Lavieri
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
Marco Palasciano<br />
Prove tecniche di<br />
romanzo storico<br />
<strong>Lavieri</strong>
Il libello qui riprodotto, compilato da<br />
Marco Palasciano nel lontano 1992, è un tour<br />
de farce storico ad uso dei contemporanei.<br />
Le 95 tesi affisse intonano un «inno carnascialesco<br />
senza pari nel catalogo delle disordinerie»:<br />
le vicende del Regno di Napoli, tra<br />
amorazzi e tirannide borbonica, sono percorse<br />
con l’esattezza di una «catasterizzazione<br />
all’incontrario», fantastica e implausibile,<br />
al solito piú vero del vero. Le ricostruzioni<br />
e le sintesi minute cedono all’araldica e agli<br />
oroscopi degli eventi, mentre un codicillo<br />
ci avverte come le Prove tecniche non abbiano<br />
«altro umile fine se non di dimostrare<br />
che l’Autore discende da Beethoven; e come<br />
ciò possa essere, per quanto esorbitante e<br />
strabiliante e piccantemente degno di oh<br />
e di ah, verrà ingegnosamente svelato dal<br />
capitolo che segue, e che alle nostre ardue<br />
prove porrà – con la spudoratezza non plus<br />
ultrepassabile delle sue prove false – definitivo<br />
troncamento».<br />
Il fugato dei generi – a distanza siderale<br />
dalla medietas della lingua presente –, attinto<br />
agli immensi stoccaggi della tradizione,<br />
fonde in melodramma e libro di regia,<br />
rotocalco e polpettone cinematografico,<br />
piazzata conciliare e «gioco senza frontiere»<br />
del Congresso di Vienna. Il contrappunto<br />
delle forme e della lingua viene impresso<br />
sulla lastra della Napoli borbonica, segno<br />
rovesciato della Paperopoli presente. In<br />
questa parodia di secondo grado del discorso<br />
storico e delle sue congetture, la morfologia<br />
del fumetto che è Prove tecniche – i cui<br />
numi tutelari sono Donald Duck e Leopold<br />
Bloom – tenta di strappare alla historia se<br />
non la verità almeno, per nostro piacere, il<br />
massimo del divertimento possibile.
collana arno<br />
2
Marco Palasciano<br />
Prove tecniche<br />
di romanzo storico<br />
avieri
Marco Palasciano<br />
Prove tecniche di romanzo storico<br />
<strong>Lavieri</strong> editore / ISBN 88-89312-22-0<br />
© 2006 Ipermedium comunicazione e servizi s.a.s., S. Maria C.V. (CE)<br />
<strong>Lavieri</strong> editore<br />
via IV Novembre, 19<br />
81020 S. Angelo in Formis (CE)<br />
Troppi sarebbero qui da ringraziare, a partire da quanti incoraggiarono il mio<br />
lavoro nella sua fase acerba, di cui le Prove sono il fiore estremo; tra questi spicca<br />
nitida Anna Cases. Vennero poi coloro che, per ovviare all’accidia dell’Autore,<br />
manu propria recarono il printato delle Prove sul tavolo di questa o quella casa<br />
editrice, con meno effetto che affetto, in terra manzoniana; e furono Matteo<br />
B. Bianchi e il mio concittadino Luigi Carbone. Infine, in dirittura d’arrivo,<br />
prezioso è stato Domenico Pinto, con le sue minute osservazioni; e nominerei<br />
anche l’amico che ha riveduto i passi in napoletano, se non me lo vietasse per<br />
eccesso di modestia.
