Il futuro demografico dell'Italia - Dipartimento di Economia politica

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02.02.2015 Views

abbiamo appena visto, l’aumento più drammatico della speranza di vita ed i cali più consistenti della fecondità hanno luogo nella seconda meta del XIX secolo e nella prima metà del XX. Si tratta di un periodo che fu indubbiamente caratterizzato da forti fenomeni di industrializzazione, di urbanizzazione e di aumento del benessere, ma che rimane comunque caratterizzato da una prevalenza delle attività agricole, da una distribuzione della popolazione che vede ancora largamente maggioritario il ruolo della campagna rispetto a quello della città, da aumenti del benessere che interessano ancora quote limitate della popolazione. Pertanto, se ad esempio il ragionamento relativo all’aumento del costo dei figli può avere un senso generale a partire dal secondo dopoguerra, mi sembra che esso male si adatti al periodo precedente. In secondo luogo, ed è questo il punto principale, il progresso economico e l’urbanizzazione non possono di per sé aumentare la durata della vita e ridurre la fecondità in assenza di conoscenze mediche adeguate e di una conoscenza, sia pure elementare, dei processi riproduttivi. Questa tesi mi sembra d’altra parte implicitamente suggerita anche da Livi Bacci che, come sarà già chiaro al lettore, sta fornendo a me che demografo non sono, il punto di riferimento principale delle mie considerazioni. Afferma, ad esempio, Livi Bacci che fino alla metà del XIX secolo il controllo delle nascitesalvo alcuni casi circoscritti come la Francia (che, come abbiamo visto, è il primo paese a registrare una contrazione del tasso di fecondità)- era ancora sconosciuto e che l’azione medica e sanitaria aveva acquisito pochi meriti sul fronte della riduzione della mortalità. Di contro, analisi relative ad Inghilterra ed Italia, e quindi a due situazioni molto diverse sia per quanto riguarda il livello di sviluppo economico, sia per quanto riguarda il contesto sociale, hanno evidenziato come tra il 1870-80 ed il 1950 ben due terzi della diminuzione della mortalità siano da imputare al controllo delle malattie infettive (soprattutto infantili: morbillo, scarlattina, difterite), delle malattie dell’apparato respiratorio e delle malattie intestinali. La conseguenza è che circa due terzi dell’allungamento della speranza di vita sono imputabili alla diminuzione della mortalità nei primi 15 anni di vita 366 . Ora, se è evidente che anche il miglioramento delle condizioni generali di vita ha contribuito al fenomeno, mi sembra tuttavia che l’apporto diretto ed indiretto delle conoscenze mediche (vaccinazioni, medicinali più efficienti, sviluppo di tecniche operatorie e, soprattutto all’inizio, diffusione di conoscenze relative all’importanza dell’igiene) non possa che essere stato largamente prevalente. D’altra parte, l’esistenza di una correlazione tra sviluppo economico e durata della vita non è in alcun modo probante dato che vi è una coincidenza temporale, non necessariamente causale, tra sviluppo economico e risultati scientifici nel campo medico e biologico. Per quanto riguarda poi la natalità lo stesso Livi Bacci afferma che la causa primaria della sua caduta è costituita dal controllo volontario delle nascite, un meccanismo molto più potente e flessibile di quelli utilizzati nell’antico regime. Mi sembra, pertanto, che l’evidenza empirica ed un corretto utilizzo delle informazioni disponibili, libero da ossequio verso schemi analitici precostituiti e dominanti, metta in evidenza che la storia della popolazione mondiale è caratterizzata da due fasi. La prima è quella del regime naturale. In questa fase i tassi di fecondità rimangono normalmente superiori a 4,5, figli per donna ed oscillano tra questa soglia minima ed una fecondità massima teorica che possiamo porre attorno agli 8 figli per donna. In questo regime il controllo dei processi riproduttivi è molto limitato e si esercita o attraverso prassi che influenzano la nuzialità e l’età del matrimonio e della riproduzione o a livello individuale tramite l’infanticidio, comunque spesso condannato da norme etiche, religiose o sociali. Ritengo anche che la portata del controllo della natalità nelle società preindustriali sia stata sovrastimata. Scrivono a questo proposito John e Pat Caldwell: "We have devoted considerable effort to identifying the field evidence upon which these claims rest. Most of the evidence is surprisingly insecure. The whole intellectual edifice has been created by demographers borrowing from anthropologists and by antropologists borrowing from demographers, in each case using lower levels of scholarship in scrutinizing the borrowed information that they would have felt impelled to use when building upon the work of people within their own disciplines. Certainly there was some fertility control, at least among the elites at the height of Imperial Rome and among the late seventeenth-century Geneva bourgeosie as moden Europe began to emerge. 366 Ibidem pag. 149-150 253

