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IL RACCONTO DI BACICCIA<br />
Be’già, per dire: Bainzu, aveva due soli difetti. Eiaculatio<br />
precox e una stringente necessità di farsene una al giorno.<br />
Era talmente grave la sua patologia sessuale che mai gli venne<br />
data la possibilità di mettere in atto l’unica pratica allora<br />
conosciuta per il controllo delle nascite: il coitus interruptus.<br />
Conseguenza di tutto questo, una casa piena di figli e, pur<br />
essendo un bravo falegname, la miseria più nera. Tanto da<br />
non aver soldi nemmeno per comprare i chiodi. Il suo lavoro<br />
lo portava avanti con l’unica cosa che possedeva: una sega.<br />
Gliel’aveva lasciata suo padre, maestro Costantino, anche lui<br />
falegname. Vista l’importanza della sega, non la prestava mai<br />
a nessuno, neanche ai parenti. Anche se, in quel caso, come<br />
al solito, la moglie non poteva fare a meno di intervenire: «E<br />
dagliela Bai’. E dalla. Dalla. Che non se la mangiano». Ma<br />
non c’era niente da fare. La sera, finito il lavoro, l’appendeva<br />
a un chiodo, in cucina, e la guardava come fosse innamorato<br />
di lei. Non si saprà mai cosa gli è preso, quella sera, ad Agostino<br />
– il figlio più piccolo di Be’già: quello che frequentò per<br />
qualche hanno le scuole serali, prima di essere assunto come<br />
cantoniere – che, scritto un biglietto lo attacca sotto la sega<br />
appesa alla parete di cucina, come fosse un nome di quadro o<br />
di opera d’arte moderna quale aveva visto in qualche libro:<br />
DALLA. LA SEGA DI FAMIGLIA DI BE’GIÀ<br />
Bainzu, non tanto per lo scherzo in sé, ma per l’uso spregiudicato<br />
di quel soprannome da parte del figlio, e per giunta