Il godimento dei sensi è una vaccata,<br />
se non si congiungono anche le anime.<br />
Ludwig van Beethoven
Prove tecniche di romanzo storico
Prolegomeni
-6.<br />
13<br />
Napoli, 23 gennaio 1799<br />
Un carnevale di tamburelli che stacciano coriandoli, donne<br />
giunoniche alla finestra che gettano padellate di roseoazzurre<br />
stelle filanti abbasso con le labbra strette in un sorriso di partecipazione,<br />
e gonfi maiali allo spiedo che luccicano d’olio ai<br />
bagliori sanguigni delle torce, nel bailamme dei pazziarielli. E<br />
dietro, nell’ombra della festa, taciturne, le ombre viventi che<br />
grattano il pavimento di terra di una casa vuota, per racimolare<br />
qualche verme da mangiare, bianche, gli occhi cerchiati di tisi,<br />
donne disfatte con i bambinelli tramortiti dalla fame appesi al<br />
collo. Lontano, dove si balla e sbevazza, risuona argentina una<br />
gaia conferma:<br />
— Uéeee! Napulïone ha varcato ’o Rubbicone!<br />
Coro: — Oléeee!<br />
Un verme. Mangia, figlio mio. T’imbocco. Ma le tue labbra,<br />
i tuoi occhi, non si schiudono. Pari di cera.<br />
La tarantella di Rossini, leggermente in anticipo. La mano<br />
nella mano, Pulcinelli e Pulcinellesse danzano in tondo, a elastici<br />
saltelli, mentre dal loggione sorride la Vecchia di Ensor.<br />
— Sapremo approfittare anche di questo — sorride, le rughe<br />
sfarinantisi, mentre il maggiordomo le dà la carica con una chiave<br />
d’orologio conficcata tra le vertebre. Frulla, il suo ventaglietto,<br />
sempre piú rapido.<br />
Ma tu mi muori, figlio.<br />
— Che sarrà ’a fine d’ ’o munno — bercia un cieco con<br />
occhiali da cieco, grasso, barbobasettato, cappello scoperchiato
come un barattolo di pelati, bastone levato in aria a vedere di<br />
buttar giú qualche stella, e giostra su sé stesso come un pupazzo<br />
saraceno. — Ma chi è ’stu Napulïone i’ nun l’aggio mai ntiso.<br />
— E mmanco ll’aje veduto, nce scummetto! — strafotte uno<br />
scugnizzo seduto, scalzo, simile a Huck Finn, e schiatta a ridere:<br />
seduto su di un’alta botte.<br />
Ai piedi della botte, un malandrino dall’aria di un moscone,<br />
chino, trivella il legno e raccoglie lesto il ben spillato scuro denso<br />
nettare dentro una tazza che avidamente aspetta si colmi tutta<br />
per poi tutta svuotarsela dentro le volpine fauci.<br />
— Stanotte v’ ’a damme a gratisse! — esclama sorridendo una<br />
sfarfallante prostituta, quella fucsia delle tre, e porge il bracciotto<br />
al braccetto dello scugnizzo, che salta giú e in quattro salti li ha<br />
già inghiottiti il nero di un vicolo. Le altre due prendono con sé<br />
rispettivamente il malandrino e il suo compare, il finto cieco.<br />
— Addó me purtate — scherza — i’ nun ce veco.<br />
— Vie’! vie’, ca te facimme tuccà!<br />
Si leva un grido, un bambino è morto, nessuno mi sente. Le<br />
prostitute ridono troppo forte.<br />
La danza delle maschere ha rotto il cerchio, e ora si snoda<br />
serpentina intorno alle case, sussultoria, costante. Fascia tutto.<br />
È un treno a molle. Un vecchietto distratto viene urtato, perde<br />
il cappello, resta a guardare come un battilocchio. Non lo sa che<br />
arriva Napoleone<br />
La tarantella di Rossini.<br />
14
-5.<br />
Punto di vista celeste: totale del Regno di Napoli, tacco e<br />
punta dello stivale italico; la tarantella si dissolve. Non sulla<br />
sponda del Tirreno, ma dell’Adriatico bisogna cercare. Nelle<br />
Puglie dai begli olivi fronzuti, a Monopoli, principale scalo<br />
