13.02.2015 Views

Sinfonia

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

Antonio Pizzuto<br />

<strong>Sinfonia</strong><br />

(1927)<br />

avieri


Questa <strong>Sinfonia</strong>, oggi restituita nella sua<br />

interezza dopo un’apparizione incompleta<br />

in rivista, fu scritta durante il biennio 1927-<br />

28, quando Pizzuto era un ignoto commissario<br />

della questura di Palermo. Il titolo –<br />

tratto da una prova del 1923 che versa alla<br />

gemella (considerata dall’autore una seconda<br />

redazione) anche un cospicuo tributo testuale<br />

– sarà ancora assegnato a una pagina<br />

del 1943 e al libro edito da Lerici nel 1966<br />

e dal Saggiatore nel 1974, emblema di una<br />

narrativa che intende liberarsi dagli stereotipi<br />

del romanzo naturalista.<br />

Non a caso il “manifesto” che accompagna<br />

l’opera sancisce il rifiuto dello psicologismo,<br />

la rinuncia all’unità di tempo e spazio<br />

(sostituiti da una temeraria pancronia), l’abbandono<br />

di ogni tesi particolare e, in breve,<br />

del mondo euclideo. Ne consegue lo sfiancamento<br />

dello spazio retorico, ottenuto per<br />

cumulazione, per varianti ariostevoli incalzate<br />

dalla Lust zu fabulieren: la digressione è<br />

l’eroe del racconto.<br />

Mediante quattro tableaux musicaux (quelli<br />

che il “manifesto” chiama «stati puramente fantastici,<br />

lirici e mitici, originali») Pizzuto consuma<br />

qui il suo primo vero attentato contro i<br />

montanti della Realtà e del Romanzo: tra altre<br />

fantasmagorie vi concorrono un popolo vòlto<br />

alla riconquista di terre perdute, una espressionistica<br />

città tentacolare, una leggendaria invasione<br />

di serpenti, una creatura marina antropomorfa,<br />

una caverna disseminata di scintille,<br />

una spedizione chimerica per balze montuose.<br />

In questo scenario fluido, se accade che<br />

un prolungamento logico intrecci una storia,<br />

ne sarà solo l’ombra, l’accordo segreto, la risonanza.<br />

Già a quest’altezza la realtà è per Pizzuto<br />

mera ipotesi: la scrittura, sottratta a ogni<br />

principio ordinatorio, conduce il romanzo, e<br />

con ciò la vita, al campo del possibile.


collana arno<br />

9


Antonio Pizzuto<br />

<strong>Sinfonia</strong><br />

(1927)<br />

FONDAZIONE ANTONIO PIZZUTO


Antonio Pizzuto<br />

<strong>Sinfonia</strong><br />

(1927)<br />

a cura di<br />

Antonio Pane<br />

avieri


Antonio Pizzuto<br />

<strong>Sinfonia</strong> (1927)<br />

A cura di Antonio Pane<br />

Lavieri editore / ISBN 978-88-89312-60-5<br />

Arno n. 9<br />

Collana a cura di Domenico Pinto<br />

Copyright © 2009 Ipermedium Comunicazione e Servizi s.a.s.<br />

Lavieri<br />

Via IV Novembre, 19<br />

81020 S. Angelo in Formis (CE)<br />

www.lavieri.it / info@lavieri.it


Sommario<br />

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9<br />

di Antonio Pane<br />

I. Eroica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .19<br />

II. La Follia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .51<br />

III. Marinaresca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .67<br />

IV. Marcia funebre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89<br />

Coda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107<br />

Appendice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115<br />

Nota al testo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117<br />

Tavola delle varianti dal manoscritto al dattiloscritto . . . . . . . . . 123<br />

Tavola delle varianti manoscritte del dattiloscritto . . . . . . . . . . . 139<br />

Appunti a margine del manoscritto. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145


Introduzione<br />

Un appunto riquadrato sulla pagina iniziale del manoscritto di questo<br />

libro ricorda che la «prima redazione» era stata intrapresa il 19 settembre<br />

1923. 1 Da quando il remoto incunabulo è venuto alla luce, 2 sappiamo che<br />

il rapporto fra i due testi non è così pacifico. Sebbene versi alla nuova un<br />

cospicuo contributo (poco più di un quinto del totale), la «prima redazione»<br />

non può essere infatti derubricata a suo semplice stadio preparatorio,<br />

perché costituisce un plesso strutturalmente eterogeneo. 3 Salutiamo dunque<br />

l’opera seconda di Antonio Pizzuto, anche se rimane la prima cui l’artefice<br />

abbia osato concedere qualche credito e il diritto a una conseguente<br />

diffusione, la cui storia è depositata nelle lettere a Salvatore Spinelli. 4<br />

La storia comincia il 27 agosto 1929, a circa nove mesi dalla conclusione<br />

della stesura dattiloscritta, 5 quando il commissario Pizzuto, confinato<br />

nella questura palermitana, rivolge il suo accorato appello all’amico,<br />

ora funzionario dell’Ospedale Maggiore di Milano, con cui nella studiosa<br />

giovinezza ha condiviso passioni musicali e letterarie: 6<br />

Ho scritto un libro sul quale confido quanto nella tua amicizia, un<br />

libro che dovrebbe fare grande rumore, un libro d’arte, forse il primo<br />

saggio di una vera arte fascista.<br />

Sono qui, solitario, sconosciuto, senza amicizie. Devo lanciare il mio<br />

libro. Penso a te pel caso potessi presentare a Mondadori una mia letterarecensione<br />

che ti invierei e che non potrebbe non richiamare l’attenzione<br />

1<br />

Per una esaustiva descrizione del reperto si rimanda qui alla Nota al testo.<br />

2<br />

Antonio Pizzuto, <strong>Sinfonia</strong> 1923, a cura di Antonio Pane, Messina, Mesogea («La grande»),<br />

2005.<br />

3<br />

Per una puntuale disamina del problema si veda l’Introduzione a <strong>Sinfonia</strong> 1923.<br />

4<br />

Raccolte in Antonio Pizzuto - Salvatore Spinelli, Ho scritto un libro… Lettere 1929-1949, a<br />

cura di Antonio Pane, introduzione di Lucio Zinna, Palermo, Nuova Ipsa («Scrittura mediterranea»),<br />

2001 (d’ora in poi abbreviato in HSL).<br />

5<br />

Vd. Nota al testo.<br />

6<br />

Ampie notizie su Spinelli e sulla sua amicizia con Pizzuto si leggono nella sopraccitata introduzione<br />

di Lucio Zinna.


e preparare il terreno per una attenta lettura del mio lavoro e conseguente<br />

interessamento.<br />

Sei in grado di aiutarmi Mondadori ti conosce 7<br />

L’ignoto poliziotto non vola basso; ha una stima persino esagerata del<br />

proprio lavoro e la trasmette senza requie, con disarmante protervia, al<br />

suo patrono:<br />

Occorre guardare questa «<strong>Sinfonia</strong>» con occhio nuovo, perché essa<br />

non è sorta dal passato, ma soltanto dopo il passato e non ha alcun elemento<br />

comune con le opere che sono state pensate e scritte prima. […]<br />

Ora io non ti nascondo che la mia ansietà, la mia angoscia, anzi, cresce<br />

a dismisura man mano che i primi contatti, le prime letture mi provano<br />

la difficoltà dell’intelligibilità del mio lavoro. D’altra parte non so porvi<br />

riparo. Ho già contenuto quanto potevo la mia audacia (che sarebbe<br />

stata ben maggiore se non l’avessi frenata energicamente) sacrificando<br />

ispirazioni che giudicavo troppo ardite. In un altro lavoro non potrei<br />

seguire altra strada: con essi mi inoltrerò sempre più in quella che la mia<br />

coscienza artistica mi addita. 8<br />

Tutti i grandi riformatori hanno dovuto affrontare lo scherno e sopportare,<br />

più o meno a lungo, l’incomprensione prima di avere ragione<br />

dei pregiudizi e dei facili giudizi di condanna. Io, che sono non un<br />

grande riformatore, ma soltanto un riformatore, so già le lotte che mi<br />

attendono per abbattere le mura ciclopiche dell’indifferenza e della diffidenza.<br />

[…] Ma ti giuro che la mia diletta <strong>Sinfonia</strong> è qualche cosa, se<br />

non molto, e merita un po’ di attenzione: non foss’altro, pel fatto di avere<br />

dischiuso, non più a parole, ma coi fatti, nuove vie e di avere portato<br />

ad una svolta inattesa il tran tran della produzione letteraria d’oggi. 9<br />

In un momento di così pietosa miseria e sterilità intellettuale come<br />

si fa a non raccogliere una voce nuova a contenere una curiosità quale<br />

avrai certo destata C’è tale dovizia di scrittori degni di questo nome in<br />

7<br />

HSL 61 (27 agosto 1929).<br />

8<br />

HSL 63-64 (29 ottobre 1929).<br />

9<br />

HSL 66-67 (8 febbraio 1930).<br />

12


Italia da oscurare un artista nuovo e vero che si rivela da far sì che ci si<br />

possa permettere il lusso di trascurarlo 10<br />

Comunque sia, i tentativi di promuovere la stampa del libro vanno a<br />

vuoto. La mediazione di Spinelli si esercita su Angelo Gatti, su Giuseppe<br />

Antonio Borgese, entrambi “cavalli di razza” della scuderia Mondadori, e<br />

su Cesare Giulio Viola. La loro sordità è denunciata in varie missive. Prima<br />

di defilarsi, 11 Angelo Gatti «domanda cosa che non c’è se non a mia<br />

insaputa. Solo il critico può rispondergli ed io non lo sono». 12 Giulio Cesare<br />

Viola, avuto il libro in lettura, si eclissa. 13 Silente per più di un anno,<br />

il conterraneo Borgese sentenzia da ultimo «che l’insieme è arido o troppo<br />

infuocato e che non lo sente»; 14 e non corrisponde nemmeno alla preghiera<br />

«di far pubblicare sulla “Lettura” qualcuno degli episodi, p. es., quello dei<br />

serpenti». 15 Naufraga poi la speranza di veder tradotto per una rivista tedesca<br />

quest’ultimo brano: l’amica d’oltralpe che si è offerta di allestire la versione<br />

«non appena le copiai il pezzo e glielo diedi, non si fece più viva». 16<br />

Dopo questi brucianti rovesci <strong>Sinfonia</strong> sembra destinata all’archivio<br />

dei passi perduti. L’unica volta che acconsente di parlarne, a pochi mesi<br />

dalla morte, in risposta a una sollecitazione di Paola Peretti, Pizzuto<br />

non è tenero: «La mia prima “<strong>Sinfonia</strong>”, per me, ha uno scarso valore.<br />

Io non l’ho riguardata, perché il manoscritto è grosso così, scritto in<br />

una scrittura brutta, che avevo allora». 17 Ma il ripudio, esteso peraltro<br />

all’intera produzione precedente Signorina Rosina, non dice tutto. Non<br />

dice che il libro, per quanto disconosciuto, resta comunque il vero atto<br />

di nascita dello scrittore. Perché i confidenti fervori e generici impulsi<br />

che avevano suscitato l’effusa fioritura di <strong>Sinfonia</strong> 1923 sono ora sorretti<br />

da una più macerata coscienza del compito, un rovello espresso<br />

dalle chiose a margine del manoscritto e dal breve manifesto di poetica<br />

18 che a sua volta riassume una riflessione di più vasto raggio, quella<br />

10<br />

HSL 69 (22 ottobre 1930).<br />

11<br />

Vd. HSL 73 (19 gennaio 1931).<br />

12<br />

HSL 62 (29 ottobre 1929).<br />

13<br />

Vd. HSL 72-73 (19 gennaio 1931).<br />

14<br />

Vd. HSL 81 (6 marzo 1931).<br />

15<br />

Ibidem.<br />

16<br />

Vd. HSL 79 (24 febbraio 1931). Fra le carte di Pizzuto si conserva un dattiloscritto di cinque<br />

fogli intitolato Episodio dei serpenti, probabilmente predisposto per queste eventualità.<br />

17<br />

Pizzuto parla di Pizzuto, a cura di Paola Peretti, introduzione di Walter Pedullà, Cosenza,<br />

Lerici («il laboratorio»), 1977, p. 90.<br />

18<br />

Le Otto rinunzie e un proposito, qui in appendice al testo.<br />

13


affidata alla conferenza Appunti di Nuova Estetica, letta a Palermo, nella<br />

sede della «Biblioteca Filosofica», il 4 giugno 1930. 19 E perché nel<br />

tessuto “brutto” del libro si annidano germi vitali, che l’autore continuerà<br />

tacitamente a coltivare, ritornando su vari motivi (e riesumando<br />

lo stesso titolo, che tiene a battesimo una breve narrazione del 1943 20<br />

e l’opera scritta fra il 1964 e il 1966). 21 Così Rapin e Rapier (composto<br />

tra il 1944 e il 1948) risuscita il mito dei serpenti (nel cap. II) e<br />

quello di Vaan (nel cap. XI), riproponendo, pressoché identica, la Coda;<br />

e <strong>Sinfonia</strong> 1966 rielabora, a più rapide frequenze, oltre i serpenti<br />

e Vaan (allogati rispettivamente nella prima lassa, Serpentina, 22 e nella<br />

dodicesima, Marinaresca), la «foresta in cammino» (nella seconda,<br />

Venatoria) e la saga dei primi uomini (nella quattordicesima, Ipotetica). 23<br />

