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Messo su carta nel 1985, questo racconto<br />
lungo è l’esito di una traduzione<br />
impossibile: racchiuso nella cintura di<br />
Porto Torres e partorito dalla furia onomastica<br />
dei suoi abitanti, quei turritani<br />
dal sarcasmo acuminato, il testo-fonte<br />
sprigiona beffe di segno boccacciano (è<br />
cionfra, in sassarese, la voce per ‘coglionatura’).<br />
Nelle parole dell’autore il libro<br />
sfida la propria forma: «Solo di questo<br />
infatti si trattava: come rendere credibile<br />
in altra lingua il vero spirito di <strong>Turritani</strong>a».<br />
Fuoruscito da una Sardegna di<br />
gesti arcaici, Giovanni Cossu ne ricostruisce<br />
la storia, proiettando dell’Isola<br />
un’immagine tribale e mitica in cui onnipresente<br />
è la mancanza di un altrove,<br />
di un orizzonte. I personaggi, Tìtto Tauro,<br />
Gio’condo, Ottantasette, che nella<br />
narrazione collettiva subiscono il medesimo<br />
destino «spersonalizzante e ripersonalizzante»,<br />
prendono corpo da un manoscritto<br />
ritrovato – come nel più classico<br />
degli artifici narrativi. Instaurando<br />
un dialogo a distanza con il Gadda della<br />
Cognizione – opera di cui l’Isola, insieme<br />
alla Brianza e all’America del Sud,<br />
rappresenterebbe il terzo strato geologico<br />
– la sintassi spericolata di <strong>Turritani</strong> sottopone<br />
alla prova di resistenza una nota<br />
pointe di Sterne: «incomincio a scrivere<br />
la prima frase—e mi affido a Dio Onnipotente<br />
per la seconda».