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Il futuro demografico dell'Italia - Dipartimento di Economia politica

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questo fenomeno, la cui rapi<strong>di</strong>tà non ha per altro precedenti storici, è stato soprattutto quello del<br />

non ricambio generazionale. In sostanza, nell’arco <strong>di</strong> 20 anni almeno la metà degli 8 milioni <strong>di</strong><br />

addetti all’agricoltura che il settore contava all’inizio degli ani 50 o ha raggiunto l’età del<br />

pensionamento o è morta. Di contro, solo una piccola parte degli almeno altrettanti giovani <strong>di</strong><br />

famiglie conta<strong>di</strong>ne, entrati in quel periodo nella fase lavorativa della vita, ha fatto la scelta <strong>di</strong><br />

continuare il lavoro dei campi; la stragrande maggioranza ha scelto l’emigrazione o verso l’estero o,<br />

dopo il 1958, soprattutto verso il centro nord del paese dove si concentrava la domanda <strong>di</strong> flusso<br />

degli altri due settori. Questo fenomeno è ancora forte ed evidente nella seconda metà degli anni<br />

‘60 ed è documentato dai dati <strong>di</strong> flusso generazionale per settore relativi al quinquennio 1966-71<br />

riportati nella tav. 2.8.<br />

In sostanza, il settore agricolo fornì lavoro agli altri settori ed all’emigrazione, più che<br />

attraverso passaggi intersettoriali o uscite per l’estero, attraverso le scelte lavorative e migratorie<br />

interne dei figli delle famiglie conta<strong>di</strong>ne. Questa affermazione trova una ulteriore conferma nel<br />

fatto che ben l’89,3% dei nuovi entrati nell’industria ha meno <strong>di</strong> 29 anni e che il dato<br />

corrispondente per il terziario è del 66,1%.<br />

3. L’inversione <strong>di</strong> segno dei sal<strong>di</strong> migratori<br />

Nel corso degli anni 70 i sal<strong>di</strong> migratori negativi, che erano stati una delle caratteristiche<br />

dominanti delle tendenze demografiche dell’Italia per oltre un secolo, dopo essersi rapidamente<br />

ridotti, cominciarono a presentare valori positivi. Lo stesso fenomeno si verificò, quasi<br />

contemporaneamente, anche negli altri paesi del sud Europa L’inversione <strong>di</strong> segno avvenne nel<br />

1972 in Italia, nel 1974 in Portogallo, nel 1975 in Spagna ed in Grecia.<br />

Come abbiamo già in<strong>di</strong>cato, quasi tutte le spiegazioni fornite dalla letteratura a questo evento,<br />

per molti versi epocale, sono state prevalentemente ad hoc ed hanno fatto riferimento in maniera<br />

abbastanza informale e soprattutto inorganica alla solita serie <strong>di</strong> cause, in particolare ai<br />

cambiamenti delle legislazioni dei paesi d’arrivo ed a specifici eventi economici. Vi sono però<br />

due lavori, uno nella più classica vena micro - economica ed uno <strong>di</strong> stampo <strong>demografico</strong>, che hanno<br />

cercato <strong>di</strong> affrontare il tema in maniera più approfon<strong>di</strong>ta e facendo uso <strong>di</strong> un più ricco insieme <strong>di</strong><br />

strumenti metodologici. Nei prossimi paragrafi <strong>di</strong>scuteremo questi due stu<strong>di</strong>, inserendoli nel<br />

contesto dei para<strong>di</strong>gmi delle due <strong>di</strong>scipline più vicine ai temi quantitativi delle migrazioni,<br />

l’economia e la demografia .<br />

Questa <strong>di</strong>scussione ci darà lo spunto per cercare <strong>di</strong> capire se, al <strong>di</strong> là dello specifico evento -<br />

che non solo non era stato previsto, ma neppure ipotizzato dagli stu<strong>di</strong>osi dei fenomeni migratorieconomia<br />

e demografia <strong>di</strong>spongano <strong>di</strong> un apparato analitico in grado <strong>di</strong> prevedere il fabbisogno <strong>di</strong><br />

immigrati <strong>di</strong> una determinata area, un dato fondamentale non solo per gestire in maniera corretta i<br />

flussi in ingresso, ma anche per impostare le politiche del lavoro e, più in generale, le politiche del<br />

territorio, dalla scuola alla sanità, dall’e<strong>di</strong>lizia ai trasporti, e ovviamente le politiche del welfare.<br />

3.1. Approcci alternativi allo stu<strong>di</strong>o dei flussi migratori<br />

3.1.1 Le teorie economiche<br />

La teoria economica delle migrazioni ha le proprie fondamenta nella concezione liberista<br />

dell’ottocento secondo la quale l’uomo agisce in maniera razionale così da massimizzare il proprio<br />

benessere, all’interno <strong>di</strong> un sistema economico caratterizzato dal decentramento delle decisioni. In<br />

questa ottica, la migrazione economica è vista come il risultato <strong>di</strong> una decisione presa da un attore<br />

che massimizza una funzione obiettivo basata sul confronto tra due situazioni, quella che si prevede<br />

consegua al rimanere nel luogo <strong>di</strong> residenza e quella che dovrebbe derivare dall’attuazione del<br />

progetto migratorio. <strong>Il</strong> progetto migratorio verrà attuato qualora produca un aumento del benessere.<br />

L’oggetto dell’analisi è quin<strong>di</strong> costituito dalle decisioni in<strong>di</strong>viduali <strong>di</strong> emigrare, mentre le<br />

con<strong>di</strong>zioni dei paesi <strong>di</strong> partenza e <strong>di</strong> arrivo, in particolare quelle relative ai livelli <strong>di</strong> red<strong>di</strong>to ed alle<br />

con<strong>di</strong>zioni dei rispettivi mercati del lavoro, costituiscono le variabili in<strong>di</strong>pendenti del problema. Un<br />

altro aspetto fondamentale <strong>di</strong> questa impostazione analitica è l’idea (<strong>di</strong> fatto un’ipotesi già implicita<br />

nelle assunzioni e quin<strong>di</strong> una conseguenza necessaria del processo) che i flussi migratori riducano<br />

le <strong>di</strong>fferenze esistenti e portino tendenzialmente a con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> equilibrio fra i settori e/o le aree <strong>di</strong><br />

partenza e <strong>di</strong> arrivo.<br />

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