Women in Africa and elsewhere have long postponed the resumption of sexual relations after birth in order to give their infants a greater chance of survival. But the evidence for birth control as a method of ensuring families or communities of limited size in traditional societies is just not there”. 367 Gli stessi autori forniscono anche un’interessante spiegazione del perché l’idea del controllo delle nascite nelle società pre-industriali abbia trovato vasto credito: “This belief meets a range of intellectual needs. Anthropologists often feel at peace with themselves only when they have concluded that cultures, although different, are in a sense equal. One sign of this equality is the ability to employ human intelligence to achieve optimal reproduction within the circumstances of the society. Some family planners seized upon this concept because they felt more confortable and more likely to succeed if they concluded that they were not initiating a fundamental first-time change in the society in which they were working but instead were allowing that society to resume its ancient ways –although with new means- after a period of disequilibrium which followed colonial penetration. Many of these ideas, including the overarching concept of the “Stone-Age affluent society”, flowed from Carr-Saunder’s 1922 book, The Population Problem: A Study in Human Evolution, which aimed at showing that earlier societies had been capable of looking after themselves before the disorganization that followed the arrival of the missionairies” 368 . Trovo, infine, del tutto convincente l’idea che la mancanza di un controllo delle nascite nelle società pre-industriali non fosse solo dovuta ad una mancanza delle necessarie conoscenze, ma anche ad una visione largamente fatalistica degli eventi della vita. “Our experience in researching pre-transitional societies in sub-Saharan Africa and South Asia is that the usual reproductive behaviour of the human race over aeons has been to think of births and deaths as being essentially capricious and requiring little planning or consideration.” 369 Ancora più limitato è, in questa fase, il controllo della morte. Non esiste nessuna tecnologia o conoscenza in grado di prevenire e curare la maggior parte delle malattie con esito letale e l’umanità è soggetta a ricorrenti crisi epidemiche. L’uomo è anche fortemente esposto alle conseguenze degli eventi naturali che possono determinare forti oscillazioni delle risorse alimentari disponibili, provocando carestie che hanno terribile conseguenze sul livello della popolazione. Nel regime naturale la speranza di vita oscilla tra i 20 ed i 35 anni e probabilmente ha raramente superato la soglia dei 40. La crescita, sia pur lenta e a fasi alterne, della popolazione evidenzia, tuttavia, che nel lungo periodo i tassi di fertilità sono stati mediamente maggiori dei tassi di mortalità. La fase del regime naturale abbraccia tutta la storia demografica dell’uomo moderno fin verso il 1850 D.C A partire da tale data inizia una nuova fase demografica caratterizzata da un crescente controllo dell’uomo sulla vita e sulla morte. La seconda metà del XIX secolo segna l’inizio di un processo di straordinaria crescita delle conoscenze chimiche, biologiche, nonché delle tecniche e degli strumenti di laboratorio che permettono di ridurre enormemente il numero dei decessi dovuti ad infezioni e di sconfiggere le principali malattie epidemiche. Nel 1847 Ignaz Semmelweis suggerisce la necessità che coloro che attendono un parto si lavino le mani; nel 1867 Joseph Lister pubblica un volume dal titolo “Antiseptic principles of the practice of surgery” nel quale sviluppa sistemi operatori antisettici che portano ad una drastica riduzione delle morti per infezione. La credenza che le malattie fossero causate da generazione spontanea fu cancellata dalla scoperta, da parte di Pasteur e di Koch, del principio che specifiche malattie erano provocate da specifici organismi. Ciò aprì la strada alla individuazione di una serie di vaccini contro le più importanti malattie infettive 370 . Altre tappe fondamentali furono la scoperta dell’aspirina nel 1899, della penicillina nel 1929,della streptomicina nel 1943. 367 John C. Caldwell and Pat Caldwell, “What do we know about fertility transition”, in G.W. Jones, R.M. Douglas, J.C. Caldwell and R.M. D’Souza, The continunig demographic transition, Clarendson Press, Oxford, 1997; pag. 16. 368 Ibidem, pag 15. 369 Ibidem, pag. 16. 370 Dopo i primi esperimenti di vaccinazione contro il vaiolo di Jenner che risalgono alla fine del XVIII secolo, il vaccino contro il colera fu scoperto nel 1879, quello contro l’antrace nel 1881, contro la rabbia nel 1882, contro la febbre tifoide nel 1896, contro la plaque nel 1897, contro la difterite nel 1923, contro il tifo nel 1937, contro l’influenza nel 1945, contro la poliomielite nel 1955, contro il morbillo nel 1964, contro gli orecchioni nel 1967. 254

abbiamo appena visto, l’aumento più drammatico della speranza <strong>di</strong> vita ed i cali più consistenti<br />

della fecon<strong>di</strong>tà hanno luogo nella seconda meta del XIX secolo e nella prima metà del XX. Si<br />

tratta <strong>di</strong> un periodo che fu indubbiamente caratterizzato da forti fenomeni <strong>di</strong> industrializzazione, <strong>di</strong><br />

urbanizzazione e <strong>di</strong> aumento del benessere, ma che rimane comunque caratterizzato da una<br />

prevalenza delle attività agricole, da una <strong>di</strong>stribuzione della popolazione che vede ancora<br />

largamente maggioritario il ruolo della campagna rispetto a quello della città, da aumenti del<br />

benessere che interessano ancora quote limitate della popolazione. Pertanto, se ad esempio il<br />

ragionamento relativo all’aumento del costo dei figli può avere un senso generale a partire dal<br />

secondo dopoguerra, mi sembra che esso male si adatti al periodo precedente. In secondo luogo, ed<br />

