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Il futuro demografico dell'Italia - Dipartimento di Economia politica

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a quelle dei paesi <strong>di</strong> arrivo 31 . Ora, come argomenterò più in dettaglio nel prosieguo <strong>di</strong> questo<br />

lavoro, la mia tesi è che:<br />

1. L’accumularsi <strong>di</strong> un potenziale migratorio deriva da una crescita della popolazione in età<br />

lavorativa che, per le sue <strong>di</strong>mensioni o per le con<strong>di</strong>zioni economiche del paese, non può<br />

essere controbilanciata da un’analoga crescita occupazionale;<br />

2. L’esistenza <strong>di</strong> un potenziale migratorio rappresenta una causa necessaria, ma non<br />

sufficiente dei flussi migratori;<br />

3. I flussi migratori scattano se e si <strong>di</strong>rigono dove esiste una situazione opposta a quella<br />

descritta dal punto 1: la <strong>di</strong>namica della popolazione in età lavorativa non riesce a far fronte<br />

alla crescita occupazionale.<br />

Questa posizione <strong>di</strong>fferisce dalla tesi standard sotto due aspetti. In primo luogo il potenziale<br />

migratorio è definito rispetto alla popolazione in età lavorativa e non alla popolazione totale. Nel<br />

passato nei paesi avanzati questi due aggregati si sono mossi insieme. In generale, tuttavia, la loro<br />

<strong>di</strong>namica relativa <strong>di</strong>pende dalla fase della “transizione” demografica in cui un paese si trova.<br />

Inoltre, nel caso <strong>di</strong> migrazioni motivate dalla ricerca <strong>di</strong> lavoro, la popolazione in età lavorativa<br />

costituisce la variabile <strong>di</strong> riferimento naturale dato che consente una quantificazione del concetto,<br />

anche se è poi vero che gli spostamenti definitivi coinvolgono molto spesso altri membri della<br />

famiglia. <strong>Il</strong> secondo, più fondamentale, è che la crescita economica <strong>di</strong> un paese non è sufficiente a<br />

far sì che esso <strong>di</strong>venga un paese <strong>di</strong> sbocco. Nella mia impostazione è l’esistenza <strong>di</strong> una domanda <strong>di</strong><br />

lavoro che non può essere sod<strong>di</strong>sfatta dalla popolazione residente, e quin<strong>di</strong> la possibilità per gli<br />

emigranti <strong>di</strong> trovare lavoro, che determina la <strong>di</strong>rezione dei flussi migratori e ciò non può che<br />

<strong>di</strong>pendere da una crescita demografica insufficiente per coprire le richieste del mercato del lavoro.<br />

L’evidenza più forte a favore <strong>di</strong> questa tesi è fornita da paesi come la Cina ed il Vietnam<br />

dove tassi crescita del P<strong>Il</strong> dell’or<strong>di</strong>ne del 9-11%, sostenuti per oltre 20° anni, non hanno provocato<br />

massicci flussi migratori dato che la popolazione autoctona in età lavorativa è risultata più che<br />

sufficiente per rispondere alla crescita economica ed alla conseguente domanda <strong>di</strong> lavoro.<br />

Seguendo questa impostazione, la prima considerazione da fare è che l’Italia del dopoguerra<br />

era caratterizzata da un enorme potenziale migratorio che si concentrava soprattutto nelle regioni<br />

meri<strong>di</strong>onali, ma anche in alcune regioni del Nord, come il Veneto ed il Friuli. Le origini del<br />

problema erano già allora lontane.<br />

A partire dall’ultimo trentennio del XIX secolo la crescita demografica del nostro paese era<br />

stata tale che anche un massiccio sviluppo economico, e questo non fu certo il caso per il nostro<br />

paese, non avrebbe potuto assorbirla. Gli elevatissimi flussi migratori, favoriti dai governi italiani<br />

che si succedettero fino all’inizio della prima guerra mon<strong>di</strong>ale, riuscirono solo ad alleviare il<br />

problema. La successiva <strong>di</strong>minuzione dei flussi, soprattutto in <strong>di</strong>rezione degli Stati Uniti, è <strong>di</strong> solito<br />

imputata alla contemporanea chiusura delle frontiere da parte del governo fascista e<br />

all’introduzione <strong>di</strong> misure restrittive da parte del governo statunitense. Non posso però non notare<br />

che gli anni ‘30 furono anche gli anni della grande crisi dell’economia americana. Infine, la <strong>politica</strong><br />

<strong>di</strong> ruralizzazione portata avanti dal governo fascista bloccò sulla terra una larghissima percentuale<br />

della popolazione e ridusse fortemente le migrazioni dal sud verso il nord e dalla campagna alla<br />

città. Se a ciò aggiungiamo gli effetti della guerra, è evidente che alla fine del secondo conflitto<br />

mon<strong>di</strong>ale miseria e sotto-occupazione dominavano la scena non solo nella parte meri<strong>di</strong>onale del<br />

paese, ma anche in molte zone agricole del nord.<br />

La fine della guerra fece emergere ed esplodere il problema e le scelte economiche successive<br />

fecero ben poco per risolverlo. All’inizio degli anni ’50 la <strong>di</strong>soccupazione nazionale era stimata in<br />

due milioni <strong>di</strong> unità, ma questo dato non considerava l’enorme problema della sottooccupazione<br />

nelle campagne. Più rilevanti per comprendere la situazione sono pertanto i risultati <strong>di</strong> un’indagine<br />

effettuata nel 1951-52 che evidenziò come il 40% della popolazione meri<strong>di</strong>onale vivesse in<br />

con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> miseria ed almeno la metà <strong>di</strong> questa conducesse una vita <strong>di</strong> stenti, a fronte <strong>di</strong> valori<br />

del nord pari rispettivamente al 6,8% ed al 1,5% del totale 32 .<br />

Le risorse per la ricostruzione furono incanalate in modo sproporzionato verso il nord<br />

(nonostante solo il 5% delle sue industrie fossero andate <strong>di</strong>strutte contro un terzo <strong>di</strong> quelle del sud)<br />

31 L’unica interessante eccezione è costituita dal paper <strong>di</strong> Bonifazi e Gesano, pubblicato nel terzo rapporto IRP <strong>di</strong> cui<br />

parleremo più <strong>di</strong>ffusamente alla fine del capitolo.<br />

32 P. Braghin ( a cura <strong>di</strong>), Inchiesta sulla miseria in Italia, Einau<strong>di</strong>, Torino, 1978<br />

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