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Scarica il quaderno - Vicenza Jazz

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Enzo Capua<br />

48<br />

camente per migliorare se stessi. Sì, perché una jam a New York<br />

o un’esibizione di fronte a poche decine di spettatori può cambiare<br />

una vita e sicuramente può far fare grandi balzi in avanti nello<br />

st<strong>il</strong>e. Lo sanno bene anche i già affermati Rudresh Mahanthappa<br />

e Christian McBride, che sono nella generazione susseguente o<br />

prima ancora di loro Uri Caine, Joe Locke e Steve Coleman, che<br />

pur non essendo certo anziani sono già considerati come dei<br />

“padri putativi” della scena newyorkese di questi ultimi venti<br />

anni. E lo sanno anche i nostri musicisti italiani: Dado Moroni, ad<br />

esempio, può essere considerato un cittadino newyorkese al<br />

cento per cento, non solo perché ha abitato nella Grande Mela per<br />

alcuni anni, ma anche perché <strong>il</strong> suo st<strong>il</strong>e e le sue “affinità elettive”<br />

lo riconducono comunque e sempre verso l’America, e in questa<br />

terra è apprezzato e amato come uno dei grandi pianisti, uno dei<br />

“cats” come si dice in gergo per definire i musicisti di jazz a New<br />

York. Anche Rosario Giuliani, Paolo Fresu, Gianluca Petrella hanno<br />

suonato a più riprese da questa parte dell’Atlantico. Di Maria Pia<br />

De Vito, poi, ho avuto <strong>il</strong> piacere e l’onore di organizzare <strong>il</strong> suo<br />

straordinario esordio al Blue Note tre anni fa: un successo indimenticab<strong>il</strong>e.<br />

Giovanni Guidi è venuto spesso di recente, ha registrato<br />

un album eccellente in uno degli studi più belli di Manhattan<br />

e più volte mi dice di voler venire a stare per un po’ da queste<br />

parti. New York è come una calamita per chi fa del jazz: non ci si<br />

può sottrarre alla sua azione magnetica. La scena di questi ultimi<br />

anni è particolarmente attiva e si possono individuare alcune tendenze<br />

predominanti: da un lato <strong>il</strong> recupero delle sonorità elettriche,<br />

soprattutto delle tastiere, dopo anni di ritorno al suono rigorosamente<br />

acustico; quindi c’è un nuovo strutturalismo che recupera<br />

in parte l’esperienza del free, ma procede oltre senza dimenticare<br />

la coesione fra i musicisti. In pratica si sta abbandonando<br />

pian piano l’improvvisazione totale e l’esperienza solitaria, che<br />

tanto andavano in voga negli anni settanta-ottanta. E comunque ci<br />

si sta affrancando dal revival del jazz classico che ha dominato gli<br />

anni novanta fino ai primi anni del nuovo m<strong>il</strong>lennio. In pratica sta<br />

nascendo del nuovo e cresce in fretta, traendo energia dal terre-

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