Meglio che come opera a sé stante, questa seconda <strong>Sinfonia</strong> va dunque<br />

vista quale snodo nevralgico del percorso creativo di Pizzuto. La sua<br />

principale novità è il passaggio dalla prevalente dimensione filosofica<br />

(intrisa del fenomenismo di Cosmo Guastella) e dal taglio spesso saggistico<br />

di <strong>Sinfonia</strong> 1923 a un respiro più apertamente narrativo, distribuito<br />

in grandi quadri visionari, quelli che il menzionato breviario estetico<br />

chiama «stati puramente fantastici, lirici e mitici, originali». 24<br />

19<br />

La conferenza fu annunziata su «L’Ora» del 31 maggio-1 giugno e sul «Giornale di Sicilia»<br />

del 3 giugno.<br />

20<br />

Un racconto inedito di Antonio Pizzuto, a cura di Antonio Pane, «Microprovincia», n. 44,<br />

nuova serie, gennaio-dicembre 2006, pp. 147-150.<br />

21<br />

Antonio Pizzuto, <strong>Sinfonia</strong>, Milano, Lerici («Collana Narratori / Nuova serie»), 1966; ristampata,<br />

con varianti, Milano, Il Saggiatore («Opere di Pizzuto»), 1974.<br />

22<br />

Con un richiamo interno nell’ottava, Natalizia: «raccontami di quando c’erano sulla terra<br />

tutti i serpenti». Vd. <strong>Sinfonia</strong>, cit. (ediz. Il Saggiatore), p. 75.<br />

23<br />

Un ulteriore riferimento all’episodio dei serpenti raggiungerà l’incipit di Piccolo albergo: «Accorate<br />

memorie; ove Serpentina, e lo Spirit of St. Louis». In Antonio Pizzuto, Pagelle I, traduction<br />

française, notes et commentaires de Madeleine Santschi, presentazione (nei risvolti di<br />

sovraccopertina) di Silvia Longhi, Milano, Il Saggiatore («Scritture»), 1973, p. 39.<br />

24<br />

Per questo aspetto, il credo del giovane Pizzuto è contiguo a una proposta coeva di Bontempelli<br />

(a lui e al suo movimento si può forse ricondurre l’equivalenza che Pizzuto sembra<br />

stabilire tra arte fascista e arte moderna): «Occorre riimparare l’arte di costruire, per inventare i<br />

miti freschi onde possa scaturire la nuova atmosfera di cui abbiamo bisogno per respirare». Vd.<br />

L’avventura novecentista, in Massimo Bontempelli, Opere scelte, a cura di Luigi Baldacci, Milano,<br />

Mondadori («I Meridiani»), 1978, p. 750. L’importanza del mito sarà ancora ribadita in una<br />

lettera a Salvatore Spinelli (17 settembre 1952): «Il mito è parte essenziale ormai della coscienza<br />

estetica contemporanea». Vd. Antonio Pizzuto - Salvatore Spinelli, Se il pubblico sapesse… Lettere<br />

1951-1963, a cura di Antonio Pane, introduzione di Lucio Zinna, Palermo, Nuova Ipsa («Scrittura<br />

mediterranea»), 2003, p. 45.<br />

14


Certo, non tutte queste invenzioni risultano felici. L’epopea guerriera<br />

del principe Jarag che, dopo l’assassinio rituale del padre, guida il suo popolo<br />

alla riconquista delle terre perdute, vanta cadenze e scenari da “film<br />

in costume” (in auge proprio negli anni venti), con scialo di primi piani<br />

e dettagli ad effetto (spesso macabri), attingendo una solennità statuaria,<br />

monumentale, che il testo non teme di rivendicare: «Questo giorno, questo<br />

incontro, quello che oggi accadrà sono scolpiti nella pietra». E la Marcia<br />

funebre – bizzarro coacervo che allinea fanciulle accecate, un bambino<br />

paralitico, un mesto corteo, teorie di madri prone sui figli morti, una<br />

chimerica ricerca per balze montuose, un’apparizione mariana – soggiace<br />

a un patetismo mistico-devozionale degno di miglior causa. Altre invece<br />

non mancano di pregi: vivide, potenti, sorgive, e svolte con adeguata<br />

maestria, garantiranno, come si è anticipato, all’altezza di Rapin e Rapier<br />

e della <strong>Sinfonia</strong> 1966, la sopravvivenza di quel registro mitico-fantastico<br />

che l’autore sarà per il resto portato a dismettere.<br />

Assente o mimetizzata nei segmenti di nuovo conio, l’enunciazione<br />

della Weltanschauung pizzutiana resta in gran parte appesa alla zona di<br />

Marinaresca importata da <strong>Sinfonia</strong> 1923, vale a dire al tratto delle Scintille,<br />

dove l’idea di una realtà cangiante e inafferrabile come i sogni (una<br />

platonica «parvenza sullo schermo del cielo»), dello scacco sofferto da<br />

ogni tentativo di conoscere il mondo, precipita infine nel viottolo a spirale<br />

che si dissolve ad ogni passo. Esse est percipi: ogni percezione annulla<br />

la precedente; la conoscenza procede precaria di arrivo in arrivo. Lo stesso<br />

accade a ogni velleità di individuazione: «Ignorare se stesso, credere di<br />

essere, e di essere un io, e sconoscere quest’io». 25 E la marca novecentesca<br />

di queste vedute è ulteriormente confermata dall’omaggio a Lorentz e alla<br />

formula delle sue celebri trasformazioni, battistrada, è noto, della relatività<br />

einsteiniana e, subito dopo, da un’allusione all’eclissi del 1919, che<br />

confermò brillantemente le predizioni di Einstein (una spia indiretta di<br />

questa temperie mentale è costituita, sempre in Marinaresca, dall’epifania<br />

del «giovinetto che, a cavallo del mostro, per primo traversava d’un fiato<br />

da un capo all’altro l’oceano»: riverbero, secondo Maria Pizzuto, 26 del<br />

recente entusiasmo per la trasvolata New York-Parigi, compiuta dal ven-<br />

25<br />

Il pensiero avrà altre formulazioni: «Il compito da risolvere era ben altro: l’esplorazione di<br />

ciò che chiamiamo Persona, di quanto compendiosamente passa sotto la misteriosa sillaba io»<br />

(Antonio Pizzuto, Così, a cura di Antonio Pane, Firenze, Polistampa, 1998, pp. 94-95); «Molto<br />

lo angustiava anche questo: chi siamo noi così misteriosi, inconoscibili a noi stessi» (Antonio<br />

Pizzuto, Signorina Rosina, a cura di Antonio Pane, Firenze, Polistampa, 2004, p. 89).<br />

26<br />

Vd. Martin Po, <strong>Sinfonia</strong> prima (in quattro tempi), a cura di Maria Pizzuto, «Poliorama», 2,<br />

1983, p. 233.<br />

15


ticinquenne Lindberg, a bordo dello Spirit of Saint Louis, il 20 maggio<br />

1927). Ai margini di questa regione, una nota inedita è invece costituita<br />

dall’empito religioso di Marcia funebre, frutto, è da credere, della conversione<br />

(seguita a un periodo di giovanile ateismo) ricordata nelle pagine<br />

di Sul ponte di Avignone: 27 la fede cristiana sarà d’ora in poi per Pizzuto il<br />

provvido contrappeso del deficit gnoseologico.<br />

L’altro precipuo interesse del libro risiede nel suo rapporto con la “riforma”<br />

di cui si pretende araldo. Fra le «rinunzie» chiamate a scardinare,<br />

partendo dall’«unità narrativa» e dall’«unità di azione», i capisaldi del romanzo<br />

naturalistico, la più traumatica è il rifiuto di «limitare la narrazione<br />

nel tempo e nello spazio», passaporto degli audaci voli che segnano<br />

il corso del racconto, soprattutto nella seconda e terza parte. La Follia<br />

passa dalla crescita impetuosa e caotica di una moderna metropoli (probabilmente<br />

esemplata su New York), con un suo efferato corollario di bidonville,<br />

all’acronico e indefinito paesaggio di una spettacolare invasione<br />

di serpenti che distrugge la civiltà umana, per retrocedere, attraverso il<br />

viatico di una inverosimile glaciazione, alle origini stesse della terra, alla<br />

comparsa dell’uomo e alla scoperta della sua mortalità. Sulle movenze da<br />

commedia brillante di una luna di miele in veliero Marinaresca innesta la<br />

fiaba della creatura marina antropomorfa e dei suoi amorini (che avvisteranno<br />

l’aereo di Lindberg) e su questa l’incubo del mare che si addensa sino<br />

a solidificarsi, 28 e quindi la luminaria della pioggia di scintille che cade<br />

in una caverna, svariando infine da un vecchio venditore di cartelle della<br />

lotteria in una grande città, all’Olanda di Lorentz, alla guerra siracusana<br />

raccontata da Tucidide. 29<br />

La rinunzia alla «presentazione di un ambiente, di un mondo determinato»<br />

è particolarmente attiva in Eroica, dove il popolo nomade contamina<br />

prerogative di orde germaniche, tartare, ariane, 30 e percorre un terri-<br />

27<br />

Vd. Antonio Pizzuto, Sul ponte di Avignone, a cura di Antonio Pane, Firenze, Polistampa,<br />

2004, pp. 143-144.<br />

28<br />

Con un ricordo, forse, del mare nordico, pigrum ac prope immotum, di Tacito, Germania, XLV.<br />

29<br />

Le storie, VII, 50, 78-87.<br />

30<br />

In Pizzuto parla di Pizzuto, cit., p. 95, lo scrittore dichiara che il libro «fu fatto anche in un<br />

momento in cui ero innamoratissimo di sanscrito, … i Veda, tutta quella roba lì… quindi l’uso<br />

dei nomi, di terminologie che oggi non ci sono più, sono tutti presi dal sanscrito». Secondo<br />

il prof. Francesco Sferra, che ringrazio per la cortese consulenza, dei nomi presenti in Eroica<br />

(Cloe, Dasa, Gianas, Jarag, Oga, Ptar, Sanirilla, Sinina, Vahas, Zankana), solo alcuni potrebbero<br />

essere in qualche modo ricondotti alla lingua dei Veda: Dasa a Dāsa, o Daśa (dieci), o Dāśa<br />

(marinaio, pescatore); Gianas a Jana; Jarag a Jaraka (nome di una pianta); Oga a Ogha; Ptar a<br />

/ Pitar; Vahas a Vāha; Zankana a Śaṅkana.<br />

Pitr˚<br />

16


torio composito, in cui entrano elementi mediterranei e latini: «vigneti»<br />

e «oliveti secolari», «acquedotti dalle innumerevoli arcate» e la «splendida<br />

villa di un celebre filosofo ed usuraio» (probabile allusione a Seneca). Disattesi,<br />

o non rigorosamente attuati riescono invece, in questa sezione, gli<br />

interdetti contro l’«unità narrativa» (l’azione vi è ben circoscritta sia nello<br />

spazio che nel tempo) e contro lo «psicologismo» e lo «studio dei personaggi»<br />

(il principe Jarag è disegnato in tal direzione non senza acribia, sul<br />

tipo del capo carismatico, solitario e fiero).<br />

Queste incongruenze, cui si aggiunge la faute di una scrittura che l’autore<br />

definisce «brutta» (cioè, si può credere, non bastevolmente prosciugata),<br />

ci fanno ritenere che il «proposito di realizzare una nuova espressione<br />

artistica in sostituzione del Romanzo» non sia stato, in questa sede, pienamente<br />

esaudito: l’edificio non è pari al progetto; o, meglio, il “manifesto”<br />

che lo correda ne sopravvaluta i pregi. Pizzuto sa dove andare, ma non ancora<br />

come arrivarci. Per compiere il suo viaggio non gli basterà una vita.<br />

17


<strong>Sinfonia</strong>


I<br />

Eroica<br />

Come è, durante la notte, delle fontane nelle piazze deserte, così, nella<br />

solitudine, scrosciavano le acque sotto le boscaglie, mentre i falchi roteavano<br />

in alto, stridendo.<br />

Poi il monotono incanto fu rotto. Da tutti i margini della foresta apparvero<br />

torme di selvaggi cavalieri, dalle sciabole corte e ricurve. Scendevano<br />

pel pendio della verde montagna nella vallata. Giunti in pianura, i<br />

loro piccoli cavalli si tuffarono nell’acqua a bere. Nei bivacchi eravi pure<br />

qualche donna e dei lattanti. Accesero i fuochi e l’alone di vapore levantesi<br />

dagli spiedi tremolava nell’aria limpida sotto il sole. Le anguille, infilzate<br />

vive, si torcevano arrostendo. Saziata la sete e la fame, essi si abbatterono<br />

nel riposo. All’alba erano già ripartiti.<br />

Altre torme seguirono, giorno per giorno. Alcune, raggiunta la valle,<br />

non si soffermavano. Raddoppiavano, invece, l’andatura, come fossero<br />

inseguite. Le retroguardie si volgevano di frequente indietro a guardare<br />

in alto, verso la sommità della montagna, se dalle bocche spalancate delle<br />

boscaglie apparissero gli inseguitori. Vi erano facce esterrefatte, macilente,<br />

dagli occhi iniettati di sangue, dalle labbra livide tra le barbe arruffate<br />

o sotto radi baffi rossastri. Le compagne cavalcavano sulla stessa groppa,<br />

le gambe nude. Gli sguardi dei più erano di uomini dimentichi di tutto:<br />

provenienza, vicende, meta. Nel risalire le valli, nei guadi, nelle soste, pareva<br />

si abbandonassero al capriccio dei loro tozzi quadrupedi dalle criniere<br />

biondicce ed incolte. Gli aridi occhi ardevano di terrore o di cupidigia:<br />

sguardi di assetati in cerca di una sorgente.<br />

Una notte una di queste tribù soggiacque a tanta stanchezza che sui<br />

corpi addormentati strisciarono indisturbati i grossi rospi delle prode. Ma<br />

li incalzava un impeto cieco di proseguire, oltrepassando le valli sterminate<br />

una dopo l’altra, risalendo sempre il corso del fiume maestoso. Trasportato<br />

dalle morbide ondate, si vide, in un tardo e livido pomeriggio,<br />

venir giù nella corrente il cadavere gonfio di un decapitato. Dalle due rive<br />

le colonne di cavalieri levarono grida e clamori di scherno o di materna<br />

pietà.


