Lavieri
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1.1.<br />
25<br />
1815<br />
Nell’alba glaciale del quartiere delle fiabe un vecchino semicalvo<br />
col fioco lanternino andava, curvo, le code del liso smoking<br />
di taglia non piú sua striscianti sulla polvere che emanava scintilluzze<br />
verdi. Vigilava, sbirciando attraverso gli spessi cristalli del<br />
suo pince-nez, sui sonni della plebe; e non pareva invero troppo<br />
preoccupato, sebbene un tic alla rugosissima palpebra destra<br />
(Talleyrand, ricordava, non è forse un ex vescovo) sottolineasse<br />
gli istanti delle piú alte ondate dei suoi pensieri d’apocalisse.<br />
Da una delle casette simili a funghi, d’un tratto, a una finestrella<br />
rotonda s’affacciò il visino d’un bimbo, dolce, con sú<br />
un tenero cappelluccio da notte con un gran ponpon, che gli<br />
domandò con acuta voce di pinocchietto:<br />
— Scusi, signore, mi può dire come sta andando il Congresso<br />
di Vienna<br />
— Male, per tutti — rispose, e dové emettere un sospiro, e<br />
passò oltre.<br />
Il bambino rimase, col collo girato, a guardare il dorso del<br />
vecchino che s’allontanava nella nebbia del vicolo con la sua patetica<br />
andatura da ranocchione; e quando fu sazio di tale vista<br />
si lasciò risucchiare, ponpon e tutto, dalla casa, e qui, rivolto a<br />
qualcuno, sussurrò:<br />
— Va tutto bene, per voi.<br />
Quel qualcuno sogghignò. Un sogghigno in una bocca che<br />
era una piaga di sessanta centimetri, nera, in un’enorme massa<br />
nera che era un incrocio fra una medusa e uno scarafaggio. Il