigenze<br />
di stabilità proprietaria delle banche, e tenuto<br />
conto dell’inesistenza di alternative nazionali per rilevare<br />
le quote delle Fondazioni, queste sono viste quali interpreti<br />
di un ruolo di supplenza degli altri “investitori istituzionali”.<br />
Queste riflessioni si ricollegano, del resto, al dibattito che<br />
ha accompagnato il processo di privatizzazione del<br />
<strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> ed il passaggio dagli enti<br />
conferenti alle fondazioni, dibattito che, fin dall’origine,<br />
è stato contrassegnato da una netta contrapposizione<br />
tra i sostenitori della necessità di affrancare le banche<br />
da ogni influenza da parte delle fondazioni e coloro<br />
che valutavano in termini positivi la permanenza<br />
delle Fondazioni nel capitale delle banche, non più<br />
50
<strong>Il</strong> ruolo delle fondazioni come investitori istituzionali delle banche<br />
CARLO GABBI<br />
nella veste di controllanti, ma quali soci istituzionali di<br />
lungo termine, interessati ad una crescita di valore<br />
dell’investimento sostenibile nel tempo.<br />
La partecipazione delle Fondazioni<br />
al capitale delle banche e gli effetti<br />
sulla corporate governance<br />
Prima che la legge Ciampi prevedesse l’obbligatoria dismissione<br />
del controllo delle banche e, nel contempo,<br />
riconoscesse la natura privatistica delle fondazioni<br />
bancarie, la presenza di queste ultime, in qualità di controllanti,<br />
era considerata un elemento di anomalia<br />
nella corporate governance delle banche, in quanto<br />
espressione di quella proprietà “pubblica” cui veniva<br />
attribuita la principale responsabilità dell’arretratezza<br />
e dell’inefficienza del nostro <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> e il cui<br />
superamento veniva invocato come condizione indispensabile<br />
a consentirne un allineamento alle logiche<br />
di mercato e alle regole di efficienza, competitività<br />
e creazione di valore per gli azionisti che ne<br />
conseguono.<br />
Più di recente, una parte della dottrina ha ritenuto di<br />
estendere alle partecipazioni “influenti” nelle banche,<br />
ancorché non di controllo, quelle stesse ragioni di<br />
opportunità che avevano indotto il legislatore ad imporre<br />
la dismissione del controllo: osterebbero, a giudizio<br />
di tale dottrina, la natura delle fondazioni bancarie che,<br />
nonostante la formale qualifica di “persone giuridiche<br />
private”, continuerebbero a conservare significativi<br />
connotati pubblicistici; il rapporto con gli enti locali<br />
che le renderebbe particolarmente permeabili ad influenze<br />
di natura politica; il rischio di una ingessatura degli<br />
assetti proprietari che sarebbe di ostacolo ad una<br />
maggiore contendibilità ed efficienza delle banche.<br />
Non mancano, per contro, sostenitori dell’opportunità<br />
del mantenimento della presenza delle fondazioni nel<br />
capitale delle banche quali soci stabili, orientati ad<br />
uno sviluppo sostenibile e quindi più affidabili, come<br />
investitori di medio e lungo periodo, della gran parte dei<br />
possibili azionisti di riferimento degli istituti di credito.<br />
La partecipazione delle Fondazioni al capitale delle<br />
banche continua, pertanto, ad essere oggetto di un<br />
acceso dibattito che coinvolge, da un lato, la natura<br />
stessa e il ruolo delle fondazioni bancarie, quali peculiari<br />
investitori istituzionali o enti votati esclusivamente<br />
al perseguimento di finalità sociali e, dall’altro, il tema<br />
degli assetti proprietari, dello sviluppo e dell’efficienza<br />
del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong>.<br />
In proposito, a me pare di poter affermare, condividendo<br />
in ciò le autorevoli opinioni di più illustri commentatori,<br />
che le fondazioni bancarie sono state tra i pochi<br />
investitori che, come soci istituzionali delle banche<br />
partecipate, hanno svolto un ruolo attivo nella governance,<br />
indotto dal convincimento che la presenza nelle<br />
banche non costituisce un puro investimento finanziario,<br />
ma risponde anche a quella finalità di “promozione<br />
dello sviluppo economico” dei territori di riferimento che<br />
l’art. 2, comma 1°, D.Lgs. 17 maggio 1999, n. 153 indica<br />
tra gli scopi della fondazione.<br />
<strong>Il</strong> giudizio specifico sull’operato delle fondazioni bancarie<br />
quali soci istituzionali non può, certamente, essere<br />
univoco e generalizzato, senza tener conto cioè delle<br />
diverse situazioni che vedono, in taluni casi, una presenza<br />
maggioritaria nel capitale di una o più fondazioni,<br />
in altri una maggioranza relativa molto elevata, in altri<br />
ancora una presenza minoritaria rilevante di una sola<br />
fondazione o di più fondazioni; situazioni che nel loro<br />
diverso dispiegarsi a volte hanno concretamente alimentato<br />
il dibattito sopra accennato.<br />
Ma ugualmente, a mio avviso, non si può negare il ruolo<br />
positivo svolto in generale dalle fondazioni nel processo<br />
di rapida evoluzione in senso privatistico e di<br />
apertura al mercato del nostro <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> 1 , che<br />
ne ha certamente migliorato l’efficienza e la competitività<br />
molto di più di quanto non sia avvenuto in altri<br />
paesi europei, dove la presenza pubblica è ancora<br />
molto rilevante.<br />
Naturalmente, come è inevitabile in un processo di<br />
cambiamento cosí rapido, questa evoluzione non è<br />
avvenuta senza resistenze, tensioni e qualche comportamento<br />
contradditorio e discutibile, ma, nel complesso,<br />
le fondazioni hanno saputo, sino ad ora, ope- <br />
1. Dalla ricerca congiunta di Banca d’Italia e Consob su: The evolution of ownership and control structure in Italy in the last 15 years coordinata da M. Bianco e<br />
M. Bianchi e pubblicata nel dicembre 2008 si ricava che, tra le società quotate italiane, le banche sono nettamente quelle che presentano il più basso grado di<br />
concentrazione della proprietà, mentre la presenza pubblica nel capitale è completamente sparita.<br />
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HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
rare nel rispetto di obiettivi di efficienza e di crescita del<br />
valore e della redditività dell’investimento, traendone<br />
significativi benefici economici in termini di incremento<br />
patrimoniale e di disponibilità delle risorse da destinare<br />
ai propri fini istituzionali.<br />
La mia opinione è <strong>du</strong>nque che, se sul piano teorico<br />
potrebbe forse legittimamente ritenersi che le<br />
Fondazioni non debbano rimanere l’unico esempio<br />
così diffuso di investitore istituzionale nel capitale delle<br />
banche, sul piano pratico è difficile, ad oggi, immaginare<br />
un soggetto effettivamente alternativo alle<br />
Fondazioni.<br />
Un socio stabile ed orientato allo<br />
sviluppo del territorio<br />
Le fondazioni bancarie hanno ricoperto positivamente<br />
quel ruolo di soci stabili che, nella realtà italiana, altri<br />
investitori istituzionali non sono in grado di svolgere.<br />
Altre possibili alternative, quali le partecipazioni di<br />
imprese in<strong>du</strong>striali o di imprese assicurative, non<br />
potrebbero assumere il medesimo rilievo senza gravi<br />
rischi di conflitti di interesse.<br />
Giova ricordare, al riguardo, come la disciplina che<br />
regola l’attività delle fondazioni bancarie contenga un<br />
aspetto saliente, che valorizza il ruolo dalle stesse<br />
assunto nel mercato finanziario e caratterizza il loro agire<br />
come investitori istituzionali.<br />
Tale aspetto saliente va identificato nel riferimento fatto<br />
dal Legislatore (art. 7, comma 1, del D.Lgs. 153/99) alle<br />
“finalità istituzionali ed in particolare allo sviluppo del territorio”<br />
come principio guida di impiego del patrimonio;<br />
tale riferimento, da un lato, ribadisce il principio per cui<br />
il patrimonio deve essere gestito “in modo coerente con<br />
la natura delle Fondazioni quali enti senza scopi di<br />
lucro” enunciato dal 1° comma dell’art. 5 (il che impedisce<br />
che la fondazione possa gestire la propria finanza<br />
come un fondo speculativo o proporsi obiettivi di<br />
massimizzazione della redditività degli investimenti ai<br />
quali si accompagni l’assunzione di rischi molto elevati),<br />
dall’altro, indica un criterio preferenziale, in presenza di<br />
un adeguato ritorno economico, per quegli investimenti<br />
che possono fornire un supporto alle altre attività<br />
rientranti nei fini istituzionali delle fondazioni e allo sviluppo<br />
del territorio.<br />
Questa, oggettivamente, mi pare sia la logica che ispira<br />
la partecipazione delle fondazioni alle banche. Da un<br />
lato è un investimento che ha consentito di realizzare<br />
una notevole valorizzazione del patrimonio ed una<br />
adeguata redditività, dall’altro, ha dato l’opportunità di<br />
presidiare, quali soci stabili e influenti, l’interesse a che<br />
le banche partecipate, in un quadro di efficienza gestionale,<br />
non facciano venire meno il sostegno allo sviluppo<br />
dell’economia dei territori di riferimento.<br />
Le fondazioni bancarie non sono forse i soci stabili ideali<br />
(sul piano teorico) di una banca e non è detto che in<br />
futuro siano in grado di mantenere questo ruolo assicurando<br />
il necessario sostegno finanziario alla crescita<br />
delle banche partecipate, ma sembrano oggi decisamente<br />
migliori di altri che potrebbero prendere il<br />
loro posto.<br />
Non è nell’interesse delle Fondazioni, e tantomeno<br />
del <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong>, tornare a quando la maggioranza<br />
di turno nominava gli amministratori delle banche<br />
e suggeriva i clienti di riguardo, ed in ciò le Fondazioni<br />
hanno svolto al meglio un ruolo di “diaframma” tra la<br />
politica e le banche, contribuendo alla stabilità del<br />
<strong>sistema</strong> nella convinzione che una cosa è il rispetto del<br />
territorio, altra è il legame con la politica. ◗<br />
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HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
I problemi di finanziamento delle PMI<br />
e il loro accesso ai mercati esteri<br />
Una dimensione modesta e una forte<br />
dipendenza dal credito <strong>bancario</strong><br />
rendono talvolta difficile l’operatività<br />
delle PMI italiane nei mercati esteri.<br />
Tuttavia, una collaborazione tra banca<br />
presente sul territorio e<br />
assicuratore può contribuire ad<br />
ampliare la disponibilità di credito delle<br />
PMI e sostenerle nei loro progetti di<br />
crescita.<br />
GIAMMARCO BOCCIA<br />
Responsabile corporate, Divisione nuovi mercati, SACE<br />
IN UN’ECONOMIA ITALIANA caratterizzata da imprese<br />
di piccole e medie dimensioni, tipicamente dipendenti<br />
dal canale <strong>bancario</strong>, la contrazione del credito<br />
indotta dalla crisi economica internazionale e l’aumento<br />
del costo della liquidità hanno fatto emergere<br />
situazioni di squilibrio nel rapporto tra imprenditori e<br />
<strong>sistema</strong> finanziario.<br />
In particolare la struttura del passivo delle PMI italiane,<br />
caratterizzata mediamente da un’incidenza dei debiti<br />
finanziari sul patrimonio netto significativamente più<br />
elevata rispetto agli altri paesi europei, e la restrizione<br />
delle politiche di selezione del credito a causa del<br />
deterioramento della qualità degli attivi, hanno determinato<br />
un inasprimento delle condizioni di accesso al<br />
credito.<br />
In questo contesto, una collaborazione di <strong>sistema</strong> che<br />
coniughi la presenza stabile sul territorio del <strong>sistema</strong><br />
<strong>bancario</strong> con l’intervento di assicuratori del rischio di<br />
credito quali Export Credit Agencies (ECAs) e Confidi,<br />
può contribuire ad ampliare la disponibilità di credito per<br />
le imprese e in particolare per le PMI, limitando la<br />
richiesta di garanzie collaterali. Attraverso il trasferimento<br />
del rischio di credito all’assicuratore, la banca libera<br />
risorse per ulteriori impieghi a favore del <strong>sistema</strong> (“effetto<br />
volano”), grazie ai minori accantonamenti prudenziali.<br />
Tale collaborazione viene generalmente definita nell’ambito<br />
di accordi quadro tra banca ed ECA che<br />
disciplinano la tipologia dei finanziamenti assicurabili<br />
(spesso nell’ambito di programmi di sostegno all’internazionalizzazione),<br />
le modalità di analisi del merito<br />
creditizio e di definizione del pricing.<br />
Oltre ai benefici per le imprese, anche tra banca ed assicuratore<br />
si realizzano sinergie:<br />
• L’assicuratore (i) è un operatore unfunded e, al di fuori<br />
del credito commerciale (tipicamente a breve termine), <br />
53
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
deve collaborare con un soggetto finanziario che eroghi<br />
il credito ii) non avendo una rete distributiva propria<br />
comparabile a quella bancaria, deve avvalersi della<br />
collaborazione di partner presenti capillarmente sul<br />
territorio.<br />
• La banca fa leva sul rapporto di credito con l’azienda<br />
per promuovere business ancillare a maggiore redditività<br />
e limita la propria esposizione trasferendo parte del<br />
rischio all’assicuratore, con cui peraltro non è in diretta<br />
competizione.<br />
Al tempo stesso, la collaborazione presenta alcuni<br />
elementi di potenziale contrapposizione: i) qualora la<br />
banca non consideri la relazione in una prospettiva di<br />
lungo termine tenderà a proporre in garanzia le operazioni<br />
più rischiose/meno redditizie (moral hazard); ii)<br />
sebbene la distribuzione del premio per il rischio avvenga<br />
pro-quota, la redditività complessiva della posizione<br />
per la banca è legata anche al business ancillare, e<br />
può causare asimmetrie tra le parti.<br />
Inoltre l’assicuratore è soggetto al rischio di non accumulare<br />