Apparve, infine, nella pianura il grosso della fiumana migratrice: il<br />

popolo a piedi, turbe di ogni età e condizione avanzanti lentamente fra<br />

le soldatesche veloci. Due cose segnavano ormai la direzione ai venienti:<br />

i carcami che scendevano sempre più frequenti lungo il fiume, ed erano<br />

gonfie carogne di cavalli e di cani, pertiche su cui rimanevano attorcigliati<br />

maceri virgulti di pergole o di ortaggi, otri gonfiati in forme di<br />

grotteschi fantocci, resti di ogni genere capaci di galleggiare; e, alti nel<br />

cielo, gli stormi gracchianti degli uccelli predatori. Nella marcia lenta<br />

e tenace i sopraggiunti accendevano i fuochi sulle stesse ceneri lasciate<br />

dagli altri accampamenti e a poco a poco si disegnavano le viottole e<br />

le radure nell’erba calpestata e nella terra smossa dagli zoccoli. Talvolta<br />

al tramonto si levava dalle colonne in marcia, risonante nelle vallate,<br />

un canto solenne e vibrante. Qualche mischia sanguinosa, subitamente<br />

insorta, inchiodava per sempre, tra gli avanzi dei pasti, uno, due soldati;<br />

e subito i corvi calavano a scavarne le orbite, il naso, le labbra alle<br />

fiumane delle formiche e dei vermi. Ma, a guardare dall’alto, tutto era<br />

ancora bellezza calma e rigoglio, poiché l’invasione lasciava una traccia<br />

sottile, appena percettibile, nella distesa lussureggiante delle valli brillanti<br />

sotto il sole.<br />

Le ultime falangi, le più eterogenee e indisciplinate, varcarono la pianura<br />

molti e molti giorni più tardi. Eranvi ragazzi avidi, che si slanciavano<br />

a predare sui caduti e li rotolavano, disillusi e irritati, nei flutti. La<br />

stanchezza e l’indolenza appesantivano i più e per costringerli a riprendere<br />

il cammino non di rado furono adoperati gli scudisci. Molti, però,<br />

rimasero per sempre sul campo e per gran parte della notte, dopo la partenza<br />

dell’ultimo nucleo, durò il lamento lacerante di qualche infante<br />

dimenticato o scivolato giù da una sella, finché le bestie scendenti dai<br />

boschi a dissetarsi non lo fecero tacere.<br />

«Egli ama precederci perché predilige la solitudine, non per esplorare<br />

la via. E veramente, poiché seguiamo l’esercito, che cosa avrebbe da<br />

esplorare e a qual fine E perché, poi, non mi chiede una scorta, ma, tanto<br />

spesso, con una brusca galoppata, quasi ci fugge e lo ritroviamo poi immobile<br />

accanto al suo cavallo, con lo sguardo sperduto a contemplare la<br />

pianura deserta dall’orlo di un precipizio»<br />

«Forse, Sire, cerca quello che tutti noi, credo, andiamo cercando con<br />

tanta sete: una polla di acqua viva, come la descrive il nostro elegante<br />

poeta…»<br />

«Oh, no. Debbo credere non lo sappiate che non bevve mai nell’acqua<br />

vivente Tu che lo educasti – dove sei avvicina – non avrai certo mancato<br />

22


di divulgarlo a tutta la corte perché tutto il regno lo sapesse. Più volte io<br />

gli feci trovare nel suo proprio letto le più acerbe frutta e mai ne volle.<br />

Io mi ponevo con costui – te ne ricordi – dietro le fessure apposta praticate.<br />

Quando entrava, fingeva di non vederle. Si affacciava alla finestra<br />

a respirare l’aria notturna. Quelle, o sospiravano, o con piccoli gemiti<br />

lo richiamavano mormorandogli “Vieni, mio bel principe”. Allora, tranquillamente,<br />

e con quel suo benevolo sorriso, egli si avvicinava. Guardava<br />

quei corpi appetitosi senza trasalire. Come mai si può fissare il sole di<br />

mezzogiorno senza socchiudere gli occhi Le prendeva per mano, fossero<br />

due, fossero tre, una alla volta, e le faceva rialzare. Esse allora levavano<br />

piccoli gridi di resistenza. Ma egli cessava di sorridere e con mano ferma,<br />

risolutamente, le conduceva alla porta e le rimandava con una cortese parola,<br />

senza pentimenti. Poi ritornava alla sua finestra e non si muoveva di<br />

là per quanto attendessimo.»<br />

«Tuo figlio, Sire, è uno scettico: tu sai la mia profonda conoscenza<br />

del cuore umano. Egli professa dottrine filosofiche imparate qui stesso,<br />

durante gli anni in cui tu ve lo tenesti per educarsi. Sono dottrine assai<br />

lunghe a spiegarsi, ma tendono all’annullamento del mondo mediante<br />

l’allontanamento dei sessi. Quando vedeva una donna egli la sfuggiva con<br />

orrore e mi confidava, spesso, (era allora sedicenne) che esse non lo turbavano<br />

e mi esponeva quanto i maestri di qui gli andavano insegnando.<br />

Un giorno lo accompagnai da questi maestri e, in sua presenza, li interrogai<br />

sul loro insegnamento. Contrapposi alle loro dottrine le mie, finché,<br />

vinti, mi proclamarono di non avere mai discusso con un uomo tanto<br />

sapiente, offrendomi di rimanere con loro per la fortuna della gioventù.<br />

Respinsi dicendo che il mio Re mi aveva affidato l’educazione di Suo figlio<br />

e che non avrei abbandonato il compito se non per riprendere la mia<br />

carica di grande ufficiale della Corte e di gran Maestro dell’esercito, pel<br />

bene del mio Sovrano…»<br />

«Ed egli»<br />

«Chi»<br />

«Il principe nostro.»<br />

«Naturalmente confessò che non poteva sostenere oltre la disputa. Allora…»<br />

«È là, lo vedete Egli ci fa segni. Cessa le tue chiacchiere e svegliali,<br />

questi cavalli che camminano dormendo. Guarda dove è rimasta la colonna.<br />

Andrebbero più veloci se procedessero a piedi.»<br />

«Il sole è cocente, Sire, e la via erta. Or ora comandai al mio aiutante<br />

di accelerare l’andatura.»<br />

23


«Che hai trovato»<br />

«Guarda.»<br />

«Io guardo, ma non scorgo nulla di importante: non una casa, non<br />

una villa, non un uomo. Che vedi tu»<br />

«Guarda meglio, Sire. Dappertutto vi sono i segni della battaglia. Di<br />

fronte a te, dietro le alture, si leva il fumo. Là si incendia e si saccheggia.<br />

Vi erano le ville estive dei grandi dignitari dello stato. Alla tua sinistra,<br />

sulle cime delle colline, dovremmo vedere, a quest’ora, accampamenti di<br />

nostri. Ne scorgi tu»<br />

«Sono deserte.»<br />

«Io vidi rotolare giù tronchi di alberi e massi. Se i nostri non sono riusciti<br />

ad occuparle, hanno sorte terribile. Essi trovano ostacolo a ripiegare.<br />

Altri nemici calarono forse in agguato alle loro spalle.»<br />

«È certo.»<br />

«A destra, infine, laggiù, dove il fiume fa gomito, lo scintillìo dell’acqua<br />

si smorza a tratti, mentre una nuvola offusca il sole. Anche là vi è<br />

forse carneficina, e forse la corrente ci reca incontro cadaveri e cadaveri<br />

di popolo nostro.»<br />

«È vero. Che faremo Tu hai udito il principe. Hai un piano da attuare<br />

subito per accorrere in aiuto»<br />

«Sire, tu lo sai, non abbiamo qui che quattrocento uomini di cavalleria.<br />

È truppa stanca e non reggerebbe ad una galoppata fino al tramonto<br />

per raggiungere le colline.»<br />

«Ebbene»<br />

«Io osservo, anzitutto, che il principe Jarag ha fatto soltanto congetture.<br />

Conosco bene il suo pessimismo. Egli è rimasto quale tu me lo affidasti<br />

fanciullo. Tutto è nero per lui e al nulla la sua fantasia dà vita e forma.<br />

Quelle fumate di laggiù sono segni di saccheggio Ne dubito. Possono<br />

essere tante, tante altre cose e bisogna andar cauti nelle ipotesi, scegliendo<br />

sempre le più semplici e naturali. E poi, se vi è incendio e saccheggio,<br />

ciò implica che la vittoria è dalla nostra parte. Quanto al fatto che non si<br />

scorgono ancora sulle alture i nostri soldati, quello che possiamo concluderne<br />

è che le previsioni non si avverano mai e che l’esercito procede meno<br />

velocemente di quanto era presunto. Il rotolare giù di tronchi d’albero<br />

e di massi e le macchie sul fiume ci dicono, infine, ben poco. Anzitutto,<br />

chi muove alla conquista deve sapere che dovrà pagare il suo tributo di<br />

vittime. Tralascio di osservare che tali fatti possono non avere relazione<br />

con l’avanzata dei nostri e che, spingendoci avanti, avremo, con ogni<br />

probabilità, di che spiegarceli agevolmente come eventi fortuiti e, perché<br />

no, come apparenze senza costrutto di fatti semplici e naturali. Non ci<br />

24


sembra di vedere, di nottetempo, presso i letti, persone in agguato che<br />

erano solo le nostre vesti Comunque, gli eventi confortano i miei sistemi<br />

di guerra che i capi, cioè, debbono seguire e non precedere le truppe per<br />

avere tempo di giudicare, libertà di intervento nell’impiego delle riserve<br />

per l’azione decisiva e scelta del punto in cui impegnarla.»<br />

«Ho fiducia in te. Ma accorriamo. Che tutti proseguano al galoppo.»<br />

Laggiù, intanto, era la strage. Nelle ville invase i signori organizzarono<br />

una difesa disperata. Ed ora, attraverso le mura, lingue di fiamma<br />

crepitanti, lambendole, salivano a bruciare le teste dei decapitati infisse<br />

sulle aste e sulle lance sporgenti dalle finestre. Altre teste umane erano<br />

confitte ovunque, sulle cime sfrondate degli alberi, sulle rocce aguzze, sui<br />

ferri contorti dei cancelli, sulle quattro zampe all’aria dei cavalli uccisi e<br />

trascinati a ridosso delle scarpate; e se qualcuno di essi si abbatteva sul<br />

fianco, i miseri resti umani si schiacciavano contro il terreno fangoso e<br />

rosso, fra cataste di corpi massacrati. La mischia si propagava sempre più<br />

verso l’interno. Ripetute volte le carovane del popolo migrante furono<br />

prese in mezzo tra le falangi delle proprie soldatesche accorrenti da tergo e<br />

quelle opposte agli invasori, e il macello riprendeva tra clamori furibondi<br />

e grida di terrore. Dopo tanta inevitabile strage tutti gli inermi e le loro<br />

donne trovarono lance, sciabole, ferri e forza per aprirsi un varco e una via<br />

di scampo. Dalla mischia caotica sorsero finalmente due eserciti fronte a<br />

fronte, trincee e difese e camminamenti, pei quali le torme del popolo decimato<br />

si avviavano a campi di concentramento riordinandovisi. Si udirono<br />

ordini militari; poi il sopore si distese greve per tutto il terreno, che si<br />

muoveva nei contorcimenti dei corpi umani ed equini agonizzanti.<br />

All’alba l’invasore trovò sgombro il cammino, credette vinto e fuggito<br />

il nemico, e riprese l’avanzata sotto lo stimolo della fame. Le turbe marciavano<br />

ora su splendide strade, linde e diritte, all’ombra di pini giganteschi.<br />

Ovunque erano i segni di una civiltà mai fino allora incontrata. I<br />

campi deserti erano tutti mirabilmente coltivati, erano tappeti di ortaglie<br />

alternantisi con magnifici vigneti e con oliveti secolari. Una fitta rete di<br />

canali recava l’acqua alle colture e ai vivai e la corrente del fiume dava vita<br />

ai molini o rigurgitava alle prese precipitando nelle vene degli acquedotti<br />

dalle innumerevoli arcate.<br />

«Supponi che uno di noi si ponga a scivolare sopra un pendio come,<br />

ad esempio, questo alla nostra sinistra, per raggiungere, poniamo, più rapidamente<br />

il fiume – e chi di noi non ha fatto qualche cosa di simile – e<br />

che una mano ci capiti in un ciuffo d’erbe e una vipera irritata ci mor-<br />

25


da un dito. Nessuno di noi penserebbe certo di bendare subito la ferita.<br />

Prima cura di ciascuno sarebbe indubbiamente di far colare abbondante<br />

sangue, che lava e porta via i veleni depositati nella carne dal dente del<br />

rettile. Poi laveremmo la ferita con l’acqua pura del fiume e solo allora<br />

si penserebbe a fasciare il dito, lasciando al tempo la cura di risanarlo. Io<br />

domando al tuo medico se ho detto bene.»<br />

«È esatto, ma bisognerebbe sorvegliare con quotidiane ispezioni la ferita<br />

e continuare a lavarla giornalmente, cambiando la fasciatura.»<br />

«Naturalmente. Ora io ti dico, Sire, che non altrimenti deve concepirsi<br />

il compito della guida militare in un caso come il nostro. Altro è condurre<br />

un esercito alla battaglia, altro spingere avanti quasi un intero popolo. Tu<br />

sai se ho saputo reggere il comando dei tuoi eserciti in tutte le battaglie.<br />

