Le SS italiane - Giuliocesaro.it

ne che mi hanno dato una mano con indicazioni e documenti. In particola.
re, scusandomi per eventuali omissioni, ricordo:
ITALIA: l'avv. Sandro Pertini, presidente della Repubblica; gli Istituti per
la storia della Resistenza di Milano (Gaetano Grassi), Novara, Padova,
Parma, Imperia (Osvaldo Contestabile e Francesco Biga), Ravenna, Reg.
gio Emilia, Roma, Modena, Bergamo (Giuliana Bertacchi), Bologna (Bon.
figlioli), Napoli, Brescia (Dario Morelli), Cuneo (Arturo Oreggia e Mi.
chele Calandri), Firenze, Genova, Udine, Ancona, Sesto S. Giovanni, To.
rino (Carla Gobelli e Luciano Boccalatte), Pavia, Trieste (Galliano Fo.
gar), Aosta (Paolo Momigliano), Borgosesia, Piacenza, Forlì, Rimini, Ales. '
sandria (Maurilio Guasco ed Evasio Soraci), Como (Giusto Perretta); il'
Centro studi Micheletli di Brescia; il Deutsches Historisches Institut di
Roma; la FIAP (Lamberto Mercuri); l'Archivio Centrale dello Stato e
l'Archivio dello Stato di Como (Gabriella Pomi); l'Ufficio storico dello Sta.
to Maggiore dell'Esercito (Rinaldo Croccu); la Editori Riuniti di Roma; le
ANPI di Sondrio (Vito Chiaravallotti e Giuseppe Rinaldi), Udine, Lecco
(Spartaco Mauri) e Torino (Manfredo Liprandi); la Civica Biblioteca di
palazzo Sormani di Milano; Aroldo Benini e Italo Corti di Lecco; Paolo
Spriano, Arrigo Petacco, Giovanni Melodia e Mario Mari di Roma; Nuto
Revelli di Cuneo; Roberto Costa di Aosta; Giuseppe Chiolerio, Enzo To.
nelli e Giampaolo Ormezzano di Torino; Nardo Dunchi di Carrara; Ange.
lo Visetti di Asti; Giulivo Ricci di Aulla; Antonio Ricchezza, Silvano Sora·
ni, Walter Mori, Massimo Ferrari, Pierluigi Ronchetti, Tullio Farabola e
Giuseppe Coppe no di Milano; Nello Frigerio di Cantù; Raffaele Pinto di
Verona; mons. Aldo Moretti di Udine; Weimer Perimelli di Trento; Luciano
Bergonzini e Luigi Arbizzani di Bologna; mons. Antonio Ferraris di
Biella; Nicola Grandi di Argegno; Pierluigi Magnaschi di Piacenza; Giorgio
Aminta Migliari di San Maurizio d'Oppaglio; Renzo Amedeo di Garessio;
Albino Bubnic di Trieste; l'arch. Sergio Coradeschi di Milano.
GERMANIA FEDERALE: l'lnstitut fUr Zeitgeschichte di Monaco; il
Bundesarchiv-Militararchiv di Freiburg i.Br.; il Bundesarchiv di Coblenza;
la UlIstein GmbH di Berlino.
GERMANIA DEMOCRAl1CA: il National Volksarmee Militararchiv
der DDR di Potsdam (dr. Kuhnt).
AUSTRIA: il Dokumentationszentrum (Simon Wiesenthal) di Vienna e il
dr. Wilhelm Hottl di Bad Aussee.
CECOSLOVACCHIA: il prof. Oskar Barczi di Praga.
pOLONIA: il dr. Andrea Binkowski di Varsavia.
JUGOSLAVIA: il prof. Tone Ferenc dell'lnstitut na zgodovino delavskega
gibanja di Lubiana.
GRAN BRETAGNA: l'lmperial War Museum e la Wiener Library di
Londra.
STATI UNITI: i National Archives of the United States di Alexandria,
Va., l'U.S. Army Audiovisual Center di Washington, il Jewish Center di
New York (che attraverso il suo direttore Martin Rosen, ha accettato di finanziare
le mie ricerche) e Antonangelo Pinna.
Arrivato a questo punto, voglio rispondere alla domanda che mi ha tormentato
per strada: chi erano le SS italiane Una domanda terribile. Nelle
loro file ci fu di tutto: idealisti, illusi, fanatici, profittatori, gente in buona e
malafede, persone che colsero l'occasione per rientrare in Italia dai campi
di concentramento, individui violenti, altri che credevano in un nuovo ordine
europeo all'ombra della svastica e ne volevano essere i forgiatori, e quindi
ad un certo momento i privilegiati, ed anche prigionieri messi di fronte
all'alternativa: o con noi o al muro. I disertori furono molti: alcuni passarono
alla Resistenza e diventarono noti combattenti partigiani.
Tra i ,,:,olontari dalle mostrine rosse - questo era il colore che portavano
al bavero prima di avere la "striscia" nera - i più volevano combattere
al fronte, apertamente, come si fa in guerra, Ma furono traditi proprio da
coloro che li avevano accolti nelle loro file. I tedeschi non credettero mai
nelle qualità militari degli italiani, anche se vestiti da SS, e si comportarono
da padroni cinici, come avevano fatto i loro antenati durante le invasioni
barbariche. Il 4 ottobre 1943, parlando ai generali delle SS riuniti a Posen,
Himmler aveva detto chiaramente che «la debolezza del popolo italiano è
nel suo sangue, nella sua razza» e che «non esiste alcun popolo al mondo
che non sia capace di battere gli italiani, verso i quali, ricoperti come sono
di vergogna, nessuno porterà mai rispetto».
Tranne due battaglioni inviati per ragioni politiche nelle trincee paludose
di Anzio/Nettuno, i nazisti costrinsero tutti i volontari, pena rappresaglie
contro le famiglie, a trasformarsi in feroci poliziotti e rastrellatori ed
a sparare contro gli italiani che non erano fascisti e che stavano in montagna
o in città. Perciò il sogno cullato all'ombra della svastica si trasformò
in un dramma sanguinoso, e il ricordo di quei giorni ripropone ancora oggi
un'angoscia che gli anni non sono riusciti a stemperare.
L'Autore
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