un portafoglio crediti granulare e diversificato,<br />
nel caso in cui la banca non promuova adeguatamente<br />
l’accordo quadro presso la propria rete commerciale.<br />
La crisi che ha colpito l’economia mondiale negli ultimi<br />
anni ed in modo particolarmente pesante quella italiana<br />
ha messo in evidenza le conseguenze di tali rischi,<br />
con un livello di sinistri più elevato rispetto alle previsioni<br />
risultanti dai modelli statistici di default: per l’assicuratore<br />
i rischi economico-finanziari non sono “attuariali” e<br />
prevedere i default sulla base delle serie storiche lascia<br />
margini di incertezza molto elevati, con possibili riflessi<br />
sul costo dell’assicurazione.<br />
La ripresa dell’economia globale unita ad un migliore<br />
allineamento degli interessi delle controparti consentiranno<br />
di rafforzare una collaborazione capace di favorire<br />
l’assunzione di rischi nei momenti in cui il mercato si<br />
ripiega su sé stesso, giocando un ruolo anti-ciclico<br />
ma sostenibile nel tempo. ◗<br />
54
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
Le attività bancarie<br />
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HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
<strong>Il</strong> mercato immobiliare in Italia<br />
Le specificità strutturali del mercato<br />
immobiliare <strong>italiano</strong> hanno attenuato<br />
gli effetti negativi della recente crisi<br />
finanziaria. Tuttavia, l’attuale quadro<br />
macroeconomico condiziona<br />
negativamente le aspettative sul<br />
mercato che non potrà riavviarsi e<br />
ri-sperimentare i tassi di crescita del<br />
recente passato senza un’ auspicata<br />
normalizzazione del contesto.<br />
DANIELA PERCOCO<br />
Head of Real Estate, Nomisma<br />
LUCA DONDI<br />
Economista, Nomisma<br />
GUALTIERO TAMBURINI<br />
Presidente, Assoimmobiliare<br />
Un impatto limitato della crisi<br />
finanziaria per il settore in Italia<br />
La recente crisi finanziaria, scaturita dall’accumularsi di<br />
eccessi speculativi, ha pesantemente condizionato le<br />
dinamiche immobiliari di tutte le economie occidentali.<br />
La dimensione globale della finanza e l’ormai evidente<br />
integrazione ed interdipendenza dei mercati hanno,<br />
infatti, determinato inevitabili rica<strong>du</strong>te su un settore<br />
che già mostrava segnali di fragilità.<br />
Spinto da un quadro macroeconomico di evidente<br />
favore, l’immobiliare aveva visto gonfiare quotazioni e<br />
transazioni per circa un decennio, archiviando di fatto<br />
la pesante fase recessiva che lo aveva caratterizzato per<br />
gran parte degli anni ’90. Proprio quando erano già<br />
apprezzabili le avvisaglie di un imminente epilogo della<br />
fase espansiva e i più ottimisti preconizzavano l’approssimarsi<br />
di un soft landing per un mercato ormai<br />
saturo, si è abbattuto sul settore il ciclone finanziario,<br />
che ha avuto nella vicenda dei mutui subprime americani<br />
niente più che un innesco in un contesto evidentemente<br />
esplosivo.<br />
L’identificazione dei mutui come causa del crollo, associata<br />
all’indissolubile legame stabilitosi negli anni del<br />
boom dell’indebitamento ed espansione immobiliare,<br />
ha finito per rinsaldare il legame tra le dinamiche di settore<br />
e la congiuntura economica generale.<br />
Si tratta di un fenomeno globale a cui neanche i Paesi<br />
connotati da una finanziarizzazione relativamente blanda<br />
hanno potuto in qualche modo sottrarsi. Di conseguenza,<br />
realtà come l’Italia, pur forti di una posizione solida<br />
in materia di crediti immobiliari e teoricamente al riparo<br />
da una crisi endogena e strutturale, sono risultate evidentemente<br />
esposte al tracollo finanziario statunitense.<br />
Vero è che le specificità strutturali e congiunturali del mercato<br />
immobiliare <strong>italiano</strong> lo hanno preservato dai crolli che<br />
si sono abbattuti altrove. Tra i principali elementi che<br />
hanno attutito i colpi della crisi in Italia vi è da ad<strong>du</strong>rre il<br />
fatto che le famiglie italiane non sono molto indebitate (è<br />
56
<strong>Il</strong> mercato immobiliare in Italia<br />
DANIELA PERCOCO &<br />
LUCA DONDI & GUALTIERO TAMBURINI<br />
aumentato il debito, ma è sempre inferiore al livello di<br />
indebitamento delle famiglie nel resto d’Europa). Pertanto<br />
le “frugali” famiglie italiane non hanno avuto bisogno di<br />
vendere/svendere l’abitazione in tempi brevi per poter<br />
ripagare rate del mutuo come, al contrario, è avvenuto<br />
ad esempio negli Stati Uniti o nel Regno Unito.<br />
Inoltre i prezzi in Italia non erano cresciuti così tanto<br />
come era avvenuto altrove e così il ribasso nei valori non<br />
è stato così violento.<br />
Infine, in Italia non si è avuta una massiccia costruzione<br />
di immobili così come all’estero (ad esempio in<br />
Spagna ogni anno si costruivano case pari a circa tre<br />
volte il numero delle nuove famiglie) complici un atteggiamento<br />
piuttosto restrittivo delle nostre amministrazioni<br />
locali nel rilascio dei permessi da costruire oltre ad<br />
una erogazione del credito <strong>bancario</strong> più restrittivo<br />
rispetto all’estero.<br />
In ogni caso, seppure, con i distinguo sopra enunciati,<br />
la percezione di rischiosità degli impieghi interbancari<br />
ha enormemente accresciuto l’onerosità dei finanziamenti,<br />
imponendo politiche di razionamento del<br />
credito, che non potevano non avere pesanti riflessi sul<br />
mercato immobiliare (cfr. figura 1).<br />
Se dal punto di vista dei livelli di attività le conseguenze<br />
sono risultate da subito eclatanti, da quello dei<br />
prezzi la rigidità dell’offerta e la modesta diffusione di<br />
eccessi hanno rallentato l’avvio delle spirali recessive<br />
che hanno, invece, interessato molti Paesi occidentali<br />
(Stati Uniti, Regno Unito, Irlanda, Spagna e, in misura<br />
minore, Francia e Danimarca). La progressiva attenuazione<br />
di tale rigidità ha portato a flessioni importanti<br />
sul fronte dei prezzi residenziali superiori talora al 20-<br />
25% negli ultimi <strong>du</strong>e anni.<br />
Dopo la recente crisi il<br />
mercato immobiliare mostra<br />
segnali di ripresa in Europa<br />
Nella prima parte del 2010 l’economia mondiale è<br />
cresciuta ad un tasso annualizzato superiore al 5%,<br />
migliorando le aspettative soprattutto in ragione di una<br />
più rapida ascesa delle economie asiatiche. Anche in<br />
corrispondenza delle realtà più avanzate si sono<br />
comunque evidenziati incoraggianti segnali sul fronte<br />
della domanda privata, con indicatori robusti relativamente<br />
all’attività economica reale (pro<strong>du</strong>zione in<strong>du</strong>striale,<br />
scambi commerciali, fi<strong>du</strong>cia dei consumatori,<br />
tasso di occupazione). Nella prima parte dell’anno,<br />
l’evoluzione delle grandezze macroeconomiche globali<br />
ha, ovunque, evidenziato una modesta, ma salda,<br />
ripresa delle economie più avanzate ed una forte<br />
crescita di quelle emergenti.<br />
Le recenti turbolenze sui mercati finanziari – riflesso di<br />
una flessione brusca della fi<strong>du</strong>cia su sostenibilità fiscale,<br />
indirizzi di politica economica e prospettive generali<br />
di crescita – hanno, tuttavia, contribuito ad acuire<br />
l’incertezza sulle previsioni future.<br />
<br />
FIGURA 1. Prezzi delle abitazioni <strong>du</strong>rante la crisi in alcuni mercati internazionali (numeri indice, IV Trimestre 2007 = 100)<br />
105<br />
100<br />
95<br />
90<br />
85<br />
80<br />
75<br />
70<br />
IV 07<br />
I 08 II 08 III 08 IV 08 I 09 II 09 III 09 IV 09 I 10 II 10<br />
Italia<br />
Francia<br />
Spagna<br />
Irlanda<br />
Stati Uniti (Case Shiller)<br />
Gran Bretagna<br />
Fonte: The Economist<br />
57
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
TAVOLA 1. Condizioni di finanziamento per immobili e tenant prime, Marzo 2010<br />
Paese Dimensione massima prestito (mil €) Massimo LTV (%)<br />
Francia 75 65<br />
Germania 50 70<br />
Italia 50 65<br />
Paesi Bassi 40 70<br />
Spagna 50 65<br />
Regno-Unito 75 (mil £) 70<br />
Trend europeo Stabile Crescita<br />
Fonte: CB Richard Ellis<br />
<strong>Il</strong> clima di preoccupazione sul rischio sovrano ha, in<br />
particolare, contagiato nuovamente il settore <strong>bancario</strong>,<br />
rialimentando, in tal modo, la pressione sulla restrizione<br />
del credito nei mercati interbancari, al punto da<br />
minare i presupposti della ripresa economica.<br />
Se l’economia mondiale è destinata a crescere di<br />
quasi cinque punti nel 2010, dopo la flessione di qualche<br />
decimo di punto registrata lo scorso anno, per<br />
l’Area Euro è previsto uno sviluppo in misura di un<br />
punto nel 2010 e dell’1,3% nel 2011 (con performance<br />
piuttosto variegate a seconda dei Paesi), non molto<br />
diversamente dalle previsioni per l’Italia che si attestano<br />
rispettivamente allo 0,9% e 1,1%.<br />
In tale contesto l’investimento immobiliare in Europa ha<br />
raggiunto nel primo trimestre 2010 quota 23,5 miliardi<br />
di euro, segnando un incremento dell’80% rispetto<br />
allo stesso periodo del 2009, a conferma di un generale<br />
ritorno di interesse per il settore real estate, che porterà<br />
a raggiungere a fine 2010 un volume complessivo di<br />
circa 100-110 miliardi di euro, a fronte dei 73 miliardi<br />
di Euro del 2009.<br />
Nei primi mesi di quest’anno si è confermato il buon<br />
interesse degli investitori per alcuni mercati, quali<br />
Regno Unito, Germania, penisola iberica e paesi scandinavi,<br />
incentrato primariamente sul settore commerciale,<br />
che in tali mercati ha rappresentato oltre la metà<br />
degli investimenti complessivi.<br />
In termini generali, nella prima parte del 2010 si è assistito<br />
sui mercati europei ad un miglioramento diffuso<br />
delle aspettative degli investitori immobiliari. E’ però vero<br />
che tale tendenza è riscontrabile limitatamente alla<br />
fascia prime del mercato e per lo più circoscritta a<br />
coloro che investono con prevalenza di capitale proprio.<br />
Con riferimento alla stretta creditizia, va tuttavia segnalato<br />
che ben poco è cambiato rispetto alla seconda<br />
parte del 2009, se si eccettuano piccoli incrementi<br />
nei livelli massimi di LTV per gli investimenti in corrispondenza<br />
di immobili prime, per i quali nei principali<br />
mercati europei ci si attesta al 65% o poco al di sopra<br />
di tale soglia (cfr. tavola 1).<br />
Relativamente alla redditività degli investimenti immobiliari,<br />
nel 2009 si è registrato a livello globale un Total<br />
Return negativo, pari a -7,3% misurato in valuta locale.<br />
Una perdita imputabile alla flessione in conto capitale<br />
(-12,8%), non pienamente assorbita dall’Income<br />
Return (6,2%). Se l’Eurozona ha garantito un risultato<br />
sostanzialmente neutro (+0,2%), il “resto dell’Europa”,<br />
che costituisce la quota più esigua di capitale investita<br />
nel real estate, ha invece fornito un contributo positivo<br />
all’esito complessivo. Ne deriva che il risultato<br />
negativo dell’anno sia imputabile alla combinazione<br />
della performance fortemente negativa, associata ad un<br />
peso in valore piuttosto rilevante, registrata nel resto del<br />
mondo, in particolare negli Stati Uniti e in Giappone.<br />
Con riferimento al contesto europeo, l’indice Paneuropeo<br />
costituito da 16 mercati nazionali, mostra un<br />
Total Return dell’1,4% (è dello 0,2% per l’Area Euro),<br />
composto da un Income Return del 5,9% e da una<br />
Capital Growth del -4,3% (per l’Area Euro tali indicatori<br />
si attestano rispettivamente a 5,6% e -5,1%).<br />
Come è possibile osservare dal grafico (cfr. figura 2), la<br />
variabilità fra le performance dei vari Paesi è notevole,<br />
mentre a livello settoriale (cfr. figura 3) sono il retail ed<br />
il residenziale ad essere risultati quelli più premianti.<br />
La fragilità della ripresa economica<br />
rallenta la crescita del settore in Italia<br />
In tale contesto l’Italia ha sottoperformato il mercato<br />
europeo garantendo un esiguo 0,8% (5,7% Income<br />
Return e -4,6% Capital Growth), con gli uffici che si sono<br />
58
<strong>Il</strong> mercato immobiliare in Italia<br />
DANIELA PERCOCO &<br />
LUCA DONDI & GUALTIERO TAMBURINI<br />
FIGURA 2. Total Return degli investimenti immobiliari in Europa nel 2009 misurato in valuta locale<br />
(valori percentuali)<br />
Svizzera<br />
Norvegia<br />
Danimarca<br />
Austria<br />
Finlandia<br />
Gran Bretagna<br />
Belgio<br />
Germania<br />
IPD PAN-European<br />
Sviezia<br />
Italia<br />
Portogallo<br />
Olanda<br />
Francia<br />
Polonia<br />
Spagna<br />
Irlanda<br />
- 25 % - 20 % - 15 % - 10 % - 5 % 0 % 5 % 10 %<br />
Fonte: IPD<br />
confermati il settore più performante (Total Return 1,5%).<br />
A livello di mercato <strong>italiano</strong> retail, la domanda di immobili<br />
si sta tendenzialmente stabilizzando solamente per<br />
il settore delle abitazioni, mentre la richiesta di spazi per<br />
le attività di impresa è tuttora carente, complice la lentezza<br />
della ripresa economica e la per<strong>du</strong>rante incertezza<br />
sulla evoluzione della congiuntura. Le conseguenze<br />
sono piuttosto evidenti, anche in ragione di una crescita<br />
diffusa dell’offerta.<br />
Le transazioni sono cresciute rispetto all’inizio dell’anno<br />
scorso solo in corrispondenza delle abitazioni<br />
(+4,2%), mentre per gli immobili non residenziali si<br />
registrano ancora diminuzioni nei volumi scambiati,<br />
ancorché contenute (intorno ad un punto percentuale)<br />
rispetto al ritmo di ca<strong>du</strong>ta che per tutto il 2009 è stato<br />
in doppia cifra. Si resta, comunque, lontani dai livelli<br />
record del 2007.<br />
<strong>Il</strong> mercato si conferma, <strong>du</strong>nque, sostanzialmente ingessato,<br />
connotato da tempi di vendita che si sono stabilizzati<br />
poco al di sopra dei 6 mesi per le abitazioni ma che<br />