è questo il punto principale, il progresso economico e l’urbanizzazione non possono <strong>di</strong> per sé<br />

aumentare la durata della vita e ridurre la fecon<strong>di</strong>tà in assenza <strong>di</strong> conoscenze me<strong>di</strong>che adeguate e<br />

<strong>di</strong> una conoscenza, sia pure elementare, dei processi riproduttivi.<br />

Questa tesi mi sembra d’altra parte implicitamente suggerita anche da Livi Bacci che, come<br />

sarà già chiaro al lettore, sta fornendo a me che demografo non sono, il punto <strong>di</strong> riferimento<br />

principale delle mie considerazioni.<br />

Afferma, ad esempio, Livi Bacci che fino alla metà del XIX secolo il controllo delle nascitesalvo<br />

alcuni casi circoscritti come la Francia (che, come abbiamo visto, è il primo paese a<br />

registrare una contrazione del tasso <strong>di</strong> fecon<strong>di</strong>tà)- era ancora sconosciuto e che l’azione me<strong>di</strong>ca e<br />

sanitaria aveva acquisito pochi meriti sul fronte della riduzione della mortalità. Di contro, analisi<br />

relative ad Inghilterra ed Italia, e quin<strong>di</strong> a due situazioni molto <strong>di</strong>verse sia per quanto riguarda il<br />

livello <strong>di</strong> sviluppo economico, sia per quanto riguarda il contesto sociale, hanno evidenziato come<br />

tra il 1870-80 ed il 1950 ben due terzi della <strong>di</strong>minuzione della mortalità siano da imputare al<br />

controllo delle malattie infettive (soprattutto infantili: morbillo, scarlattina, <strong>di</strong>fterite), delle malattie<br />

dell’apparato respiratorio e delle malattie intestinali. La conseguenza è che circa due terzi<br />

dell’allungamento della speranza <strong>di</strong> vita sono imputabili alla <strong>di</strong>minuzione della mortalità nei primi<br />

15 anni <strong>di</strong> vita 366 . Ora, se è evidente che anche il miglioramento delle con<strong>di</strong>zioni generali <strong>di</strong> vita<br />

ha contribuito al fenomeno, mi sembra tuttavia che l’apporto <strong>di</strong>retto ed in<strong>di</strong>retto delle conoscenze<br />

me<strong>di</strong>che (vaccinazioni, me<strong>di</strong>cinali più efficienti, sviluppo <strong>di</strong> tecniche operatorie e, soprattutto<br />

all’inizio, <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> conoscenze relative all’importanza dell’igiene) non possa che essere stato<br />

largamente prevalente. D’altra parte, l’esistenza <strong>di</strong> una correlazione tra sviluppo economico e<br />

durata della vita non è in alcun modo probante dato che vi è una coincidenza temporale, non<br />

necessariamente causale, tra sviluppo economico e risultati scientifici nel campo me<strong>di</strong>co e<br />

biologico.<br />

Per quanto riguarda poi la natalità lo stesso Livi Bacci afferma che la causa primaria della sua<br />

caduta è costituita dal controllo volontario delle nascite, un meccanismo molto più potente e<br />

flessibile <strong>di</strong> quelli utilizzati nell’antico regime.<br />

Mi sembra, pertanto, che l’evidenza empirica ed un corretto utilizzo delle informazioni<br />

<strong>di</strong>sponibili, libero da ossequio verso schemi analitici precostituiti e dominanti, metta in evidenza<br />

che la storia della popolazione mon<strong>di</strong>ale è caratterizzata da due fasi.<br />

La prima è quella del regime naturale. In questa fase i tassi <strong>di</strong> fecon<strong>di</strong>tà rimangono<br />

normalmente superiori a 4,5, figli per donna ed oscillano tra questa soglia minima ed una fecon<strong>di</strong>tà<br />

massima teorica che possiamo porre attorno agli 8 figli per donna. In questo regime il controllo dei<br />

processi riproduttivi è molto limitato e si esercita o attraverso prassi che influenzano la nuzialità e<br />

l’età del matrimonio e della riproduzione o a livello in<strong>di</strong>viduale tramite l’infantici<strong>di</strong>o, comunque<br />

spesso condannato da norme etiche, religiose o sociali.<br />

Ritengo anche che la portata del controllo della natalità nelle società preindustriali sia stata<br />

sovrastimata. Scrivono a questo proposito John e Pat Caldwell: "We have devoted considerable<br />

effort to identifying the field evidence upon which these claims rest. Most of the evidence is<br />

surprisingly insecure. The whole intellectual e<strong>di</strong>fice has been created by demographers borrowing<br />

from anthropologists and by antropologists borrowing from demographers, in each case using<br />

lower levels of scholarship in scrutinizing the borrowed information that they would have felt<br />

impelled to use when buil<strong>di</strong>ng upon the work of people within their own <strong>di</strong>sciplines. Certainly<br />

there was some fertility control, at least among the elites at the height of Imperial Rome and<br />

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366 Ibidem pag. 149-150<br />

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