d’esportazione dell’olio borbonico.<br />
Leggo che vanta, quale mitico fondatore, nientemeno che<br />
re Minosse; il che mi risospinge 1 a labirinti, mostri, eroi, fili<br />
d’Arianna, e allo scucito volo d’Icaro.<br />
Qui nasceva intorno al 1775 il mio trisavolo o quadrisavolo,<br />
primo Palasciano a stanziarsi in Capua. Viene naturale supporre 2<br />
i suoi ascendenti essere venuti da Palagiano, paesetto delle Murge<br />
bianco di calce, e che da esso abbiano preso il nome, poi distorto<br />
dal capriccio lachmanniano di un impiegato all’anagrafe.<br />
Non so perché né quando, magari proprio a ventiquattro anni<br />
(quanti pure ne avrò io all’atto di digitare questi prolegomeni,<br />
fresco di metamorfosi), l’antenato lasciò Monopoli e si trasferí<br />
sulla sponda dell’altro mare. Forse per vedere piantati i suoi primi<br />
germogli di libertà. Libertà da quale specifico labirinto una<br />
faida un matrimonio combinato tristi memorie O forse come<br />
tanti, ma in maniera meno astratta, inseguiva il fantasma della<br />
Rivoluzione<br />
1<br />
L’Autore aveva da poco ultimato il racconto Un compendio di storia universale.<br />
2<br />
Sbagliando.<br />
15
Voliamo dunque nuovamente a Napoli. Siamo sempre al 23<br />
gennaio 1799. Giorno tripudioso, questo, dell’ingresso in città<br />
del trionfatore esercito francese – tra due ali di Pulcinelli e Pulcinellesse<br />
pronti fin dall’orgiastica notte a omaggiare Napoleone e<br />
signora, starei per scrivere io. Ma ne scrive il Colletta, testimone<br />
del tempo, sbugiardandomi l’incipit e incoronando di cono e<br />
orecchie d’asino la mia ben poco docta ignorantia:<br />
Allo ingresso del generale Championnet la gioia non fu piena; l’adombravano<br />
le fresche memorie della guerra, e lo spettacolo di cadaveri<br />
non ancora sepolti; ma nella quiete della notte i magistrati della città,<br />
disperdendo i segni della mestizia, prepararono lieto il vegnente giorno.<br />
(In qualità di nerosvolazzanti corbacchioni pappamorti)<br />
16
-4.<br />
Giugno<br />
La Repubblica Partenopea avviata dai francesi perdurò mezzo<br />
anno, poi ecco di nuovo «le piazze e le strade bruttate di cadaveri<br />
e di sangue», scrive il Colletta. Erano tornati i Borboni;<br />
e dicendo che i repubblicani portavano sul corpo indelebilmente disegnata<br />
la donna o l’albero della libertà, facevano spogliar nudi i giovani militari<br />
o cittadini, ed era la bellezza e grandezza della persona stimolo maggiore<br />
alla crudeltà.<br />
Traendo i prigioni per le vie nudi e legati, li traffiggevano con le armi,<br />
li avvilivano per colpi villani e lordure su la faccia; genti di ogni età, di<br />
ogni sesso, antichi magistrati, egregie donne, già madri della patria, erano<br />
strascinati<br />
a tal modo; e qualcuno,<br />
sospeso alla forca e creduto morto dal capestro, si scoprí ancora vivente<br />
scendendo alla sepoltura; e fu dal boia […] scannato in chiesa di coltello,<br />
e gettato nella fossa.<br />
Il re intanto si dava<br />
a riordinare lo Stato; avendo per consiglieri il generale Acton […],<br />
l’ammiraglio Nelson, i suggerimenti della regina, ed il proprio sdegno.<br />
Il re si intitolava Ferdinando IV ed era ovviamente un Borbone.<br />
Di qui a undici anni avrebbe figliato un Ferdinandello, che 3 ...<br />
3<br />
che…: v. nota al cap. 1.4.<br />
17
No, un momento! che succede da miei precedenti appunti<br />
risulta che nel 1810 nasce sí un nuovo Ferdinando di Borbone,<br />