superano i 7 per i negozi ed anche i 7 e mezzo per il settore<br />
direzionale. La lieve contrazione degli sconti che si<br />
<br />
FIGURA 3. Performance degli investimenti immobiliari in Europa nel 2009<br />
in base al settore e misurato in valuta locale<br />
8 %<br />
6 %<br />
4 %<br />
2 %<br />
0 %<br />
- 2 %<br />
- 4 %<br />
- 6 %<br />
- 8 %<br />
1,4 2,0<br />
Tutti gli<br />
immobili<br />
Retail<br />
2,0<br />
0,7<br />
- 0,1<br />
Uffici In<strong>du</strong>striale Residenziale<br />
Total Return<br />
Income Return<br />
Capital Growth<br />
Fonte: IPD<br />
59
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
FIGURA 4. Variazioni annue delle erogazioni di mutui per acquisto di abitazioni da parte delle famiglie (valori %)<br />
2002<br />
17,6<br />
2003<br />
21,3<br />
2004<br />
2005<br />
13,9<br />
15,3<br />
2006<br />
11,7<br />
2007<br />
- 0,7<br />
2008<br />
2009<br />
- 10,7<br />
- 9,2<br />
Fonte: Elaborazioni Nomisma su dati Banca d’Italia<br />
registrano nelle compravendite al momento della transazione<br />
(rappresentati dal divario tra prezzo inizialmente<br />
richiesto e prezzo effettivo), dopo aver comunque raggiunto<br />
livelli record, testimonia l’accresciuta consapevolezza<br />
dell’offerta rispetto alle difficoltà congiunturali.<br />
In evidente impasse si conferma anche il mercato della<br />
locazione, con canoni in ri<strong>du</strong>zione e tempi di locazione<br />
in progressivo aumento, che non riesce evidentemente<br />
a trarre vantaggio dalla congiuntura negativa<br />
attraversata dal mercato della compravendita.<br />
Con riferimento alle modalità di acquisto, continua a<br />
crescere la quota di transazioni residenziali attraverso l’utilizzo<br />
di capitale proprio, a conferma dell’interesse per il<br />
settore degli investitori dotati di liquidità anche in ragione<br />
dello scarso appeal degli impieghi alternativi. <strong>Il</strong> basso<br />
costo del denaro non riesce a compensare le difficoltà<br />
incontrate dalle famiglie nell’accesso al credito <strong>bancario</strong>.<br />
Si tratta di un fenomeno significativo se si considera che<br />
nel periodo 2001-2009 i mutui erogati per l’acquisto di<br />
immobili sono cresciuti del 69%, passando dai 30,1<br />
miliardi di euro del 2001 ai 50,8 miliardi erogati nel<br />
2009, a fronte di una flessione delle transazioni da<br />
681 mila a 609 mila.<br />
Dopo il crollo delle compravendite assistite da mutuo,<br />
avvenuto nel 2008 (-27% rispetto al 2007), anche nel<br />
2009-2010 questa modalità di acquisto dell’abitazione<br />
fa registrare una flessione lievemente superiore rispetto<br />
al calo complessivo, a conferma della per<strong>du</strong>rante<br />
selettività del <strong>sistema</strong> creditizio (cfr. figura 4).<br />
Le per<strong>du</strong>ranti difficoltà sul fronte della domanda hanno<br />
determinato ancora un ulteriore flessione per quanto<br />
riguarda i prezzi e, in misura più accentuata, i canoni<br />
di locazione per tutte le tipologie immobiliari. I primi flettono<br />
di circa un punto percentuale rispetto alla fine del<br />
2009, mentre i secondi si ri<strong>du</strong>cono fra il punto e mezzo<br />
ed i <strong>du</strong>e punti. <strong>Il</strong> ridimensionamento registrato nella<br />
prima parte dell’anno risulta, in ogni caso, il più<br />
contenuto dell’ultimo biennio, facendo prefigurare un<br />
percorso di gra<strong>du</strong>ale stabilizzazione che, tuttavia, non<br />
porterà ad aumenti dei valori prima del 2012.<br />
Dall’inizio della fase negativa del mercato, nelle grandi<br />
città italiane si è registrata una flessione dei prezzi del<br />
TAVOLA 2. Media 13 grandi città – Variazioni % semestrali ed annuali dei prezzi degli immobili<br />
Variazioni % semestrali (I 10/II 09) Variazioni % annuali (I 10/I 09)<br />
Abitazioni -1,0 -2,6<br />
Uffici -1,2 -2,8<br />
Negozi -0,8 -2,3<br />
Box auto/Garage – -0,8<br />
Fonte: Nomisma<br />
60
<strong>Il</strong> mercato immobiliare in Italia<br />
DANIELA PERCOCO &<br />
LUCA DONDI & GUALTIERO TAMBURINI<br />
FIGURA 5. Media 13 grandi città – Prezzi reali degli immobili (numeri indice, 1992 = 100)<br />
130 %<br />
120 %<br />
Abitazioni Uffici Negozi<br />
110 %<br />
100 %<br />
90 %<br />
80 %<br />
70 %<br />
60 %<br />
I 92 II 93 I 95 I II 96 I 98 II 99 I 01 II 02 I 04 II 05 I 07 II 08 I 10<br />
Fonte: Nomisma<br />
5% in sede nominale e di circa il 7% dei canoni, riportando<br />
i valori reali sui livelli di 5 anni fa (cfr. figura 5).<br />
Previsioni positive per il<br />
settore in Italia ma in un’ottica<br />
di medio periodo<br />
Riguardo all’evoluzione del mercato nel breve-medio<br />
periodo, le risultanze dei modelli previsionali volti ad interpretare<br />
la dinamica della media dei prezzi in funzione di<br />
alcune variabili esogene fortemente correlate con le<br />
dinamiche del settore (tassi di interesse, spesa per<br />
consumi delle famiglie italiane, investimenti in costruzioni,<br />
ecc.), confermano il superamento della fase più acuta<br />
della crisi anche sul versante dei valori.<br />
Dall’esame della serie storica dei tassi di variazione<br />
annuali dei prezzi correnti delle abitazioni nuove, a<br />
partire dal 1992 si può rilevare che, dopo aver raggiunto<br />
nel 2009 punte negative solo lievemente meno marcate<br />
rispetto a quelle sperimentate <strong>du</strong>rante la pesante crisi<br />
del mercato immobiliare dei primi anni ’90, i tassi di<br />
variazione hanno invertito la tendenza, confermando<br />
l’avvenuto superamento della fase recessiva, sebbene<br />
per una ripresa vera e propria del mercato occorrerà<br />
ancora attendere almeno 12-18 mesi. ◗<br />
FIGURA 6. Abitazioni nuove - Serie storica delle variazioni medie annuali dei prezzi correnti nelle 13 grandi città<br />
15<br />
(valori percentuali)<br />
10<br />
5<br />
0<br />
- 5<br />
Previsione<br />
- 10<br />
I 92 II 93 I 95 II 96 I 98 II 99 I 01 II 02 I 04 II 05 I 07 II 08 I 10 II 11<br />
Semestri<br />
Fonte: Elaborazioni Nomisma su fonti varie<br />
61
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
La distribuzione bancaria in italia:<br />
trend in atto, scenari evolutivi e<br />
possibili strategie competitive<br />
Negli ultimi anni la struttura distributiva<br />
bancaria è profondamente cambiata<br />
sulla spinta dei processi di<br />
aggregazione, liberalizzazione e di<br />
espansione territoriale. Differenti<br />
cambiamenti strutturali globali e locali<br />
stanno spingendo le banche a<br />
ripensare ed innovare i modelli<br />
distributivi consolidati.<br />
NOM AUTEUR Fonction à venir<br />
VITTORIO RATTO<br />
Partner, Bain & Company, Milano<br />
ALESSANDRO GERALDI<br />
Manager, Bain & Company, Milano<br />
NEL 1992, L’ALLORA PRESIDENTE DEL<br />
CONSIGLIO GIULIANO AMATO descrisse il <strong>sistema</strong><br />
<strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> come “una foresta pietrificata”, un’espressione<br />
che attecchì subito. In<strong>du</strong>bbiamente qualche<br />
ragione era dalla sua parte: il <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> rispondeva<br />
a regole di competizione e controllo che vincolavano<br />
in modo forte la possibilità delle banche di<br />
competere imprenditorialmente. Lo Stato era proprietario<br />
in modo diretto o indiretto della più parte delle banche:<br />
dalle Casse di Risparmio locali fino alle Banche di<br />
Interesse Nazionali (BIN); il <strong>sistema</strong> distributivo stesso<br />
era ingessato, risultando estremamente complesso<br />
attivare la crescita organica attraverso l’apertura di<br />
filiali al di fuori delle zone storiche di ogni banca.<br />
Tra il 1990 e il 1993, l’opera congiunta di Amato e di<br />
Carlo Azeglio Ciampi, Governatore della Banca d’Italia<br />
e futuro Presidente della Repubblica, pose le basi dell’apertura<br />
e privatizzazione del mercato <strong>bancario</strong>, attraverso<br />
la creazione delle Fondazioni e la quotazione sul<br />
mercato delle BIN. Ci si muoveva in un contesto profondamente<br />
diverso rispetto ad oggi, basti pensare<br />
che il tasso ufficiale di sconto della Banca d’Italia variò<br />
tra l’11% ed il 15% tra il 1992 e 1993; quelle prime innovazioni<br />
legislative innescarono un processo di profondo<br />
cambiamento, modernizzazione e creazione di valore<br />
che è proseguito sino ad oggi e che si è riflesso nella<br />
articolazione ed evoluzione delle strutture distributive.<br />
Se guardiamo, infatti, il <strong>sistema</strong> nel suo complesso<br />
possiamo dire che, pur con qualche scossone, sono<br />
stati raggiunti importanti traguardi che hanno consentito<br />
di costruire un <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> solido e competitivo,<br />
aperto agli investimenti esterni, in grado di espri-<br />
62
La distribuzione bancaria in italia: trend in atto, scenari evolutivi e possibili strategie competitive<br />
VITTORIO RATTO & ALESSANDRO GERALDI<br />
mere più di un operatore di livello europeo, che ha retto<br />
la crisi mondiale senza necessità di salvataggi strutturali<br />
e che, su molti assi, è in grado di esprimere delle<br />
punte di eccellenza a livello europeo.<br />
Dal punto di vista della struttura distributiva i cambiamenti<br />
che hanno accompagnato questo percorso<br />
sono stati profondi e tuttora in corso. E’ possibile indivi<strong>du</strong>are<br />
alcuni trend legati sia ai cambiamenti strutturali<br />
dal lato dell’offerta che della domanda, che influenzano<br />
le scelte di assetto e di presidio della clientela degli<br />
operatori bancari. L’attuale crisi finanziaria ed economica<br />
e la conseguente ri<strong>du</strong>zione dei margini e della<br />
redditività complessiva ha dato una ulteriore spinta di<br />
accelerazione ai processi di revisione degli attuali<br />
assetti distributivi.<br />
Razionalizzazione ed apertura<br />
del mercato <strong>bancario</strong><br />
<strong>Il</strong> processo di razionalizzazione e di aggregazione, che<br />
ha coinvolto i principali gruppi bancari italiani, ha avuto<br />
come conseguenza una redistribuzione e concentrazione<br />
delle quote di mercato per sportello: i primi dieci<br />
gruppi hanno conseguito una quota di mercato crescente,<br />
passando dal 34% del 1995 al 64% del 2009.<br />
In parallelo al processo di concentrazione e di creazione<br />
di campioni nazionali, il mercato <strong>italiano</strong> si è anche<br />
aperto ai grandi istituti stranieri (Crédit <strong>Agricole</strong>, BNPP,<br />
Barclays, Deutsche Bank) che rappresentano ad oggi<br />
oltre il 6% del mercato complessivo, rispetto ad una<br />
posizione di fatto marginale solo 5-10 anni fa. Questo<br />
fenomeno è di sicuro beneficio per il mercato nel suo<br />
complesso in quanto consente alle famiglie e alle<br />
imprese di poter accedere a piattaforme di prodotto /<br />
servizio di scala europea.<br />
Crescita del numero di filiali:<br />
la “corsa allo sportello”<br />
La filiale bancaria è il perno della struttura distributiva:<br />
il numero complessivo negli ultimi anni è cresciuto evidenziando<br />
di fatti una sorta di “corsa allo sportello” da<br />
parte delle banche. Al crescere della concentrazione<br />
delle quote distributive, non ha seguito una razionalizzazione<br />
delle reti ma, al contrario, un’ulteriore attività di<br />
espansione dei network distributivi, perseguita con<br />
l’obiettivo di rinforzare i presidi territoriali attraverso un<br />
modello a maglie strette.<br />
Si è passati da c.a 23.000 filiali nel 1994 a oltre 34.000<br />
nel 2008, con un incremento del 48% rispetto ad una<br />
crescita del PIL in termini reali nel corso dello stesso<br />
periodo di c.a il 20% (nello stesso periodo raccolta<br />
diretta +28% e impieghi +104%). L’incremento del<br />
numero di filiali per abitante ha registrato un allineamento<br />
con i valori degli altri paesi europei comparabili,<br />
soprattutto se si considera anche la penetrazione<br />
degli sportelli BancoPosta.<br />
<strong>Il</strong> modello di presenza territoriale capillare è stato, di<br />
fatto, anche la scelta che più ha premiato gli operatori<br />
esteri che l’hanno perseguita come strategia d’ingresso<br />
sul mercato <strong>italiano</strong>.<br />
Omogeneità dei modelli distributivi<br />
Dal punto di vista delle dinamiche competitive, si è assistito<br />
allo sviluppo di modelli distributivi con un ridotto<br />
livello di differenziazione, soprattutto in termini di modelli<br />
gestionali (modello di servizio, segmentazione e portafogliazione)<br />
e di mo<strong>du</strong>li di filiale Retail.<br />
<strong>Il</strong> maggior focus di fatto è stato sull’integrazione delle<br />
nuove entità e sull’implementazione di modelli replicabili<br />
in modo da massimizzare le sinergie di costo legate ai<br />
processi d’integrazione.<br />
Le maggiori banche hanno sostanzialmente adottato<br />
una segmentazione omogenea guidata dall’ottimizzazione<br />
del cost to serve, più che da una lettura<br />
sofisticata dei bisogni dei clienti 1 . A ogni segmento<br />
è associata una modalità di gestione mediante<br />
la costituzione di portafogli assegnati a gestori<br />
commerciali dedicati, con dimensione del numero di<br />
clienti per portafoglio 2 definita in funzione della capacità<br />
di ripagare i costi del servizio. In considerazione dei<br />
numeri in gioco si è assistito spesso ad una gestione<br />
reattiva del rapporto. Si è di fatto confuso il canale con<br />
il segmento.<br />
<br />
1. Per quanto riguarda il mercato retail, la tipica classificazione prevede: Mass market fino a 50-100K euro di patrimonio presso la banca; Affuent fino a 500-1000K<br />
euro di patrimonio e Private per soglie superiori; Small Business clienti imprese con fatturato fino a 1,5-5 mln di fatturato.<br />
2. c.a 200-300 clienti per i gestori Affluent / Small Business e c.a 1000-2000 clienti Mass Market per addetto commerciale.<br />
63
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
La differenziazione dei modelli di filiale è rimasta relegata<br />
