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adulterio - paulo coelho

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“Ma il fatto di sapere che non si è soli non dà un certo sollievo? Discutere di ciò che si sente o si è<br />

provato a causa della depressione non è un fattore positivo?”<br />

“Assolutamente no. Chi è uscito da quell’inferno non ha il minimo interesse a sapere come<br />

continua la vita di chi è rimasto là dentro.”<br />

“Per quale motivo ci sono voluti così tanti anni per uscire da quello stato?”<br />

“Perché non avevo coscienza di essere realmente depressa. E perché, quando ne parlavo con te o<br />

con altre amiche, mi veniva detto che erano tutte sciocchezze, che chi ha veramente dei problemi<br />

psichici non è nella condizione di sentirsi depresso.”<br />

È vero, l’ho detto anch’io.<br />

Insisto: penso che un articolo o un post in un blog potrebbero aiutare davvero le persone ad<br />

affrontare la malattia, magari spronandole a cercare aiuto. Poiché io non sono depressa, e non so<br />

che cosa si provi a vivere nella depressione – sottolineo questo aspetto –, le chiedo di raccontarmi<br />

come ci si sente.<br />

Lei esita. Ma è una mia amica, e forse nutre qualche sospetto.<br />

“È come trovarsi in trappola. Sai che sei imprigionata, ma non riesci a…”<br />

È proprio quello che avevo pensato alcuni giorni prima.<br />

A quel punto, inizia a elencare una serie di situazioni che, con ogni probabilità, accomunano tutti<br />

coloro che hanno visitato quello che definisce “l’inferno”. L’assoluta mancanza di voglia di alzarsi<br />

al mattino. I gesti più semplici che necessitano di sforzi sovrumani. Il senso di colpa per il fatto di<br />

non avere alcun motivo per essere<br />

in quello stato, mentre nel mondo ci sono milioni di persone che soffrono davvero.<br />

Mi sforzo di concentrarmi sull’ottimo cibo giapponese che, a quel punto, sembra avere ormai<br />

perduto ogni sapore. La mia amica continua:<br />

“Apatia. Fingere allegria, tristezza, godimento, addirittura gli orgasmi… Fingere che ti stai<br />

divertendo, fingere di aver dormito bene, fingere di vivere… Fino a quando arrivi al punto in cui ti<br />

trovi di fronte a una linea rossa immaginaria e capisci che, se la oltrepassi, non ci sarà più ritorno.<br />

Allora smetti di piagnucolare, perché anche lamentarsi significa lottare. Accetti di vivere in una<br />

sorta di stato vegetativo, ma cerchi di nasconderlo a tutti. E questo ti costa una fatica enorme.”<br />

“Ma… cosa ha scatenato la tua depressione?”<br />

“Niente in particolare. Ma per quale motivo mi stai facendo tutte queste domande? C’è qualcosa<br />

che non va?”<br />

“No. Assolutamente no!”<br />

È meglio cambiare argomento.<br />

Iniziamo a parlare del politico che intervisterò fra due giorni: un mio ex fidanzatino del liceo, il<br />

quale forse non ricorda neppure che ci siamo scambiati qualche bacio e mi ha palpato il seno<br />

quando non era ancora pienamente formato.<br />

La mia amica si entusiasma. Io cerco solo di non pensarci – ormai è una reazione pressoché<br />

automatica.<br />

L’apatia. Però non sono ancora arrivata a quello stadio: mi lamento della mia vita attuale, ma<br />

immagino che, nel volgere di poco tempo – mesi, giorni oppure ore –, potrebbe sopraggiungere<br />

una totale mancanza di interesse, qualcosa che poi sarà molto difficile da superare.<br />

È come se l’anima stesse lentamente lasciando il mio corpo, dirigendosi verso un luogo che ignoro,<br />

un posto “sicuro”, dove non è obbligata a sopportare me e i miei terrori notturni. È come se io non<br />

mi trovassi realmente in questo ristorante giapponese decisamente brutto, ma che serve un cibo<br />

delizioso, e tutto ciò che sto vivendo fosse solo la scena di un film che guardo, senza volere – o<br />

potere – interferire.<br />

* * *

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