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Mi sveglio e ripeto gli stessi gesti di sempre: mi alzo, mi lavo i denti, mi vesto per recarmi in ufficio,<br />
vado nella camera dei bambini e li chiamo, preparo la colazione per tutti, sorrido, mi dico che la<br />
vita è bella. E tuttavia, in ogni minuto e in ogni gesto, avverto un peso che non riesco a<br />
identificare: mi sento come un animale che non capisce in quale modo sia stato preso in trappola.<br />
Il cibo perde sapore, mentre il mio sorriso si accentua sempre di più (per non destare sospetti);<br />
ricaccio in gola la voglia di piangere, in un luogo ammantato di una luce grigiastra.<br />
La conversazione con l’amica non mi ha affatto giovato: comincio a pensare che sto rinunciando a<br />
ribellarmi e sto scivolando velocemente verso l’apatia.<br />
È possibile che nessuno se ne accorga?<br />
No, certo che no. Comunque, io sarei l’ultima persona al mondo ad ammettere di avere bisogno di<br />
un aiuto.<br />
Ma, alla fine, questo non è un problema mio: il vulcano ormai ha eruttato ed è impossibile<br />
ricacciare la lava nel cratere, spianare la superficie, seminare un prato,<br />
piantare qualche albero, e far pascolare un gregge di pecore su quel terreno.<br />
Era qualcosa che non meritavo. Mi sono sempre sforzata di rispondere alle aspettative di tutti. In<br />
ogni caso, è successo – e sembra che io non possa farci niente, se non assumere dei farmaci. Potrei<br />
inventarmi una scusa per scrivere un articolo sulla valenza sociale della psichiatria (il caposervizio<br />
lo apprezzerebbe molto) e, anche se non sarebbe eticamente corretto, avrei l’occasione per<br />
trovare uno specialista a cui chiedere aiuto. Di sicuro, non tutto può essere eticamente corretto.<br />
Non esiste alcun elemento ossessivo che martelli la mia mente, come, per esempio, mettersi a<br />
dieta. O la mania dell’ordine che porta a cercare insistentemente le pecche nel lavoro della<br />
domestica, la quale arriva alle otto del mattino e se ne va alle cinque del pomeriggio, dopo aver<br />
lavato, stirato, rassettato la casa e, di tanto in tanto, essere anche andata al supermercato. Non<br />
posso scaricare le mie frustrazioni sul ménage famigliare, fino a diventare una madre asfissiante e<br />
opprimente, giacché i bambini ne risentirebbero per il resto della loro vita.<br />
Quando esco per andare al lavoro, vedo il vicino intento a lavare l’automobile. Ma non l’ha fatto<br />
ieri?<br />
Non riesco a frenare la mia curiosità: mi avvicino e gli domando il motivo di quel comportamento.<br />
“Erano rimaste alcune piccole chiazze,” mi risponde, dopo avermi dato il buongiorno, domandato<br />
come sta la mia famiglia e fatto un commento piacevole sul vestito che indosso.<br />
Guardo la macchina: un’Audi (uno dei soprannomi di Ginevra è “Audiland”). La carrozzeria mi<br />
sembra immacolata.<br />
Lui mi mostra alcune piccole aree che non sfavillano ancora.<br />
Protraggo la conversazione e, alla fine, gli domando qual è, secondo lui, la massima aspirazione<br />
delle persone.<br />
“Be’, è piuttosto facile rispondere. Pagare le bollette. Comprare una casa come la nostra. Avere un<br />
giardino rigoglioso. Invitare al pranzo domenicale figli e nipoti. E viaggiare per il mondo dopo<br />
essere andati in pensione.”<br />
È questo che le persone desiderano dalla vita? Davvero? C’è proprio qualcosa che non va sul<br />
nostro pianeta, e non sono le guerre in Africa o in Medio Oriente.<br />
Prima di recarmi in redazione, devo intervistare Jacob, il mio vecchio fidanzatino. Ma neppure<br />
questo mi stimola – sto davvero perdendo ogni interesse per la vita.<br />
* * *<br />
Mi fornisce delle informazioni che non ho chiesto sui programmi del governo. Gli pongo alcune<br />
domande con l’intenzione di metterlo in difficoltà, ma lui si barcamena con eleganza. Ha un anno<br />
meno di me, quindi dovrebbe avere trent’anni, anche se ne dimostra trentacinque. È una<br />
considerazione che taccio, com’è naturale.