alla costituzione di modelli distinti in funzione<br />
della dimensione della filiale e quindi di popolamento<br />
con figure commerciali.<br />
Sul fronte del modello di servizio la sperimentazione è<br />
stata poca e sporadica, limitata per esempio a: estensioni<br />
degli orari di apertura (sperimentata da alcuni<br />
gruppi, ma di fatti non perseguita con costanza) e alla<br />
vendita di servizi non bancari (es. biglietti di eventi,<br />
consulenza fiscale...).<br />
Dal lato dell’offerta è necessario anche fronteggiare<br />
la crescente pressione dei category killer che si sono<br />
focalizzati su singoli bisogni / servizi e attorno a questi<br />
hanno costruito un’offerta specializzata (es. lancio<br />
di mutui low cost, prodotti di raccolta ad alto rendimento),<br />
spesso antieconomica per le banche<br />
generaliste, anche alla luce del possibile effetto cannibalizzazione<br />
sui propri ricavi. Nei fatti i category killer<br />
hanno parzialmente disintermediato le filiali tradizionali.<br />
Crescita dei canali alternativi<br />
Se dal lato dell’offerta si è assistito alla cosiddetta<br />
corsa allo sportello, dal lato della domanda emerge<br />
chiaro un trend di progressivo maggior utilizzo dei<br />
canali alternativi.<br />
Nel dichiarato i clienti continuano a privilegiare la prossimità<br />
come uno dei maggiori fattori di scelta della Banca<br />
(e questo è vero sempre negli ultimi 10 anni, sulla base<br />
delle ricerche Eurisko), ma i dati evidenziano un progressivo<br />
maggior peso nell’utilizzo dei canali alternativi.<br />
I clienti mostrano di essere più propensi ed in grado di<br />
interagire con canali remoti (soprattutto ATM, internet<br />
e call center) e di fatti stanno spostando il loro canale<br />
di interazione dalla Filiale ad altre modalità (cfr. tavola 1).<br />
Allo stesso tempo molte ricerche testimoniano una<br />
ri<strong>du</strong>zione dei tempo libero che i clienti possono dedicare<br />
alla filiale 3 . In sostanza: i clienti hanno meno<br />
tempo libero da dedicare alle attività bancarie e quello<br />
che hanno preferiscono impiegarlo su canali diversi<br />
dalla filiale.<br />
Le sfide competitive: possibili scenari<br />
per l’evoluzione degli assetti distributivi<br />
Alla luce dei trend sopra evidenziati il Retail Banking<br />
deve rispondere alla sfida di trasformare i modelli distributivi<br />
attuali e tradizionali per poter meglio rispondere<br />
all’evoluzione del contesto competitivo.<br />
TAVOLA 1. Evoluzione livello di utilizzo della filiale<br />
Perdita importanza contatto con la clientela<br />
10 %<br />
90 %<br />
% di vendite per canale<br />
15 %<br />
25 %<br />
85 %<br />
75 %<br />
40 %<br />
60 %<br />
Altro (1)<br />
Filiale<br />
2000<br />
50 %<br />
50 %<br />
2000<br />
2005<br />
2010F<br />
% di transazioni dispositive per canale<br />
60%<br />
70%<br />
40%<br />
30%<br />
2005<br />
2010F<br />
Visite medie mensili in filiale per cliente<br />
2015F<br />
90%<br />
10%<br />
2015F<br />
Altro (1)<br />
Filiale<br />
2,0<br />
1,8<br />
1,6<br />
1,0<br />
2000<br />
2005<br />
2010F<br />
2015F<br />
(1)<br />
Internet, ATM, call center e IVR, altri canali distributivi diversi dagli sportelli bancari.<br />
Fonte: elaborazione su dati: Finalta 2009, Osservatorio E-Committee 2009, ABI;<br />
E-Retail Finance KPMG 2008, Assofin, analisi Bain<br />
3. Cfr. Special Focus: Measuring Leisure in OECD Countries – OECD 2009.<br />
64
La distribuzione bancaria in italia: trend in atto, scenari evolutivi e possibili strategie competitive<br />
VITTORIO RATTO & ALESSANDRO GERALDI<br />
Tuttavia il mercato <strong>italiano</strong> presenta delle opportunità di<br />
crescita, legate sia all’incremento della penetrazione dei<br />
prodotti esistenti (si rileva un gap di penetrazione<br />
rispetto agli altri paesi europei comparabili sulle principali<br />
aree di bisogno: mutui, credito al consumo, carte di credito,<br />
fondi, prodotti previdenziali ed assicurativi –<br />
cfr. tavola 2), sia alla nascita di nuovi bisogni (legati alla<br />
crisi, quali protezione e sicurezza) e di nuove fasce di<br />
clientela. In questo senso i forti investimenti effettuati in<br />
aperture di filiali per potenziare la capillarità distributiva<br />
potranno essere un fattore di successo nonostante<br />
una prevista persistenza di pressioni sui margini e<br />
sulla redditività.<br />
<strong>Il</strong> costo della liquidità a regime rimane un punto di<br />
incertezza, potrebbe mitigarsi come effetto di un ritorno<br />
alla “nuova normalità”, senza però arrivare ai livelli<br />
pre-crisi.<br />
ll costo del rischio rimarrà una priorità ma sarà meno<br />
pressante rispetto alla crescita registrata nel corso del<br />
2009, per effetto della ripresa dell’economia.<br />
<strong>Il</strong> costo del capitale rimarrà invece una priorità per<br />
effetto degli impatti di Basilea 3.<br />
La somma di questi effetti avrà un’incidenza diretta sugli<br />
economics di base dei sottosegmenti retail, imponendo<br />
scelte di revisione del cost to serve e di conseguenza<br />
degli assetti distributivi.<br />
La redditività sul margine di interesse potrebbe beneficiare<br />
della ripresa attesa dei tassi di mercato, con<br />
effetto benefico sul mark down, rimarranno però le<br />
pressioni sui margini commissionali unitari dei prodotti,<br />
anche per effetto di interventi legislativi, quali (a<br />
titolo di esempio):<br />
• la portabilità dei mutui;<br />
• la revisione delle commissioni di massimo scoperto;<br />
• la calmierazione dei prezzi sul credito al consumo<br />
(come sta avvenendo sulla Cessione del Quinto dello<br />
Stipendio);<br />
• la possibile revisione della modalità di definizione<br />
dei regimi commissionali sul wealth management, che<br />
saranno sempre meno basati sui c.d up-front.<br />
In relazione alla struttura distributiva nascono pertanto<br />
alcuni importanti punti di domanda:<br />
• come sfruttare al meglio il patrimonio di filiali / personale<br />
ottimizzando il costo dell’investimento e del<br />
servizio per ottenere un adeguato ritorno a fronte di<br />
margini più contenuti, ottimizzando il cost to serve<br />
per segmento?<br />
• come innovare a partire dagli attuali modelli di filiale<br />
per rispondere meglio ai bisogni di una clientela più<br />
frammentata?<br />
• come integrare l’attuale modello di filiale con i canali<br />
alternativi per rispondere a segmenti di clientela che<br />
utilizzeranno meno il canale tradizionale (es. generazione<br />
digitale)?<br />
<br />
TAVOLA 2. Benchmark penetrazione principali prodotti<br />
Indicatore<br />
Italia 2008<br />
Francia 2008<br />
Germania 2008<br />
Spagna 2008<br />
Media<br />
2008 (1)<br />
(escluso Italia)<br />
Upside<br />
potenziale<br />
(media vs Italia)<br />
Mutual funds share of HH<br />
assets (2)<br />
4,8<br />
8,4<br />
11,5<br />
8,7<br />
9,5<br />
2,0x<br />
Insurance and pension<br />
funds share of HH assets (%) (2)<br />
12,3<br />
39,1<br />
34,4<br />
14,9<br />
29,5<br />
2,4x<br />
Payment cards<br />
transactions per capita per year<br />
24,5<br />
102,5<br />
27,9<br />
46,0<br />
58,8<br />
2,4x<br />
Consumer Credit/GDP<br />
4 %<br />
11 %<br />
9 %<br />
11 %<br />
10 %<br />
2,7x<br />
Mortgage/GDP<br />
21 %<br />
48 %<br />
50 %<br />
68 %<br />
55 %<br />
2,9x<br />
(1) Media 2008 per Francia, Germania, Spagna, esclusa Italia (2) Incidenza dei fondi sul totale attività finanziarie delle famiglie.<br />
Fonte: OECD, Banca Italia (relazione Annuale 2008-2009)<br />
65
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
Possibili strategie per il futuro:<br />
qualche riflessione<br />
Non è ambizione di questo articolo definire in modo<br />
definitivo le strategie possibili, ma illustrare alcune<br />
aree di riflessione, attorno alle quali costruire delle<br />
risposte differenzianti. Rimaniamo convinti che il<br />
modello territoriale sia ancora vincente nel lungo<br />
periodo sul mercato <strong>italiano</strong>, e che se correttamente<br />
interpretato e innovato possa rappresentare un motore<br />
di crescita.<br />
Tre sono le linee di azioni prioritarie.<br />
Ripensare il modello distributivo adottando le logiche<br />
del c.d. “Light Retail”. Si tratta di fatti di rivedere<br />
e semplificare il modello di filiale, implementando<br />
modalità di interrelazione con il cliente che portino a<br />
ri<strong>du</strong>rre significativamente la struttura di costo (cfr. tavola<br />
3); quali:<br />
• Filiali leggere con operatività a 360 gradi:<br />
– con personale ridotto (massimo 4 FTE) prevalentemente<br />
a focalizzazione commerciale;<br />
– presenza di ATM evoluti,<br />
– con vendita di prodotti semplici e di facile attivazione;<br />
• Filiali leggere specializzate (es su clientela Affluent):<br />
– personale ridotto (2 FTE);<br />
– possibilità di accedere a relationship manager e specialisti<br />
di prodotto via remoto in video conference;<br />
– sottoscrizione dei contratti via remoto – paperless (con<br />
firma digitale);<br />
– assenza della cassa grazie agli ATM evoluti e concierge<br />
a supporto dell’interazione cliente – ATM (alla<br />
stregua di quanto è avvenuto nel self check-in aeroportuali).<br />
La sfida sarà quella di ri<strong>du</strong>rre i costi, provando a tenere<br />
a livelli costanti i ricavi.<br />
Adottare un approccio al cliente in ottica “New<br />
Retail”. Semplificare la struttura di costo non basterà:<br />
sarà comunque necessario “deliziare” il cliente e<br />
adottare approcci commerciali che si rifanno al mondo<br />
distributivo tipico dei beni di consumo, mutuando<br />
tecniche e modalità di gestione tipiche del mondo<br />
consumer (per esempio su: gestione della customer<br />
experience, evoluzione del layout di filiale, gestione<br />
della loyalty) e definendo format specialistici per<br />
sotto-segmenti rilevanti.<br />
In tale ambito occorrerà passare da una logica di segmentazione<br />
della clientela basata su parametri semplici<br />
a logiche più articolate che rimettano il cliente al centro<br />
delle decisioni strategiche. Questo vuol dire rileggere la<br />
clientela non solo in termini di ricchezza detenuta ma<br />
attraverso una interpretazione vera dei bisogni e una<br />
lettura delle modalità di acquisizione e la ridefinizione<br />
del modello di servizio. La sfida si giocherà sulla<br />
capacità di combinare:<br />
• un’offerta semplice e da scaffale, centrata su<br />
singoli bisogni / prodotti, dove è il cliente che si<br />
autosegmenta;<br />
TAVOLA 3. Sviluppo di filiali a basso costo ed alta innovazione<br />
Possibile impatto della filiale leggera o virtuale<br />
Filiale<br />
leggera<br />
"Mass"<br />
Filiale<br />
leggera<br />
"affluent"<br />
(age &<br />
flow)<br />
Modello di funzionamento<br />
• Sizing 4 FTE<br />
• ATM evoluto (con funzionalità di: bonifici,<br />
pagamenti utenze e bolette, deposito<br />
assegni e contanti…)<br />
• Concierge a supporto delle attività "fai da te"<br />
del cliente<br />
• Prevalenza di personale con focus commerciale<br />
(75% FTE)<br />
• Specialisti di prodotto raggiungibili via video conference<br />
• Orario di apertura mo<strong>du</strong>lato sulle esigenze dei clienti<br />
(es orario continuato)<br />
• Sizing 2 FTE<br />
• Presenza di personale esclusivamente commerciale<br />
per la sottoscrizione dei pro dotti base (depositi, conti,<br />
monetica, finanziamenti, …) e relationship manager e<br />
specialisti di prodotto accessibile via remoto<br />
e video conference<br />
• ATM evoluto e concierge<br />
• Sottoscrizionica (anche via Internet)<br />
• Orario di apertura mo<strong>du</strong>lato sulle esigenze dei clienti<br />
(es chiusura il lunedi e apertura il sabato)<br />
Base 100<br />
Ribaltati<br />
Diretti<br />
Personale<br />
Potenziale impatto economico<br />
Costo medio per filiale<br />
100<br />
-35%<br />
20<br />
12 65<br />
68<br />
Filiale<br />
tradizionale<br />
20<br />
35<br />
Filiale<br />
leggera<br />
-70%<br />
30<br />
5<br />
20 5<br />
Filiale leggera<br />
affluent<br />
(Age & flow)<br />
Fonte: Analisi Bain<br />
66
La distribuzione bancaria in italia: trend in atto, scenari evolutivi e possibili strategie competitive<br />
VITTORIO RATTO & ALESSANDRO GERALDI<br />
• un’offerta di consulenza / supporto evoluto, per i segmenti<br />
con maggiore complessità di bisogni e redditività,<br />
con un approccio mo<strong>du</strong>lare in funzione delle fasi del<br />
ciclo di vita e della sofisticazione dei bisogni.<br />
Cogliere le opportunità per servire al meglio la c.d.<br />
“generazione digitale”. Si tratta della fascia giovane<br />
della popolazione “sempre connessa”, con un rapporto<br />
di assoluta dimistichezza con le nuove tecnologie<br />
ma con una sorta di insofferenza nell’uso della<br />
filiale tradizionale.<br />
Bisognerà prepararsi a servire al meglio i bisogni di questa<br />
generazione, sviluppando:<br />
– nuovi servizi finanziari veicolati per il tramite delle<br />
nuove tecnologie (es pagamenti contactless via mobile<br />
phone);<br />
– nuove modalità di erogazione dei servizi esistenti<br />
(utilizzo dei canali di interazione innovativi);<br />
– nuovi processi interni (uso dei social network interni<br />
per abilitare il knowledge sharing e il senso di appartenenza).<br />
◗<br />
67
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
<strong>Il</strong> credito al consumo in Italia:<br />
tre domande a Umberto Filotto<br />
Dopo una fase di adattamento alle<br />
nuove regole, i grandi attori del credito<br />
al consumo avranno l'opportunità di<br />
reinventare il business senza subire il<br />
condizionamento di operatori di tipo<br />
marginale di cui il mercato avrà avuto<br />
ragione.<br />
UMBERTO FILOTTO<br />
Segretario generale, Assofin<br />
Professore ordinario, Università di Roma “Tor Vergata”<br />
Quali sono stati gli effetti della crisi finanziaria sul<br />
settore del credito al consumo in Italia?<br />
Nel 2009 e nei primi mesi del 2010 il settore del credito<br />
al consumo in Italia evidenzia il consolidarsi di alcuni<br />