Ma un popolo non si può comandarlo: si può solo sorvegliarlo mentre<br />

esso si trova da sé la via e il suo destino. Non dolerti di questi morti. Essi<br />

sono il sangue avvelenato che doveva venir fuori. I più deboli sono caduti<br />

e cadranno. Quando arriveremo alla meta, avremo con noi solo guerrieri<br />

ed uomini validi e guai se non fosse così. Checché ne pensi tuo figlio, nostro<br />

signore, ma immemore dei miei ammaestramenti, i popoli si guidano<br />

da tergo e re e condottieri devono seguirli, non precederli.»<br />

«Non un messo mi è giunto. O tutti sono morti, o hanno dimenticato<br />

il loro re.»<br />

«Bando a questo timore. Volgi la testa. Eccoli, i nostri belli cavalieri,<br />

possenti, bene armati, intatti. Sono quattrocento. Ci seguono fedelmente,<br />

senza lamentarsi. Dove e quando li lancerò, essi avranno la vittoria e<br />

riconquisteranno. Soggiogherebbero l’intero tuo popolo, se tutto si ribellasse.»<br />

«Quando partimmo dalla Reggia, ed io ero alla testa, il popolo mi<br />

onorava come un Dio. Cantavano tutti inni guerrieri. Ora, che penseranno<br />

di me Che li ho abbandonati e mi abbandoneranno. Che pensi tu,<br />

così taciturno, così cupo in faccia, così irato»<br />

«Penso, Sire, che il nostro posto non è qua.»<br />

«Tu lo senti. Anche mio figlio è dello stesso avviso. Il nostro posto era<br />

laggiù, alla testa.»<br />

«Due cavalieri si avvicinano al galoppo, nella pianura.»<br />

«Dove sono»<br />

«Vicini all’ansa del fiume.»<br />

«Essi mi cercano. Non si sa più neppure dove io mi trovi. Ptar, chiamali.»<br />

«E come Non ci udrebbero e sarebbe pericoloso levare clamori. Fermiamoci<br />

e aspettiamo che alzino la testa: ci vedranno.»<br />

26


«Fai rotolare giù pietre.»<br />

«Ci scambierebbero per nemici. Aspettiamo, Sire.»<br />

«Inermi, senza elmo, essi mi dicono prima ancora che giungano e parlino<br />

quale fu la sorte del mio esercito.»<br />

«Questi ufficiali ed io restiamo fiduciosi. Ma è vano, forse, sostare in<br />

attesa dei messi, perché non troverebbero sentieri per salire quassù. Lasciamo<br />

che vadano pure oltre. La città è ormai vicina e i nostri saranno<br />

certo là, o da occupanti, o da assedianti. Guarda, Sire. Noi scenderemo<br />

ora nella pianura per quel sentiero, lasciando qui i cavalli. Li ritroveremo<br />

alle falde della collina, dall’altra parte, prima del tramonto. Nella notte<br />

io vi condurrò a riposare in una splendida villa di un celebre filosofo ed<br />

usuraio che sta nascosta dietro quei grandi boschi che tu vedi là in fondo,<br />

a destra. Io vi fui, or sono quindici anni, col principe Jarag, che vi dormì.<br />

Te ne ricordi, principe Nessun soldato vi sarà giunto certamente prima<br />

di noi, poiché essa è ben lontana dalle vie militari e da ogni sentiero. Chi<br />

sa a prezzo di quali fatiche gli schiavi di questo furbo sapientone trasportarono<br />

là dove essa sorge, nella piena foresta, i materiali occorsi per edificarla!<br />

A due giornate di cavallo è la città. Tu potrai, Sire, stabilirti nella<br />

villa per seguire le vicende dell’esercito.»<br />

«No, Ptar. Noi vi dormiremo soltanto. Domani io voglio rivedere i<br />

miei soldati e il mio popolo.»<br />

«… Durante la notte manderemo altri messi, a destra e a sinistra. Entro<br />

domani tu saprai quali furono gli eventi e le fortune dei nostri. Il<br />

principe Jarag scriverà, come egli solo sa fare, un messaggio in tuo nome<br />

ai capi delle nostre truppe e queste andranno domani alla vittoria. Noi<br />

prepareremo il tuo ingresso trionfale nella città conquistata.»<br />

«Tu credi»<br />

«Occorre credere. Come si potrebbe vincere senza credere Durante<br />

tutta la mia lunga vita d’armi io …»<br />

La foresta si ergeva, acclive, a perdita d’occhio, da ogni lato, arrampicandosi<br />

sui fianchi della montagna fino alla cresta, dove si addentrava<br />

nella nebbia. Il Re, suo figlio, il suo generale, gli aiutanti, il seguito, i<br />

drappelli della riserva smontarono dai cavalli e procedettero lentamente<br />

verso la vetta. La tortuosa fila di uomini e di quadrupedi stendentesi dal<br />

basso in alto lungo gli angusti passaggi e gli spazi tra albero ed albero si<br />

distingueva ora appena sotto l’ultima luce crepuscolare e scomparve infine<br />

nel fogliame.<br />

Tutto, all’intorno, sapeva di agguato, di tregua. La massa degli invasori<br />

percorse compatta le vallate, decimata alle falde delle montagne, si<br />

27


spezzò in innumerevoli piccoli nuclei di uomini disorientati, ciascuno dei<br />

quali si annidava dove era possibile: in un cespuglio, dietro i blocchi di<br />

macigno, nelle anfrattuosità del terreno, sotto una roccia protesa sull’orlo<br />

dell’abisso. Ciascuna delle anguste grotte aperte lungo i fianchi scoscesi<br />

dell’altipiano, fino a valle, fu occupata da due, tre fuggiaschi, senza armi<br />

e brucianti di sete. Altri dispersi si nascondevano nel cavo di qualche<br />

vecchio olivo, entro la stessa cerchia nemica, ignari forse di essere ormai<br />

preda senza scampo. E ancora si disegnavano nella notte forme umane di<br />

superstiti ricercanti affannosamente un riparo introvabile. Incontro a loro<br />

pattuglie e scolte dell’esercito vincitore frugavano nelle macchie, accerchiavano<br />

le rupi e i rifugi e vi si precipitavano a massacrare quanti eranvi<br />

rannicchiati. E urli subito soffocati avvertivano della preda, lacerando la<br />

quiete apparente della notte. Allora, richiamati dalle grida, accorrevano<br />

drappelli di soldati e al loro approssimarsi altri rifugiati, presi dal panico,<br />

si staccavano atterriti dai nascondigli e si offrivano alla feroce vendetta<br />

senza resistere oltre. Giù, a valle, sotto le balze di granito che salivano<br />

a picco, impossibilitata ad avanzare e a retrocedere, urgeva una massa<br />

incomposta ed esterrefatta di lacere femmine, di bambini atterriti e di<br />

vecchi in attesa di un nuovo macello. Erano i resti del popolo invasore,<br />

spinto dal panico e dalla propria inerzia nelle gole senza vie di scampo e<br />

di ritorno. Non avevano più cavalli né carriaggi né utensili. Il fiume aveva<br />

tutto riportato indietro nella sua larga corrente, verso le impetuose cascate<br />

onde essi provenivano speranzosi e bramosi di assidersi in un impero<br />

più vasto, nelle immense città ricche di marmi e di oro. E ancora vi erano<br />

reparti armati, lontani l’uno dall’altro ed isolati, i quali non avevano incontrato<br />

il nemico e bivaccavano, nella vana attesa del grosso dell’esercito,<br />

sulle vie militari ad oriente delle montagne, quasi in vista della città.<br />

Ora, nell’alta notte, anche le forze radunate contro gli invasori si assottigliavano<br />

distendendosi in tortuose cortine di avamposti ricercanti le forze<br />

avversarie. Dovunque l’avanscoperta febbrile modificava continuamente<br />

l’arco dello schieramento, che si allungava, in certi tratti, in acute punte<br />

a raggiera, spingentisi ad avvistare il nemico; e subito, silenziosamente,<br />

i vertici acuti dei cunei che così venivano formati si arrotondavano raccorciandosi<br />

e l’esercito avanzava forte e tranquillo contro l’oste disorganizzata,<br />

dilatatasi oltre le sue possibilità ed incapace di rifarsi in unità e<br />

di resistere.<br />

Era vicina l’ora decisiva, l’ora dello scrollo sterminatore e dello sforzo<br />

supremo. E man mano che essa si approssimava, una determinazione<br />

nuova si formò negli antri, nei nascondigli, dovunque erano convenuti al<br />

riparo gli invasori. Essi si prepararono ad affrontare quell’esercito che si<br />

28


stendeva di contro a loro fino a che con un balzo solo avesse potuto ghermirli.<br />

Tre ore prima dell’alba, anche laggiù, ad oriente, sulle vie militari,<br />

i reparti inoltrativisi e rimasti fuori della zona di battaglia iniziarono la<br />

marcia di ritorno e puntavano, forse inconsapevolmente, verso il fianco<br />

destro dell’esercito in agguato, alle sue spalle. Agli uomini che andavano<br />

a schierarsi in prossimità dei margini scoscesi dell’altipiano, al nord,<br />

giungevano a tratti le urla, i tonfi sordi ed i nitriti di quanti pei dirupi<br />

invisibili piombavano dal precipizio nel fiume scrosciante, entro le due<br />

anse a picco di alto granito.<br />

Mentre intorno, dalle rive del fiume all’altipiano sommersi nella notte<br />

illune, ferveva da una parte e dall’altra l’incessante e febrile preparativo, il<br />

Re apparve sul limitare della vasta radura praticata nella densa boscaglia<br />

dinanzi la villa. Pareva abbandonata. Quattro soldati, superato lo scoperto,<br />

ne raggiunsero i cancelli e li forzarono. Il resto della scorta, a corsa, li<br />

seguì e i più impazienti si accalcavano per balzare dentro. Ma gli ufficiali<br />

li contennero e li disposero su due file, male ordinate, e attraverso questo<br />

varco il sovrano passò, impetuosamente, e giunse nel vestibolo, che si<br />

andava illuminando, mentre una lotta soffocata e convulsa si svolgeva ai<br />

piedi delle due scale laterali. Alla luce incerta delle torce egli vide groppi<br />

di suoi soldati, coi pugnali all’aria, avventarsi su alcune forme umane che<br />

sbucavano trasportate a spalla dalle scale stesse nel vestibolo e venivano<br />

scaraventate fuori dalle basse finestre. In un attimo la villa rigurgitava di<br />

soldati che, con una doppia corrente incessante, scomparivano nel vano<br />

delle porte sconquassate o abbattute o ne provenivano recando altre vittime<br />

e bottino che trasportavano fuori. Dal piano superiore veniva il sordo<br />

rumore del calpestio e della lotta soffocata, quasi senza grida e senza lamenti,<br />

contro i sorpresi nel sonno.<br />

«Principe Jarag traditore, ti riconosco! Soccorrimi! Vivo ancora!»<br />

La voce strozzata veniva da un vecchio, dibattentesi fra le braccia di<br />

tre soldatacci, il petto lacerato da uno squarcio profondo. Egli si divincolava<br />

a tratti, pel sudore, dalla stretta, ma quelli lo punivano ferocemente,<br />

finché si abbandonò.<br />

Anfore e coppe ricolme apparivano nelle mani di tutti. Alcuni, protesi<br />

su una scaletta di pietra scavata in fondo al vestibolo, sollevavano uno<br />

dopo l’altro secchi e mastelli, onde il vino traboccava, che altri, dal basso,<br />

porgevano. Si levarono canti e scoppi di risa violenti, sinistri. Due,<br />

denudatisi, lottavano e sdrucciolarono sul pavimento ornato di cani, di<br />

uccelli e di fiori e viscido di sangue e di vino. Uno di essi batté forte la<br />

testa, ma resisteva e, riuscito a liberarsi dal braccio che lo ghermiva, sopraffece<br />

inferocito il compagno. Scudieri recavano ancora lumi. La luce<br />

29


ora intensa stimolava tutti ad abbandonarsi all’orgia e il clamore era tale<br />

che non sarebbe stato più possibile di prevenire un’imboscata o una<br />

sorpresa nemica. Del resto, nessuno aveva forse collocato sentinelle. Si<br />

andava e si veniva, ingombre le porte e le scale, i corridoi rigurgitanti di<br />

predatori che trascinavano sacchi di bottino. Il calore, il vino, il vociare<br />

incomposto, l’andirivieni da formiche, l’aria satura delle esalazioni di<br />

tanta gente, di essenze disperse dalle fiale spezzate, di mosto, di olio e<br />

di fiaccole brucianti, davano le vertigini. Un tale calava a spalle da una<br />

delle due scale una grande statua che un ruzzolone spezzò sul pavimento,<br />

rompendone il musaico. L’ira divampò ancora, sanguinosa. Una cerchia<br />

di avvinazzati si raccolse a seguire ridendo e schiamazzando le vicende<br />

della lotta. Altri vi presero parte e insorse una nuova mischia. Si vedevano<br />

i torsi lucidi e graffiati accanirsi l’uno contro l’altro. Luccicarono<br />

ancora pugnali e coltelli e il sangue sprizzò sugli avambracci levati, sulle<br />

facce, sulle mura marmoree, tra grida di dolore ed imprecazioni. Tutti<br />

erano ormai afoni pel troppo urlare. Ora trascinavano di peso un giovinetto,<br />

sorpreso forse dietro le botti della cantina. L’espressione di terrore<br />

della sua faccia eccitò la ferocia di quella torma esaltata ed egli scomparve,<br />

come inghiottito dall’umana ondata, scagliataglisi addosso. Riprese<br />

la caccia a quanti potevano trovarsi ancora nascosti, caccia sterminatrice,<br />

da topi. D’un tratto tre o quattro che erano vicini all’ingresso balzarono<br />

con le armi in pugno fuori della porta fracassata, all’aperto. Altri accorsero<br />

scomparendo pure nell’oscurità della notte; ma nel vestibolo fumoso<br />

i più non si avvidero del movimento e continuavano il saccheggio senza<br />

sentire la stanchezza e dimentichi perfino di se stessi. Rientravano ora<br />

quelli, ad uno ad uno, seguendo i due messi laceri, storditi e coperti di<br />

neve. Una benda arrossata di sangue fasciava la testa al più giovane di<br />

loro. Essi sostarono, girando lo sguardo incerto ed abbagliato per la vasta<br />

sala, da un gruppo di uomini all’altro. Ma nessuno prestava loro attenzione,<br />

ché tutti andavano ora affollandosi verso la parete di fondo, in un<br />

fitto semicerchio. Un giovane capo, il principe Jarag, avvistatili e fattosi<br />

largo tra la folla, mosse loro incontro, li trasse in disparte e si chinò ad<br />

ascoltarli. Parlavagli l’uomo dalla testa bendata, gestendo, a tratti, con<br />

le tozze e villose braccia che tracciavano nell’aria invisibili linee o disegnavano<br />

episodi di lotta e schieramenti di forze, mentre il compagno,<br />

fissi gli occhi su quelli, dallo sguardo tanto pensoso e lontano, del suo<br />

signore, interveniva talora, con scatti concitati, aggiungendo particolari,<br />

o come a correggere quanto l’altro diceva. Quando il messo ebbe finito,<br />

il principe aperse la bocca, forse interrogando il ferito. Questi si volse al<br />

compagno e si guardarono, quasi a domandarsi o per rievocare a vicenda<br />

30


ciò di cui erano richiesti. Poi crollarono il capo, per significare che non<br />

sapevano. Allora il principe fissò il suo interlocutore e nuovamente l’interrogò.<br />

