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Riccardo Brazzale<br />
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zione era relativamente più semplice, trattandosi di musica per un<br />
solo strumento che poteva essere eseguita dallo stesso autore.<br />
È quindi fac<strong>il</strong>mente intuib<strong>il</strong>e che l’improvvisazione risulta molto<br />
più agevole quando coinvolge un solo esecutore; diventa via via<br />
molto più problematica quando si pone come un’azione collettiva.<br />
Non a caso, quando Lennie Tristano nel 1949 registra “Intuition”,<br />
cadono subito, quasi automaticamente, le regole armonico-formali<br />
che fino ad allora avevano governato <strong>il</strong> linguaggio del jazz,<br />
anche se una musica come <strong>il</strong> jazz era da tempo caratterizzata (uni -<br />
ca fra le musiche colte) da fasi improvvisative fondanti.<br />
Tuttavia, fino a prima di “Intuition” non si era mai avuto esperienza<br />
di improvvisazioni collettive totali, poiché all’interno del gruppo<br />
vi era sempre la sezione ritmica che di norma si muoveva su territori<br />
condivisi dagli stessi solisti.<br />
La scelta dell’ambito di genere, quindi di st<strong>il</strong>e, di linguaggio e infine<br />
di repertorio è fondamentale nella collocazione e nel ruolo e<br />
nella funzione dell’atto improvvisativo.<br />
Nel jazz, come nella musica popolare, i primi esempi di improvvisazione<br />
sono di fatto delle fioriture tematiche, peraltro anche collettive;<br />
poi le fioriture diventano variazioni melodiche su armonie<br />
e forme date, in questo caso solistiche. In seguito l’improvvisazione<br />
assume maggiore autonomia basandosi sulle strutture ar -<br />
mo nico-tonali, mentre <strong>il</strong> passo successivo avviene con <strong>il</strong> cosiddet -<br />
to modal playing, ovvero una concezione in cui si priv<strong>il</strong>egia la scala<br />
musicale, anche a prescindere dal contesto tonale.<br />
Solo più avanti, con l’avvento del free jazz, l’improvvisazione ri -<br />
pren de, da un’angolazione più energica, la visione a-formale di Tri -<br />
sta no, e si spoglia di ogni aggancio con i substrati non solo formali,<br />
ma anche armonici e ritmico-melodici.<br />
In questo caso, l’esperienza del jazz si avvicina a quella della<br />
musica eurocolta che, negli anni ’50 (un nome su tutti, John<br />
Cage, ma non solo), lascia l’iperstrutturalismo per abbandonarsi<br />
nell’alea. Co sì, quando <strong>il</strong> jazz europeo inizia ad avere maggiore<br />
autonomia ri spetto al jazz americano, nasce con forza l’esperienza<br />
della co siddetta musica improvvisata europea che trova