fenomeni strutturali e il manifestarsi di alcuni profili<br />
congiunturali relativamente nuovi e che segnano<br />
comunque un punto di discontinuità rispetto al passato.<br />
Partendo da questi ultimi il dato più evidente è che dopo<br />
oltre quindici anni di crescita ininterrotta il mercato<br />
chiude in flessione di oltre l’11% in termini di erogazioni.<br />
Le ragioni di questo trend sono in gran parte ovvie e<br />
ricon<strong>du</strong>cibili alla crisi economica che, ci si augura<br />
abbia termine quanto prima, ma merita comunque sottolineare<br />
che gli effetti sulla struttura dell’in<strong>du</strong>stry e<br />
sulle caratteristiche degli operatori sono destinati ad<br />
essere permanenti. Infatti una condizione di maggior difficoltà<br />
di mercato innesca da un lato fenomeni significativi<br />
di consolidamento nel comparto e di razionalizzazione<br />
tra gli operatori, dall’altro determina lo sviluppo<br />
di una cultura più attenta all’efficienza dei processi,<br />
al presidio dei rischi, allo sviluppo di modelli distributivi<br />
capaci di coniugare efficacia commerciale<br />
redditività specifica e tutela dei consumatori.<br />
Quale potrà essere l’impatto dei recenti sviluppi<br />
regolamentari?<br />
L’approvazione del Decreto Legislativo 141/2010<br />
costituisce un vero e proprio spartiacque per il mercato.<br />
Accanto al recepimento della direttiva sul credito<br />
ai consumatori, che intro<strong>du</strong>ce novità assolute per<br />
il mercato <strong>italiano</strong> come il diritto di ripensamento, la<br />
responsabilità del creditore per l’inadempimento grave<br />
del commerciante e così via, la norma disciplina in<br />
modo radicalmente innovativo gli intermediari del<br />
credito, definisce in modo molto più severo le caratteristiche<br />
degli operatori ammessi a concedere cre-<br />
68
<strong>Il</strong> credito al consumo in Italia<br />
UMBERTO FILOTTO<br />
dito, intro<strong>du</strong>ce nuove regole di trasparenza. Per quanto<br />
riguarda la distribuzione dei finanziamenti, ferma<br />
restando la possibilità di distribuire credito finalizzato<br />
presso i punti di vendita (possibilità che <strong>du</strong>rante il<br />
dibattito svoltosi nella fase di definizione della normativa<br />
era sta messa in <strong>du</strong>bbio), dobbiamo registrare<br />
un significativo innalzamento dei requisiti professionali<br />
e di onorabilità di agenti e mediatori creditizi.<br />
Ugualmente la riforma degli intermediari finanziari<br />
non bancari uniforma il <strong>sistema</strong> dei controlli abolendo<br />
l’anomalia per la quale sul mercato potevano operare<br />
soggetti vigilati, accanto a soggetti non vigilati; la<br />
sottoposizione di tutti gli operatori all’attività di supervisione<br />
della Banca d’Italia garantisce maggiormente<br />
la clientela ma elimina anche evidenti disparità<br />
competitive. Parallelamente alla disciplina sin qui<br />
ricordata vengono riformate le norme di trasparenza<br />
per adeguarle ai più recenti sviluppi anche di prassi e<br />
per favorire la loro “fruibilità” rendendo le norme più<br />
efficienti e meno formalistiche.<br />
Come potrebbe evolvere il settore in Italia?<br />
L’evoluzione del settore a valle della crisi economica e<br />
dell’approvazione della nuova normativa sarà prevedibilmente<br />
distinta in <strong>du</strong>e fasi: nella prima la necessità di<br />
adeguarsi ad un nuovo mercato ed alle nuove regole<br />
costringerà gli operatori ad un pesante sforzo di adeguamento<br />
delle loro strutture, delle loro proce<strong>du</strong>re ma,<br />
più ancora, delle loro culture. In questa fase, sicuramente<br />
le difficoltà della transizione tenderanno a mettere<br />
in secondo piano le opportunità che offre un<br />
nuovo mercato. Nella seconda fase saranno invece le<br />
nuove possibilità offerte da uno scenario non più cristallizzato<br />
a emergere in modo evidente. Per gli operatori<br />
di maggiori dimensioni vi saranno opportunità di<br />
reinventare il business senza subire il condizionamento<br />
di operatori di tipo marginale di cui il mercato avrà<br />
avuto ragione. Non vi è quindi <strong>du</strong>bbio che in uno scenario<br />
come questo gli operatori come quelli che fanno<br />
capo al Gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> abbiano ben più di una<br />
carta da giocare. ◗<br />
69
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
<strong>Il</strong> risparmio gestito in Italia<br />
Chapo<br />
L’articolo<br />
à venir<br />
presenta un’analisi del settore<br />
del risparmio gestito <strong>italiano</strong>, definito<br />
nella maniera più ampia possibile,<br />
comprendendo un’analisi del contesto<br />
macroeconomico e dell’ambiente<br />
competitivo, le caratteristiche ed i trend<br />
della domanda e dell’offerta, un focus<br />
sul private banking e alcune conclusioni<br />
sull’ evoluzione del settore.<br />
GINO GANDOLFI 1<br />
Professore ordinario, Università di Parma<br />
GIACOMO NERI 2<br />
Partner, PricewaterhouseCoopers<br />
Analisi dello scenario di riferimento<br />
<strong>Il</strong> settore del risparmio gestito si sta muovendo in un<br />
contesto ancora fortemente instabile dal punto di vista<br />
economico e sempre più complesso dal punto di vista<br />
regolamentare.<br />
Dal punto di vista economico, l’economia italiana nel<br />
2008 e nel 2009 è stata caratterizzata da una forte ri<strong>du</strong>zione<br />
del PIL e da un’instabilità dei mercati finanziari<br />
sulla scia della crisi internazionale. Se da un lato il<br />
<strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> ha risentito meno della crisi<br />
rispetto agli altri paesi europei, il <strong>sistema</strong> pro<strong>du</strong>ttivo sta<br />
ancora soffrendo della crisi dell’economia reale, a<br />
causa di una struttura medio piccola delle imprese<br />
italiane che si caratterizzano, peraltro, per una minor<br />
pro<strong>du</strong>ttività ed efficienza del lavoro rispetto ai paesi<br />
europei.<br />
<strong>Il</strong> settore del risparmio gestito è stato chiaramente<br />
influenzato anche da una crisi dei mercati finanziari<br />
senza precedenti nel 2008; la volatilità dei mercati ha<br />
raggiunto livelli che non aveva mai raggiunto negli ultimi<br />
60 anni e ad esso si è associato un significativo crollo<br />
dei corsi azionari, talmente rilevante che nemmeno<br />
i recuperi del 2009 sono stati sufficienti per ritornare ai<br />
livelli precedenti alla crisi del 2008. La crisi iniziata a<br />
1. Professore Ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari presso la Facoltà di Economia dell’Università di Parma e docente senior presso la SDA Bocconi.<br />
Cofondatore dell’Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie.<br />
2. Partner in Charge Financial Services e Strategy Leader PricewaterhouseCoopers Advisory; Professore di Strategia e Politica Aziendale Università Cattolica del<br />
Sacro Cuore Milano; Consigliere di Amministrazione AIPB, AICIB, ASAM, cofondatore dell’Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie.<br />
70
<strong>Il</strong> risparmio gestito in Italia<br />
GINO GANDOLFI &<br />
GIACOMO NERI<br />
causa del crollo dei mutui subprime americani ed<br />
aggravata dal fallimento di Lehman Brothers ha, dapprima,<br />
colpito le banche di investimento e, in particolare,<br />
il modello di intermediazione originate-to-distribute e,<br />
successivamente, ha coinvolto in maniera significativa<br />
tutti gli intermediari finanziari, quelli americani ed europei<br />
su tutti.<br />
Per quanto riguarda gli aspetti politici e normativi, il mercato<br />
sta vivendo una fase di adeguamento a diversi<br />
regolamenti emanati a livello europeo (si pensi, a puro<br />
titolo d’esempio, alla MiFID, alla UCITS IV) e <strong>italiano</strong><br />
(quali la legge 262, legge 231, Regolamenti vari emanati<br />
dai Regulators italiani, ecc).<br />
È probabile che una delle conseguenze della crisi sarà<br />
un ulteriore innalzamento del livello di regolamentazione<br />
del <strong>sistema</strong> finanziario, risparmio gestito compreso;<br />
gli operatori dovranno quindi essere pronti a cogliere le<br />
opportunità e ad anticipare e prevenire le minacce<br />
derivanti dal probabile nuovo contesto normativo.<br />
Dal punto di vista politico e fiscale sono attese da<br />
parte dei governi manovre finalizzate a reperire risorse<br />
finanziarie a causa della citata crisi. In effetti, i sostanziosi<br />
interventi dei governi finalizzati a ri<strong>du</strong>rre gli impatti<br />
della crisi hanno avuto un costo significativo ed è<br />
in<strong>du</strong>bbio che la società dovrà sopportare il costo di questi<br />
interventi attraverso una crescita della pressione<br />
fiscale. Alternativamente i governi hanno iniziato una<br />
ricerca di risorse senza confine. Le nazioni del G8 e del<br />
G20 hanno intrapreso una attività di cooperazione sul<br />
tema della lotta ai paradisi fiscali al fine di attivare sanzioni<br />
coordinate e multilaterali.<br />
Coerentemente con questa linea politica il governo<br />
<strong>italiano</strong> ha introdotto lo scudo fiscale. <strong>Il</strong> procedimento<br />
ha consentito un rientro di capitali complessivo tra il<br />
2009 ed il 2010 di quasi 100 miliardi di euro. Asset<br />
finanziari che, in tale situazione di mercato, sono ancora<br />
detenuti dalla clientela prevalentemente sotto forma<br />
di liquidità e depositi ma, presumibilmente, nei prossimi<br />
mesi verranno in parte spostati verso asset class e<br />
prodotti differenti, fornendo una boccata di ossigeno<br />
non solo alle banche private, ma anche agli operatori<br />
del risparmio gestito. Nel corso del 2011 assisteremo,<br />
probabilmente, ad un riallineamento dei capitali scudati<br />
verso l’asset mix tipico della clientela private, con uno<br />
spostamento di ricchezza finanziaria verso prodotti di<br />
risparmio gestito. In particolare, ci aspettiamo che<br />
circa 30 dei 100 miliardi rientrati verranno veicolati<br />
verso prodotti obbligazionari dove la parte del leone la<br />
faranno senz’altro le obbligazioni bancarie, una parte<br />
rilevante, circa 20 miliardi, verrà invece veicolata verso<br />
prodotti di risparmio gestito, dove ci aspettiamo che un<br />
ruolo rilevante, circa 15 miliardi, sarà ricoperto dai prodotti<br />
core del private banking, fondi comuni d’investimento,<br />
SICAV e gestioni patrimoniali. I prodotti assicurativi,<br />
infine, si presume attireranno circa 4 miliardi 3 .<br />
Dal punto di vista fiscale è opportuno ricordare come<br />
il settore <strong>italiano</strong> del risparmio gestito risenta di uno<br />
svantaggio fiscale derivante dalla diversa modalità di<br />
applicazione delle aliquote rispetto al contesto internazionale.<br />
In effetti, si ricorda che l’attuale disciplina<br />
legislativa prevede che i redditi dei fondi comuni italiani<br />
siano tassati per “maturazione”, con imposta annuale<br />
del 12,5% sul risultato maturato di gestione (incremento<br />
di valore registrato dalle attività finanziarie gestite<br />
nell’anno solare) direttamente a carico dello stesso<br />
fondo e, quindi, a prescindere dal fatto che i sottoscrittori<br />
li abbiano o meno percepiti. Al contrario, i redditi<br />
dei fondi comunitari armonizzati sono tassati per<br />
cassa e a carico dei partecipanti, ossia solo al momento<br />
in cui vengono effettivamente percepiti da parte di<br />
questi ultimi; il prelievo dell’imposta è quindi differito fino<br />
al momento del riscatto delle quote di partecipazione<br />
e i rendimenti dei fondi resi pubblici sono lordi.<br />
I fondi italiani, inoltre, in caso di ri<strong>du</strong>zione di valore<br />
della massa gestita, contabilizzano un “risparmio d’imposta”,<br />
che può essere compensato con le imposte che<br />
il fondo dovrà pagare nei periodi successivi ovvero<br />
con quelle dovute da altri fondi gestiti dalla medesima<br />
SGR.<br />
Detto risparmio d’imposta, che viene rilevato nell’attivo<br />
patrimoniale, incrementa il valore della quota, ma ne<br />
rappresenta una posta immobilizzata e infruttifera,<br />
ricollegabile ai risultati negativi di gestione accumulati<br />
nel passato. L’ammontare dei relativi rendimenti resi<br />
pubblici è sempre al netto dell’imposta.<br />
Tale differenza di trattamento risulta penalizzante per i<br />
<br />
3. Osservatorio Private Banking 2010, PricewaterhouseCoopers Advisory.<br />
71
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
prodotti dell’in<strong>du</strong>stria “domestica” da almeno <strong>du</strong>e<br />
diversi punti di vista:<br />
• non comparabilità (in assenza di condizioni univoche)<br />
dei rendimenti offerti rispetto ai fondi armonizzati di altri<br />
Paesi UE;<br />
• difficoltà di gestione (a causa della questione del<br />
“risparmio d’imposta” sopraccitata) di portafogli gravati<br />
da una posta dell’attivo illiquida e infruttifera.<br />
Dal punto di vista politico e normativo è da segnalare<br />
inoltre la spinta del Regolatore ad una separazione<br />
tra distribuzione e pro<strong>du</strong>zione, separazione che<br />
contribuirà alla ridefinizione degli equilibri dell’arena<br />
competitiva.<br />
Per quanto riguarda i fattori sociali ed ambientali, si ritiene<br />
opportuno segnalare la crisi di fi<strong>du</strong>cia della clientela<br />
verso le banche e la crescente percezione di insicurezza<br />
verso tutti i prodotti finanziari. Dopo le “scottature del<br />
mercato” non stupisce la conseguente ricerca da parte<br />
della clientela di prodotti poco rischiosi, “plan vanilla”,<br />
semplici e trasparenti.<br />
Dall’ultima relazione annuale della Banca d’Italia risulta<br />
in crescita lo stock di ricchezza finanziaria delle<br />
famiglie anche se aumenta la concentrazione della<br />
ricchezza e dei redditi. Aumenta la distribuzione della<br />
ricchezza a favore delle famiglie più “ricche”, mentre il<br />
potere d’acquisto segue un trend negativo da cui deriva<br />
una diminuzione del risparmio che impatta soprattutto<br />
