Il futuro demografico dell'Italia - Dipartimento di Economia politica

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02.02.2015 Views

isolta nel passaggio da uno stato di equilibrio ad un altro stato di equilibrio, caratterizzati entrambi da modeste tassi di crescita naturale, si dimostrava così totalmente infondata. In questo caso, però, non solo ci si è resi subito conto delle implicazioni del fenomeno, ma la letteratura internazionale ha cominciato ad essere inondata da catastrofiche visioni del futuro nelle quali le popolazioni dei paesi sviluppati erano presentate come specie in via di estinzione. Le proiezioni demografiche e le loro applicazioni al mercato del lavoro ci presentano situazioni caratterizzate da una popolazione totale in netta diminuzione, una popolazione in età lavorativa che registrerebbe una contrazione ancora più pronunciata, e quindi non in grado di fare fronte alle esigenze occupazionali generate dalla crescita economica e che imporrebbe la contrazione della produzione nazionale e la delocalizzazione degli impianti produttivi, una progressiva crescita del numero degli anziani che finirebbero per rappresentare oltre un terzo della popolazione totale e schiaccerebbero sotto il loro peso il sistema pensionistico e previdenziale, un progressivo allargarsi della differenza tra il numero dei nati e dei morti che ad esempio nell’Italia del 2050 sarebbe prossimo o supererebbe, a seconda delle stime, le 200.000 unità. Un altro aspetto sorprendente della letteratura demografica ed economica dell’ultimo trentennio è che se la compresenza dei due fenomeni, caduta dei tassi di fecondità nei paesi sviluppati e accelerazione dei flussi migratori verso gli stessi paesi, è stata rilevata da numerosi studiosi, ben pochi hanno postulato un chiaro rapporto di causalità fra questi due fenomeni. Un’inevitabile conseguenza di questi fallimenti analitici è stata l’incapacità di prevedere l’andamento dei flussi migratori da parte degli Istituti, nazionali ed internazionali, preposti alla formulazione di scenari demografici. Ciò ha determinato la formulazioni di scenari di calo demografico continuamente contraddetti dalla realtà e quindi continui adeguamenti verso l’alto delle previsioni. Se il metro di giudizio dei modelli demografici ed economici dei flussi migratori e delle proiezioni demografiche dovesse essere quello proposto da M. Friedman: “La valididi un modello deve essere giudicata dalle sue capacità previsive” ai sostenitori di tali modelli non rimarrebbe che gettare a mare la loro cassetta degli attrezzi. Personalmente non condivido la posizione di M. Friedman e ritengo che sia più opportuno giudicare i modelli sulla base del realismo e della coerenza delle loro ipotesi con la realtà che intendono rappresentare dato che solo queste condizioni possono, a mio avviso, portare a previsioni corrette o in caso di fallimento consentire un’analisi del fallimento stesso. Cercherò, pertanto, di mostrare che questi sistemi logici sono errati proprio in questa prospettiva, il che rende indispensabile una loro riformulazione. I crescenti flussi migratori che s’indirizzano dai paesi poveri verso i paesi ricchi differiscono dalle forme precedenti di trasferimento forzato di forza lavoro per una maggiore livello di “volontarietà”, ma la loro direzione, la loro consistenza e la loro struttura sono, come è sempre stato, determinate dal rapporto tra disponibilità di forza lavoro autoctona ed esigenze della struttura produttiva e dal tentativo delle imprese di ridurre i costi di produzione. È vero che la scia di sangue degli attuali flussi migratori, per quanto pesante, è certamente inferiore in termini assoluti a quella del trasferimento di schiavi e di para schiavi che hanno caratterizzato il mondo fin ben oltre l’inizio del XX secolo, un fenomeno che fra l’altro è ben lungi dall’essere scomparso, ma le unità di misura e di sensibilità di una società che si sente e si professa molto più progredita di quelle del passato dovrebbero rendere l’orrore per quanto sta succedendo oggi attorno a noi ancora maggiore. Il fatto che ciò non stia avvenendo apre inquietanti spiragli sull’essenza della natura umana e sugli effetti che l’egoismo può avere sulla capacità di leggere ed interpretare la realtà. L’altra differenza è l’origine del fabbisogno di forza lavoro. Nel passato la carenza di forza lavoro ha avuto le determinanti più diverse: la definizione del ruolo dei cittadini nel processo produttivo (Grecia), la necessità di sostituire la forza lavoro agricola destinata al servizio militare (Roma), il genocidio della popolazione autoctona (America latina), uno sviluppo del contesto produttivo di gran lunga maggiore di quello della popolazione residente (Stati Uniti, Australia). Al momento attuale il fabbisogno è generato per la prima volta da un fenomeno demografico endogeno non violento, la denatalità generata dal sempre più diffuso potere di controllo individuale sulla procreazione e dalle caratteristiche socio economiche delle società più ricche. La denatalità porta inevitabilmente ad un a progressiva riduzione delle entrate nella popolazione in età lavorativa e quindi delle entrate nelle forze di lavoro e, colà dove il fenomeno è stato particolarmente 5