Questa volta la risposta venne, copiosa, sottolineata con gesti,<br />

da entrambi simultaneamente. Il colloquio si protrasse così per qualche<br />

tempo ancora, dissolvendosi nel frastuono circostante. Infine egli li<br />

trasse, con un cenno, a seguirlo e si accostò con loro al gruppo serrato<br />

che faceva cerchio in fondo al vestibolo, contro la parete. Nessuno si<br />

muoveva per farli passare, poiché tutti erano intenti a guardare innanzi<br />

a sé e bisognò scuotere i dorsi compatti dei più vicini perché costoro si<br />

accorgessero e facessero largo. Il cerchio si rinserrò rapidamente dietro<br />

il loro passaggio, incuneandosi tutti per guadagnare posti migliori. Due<br />

donne erano state catturate e stavano in piedi, nell’angusto spazio libero,<br />

accanto al Re, seduto, nuda l’una, con le braccia e le mani tese a celarsi,<br />

ghermita l’altra da Ptar, il generale, che la denudava, lacerandole le vesti,<br />

sordo ai gemiti atterriti e supplichevoli con cui ella si difendeva. Ai piedi<br />

della prima, che, con gli occhi ancora stillanti, posava istintivi sguardi<br />

sulla siepe vivente e cupida onde era circondata, giacevano, intatte, le<br />

tuniche di roseo lino. Un silenzio gravido di bramosa attenzione guadagnava<br />

la sala e i lazzi si diradavano. Nelle ultime file, quanti non potevano<br />

veder bene, andavano arrampicandosi sulle basi delle colonne attorno<br />

alla sala o sui secchi ed i mastelli del vino.<br />

Il principe Jarag avanzava verso il sovrano, ma questi non si accorse<br />

nemmeno di lui e dei due messi. Non distoglieva i piccoli occhi luccicanti<br />

dalle due denudate, che il suo generale, dopo averle allacciate ai fianchi<br />

con le proprie braccia, gli appressava e le sue labbra si muovevano tra<br />

la folta barba bianca quasi mormorasse un’orazione. Quando gli furono<br />

entrambe dinanzi, il vecchio re le attirò a sé. Una di esse, la più alta, lo<br />

lasciava fare, beveva e strillava, poiché Ptar le versava addosso anfore di vino.<br />

Ma l’altra resisteva e allora il re tentò di farle protendere la bocca verso<br />

la sua. Ella si divincolava e maggiormente si acuiva la brama di lui. D’un<br />

tratto (chi sa cosa le avrà detto o fatto, ché i vecchi hanno idee tutte proprie)<br />

la donna, in una subita reazione, lo colpì alla faccia. La compagna,<br />

eccitata, la imitò e lo graffiava, quasi rovesciandolo supino dallo sgabello<br />

basso sul pavimento. Fu un attimo. Delle braccia robuste gli strapparono<br />

dal collo e dal petto quei due corpi inviperiti e li inchiodarono a terra,<br />

dove vanamente si divincolavano. Il re balzò in piedi, le guance e la barba<br />

rigate di sangue.<br />

«I miei cani! – gridava – I miei cani!»<br />

Dalle soldatesche accalcate attorno il grido fu ripetuto:<br />

«I cani del Re! Avanti i cani del Re!»<br />

31


Tutte quelle facce erano pallide. Ammutoliti, figgevano gli occhi iniettati<br />

sulle prede distese in terra e impossibilitate a gridare o a muoversi.<br />

I due cani apparvero al cospetto del loro signore, aprendosi un varco<br />

tra le file compatte degli astanti. Il primo di essi, un giovane, forte soldato<br />

dalla pelle bruna e luccicante, aveva nudo il petto, fino alla cintola. Più<br />

attempato, di bassa statura, bizzarramente vestito di una uniforme rossastra,<br />

le dita della mano sinistra piene di anelli, il suo compagno sbirciava<br />

con gli obliqui occhi privi di ciglia ora il sovrano ora quei corpi e al lieve<br />

movimento della testa rasa la sua faccia glabra e schiacciata cangiava, sotto<br />

la luce, di colore.<br />

«Oga, Oga» scattò il vecchio, ghermendo il braccio del primo e indicando<br />

col dito tremante la donna che lo aveva offeso «Strappale la bocca!»<br />

Il giovane, di un balzo, le fu sopra.<br />

«A te l’altra, Gianas. Mangiale la gola, la gola!»<br />

Per un istante si videro i due carnefici sulle prede dibattentisi e mugolanti,<br />

poi il gruppo feroce scomparve nell’ondata di uomini che si precipitarono<br />

attorno, gli uni sugli altri, per vedere.<br />

Ma il principe Jarag si parò dinanzi al sovrano e mostrandogli i messi<br />

lo richiamò:<br />

«Padre!»<br />

La grave, sdegnosa espressione della sua faccia esasperò forse maggiormente<br />

quel vecchio. Rabbiosamente egli si fece incontro al Principe e<br />

tentò di respingerlo urtandolo con le proprie braccia distese e le mani<br />

aperte contro il suo petto.<br />

«Non padre! Io non sono tuo padre! Io sono il tuo Re! Io sono il Re!<br />

Vai via!»<br />

Jarag rimase un attimo immobile e in silenzio, esitasse o si risolvesse,<br />

ed avanzò verso il sovrano, che cinse col braccio, quasi a sorreggerlo,<br />

mentre a voce vibrante ed appassionata esclamava:<br />

«No, padre sciagurato che mi nutristi, tu non sei più il Re e non vedrai<br />

il nuovo Re!»<br />

Il Re, pugnalato, reclinò la testa, abbandonandosi tra quelle braccia,<br />

che deposero dolcemente al suolo la spoglia; e, piegato il ginocchio, Jarag<br />

impresse un lungo bacio sulle labbra dell’ucciso. Quindi, rapidamente, fu<br />

in piedi, rivolto verso la folla muta e atterrita.<br />

«In ginocchio!» disse.<br />

Tutti obbedirono. Nell’improvviso silenzio si udì un lungo nitrito di<br />

cavallo e il tonfo sordo di uno zoccolo che batteva il terreno, dinanzi la villa.<br />

Ora Ptar si rialzava da presso il cadavere e si appressava timidamente per<br />

32


deporre sulle spalle insanguinate del nuovo Signore la tunica di porpora<br />

tolta al re estinto. Ma Jarag si volse bruscamente e gli disse respingendola:<br />

«Il tuo posto è là. Torna a Lui e ridagli le sue vesti.»<br />

E Ptar tornò dimesso a inginocchiarsi accanto alla salma e la ricoprì<br />

del rosso tessuto.<br />

Tutti i soldati e ufficiali e cortigiani stavano prostrati, immobili, muti,<br />

in una vasta cerchia attorno al nuovo signore e ne seguivano con occhi<br />

attoniti ogni mossa, ogni cenno. Soltanto qualche colpo di tosse soffocata<br />

rompeva qua e là il silenzio. Egli chiamò:<br />

«I suoi cani!»<br />

Essi stavano là, accosciati contro la parete di fondo, presso le prede dilaniate.<br />

Quando furono al suo cospetto, egli fissò gli occhi profondi sulle<br />

loro bocche lorde. Il suo sguardo li scrutò da capo a piedi, lungamente,<br />

e la voce possente risuonò ancora nella vasta sala piena di luce e di aria<br />

corrotta.<br />

«Voi sarete i miei lupi. Tu, Oga, salverai il mio popolo. Esso attende<br />

il macello, chiuso da tutti i lati, nelle gole qui sotto. Costoro ti indicheranno<br />

la via. Andrai solo. Troverai soldati risalendo da qui, pel bosco, di<br />

là dalla vetta. Se il tuo cavallo si stanca e dove non potrai cavalcarlo pel<br />

bosco, te lo caricherai sulle spalle fin dove potrai cavalcarlo di nuovo. Riordinerai<br />

i soldati e piomberai con loro alle spalle dei nemici che ci attorniano.<br />

Saprai aprirti il varco dove occorre. Scegliti quattro cavalieri. Due<br />

di essi dovranno sacrificarsi per attirare su di sé le scolte; gli altri le uccideranno;<br />

tu passerai. Questo ti comanda il tuo signore, questo farai.»<br />

«Io lo farò, Sire, te lo giuro.»<br />

«Non dormirai fino al mio arrivo.»<br />

«Questi occhi non si chiuderanno.»<br />

«Va, Oga.»<br />

Sempre prostrati, in religioso silenzio, gli altri aspettarono.<br />

«Appressati, Gianas. Tu nascesti nelle province occidentali del mio<br />

impero. Queste valli, questi boschi, la città alle tue spalle, tutto questo<br />

magnifico regno era dei tuoi avi, quando tuo padre nasceva. Un popolo<br />

cugino col tradimento e col massacro ci scacciò di qui. Tua madre fu<br />

gittata, violentata, viva ancora, con innumerevoli altre donne e fanciulli,<br />

nel fiume, come anche oggi essi hanno fatto. Tu vendicherai i tuoi morti,<br />

riconquisterai queste province alla Patria.»<br />

«A te tutto me stesso.»<br />

«Prenditi duecento soldati. Torna indietro. All’alba, con cento di loro,<br />

dovrai spezzare lo schieramento dove lo incontrerai risalendo dalle falde il<br />

sentiero a sinistra di quello che percorremmo per giungere qui.»<br />

33


«Fossero mille i nemici lo farò.»<br />

«Affiderai sessanta degli uomini che ti rimarranno a quel ragazzo degli<br />

altipiani inginocchiato laggiù… Vieni avanti. Ti chiami Zankani, è<br />

vero»<br />

«Zankana.»<br />

«Tu farai, Zankana, quanto ho comandato al tuo capo, aprendo il varco<br />

trecento passi alla sua destra.»<br />

«Tutto è tuo.»<br />

«Comincerai prima di lui. Dovrai studiarti di attirare verso te le furie<br />

del nemico, perché Gianas deve passare, deve accerchiare quelli che dominano<br />

il fiume dalle alture alla nostra sinistra.»<br />

«Lo farò.»<br />

«Voglio che gli altri quaranta si gettino nel bosco come tigri in caccia.<br />

Tu li avvierai, Gianas, come ti parrà. Saprai distribuirli come fossero dieci<br />

volte tanti. Dividili in due, tre gruppi, trova loro capi, di tua scelta.»<br />

Jarag tacque un istante. Poi si rivolse alla massa, tuttavia prona attorno<br />

a lui.<br />

«Voi vedeste tutto. Io vi diedi tutto. Mi strappai il cuore per la salvezza<br />

del popolo. Andate. Tutti mi rivedrete dove sarà necessario che io sia.<br />

Domani dormirete nella città riconquistata.»<br />

Gli uomini prescelti si levavano, si ammassavano, si ordinavano rapidamente.<br />

Sempre in ginocchio, i rimasti seguivano silenziosamente con<br />

lo sguardo il loro signore, fattosi ora dinanzi la porta. Le ventate gelide<br />

lo sferzavano nei capelli e nel mantello arrossato. E quelli, passando a lui<br />

dinanzi, gli dicevano appassionatamente:<br />

«A te la vita.»<br />

Si vedevano, un po’ confusamente, nell’incerto riverbero dei lumi,<br />

montare in groppa ai cavalli e allontanarsi per la radura, fino a scomparire<br />

sotto le masse nere del bosco.<br />

Quindi egli tornò nella sala. I suoi occhi abbracciarono e misurarono<br />

le forze ancora disponibili. Disse:<br />

«Vedo alcuni di quei figli della montagna che appresero da bambini il<br />

segreto per saltare di rupe in rupe e sanno scrutare e scovare il nemico. A<br />

te, Ptar, il compito di sceglierne venti, di condurli lungo gli accessi del bosco<br />

fino alla vetta, due a due, di collocarli in modo che possano dominare<br />

tutto il dorso, dai suoi versanti, per scoprire e segnalare indietro, fin qui,<br />

i movimenti del nemico e vigilare la marcia dei nostri, quando saranno<br />

sboccati dove io volli avviarli. I tuoi uomini non dovranno, naturalmente,<br />

dormire e sapranno resistere come è necessario alla neve. Sapranno intendersi<br />

tra loro, stabilire segnali brevi e precisi, che debbono propagarsi<br />

34


in modo da giungere qui rapidamente. Ricordatevi, vedette, che vi affido<br />

innumerevoli vite e le chiavi della città, dove soltanto potremo trovare<br />

salvezza e cibo.»<br />

Anche le vedette, sfilando dinanzi a lui, lo salutarono con l’appassionato<br />

saluto:<br />

«A te la vita.»<br />

«Vieni avanti, Sanirilla, uomo dei laghi» egli riprese, quando esse furono<br />

uscite «Raccogliti questi ultimi uomini. Ti conoscono tutti, io lo so.<br />

Lanciane un terzo a piedi, per le boscaglie, dietro la prima colonna che<br />

da qui è partita. Saranno frecce viventi scoccate contro i vili che indietreggeranno<br />

e contro i nemici che riuscissero a sopraffarla o a schivarla.<br />

Io bacierò, una ad una, la fronte di quelli tra loro che cadranno, io li seppellirò.<br />