le famiglie di reddito medio e medio-basso.<br />
Dal punto di vista tecnologico risulta evidente il miglioramento<br />
della gestione degli scambi grazie all’utilizzo<br />
di piattaforme più avanzate, all’incremento degli<br />
strumenti informatici a presidio del rischio e della<br />
gestione di strumenti finanziari complessi, allo sviluppo<br />
di strumenti di Personal Financial Planning sempre<br />
più completi e coerenti con le esigenze della clientela.<br />
L’innovazione tecnologica sta inoltre sicuramente giocando<br />
un ruolo fondamentale nel permettere un incremento<br />
della trasparenza informativa richiesta anche<br />
dalla regolamentazione.<br />
A conclusione dell’analisi, si ritiene opportuno evidenziare<br />
come il sentiment degli operatori dell’Asset<br />
Management risulti ancora poco favorevole in termini<br />
di aspettative per il 2011, a causa della generale<br />
instabilità economica e finanziaria globale ma soprattutto<br />
a causa delle difficoltà strutturali dell’in<strong>du</strong>stria in<br />
Italia e ciò nonostante l’atteso aumento della ricchezza<br />
e del risparmio complessivo, guidato dal rientro<br />
di capitali.<br />
Analisi dell’ambiente competitivo<br />
I potenziali entranti<br />
In Italia le maggiori barriere all’ingresso per i potenziali<br />
entranti si identificano nell’accesso alla rete distributiva<br />
e nell’identità di brand. <strong>Il</strong> peso del canale <strong>bancario</strong> nella<br />
distribuzione di prodotti bancari è preponderante. La<br />
necessità di disporre di una rete distributiva diventa<br />
quindi fondamentale. Nessuno dei primi 10 player del<br />
settore risulta essere indipendente da un gruppo<br />
Bancario/Assicurativo: a dicembre 2008 gli attori<br />
indipendenti si contendevano, infatti, poco meno del 5%<br />
dell’AuM 4 e nel 2009 la situazione non appare cambiata.<br />
È quindi la commercializzazione dei prodotti lo scoglio<br />
più difficile da superare nell’attuale contesto<br />
dell’Investment Management <strong>italiano</strong>. La tipicità del<br />
settore, che vede i prodotti “captive” farla da padrone,<br />
rende molto difficile, di fatto, l’ingresso di potenziali nuovi<br />
competitors sul mercato.<br />
La scarsa minaccia di nuovi potenziali entranti nel<br />
mercato dell’Investment Management ha un impatto<br />
molto positivo sull’attrattività del mercato stesso.<br />
Essendo molto difficile l’ingresso di nuovi player in<br />
grado di modificare gli assetti già consolidati del settore,<br />
la situazione competitiva non viene modificata,<br />
creando di fatto un vantaggio per la redditività degli<br />
insiders.<br />
I prodotti sostitutivi<br />
Nei prodotti sostitutivi, la minaccia maggiore arriva dai<br />
prodotti canalizzati verso il cliente finale (retail/<br />
institutional) dalla rete bancaria. Sono, quindi, i prodotti<br />
tipicamente bancari (obbligazioni/certificati) e quelli di<br />
bancassurance (polizze assicurative di ramo I, unit/index<br />
linked) i maggiori indiziati come capacità sostitutiva,<br />
soprattutto in termini di volumi di sostituzione.<br />
Non va sottovalutata, però, la crescita dei prodotti<br />
4. Fonte: ORFEO - Osservatorio sui risparmi delle famiglie – <strong>Il</strong> settore del risparmio gestito in Italia, 2009.<br />
72
<strong>Il</strong> risparmio gestito in Italia<br />
GINO GANDOLFI &<br />
GIACOMO NERI<br />
ETF/ETC che, per i minori costi di gestione e per la<br />
maggior trasparenza, risultano essere dei forti<br />
concorrenti “interni” ai fondi tradizionali così come i<br />
conti di deposito online che, pur presentando una<br />
redditività modesta, hanno il pregio di essere liquidi,<br />
trasparenti e di essere percepiti come sicuri dalla<br />
clientela.<br />
La minaccia di prodotti sostitutivi ha un impatto molto<br />
negativo sull’attrattività del settore. Per il distributore,<br />
infatti, i prodotti bancari (obbligazioni proprie, etc.)<br />
garantiscono una redditività maggiore e, di conseguenza,<br />
possono costituire un pericolo per la redditività<br />
attuale e futura del settore.<br />
I fornitori<br />
Nel panorama <strong>italiano</strong> dell’Investment Management si<br />
ritiene che i fornitori (broker, technology provider,<br />
outsourcer, gestori terzi, head hunter ecc.) non siano<br />
in grado di esercitare una forza tale da avere impatti<br />
sulla redditività dei players del settore e ciò in ragione<br />
soprattutto della numerosità/concorrenzialità degli<br />
stessi rispetto agli acquirenti (società di gestione del<br />
risparmio).<br />
I bassi costi di intermediazione e la forte concorrenzialità<br />
dei brokers, la bassa propensione negli investimenti IT,<br />
la quota resi<strong>du</strong>ale gestita in delega da gestori esteri e,<br />
per ultimo, il ricorso resi<strong>du</strong>ale a servizi di outsourcing<br />
depongono tutti a favore della tesi di cui sopra.<br />
Clienti e canali distributivi<br />
Nel contesto <strong>italiano</strong>, ma non solo, il potere contrattuale<br />
dei clienti aumenta all’aumentare della loro fascia di ricchezza/capacità<br />
di investimento. L’attuale target di<br />
clientela del settore vede la clientela retail prevalere su<br />
quella istituzionale e private, sia in termini di numerosità<br />
e di AuM (la quota media del retail, per operatore in<br />
Italia, si aggira intorno all’80%) sia in termini di redditività.<br />
La clientela retail ha un basso potere contrattuale e, di<br />
conseguenza, subisce le politiche di pricing e di<br />
prodotto delle banche distributrici, mentre la clientela<br />
private ed istituzionale, grazie ad un maggior potere<br />
contrattuale, riesce talvolta ad incidere sulle politiche di<br />
prodotto e di prezzo degli operatori.<br />
Ad onor del vero, però, il vero cliente dell’asset manager<br />
<strong>italiano</strong> è la distribuzione. Molto forte risulta il potere<br />
contrattuale del distributore con cui il cliente finale si<br />
interfaccia. La rete distributiva ha una forza contrattuale<br />
altissima nei confronti degli operatori del settore, cui praticamente<br />
drena tutti gli utili sotto forma di retrocessioni<br />
e dividendi.<br />
L’impatto andrebbe quindi considerato nell’ottica di<br />
una strategia comune “fabbrica-distributore” che la<br />
struttura proprietaria di gruppo pone in essere, strategia<br />
che pone la redditività del canale distributivo ad un livello<br />
di importanza superiore rispetto alla redditività della<br />
singola fabbrica prodotto.<br />
Incumbents<br />
I players presenti nel contesto <strong>italiano</strong> dell’Investment<br />
Management sono caratterizzati da entità legali differenti:<br />
SGR, Sicav, Gestori Esteri, SIM, Banche, Società<br />
Assicurative.<br />
Nonostante la numerosità e l’eterogeneità del gruppo<br />
indivi<strong>du</strong>ato, che dovrebbe far pensare ad un mercato<br />
aperto e concorrenziale, la tipicità del contesto <strong>italiano</strong>,<br />
che vede i diversi operatori identificati in precedenza non<br />
operare in modo indipendente ma, al contrario, nel<br />
contesto di un gruppo Bancario/Assicurativo “conglomerato”,<br />
fa sì che il mercato diventi chiuso, molto<br />
concentrato e di conseguenza poco concorrenziale.<br />
La concentrazione 5 e la chiusura del mercato associata<br />
alla bassa concorrenzialità hanno un impatto sulla redditività<br />
degli operatori.<br />
La valutazione complessiva evidenzia una situazione<br />
reddituale del settore poco attrattiva in ragione della<br />
forza espressa dai canali distributivi e della minaccia<br />
esercitata dai prodotti sostitutivi.<br />
Infatti, nonostante il settore sia in grado di pro<strong>du</strong>rre nel<br />
2009 circa 13 mld. € di ricavi 6 , gli stessi – al netto dei<br />
costi, pari a circa 2,9 mld. € – sono “drenati” dalla rete<br />
distributiva bancaria sotto forma di commissioni di<br />
retrocessione (7,7 mld. €) e dividendi.<br />
<br />
5. I primi 10 player gestiscono circa l’80% del patrimonio promosso complessivo, fonte dati societari aggiornati a ottobre 2009. Elaborazione ORFEO - Osservatorio<br />
sui risparmi delle famiglie – <strong>Il</strong> settore del risparmio gestito in Italia, 2009.<br />
6. Fonte: elaborazione PwC Advisory su dati societari.<br />
73
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
FIGURA 1. Ricchezza delle famiglie italiane<br />
mld di €<br />
10 000<br />
9 000<br />
8 000<br />
7 000<br />
6 000<br />
5 000<br />
4 000<br />
3 000<br />
2 000<br />
1 000<br />
0<br />
+ 4,5 %<br />
9 227 9 480<br />
8 818<br />
9 088<br />
8 287<br />
7 749<br />
7 260<br />
3 480<br />
3 678<br />
3 633<br />
3 374<br />
3 487<br />
3 280<br />
3 079<br />
461<br />
475<br />
492<br />
442<br />
436<br />
413<br />
432<br />
3 769 4 036 4 364 4 743 5 089 5 240 5 508<br />
2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009<br />
Totale patrimonio immobiliare Totale attività reali Totale attività finanzianie<br />
%<br />
CAGR<br />
Totale ricchezza delle famiglie<br />
Fonte: ORFEO, Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie, il settore del Risparmio gestito in Italia, 2009<br />
La ricchezza delle famiglie in Italia<br />
In Italia la ricchezza delle famiglie, da sempre fortemente<br />
legata alle attività reali e in particolare al patrimonio<br />
immobiliare, dopo il declino registrato nel 2008 è tornata<br />
a crescere nel 2009 raggiungendo il massimo<br />
storico di 9.480 Miliardi di Euro. Come mostrano i<br />
grafici sottostanti, la crescita media annua dal 2003-<br />
2009 è stata del 4,5%.<br />
Analizzando in particolare i dati di Banca d’Italia riferiti<br />
alla composizione del portafoglio delle famiglie, emerge<br />
il grande peso dell’investimento immobiliare in crescita<br />
e la cui incidenza risulta superiore in Italia rispetto<br />
a quello di altri Paesi europei (cfr. figura 1) 7 .<br />
<strong>Il</strong> peso delle attività finanziarie nel portafoglio delle<br />
famiglie italiane è, invece, calato del 5%, (passando dal<br />
42% del 2003 al 37% del 2009), attestandosi a<br />
mld di €<br />
4 000<br />
3 500<br />
3 000<br />
2 500<br />
2 000<br />
1 500<br />
1 000<br />
500<br />
0<br />
FIGURA 2. Andamento della ricchezza finanziaria delle famiglie<br />
+ 1,8%<br />
3 633 3 678<br />
3 487<br />
3 480<br />
3 280<br />
3 374<br />
109 112<br />
3 079<br />
111<br />
2 952 2 927 2 966<br />
110<br />
114<br />
100<br />
667 726<br />
94 86 91<br />
94<br />
642<br />
674<br />
766<br />
745<br />
504 562 622<br />
624<br />
853<br />
921 962<br />
667<br />
707<br />
806<br />
1 064<br />
730<br />
768<br />
1 026<br />
904<br />
972 1 025 1 008<br />
815 784<br />
787<br />
858<br />
717<br />
761<br />
388 327<br />
338 321 331 302<br />
454<br />
264<br />
164 181<br />
330 370 413 468 521 578 611 607 587 619<br />
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009<br />
Prestiti e altri crediti,<br />
CAGR 1,9 %<br />
Titoli, CAGR 4,4 %<br />
Moneta e depositi,<br />
CAGR 5,3 %<br />
Azioni e partecipazioni,<br />
CAGR - 1,9 %<br />
Fondi comuni,<br />
CAGR - 9,7 %<br />
Assicurazioni e fondi<br />
pensione, CAGR 7,2 %<br />
%<br />
CAGR 2000-2009<br />
Totale<br />
Fonte: ORFEO, 2009<br />
7. Ricchezza definita come attività finanziarie (depositi bancari, risparmio postale, monete, prestiti dei soci alle cooperative, titoli pubblici italiani ed esteri, riserve<br />
tecniche di assicurazione, fondi comuni di investimento, azioni e partecipazioni in società di capitali e quasi-società, altri conti attivi), attività reali (Oggetti di valore,<br />
impianti, macchinari, attrezzature, scorte e avviamenti) e patrimonio immobiliare (abitazioni, fabbricati non residenziali, terreni).<br />
74
<strong>Il</strong> risparmio gestito in Italia<br />
GINO GANDOLFI &<br />
GIACOMO NERI<br />
FIGURA 3. Segmentazione della ricchezza delle famiglie italiane (mld di €)<br />
Istituzionali<br />
517<br />
Risparmio Gestito<br />
1 466<br />
238<br />
711<br />
Ricchezza<br />
delle famiglie<br />
italiane<br />
Risparmio<br />
Amministrato<br />
+ Circolante<br />
644<br />
1 887<br />
3 480<br />
2 531<br />
Elaborazione PwC Advisory – Stime 2009<br />
su dati Banca d’Italia al III trimestre 2009–<br />
Dati espressi in mld di Euro<br />
private<br />
882<br />
retail + small business<br />
2 598<br />
Investitori Istituzionali<br />
Richezza famiglie private<br />
Richezza altre famiglie<br />
Risparmio Gestito<br />
Fonte: ORFEO, 2009<br />
3.480 miliardi di Euro. Questa ricchezza è ricon<strong>du</strong>cibile<br />
per il 27% in prodotti di risparmio gestito e per il 73%<br />
in risparmio amministrato e circolante.<br />
In particolare, l’Italia presenta un livello di ricchezza<br />
finanziaria, in proporzione al valore delle attività pro<strong>du</strong>ttive,<br />
relativamente elevato (pari a circa tre volte il PIL)<br />
e superiore ai principali Paesi escluso il Regno Unito<br />
che, insieme con Svizzera e Stati Uniti, risulta tra i<br />
Paesi con il maggiore tasso di finanziarizzazione dell’economia<br />
in Occidente<br />
<strong>Il</strong> trend della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane<br />
mostra, inoltre, come a fronte di un incremento medio<br />
della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane pari<br />
all’1,8% nel periodo 2000-2009, le attività investite in<br />
fondi comuni hanno fornito un contributo negativo in termini<br />
di crescita media (-9,7%). Nello stesso periodo i<br />
prodotti assicurativi (riserve tecniche) e fondi pensione<br />
sono stati caratterizzati da un netto rialzo (+7.2%). E’<br />
importante rilevare come a seguito della crisi occorsa<br />
nel 2008 il livello di ricchezza finanziaria sia tornato ai<br />
dati del 2005 (cfr. figura 2).<br />
Nel 2009 il settore del risparmio gestito ha raggiunto un<br />
valore del patrimonio promosso complessivo pari a<br />
1.466 mld di euro. Si può stimare che i prodotti siano<br />
destinati per circa il 35% alla clientela istituzionale<br />
(circa 517 miliardi) e per il restante 65% alle famiglie<br />