ilevante, gli ingressi non sono ormai neppure sufficienti a sostituire i lavoratori che vanno in pensione. La terza differenza ha a che vedere con la percezione del fenomeno. Nel passato l’aumento della popolazione, ottenuto attraverso trasferimenti forzati o volontari di lavoratori, è stato sempre visto in maniera positiva. L’importazione coatta di lavoratori non veniva percepita come un fenomeno demografico, come qualcosa che incidesse sulla consistenza della popolazione dato che ciò che si importava non era una persona, ma una cosa. In fondo si acquistava lavoro esattamente come si acquistava qualunque altro fattore produttivo: sementi, bestiame, macchine, o altri semilavorati. E anche nei casi in cui ci si curò che gli schiavi si riproducessero questo rientrava nella stessa logica della riproduzione di una mandria. Non era la popolazione che aumentava, ma la consistenza dei fattori produttivi. D’altra parte, ai suoi albori la teoria economica vedeva con favore la crescita demografica dato che era opinione condivisa che essa favorisse lo sviluppo economico. I flussi migratori, qualunque forma prendessero erano pertanto giudicati positivamente. Bisogna giungere alla seconda metà del XX secolo perché il giudizio sull’immigrazione cambi totalmente ed essa venga vista come un fenomeno pericoloso da un punto di vista sia economico, sia sociale La tesi centrale di questo lavoro è che nei prossimi anni l’Italia, come tutti i paesi in cui la popolazione in età lavorativa subirà un drammatico calo, sarà interessata da flussi migratori di dimensioni senza precedenti. La causa a monte di tale fenomeno è il declino delle nascite instauratori verso la metà degli anni ‘60, ma le sue dimensioni dipenderanno da una serie di altre variabili, in particolare, il tasso di crescita dell’occupazione, l’entità dei flussi migratori interni, i comportamenti partecipativi delle donne. Si sosterrà, contrariamente a quanto comunemente creduto, che la popolazione italiana non è comunque destinata a diminuire, ma al contrario a registrare un forte aumento e che tale aumento sarà più pronunciato proprio nelle aree nelle quali maggiore è stato il declino demografico e tanto più consistente quanto più forte sarà la crescita occupazionale. Il percorso logico ed analitico necessario per giungere a questa conclusione sarà però lungo e complesso, visto che questo lavoro si propone anche una serie di obiettivi intermedi. Nel primo capitolo analizzeremo le previsioni demografiche relative all’Italia formulate dall’ISTAT e dalla Population Division delle Nazioni Unite, inserendole nel contesto delle tendenze demografiche internazionali. Il quadro che ne esce è quello già indicato: una contrazione della popolazione totale, una contrazione ancora più pronunciata della popolazione in età lavorativa, un generale processo di invecchiamento, l’incapacità del sistema demografico di uscire in maniera endogena dall’esistente situazione di disequilibrio. Le proiezioni della Population Division ci daranno poi l’occasione di vedere quali dovrebbero essere, secondo il più accreditato centro di ”previsioni” demografiche del mondo, le principali linee di tendenza della popolazione mondiale nelle sue varie articolazioni: per livello di sviluppo, continenti, aree per noi particolarmente rilevanti come l’Europa ed il bacino del Mediterraneo, le “civiltà”. Il dato prospettico forse più significativo che emerge da questa analisi è che nel prossimo secolo i paesi del mondo si divideranno in due gruppi. Da un lato, vi saranno i paesi industrializzati ed una serie di paesi in via di sviluppo, tra i quali la Cina, che saranno caratterizzati da un progressivo calo della popolazione autoctona totale e, soprattutto, della popolazione in età lavorativa. Dall’altro, i paesi più poveri il cui tasso di crescita demografica non accenna a diminuire e che saranno interessati da un aumento mostruoso della propria popolazione. Obiettivo del capitolo non è tuttavia solo quello di mostrare i risultati delle proiezioni demografiche oggi disponibili, ma anche quello di illustrare la metodologia da essi utilizzata. Nella stessa ottica viene analizzato uno studio dell’Unione Europea volto a valutare l’impatto delle tendenze demografiche sui principali aggregati del mercato del lavoro. L’analisi riguarderà non tanto i risultati dell’esercizio, quanto il sistema logico che lo sottende. Sarà infatti a questo tipo di metodologia, oggi prevalente nelle organizzazioni internazionali, che verranno rivolte alcune critiche di fondo nel quarto capitolo. Il secondo ed il terzo capitolo discutono l’evoluzione dei flussi migratori che hanno caratterizzato l’Italia dal dopoguerra ad oggi, le analisi che ne sono state fatte e l’evoluzione della legislazione italiana in materia. Particolare attenzione verrà posta alle interrelazioni tra le interpretazioni del fenomeno fornite dagli ambienti accademici e dagli istituti di ricerca, da un lato, e la normativa approvata dai governi italiani, dall’altro. 6