ma II e non V, oltreché figlio di un Francesco I e di Maria<br />
Isabella infanta di Spagna; dunque ci sono almeno due linee di<br />
Ferdinandi, sembrerebbe, 4 e mi devo sobbarcare il consulto di altra<br />
saggistica, uffa. Ecco cosa significa mettere in cantiere un romanzo<br />
storico quando non si possiedono conoscenze storiche.<br />
Ma io penso che qualunque cialtrone sia capace di andare a<br />
chiudersi in una civica e cimiteriale biblioteca e là studiarsi per il<br />
dritto e per il rovescio tutta la situazione borbonica e post-borbonica<br />
quando gli pare, se gli interessa, perciò sarebbe superfluo<br />
che io qui gli imbottissi la tractatio con didascalismi iperrealistici.<br />
Come dice Einstein, l’immaginazione è piú importante della<br />
conoscenza.<br />
4<br />
In realtà Ferdinando IV di Napoli è la stessa persona di Ferdinando I delle<br />
Due Sicilie, titolo assunto nel 1816, fino al qual anno si era intitolato anche<br />
Ferdinando III di Sicilia. Un epigramma d’epoca, attribuito a Tommaso<br />
Gargallo, lo dileggia cosí: «Fosti quarto e insieme terzo, / Ferdinando, or sei<br />
primiero, / e se séguita lo scherzo / finirà che resti zero».<br />
18
-3.<br />
14 febbraio 1806<br />
— Borbotta, Borbone,<br />
Borbone, borbotta:<br />
ripresa è la lotta,<br />
sei cenere già!<br />
O forse il popolo l’amava Intanto le grancasse battono a ritmo<br />
da discoteca, sopra i palazzi il cielo rosso si stria delle bianche<br />
scie dei petardi di minaccia, un volante omino proiettile fa la<br />
spaccata e supera il vertice della parabola salutando con la verde<br />
bombetta, le palle vengono accatastate da massaie eroiche contro<br />
il fondo di un vicolo cieco pronte a essere passate di vigorosa<br />
mano in viragosa mano attraverso le finestre delle cantine fino<br />
agli obici che dagli svettanti vascelli assiepati nel golfo percuotono<br />
i cieli dell’occidente e inabissano le isole, tutto ciò in segno di<br />
giubilo. I francesi sono ritornati a Napoli. Ha inizio il regno di<br />
Giuseppe Bonaparte.<br />
19
-2.<br />
Preso possesso della casa del podestà, Giuseppe diede una<br />
spolverata con le dita alle mostrine del cappotto abbandonato<br />
sull’attaccapanni, bevve la tazza di caffè freddo rimasta sulla scrivania,<br />
e aperta una finestra respirò a pieni polmoni lo smog e<br />
rimirò il panorama.<br />
Sole, mare, e una labirintopoli stercoraria, capitale di un reame<br />
di sterco: sua bandiera una gran busta di plastica nera finita<br />
su un’antenna tivú.<br />
20
-1.<br />
1808<br />
Infine il Giuseppe – scrive il Colletta –<br />
partí; e i lasciati provvedimenti indicavano che non tornasse. Indi ad un<br />
mese, da Bajona bandí per editto esser chiamato da’ disegni di Dio al<br />
trono della Spagna e delle Indie; lasciar noi dolente; sembrargli di aver<br />
fatto poco se mirava ai bisogni dello Stato, molto se al suo zelo, alle sue<br />
cure, alle fatiche di regno; concedere a documento di amore un politico<br />
statuto raffermativo de’ beni operati per suo mezzo<br />
(i vermi avevano sapore di escargots).<br />
Napoleone fa seguire un nuovo sovrano, non piú suo fratello<br />
ma suo cognato, e il Colletta fa seguire un capitolo intitolato:<br />
“Arrivo in Napoli del re, della regina. Feste. Provvedimenti di<br />
guerra e di regno”.<br />
Il re era Gioacchino Murat. Del quale non so in fondo granché:<br />
ho sempre creduto che fosse quel tizio accoltellato nella vasca<br />
da bagno dalla sua amante, una specie di Tosca, al tempo di<br />