italiane (circa 949 miliardi), di cui 238 ricon<strong>du</strong>cibili alla<br />
clientela private e 711 miliardi ricon<strong>du</strong>cibile alla clientela<br />
retail e small business 8 (cfr. figura 3).<br />
Da evidenziare come, in realtà, una gran parte della<br />
ricchezza finanziaria delle famiglie italiane sia in realtà<br />
“immobilizzata”. Se analizziamo in dettaglio i dati<br />
Banca d’Italia emerge che gli investimenti azionari<br />
includono anche le partecipazioni in<strong>du</strong>striali e le quote<br />
delle S.r.l. che nella percezione delle famiglie italiane<br />
non rappresentano sicuramente un investimento<br />
finanziario.<br />
Andamento storico e trend<br />
del Risparmio Gestito<br />
L’evoluzione storica del settore evidenzia che, dopo un<br />
biennio di crescita del patrimonio gestito complessivo<br />
(2005-2006), nel 2007 il trend si è invertito portando una<br />
ri<strong>du</strong>zione del patrimonio nel 2008 di circa il 21%.<br />
Secondo le stime effettuate, si rileva una ripresa nel<br />
2009 (+16%) e si prevede per il 2011 il ritorno ai livelli<br />
<br />
8. Elaborazione ORFEO - Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie – Stime 2009 su dati Banca d’Italia al III trimestre 2009.<br />
75
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
mld di €<br />
1 800<br />
1 600<br />
1 400<br />
1 200<br />
1 000<br />
800<br />
600<br />
400<br />
200<br />
0<br />
FIGURA 4. L’in<strong>du</strong>stria del risparmio gestito - Segmentazione per prodotti<br />
+ 0,8%<br />
1 642 1 605<br />
1 637<br />
1 559<br />
60,4% 60,9%<br />
1 466<br />
59,3%<br />
332<br />
323<br />
345 1 265<br />
428<br />
51,1% 373<br />
51,1%<br />
49,9%<br />
40,7%<br />
259<br />
48,9% 50,1% 48,9%<br />
247<br />
251<br />
39,6% 39,1%<br />
317<br />
52<br />
314<br />
46<br />
58<br />
284<br />
353<br />
241<br />
94<br />
318<br />
339<br />
75<br />
61<br />
333<br />
288<br />
246<br />
624 646 612<br />
400 446 467<br />
2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011<br />
70%<br />
60%<br />
50%<br />
% CAGR 2005-2011<br />
Totale AUM<br />
QM prodotti Assicurativi<br />
Unit/Index Linked, CAGR 4,8%<br />
40% Polizze assicurative, CAGR 4,1%<br />
Fondi Pensione, CAGR 12,7%<br />
30%<br />
QM prodotti Bancari<br />
20% Gestioni indivi<strong>du</strong>ali, CAGR 0,8%<br />
10% Gestioni collettive, CAGR -4,7%<br />
Forecast<br />
0%<br />
Elaborazione PwC Advisory su dati Assogestioni e dati societari -Dati espressi in mld di Euro<br />
Fonte: ORFEO, 2009<br />
di picco del 2006. Considerando invece un arco<br />
temporale di sette anni, dal 2005 al 2011, si stima un<br />
tasso medio di crescita positivo del patrimonio gestito<br />
complessivo pari a circa lo 0,8% 9 .<br />
Nel biennio 2005-2006 l’andamento del patrimonio<br />
promosso, scomposto nelle 5 principali macrocategorie<br />
di prodotto, evidenzia un andamento positivo destinato<br />
ad arrestarsi a partire dall’anno successivo per il calo<br />
dei fondi comuni d’investimento e delle gestioni<br />
patrimoniali. A partire dal 2007, le gestioni collettive e<br />
indivi<strong>du</strong>ali subiscono una sensibile ri<strong>du</strong>zione, mentre i<br />
Fondi Pensione presentano un incremento di oltre il 6%<br />
(cfr. figura 4).<br />
Nel triennio 2005-2007 il peso dei diversi prodotti<br />
del risparmio gestito sull’AuM non ha subìto rilevanti<br />
cambiamenti; le variazioni, infatti, sono state di<br />
circa l’1% tra un anno e l’altro. A partire dal 2008, i<br />
Fondi Comuni ri<strong>du</strong>cono sensibilmente il loro peso<br />
percentuale, mentre si affermano prodotti di tipo<br />
assicurativo come unit/index linked e polizze<br />
assicurative tradizionali.<br />
In termini assoluti, si osserva come, dal 2006 ad oggi,<br />
l’andamento degli investimenti in prodotti obbligazionari<br />
ed azionari ha registrato un costante calo, mentre<br />
gli investimenti in altri prodotti, quali hedge, immobiliari<br />
e “non classificati”, hanno mostrato una crescita<br />
costante nel triennio 2005-2007. Nel 2008, si assiste<br />
ad una ri<strong>du</strong>zione del patrimonio promosso per tutte le<br />
tipologie di prodotti; per il triennio 2009-2011 si stima<br />
una lieve ripresa dello stesso, in termini assoluti, per<br />
alcune tipologie di prodotto obbligazionari e monetari<br />
in particolare 10 (cfr. figura 5).<br />
I canali distributivi del Risparmio Gestito<br />
L’analisi conferma la prevalenza del canale <strong>bancario</strong> per<br />
la distribuzione dei prodotti di risparmio gestito: nel 2008<br />
quasi il 70% delle masse promosse è stato intermediato<br />
attraverso sportelli bancari. L’analisi svolta mostra,<br />
però, come la quota percentuale di AuM riferita al<br />
canale <strong>bancario</strong> sia diminuita nell’arco temporale 2005-<br />
2008 e, secondo le stime effettuate, diminuirà nei<br />
prossimi anni. La ridistribuzione è dovuta principalmente<br />
all’aumento di quota di mercato di altri canali quali<br />
agenti/broker assicurativi – anche per la crescita della<br />
presenza di Gruppi Assicurativi nel settore del risparmio<br />
gestito – reti di promotori finanziari e consulenti<br />
indipendenti nonché dei canali alternativi (Poste Italiane)<br />
(cfr. figura 6).<br />
9. Elaborazione ORFEO - Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie su dati societari.<br />
10. Dati del grafico in milioni di euro. Ns elaborazione su dati Assogestioni e dati societari.<br />
76
<strong>Il</strong> risparmio gestito in Italia<br />
GINO GANDOLFI &<br />
GIACOMO NERI<br />
FIGURA 5. L’in<strong>du</strong>stria del risparmio gestito - Segmentazione per asset class<br />
mld di €<br />
1 800<br />
1 600<br />
1 400<br />
1 200<br />
1 000<br />
800<br />
600<br />
400<br />
200<br />
0<br />
1 559<br />
956<br />
342<br />
182<br />
28<br />
51<br />
1 641<br />
989<br />
385<br />
182<br />
41<br />
45<br />
1 605<br />
904<br />
365<br />
219<br />
57<br />
61<br />
+ 0,8%<br />
1 265<br />
783<br />
178<br />
205<br />
64<br />
34<br />
2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011<br />
1 465<br />
903<br />
215<br />
237<br />
72<br />
39<br />
1 549<br />
959<br />
225<br />
249<br />
75<br />
40<br />
1 637<br />
1 019<br />
236<br />
261<br />
77<br />
42<br />
% CGAR<br />
Obbligazionari<br />
Azionari<br />
Fondi di Liquidità<br />
Real Estate<br />
Hedge<br />
Fonte: ORFEO, 2009<br />
Domanda ed offerta e business arena<br />
In generale, la domanda degli investitori risulta polarizzata<br />
tra esigenze primarie della clientela retail ed<br />
esigenze avanzate della clientela private ed istituzionale.<br />
A tale polarizzazione fa fronte una diversa offerta di prodotti<br />
(standardizzazione Vs specializzazione) e differenti<br />
player di mercato.<br />
Analizzando nel loro complesso le principali variabili<br />
utilizzate per l’analisi dei poli pro<strong>du</strong>ttivi del settore 11 e<br />
il range di prodotti offerti per ciascuna tipologia di<br />
player, risulta che i prodotti bancari e quelli assicurativi<br />
si spartiscono più o meno equamente il mercato<br />
(51% bancari e 49% assicurativi).<br />
<br />
FIGURA 6. L’in<strong>du</strong>stria del risparmio gestito – Canali distributivi<br />
mld di €<br />
1 800<br />
1 600<br />
1 400<br />
1 200<br />
1 000<br />
800<br />
600<br />
400<br />
200<br />
0<br />
1 559 1 642 1 605 1 265 1 466 1 637<br />
74,7 %<br />
74,1 %<br />
72,5 %<br />
69,8 %<br />
68,7 %<br />
64,1 %<br />
1 164<br />
203<br />
78<br />
70<br />
43<br />
13,0 %<br />
5,0 %<br />
1 217<br />
218<br />
86<br />
70<br />
50<br />
13,3 %<br />
5,3 %<br />
1 165<br />
227<br />
94<br />
68<br />
52<br />
14,2 %<br />
5,9 %<br />
+ 0,8 %<br />
883<br />
173<br />
97<br />
64<br />
48<br />
13,7 %<br />
1 007<br />
120<br />
74<br />
56<br />
2005 2006 2007 2008 2009 2011<br />
7,7 %<br />
210<br />
14,3 %<br />
8,2 %<br />
14,6 %<br />
10,9 %<br />
1 049<br />
239<br />
178<br />
91<br />
79<br />
80 %<br />
70 %<br />
60 %<br />
50 %<br />
40 %<br />
30 %<br />
20 %<br />
10 %<br />
0 %<br />
% CAGR 2005-2011<br />
Total AUM<br />
Canale <strong>bancario</strong>, CAGR - 2%<br />
Promotori/IFA/SIM, CAGR 3%<br />
Agenti/broker, CAGR 4%<br />
Canale diretto, CAGR 15%<br />
Altro, CAGR 11%<br />
QM Agenti/broker<br />
QM promotori/IFA/SIM<br />
QM canale <strong>bancario</strong><br />
Forecast<br />
Fonte: ORFEO, 2009<br />
11. Fonte: Ns. elaborazione su dati Assogestioni e dati societari.<br />
77
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
FIGURA 7. Principali economics business arena<br />
AuM per<br />
prodotto<br />
% AuM<br />
sul tot.<br />
Poli di<br />
Asset<br />
Mngt<br />
Poli<br />
Assicurativi<br />
Poli<br />
Bancari<br />
460 282 368 71 285<br />
Tot.AuM<br />
CAGR AuM<br />
31,4 % 19,3 % 25,1 % 4,8 % 19,5 %<br />
1.466<br />
2005 - 2009<br />
Prod. Bancari<br />
(742mln€ - 51 %)<br />
Gestioni Collettive<br />
Gestioni Indivi<strong>du</strong>ali<br />
Unite Index Linked<br />
Totale<br />
Prod. Assicurativi<br />
(724mln€ – 49 %)<br />
Fondi Pensione<br />
Polizze Assicurative Vita<br />
AuM Ricavi Utili<br />
1005 8,1 1,3<br />
AuM Ricavi Utili<br />
AuM Ricavi Utili<br />
mld €<br />
Redd.<br />
Lorda<br />
(bps)<br />
Redd.<br />
Lorda<br />
(bps)<br />
Redd.<br />
Lorda<br />
(bps)<br />
Redd.<br />
Netta<br />
(bps)<br />
Redd.<br />
Netta<br />
(bps)<br />
Redd.<br />
Netta<br />
(bps)<br />
Marginalità<br />
(%)<br />
81 13 16 %<br />
Marginalità<br />
(%)<br />
375 4,1 1,2 109 33 30 %<br />
Marginalità<br />
(%)<br />
85 0,7 0,4 85 43 50 %<br />
1 466 13 2,9 88 20 23 %<br />
Best<br />
- 1,9 %<br />
- 0,5 %<br />
- 0,8 %<br />
Worst<br />
Fonte: ORFEO, 2009<br />
I poli assicurativi presentano una redditività lorda più alta,<br />
ma sono i poli bancari ad avere la redditività netta e la<br />
marginalità migliori; i poli di asset management risultano<br />
essere i meno efficienti (cfr. figura 7).<br />
I clienti High Net Worth<br />
Una parte rilevante della ricchezza finanziaria<br />
delle famiglie italiane (pari a circa il 25%) 12 è detenuta<br />
dalle famiglie più ricche, che rientrano nel novero<br />
FIGURA 8. Gli High Net Worth Indivi<strong>du</strong>als in Italia<br />
stime<br />
Ricchezza<br />
finanziaria<br />
(mld €)<br />
670<br />
710<br />
786<br />
4,7 %<br />
818 829<br />
740<br />
882<br />
929<br />
CAGR<br />
(2003-2009)<br />
Forecast<br />
N famiglie<br />
('000)<br />
Portafoglio<br />
medio (mln €)<br />
2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 E<br />
6,0 % 10,7 % 4,1 % 1,3 % - 10,7 % 19,2 % 5,3 %<br />
n.a. 646 692 703 694 586 640<br />
n.a.<br />
7,1 % 1,6 % - 1,3 % - 15,6 % 9,1 %<br />
n.a. 1,10 1,14 1,16 1,19 1,26 1,38<br />
Ricchezza definita come attività finanziarie (depositi e liquidità, titoli obbligazionari, azioni quotate, fondi comuni, polizze vita e fondi<br />
pensioni) detenute de famiglie con patrimoni superiori a 500.000 euro. 2010 stimato sulla base dello scenario politico, economico,<br />
finanziario al 31 gennaio 2010.<br />
12. Osservatorio Private Banking, PwC Advisory.<br />
YoY<br />
YoY<br />
Fonte: Osservatorio Private Banking, PwC<br />
78
<strong>Il</strong> risparmio gestito in Italia<br />
GINO GANDOLFI &<br />
GIACOMO NERI<br />
della clientela cosiddetta private o High Net Worth.<br />
Questo segmento di clientela è oggetto di particolare<br />
attenzione da parte dei players del Settore del<br />
Risparmio Gestito sia per l’elevata dimensione media<br />
del patrimonio di ogni cliente, sia per l’opportunità di<br />
offrire prodotti e servizi dedicati che non potrebbero<br />
essere collocati presso la clientela retail, quali prodotti<br />
speculativi e fondi chiusi, servizi di ottimizzazione<br />
fiscale, sviluppo di family office, fondi di private equity,<br />
eccetera.<br />
L’aumento di redditività del segmento (+1,2 miliardi di<br />
Euro di ricavi e un +0,4 degli utili) stimato in seguito allo<br />
scudo e quindi all’ampliamento della base cliente (da<br />
586 mila a 640 mila famiglie) e delle masse (aumento<br />
del portafoglio medio da 1,26 a 1,38 milioni) fa del private<br />
banking un notevole punto di interesse da parte<br />
degli operatori di asset management.<br />
L’analisi dell’AuM della clientela private mostra che<br />
dopo una sostanziale diminuzione avvenuta nel corso<br />
del 2008, nel 2009 si segnala un incremento del 19,2%<br />
della ricchezza nel mercato <strong>italiano</strong> degli High Net<br />
Worth Indivi<strong>du</strong>al (HNWI), con una stima di circa 882<br />
miliardi di euro detenuti da circa 640 mila famiglie<br />
HNW.<br />
Tale incremento è ricon<strong>du</strong>cibile per 54 mld alla performance<br />
(+7,3%), per 3 mld a nuovi conferimenti (+0,4%)<br />
e per circa 85 miliardi (+11,5%) allo scudo fiscale. Gli<br />
effetti dello scudo 2010, sono stimabili, ad oggi, in<br />
circa 10 mld (+1,1%) (cfr. figura 8, 9).<br />
Nel mercato del private banking un ruolo decisivo lo ha<br />
sicuramente ricoperto lo scudo fiscale.<br />
Circa 100 miliardi sono rientrati tra il 2009 ed il 2010.<br />
Da segnalare che una gran parte di questi capitali<br />
(circa il 50%) sono detenuti in liquidità, circostanza<br />
che rappresenta una grande opportunità per le banche<br />
private ma anche per gli asset managers. Si stima<br />
che, a partire dai prossimi mesi (probabilmente dal<br />
2011), la componente liquida dei capitali rimpatriati<br />
verranno destinati verso prodotti di risparmio gestito<br />
attraverso intermediari specializzati non generalisti<br />
(private banking) ed asset managers che detengono il<br />
know-how, le competenze e le risorse necessarie per<br />
gestirli. ◗<br />
FIGURA 9. Evoluzione degli asset detenuti dagli High Net Worth Indivi<strong>du</strong>als in Italia<br />
Var % vs<br />
anno prec.<br />
stime<br />
Effetto<br />
performance<br />
+ 2,9 % + 1,1 % + 4,1 % + 1,0 % + 0,3 % + 1,3 % - 11,3 % + 1,1 % -10,7 % + 7,3 % + 0,4 % + 11,5 % +19,2 % + 5,7 % -1,5 % +1,1 % +5,3 %<br />
+23 +9<br />
Net<br />
inflow<br />
Effetto<br />
performance<br />
+8<br />