ilevante, gli ingressi non sono ormai neppure sufficienti a sostituire i lavoratori che vanno in<br />

pensione.<br />

La terza <strong>di</strong>fferenza ha a che vedere con la percezione del fenomeno. Nel passato l’aumento<br />

della popolazione, ottenuto attraverso trasferimenti forzati o volontari <strong>di</strong> lavoratori, è stato sempre<br />

visto in maniera positiva. L’importazione coatta <strong>di</strong> lavoratori non veniva percepita come un<br />

fenomeno <strong>demografico</strong>, come qualcosa che incidesse sulla consistenza della popolazione dato che<br />

ciò che si importava non era una persona, ma una cosa. In fondo si acquistava lavoro esattamente<br />

come si acquistava qualunque altro fattore produttivo: sementi, bestiame, macchine, o altri<br />

semilavorati. E anche nei casi in cui ci si curò che gli schiavi si riproducessero questo rientrava<br />

nella stessa logica della riproduzione <strong>di</strong> una mandria. Non era la popolazione che aumentava, ma la<br />

consistenza dei fattori produttivi.<br />

D’altra parte, ai suoi albori la teoria economica vedeva con favore la crescita demografica dato<br />

che era opinione con<strong>di</strong>visa che essa favorisse lo sviluppo economico. I flussi migratori, qualunque<br />

forma prendessero erano pertanto giu<strong>di</strong>cati positivamente. Bisogna giungere alla seconda metà del<br />

XX secolo perché il giu<strong>di</strong>zio sull’immigrazione cambi totalmente ed essa venga vista come un<br />

fenomeno pericoloso da un punto <strong>di</strong> vista sia economico, sia sociale<br />

