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Sarebbe un sogno – se non fosse un incubo. Per me corrispondere a tutto ciò è un’enorme<br />
responsabilità.<br />
Mi rendo conto che, nel mio caso, parole come “ottimismo” e “speranza” – compaiono in tutti i<br />
libri che si prefiggono di rassicurarci e prepararci alla vita – non sono altro che… parole. I saggi che<br />
le hanno pronunciate forse stavano cercando il senso di ciascuna di esse, e ci hanno usati come<br />
cavie, per vedere le nostre reazioni ai diversi stimoli.<br />
In realtà, sono stanca di avere una vita apparentemente felice e perfetta. E questo può essere<br />
soltanto il segno di una malattia mentale.<br />
Mi riaddormento con questo pensiero. Forse il mio problema è davvero serio!<br />
* * *<br />
Vado a pranzo con un’amica.<br />
Ha suggerito di incontrarci in un ristorante giapponese del quale non avevo mai sentito parlare – è<br />
piuttosto strano, visto che adoro il cibo nipponico. Mi ha assicurato che si trattava di un locale<br />
eccellente, anche se distante dal mio posto di lavoro.<br />
È stato difficile arrivarci. Ho dovuto prendere due autobus, e poi chiedere informazioni<br />
sull’ubicazione della galleria che ospita quel “ristorante fantastico”. Entro, e ogni cosa mi sembra<br />
orribile: l’arredamento, i tavoli con le tovaglie di carta, l’assenza di una qualsivoglia vista<br />
sull’esterno. Ma la mia amica aveva davvero ragione: mangio i migliori piatti giapponesi che abbia<br />
mai assaggiato a Ginevra.<br />
“Prima frequentavo sempre un certo ristorante: era discreto, ma niente di speciale,” dice lei. “Poi<br />
un amico che lavora all’ambasciata del Giappone mi ha suggerito questo. Ho trovato il locale<br />
orribile, penso che sia accaduto anche a te. I proprietari si occupano personalmente della cucina, e<br />
questo fa la differenza.”<br />
‘Io vado sempre nei medesimi ristoranti e ordino gli stessi piatti,’ penso: non oso rischiare neppure<br />
in questo.<br />
La mia amica assume regolarmente antidepressivi. Di certo, non desidero affrontare con lei questo<br />
argomento:<br />
ormai sono giunta alla conclusione di trovarmi a un passo dalla malattia, ma mi rifiuto di<br />
prenderne atto.<br />
E nonostante abbia pensato che quella fosse l’ultima cosa che avrei voluto fare, mi ritrovo subito a<br />
parlarne. Le tragedie altrui riescono sempre a mitigare le nostre sofferenze.<br />
Le domando come si sente. “Meglio.<br />
Molto meglio. Anche se le medicine hanno impiegato qualche tempo per fare effetto. Quando<br />
iniziano ad agire si recupera l’interesse per la vita, che riacquista colore e sapore.”<br />
In altre parole, la sofferenza è diventata un’ulteriore fonte di guadagno per le industrie<br />
farmaceutiche: ‘Sei triste? Prendi questa pillola, e le tue angustie finiranno.’<br />
Con delicatezza, le domando se è interessata a fornire la sua testimonianza per un lungo servizio<br />
sulla depressione che uscirà sul giornale.<br />
“È inutile. Non ne vale la pena. Ormai le persone condividono ogni loro sensazione su internet. E<br />
poi ci sono le medicine…”<br />
“Di che cosa si discute su internet?”<br />
“Degli effetti collaterali dei farmaci. A nessuno interessano i sintomi altrui, perché si tratta di<br />
elementi potenzialmente contagiosi. È possibile che, all’improvviso, si avvertano malesseri che<br />
prima non si sentivano.”<br />
“Nient’altro?”<br />
“Si parla anche degli esercizi di meditazione. Ma non credo che portino a grandi risultati. Io li ho<br />
provati tutti, ma sono migliorata soltanto quando ho deciso di accettare che avevo un problema.”