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Piove, e vi siete lasciati alle spalle i cancelli del porto.<br />
Alle spalle la vecchia torre, ormai supporto umile al faro,<br />
e l’antica colonna, cippo che segna l’inizio della strada che<br />
attraversa l’Isola. Da poco avete imboccato il Corso, ma la<br />
pioggia non cessa, e vi costringe a cercare rifugio in un bar,<br />
appena più avanti, sulla vostra destra. Dentro notate che<br />
non c’è alcun movimento al banco. Solo nel mezzo del locale<br />
un folto gruppo di persone attorno allo stesso tavolino.<br />
Date uno sguardo a quelle figure, indifferenti alla vostra<br />
presenza, mentre andate a sedervi, discosti, in un angolo in<br />
fondo alla sala.<br />
Iniziate a percepire altro: non ci sono conversazioni lì.<br />
Un’unica voce sembra recitare qualcosa, difficile da capire.<br />
L’atmosfera vi pare strana, abbastanza da farvi intuire che<br />
non è il caso di chiamare ad alta voce il ragazzo del banco per<br />
ordinare da bere.<br />
Provate invece con i gesti della mano, a fatica perché anche<br />
lui, come gli altri, ha gli occhi fissi in un punto: la persona<br />
che parla, al centro del gruppo.<br />
Succede quel che vi sareste dovuti aspettare. Il ragazzo se<br />
ne accorge solo quando, per un momento, le parole cessano,<br />
interrotte dallo stridio metallico di una sedia smossa. Ma non<br />
è che si precipiti, al contrario, sembra concentrarsi ancora di<br />
più su quel punto, quasi avesse timore di perderlo, mentre in<br />
silenzio, quasi con fastidio, si porta verso di voi.