La tesi centrale <strong>di</strong> questo lavoro è che nei prossimi anni l’Italia, come tutti i paesi in cui la<br />

popolazione in età lavorativa subirà un drammatico calo, sarà interessata da flussi migratori <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>mensioni senza precedenti. La causa a monte <strong>di</strong> tale fenomeno è il declino delle nascite<br />

instauratori verso la metà degli anni ‘60, ma le sue <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong>penderanno da una serie <strong>di</strong> altre<br />

variabili, in particolare, il tasso <strong>di</strong> crescita dell’occupazione, l’entità dei flussi migratori interni, i<br />

comportamenti partecipativi delle donne. Si sosterrà, contrariamente a quanto comunemente<br />

creduto, che la popolazione italiana non è comunque destinata a <strong>di</strong>minuire, ma al contrario a<br />

registrare un forte aumento e che tale aumento sarà più pronunciato proprio nelle aree nelle quali<br />

maggiore è stato il declino <strong>demografico</strong> e tanto più consistente quanto più forte sarà la crescita<br />

occupazionale.<br />

<strong>Il</strong> percorso logico ed analitico necessario per giungere a questa conclusione sarà però lungo e<br />

complesso, visto che questo lavoro si propone anche una serie <strong>di</strong> obiettivi interme<strong>di</strong>.<br />

Nel primo capitolo analizzeremo le previsioni demografiche relative all’Italia formulate<br />

dall’ISTAT e dalla Population Division delle Nazioni Unite, inserendole nel contesto delle<br />

tendenze demografiche internazionali. <strong>Il</strong> quadro che ne esce è quello già in<strong>di</strong>cato: una contrazione<br />

della popolazione totale, una contrazione ancora più pronunciata della popolazione in età lavorativa,<br />

un generale processo <strong>di</strong> invecchiamento, l’incapacità del sistema <strong>demografico</strong> <strong>di</strong> uscire in maniera<br />

endogena dall’esistente situazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>sequilibrio. Le proiezioni della Population Division ci<br />

daranno poi l’occasione <strong>di</strong> vedere quali dovrebbero essere, secondo il più accre<strong>di</strong>tato centro<br />

<strong>di</strong> ”previsioni” demografiche del mondo, le principali linee <strong>di</strong> tendenza della popolazione mon<strong>di</strong>ale<br />

nelle sue varie articolazioni: per livello <strong>di</strong> sviluppo, continenti, aree per noi particolarmente<br />

rilevanti come l’Europa ed il bacino del Me<strong>di</strong>terraneo, le “civiltà”. <strong>Il</strong> dato prospettico forse più<br />

significativo che emerge da questa analisi è che nel prossimo secolo i paesi del mondo si<br />

<strong>di</strong>videranno in due gruppi. Da un lato, vi saranno i paesi industrializzati ed una serie <strong>di</strong> paesi in via<br />

<strong>di</strong> sviluppo, tra i quali la Cina, che saranno caratterizzati da un progressivo calo della popolazione<br />

autoctona totale e, soprattutto, della popolazione in età lavorativa. Dall’altro, i paesi più poveri il<br />

cui tasso <strong>di</strong> crescita demografica non accenna a <strong>di</strong>minuire e che saranno interessati da un aumento<br />

mostruoso della propria popolazione. Obiettivo del capitolo non è tuttavia solo quello <strong>di</strong> mostrare i<br />

risultati delle proiezioni demografiche oggi <strong>di</strong>sponibili, ma anche quello <strong>di</strong> illustrare la<br />

metodologia da essi utilizzata. Nella stessa ottica viene analizzato uno stu<strong>di</strong>o dell’Unione Europea<br />

volto a valutare l’impatto delle tendenze demografiche sui principali aggregati del mercato del<br />

lavoro. L’analisi riguarderà non tanto i risultati dell’esercizio, quanto il sistema logico che lo<br />

sottende. Sarà infatti a questo tipo <strong>di</strong> metodologia, oggi prevalente nelle organizzazioni<br />

internazionali, che verranno rivolte alcune critiche <strong>di</strong> fondo nel quarto capitolo.<br />

<strong>Il</strong> secondo ed il terzo capitolo <strong>di</strong>scutono l’evoluzione dei flussi migratori che hanno<br />

caratterizzato l’Italia dal dopoguerra ad oggi, le analisi che ne sono state fatte e l’evoluzione della<br />

legislazione italiana in materia. Particolare attenzione verrà posta alle interrelazioni tra le<br />

interpretazioni del fenomeno fornite dagli ambienti accademici e dagli istituti <strong>di</strong> ricerca, da un lato,<br />

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