I loro nomi non si cancelleranno mai più dalla mia mente. Essi<br />

sono il peso decisivo scagliato nel piatto della bilancia. Dove sarà uno di<br />

loro, di là passeremo, là vinceremo. Tu avrai un cavallo. Manda qui messi,<br />

ora per ora. Dai un capo a quelli che ti resteranno. Questi formerà due<br />

colonne. Una sarà la tua riserva. La impiegherai all’alba, al soccorso di chi<br />

avrà primo impegnato battaglia. La seconda voglio che scali i dirupi alla<br />

nostra sinistra, per piombare sui nemici che stanno calando, dalle rocce,<br />

nella gola dove le nostre genti sono rimaste impigliate.»<br />

Anche gli ultimi reparti sfilarono dinanzi a lui rapidamente. Dalle facce<br />

dei soldati, dal loro incesso e dallo sguardo era scomparsa ogni traccia<br />

di stanchezza. Ad ogni comando dei nuovi capi essi obbedivano di slancio.<br />

Egli li squadrava uno ad uno, immobile sul limitare della gradinata<br />

che conduceva alla vasta radura e il suo sguardo ardente e profondo, uno<br />

ad uno, li salutava e li incitava. Qua e là, ad un suo cenno, qualche soldato<br />

si distaccò dalle file e si trasse in disparte. Rimasero così accanto a lui<br />

nella vasta sala, quando tutti si furono allontanati, cinque giovani.<br />

Chino sulla spoglia paterna, egli ne lavava la ferita mortale e le macchie<br />

di sangue che annerivano la bianca barba; poi gli chiuse gli occhi e<br />

la bocca, distese la gamba rimasta contratta, compose le braccia e le mani<br />

sul petto, baciò la fronte ancora tiepida, ricoperse la salma che andava<br />

irrigidendosi col pesante manto purpureo.<br />

«Veglialo, Dasa. Tu non hai perduto una parola degli ordini che ho<br />

dato. Sai quindi come marciano i nostri soldati. In questo momento la<br />

montagna sta per essere spartita tra loro e il nemico. Tre nuclei dei nostri<br />

gli vanno incontro, per le tre vie che esso può percorrere, protetti da una<br />

cortina di pattuglie che si distende per arrestarlo, attirarlo, confonderlo.<br />

Altri uomini raggiungono il versante orientale e si accingono a calare<br />

35


pei dirupi fino alla gola, all’ansa del fiume, dove il grosso dei nostri pare<br />

sia rimasto bloccato. È probabile che le colonne delle nostre truppe, che<br />

girarono le alture alle spalle e marciavano ieri verso la città, accortesi di<br />

essere rimaste isolate, tentino di tornare verso il fiume e sorprendano da<br />

tergo il nemico. Una catena di vedette farà pervenire qui tutte le segnalazioni.<br />

I tre reparti hanno ordine di inviare messi. Ho pensato anche ad<br />

attuare un buon servizio di esplorazione. Il tuo compito è semplice. Tu<br />

dovrai provvedere in modo che l’ala sinistra del nostro schieramento sia<br />

mantenuta libera e che la pressione del nemico venga attirata per quanto<br />

è possibile verso la nostra destra, e cioè verso qui. Questi tre giovani<br />

ti coadiuveranno. Dovranno bastarti. Io li conosco poco, ma penso che<br />

sapranno rendersi degni della mia fiducia. Dirameranno gli ordini che<br />

darai. Voi siete tutti ufficiali dell’esercito rinnovato, dell’esercito che saprà<br />

vincere, che saprà aprire la strada verso la città. Voglio che domani questa<br />

salma adorata vi riceva tutti gli onori. Tu, Sinina, seguimi, sei il mio<br />

portaordini. Preparati a scendere giù con me e a rifare tre o quattro volte<br />

la strada fino qui. Voi lo sapete già tutti che non si dormirà. Riposerete<br />

domani a sera, di là dai resti del nemico rovesciato e travolto. Chi dorme<br />

sarà inchiodato nel suo letto.»<br />

Lentamente egli tornò ad appressarsi al caduto e si piegò a baciare,<br />

sollevando un lembo del manto, quella bianca fronte. Immobili, i cinque<br />

ufficiali non staccavano gli occhi da lui. Poi si diresse verso il fondo della<br />

sala, dove giacevano i corpi dilaniati delle due donne.<br />

«Si muove ancora!» esclamò, curvo su una di esse «Come lotta! Come<br />

resiste la vita!»<br />

Egli accarezzò la testa della morente. Soggiunse:<br />

«La riconosco. Si chiamava Cloe. Era tanto, tanto piccina quando io<br />

venni qui adolescente, e suo padre la batteva sempre…»<br />

Della sua bocca il carnefice aveva fatto orribile scempio. Sul seno le si<br />

irrigidiva, contratta, la rozza mano dell’altra vittima.<br />

«Io vado, Dasa» Jarag riprese «a raggiungere il mio posto, che è, come<br />

indovinerai, dove si combatte. Sappi essere degno della fiducia che in te<br />

ho riposto. Il tuo silenzio contiene più che un giuramento.»<br />

Quando egli passò dinanzi a loro per uscire, essi tornarono ad inginocchiarsi;<br />

quindi lo seguirono finché poterono per la radura. Le faci accese<br />

per rischiarare il sentiero al suo cavallo si spegnevano alle ventate gelide,<br />

recanti neve, ma Dasa e i suoi le riaccendevano e tornavano a far luce,<br />

proteggendo la fiamma con le palme delle mani, alte levandole con le fascine<br />

crepitanti, come un’offerta. Poi, allorché l’ombra del giovane capo<br />

fu impercettibile, essi si abbracciavano l’uno con l’altro mutamente, a<br />

36


ciglio asciutto e, rientrati nella villa, si disposero ad eseguire quanto aveva<br />

loro comandato.<br />

Il cavallo, tranquillo sotto la sua mano, attraversava di buon passo<br />

lo stretto sentiero, tracciato nella boscaglia. Ad ogni più forte ventata il<br />

fragore degli alberi mossi si accentuava. Sulle foglie battevano ora la pioggia,<br />

ora spruzzi di nevischio, ma Jarag procedeva all’asciutto, guidando<br />

come per luoghi familiari il suo cavallo. Proprio alla coda era il mobile<br />

collo dell’altro, che seguiva di contatto il compagno nella tenebra. Come<br />

il ripido viottolo, scendendo, piegava lungo il versante della montagna,<br />

apparve ad una svolta la valle immensa, senza fondo, tutta chiusa da ogni<br />

lato da sagome nere di monti, appena discernibile pel cielo illune. La<br />

bufera, ora imminente, ora lontana, coi suoi vividi soffi toglieva il senso<br />

della forestale solennità, poiché versava a torrenti la vita dall’alto fin giù,<br />

verso le gole profonde, dove tutta una gente – migliaia di inermi, di pavidi<br />

e di deboli – attendeva la sorte o era già forse preda del nemico.<br />

Da una macchia sbucarono, più tardi, due uomini intimando di fermarsi<br />

ma subito lo riconobbero e tornarono a scomparire tra le fronde.<br />

Un’altra pattuglia vigilava ad un incrocio di sentieri incassato tra le balze<br />

su cui si arrampicavano fitti gli alberi là dove il bosco di querce cedeva il<br />

passo a quello di sugheri. Le fiamme di un buon fuoco si levavano, alte<br />

quanto i due soldati, tingendo di rosso, col riflesso, le loro ampie tuniche.<br />

Jarag fermò il suo cavallo. L’ufficiale che lo seguiva si arrestò dietro a lui.<br />

«Da quanto tempo sono passati»<br />

«È una mezz’ora.»<br />

«Avete notato segni nemici»<br />

«Nulla.»<br />

«Spegnete il fuoco. Può tradirvi, o incendiare il bosco, o addormentarvi:<br />

non lo voglio.»<br />

Egli proseguì lungo il più largo sentiero e per un pezzo i due soldati,<br />

mentre soffocavano il fuoco, litigarono rimproverandosi a vicenda di<br />

averlo acceso e studiando il modo con cui avrebbero dovuto giustificarsene.<br />

Là dove il sentiero piegava seguendo la curvatura della montagna, Jarag<br />

risolutamente spinse il cavallo per una ripida accorciatoia, che fendeva<br />

il precipizio fino alla pianura. Era buio ancora ed il cavallo, riluttante,<br />

si tirava indietro e irrigidiva le zampe; ma il suo padrone lo serrava e lo<br />

incitava e la discesa perigliosa, con l’abisso di fronte e rocce scabre ai fianchi,<br />

cominciò. Le unghie dei due quadrupedi scivolavano, in certi tratti,<br />

sulle erbe umide e intatte del viottolo. Essi avevano le orecchie tese ed<br />

37


ansavano. Li sferzavano i soffi gelati del vento e ai primi chiarori dell’alba<br />

la valle appariva sempre più fonda ed ampia, irrigidita sotto la neve.<br />

L’ultimo tratto dovettero percorrerlo a piedi. Giunti al piano, guadarono,<br />

a cavallo, il tortuoso e sassoso torrente che costeggiava le pendici<br />

onde erano discesi, poi, di galoppo, egli si slanciò verso destra, là dove<br />

sembrava che i monti e i colli si congiungessero formando ponte sul fiume<br />

largo e profondo. L’alba era livida e rigidissima. Tutto, all’intorno, era<br />

imbiancato dalla neve, nella quale affondavano le zampe dei due cavalli.<br />

Più paurosa sembrava ora, dal basso, la discesa che avevano fatta, pel viottolo<br />

da capre.<br />

Allo scalpitare dei cavalli uccelli ed animali da preda scesi dai boschi<br />

circostanti fuggirono, per tornarvi cautamente dopo il passaggio, da un<br />

punto dove giacevano resti umani, sui quali non avevano lasciato che la<br />

neve stendesse il suo manto. Era quello, forse, l’ultimo bivacco in cui la<br />

massa aveva sostato prima di inoltrarsi nelle gole all’ansa del fiume. Più<br />

avanti Jarag incontrò un branco di fuggiaschi, soldati quasi tutti, armati,<br />

sconvolti nelle facce livide e laceri.<br />

Egli li affrontò e chiese a colui che li precedeva:<br />

«Dove li guidavi»<br />

«Più avanti.»<br />

«Ma dove»<br />

«Alla salvezza.»<br />

«Tu sai dov’è la salvezza, dunque»<br />

«Innanzi a noi, alle tue spalle.»<br />

«Quanto dista da qui il luogo che dici»<br />

«Dio ce lo dirà.»<br />

«Tu credi Credi che Dio abbandonerà, come li hai tu abbandonati,<br />

quelli di laggiù per darti la strada»<br />

«Egli è dovunque.»<br />

«Non l’hai già percorsa questa valle Vi potrai incontrare quei rifugi<br />

che non c’erano quando l’hai risalita»<br />

«Saprò trovarli.»<br />

«Come hai fatto a fuggire»<br />

«Abbiamo ucciso quelli che ci accerchiavano.»<br />

«Allora tu dici che la salvezza consiste nel combattere e nel vincere.»<br />

«Lasciami passare.»<br />

«Ma per dove, cieco e sordo Due colonne di soldati sono dietro a me<br />

e hanno l’ordine di tagliare a pezzi quanti fuggiaschi incontrano. Se tu<br />

riuscissi a sfuggire loro, altri miei uomini isolati vi darebbero la caccia e<br />

vi sterminerebbero. A mille passi da qui vedrai i lupi e gli sparvieri che<br />

38


dilaniano gli avanzi di quegli stolti che hanno fatto come te. Vieni, torna<br />

indietro con me. Non temere fintantoché mi starai vicino. Noi lotteremo<br />

ma vinceremo.»<br />

«Sei tu dunque il nostro capo»<br />

«Se hai fede, se sei soldato.»<br />

«Sì, mio signore. Noi veniamo con te. Guidaci. Vogliamo essere comandati.»<br />

«E sarete i miei diletti, l’estrema guardia della patria che dobbiamo<br />

rifare. Questo giorno, questo incontro, quello che oggi accadrà sono scolpiti<br />

nella pietra. Seguitemi. Andremo incontro a chi non ci aspetta più.<br />

Che accadrà più tardi Tutto potrà accadere, ma certamente passeremo.<br />

Tra poche ore al nostro passaggio ciascuno sarà divenuto un soldato. Diverremo<br />

una massa enorme, possente, irresistibile che inghiottirà il nemico:<br />

un fiume più largo, più profondo, più puro, più travolgente di questo<br />

che ci incita da qui, che ci parlava quasi e che non avevamo saputo intendere.<br />

