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Nello zaino - Sezione Vicenza

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<strong>Nello</strong> <strong>zaino</strong> - 11<br />

le nostre vite: quanti progetti per il futuro! Mi parlavi di<br />

Galvanin, di Rossi, del progetto di andare nelle scuole per<br />

parlare ai ragazzi del tuo lavoro, della sua importanza.<br />

Conservo gelosamente i bigliettini che mi facevi trovare<br />

sopra il tavolo quando non ci vedevamo e nei quali<br />

con semplici parole mi salutavi e mi facevi sentire parte<br />

dei tuoi pensieri; li leggevo e sorridevo, riuscivano a<br />

rischiarare anche le “lune” che spesso s’impadroniscono<br />

di noi “grandi”.<br />

Quei momenti servivano a te come carburante per l’intera<br />

settimana e poi alla sera, quando era il momento di<br />

tornare in caserma, andavi a salutare lo zio Alfredo, con<br />

cui avevi un rapporto speciale e Pino ti portava le due bottiglie<br />

per brindare con gli amici durante la settimana.<br />

Era bello, troppo bello!!<br />

Mi manca tanto il tuo sorriso rassicurante, il tuo braccio<br />

che mettevi attorno alle mie spalle quando, salutandomi,<br />

mi dicevi: «Mi raccomando questa settimana...<br />

tutto bene mamma!» e il tuo sms quando arrivavi in caserma:<br />

«Sono arrivato, buonanotte mamma».<br />

Tu mi hai insegnato che i veri valori della vita sono<br />

tali solo se vissuti fino in fondo; grazie anche per questo,<br />

ti vogliamo tutti bene, sei nei nostri pensieri sempre<br />

e col tempo forse il ricordo sarà meno doloroso e più<br />

dolce, ma nel mio cuore resterà sempre un posto per te.<br />

ciao<br />

mamma Anna<br />

*****<br />

Dopo attenta riflessione e mesi di basso profilo, affido<br />

il mio pensiero a questo periodico, senz’altro il più<br />

idoneo a raccogliere questi pensieri. Sono trascorsi mesi<br />

da quella fredda telegrafica telefonata pomeridiana<br />

dall’Afghanistan, che mi comunicava il decesso di Matteo.<br />

Forse, e dico forse, qualcuno in questo lasso di tempo,<br />

magari a ragione, avrà cercato d’interpretare il totale<br />

silenzio del papà di Matteo. Can scarsa sensibilità e<br />

cinismo, si sarebbe potuto usare la parola distacco, o poca<br />

dimestichezza a fronte dei media sulla dinamica del<br />

fatto in essere o, più semplicemente paura, paura di affrontare<br />

la questione in un momento di totale debolezza<br />

psicologica.<br />

Nulla di tutto questo. Era solo il silenzio di un padre,<br />

piegato dal dolore, che a malavoglia quotidianamente accettava<br />

quello che la vita gli imponeva per andare avanti.<br />

Già, andare avanti!<br />

Tutti a dire che la vita continua: per mestiere gli psicologi,<br />

e chi, dal di fuori, con lodevole slancio cercava<br />

di rincuorarti a modo suo; del resto in circostanze analoghe,<br />

le parole, si sa, lasciano il tempo che trovano. Per<br />

un padre e una madre, vi assicuro, che la croce da portare<br />

è talmente pesante che neanche l’aiuto del “Cireneo”<br />

citato nel Vangelo ti solleva più di tanto.<br />

Espletata la prefazione, ora parlerò di lui, o meglio di<br />

noi, del rapporto, che pur tenendo conto della particolarità<br />

familiare e dei tempi assai contingentati, a causa degli<br />

innumerevoli impegni del ragazzo, era tenero, franco<br />

e profondo come giusto e normale che fosse. Quotidiana<br />

la telefonata serale, da o a Belluno; due parole: ciao, sto<br />

bene. Poche ma sufficienti per riscaldare e rassicurare il<br />

cuore di un padre. Toccanti, e non lo dimenticherò mai,<br />

quelle della domenica in tarda serata: «Ciao papà, sto tornando<br />

a Belluno». Ora purtroppo non arriveranno più.<br />

Per pranzo o cena, ci si vedeva una o due volte nel<br />

fine settimana, spesso soli, a volte con la sua ragazza.<br />

Si parlava di tutto: di montagna, una passione comune,<br />

del suo servizio in caserma, dei suoi progetti futuri tra<br />

gli alpini; e già trasparivano lo smisurato amore per il<br />

Corpo, quelle convinzioni e sicurezze che hanno reso<br />

Matteo quello che è stato, che è e che sarà per sempre.<br />

Si parlava dei nonni. Del nonno materno che gli parlava,<br />

come già sappiamo, del suo passato tra gli alpini.<br />

Affascinato da cose militari, spesso mi chiedeva di mio<br />

padre: Antonio Miotto, classe 1915, campione regionale<br />

in anteguerra nei quattrocento piani, volontario nelle<br />

truppe d’assalto, di cui conservo foto con date e dediche,<br />

che unitamente alla croce al merito di guerra, di ritorno<br />

dall’Afghanistan Matteo voleva con sè e che ora<br />

malinconicamente conservo in un cassetto.<br />

Penso retoricamente al vecchio detto “buon sangue<br />

non mente”. Con due nonni così, il risultato non poteva<br />

essere che uno. Ero certo di conoscere Matteo a 360 gradi.<br />

La lettera inviata per il Quattro Novembre mi ha svelato<br />

un lato nuovo del mio ragazzo. Mai avrei pensato a<br />

tanta umanità e dedizione verso gente, soprattutto bambini,<br />

che pur nell’indigenza più totale erano e sono pur<br />

sempre degli estranei, spesso riluttanti verso chi gli tende<br />

disinteressatamente la mano.<br />

Il destino che con tante crudezza lo ha portato via,<br />

mi ha fatto però un dono che conserverò per sempre.<br />

Verso la fine di giugno, a pochi giorni dalla partenza per<br />

la missione, mi trovavo su ai Fiorentini, alla Baita del<br />

sole dei Cappuccini di Thiene, per una settimana di volontariato<br />

come aiuto cuoco. Matteo chiese di seguirmi<br />

per qualche giorno di relax prima della partenza. Trovammo<br />

nel dormitorio una stanza vuota e come due vecchi<br />

camerati per tre giorni usammo lo stesso letto a castello.<br />

Poi improvvisa arrivò la chiamata e mi chiese di<br />

accompagnarlo a Belluno.<br />

Il tempo di infilargli un rosario in un enorme <strong>zaino</strong>,<br />

un abbraccio forte forte, con sole quattro parole: «Abbi<br />

cura di te». Il portone della caserma si chiuse dietro<br />

di lui, per me fu l’ultima immagine materiale di Matteo<br />

in vita. Il resto è storia che tutti conoscono, di un ragazzo<br />

che ho avuto la fortuna di avere per figlio e che mi manca<br />

ogni giorno di più, con l’amara consapevole certezza<br />

che nulla sarà più come prima.<br />

Franco Miotto

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