Robespierre.<br />
Comunque sia, di qui a sette anni scoppierà come una bottiglia<br />
di sangue trasfusionale – inzaccherando le frigorifere pareti<br />
del cielo – il capitolo XXVI della Storia del Reame di Napoli dal<br />
1734 sino al 1825; intanto permettimi di suggerirti la lettura<br />
dell’intero librone del Colletta, che direi assai piú bello dei Promessi<br />
sposi se sminuirli non fosse cosa trita.<br />
21
0.<br />
Muse, e ora che la rincorsa è presa<br />
per questi alba pratalia, nella stesa<br />
del capitolo 1<br />
siate ali al mio versorio. Ahi, l’ardue prove!<br />
E a chi potremmo dedicarle dove<br />
captato ho piú cromemi a far tutt’uno<br />
col mio spettro — Mkgnao! Quack! —<br />
Sí, brave: a Leopold Bloom e Donald Duck.<br />
22
1. IL MALE
1.1.<br />
25<br />
1815<br />
Nell’alba glaciale del quartiere delle fiabe un vecchino semicalvo<br />
col fioco lanternino andava, curvo, le code del liso smoking<br />
di taglia non piú sua striscianti sulla polvere che emanava scintilluzze<br />
verdi. Vigilava, sbirciando attraverso gli spessi cristalli del<br />
suo pince-nez, sui sonni della plebe; e non pareva invero troppo<br />
preoccupato, sebbene un tic alla rugosissima palpebra destra<br />
(Talleyrand, ricordava, non è forse un ex vescovo) sottolineasse<br />
gli istanti delle piú alte ondate dei suoi pensieri d’apocalisse.<br />
Da una delle casette simili a funghi, d’un tratto, a una finestrella<br />
rotonda s’affacciò il visino d’un bimbo, dolce, con sú<br />
un tenero cappelluccio da notte con un gran ponpon, che gli<br />
domandò con acuta voce di pinocchietto:<br />
— Scusi, signore, mi può dire come sta andando il Congresso<br />
di Vienna<br />
— Male, per tutti — rispose, e dové emettere un sospiro, e<br />
passò oltre.<br />
Il bambino rimase, col collo girato, a guardare il dorso del<br />
vecchino che s’allontanava nella nebbia del vicolo con la sua patetica<br />
andatura da ranocchione; e quando fu sazio di tale vista<br />
si lasciò risucchiare, ponpon e tutto, dalla casa, e qui, rivolto a<br />
qualcuno, sussurrò:<br />
— Va tutto bene, per voi.<br />
Quel qualcuno sogghignò. Un sogghigno in una bocca che<br />
era una piaga di sessanta centimetri, nera, in un’enorme massa<br />
nera che era un incrocio fra una medusa e uno scarafaggio. Il
mostro se ne stava su una poltrona, le quaranta zampe allargate<br />
tutt’intorno, palpitanti, raccapriccianti, e i non meno raccapriccianti<br />
suoi quaranta occhi di ragno ardevano come pianeti neri,<br />
incastonati a corona nella nera pelle sfaldantesi, agli orli, come<br />
una troppo lunga notte.<br />
26
1.2.<br />
27<br />
Marzo<br />
All’ambasciatore austriaco – altissima comparsa dal vitino di<br />
vespa, con una gorgiera da Amleto e un corrucciato monocolo,<br />
calva e senza sorriso – re Gioacchino Murat avrebbe sputato in<br />
faccia. Non era umano che si riconsegnasse Napoli ai Borboni,<br />
cosí, come una caramella avuta in piú per un errore della maestra.<br />
Cretina la maestra, e che gli altri scolari s’arrangiassero. Ma<br />
l’ambasciatore si asciugò dall’inespressiva cartapecora facciale lo<br />
sputo metaforico, e ripeté, robotico:<br />
— Il Congresso ha deliberato: questo trono va restaurato.<br />
— No! — strillò Murat, pestando i piedi per terra — non me<br />
ne vado! merdre! provate a toccarmelo, e vi spiumo le aquile!<br />
— Riferirò — concluse l’ambasciatore e, voltàti fulmineamente<br />
di 180° i sadici tacchi, s’incamminò a sonorissimi tic toc verso<br />