Cantate a guerra.»<br />

Allora quegli uomini non ebbero più né freddo né fame né sete e gli<br />

corsero appresso. Levavano gli inni della battaglia e l’eco li ripeteva lacerando<br />

l’aria e riempiendo tutta la conca di ritmi sonori. Alle spalle già<br />

i reparti composti sulla montagna nella notte toccavano la pianura ed<br />

avanzavano distesi a ventaglio in triplice fila. Jarag risalì l’ultimo tratto<br />

di pendio a ridosso dell’altura che chiudeva l’ansa del fiume e arrestò il<br />

cavallo apparendo, sopra il ciglio scosceso, sulla gola in cui i vinti erano<br />

stati ricacciati.<br />

Vide, per prima cosa, una testa umana, di vivo, senz’elmo, che sporgeva<br />

dalla parete a picco. Era curvata in basso, a spiare, negli ingrottati<br />

addentrantisi, fuori di mira, alle basi dell’altura, tra la roccia e l’acqua.<br />

Allora forzò innanzi il cavallo e lo inchiodò con le zampe anteriori su una<br />

sporgenza di poco più in basso. Tutto il tronco dell’animale e lui stesso<br />

rimasero protesi sul vuoto, in modo che non era più dato di ritrarsi al cavallo,<br />

che ormai si reggeva soltanto puntellandosi sul sasso con le zampe<br />

posteriori e col dorso, con tutti i muscoli contratti. L’intera parete era,<br />

quasi una spugna, forata da innumerevoli anguste buche, in ciascuna delle<br />

quali era annidato, come ragni, un soldato. Era ormai un giuoco, per<br />

essi, distruggere i superstiti nel loro ultimo rifugio, privo di profondità<br />

e contornato dalla corrente impetuosa del fiume. Gli uomini, le donne,<br />

i vecchi, i bambini si serravano disperatamente a tutti gli incavi che l’acqua,<br />

corrodendo, aveva fatto tra sporgenza e sporgenza alla base della<br />

roccia. Tuttavia gli assalitori non si abbandonavano all’ebrezza della vitto-<br />

39


ia, ma, silenziosi e guardinghi, scrutavano in basso, nell’oscurità ancora<br />

non del tutto diradata dall’alba, e quando un busto o un braccio, spinto<br />

innanzi dalla pressione degli altri, offriva il suo facile bersaglio, scoccavano<br />

la freccia. Erano, allora, gemiti seguiti talvolta dal tonfo della nuova<br />

vittima ghermita dalla corrente e un urlo di terrore si levava dalle grotte,<br />

ingrandito e deformato per gli echi. Altri facevano calare giù tizzi accesi;<br />

altri spedivano macigni che l’acqua inghiottiva con le sue mille fauci. Di<br />

fronte si ergeva la prua dell’altra montagna, di pietra compatta, questa, e<br />

non meno ripida della prima. Già drappelli di nemici, bramosi di vincere<br />

subito l’ultima, passiva resistenza della moltitudine pigiantesi in quelle<br />

tane mortali, vi si andavano trasferendo e si arrampicavano o si lasciavano<br />

calare, aggrappati ai ciuffi dei pini selvatici nascenti, lungo il suo pendio,<br />

in cerca di una posizione favorevole per un facile sterminio. Qualcuno<br />

rotolava nel precipizio.<br />

...<br />

40


II<br />

La Follia<br />

A<br />

Come di un albero, del quale non è discernibile la crescita e cresce<br />

intanto, così accadeva del già vasto palazzo. Di giorno, di notte, incessantemente<br />

si ingrandivano le sue mura, aumentava il numero dei piani<br />

e delle finestre, ingrossava la folla su e giù per le scale e per gli ascensori e<br />

si moltiplicavano i piccoli globi luminosi. Lo stesso avveniva del palazzo<br />

di fronte; lo stesso in quello antecedente e in quello subito dopo; lo stesso<br />

in quelli dirimpetto a questi ultimi. Lo stesso avveniva ancora e sempre,<br />

andando innanzi per la via o retrocedendo. Anche la via si allargava e,<br />

sopratutto, si allungava sempre più, all’infinito, innanzi e indietro, per<br />

quanto si camminasse. Le sue due estremità procedevano come fa l’orizzonte<br />

di pari passo con l’osservatore e, simili all’ombra che il nostro corpo<br />

proietta, erano irraggiungibili. Fiumane di popolo escivano senza posa<br />

dagli innumerevoli maestosi androni e formicolavano, una in un senso,<br />

una nell’altro, mentre altrettante ne entravano negli stessi androni. Le<br />

due gonfie, larghe ed impetuose correnti umane procedevano quasi correndo,<br />

rigurgitando sui marciapiedi. La carreggiata interposita nereggiava<br />

di veicoli solcantila una metà in un senso, l’altra nell’altro, tra immenso<br />

clamore. Ora corrono essi veloci, ora si arrestano, tutti insieme. Riprendono<br />

la corsa e scivolano gioiosamente in innumerevoli file tortuose, innanzi,<br />

innanzi, ed ecco si arrestano ancora. Solo il clamore non ha soste.<br />

Dai tetti, d’onde la via appare come il fondo di un profondo pozzo ed<br />

insetti gli uomini, mille e mille dense colonne di fumo s’innalzano al cielo<br />

basso e pesante.<br />

Tale era la via sconfinata, tale il suo sviluppo, tale la sua vita. Simile<br />

vita, simile incessante sviluppo ferveva nella via parallela, alla sua sinistra.<br />

E lo stesso era di quella alla sua destra e di quelle che le tagliavano, una<br />

dopo l’altra, quali onde innumerevoli, in migliaia di enormi dadi, e di<br />

quelle che queste ultime pure tagliavano; ché tante erano tutte queste vie<br />

e così accompagnantisi ed intrecciantisi le une con le altre come è delle<br />

rughe sul ginocchio di un bambino. E da ciascuna di esse si levava sempre


lo stesso incessante clamore e la stessa selva di rabbiose colonne di fumo<br />

da ciascuno degli innumerevoli altissimi tetti verso il cielo basso e pesante.<br />

A notte il latte delle innumerevoli luci inondanti uniformemente tutte<br />

quelle vie, tutti quei crocicchi, tutti quei palazzi, tutti quegli alberghi,<br />

tutte le finestre fugava le tenebre perfino nel cielo. Sotto le strade, sotto<br />

le acque profonde dei fiumi treni sovraccarichi di gente d’ogni colore si<br />

inseguivano in ogni senso e la terra ne tremava. Pure sulle case neri treni<br />

in corsa laceravano l’aria; e rombavano, a tratti, al loro passaggio, quali<br />

immense conchiglie, le volte dei mille teatri gremiti mentre le veloci e<br />

fragorose sagome nere spegnevano via via nella marcia le infinite insegne<br />

luminose che si riaccendevano l’una dopo l’altra man mano che la mole<br />

passava oltre. All’alba le acque del fiume riprendevano il loro verde colore<br />

e pesanti ondate in ogni verso e la candida spuma lasciate dalle eliche<br />

innumerevoli sembravano i segni di lotte di immani mostri marini nelle<br />

profondità, mentre navi d’ogni dimensione andavano e venivano senza<br />

posa attorno alla città come sciami.<br />

Dove questa non può oltre procedere, dai suoi fianchi partono e si<br />

immergono a piombo nell’acqua gli sproni delle calate. Affiancata a ciascuno<br />

di essi è una nave: fa la discarica; poi la sua stiva e le sue cabine si<br />

riempiono, salpa le ancore e riparte. Un’altra nave si avanza: si svuota,<br />

ricarica, salpa, parte; un’altra nave ne occupa il posto e così via notte e<br />

giorno, sempre. All’altra estremità della stessa calata, su cui si elevano<br />

montagne di merci tra il formicolare dei lavoratori, le navi si succedono<br />

con il medesimo ritmo febrile, tra i rumori degli argani e delle grue<br />

sempre in azione e migliaia di ululati delle sirene. Ma un’altra calata si<br />

protende alla sinistra e un’altra alla destra. Due navi sono attaccate alle<br />

opposte estremità di ciascuna di esse. E altre calate ancora si susseguono<br />

innumerevoli da una parte e dall’altra e a ciascuna si affiancano ai lati<br />

due navi. Tutta l’intera città è stretta così da questa selva di piroscafi<br />

fumanti che sugge con innumerevoli labbra di fanciullo le linfe onde<br />

essa come gonfia mammella rigurgita. Il pelo dell’acqua tutto intorno<br />

agli scafi è pieno di polvere di carbone e di rifiuti. Su tutte le tolde, sugli<br />

sbarcatoi, perfino sugli infiniti alberi delle navi e sulle ragnatele del sartiame<br />

è un andirivieni incessante di uomini rimpiccioliti. Innumerevoli<br />

fumaiuoli mandano nubi di sporco vapore. L’aria è impregnata del sentore<br />

dell’acqua, del catrame, delle alghe, delle cucine. Si ode il tintinnio<br />

delle campane di bordo e attorno alle navi ronzano a migliaia imbarcazioni<br />

di ogni specie.<br />

Ma non è tutto ancora. Di là dal fiume, nel centro del quale sorge come<br />

lussureggiante ninfea l’isola insonne sono, lontane lontane, due rive.<br />

54


Ecco l’una di esse: termina pure con un immenso rastrello di calate entro<br />

cui si impigliano le navi, due ad ogni dente, notte e giorno. E dietro<br />

le calate sta la terraferma, brulicante di altri milioni di uomini di ogni<br />

razza, di treni e di veicoli senza fine, popolata di palazzi, di teatri e di<br />

alberghi senza fine, di strade senza fine, di fumanti comignoli senza fine,<br />

inondata, la notte, di latteo splendore, sempre risonante di rumori senza<br />

fine. Ed ecco l’altra riva: pure questa termina con un immenso rastrello<br />

di calate piene di navi stracariche. Pure qui l’acqua non ha posa, ché la<br />

mordono le eliche e le turbine e la fendono le prore ed i remi. Dappertutto<br />

si accavallano ondate pesanti e si leva bianca schiuma come criniere<br />

di cavalli marini. E dove il traffico navale non può oltre penetrare innumerevoli<br />

schiere di palazzi si susseguono all’infinito e tra l’una e l’altra,<br />

profonde come pozzi, si stendono vie infinite, brulicanti di gente di ogni<br />

colore che corre, corre innanzi a sé, in un senso e nell’altro, e treni lacerano<br />

l’aria sopra e sotto la terra e file sterminate di veicoli scivolano<br />

gioiosamente sull’asfalto; poi si arrestano, tutte insieme; poi riprendono<br />

la corsa, inseguendosi, cercandosi, chiamandosi col suono di milioni di<br />

trombe. Ma non è tutto ancora…<br />

1<br />

Germi invisibili producevano ancora e ancora nuovi fabbricati e nuove<br />

strade e queste si allargavano come d’inverno i fiumi in piena e si allungavano<br />

sempre più. Il fumo si levava al cielo in innumerevoli colonne,<br />

il clamore penetrava dappertutto come sabbia di scirocco e torrenti di<br />

popolo si inseguivano per ogni dove.<br />

2<br />

L’acqua s’inoltra invadente intorno alla pietra. La pietra si protende<br />

quanto può verso l’acqua. Nulla le disgiunge: dove non è acqua vi ha<br />

pietra, dove non vi è pietra vi ha acqua. Eppure, avvinte come sono,<br />

un abisso separa l’una dall’altra e mai si penetreranno esse l’una con<br />

l’altra.<br />

3<br />

Tu puoi tutto, dunque Ebbene, prendi il legno di questi alberi, sradicali<br />

da questi scafi, ripiantali nella terra più fertile e aspetta che le loro<br />

radici ricrescano e che i loro tronchi si rivestano di foglie.<br />

55


4<br />

Dove tutto bolle e ribolle come farai bollire la bollente acqua in una<br />

pentola Con quali carboni accenderai il fuoco come sarà questo fuoco<br />

quale acqua raccoglierai e come bollirà<br />

«Che fate qua»<br />

«Lavoriamo.»<br />

«E a qual fine»<br />

«Per gioire.»<br />

«Comprerete coi vostri guadagni di che vivere.»<br />

«No.»<br />

«È possibile»<br />

«Così è.»<br />

«Che dite mai»<br />

5<br />

6<br />

Egli pensa a te, è certo. E tutti pensiamo a te, perché egli è in tutti<br />

noi.<br />

7<br />

Ed egli saprebbe svellere, una ad una, queste pietre e sprofondarle<br />

nell’acqua; e rifarti la stessa, o forse ancora migliore, sol che Dio lo voglia.<br />

8<br />

Ascendi questa estrema rupe solitaria. Ecco stendersi innanzi a te l’ocea -<br />

no. Scrosciano le onde infrangendosi sulle scogliere e sferzano la carena<br />

della barca da pesca tirata a riva.<br />

9<br />

Puoi chiudere gli occhi in modo da vedere una cosa sola, un solo punto<br />

di questa cosa due, tre<br />

56


10<br />

Tessi piume di aquila e di tacchino delle praterie e fanne una raggiera,<br />

a mo’ di diadema.<br />

B<br />

Laggiù era l’acquitrino, stendentesi sotto la roccia impervia. In alto si<br />

protendeva l’estremo lembo della città. Guazzavano nella mota piccole<br />

anitre nere e trampolieri e oche e cigni. Lontano lontano erano le praterie<br />

brulicanti di cavalli e di bovi al pascolo, tra capanne e pagliai.<br />

Le sbarre di una gigantesca cancellata calavano a picco nella maremma<br />

lungo il dirupo con cui terminava, da quella parte remota, la città<br />

sprofondando nel fango nero dell’acquitrino. Qui, tra acqua e roccia, innumerevoli<br />

bambini, sporchi alcuni di fango, insanguinati altri, altri ancora<br />

gocciolanti latte e sudore strillavano e ridevano sbucando fuori dalle<br />

anfrattuosità della roccia e si arrampicavano sulle sbarre della cancellata.<br />

