Il futuro demografico dell'Italia - Dipartimento di Economia politica
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creando nei paesi della Sponda Sud Est del Mediterraneo una crescita della popolazione in età lavorativa, e quindi dell’offerta potenziale di lavoro, di gran lunga maggiore di quella che avrebbe potuto essere assorbita dalla crescita economica. Il secondo era quello di evidenziare le forti relazioni tra andamento demografico e la performance del mercato del lavoro. Per quanto riguarda il primo punto presentai, a partire dal 1987, delle stime del numero di posti di lavoro che le economie del Mediterraneo avrebbero dovuto creare per mantenere inalterato il proprio tasso di occupazione e del tasso di crescita necessario per raggiungere tale obiettivo. Tra il 1982 ed il 2000 i diciotto paesi del Mediterraneo avrebbero dovuto creare 31,5 milioni di posti di lavoro, ma ben l’81,9%, pari a 25,8 milioni, avrebbe dovuto essere localizzato nei paesi della Sponda Sud-Est. Di contro il fabbisogno dei 12 Paesi della CEE era valutabile, per il periodo 1985 - 2000 in circa 1.850.000. Ciò implicava che la crescita media annua del PIL necessaria per soddisfare il fabbisogno occupazionale dei Paesi della Sponda Sud Est del Mediterraneo era del 9,3%, nel caso di una elasticità occupazione - prodotto dello 0,3%, e del 5,6%, nel caso di una elasticità dello 0,5%. Nelle stesse ipotesi i tassi di crescita dei paesi della Sponda Nord risultavano pari a 1,7% ed 1% e quelle dei dodici paesi della CEE a 0,4% e 0,2%. Era quindi evidente che nei 15 anni successivi i paesi della Sponda Sud Est avrebbero accumulato un forte potenziale migratorio 150 e che almeno alcune regioni dei paesi europei sarebbero riuscite a riassorbire la propria disoccupazione e avrebbero avuto bisogno di importare manodopera da altre aree. Per quanto riguarda il secondo punto, ricordavo che il rapporto tra andamento demografico, crescita economica e mercato del lavoro ha da sempre diviso gli studiosi. Nel 1937 Jonh Maynard Keynes sostenne che un calo demografico poteva condurre ad una caduta della domanda aggregata 151 . Subito dopo Kalecki espresse una diversa opinione: “Some scholars have maintained that in increase in population stimulates investment because entrepreneurs can count on an expansion of the market for their products. What is important in this context, however, is not an increase in the population but an increase in purchasing power. An increase in the number of paupers does not enlarge the market” 152 . Settanta anni dopo l’enunciazione di queste visioni antitetiche da parte di due dei maggiori economisti del XX secolo, le opinioni rimangono divise. D’altra parte, una rassegna delle principali analisi empiriche effettuate tra il 1962 ed il 1985 153 evidenziava come solo 5 dei 23 studi avessero individuato un relazione significativa tra crescita demografica e sviluppo economico, di solito misurato dal PIL pro capite. In quattro la relazione era risultata negativa, in uno positiva. Inoltre, a parte lo studio effettuato da Chesnais 154 e che rilevava una correlazione negativa, il numero di paesi e l’intervallo considerato apparivano troppo esigui per considerare significativi i risultati ottenuti. Nel corso degli anni ‘80 la caduta della crescita demografica in tutti i paesi industrializzati attrasse l’attenzione degli studiosi di tutto il mondo 155 , un’attenzione più pronunciata e preoccupata di quella sollecitata dall’arrivo nel mercato del lavoro dei baby boomers degli anni ‘60. L’asimmetria di questa reazione ebbe certamente numerosi ragioni, non tutte pienamente confessate. Ciò che è certo è che mentre ci si aspettava che l’arrivo sul mercato del lavoro di coorti più numerose di quelle precedenti avrebbe avuto effetti negativi solo sui membri delle stesse coorti, era diffuso il timore che il calo demografico potesse portare ad una diminuzione della domanda aggregata ed a vincoli sull’offerta di lavoro che avrebbero potuto ridurre la capacità espansiva e prodotto un declino economico. Questi timori contribuirono 156 , fra l’altro, alla 150 La progressive perdita di importanza della componente mediterranea nei flussi migratori diretti verso il nostro paese a favore dei flussi provenienti dai paesi dell’Est e la loro articolazione su di un numero di paesi ormai largamente superiori a 100, mostra come l’ottica di quei lavori sia stata in parte miope. 