Net<br />
inflow<br />
+3<br />
Effetto<br />
performance<br />
Net<br />
-98 inflow<br />
+9<br />
Effetto<br />
performance<br />
+54<br />
Net<br />
inflow<br />
+3<br />
Scudo<br />
2009<br />
+85<br />
Effetto<br />
performance<br />
+50<br />
Net<br />
Scudo<br />
2010<br />
inflow*<br />
+10<br />
-13<br />
786<br />
818 829 740 882 929<br />
2005 2006 2007 2008 2009 2010 E<br />
Forecast<br />
2010 stimato sulla base dello scenario politico, economico, finanziario al 31 gennaio 2010.<br />
(*): Raccolta 2010: raccolta negativa influenzata da un consistente spostamento di parte del patrimonio finanziario scudato nel corso<br />
del 2009 da parte della clientela private da attività finanziarie verso attività reali (immobili/aziende), solo parzialmente compensato<br />
da una crescita della raccolta positiva derivante da ricchezza reale.<br />
Fonte: Osservatorio Private Banking, PwC<br />
79
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
Assogestioni – Annuario, vari anni.<br />
Banca d’Italia, intervento del Dott. Carosio, Assemblea Annuale Assogestioni, “Fondi Comuni e Crisi dei Mercati –<br />
L’impatto della crisi finanziaria sui fondi comuni” 18 marzo 2010.<br />
Banca d’Italia - Supplementi al Bollettino Statistico - Conti Finanziari 2010.<br />
Banca d’Italia - Relazione Annuale– Roma, 31 maggio 2010 - Considerazioni finali del Governatore.<br />
F. M. De Rossi, D. Gariboldi, G. Leggieri, A. Russo, Consob, QdF – “<strong>Il</strong> marketing dei Fondi comuni italiani” –<br />
Gennaio 2008.<br />
IMF - World Economic Outlook - Financial Stress, Downturns, and Recoveries, IMF October 2008.<br />
IMRE Advisory – Market turmoil – issues and challenges for asset managers – December 2008.<br />
Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie, Focus Paper - Global Fund Distribution 2009 e posizionamento dell’Italia,<br />
Ottobre 2009.<br />
Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie - “<strong>Il</strong> risparmio delle famiglie italiane: una risorsa strategica per il Paese e<br />
le opportunità dello scudo fiscale”, 8 marzo 2010.<br />
Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie – Relazione al seminario “La Gestione del Risparmio delle Famiglie oltre<br />
la Crisi” – Parma, 30 Giugno 2009.<br />
Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie – <strong>Il</strong> settore del Risparmio Gestito in Italia, 2009.<br />
PricewaterhouseCoopers, “L’in<strong>du</strong>stria del risparmio gestito e del private banking : evoluzione e cambiamenti in<br />
corso”, Convegno ABI-AIPB-Assogestioni, 27 febbraio 2009.<br />
PricewaterhouseCoopers - “Financial Crisis of 2008: Navigating and Mitigating Risks”, PwC Banking & Capital<br />
Markets November 2008.<br />
PricewaterhouseCoopers - DAVOS - World Economic Forum Annual Meeting 2010. Materiale preparato da PwC per<br />
il World Economic Forum.<br />
PricewaterhouseCoopers - The day after tomorrow – Presente e futuro della gestione del risparmio, Ottobre 2009.<br />
80
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
<strong>Il</strong> gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> in Italia<br />
<strong>Il</strong> gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> sviluppa in Italia<br />
l’insieme delle sue attività, talvolta con<br />
delle posizioni tra i leader del mercato.<br />
Queste attività beneficiano di marchi<br />
molto forti e riconosciuti. Esse possono<br />
avvalersi al tempo stesso di partner<br />
italiani di alta qualità e della competenza<br />
che può fornire uno dei primi gruppi<br />
finanziari europei. L’Italia è il secondo<br />
mercato del gruppo dopo la Francia.<br />
ARIBERTO FASSATI<br />
Direttore e membro del Comitato Esecutivo del gruppo<br />
Crédit <strong>Agricole</strong> S.A.<br />
Presidente di Cariparma<br />
Una presenza di lunga <strong>du</strong>rata<br />
<strong>Il</strong> Gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> è presente in Italia da oltre<br />
40 anni.<br />
La sua crescita è avvenuta sia in modo organico sia<br />
come conseguenza delle diverse acquisizioni fatte<br />
dalla Casa Madre. La Banque Indosuez, il Crédit<br />
Lyonnais, Sofinco avevano tutte una presenza operativa<br />
nel paese che si è sviluppata sia in modo autonomo,<br />
sia integrandosi con le altre attività del Gruppo.<br />
<strong>Il</strong> primo investimento diretto del gruppo Crédit <strong>Agricole</strong><br />
in Italia è stata l’acquisizione del 30% del Banco<br />
Ambrosiano nel 1989. La piccola banca privata in difficoltà<br />
è stata risanata e con continui successivi aumenti<br />
di capitale sempre sottoscritti dal Gruppo, per la<br />
sua quota, è diventata Banca Intesa, prima banca italiana.<br />
In questo periodo, vista l’opposizione delle<br />
Autorità Monetarie a che importanti banche italiane<br />
fossero acquisite da gruppi esteri, la strategia di Crédit<br />
<strong>Agricole</strong> era di sviluppare joint-ventures di dimensione<br />
europea con Banca Intesa in diversi settori quali l’asset<br />
management, il credito al consumo e la banca privata<br />
ecc.<br />
La fusione tra Banca Intesa e Istituto San Paolo di<br />
Torino ha comportato per il gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> un<br />
cambio di strategia anche per rispettare le indicazioni<br />
date dall’Antitrust. <strong>Il</strong> gruppo Crédit <strong>Agricole</strong>, pur avendone<br />
la facoltà, non si è opposto alla nascita di questa<br />
grande banca italiana considerando legittima l’aspirazione<br />
del Paese di avere una grande banca<br />
nazionale di dimensione europea. Ha però chiesto in<br />
cambio la creazione di una propria banca che si è<br />
concretizzata all’inizio del 2007 con l’acquisto da<br />
Banca Intesa del Gruppo Cariparma Friuladria composto<br />
da oltre 700 filiali localizzate nelle zone più ricche<br />
del Paese.<br />
Al momento della creazione di questa nuova banca il<br />
management ha comunicato gli obbiettivi principali di<br />
questo investimento. <strong>Il</strong> primo era di raggiungere una<br />
dimensione di circa 1000 sportelli. <strong>Il</strong> secondo, pur<br />
creando con Cariparma Crédit <strong>Agricole</strong> la capogruppo <br />
81
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
del nuovo gruppo <strong>bancario</strong>, di mantenere l’autonomia<br />
della Banca Popolare Friuladria ricreando così, sull’esempio<br />
delle Caisses régionales in Francia, un modello<br />
<strong>bancario</strong> composto da banche fortemente radicate<br />
al territorio.<br />
In questi ultimi mesi è stato raggiunto il primo obbiettivo<br />
con la firma dell’accordo di acquisizione della<br />
Cassa di Risparmio Della Spezia e di ulteriori 100 sportelli<br />
che saranno ripartiti tra Cariparma e Friuladria. Al termine<br />
dell’operazione, la presenza bancaria del Crédit<br />
<strong>Agricole</strong> in Italia sarà composta quindi da Cariparma,<br />
che controlla la maggioranza assoluta di Friuladria, e da<br />
CR della Spezia per un totale, compresi i centri impresa<br />
corporate e private, che si avvicina ai 1000 punti vendita<br />
divenendo così la settima banca italiana per numero<br />
di agenzie. <strong>Il</strong> Gruppo <strong>bancario</strong> avrà oltre 9000<br />
dipendenti, impieghi per circa 33.000 mln di euro, una<br />
raccolta diretta di circa 35.000 mln di euro, un Tier 1<br />
intorno all’8% ed un indice di liquidità tra i migliori<br />
d’Italia, intorno a 0,93. <strong>Il</strong> Gruppo Cariparma Friuladria<br />
è stato inoltre la migliore banca italiana per costo del credito<br />
nel 2009 e con 311 mln di euro di utile netto si è<br />
posizionata al terzo posto tra le banche italiane.<br />
La presenza del gruppo Crédit<br />
<strong>Agricole</strong> in Italia si estende oltre la<br />
banca commerciale<br />
Nel Credito al Consumo la joint venture Agos Ducato<br />
controllata al 60% dal gruppo Crédit <strong>Agricole</strong>, con il<br />
Banco Popolare al 40%, è di gran lunga il leader <strong>italiano</strong><br />
con una quota di mercato del 16% mentre il secondo<br />
concorrente ha meno del 10%. Agos Ducato dispone<br />
di oltre 250 agenzie proprie e può contare su una rete<br />
di circa 3000 agenzie per distribuire i suoi prodotti.<br />
Sempre nel settore del credito al consumo, il gruppo<br />
Crèdit <strong>Agricole</strong> è socio al 50% con Fiat in FGA, società<br />
leader in Europa nel credito automobilistico. La<br />
società che è presente in diciotto paesi europei opera<br />
per tutto il gruppo Fiat e recentemente si sono aggiunti<br />
i marchi Jaguar, Rover e il gruppo Chrysler.<br />
Nel settore delle assicurazioni il gruppo è presente<br />
con Crédit <strong>Agricole</strong> Vita, ottava compagnia del mercato<br />
<strong>italiano</strong> di bancassicurazione e con CA Assicurazioni di<br />
recente costituzione che, adattando il modello di<br />
Pacifica alle caratteristiche del mercato <strong>italiano</strong>, ha<br />
riscosso nel primo anno di attività risultati migliori alle<br />
aspettative nell’assicurazione auto e casa.<br />
Nell’assicurazione crediti con CACI il gruppo é tra i leader<br />
del mercato.<br />
Nel settore del Coporate & Investment Banking da più<br />
di quaranta anni il Gruppo è un attore tra i più importanti<br />
e qualificati del mercato con Crédit <strong>Agricole</strong><br />
Corporate & Investiment Banking (ex Indosuez e Calyon)<br />
ed esercita tre tipi di attività:<br />
•<strong>Il</strong> Capital Market nelle sue diverse funzioni: nel fixed<br />
income, dal forex ai bonds pubblici e privati, alla cartolarizzazione<br />
e nel mercato azionario con Cheuvreux<br />
una delle principali case di ricerca e brokeraggio sulla<br />
borsa italiana.<br />
• La banca di finanziamento, rivolta ai grandi gruppi<br />
italiani con specialisti nel project financing, e l’acquisition<br />
finance, il credito all’esportazione, il credito immobiliare<br />
e lo shipping.<br />
• L’acquisizione e la ristrutturazione di non performing<br />
loans dove la banca è presente da diversi anni sul<br />
mercato dei mutui.<br />
Di più recente creazione sono Crédit <strong>Agricole</strong> Leasing<br />
ed Eurofactor che grazie alle reti bancarie hanno già<br />
acquisito posizioni rilevanti nei rispettivi mercati del<br />
Leasing e del Factoring. Infine, nell’asset management,<br />
Amundi è l’ottava società di gestione del risparmio<br />
in Italia con 25 mld di euro di masse amministrate.<br />
La società é il braccio operativo in Italia di Amundi<br />
SA, controllata al 75% dal gruppo Crédit <strong>Agricole</strong>, che<br />
con 680 Mld di asset è uno dei leader europei del<br />
risparmio gestito.<br />
Maggiore integrazione nel tessuto<br />
economico grazie a partnerships<br />
strategiche<br />
Oltre alla rete bancaria la società, grazie alla qualità e<br />
alle capacità innovative dei suoi prodotti, opera anche<br />
con investitori istituzionali nel paese. Una delle caratteristiche<br />
che differenziano il gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> dagli<br />
altri gruppi esteri presenti in Italia è la grande capacità<br />
di stringere alleanze e operare con partners.<br />
Dopo un’alleanza <strong>du</strong>rata venti anni con Banca Intesa,<br />
il Gruppo è oggi socio di Fondazione Cariparma che<br />
detiene il 15% di Cariparma. Con la Fondazione che<br />
ha voluto reinvestire nella propria banca al momento<br />
82
<strong>Il</strong> gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> in Italia<br />
ARIBERTO FASSATI<br />
del passaggio da Banca Intesa a Crédit <strong>Agricole</strong> i<br />
rapporti sono particolarmente solidi. La joint-venture<br />
riesce ad abbinare le tecnologie di un grande gruppo<br />
<strong>bancario</strong> internazionale come Crédit <strong>Agricole</strong> alla forte<br />
presenza ed influenza locale della Fondazione. Questa<br />
positiva esperienza andrà ripetuta con la Cassa di<br />
Risparmio Della Spezia dove la Fondazione della<br />
Cassa di Risparmio Della Spezia detiene il 20% del<br />
capitale. Nel capitale di Banca Popolare Friuladria<br />
hanno investito oltre 12.000 azionisti privati che sono<br />
spesso soci/clienti e quindi nostri ambasciatori sul<br />
territorio. La joint-venture con Fiat abbina la forza<br />
finanziaria e la tecnologia nel credito al consumo del<br />
gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> alla potenza commerciale e<br />
in<strong>du</strong>striale di uno dei principali operatori automobilistici<br />
europei. L’alleanza con Banco Popolare permette ad<br />
Agos Ducato di utilizzare la rete della quarta banca<br />
italiana.<br />
Questa capacità di operare con partner italiani fa del<br />
gruppo Crédit <strong>Agricole</strong> non solo la più importante<br />
banca estera in Italia ma anche la più integrata nel<br />
tessuto economico e sociale del paese. ◗<br />
83
HORIZONS BANCAIRES<br />
NUMERO 340 – NOVEMBRE 2010<br />
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325 À nos marques !<br />
326 Agriculture et ruralité dans les pays en développement<br />
327 Banque de financement et d’investissement : modèles et développements<br />
328 Face aux risques extrêmes : banques et assurances<br />
329 Conformité : pourquoi et comment<br />
330 Les services à la personne<br />
331 Le Financement des PME en France<br />
332 Des PME et des territoires<br />
333 Banque privée : mutations et défis<br />
334 La microfinance au carrefour <strong>du</strong> social et de la finance<br />
335 Dynamiques démographiques : une révolution socioéconomique<br />
336 Dynamiques démographiques : quelles stratégies bancaires ?<br />
337 Partenariats public-privé : un nouvel élan pour la commande publique<br />
338 Les moyens de paiement, pierre angulaire de l’intermédiation financière<br />
339 Banque de détail et innovations technologiques<br />
340 <strong>Il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>bancario</strong> <strong>italiano</strong> : territori, attività e sfide<br />
84
HORIZONS BANCAIRES<br />
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