Ricadevano gli uni sugli altri e ritentavano tra un andirivieni incessante di<br />

nuovi giunti e di scoraggiati che si davano alla fuga incespicando e invocando<br />

le madri. Le madri, esauste, giacevano seminude nella fanghiglia.<br />

Loro accanto erano padri estenuati dalla fame, accovacciati presso le mogli<br />

sanguinanti. Una donna robusta, dalle turgide mammelle tentennanti<br />

sul ventre, inseguiva i piccini guazzanti nel fango e, via via che ne ghermiva<br />

uno, due, se li caricava addosso, riluttanti e strillanti, e andava a tuffarli<br />

in un largo mastello pieno di latte. E quelli, divincolandosi, le sfuggivano<br />

tra le gambe o la mordevano o le strappavano i capelli scarmigliati e<br />

accorrevano ancora verso la cancellata e vi si arrampicavano ancora. Per<br />

uno che ne cadeva tre altri si inerpicavano per le sbarre arroventate dal<br />

sole. E salivano, salivano; poi, giunti a metà, ruzzolavano o precipitavano<br />

a capofitto nella creta molle, aprendovi buche subito colme d’acqua. Si<br />

vedevano dappertutto gli sgambettii di quelli che cercavano di svincolarsi<br />

e di rialzarsi. Molti di questi piccoli bolidi di carne vivente piombavano<br />

sulle madri gementi e malate. Altri formicolavano in mezzo al carnaio, insensibili<br />

alle grida di dolore, tutti presi dal giuoco. Ma qualcuno dormiva,<br />

appollaiato sul seno della madre, entrambi coperti di mosconi insistenti e<br />

ronzanti. Tre o quattro tacchini, dei più audaci, finivano, al margine del<br />

doloroso bivacco, col loro becco crudele un bambino ferito e dimenticato<br />

che non poteva gridare e reagiva, cieco ormai, movendosi solo debolmente<br />

ad ogni nuovo strappo fatto nella sua carne. Tenaci e serrati duravano i<br />

tentativi dei piccoli per la scalata alle cancellate.<br />

57


Ad un certo punto parve che ad uno sforzo maggiore dovesse arridere<br />

buona sorte, poiché i minuscoli assalitori avevano già superato due terzi<br />

dell’inferriata e raddoppiavano di lena. Ma grida di atterriti si levarono<br />

all’improvviso e si videro molti di quelli che erano più in alto abbandonarsi<br />

nel vuoto o rotolare giù traendosi seco quanti stavano sotto di loro.<br />

Lassù, dietro la cancellata, sulla strada che ne era chiusa, una grossa bestiale<br />

forma d’uomo si disegnava dietro le sbarre della cancellata. Con una<br />

spranga di ferro percuoteva le dita dei bambini più prossimi ed i colpiti<br />

si lasciavano andare giù a capofitto. Allora, nel basso, vari uomini finalmente<br />

si scossero dal torpore e facendosi strada tra il brulichio infantile<br />

raggiunsero la cancellata e ne afferrarono disperatamente le sbarre e le<br />

scuotevano con tutte le loro forze. Furibonde imprecazioni salirono fino<br />

all’uomo della strada, che si ritrasse. Gli uomini imprecarono a lungo e allontanavano<br />

i bimbi che, in nuove ondate, si avventavano ancora accaniti<br />

contro il ferreo ostacolo. Poi, sfiniti, si ritrassero d’onde erano venuti ed<br />

alcuni non ebbero neppure la forza di farlo e si abbatterono pesantemente<br />

sul posto. Allora bambini bambini e bambini accorsero di nuovo alle<br />

cancellate e si iniziò una nuova scalata. Salivano essi arrampicandosi sulle<br />

spalle di quanti tra loro si prestavano a fare da scalino ai propri compagni.<br />

I piedini scivolavano sugli spigoli delle sbarre e si scorticavano. Il sangue<br />

colava dall’alto sui dorsi rettangolari dei piccini che stavano sotto e i ferri<br />

vibravano trattati da innumerevoli pugni e dalle innumerevoli gambe che<br />

vi stavano avvinte. Di nuovo la vittoria si disegnò vicina. L’uomo di lassù,<br />

la guardia crudele e bestiale, non ricompariva e gli sforzi si facevano più<br />

serrati e più efficienti. Di quando in quando una delle madri debolmente<br />

richiamava il suo nato e le altre la imitavano. Ma lo sforzo era inane e le<br />

fioche voci rimanevano senza effetto e senza risposta. Torvi gli uomini si<br />

volgevano lentamente a guardare l’immensa cancellata formicolante di<br />

piccole creature umane ma le loro teste dalle guance emaciate ricadevano<br />

sui petti e le palpebre calavano sugli occhi brucianti.<br />

Lassù l’uomo di guardia stava ora un po’ indietro e discosto dalla cancellata<br />

per non farsi vedere. A tratti il suo tozzo dorso si piegava innanzi<br />

ed egli sbirciava in basso con gli occhietti neri affondati nelle rosse gote<br />

enfiate e purulente. E subito si ritraeva. Cominciava a giungere fino a<br />

lui l’ansimare dei respiri accompagnato dai piccoli singulti di chi rinnova<br />

la lena e si contrae nello sforzo. Allora egli si mosse e scomparve nel<br />

piccolo casotto di legno che sorgeva su un fianco della via abbandonata<br />

ed erbosa. Sulla carreggiata non vi erano che poche galline. Le imposte<br />

e le finestre delle misere case basse erano serrate e nessuno si affacciava,<br />

nessun rumore ne proveniva. La nebbia leggera velava e nascondeva<br />

58


l’immensa città senza tregua e senza riposo tumultuante appena un miglio<br />

più innanzi.<br />

Sul margine della strada apparvero tante manine aggrappate. Poi si videro<br />

dei polsi, dei fragili avambracci, le prime testoline ricciute. Scoppi di<br />

risa argentine si levavano sull’ànsito dei piccoli petti affaticati. E la marea<br />

saliva, saliva. I più animosi apparvero infine, le bocche e gli occhi spalancati,<br />

sul livello della strada e continuarono ad arrampicarsi per doppiare le<br />

punte acuminate dell’alta cancellata. Ma l’uomo sbucò dal casotto, goffo<br />

nel suo abito bleu dai larghi calzoni che svolazzavano al vento. Teneva<br />

indietro il collo e la grossa pancia protesa sotto il peso di un bidone che<br />

trasportava stretto con entrambe le braccia. Risero più forte quei piccoli,<br />

già in alto, e strillarono di terrore quanti se lo videro incontro. Ed egli<br />

rovesciò getti di benzina su tutta quella rosea carne, sulle testine ricciute;<br />

poi, come il bidone, vuotandosi, alleggeriva, versò il resto lungo le sbarre<br />

della cancellata e tutto fu intriso del liquido acutolente.<br />

Per un istante l’uomo sostò ad abbracciare coi piccoli occhi suini il<br />

quadro tumultuoso dietro la ingabbiatura della cancellata. Poi lentamente<br />

avanzò verso quell’infanzia gioconda che ora più non lo temeva. Ed<br />

una manina impertinente si allungò tra le sbarre e gli tolse il berrettino<br />

bleu dalla lucida e nera visiera e lo lanciò nel vuoto, sulla distesa di mota<br />

e di spuma seminata di padri e di madri agonizzanti. Non si scompose<br />

egli. Solo le sue labbra accese si protesero e i grossi neri baffi si agitarono.<br />

Un’altra manina sbucò tra due piccole natiche paffute e piene di fossette<br />

e si aggrappò come le branche di un granchio sulla fitta spazzola dei suoi<br />

capelli. Egli si svincolò, disse con voce gutturale qualche parola che non<br />

fu compresa, toccò con la destra, curvandosi un poco in avanti, la sbarra<br />

dell’inferriata che gli era più vicina e si ritrasse, d’un salto. Si levarono<br />

subito grida laceranti ed azzurrognole nuvolette, ma non si vedevano<br />

fiamme perché il sole le mangiava. Immediatamente si fecero larghi vuoti<br />

nei grovigli di bimbi, poiché molti di essi abbandonavano la presa e precipitavano<br />

nel vuoto bruciando come torce viventi, chi comprimendosi<br />

la testa, chi gli occhi. Il lezzo delle carni bruciate soverchiò presto l’alito<br />

della benzina.<br />

L’incendiario guardava, ora inebetito ora crudele, immobile ad un passo<br />

dalle inferriate fumanti. Ma dai due lati di queste gruppi di bambini<br />

riuscirono infine a calare illesi nella strada e gli si avventarono addosso.<br />

Egli ebbe tempo di chinarsi, di brandire ancora il bidone, di lanciarne gli<br />

ultimi spruzzi sul più vicino, di dargli fuoco, e si diede a fuggire. Tutto<br />

avvolto nelle fiamme il bambino fece, saltellando, urlando, due, tre passi,<br />

ultima resistenza; poi soggiacque, riverso sotto il marciapiede. Dalle gu-<br />

59


glie ormai violate altri bimbi calavano ormai incessantemente e inseguivano<br />

il mostro lungo la strada solitaria. Egli correva, ansimante. Si rifugiò<br />

in un lupanare, asserragliando la porta, presso una meretrice che lo conosceva<br />

e non lo voleva. Fuori tentavano di forzare la porta. Si lanciavano<br />

sassi contro le finestre e i vetri cadevano infranti. Si udirono intimazioni<br />

di poliziotti, scalpiccìi sui tetti, usci chiusi impetuosamente, voci concitate,<br />

andirivieni per le scale, richiami. La porta verde, scardinata, si abbatté<br />

sulla folla e pel varco buio e puzzolente apparvero nel lupanare uomini<br />

armati e stravolti.<br />

Ma già l’incendiario e la meretrice erano lontani. Scalavano la roccia,<br />

pel sentiero di contrabbandieri che ella conosceva. Una pioggia di calcinacci<br />

e pietre e rottami piovevano sulle loro teste dalla casa posta a soqquadro<br />

e saccheggiata ed egli la incalzava, bestemmiando. Sotto di loro<br />

era l’acquitrino pieno di agonizzanti e di oche e di anitre e di tacchini e,<br />

lontano lontano, la prateria sconfinata, la salvezza.<br />

C<br />

A tarda sera essi sostarono sotto un albero, in un campo mietuto, e si<br />

assopirono. Era l’alba quando si svegliarono, oppressi da un calore soffocante<br />

come quello delle terre africane.<br />

Ella guardò il suolo arido e bisbigliò atterrita:<br />

«Guarda come il terreno si fende in mille crepacci neri! Ho tanta<br />

paura!»<br />

Egli guardò, trasognato.<br />

«Che orrore! Non vedi Ancora se ne aprono, silenziosamente. Quelli<br />

già aperti si allargano e pare come se ne escano lingue di fuoco…»<br />

Egli guardò ancora, girando intorno pel vasto campo la testa appesantita.<br />

Ma, repentinamente, entrambi balzarono in piedi. Dinanzi a loro uno<br />

di questi crepacci si allargava lentamente e sembrò come se qualche essere<br />

vivente si muovesse là dentro. Poi essi udirono un sibilo e un occhio<br />

tondo e nero li fissò. Dalla bocca della fessura emerse la testa di un grosso<br />

serpente, dalla lingua rossa e vibrante come una fiamma al vento. Essi indietreggiarono,<br />

pieni di ribrezzo, mentre il serpente sguisciava fuori lentamente,<br />

così che pareva fosse interminabile.<br />

...<br />

60


avieri<br />

Nella stessa collana<br />

Arno Schmidt, Dalla vita di un fauno<br />

Marco Palasciano, Prove tecniche di romanzo storico<br />

Maurizio Rossi, Mare Padanum<br />

Walter Kempowski, Tadellöser & Wolff. Un romanzo borghese<br />

Arno Schmidt, Brand’s Haide<br />

Giovanni Cossu, Turritani<br />

Gherardo Bortolotti, Tecniche di basso livello<br />

Arno Schmidt, Specchi neri


Antonio Pizzuto (Palermo, 1893 – Roma,<br />

1976) è il narratore forse più originale<br />

del nostro Novecento. Cresciuto in<br />

una famiglia di tradizioni umanistiche, si<br />

laureò in giurisprudenza e quindi in filosofia,<br />

svolgendo la carriera di funzionario<br />

di polizia, conclusa nel 1950 con il grado<br />

di questore. Dopo la pensione si dedicò<br />

interamente alla scrittura, producendo<br />

una serie di opere memorabili per audacia<br />

strutturale e perfezione stilistica, che meritarono<br />

l’ammirazione di Butor e Contini.<br />

Fra esse si ricordano Sul ponte di Avignone,<br />

Rapin e Rapier, Così, Signorina Rosina,<br />

Si riparano bambole, Ravenna, Paginette,<br />

<strong>Sinfonia</strong>, Testamento, Pagelle, Ultime<br />

e Penultime Giunte e virgole, Spegnere<br />

le caldaie. Dopo un ventennio di “oscuramento”,<br />

Pizzuto è stato negli ultimi anni<br />

oggetto di una riscoperta che ha portato<br />

alla ristampa di varie opere, alla pubblicazione<br />

di molti inediti e di numerosi<br />

epistolari.


Era un’enorme testa umana, del verde colore delle patine<br />

antiche, dalla chioma incolta, dalla pelle dura, che il sole<br />

e il sale avevano ispessita e bruciata. Come l’aria calda<br />

e pesante prosciugava l’acqua nei solchi profondi delle<br />

rughe, incrociantisi in ogni senso sulla sua larga fronte,<br />

essa si immergeva nel mare. Allora le ciocche prolisse e<br />

spesse dei suoi capelli, dopo avere fluttuato un po’ sotto il<br />

pelo dell’acqua, come le matasse delle alghe attaccate sui<br />

bassifondi, scomparivano lentamente nell’azzurro.<br />

ISBN 978-88-89312-60-5<br />

€ 15,00 (i.i.)<br />

isbn 978-88-89312-60-5<br />

9 7 8 8 8 8 9 3 1 2 6 0 5

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!