l’uscita di quella vasta sala dal soffitto a planetarium.<br />
E l’aggravata sordità – riecheggiava lassú un pensiero filtrato<br />
dall’esterno, come il drammatico svolazzo di un pipistrello<br />
prigioniero – non avrà forse, dopo l’ultimo concerto tenuto per<br />
i congressisti, a precludere a Beethoven ogni ulteriore attività<br />
pianistica<br />
Murat accarezzò i barocchi braccioli del trono su cui sedeva,<br />
poi – quasi nello spasmo dell’empirica agnizione in esso di una<br />
sedia elettrica – ebbe a stringerli in una morsa allucinata, le mani<br />
come granchi. Tentava con un pazzo sforzo del pensiero di moltiplicare<br />
il peso specifico della propria carne per incollarsi col<br />
culo a quell’emblema dei suoi pur surrogati sogni. Fin da piccolo
aveva nutrito la visione di sé re della Spagna, regno meraviglioso,<br />
dove fichi d’India parlanti si dimenano al suono aranciato dei<br />
colascioni per la gioia di monacali principesse. Per tutta l’esistenza<br />
aveva scavato nella torba delle illusioni, sopportando le pioggerelle<br />
di lombrichi e di larve di coleotteri, confidando di poter<br />
sfondare, al termine di quel faticato tunnel, il diaframma che gli<br />
celava il radioso giardino della speranza verificata. Ormai però,<br />
re di Napoli, regnuccio di carta di giornale, scopriva di trovarsi<br />
in fondo a un pozzo; e sopra di esso, vecchi alleati smascheratisi<br />
per nemici avrebbero potuto senza indugio impiombare un tremendo<br />
coperchio, conferendo un senso nuovo e disperato al suo<br />
tanto lungo scavo.<br />
Gioacchino pianse. Nemmeno a quel regnuccio aveva diritto<br />
Dopotutto ci si era affezionato. E Napoli a lui. Sul primo gradino<br />
della sfiancante scalea che conduceva agli splendori e agli asti<br />
della sua corte, ogni mattina la vecchia dama delle pulizie rinveniva<br />
invariabilmente un bocciolo di rosa, di color latteo appena<br />
soffuso d’amarena, dall’esile spinato stelo. E il re lo accoglieva in<br />
un’ampolla di porcellana azzurra, dove a mezzogiorno preciso il<br />
fiore schiudeva il proprio luminoso dedalo, epitome d’amore.<br />
Risonavano adesso, da oltre le maestose bifore, i dodici tellurici<br />
rintocchi; menò uno sguardo al mobiletto di legno d’oriente<br />
su cui poggiava l’ampolla col fiore di quel mattino. Ebbe un<br />
tremito doloroso. Da quel bocciolo bianco, si apriva una rosa<br />
scarlatta, quasi nera.<br />
Ma la sua confusione durò poco, curata sulle sue spalle<br />
dall’inattesa carezza di sua moglie. La regina, donna di eletto<br />
spirito, presagendo la crisi era sopravvenuta a consolarlo. Lui si<br />
abbandonò fra le sue aure.<br />
28
INDICE<br />
Prove tecniche di romanzo storico<br />
Prolegomeni. .................................... 9<br />
1. Il Male ...................................... 21<br />
2. I pispigli delle mermaidi. ........................ 33<br />
3. Capua riflessa in un occhio di corvo. ............... 49<br />
4. Il trattato di Casalanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57<br />
5. I feriti. ...................................... 71<br />
6. La Restaurazione .............................. 83<br />
7. Les adieux ................................... 95<br />
Nota per i Critici neoborbonici ...................... 105
Marco Palasciano è nato a Capua<br />
nel 1968. È stato finalista, per tre volte<br />
consecutive, al Premio Calvino.
ISBN 88-89312-22-0<br />
€ 9,50 (i.i.)<br />
ISBN 88-89312-22-0<br />
9 7888889 312223