151 J.M. Keynes, “Some economic consequences of a declining population”, Eugenics Review, n. 29, pagg.. 13-17, 1937 152 Kalescki (1937) 153 M. Bruni e A. di Francia "Squilibri demografici, crescita economica e fabbisogno occupazionale nei paesi del Mediterraneo dal 1950 al 2000", in Affari Sociali Internazionali, n. 1, 1990. 154 J.C Chesnais, 1985 155 Si vedano in particolare gli atti del convegno tenutosi a Stanford nel 1984: Kingsley Davis, Mikhail S. Bernstam and Rita Ricardo-Campbell (eds), Below-replacement fertility in industrial societies: causes, consequences, policies. Population and Development Review, Supplement to vol. 12, New York: Population Council, 1986. 156 Gli effetti attesi erano una riduzione della probabilità di trovare lavoro, una diminuzione dei salari e periodi relativamente più lunghi di disoccupazione; si veda Bloom, Freeman e Korenman, “The labour market consequences of generational crowding”, European Journal of Population, n. 3, pagg. 131-176, 1987. Altri studi dello stesso periodo 83
organizzazione di due importanti seminari. Il primo (Population Change and European Society) organizzato dalla CEE e dall’Istituto Universitario Europeo si tenne a Firenze nel 1988, il secondo (Demographic Influences on the Labour Market; 1990-2020), organizzato dall’OCSE, si tenne a Parigi l’anno successivo. In un paper presentato a Parigi, Blanchet e Tapinos espressero l’opinione che gli effetti della struttura demografica sul livello della disoccupazione meritavano attenzione, ma che essi non erano stati predominanti nel passato e non lo sarebbero stati neanche nel futuro. Essi concludevano, pertanto, che : • Relativamente agli ultimi trenta anni non era possibile isolare gli effetti dei trend demografici sulle principali variabili del mercato del lavoro (occupazione, disoccupazione, partecipazione) o rispetto a specifici problemi quali la disoccupazione giovanile o l’effetto della dimensione delle coorti; • Era impossibile stabilire se l’inversione dei trend demografici avrebbe avuto particolari ripercussioni sul mercato del lavoro. Le tesi da me sostenute erano totalmente opposte 157 . Esse si basavano prima di tutto su di una analisi dell’andamento della popolazione in età lavorativa, dell’occupazione e della disoccupazione. Tra il 1950 ed il 1985 la popolazione in età lavorativa dei dodici paesi della Comunità Economica Europea era passata da 171 a 215 milioni. I tassi di crescita avevano toccato un minimo negli anni ‘60 per poi aumentare progressivamente fino al 1980-85, quando la popolazione in età lavorativa era cresciuta di quasi due milioni all’anno. L’accelerazione della crescita della popolazione in età lavorativa era stata determinata, a partire dall’inizio degli anni 70, quasi elusivamente dall’aumento delle entrate. La forte crescita della popolazione in età lavorativa registrata tra il 1970 ed il 1985 (+23,6 milioni) era stata accompagnata da una crescita irrisoria dell’occupazione (0,5 milioni 158 ). Ritenevo quindi che non fosse sorprendente che il numero dei disoccupati fosse esploso, passando a 2,3 a 15,9 milioni. L’ovvia conclusione era che la disoccupazione era stata generata dall’incapacità del sistema economico di generare un numero di posti di lavoro coerente con la crescita dell’offerta di lavoro prodotta dall’andamento demografico. Una semplice regressione confermava, contrariamente all’opinione più diffusa, che andamento demografico e domanda di lavoro spiegavano molto bene l’evoluzione della disoccupazione in Europa 159 . Nel giugno del 1992 il Gruppo di Coordinamento per la Demografia, nato all’interno della Società Italiana di Statistica, organizzò un convegno dal titolo “Popolazione, tendenze demografiche e mercato del lavoro” 160 che consentì un interessante confronto tra demografi, economisti e sociologi sul rapporto tra demografia e mercato del lavoro. Nel paper che presentai in tale occasione 161 ebbi la