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vorrebbero. Jacob chiama il cameriere e chiede il conto. Splendido: poiché ci hanno invitato,<br />
saranno loro a pagare.<br />
Guardo l’orologio e mi fingo stupita e preoccupata: è già passato l’orario concordato con la tata!<br />
Mi alzo, ringrazio e, scortata da mio marito, mi avvio verso il guardaroba per prendere il cappotto.<br />
Adesso, al tavolo, i König parlano delle incombenze che comportano i figli.<br />
“Ha pensato che mi stessi riferendo a lei?” domanda Marianne a Jacob.<br />
“Non credo proprio. Non ce ne sarebbe motivo.”<br />
Mio marito e io usciamo nel freddo della sera, senza scambiarci una parola. Sono irritata e<br />
irrequieta. E attacco a dire che quella donna stava proprio riferendosi a me: è talmente nevrotica<br />
che già il giorno delle elezioni aveva fatto alcune insinuazioni. Vuole sempre mettersi in mostra,<br />
dev’essere follemente gelosa di un idiota obbligato a comportarsi bene, e che pretende di<br />
controllare con modi dittatoriali per garantirgli un futuro in politica – in realtà, vorrebbe essere al<br />
posto di Jacob, a imporre ogni sua volontà.<br />
Mio marito mi invita a calmarmi: forse ho bevuto troppo.<br />
Passiamo davanti alla cattedrale di San Pietro. La bruma avvolge la città; c’è un’atmosfera da film<br />
dell’orrore. Mi figuro Marianne dietro un angolo, armata di un pugnale e pronta ad ammazzarmi:<br />
una scena della Ginevra medievale, quando la città era perennemente in lotta – ora<br />
con i Savoia, ora con il potere episcopale, ora con gli stessi svizzeri.<br />
Né il freddo né la camminata mi tranquillizzano. Prendiamo la macchina e, quando arriviamo a<br />
casa, mi precipito in bagno e ingoio due compresse di Valium, mentre mio marito congeda la<br />
babysitter.<br />
Dormo per dieci ore filate. L’indomani, quando mi alzo per la solita routine mattutina, mi sembra<br />
che mio marito si comporti in maniera meno affettuosa del solito. È un cambiamento quasi<br />
impercettibile: comunque, qualcosa della serata di ieri deve averlo turbato. Sono confusa, non so<br />
come reagire: non ho mai preso due tranquillanti insieme. Avverto un disagio che non assomiglia<br />
affatto a quello provocato dalla solitudine e dall’infelicità.<br />
Esco per andare in redazione e, meccanicamente, controllo il cellulare. C’è un messaggio di Jacob.<br />
Esito: vorrei cancellarlo senza leggere, ma la curiosità ha il sopravvento sull’odio.<br />
Me l’ha spedito questa mattina, molto presto.<br />
“Hai rovinato tutto. Lei non pensava affatto che avessimo una storia: ora ne ha la certezza. Sei<br />
caduta in una trappola che M. non aveva organizzato.”<br />
* * *<br />
Più tardi, dovrò affrontare l’enorme seccatura di andare al supermercato e fare la spesa, proprio<br />
come una donna frustrata e trascurata. Forse Marianne ha ragione: sono soltanto questo – oltre<br />
che un passatempo sessuale per lo stupido cagnolino che dorme nel suo letto. Guido in modo assai<br />
pericoloso: non riesco a smettere<br />
di piangere, e le lacrime quasi mi impediscono la vista delle altre auto. Nelle mie orecchie<br />
risuonano clacson e proteste: cerco di rallentare, ma gli strombazzamenti e gli improperi<br />
aumentano.<br />
Se ho commesso una stupidaggine facendo nascere dei sospetti in Marianne, è stato ancora più<br />
sciocco mettere a repentaglio tutto ciò che possiedo – mio marito, la mia famiglia, il mio lavoro.<br />
Mentre guido, con gli ultimi strascichi degli effetti delle due compresse di Valium e con la rabbia<br />
che monta, mi rendo conto che adesso sto rischiando anche la vita. Posteggio in una strada<br />
laterale e piango. I miei singhiozzi sono così forti da richiamare l’attenzione di un passante: si<br />
avvicina e mi chiede se può aiutarmi. Rispondo di no, e lo sconosciuto si allontana. In verità, ho<br />
davvero bisogno di aiuto – di molto aiuto. Sto sprofondando in me stessa, nel mare di fango della<br />
mia anima, e non riesco a mantenermi a galla.