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adulterio - paulo coelho

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È una chiave che può aprire tutte le porte. Che può generare inviti per conferenze in paesi lontani.<br />

Che può regalare una poltrona nel consiglio di amministrazione<br />

di una grande azienda. Probabilmente i coniugi König sono attesi da un futuro radioso, mentre io<br />

– in questo preciso momento – ho davanti a me la strada e la prospettiva di un picnic, con indosso<br />

un’orribile tuta.<br />

* * *<br />

Per prima cosa, ci rechiamo a visitare il museo romano; all’uscita, ci inerpichiamo sulla collina per<br />

ammirare alcune rovine. I nostri figli giocano. Ora che mio marito conosce i miei disagi, mi sento<br />

sollevata: non devo più continuare a fingere.<br />

“Andiamo a correre in riva al lago.”<br />

“E i bambini?”<br />

“Non ti preoccupare. Ci obbediranno, se gli diciamo di aspettarci in un posto.”<br />

Scendiamo fino alla sponda del Lemano, che gli stranieri chiamano “lago di Ginevra”. Lui compra<br />

un gelato ai bambini, li fa sedere su una panchina, e chiede loro di aspettare lì, mentre papà e<br />

mamma vanno a correre. Il maggiore protesta, dicendo che non ha l’iPad. Mio marito va in<br />

macchina a prendere quel maledetto aggeggio. Da quel momento, lo schermo sarà la migliore tata<br />

possibile. I bambini non si muoveranno finché non avranno ucciso un determinato numero di<br />

terroristi in giochi che sembrano concepiti per gli adulti.<br />

* * *<br />

Cominciamo a correre. Da un lato ci sono i giardini, dall’altro i gabbiani e le barche a vela che<br />

sfruttano il Mistral. Il vento non ha smesso di soffiare il terzo<br />

giorno, e neppure il sesto: ormai si sta avviando al traguardo dei nove giorni, quando si placherà<br />

per un certo periodo, portandosi via il cielo azzurro e il bel tempo. Proseguiamo la corsa per una<br />

quindicina di minuti: i bambini sono ormai lontani, ed è meglio tornare indietro.<br />

È molto che non mi alleno. Abbiamo corso per venti minuti, quando mi fermo sulla via del ritorno:<br />

non ce la faccio più. Se devo proprio continuare, camminerò.<br />

“Su, avanti che ce la fai!” Mio marito mi sprona, continuando a saltellare per non perdere il ritmo<br />

della corsa. “Su, dài, non fermarti. Arriviamo sino alla panchina dei bambini.”<br />

Piego il corpo in avanti, appoggiando le mani sulle gambe. Il cuore mi batte all’impazzata: forse è<br />

colpa delle notti insonni. Lui continua a saltellare e a corricchiare intorno a me.<br />

“Forza! Sono sicuro che ce la fai! Il problema è solo questo: fermarsi. Continua per me, per i<br />

bambini. Non è soltanto una corsa utile per il fisico. Si deve prendere coscienza che, se c’è un<br />

traguardo, non si può desistere a metà strada.”<br />

Che stia riferendosi alla mia tristezza compulsiva?<br />

Si avvicina. Mi prende le mani e mi scuote dolcemente. Sono troppo affaticata per correre, eppure<br />

mi sento ancora più stanca per opporre resistenza. Decido di accogliere l’esortazione di mio<br />

marito. Continuerò a correre con lui per altri dieci minuti, quelli che mancano per ritornare al<br />

punto di partenza.<br />

Passo davanti ai manifesti dei candidati al Consiglio Nazionale – non li avevo notati all’andata. Su<br />

uno di essi campeggia il viso sorridente di Jacob König.<br />

Aumento la velocità. Mio marito mi sorprende e accelera il passo. Arriviamo alla panchina in sette<br />

minuti, anziché nei dieci previsti. I bambini non si sono mossi. Nonostante lo splendido paesaggio<br />

circostante, con le montagne, i gabbiani e le Alpi all’orizzonte, hanno gli occhi fissi sullo schermo di<br />

quell’aggeggio che divora le anime.<br />

Mio marito si dirige verso i bambini; io, invece, tiro dritto. Mi guarda sorpreso e felice nel<br />

contempo. Probabilmente pensa che le sue parole abbiano sortito un certo effetto, che stia<br />

cercando di saturare il mio corpo con le benefiche endorfine, che il nostro cervello produce<br />

ogniqualvolta svolgiamo un’attività che richiede uno sforzo fisico – correre, fare l’amore e

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