possibilità di chiarire la mia posizione su alcuni temi che sono al centro anche di questo volume. In primo luogo la mia profonda insoddisfazione per il paradigma neoclassico del mercato del lavoro. Scrivevo in tale occasione: “Anche se formalmente l’economia continua a proporsi come una disciplina sociale e ad essere considerata tale, da un punto di vista sostanziale essa sta dedicando all’uomo un’attenzione sempre minore e comunque non certo in linea con le affermazioni di principio. Una ormai datata ideologia sostennero, invece, che fattori diversi da quello demografico sembravano avere un impatto maggiore: il livello di scolarità (M. Riboud, Labour market response to to changes in cohort size: the case of France, European Journal of Population, n. 3, pagg.359-382, 1987), le decisioni partecipative delle donne (J. Ermisch, “British labour market responses to age distribution changes, in R.D. Lee, W.B Arthu rand G. Rodgers, Economics of changing age distribution in developed countries, Clarendon Press, Oxford), le fluttuazioni della domanda aggregata (Martin e Ogawa, The effect of cohort size on relative wages in Japan, in R.D. Lee, W.B Arthur and G. Rodgers, Economics of changing age distribution in developed countries, Clarendon Press, Oxford. 157 M. Bruni e C. Zironi, op. cit. 158 Questo dato è la risultante di un aumento di 3 milioni nel corso degli anni 70 e della diminuzione di 2,5 milioni tra il 1980 ed il 1985. 159 Il risultato della stima effettuata su 24 valori, 2 per ciascuno dei 12 paese relativi agli intervalli 1970-80 e 1980-85 erano i seguenti: ΔU = 7,6330 + 0,5335 ΔPEL – 0,5048 ΔE; R 2 = 0,7817; DW=1,8660 (0,0869) (0,1359) Il modello utilizzato parte dall’assunto che il livello delle forze di lavoro dipende dalla popolazione in età lavorativa e dalla reattività dell’offerta rispetto alla domanda di lavoro. 160 SIS, IRP e GDP, Popolazione, tendenze demografiche e mercato del lavoro, IRP e CNR, Roma, 1993 161 M. Bruni, "Per una economia delle fasi della vita", in SIS, IRP e GDP, Popolazione, tendenze demografiche e mercato del lavoro, IRP e CNR, Roma, 1993 84
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organizzazione <strong>di</strong> due importanti seminari. <strong>Il</strong> primo (Population Change and European Society)<br />
organizzato dalla CEE e dall’Istituto Universitario Europeo si tenne a Firenze nel 1988, il secondo<br />
(Demographic Influences on the Labour Market; 1990-2020), organizzato dall’OCSE, si tenne a<br />
Parigi l’anno successivo.<br />
In un paper presentato a Parigi, Blanchet e Tapinos espressero l’opinione che gli effetti della<br />
struttura demografica sul livello della <strong>di</strong>soccupazione meritavano attenzione, ma che essi non<br />
erano stati predominanti nel passato e non lo sarebbero stati neanche nel <strong>futuro</strong>. Essi concludevano,<br />
pertanto, che :<br />
• Relativamente agli ultimi trenta anni non era possibile isolare gli effetti dei trend<br />
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<strong>di</strong>soccupazione, partecipazione) o rispetto a specifici problemi quali la<br />
<strong>di</strong>soccupazione giovanile o l’effetto della <strong>di</strong>mensione delle coorti;<br />
• Era impossibile stabilire se l’inversione dei trend demografici avrebbe avuto<br />
particolari ripercussioni sul mercato del lavoro.<br />
Le tesi da me sostenute erano totalmente opposte 157 . Esse si basavano prima <strong>di</strong> tutto su <strong>di</strong><br />
una analisi dell’andamento della popolazione in età lavorativa, dell’occupazione e della<br />
<strong>di</strong>soccupazione. Tra il 1950 ed il 1985 la popolazione in età lavorativa dei do<strong>di</strong>ci paesi della<br />
Comunità Economica Europea era passata da 171 a 215 milioni. I tassi <strong>di</strong> crescita avevano toccato<br />
un minimo negli anni ‘60 per poi aumentare progressivamente fino al 1980-85, quando la<br />
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crescita della popolazione in età lavorativa era stata determinata, a partire dall’inizio degli anni 70,<br />
quasi elusivamente dall’aumento delle entrate.<br />
La forte crescita della popolazione in età lavorativa registrata tra il 1970 ed il 1985 (+23,6<br />
milioni) era stata accompagnata da una crescita irrisoria dell’occupazione (0,5 milioni 158 ).<br />
Ritenevo quin<strong>di</strong> che non fosse sorprendente che il numero dei <strong>di</strong>soccupati fosse esploso, passando<br />
a 2,3 a 15,9 milioni. L’ovvia conclusione era che la <strong>di</strong>soccupazione era stata generata<br />
dall’incapacità del sistema economico <strong>di</strong> generare un numero <strong>di</strong> posti <strong>di</strong> lavoro coerente con la<br />
crescita dell’offerta <strong>di</strong> lavoro prodotta dall’andamento <strong>demografico</strong>. Una semplice regressione<br />
confermava, contrariamente all’opinione più <strong>di</strong>ffusa, che andamento <strong>demografico</strong> e domanda <strong>di</strong><br />
lavoro spiegavano molto bene l’evoluzione della <strong>di</strong>soccupazione in Europa 159 .<br />
Nel giugno del 1992 il Gruppo <strong>di</strong> Coor<strong>di</strong>namento per la Demografia, nato all’interno della<br />
Società Italiana <strong>di</strong> Statistica, organizzò un convegno dal titolo “Popolazione, tendenze<br />
demografiche e mercato del lavoro” 160 che consentì un interessante confronto tra demografi,<br />
economisti e sociologi sul rapporto tra demografia e mercato del lavoro.<br />
Nel paper che presentai in tale occasione 161 ebbi la possibilità <strong>di</strong> chiarire la mia posizione su<br />
alcuni temi che sono al centro anche <strong>di</strong> questo volume. In primo luogo la mia profonda<br />
insod<strong>di</strong>sfazione per il para<strong>di</strong>gma neoclassico del mercato del lavoro. Scrivevo in tale occasione:<br />
“Anche se formalmente l’economia continua a proporsi come una <strong>di</strong>sciplina sociale e ad essere<br />
considerata tale, da un punto <strong>di</strong> vista sostanziale essa sta de<strong>di</strong>cando all’uomo un’attenzione sempre<br />
minore e comunque non certo in linea con le affermazioni <strong>di</strong> principio. Una ormai datata ideologia<br />
sostennero, invece, che fattori <strong>di</strong>versi da quello <strong>demografico</strong> sembravano avere un impatto maggiore: il livello <strong>di</strong><br />
scolarità (M. Riboud, Labour market response to to changes in cohort size: the case of France, European Journal of<br />
Population, n. 3, pagg.359-382, 1987), le decisioni partecipative delle donne (J. Ermisch, “British labour market<br />
responses to age <strong>di</strong>stribution changes, in R.D. Lee, W.B Arthu rand G. Rodgers, Economics of changing age<br />
<strong>di</strong>stribution in developed countries, Clarendon Press, Oxford), le fluttuazioni della domanda aggregata (Martin e<br />
Ogawa, The effect of cohort size on relative wages in Japan, in R.D. Lee, W.B Arthur and G. Rodgers, Economics of<br />
changing age <strong>di</strong>stribution in developed countries, Clarendon Press, Oxford.<br />
157 M. Bruni e C. Zironi, op. cit.<br />
158 Questo dato è la risultante <strong>di</strong> un aumento <strong>di</strong> 3 milioni nel corso degli anni 70 e della <strong>di</strong>minuzione <strong>di</strong> 2,5 milioni tra il<br />
1980 ed il 1985.<br />
159 <strong>Il</strong> risultato della stima effettuata su 24 valori, 2 per ciascuno dei 12 paese relativi agli intervalli 1970-80 e 1980-85<br />
erano i seguenti: ΔU = 7,6330 + 0,5335 ΔPEL – 0,5048 ΔE; R 2 = 0,7817; DW=1,8660<br />
(0,0869) (0,1359)<br />
<strong>Il</strong> modello utilizzato parte dall’assunto che il livello delle forze <strong>di</strong> lavoro <strong>di</strong>pende dalla popolazione in età lavorativa e<br />
dalla reattività dell’offerta rispetto alla domanda <strong>di</strong> lavoro.<br />
160 SIS, IRP e GDP, Popolazione, tendenze demografiche e mercato del lavoro, IRP e CNR, Roma, 1993<br />
161 M. Bruni, "Per una economia delle fasi della vita", in SIS, IRP e GDP, Popolazione, tendenze demografiche e<br />
mercato del lavoro, IRP e CNR, Roma, 1993<br />
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